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bidescu

Massimo Bonini

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Football Yesterday & Today: Massimo Bonini - Detailed stats in European  Cups.
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Massimo Bonini....l'uomo preferito di Michel Platin

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juventusinterc1985bonins.jpg10bonini.jpg

Modificato da Socrates

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Bonini.jpg

Massimo Bonini - chi lo ricorda?

Un gregario per eccellenza. Sicuramente non un fuori classe ma chiamato per sostituire un certo Furino faceva un grande lavoro ai tempi di Platini correndo, recuperando palle a tutto campo e facendo ripartire la squadra.

Finira' per vincere in 8 stagioni con la Juve:

3 Scudetti

1 Coppa Italia

1 Champions

1 Coppe delle Coppe

1 Super Coppa EU

1 Coppa Intercontinentale

Che nostalgia!

Avremo il piacere di vederlo qua a Malta e visitera' il Club Juventus Vero Amore fra due settimane.

Modificato da bianconeromaltese

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Certo che me lo ricordo, motorino infaticabile, era il polmone destro di Platin

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Era un altro calcio...

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Comunque c'e' un altro grande ex nell'isola, un certo Roberto Baggio!! @@

Chissa dov'e'.... .uff

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Comunque c'e' un altro grande ex nell'isola, un certo Roberto Baggio!! @@

Chissa dov'e'.... .uff

Stai scherzando!! Non ho sentito questa notizia. Davvero Baggio e' qui a Malta?

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Joined: 22-Apr-2006
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grande massimo, se non sbaglio ora allena i ragazzini del cesena.

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Joined: 19-Dec-2005
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Stai scherzando!! Non ho sentito questa notizia. Davvero Baggio e' qui a Malta?

Si si, e' qui da un mese, e probabilmente ritornera a Febbraio... chissa che combina, magari viene a vivere qui!!!!

@@

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Certo che me lo ricordo, motorino infaticabile, era il polmone destro di Platin

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Era anche un campione di gregario

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Joined: 18-Jun-2007
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...Grande cuore e, soprattutto, grandi polmoni. Grande MASSIMO

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Joined: 14-Jan-2007
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idimenticabile bonini........................era la juve della mia infanzia.... tacconi gentili cabrini brio scirea bonini briaschi tardelli platini boniek rossi.........

MASSIMO BONINI AVEVA UN'UNICO DIFETTO ERA SAN MARINESE SE NO ERA ANCHE LUI CAMPIONE DEL MONDO.......

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Joined: 20-Jul-2006
82 messaggi

faceva il gregario, ma aveva anche una gran classe con i piedi.

Giocava con il 4, ma avrebbe potuto essere anche un ottimo 8, per chi come me ricorda quando i numeri erano numeri e non marketing di magliette.

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Joined: 04-Apr-2006
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Inviato (modificato)

1277423910_juve1977.jpg.59479b9a587d326c571f275b5e7371a6.jpg MASSIMO BONINI 892481251_juve1982.png.8e49860735c96548e443357f8d8fdceb.png 

 

23 agosto 1981: 40 anni fa l'esordio di Massimo Bonini

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Bonini

 

 

Nazione: San Marino San Marino
Luogo di nascita: Cittá di San Marino
Data di nascita: 13.10.1959

Ruolo: Centrocampista
Altezza: 178 cm
Peso: 68 kg

Nazionale Sammarinese

Nazionale Italiano Under-21
Soprannome: Maratoneta

 

 

Alla Juventus dal 1981 al 1988

Esordio: 23.08.1981 - Coppa Italia - Rimini-Juventus 1-3

Ultima partita: 21.09.1988 - Coppa Italia - Juventus-Como 0-0

 

296 presenze - 6 reti

 

3 scudetti

1 coppa Italia

1 coppa dei campioni

1 coppa delle coppe

1 supercoppa Uefa

1 coppa intercontinentale

 

 

 

Massimo Bonini (Città di San Marino, 13 ottobre 1959) è un dirigente sportivo, allenatore di calcio ed ex calciatore sammarinese, di ruolo centrocampista.

Cresciuto nel settore giovanile della Juvenes, legò il suo nome principalmente alla Juventus, squadra in cui esordì nel campionato italiano di Serie A militandovi poi per otto stagioni, disputando complessivamente in maglia bianconera 192 partite e realizzando cinque reti; impiegato nel ruolo di mediano, divenne tra i pilastri del ciclo di Giovanni Trapattoni nella prima metà degli anni 1980, che lo vide affiancato a centrocampisti come Marco Tardelli e Michel Platini. Coi piemontesi vinse tre titoli di campione d'Italia, una Coppa Italia e tutte le competizioni per club allora organizzate dall'Unione delle Associazioni Calcistiche Europee (UEFA) tranne la Coppa UEFA, manifestazione in cui raggiunse i quarti di finale nella stagione 1990-91 come capitano del Bologna.

Inizialmente membro della nazionale italiana Under-21, Bonini divenne nazionale sammarinese durante i primi sei anni di attività della rappresentativa del Titano (1990-1995), disputando un totale di 19 incontri.

Uno degli unici due atleti di San Marino, assieme al motociclista Manuel Poggiali, ad aver vinto un titolo mondiale, è ritenuto lo sportivo più rappresentativo del Paese in virtù del livello internazionale che la sua carriera agonistica raggiunse nel calcio, trattandosi anche dell'unico calciatore del Titano ad aver vinto una competizione confederale. Nel 2004 la Federazione Sammarinese Giuoco Calcio (FSGC) lo nominò miglior giocatore della propria storia mentre, nello stesso anno, la UEFA lo insignì del titolo di Golden Player (Giocatore d'oro).

 

Massimo Bonini
Massimo Bonini, Juventus 1986-87.JPG
Bonini alla Juventus nella stagione 1986-1987
     
Nazionalità San Marino San Marino
Altezza 178 cm
Peso 68 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Termine carriera 1997 - giocatore
2005 - allenatore
Carriera
Giovanili
1973-1977   Juvenes
Squadre di club
1977-1978   Bellaria 33 (?)
1978-1979   Forlì 23 (1)
1979-1981   Cesena 60 (5)
1981-1988   Juventus 296 (6)
1988-1993   Bologna 96 (4)
1994   Juvenes ? (?)
1995   San Marino ? (?)
1995-1997   Juvenes ? (?)
Nazionale
1980-1983 Italia Italia U-21 9 (0)
1989 San Marino San Marino U-21 2 (0)
1990-1995 San Marino San Marino 19 (0)
Carriera da allenatore
1996-1998 San Marino San Marino  
1998-2000   Cesena Primavera
2000-2002   Cesena D.T.
2002-2005 non conosciuta Oakland University  
2017-2020 San Marino San Marino D.T.

 

Caratteristiche tecniche

Giocatore

«L'Avvocato entrò nello spogliatoio. [...] Quando si presentò sulla soglia, Michel stava allacciandosi una scarpa, la sigaretta accesa in bocca. "Ma come, Michel? Un atleta come lei fuma nell'intervallo?" Accanto a Platini si stava asciugando Massimo Bonini [...] Platini diede una gran pacca sulle spalle nude del compagno, poi, alzando lo sguardo verso Agnelli, dopo una lunga tirata alla sigaretta, disse semplicemente: "Avvocato, l'importante è che non fumi Bonini, è lui quello che deve correre".»

(Fabio Caressa)

 

Centrocampista di contenimento e sostegno, si distinse per la grande resistenza fisica che gli fece guadagnare il soprannome di Maratoneta, nonché per le notevoli abilità in fondamentali quali contrasto, recupero palla e ripartenze. Venne ritenuto decisivo nei successi della Juventus degli anni 1980 e, soprattutto, nell'economia di gioco di Michel Platini per conto del quale, durante le partite, si occupava di conquistare palloni in ogni zona del campo da recapitare poi sulla trequarti, a disposizione delle giocate del fantasista francese; compiti da stacanovista tuttofare che, agli occhi degli addetti ai lavori, ne fecero di fatto i «polmoni» di Platini.

Carriera

Giocatore

Club

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Bonini esultante con la maglia del Cesena nell'annata 1980-1981

 

Si formò nelle giovanili della Juvenes, squadra del suo paese. A diciott'anni si trasferì nella Serie D italiana per giocare la stagione 1977-78 nelle file del Bellaria; l'annata successiva fu prelevato dal Forlì che lo fece esordire in Serie C. Passò poi nel 1979 al Cesena con cui, nel torneo 1980-81, ottenne la promozione in Serie A. L'estate seguente fu quindi ingaggiato dalla Juventus.

Giovanni Trapattoni, allenatore dei piemontesi, lo fece esordire in massima serie contro la sua ex squadra, il 13 settembre 1981, e tre giorni dopo lo portò all’esordio in Coppa dei Campioni, nella sfida con gli scozzesi del Celtic. La prima stagione a Torino si concluse per Bonini con la conquista del suo primo scudetto, quello della seconda stella per la società juventina. Nell'annata seguente il sammarinese conquistò definitivamente un posto da titolare a scapito del capitano bianconero Giuseppe Furino (non senza polemiche da parte di quest'ultimo); al termine del campionato 1982-83 gli venne inoltre conferito il Trofeo Bravo, riconoscimento all'epoca destinato al miglior Under-24 d'Europa.

 

220px-Juventus-Milan_1981-82%2C_Massimo_
 
Bonini in maglia juventina, pressato dal milanista Franco Baresi, nel corso del torneo 1981-1982

 

Il suo palmarès ne fa lo sportivo più decorato della Repubblica di San Marino. Nel corso degli anni 1980, con la Juventus, ha vinto tutti i trofei della sua carriera: 3 titoli di campione d'Italia (1981-82, 1983-84, 1985-86), 1 Coppa Italia (1982-83), 1 Coppa delle Coppe (1983-84), 1 Supercoppa UEFA (1984), 1 Coppa dei Campioni (1984-85) e 1 Coppa Intercontinentale (1985); quest'ultimo trionfo ha fatto di Bonini il primo sportivo sammarinese, in seguito eguagliato dal motociclista Manuel Poggiali, ad aver vinto una competizione mondiale.

Nell'ottobre 1988, dopo 296 gare ufficiali (192 di campionato) coi bianconeri, Bonini si trasferì al Bologna, tornato in Serie A. La squadra ottenne la salvezza al termine della stagione e, in quella successiva, la qualificazione alla Coppa UEFA. In totale coi felsinei, di cui fu anche capitano, giocò quattro annate mettendo a referto 112 partite e 5 gol. Chiusa la parentesi professionistica, Bonini ritornò in patria per indossare le maglie della Juvenes, società che lo aveva lanciato, e del San Marino.

Nazionale

150px-Massimo_Bonini%2C_Italia_U-21.jpg
 
Bonini nei primi anni 1980 con l'Italia Under-21

 

Nonostante il passaporto sammarinese, nei primi anni 1980 Bonini ha vestito 9 volte la maglia azzurra dell'Italia Under-21 nel periodo in cui la Federcalcio del Titano non era ufficialmente affiliata all'UEFA, la quale considerava quindi i giocatori di San Marino assimilati agli italiani.

Al contrario non giocò mai nella nazionale maggiore italiana, poiché il regolamento FIFA richiedeva che un calciatore difendesse i colori del paese di origine: per sua scelta personale, Bonini non volle mai rinunciare alla cittadinanza sammarinese. Dal 1990 vestì la maglia della neocostituita nazionale di San Marino, con la quale disputò 19 partite fino al 1995, anno del suo ritiro dal calcio giocato, precedute da 2 gare giocate nel 1989 da "fuori quota" nel San Marino Under-21, entrambe contro i pari età dell'Italia, nelle qualificazioni europee di categoria.

 

220px-San_Marino-Inghilterra_1-7%2C_1993
 
Bonini (al centro) nel 1993, capitano della nazionale di San Marino, durante una sfida contro l'Inghilterra

 

Ritenuto lo sportivo più rappresentativo nel Paese in virtù della caratura internazionale della sua carriera agonistica, nel 2004, per celebrare il proprio 50º anniversario, l'UEFA invitò ogni federazione nazionale a essa affiliata a indicare il loro miglior giocatore del precedente mezzo secolo: la scelta di San Marino ricadde su Bonini, designato Golden Player dalla confederazione calcistica europea.

Allenatore e dirigente

Dal 2 giugno 1996 al 10 settembre 1997 Bonini assunse l'incarico di selezionatore della nazionale di San Marino, guidandola in 8 partite durante le qualificazioni al campionato mondiale di calcio 1998. Nello stesso anno andò sulla panchina della formazione Primavera del Cesena, allenandola per due stagioni; dopodiché entrò nello staff tecnico del settore giovanile cesenate, nel ruolo di direttore tecnico, fino a giugno 2002. Successivamente, a dicembre dello stesso anno, diventò tecnico della formazione della Oakland University a Detroit.

Il 28 febbraio 2017 fu nominato direttore tecnico della Federazione Sammarinese Giuoco Calcio, rassegnando le proprie dimissioni nel luglio 2020.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

Individuale

Onorificenze

Medaglia di bronzo al valore atletico - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia di bronzo al valore atletico
  «Campione italiano professionisti»
— Roma, 1982.
immagine del nastrino non ancora presente Medaglia d'oro al valore atletico CONS
  — Città di San Marino, 1989
immagine del nastrino non ancora presente Medaglia d'oro del centenario della FIFA
  «Premio alla carriera sportiva»
— Città di San Marino, 15 gennaio 2005.
Modificato da Socrates

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1277423910_juve1977.jpg.59479b9a587d326c571f275b5e7371a6.jpg MASSIMO BONINI 892481251_juve1982.png.8e49860735c96548e443357f8d8fdceb.png 

 

Bonini_Juventus.jpg

 

 

 

Al termine della trionfale stagione del ventiduesimo scudetto, Boniperti lo ha definito: «Il nostro fantastico terzo straniero». Più che all’origine anagrafica (è nato a San Marino), il presidente si riferiva al costante rendimento offerto da Massimo Bonini. Il biondo centrocampista è un mostro di continuità, infaticabile e prezioso. Quando si presenta, giovanissimo, lo battezzano in mille modi: il nuovo Netzer, il nuovo Benetti, l’erede di Furino. In realtà, Bonini è un azzeccato cocktail, ricco di personalità originale. Se la Juventus non ha dovuto rimpiangere un grosso campione come Furino, il merito è proprio del suo degno successore.Cursore dai mille polmoni, nelle ultime stagioni Bonini ha saputo farsi apprezzare anche per un miglioramento sostanziale sotto il profilo tecnico. La sua qualità è la capacità di corsa: il vero, classico uomo ovunque: difesa, attacco, grande recuperatore di palloni, grazie ad una mobilità da fondista. Questa dote, unitamente alla disponibilità al sacrificio, lo rende amatissimo dai compagni che sanno di poter contare sul suo apporto.
«La scarsa vena realizzativa – puntualizza – non ha mai rappresentato un problema, perché la Juventus di allora era una squadra particolarmente sbilanciata in avanti, che si attendeva, da giocatori come me, la copertura e non le reti».
Negli anni d’oro di Platini, le sue doti podistiche gli permettono di vincere il duello con Tardelli come centrale a sostegno del divino Michel con conseguente spostamento di Marco nel ruolo di esterno destro (e il buon Marco non gradì proprio).
Fra il primo e il secondo tempo di un’importante sfida di campionato, l’Avvocato Agnelli entrò, come sempre senza farsi annunciare, nello stanzone degli spogliatoi. Michel Platini, seduto su una panca, fumava tranquillamente una sigaretta; non era una cosa rara, lo faceva quando era nervoso, per scaricare la tensione. L’Avvocato gli disse sorridendo divertito: «Platini, ma lei fuma nell’intervallo di una partita?» «Avvocato, non si preoccupi se fumo io», rispose pronto Michel, «l’importante è che non fumi Bonini, che deve correre anche per me!» Questo dialogo, diventato famoso, dimostra che Massimo non è un fenomeno ma neanche scarsissimo, molto solido mentalmente e tatticamente. Non un fuoriclasse, quindi, ma l’indispensabile supporto ai campioni.
Massimo nel 1977 è in serie D, a Bellaria. Poi si mette in luce nel Cesena e la Juventus lo individua come ideale complemento al centrocampo, assicurandoselo nell’estate 1981 per 700 milioni (più Verza e la comproprietà di Storgato). Fu un affare.
La consacrazione internazionale del giovane centrocampista risale al 16 settembre 1981, tre giorni dopo l’esordio in A (13 settembre: Juventus-Cesena); Trapattoni lo schiera contro il Celtic in Coppa Campioni e il ragazzo ottenne subito la promozione.
Pier Luigi Cera, libero del Cagliari scudettato, lo ha avuto a Cesena: «Bonini è un Furino con i piedi buoni, è un mediano completo. È il seguito di Furia e vale molto di più anche come tiro. Lo cancellerà, presto, dalla faccia della terra. Quando arrivò a Cesena, gli dissero che sarebbe stato una riserva, essendo giovane. Ebbene, da riserva è diventato in fretta titolare ed ha finito per essere l’anima del Cesena, il trascinatore, il giocatore più amato dalla folla».
La cittadinanza sammarinese gli ha creato anche qualche inconveniente curioso: dopo aver giocato nella Nazionale Under 21, infatti, Bonini è stato estromesso perché considerato straniero. «All’inizio degli anni Ottanta ho giocato sette partite con l’Under 21 di Vicini. In quel periodo c’era anche un altro giocatore di San Marino nel giro delle nazionali giovanili, il mio amico Marco Macina. Nel novembre 1982 con la Juniores prese parte al torneo di Montecarlo e, in quell’occasione, le avversarie degli azzurri fecero reclamo, perché l’Italia schierava un giocatore non di passaporto italiano. L’UEFA intervenne e da quel momento Macina non poté più vestire la maglia azzurra. Fu cambiato il regolamento e dalla stagione successiva anch’io, dopo aver disputato due partite nell’Under come fuori quota, dovetti dire addio alla Nazionale».
Si è rifatto ampliamente con la maglia bianconera, evidenziando sempre più, particolarmente in Europa, le sue caratteristiche di gladiatore.
Bonini si avvicinò allo sport molto presto, ma voleva fare il ciclista. Fu un incidente a suggerirgli di dedicarsi al calcio: «È stata la mia fortuna, come sono stato fortunato ad arrivare alla Juventus: pensate che era sempre stato il mio sogno. In camera, da ragazzino, avevo i poster appesi con l’immagine dei miei idoli bianconeri».

MASSIMO BURZIO, DA “HURRÀ JUVENTUS” DELL’APRILE 1984
Massimo Bonini il maratoneta. Corre il sanmarinese, corre su e giù per il campo, la chioma bionda che pare gonfiarsi al vento e farlo diventare ancor più veloce. Ma Massimo non è soltanto un podista, anzi. Trapattoni e Furino (e loro di mediani se ne intendono!) lo stimano e lo considerano quasi indispensabile al gioco della Juventus. L’allenatore ha plasmato Bonini disciplinandolo tatticamente e tempestandolo con consigli e suggerimenti, in allenamento come in partita.
Il Capataz (al quale, non scordiamolo, Bonini ha tolto il posto) è il primo tifoso del buon Massimo e spesso dice: «È un ragazzo d’oro, ha fiato, volontà ma anche tecnica e senso del gioco. La maglia numero quattro, che fu mia per tante stagioni, è indossata davvero da un giocatore meritevole».
Bonini è stato spesso definito un Benetti giovane. Ma, probabilmente, del roccioso Romeo Bonini non ha il tiro. O meglio in una Juve dove sono così tanti i cecchini, il sanmarinese preferisce portare le munizioni piuttosto che sparare.
Oramai Bonini è un titolare quasi inamovibile ma, giustamente, non si illude e dice: «Quando arrivai alla Juve sapevo di aver raggiunto il massimo. Ma il brutto, il difficile cominciava soltanto in quel momento. Si trattava di dimostrare ai dirigenti, a Trapattoni, ai compagni, quanto valevo e chi ero. I dubbi erano tanti, le emozioni e le paure parecchie. Ho fatto tutto quanto potevo e ora le cose stanno andando per il verso giusto. Ma il successo è più difficile da mantenere che da conquistare. Non posso sbagliare. È necessario ancora imparare, ancora combattere».
Bonini è un ragazzo serio, lo si capisce da quanto dice, ma soprattutto è un professionista nel senso più largo del termine. Silenzioso ma non musone, misurato quando occorre, è tanto ermetico fuori dal campo (entra ed esce dallo spogliatoio e passa senza mai dar troppa confidenza) quanto vulcanico in partita. E come se i silenzi del pre-partita diventassero grida e urla durante il match. Bonini è capace di bruciare l’erba per due o tre volte da una porta all’altra senza mai fermarsi, senza mai commettere errori. Platini, dicono, sia incantato dal dinamismo di Massimo, dalla sua grandezza nella modestia e non possa fare a meno del suo apporto. E il transalpino non pensa d’avere accanto un gregario, un portatore d’acqua, ma un compagno che con il suo gioco copre e apre varchi nelle difese avversarie e velocizza il gioco juventino.
Il generale coro di elogi che accompagna Bonini è stato ribadito e amplificato anche dalle molte presenze di Massimo con la maglia azzurra dell’Under 21. Presenze che non potranno, per ora, aumentare nel numero perché una singolare sentenza dell’UEFA ha sancito che chi, come Bonini, è cittadino della Repubblica di San Marino non può giocare con la Nazionale italiana.
Così Massimo è diventato straniero per l’UEFA, ma resta calcisticamente italiano per la Federcalcio, visto che a tutti gli effetti può giocare nel nostro campionato: «È stata una cosa stranissima. Tutto subito m’è dispiaciuto, ci tenevo alla Nazionale. Ma tengo anche al mio stato di cittadino di San Marino e non cambierò certo nazionalità. Se, in futuro, l’UEFA rivedrà le proprie posizioni, allora tutto tornerà a posto. Diversamente va benissimo così. La mia Nazionale non esiste (San Marino non ha una federazione calcio e non ha giocatori, oltre a Bonini, in grado di giocare ad alti livelli) ma non mi preoccupo. Mi basta la Juve. E in bianconero che, ogni partita, io do il mio esame di laurea».

NICOLA CALZARETTA, DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL MARZO 2018
“Reliquosvos libero ab utroque homine” ossia: “Vi lascio liberi da ambedue gli uomini” che, all’epoca in cui la tradizione fa risalire i fatti, IV secolo dopo Cristo, erano l’Imperatore e il Papa. A pronunciare la solenne frase fu un tagliapietre dalmata chiamato Marino (poi diventato Santo) che si era rifugiato sul Monte Titano per sfuggire alle persecuzioni di Diocleziano e lì poi aveva dato vita a una comunità cristiana. Quelle parole, dette poco prima della morte avvenuta nel settembre del 301, sono a fondamento dell’indipendenza di San Marino. Uno stato autonomo, libero, neutrale. È qui, nella più antica Repubblica al mondo, posta a confine tra l’Emilia Romagna e le Marche che il 13 ottobre 1959 è nato Massimo Bonini, il biondo mediano della Juventus di Platini, attualmente direttore tecnico della nazionale sanmarinese. Ed è qui, nel suo ufficio di Serravalle, che ci incontriamo. Fisicamente è identico a quello delle figurine, compresi i capelli, sempre folti e biondi. Sulle pareti molte tracce fotografiche del suo passato da calciatore, soprattutto quello a tinte bianconere. Con la maglia numero quattro della Juventus ha speso la parte migliore della sua carriera, dal 1981 al 1988 vincendo quasi tutto. Prima c’era stato il Bellaria del primissimo Arrigo Sacchi, il Forlì e il Cesena (con promozione in A nel 1981). Dopo la Juve, il Bologna fino al 1993, prima del ritorno a “casa” con tanto di maglia della Nazionale di San Marino, nata ufficialmente nel 1990 e con cui ha collezionato diciannove presenze. Un giusto, ma tardivo, risarcimento dopo il divieto della Fifa nei primi anni Ottanta che gli aveva impedito di poter indossare la maglia azzurra della Nazionale italiana.
Quanto ti è pesato tutto questo? «Un po’, anche perché ero nel giro dell’Under 21 e una mia convocazione da parte di Bearzot era pensabile. La decisione della Fifa fu cervellotica, anche perché San Marino all’epoca non aveva una sua rappresentativa. Di fatto voleva dire, per me, non avere alcuna chance di indossare la maglia di una nazionale maggiore».
A meno che tu non rinunciassi a essere cittadino della Repubblica di San Marino. «E perché avrei dovuto farlo? Io sono nato qui, sono sanmarinese da sempre. Il legame con il nostro piccolo stato è forte. Non sai la soddisfazione e l’orgoglio che ho provato nell’indossare la maglia della Nazionale di San Marino. Anni fa sono stato a Detroit, dove c’è da tempo una comunità di sanmarinesi. Sono stati momenti bellissimi, dove il senso di appartenenza si è toccato con mano. Certo, mi è dispiaciuto non aver potuto giocare con la nazionale italiana, ma va bene lo stesso».
Anche perché c’era la Juventus che compensava. «La dimensione internazionale me l’ha data ampiamente la Juve. Tra il 1983 e il 1985 ho disputato tre finali continentali e una mondiale. Senza contare le coppe ogni anno e le amichevoli in giro per il mondo. E poi c’era quella definizione di Boniperti che mi faceva gonfiare il petto».
“Bonini è il nostro terzo straniero”. «Proprio quella. Era un complimento, un riconoscimento, a sottolineare l’importanza del mio apporto alla causa. Eravamo ai primi anni di riapertura delle frontiere, il calciatore straniero era visto come un qualcosa in più. Non necessariamente un fenomeno tecnico, ma un giocatore capace di alzare comunque l’asticella della qualità e della personalità della squadra. E, con Platini e Boniek, il presidente metteva anche me».
A proposito di Boniperti, cosa ti colpì di lui nei primi incontri? «Il carisma, la competenza, la fame di vittorie. E, ovviamente, il contratto già predisposto in tutto. “Firma qui, se vinciamo avrai dei buoni premi” Ed io firmai per tre anni».
E dei capelli non ti disse nulla? «Come no. E non solo la prima volta. Ma io, che non volevo tagliarli, li bagnavo, così da farli apparire più corti. Poi per un certo periodo ho rinunciato al caschetto, pettinandoli all’indietro, ma lui sbuffava sempre».
Come sei finito alla Juventus? «Dopo la promozione in A con il Cesena nel 1981 sembrava tutto fatto con la Sampdoria. Un giorno, però, mi telefona il nostro diesse, Pierluigi Cera: “Se ti chiamano quelli della Samp, tu digli che non ci vuoi andare. Stai tranquillo, c’è qualcosa di più grosso sotto”».
Era la Juventus. «Durante la stagione era venuto a osservarmi Romolo Bizzotto, il vice di Trapattoni. Aveva amici a San Marino, io lo avevo conosciuto anni prima. Se ne è andato poco tempo fa, mi è dispiaciuto molto perché lui per me è stato un grandissimo maestro. Una persona dotata di enorme umanità che ha lavorato molto per i giovani, quasi sempre nell’ombra».
Alla Juve con quale spirito vai? «Intanto ci fu una seconda telefonata di Cera: “Ti aspettano a Torino per la firma del contratto”: Presi la mia Fiat 131, da solo, non avevo agenti. Ero felicissimo, ho sempre tenuto per la Juventus, dalle nostre parti è abbastanza radicato il tifo per i bianconeri. Durante il viaggio, però, mi vennero a mente mille cose, compreso il fatto che era la prima volta che mi allontanavo veramente da casa. In più facevano capolino anche i timori. “Ma che ci vado a fare alla Juve?”».
Da cosa erano mossi quei pensieri? «La Juve è la Juve. Vai a giocare, ma anche a competere con campioni veri. Io ho iniziato a fare sul serio col pallone a diciassette anni. Da piccolo ho fatto tutti gli sport dal baseball al ciclismo. Si giocava vicino casa a Serravalle, in via Ponte Mellini, per puro divertimento. A dirla tutta il mio sogno era diventare maestro di tennis, pensa un po’».
E il calcio come ha prevalso? «Merito di Pietro Paolini, il mio primo mister, colui che più di tutti mi ha trasmesso la passione. Mi propose di giocare nella Juvenes, la squadra della parrocchia di Don Peppino Innocentini che lui allenava. Per problemi di tesseramento, però, dovettero falsificare il cartellino. Giocavo con un altro nome: Stefano Benedettini. E poi nel 1977 ci fu subito la Serie D per merito di Dante Maiani ed Ermanno Ferrari che mi segnalarono al Bellaria. Mi fecero fare un provino a Fusignano nel torneo “Sacchi; intitolato alla memoria del fratello di Arrigo. Test superato e a diciotto anni è iniziata la mia vera carriera da calciatore».
Come Bonini o Benedettini? «Massimo Bonini di Alfredo detto Coppi, per la sua passione per il grande ciclista. Lo chiamavano tutti così. Quando sono andato a Detroit, la gente mi salutava: “O ma tu sei il figlio di Coppi”. Mio babbo era una persona speciale, di una simpatia incredibile. Diceva di aver giocato a calcio e anche bene. Lo vidi solo una volta in azione, in mutande, con noi ragazzini, in una partita per strada. Era tifoso della Juve, aveva una ditta di costruzioni. Arrivava a casa e diceva: “Ho comprato quel terreno”. E mia madre: “E con quali soldi?”. “Non ti preoccupare”: questa la risposta, accompagnata da un sorriso che diceva tutto. Ha dato lavoro a tantissimi sanmarinesi. Un uomo generoso e felice della felicità degli altri».
Lavoravi anche tu? «Ce n’era per tutti. Sono stato spesso su cantieri. Mi capitava di comandare la gru per scaricare il materiale dal camion. Poi davo una mano al bar di famiglia, gestito da mia madre Annamaria. Era conosciuto come “Bar Coppi”, tanto per cambiare. Diventò poi una tavola calda e anche una balera, nei locali sottostanti. Ho dei ricordi bellissimi dei quegli anni. Per la musica c’era il giradischi. Le luci psichedeliche, invece, le facevamo mettendo della carta velina colorata sui neon che venivano spenti e accesi dal babbo».
Torniamo al Bellaria. «Era allenato dal primissimo Arrigo Sacchi, che non poteva però sedersi in panchina. Andava in tribuna, ma non riusciva a stare seduto, correva più di noi. Era già molto avanti rispetto ai tempi. Non lo potevo dire io in quel momento, questo l’ho capito dopo. I suoi insegnamenti tattici sono stati utilissimi per me. Gli piacqui subito. A inizio stagione facemmo una prima partitella tra titolari e riserve, io ero tra queste. Dopo il primo tempo mi mise tra i titolari. E non sono più uscito. Quell’anno feci trentatré partite, quindi ci fu il salto di categoria in C con il Forlì e nel 1979 addirittura il Cesena in B. Giocare con la maglia del Cesena, a vent’anni, era già un sogno. Accanto al tifo per la Juve, c’è sempre stata la passione per l‘altro bianconero. Andavamo a vedere tutte le partite casalinghe, ricordo le tribune in tubi innocenti. L’anno delle targhe alterne, poi, facevamo delle vere e proprie “macchinate” da San Marino, visto che per noi il divieto non operava. In più il Cesena veniva spesso quassù da noi a fare le amichevoli. Io ero lì come raccattapalle. Mi è capitato qualche volta di fare dei tiri in porta a Boranga. L’ho ritrovato parecchi anni dopo a “Quelli che il calcio”, quando si ripetevano le azioni dei goal. Un fisico della madonna e un’elasticità da urlo, un fenomeno».
Chi ti volle al Cesena? «Mi segnalò Arrigo Sacchi, che allenava la Primavera».
Curiosità: ma Sacchi ti ha mai cercato dopo? «Una volta, quando era al Milan, sapeva che ero in scadenza. Io gli dissi che se la Juve non mi avesse rinnovato il contratto, ci avrei pensato. Ricordo che ne parlai con mio padre, che di solito mi ha sempre lasciato fare. Quella volta mi disse: “Se vai al Milan, perdi due tifosi: me e la mamma!”».
Torniamo al Cesena. «Due anni bellissimi, era come stare in famiglia. La ciliegina sulla torta fu la promozione in A al termine della stagione 1980–81 con un centrocampo composto da giovanissimi: Piraccini, Lucchi e il sottoscritto, poco più di sessant’anni in tre. Grande merito va comunque al mister Osvaldo Bagnoli, altro maestro, con il suo stile e la sua personalità. Poche parole, molto fatti, la ricerca della semplicità. E poi una notevole libertà per noi giocatori che ci sentivamo così maggiormente responsabilizzati».
Hai un’immagine simbolo dentro dite di quella fantastica annata? «Il mio goal di testa all’Atalanta nella penultima giornata di campionato, quella della matematica conquista della Serie A. Dopo arrivò anche il 2–0 di Garlini. Ricordo la grandissima gioia per il traguardo raggiunto in un campionato di B “anomalo”; con Milan e Lazio retrocesse per il calcioscommesse e dunque, ancora più difficile e competitivo».
E arriviamo quindi alla Juventus e al misto di gioia e timori. «Ventidue anni, mai fatto il settore giovanile, e adesso mi ritrovo in mezzo a gente che fino a un minuto prima ho in visto in TV: Zoff, Scirea, Tardelli, Furino, Cabrini. Dall’altra parte c’era però una grande determinazione e un entusiasmo a prova di bomba. E poi se mi avevano voluto, significava che le qualità c’erano».
Tra l’altro per il tuo acquisto, la Juve investì molto. «So che il Cesena incassò 700 milioni delle vecchie lire, oltre al cartellino di Verza e la metà di quello di Storgato. Una bella responsabilità anche quella, va detto».
Il primo giorno da juventino lo passi interamente con Paolo Rossi. «Facemmo i fidanzatini per una giornata intera, dalle visite mediche alle prime foto ufficiali con la nuova maglia. Ovviamente gli occhi erano tutti per lui, il vero acquisto boom di quell’anno, anche se ancora sotto squalifica. Di me non si filava nessuno. Giusto così. Pablito era Pablito, un centravanti di un’intelligenza tattica unica. Avere davanti uno così è una manna per i centrocampisti».
Il tuo primo anno alla Juve ti vede in campo ventotto volte, anche se molte come tredicesimo. «Non potevo chiedere di più. Trapattoni mi ha tenuto in grande considerazione fin da subito. Mi ha curato molto tecnicamente. Avevo bisogno di lezioni suppletive e lui mi ha insegnato tante cose, insieme a Bizzotto. Poi, quando si giocava, in un modo o nell’altro, mi metteva dentro. In questo mi ha molto aiutato il fatto che fin da ragazzo, abbia giocato in tutti i ruoli, anche di punta. Un eclettismo che, con i primi insegnamenti di Sacchi, mi ha dato una marcia in più».
Stagione 1982–83, a metà anno ecco il sorpasso definitivo a Furino. «Dico subito che per me Beppe è stato uno dei compagni più belli che ho avuto. Da lui ho appreso molto e lui non si è mai stancato di darmi le giuste dritte. A un certo punto Trapattoni ha preso la decisione e mi ha affidato stabilmente la maglia numero quattro, centrocampista di sinistra. Dico subito che quella è stata la più bella Juve in cui ho giocato. In Coppa dei Campioni si dava spettacolo. Ed io a fine anno fui premiato proprio dal Guerino con il “Bravo” come miglior “under 24” delle competizioni europee».
Tornando al tuo lancio, pare che qualcuno dei tuoi compagni si fosse lamentato per la presenza di Furino e che abbia richiesto la sua esclusione. «Quello che posso dire è che, rispetto all’anno prima, le dinamiche e gli equilibri della squadra erano cambiati. Erano arrivati Boniek e Platini. C’era Tardelli sul centro destra, Bettega e Rossi in avanti. C’era bisogno di qualcosa di diverso in mezzo al campo e forse di maggiore freschezza. Se poi vuoi sapere se si discutesse con il mister, anche animatamente, ti dico di sì. E a volte erano siparietti tutti da gustare. Boniek per esempio, quando il Trap gli chiedeva di fare certi movimenti, rispondeva: “Sono venuto in Italia per giocare con palla al piede” e il mister: “Ed io ho vinto scudetti con Farina e Marocchino”!».
E Platini? «Michel era più furbo, lo faceva con sarcasmo e ironia. Anche se poi, quando è stato allenatore, ha dato più volte ragione al Trap».
Come è stato il tuo rapporto con Platini? «Molto bello. Lui aveva una particolare attenzione per i più giovani. Quando aveva la casa libera, ci invitava lì a passare la serata. Con me poi, giocava a tennis. Era molto bravo, anche se abusava con le pallette sotto rete e i pallonetti. Mi faceva impazzire. E poi erano ironico e intelligentissimo».
La battuta sulle sigarette è passata alla storia: cosa c’è di vero e di leggenda? «Di vero c’è tutto. L’avvocato Agnelli, altro personaggio straordinario, chiese a Michel di non fumare. E lui, rispose: “L’importante è che non fumi Bonini che deve correre”».
Fumavi molto? «Pochissimo, quasi nulla. Ci avevo dato un po’ da ragazzo, mia sorella fumava. Io “rubavo” le sigarette dal bar di famiglia, le davo a lei e ai miei amici di nascosto, e qualcuna la tenevo per me. Una volta mi beccò mio babbo che mi rincorse per tutta la casa».
Correvi tanto? «Correvo bene. Il mediano è un ruolo delicato. È come il batterista di una rock band: deve dare i tempi. E poi deve capire in anticipo come si sviluppa il gioco, saper dialogare con i compagni, preparare le linee di uscita della palla. In quella Juve lì, anche se mi sarebbe piaciuto, la metà campo l’ho superata poche volte. Perché era utile e funzionale che rimanessi dietro a dirigere».
In campo come era Platini? «Era esigente, bofonchiava sempre, non gli andava mai bene nulla. Ma questo era uno stimolo forte. A dire il vero questa era la cifra di quella Juventus. La cura del dettaglio, la ricerca della perfezione. Ricordo Zoff che in allenamento, ti rincorreva fino a metà campo se avevi commesso un errore. Le partitelle erano partite vere e proprie, la domenica ci riposavamo (ride). E poi c’era un grande senso di appartenenza, la voglia di andare oltre l’ostacolo. Cabrini ha giocato una stagione intera con due stecche di ferro a protezione del ginocchio, incredibile».
Alla Juve hai vinto molto, che bilancio fai? «La Coppa Intercontinentale va sopra tutto perché sancisce la fine di un percorso di successi precedenti. Non sento di aver vinto la Coppa dei Campioni del 1985. Non si può morire per andare a vedere una partita. Noi giocatori sapevamo pochissimo, quasi nulla. L’Heysel è una tragedia che ancora oggi fa malissimo».
La delusione più cocente? «Atene 1983. Sbagliammo tutto. Quando l’arbitro fischiò la fine, ebbi la sensazione che la partita fosse durata dieci minuti».
Una sola volta espulso, vero? «Per somma di ammonizioni; il secondo giallo per proteste al 90’ Ci tengo a questo dato. Non ero uno tenero in campo, ma ho sempre giocato nel rispetto delle regole».
L’avversario più ostico? «Lo spagnolo Juan Lozano che giocava con l’Anderlecht, difficilissimo da marcare. A seguire Falçao, un fuoriclasse».
E quello più cattivo? «(ride) Salvatore Bagni: una volta quando era al Napoli gli detti una gran stecca e lui mi cercò per il resto della partita per ricambiare la cortesia. Ma non mi beccò».
Il goal da ricordare? «Il sinistro all’incrocio nel 2–0 all’Inter il 23 marzo 1986, su assist di Platini, beffando Zenga. Tardelli che era all’Inter, alla fine della partita mi fa: “Proprio qui dovevi fare goal, e di sinistro, poi!”».
La sensazione più strana? «Quando sei sul pezzo ti godi poco le vittorie. Alla Juve poi è ancora più complicato. Si guarda subito al traguardo successivo. C’è più gusto adesso, rivivendo ricordi ed emozioni come in questa intervista».
Nel1988 lasci la Juve, perché? «Non mi divertivo più. Con mister Marchesi non è andata come si sperava. Sbagliai anch’io a tirarmela un po’; può capitare: Dovevo andare alla Lazio, invece poi spuntò il Bologna. Cinque anni in rossoblù che ricordo con piacevolezza, nonostante le turbolenze societarie e le retrocessioni».
Quale è la cosa più bella che ti ha lasciato lo sport? «L’amicizia, i legami nati al campo di allenamento che durano tuttora, il ritrovarsi dopo tanti anni e abbracciarsi. Perché alla base di tutto c’è stata la passione, il divertimento, la gioia di aver fatto parte di una squadra».
 
Modificato da Socrates

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