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  1. Martina Rosucci, da sabato pomeriggio c’è una domanda che tutti vorrebbero farle: come sta? «Per fortuna non è nulla di grave, ho un edema da distorsione quindi il ginocchio è un po’ dolente». A proposito della gara di sabato, abbiamo visto una Juve caparbia e vogliosa di dare un segnale importante: su quale aspetto vi siete concentrate alla vigilia? «Si è vista in campionato una Juve da Champions, con l’atteggiamento che abbiamo sempre in Coppa. Abbiamo lavorato sulla cura dei dettagli, partendo anche dall’aspetto motivazionale. Dopo la gara con il Como ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che dovevamo fare tutti qualcosa in più anche sul piano del gioco». La poca efficacia sotto porta è l’aspetto che più vi sta penalizzando? «È la poca efficacia in generale. Dalla Supercoppa in poi abbiamo sempre creato tanto e questo è positivo perché vuol dire che riusciamo ad arrivare davanti alla porta in maniera fluida. Poi sì, manchiamo in cinismo, ma questo può accadere agli attaccanti come ai centrocampisti e anche ai difensori, quando per esempio sull’unica occasione concessa non riusciamo a prendere la decisione giusta». In campionato i numeri dicono che è con le cosiddette “piccole” che avete fatto più fatica: teme che possa subentrare un po’ di appagamento? «Ci sono partite che si affrontano con un’attenzione maggiore, penso a quella con l’Arsenal in cui la testa rimane attiva 96 minuti perché una piccola distrazione può costare cara. Non è appagamento, in realtà, ma succede che in alcune gare, inconsciamente, ci siano momenti in cui l’attenzione cala. Senza dimenticare che, solo contro di noi, tutte le squadre giocano al massimo e questo complica le cose». Anche lei ha voluto mandare un messaggio al presidente Agnelli: che cosa rappresenta per lei? «Quando ho ricevuto la chiamata da parte della Juventus la prima domanda che ho fatto è stata “Ma quella vera? Nel senso, quella del presidente Agnelli?”. Ecco, credo che qui ci sia tutto. Ha dato credibilità al nostro movimento e di fatto ha cambiato le nostre vite, gli saremo per sempre riconoscenti». Una vittoria contro l’Arsenal sarebbe un altro bel regalo per lui: cosa dovrete migliorare rispetto alla gara dell’Allianz? «Domani potrà fare la differenza riuscire a partire da subito con il coraggio che abbiamo avuto nella ripresa, il coraggio di giocare la palla, di stare più alte e di credere che possiamo fare male. E poi serviranno attenzione e umiltà». Per i quarti su chi bisogna fare la corsa? «La qualificazione si gioca su sei partite, anche ripetere la vittoria con lo Zurigo sarà fondamentale e non scontato. Dopo le prime gare non ho notato una grande differenza tra Lione e Arsenal». Lo scudetto, invece, sarà corsa a due tra voi e la Roma? «La formula nuova cambia tutto perché prevede ancora tanti scontri diretti: finito il girone d’andata mi sento di dire che noi e la Roma abbiamo qualcosa in più, ma anche l’Inter ha buonissime qualità». Montemurro l’ha aiutata in particolare ad accrescere la fiducia? «Assolutamente, ero arrivata a un punto della mia crescita in cui non sentivo di poter andare oltre nella conoscenza di me stessa. Lui mi ha dato delle armi per diventare una giocatrice europea, per sentirmi bene a un alto livello. Io mi sento una giocatrice essenziale, nel senso di quelle che non spiccano per la giocata: ecco lui ha dato valore all’essenzialità del calcio, all’altruismo dei movimenti senza palla». Cosa ha pensato la prima volta che le ha detto “Giochi centrale difensivo”? «“Ma sei sicuro”? Anche perché era la gara contro l’Inter… In quel momento ero contenta e ho ringraziato di essere una che tende ad ascoltare sempre in campo anche i consigli che arrivano per gli altri reparti. Non nego, invece, che prima della gara con l’Arsenal avevo un po’ di timore, di fronte mi aspettava Miedema, una che per me è nelle tre top europee». Ma la prestazione è stata eccellente, e quel colpo di tacco nel finale decisivo. «Quello è stato tutto istinto… da centrocampista!». Il nuovo ruolo può darle modo di vivere una carriera ancora più lunga? «Lo spero, ci ho pensato in effetti. Credo che le persone intelligenti siano quelle che cambiano con il cambiamento. Quello di centrocampista resta il mio ruolo preferito, lo sottolineo, ma faccio volentieri anche il difensore». Che da necessità ora è diventata scelta precisa, anche a livello tattico. «La visione offensiva del gioco di Montemurro mi ha aiutata ad affrontare bene questo cambiamento. Poi io credo che nei ruoli ci sia anche un po’ la nostra personalità: il centrocampo è quello che unisce, quello delle relazioni che mi rappresenta. Ma poi ho pensato che in questo momento difficile provare a difendere, nel senso più ampio della parola, la mia squadra è una cosa di cui mi faccio carico volentieri». Da difensore centrale ha già affiancato Sembrant, Salvai e Lenzini. Come le definirebbe con un aggettivo? «Hai dimenticato Gama, ma non per errore tuo. Non ho mai giocato con lei, ma è stata la prima a cui ho chiesto consigli pratici: è il mio mentore, ho parlato con lei prima dell’Arsenal e dopo il Parma per capire meglio l’errore che avevo commesso. Sembrant è esperienza e conoscenza, Salvai sicurezza ed eleganza, Lenzini è una forza della natura dotata di grande attenzione». Come è cambiata l’emozione, dopo sei anni, quando i tifosi la invocano quale “Regina di Torino”? «Io in realtà sono una che preferisce stare in mezzo alla plebe, infatti un po’ mi vergogno… ma mi fa anche un piacere immenso perché sento il loro calore e credo che loro sentano il mio e sentano la riconoscenza che ho perché ci seguono davvero in tutta Italia e ora anche in Europa. Poi certo aiuta anche il fatto che questa sia da sempre la mia squadra del cuore».
  2. Ma come mai Martina Rosucci ha dovuto prendere il 6?
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