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Omar Enrique Sivori

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Joined: 31-May-2005
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1940-1971.png.2d826d0e5149b764b7a63c6e48948cc9.png OMAR ENRIQUE SIVORI
 
 
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«Omar Sivori è un vizio». Soleva ripetere l’avvocato Giovanni Agnelli con un accostamento tanto colorito quanto efficace. Omar arriva da Buenos Aires nell’estate del 1957, grazie al programma del dottor Umberto Agnelli, che esige il rilancio della Juventus dopo cinque stagioni di vacche magre. Omar è uno degli Angeli dalla Faccia Sporca del calcio argentino. Non è alto, ha un baricentro piuttosto basso, dettaglio importante per un calciatore, una zazzera corvina e lo sguardo pungente di chi ti vuole prenderti in giro. Il resto della storia non ha misteri. Su di lui sono stati versati torrenti di inchiostro. Il suo è un calcio diabolico, cinico, quasi maligno, che nasce dal piede di un prestigiatore fatto per pungere i difensori e divertire il pubblico. La scuola argentina gli ha insegnato che innanzitutto conta il divertimento, lo spettacolo, il numero a effetto del giocoliere. Omar, però, è anche essenziale. È perfetto nel profilo, la posizione del corpo rispetto alla palla.
Quando corre in linea retta verticale, per superare meglio chi gli si affianca si esibisce in ripetuti tocchi prima di cambiare direzione in diagonale, d’improvviso, con carezza d’esterno, proprio in mezzo alle gambe dell’avversario che sta effettuando la normale falcata. È il momento del coup de théâtre, il famoso tunnel. Questione di tempo e di coordinazione. Il pubblico delira. Omar è imprevedibile e fantasioso quanto istintivo. La sua grandezza si definisce soprattutto nella capacità di mantenersi freddo in area di rigore, là dove i calciatori di solito perdono la testa con entrate tempestose.
Per lui tutto è un gioco per ragazzi. Gli avversari non fanno complimenti ma Omar è astuto come una volpe e difende la palla sollevando e inclinando il piede a protezione della stessa, in modo che l’avversario calci contro la pianta della sua scarpa. Quando supera il portiere, lo fa con irriverenza, mai di forza e piuttosto con perfida delicatezza. Sfrutta con estrema abilità gli assist di John Charles, un gallese stupendo per generosità e forza penetrativa: «C’era il desiderio di fare qualcosa di speciale, di giocare con gli avversari. Per cui, giocavo con i calzettoni abbassati per far vedere che non avevo paura; c’erano i tunnel, i dribbling, tutto quello che si poteva fare per innervosire i rivali. Io, poi, sentivo moltissimo il pubblico, non riuscivo a far finta di niente. E i miei compagni si divertivano tantissimo con queste mie esibizioni».
È un emotivo: quante volte lo si vede sbiancare prima di una gara importante. È terrorizzato dai viaggi in aereo. In campo non esibisce un bel carattere: è infatti squalificato per trentatré giornate complessive. È il suo tallone di Achille. Il tallone di un campione immenso: «Io e Boniperti avevamo una concezione totalmente diversa del calcio e non riuscivamo ad andare d’accordo. Tutto lì, avevamo dei caratteri forti e inconciliabili. In campo, però, questo dissidio non aveva alcuna conseguenza; si giocava senza pensare alle differenze o alle polemiche».
Tanti sono gli aneddoti da ricordare. In un Juventus-Sampdoria portò la sua irrisione verso gli avversari a un punto estremo: scartato anche il portiere, si fermò sulla linea con il pallone sotto la suola, aspettando il recupero del difensore avversario, e quando il poveretto (Vincenzi) si avventò a corpo morto, spostò il pallone indietro mandandolo a vuoto, per poi appoggiarlo in rete: «Stavamo vincendo 3-0 con il Padova e la partita stava già finendo, quando l’arbitro ci concesse un rigore che i padovani contestarono vivacemente, nonostante non avesse influenza sul risultato finale. Vedendo la disperazione di Pin, il portiere, mi avvicinai e gli dissi: “Non preoccuparti, tanto lo tiro sulla sinistra”. Andai sul dischetto e, ovviamente, tirai sulla destra, segnando. Pin si arrabbiò come un matto, inseguendomi e insultandomi. Non me la perdonò mai. Lo incontrai nuovamente, un paio di anni dopo su una spiaggia, e lui ancora si arrabbiò. Inutilmente tentai di spiegargli che io avevo inteso la mia sinistra e non la sua. Non ci cascò e continuò a odiarmi».
All’atto della presentazione, Sivori fece qualche palleggio davanti agli occhi dell’Avvocato, il quale, da grande intenditore, gli fece notare che era bravo, ma che non sapeva usare il piede destro. Omar prese il pallone e fece tre o quattro giri di campo palleggiando con il sinistro, senza mai far cadere il pallone. Poi si fermò davanti all’Avvocato e con la sua naturale sfrontatezza disse: «Secondo lei, cosa ci dovrei fare con il destro?».
Una mattina Sivori si presentò all’allenamento con gli occhi gonfi di sonno; i compagni stavano già facendo i soliti giri di campo da una ventina di minuti. La giornata era bella e Omar si sdraiò sull’erba. Arrivò Gren, il Professore, che era allenatore della Juventus, affiancato da Carletto Parola. Gren si sdraiò di fianco a lui e gli passò il pallone sul piede; Omar, sentendo la palla, aprì gli occhi e si mise a palleggiare, passandosela dal destro al sinistro, dal sinistro al destro, sempre rimanendo coricato. Quindi passò il pallone al Professore, anche lui sdraiato sull’erba, e diedero vita a un numero da circo, da autentiche foche del calcio. A un tratto si alzò e piazzò la palla sulla lunetta dell’area di rigore; scommise con Gren e Parola, sulle traverse e sugli incroci che avrebbe colpito. Ne fallì uno su dieci. Ogni tiro era annunciato: incrocio dei pali sulla sinistra, palo interno sulla destra, traversa centrale. E così fece.
Erano anni molto difficili per gli attaccanti, soprattutto quelli dotati di grande talento, come il Cabezón. I difensori erano soliti tracciare, con i tacchetti, una riga fuori dall’area di rigore minacciando il malcapitato attaccante di entrare duramente se l’avesse superata. Sivori non solo la oltrepassava allegramente, ma aveva la fissazione di umiliare l’avversario facendogli tunnel e, magari, di ritornare a sfidarlo per farglielo una seconda volta. Così, un giorno a Torino, lo stopper del Catania, tale Grani, lo minacciò, dicendogli che, al ritorno, gli avrebbe spaccato una gamba. Omar, con molta calma, accettò la sfida, avvertendo il difensore di affrettarsi a farlo, altrimenti se ne sarebbe pentito. Detto e fatto; dopo pochi minuti del match del Cibali, del 26 febbraio 1961, il Cabezon entrò con il piede a martello del povero Grani, distruggendogli il ginocchio.
Sivori realizza 167 reti nelle 253 partite disputate in maglia bianconera. Vince tre scudetti e due Coppe Italia e si aggiudica nel 1961 il Pallone d’Oro. Si trasferisce al Napoli nel 1965 per incompatibilità di carattere con Heriberto Herrera, il Sergente paraguagio. «Sivori come Coramini», aveva detto il Ginnasiarca. «Purtroppo, si arrivò al distacco definitivo. Non riuscivamo a intenderci e a concepire il calcio nella stessa maniera. Me ne andai io, nonostante la stima della società, perché non mi sembrava giusto porre il dilemma “o Sivori o Herrera”. L’allenatore doveva restare ed io andare, non potevamo restare insieme. Inizialmente, pensai di tornare in Argentina, ma alla fine mi convince Flavio Emoli, ex capitano juventino approdato al Napoli, a tentare un’altra avventura italiana». Per Omar, da quel giorno, cominciano a sognare i tifosi partenopei.


ANGELO CAROLI
Omar aveva il sorriso di un adolescente che sa tutto della vita. Era simpatico, di battuta pronta e salace. Prima di ambientarsi con il fuso orario del nostro meridiano passarono tre mesi. La notte non riusciva a prendere sonno. Durante la tournée in Svezia divise la camera con Garzena. Le assegnazioni venivano stabilite da una partita a scopone. Prima di spegnere la luce, Bruno si sentiva ripetere, come una litania insopportabile: «Parlami dell’Italia e della tua fidanzata ma non dormire, altrimenti impazzisco». Garzena era costretto a fare le ore piccole per impedire che quei giorni tanto lunghi portassero il genio argentino sull’orlo dell’esaurimento. Una volta preso sonno, Omar dormiva fino a mezzogiorno e non si contano le volte in cui si presentò tardi all’appuntamento con gli allenamenti.
In campo era uno spettacolo. Come in partita, del resto. Quando correva in verticale e spingeva il pallone con tocchi ripetuti e brevi era imprendibile. Per bloccarlo ci voleva la doppietta da caccia. Il profilo, la posizione del corpo rispetto al pallone, era perfetto. Non si riusciva mai a sapere quale direzione prendesse. Il tunnel era il colpo di teatro da regalare alla platea. Lo eseguiva in tanti modi, il più strano lo effettuava correndo al tuo fianco. Un colpo di magia che stordiva. Mentre cercavi invano di intervenire, con disinvoltura e guardando avanti toccava il pallone lateralmente, scegliendo il tempo con precisione incredibile, quando avevi una gamba sollevata dal suolo, secondo gli sviluppi normali della falcata. Il pallone ti sfilava in mezzo alle gambe senza che tu potessi intervenire. E lui, sorridendo con malizia, passandoti dietro, andava a raccogliere il pallone e i battimani del pubblico.
Con Garzena aveva fatto una scommessa singolare: «Mi pagherai una cena ogni volta che farò passare il pallone fra le gambe del primo avversario che mi viene a tiro dopo il fischio d’inizio dell’arbitro». Il Falco di Venaria accettò. La sfida si riferiva alle amichevoli che la Juventus doveva disputare in Inghilterra e che rientravano nell’operazione dell’acquisto di Charles. Gli inglesi, si sa, sono impulsivi. E Omar sapeva che avrebbe avuto ottime possibilità di riuscita. Boniperti toccava il pallone piano, l’avversario si avventava contro Omar, il quale, con indifferenza e precisione, infilzava le gambe avversarie. Garzena pagò tre cene e rinuncio alla disputa.


VLADIMIRO CAMINITI
La storia del calcio mondiale si arricchisce anche di partecipazioni straordinarie, assi dall’incredibile talento e l’increscioso carattere, tipi umani da prendere con le molle. Ce ne sono stati, ce ne saranno sempre. La tempra del carattere è alla base della classe, e si può essere forti in molti modi; c’è la forza temperata dall’educazione, dal rispetto di sé da cui nasce il rispetto per gli altri; e c’è la forza selvaggia, istintiva ed emotiva. Sivori, un po’ come George Best appartiene a questa seconda categoria di fuoriclasse specialisti. Egli anticipò in tutto le stravaganze di Maradona, salvo domarle con un carattere durissimo e spietato, da capo indio, fin dalle guance butterate e i fondi occhi neri che sapevano bruciare di odio come accendersi d’amore.
Contrariamente a quanto si è letto, Sivori non fu subito accolto in Italia da consensi della critica. La sfortunaccia di un esordio agostano in notturna in amichevole a Bologna con sonora legnata che preoccupò il giovane saggio Umberto Agnelli, partecipò a suscitare qualche perplessità sul suo modo di interpretare il calcio e su come avrebbe potuto adattarsi a quello nostro. Carlin se ne fece interprete sulle colonne di “Tuttosport”, dove scriveva ogni mercoledì una seguitissima pagina di critica satirica: quell’argentino dall’arruffato testone e i calzettoni arrotolati alla cacaiola sulla caviglia, rallentava il gioco, considerava la squadra una proprietà personale. Carlin fu smentito nei fatti, fu saltato anche lui in tunnel dal diabolico Omar. E se era vero che aveva un’opinione del calcio tutta sua, più vero ancora era che, accoppiato a Charles, andava a costituire un tandem irresistibile, Omar in particolare col suo coraggio sprezzante, la sua sfida a stinchi nudi ai più smaniosi terzini, la sua classe a passettini incalzanti che lo portava a esprimere nel tunnel, pallone fatto passare tra le gambe divaricate dell’avversario, la “summa” della sua strategia individualistica.
Non amava allenarsi, anche se sopportò per il primo anno il serioso e bravo slavo Broćić, che Giordanetti aveva assunto per corrispondenza, ma in campo, in condizioni fisiche appena passabili, faceva la differenza; il suo goal era catturato nel vivo delle difese, irrideva alla forza con la tecnica più spericolata nel possesso e uso del pallone. Volle, al secondo anno, avere come allenatore il suo maestro e scopritore Cesarini, le sue bizze e la sua nevrosi della fama lo fecero squalificare a ripetizione (il più squalificato giocatore d’Italia, secondo solo ad Amarildo: ben trentatré giornate di squalifiche). A quali vette avrebbe potuto attingere se avesse anche saputo darsi un contegno atletico, se si fosse allenato seriamente, se avesse avuto più equilibrio in campo e fuori? In campo, spesso impazziva letteralmente, nonostante la saggezza materiata di disciplina che Boniperti infondeva alle truppe, lui se ne tirava fuori.
Agiva sempre di sua testa, non obbediva a nessuno. Viveva la partita in prima persona singolare indeclinabile, tenendo palla come e quanto volesse. Vero che i suoi fulgori tecnici furono titanici, e tante sue partite restano memorabili anche sotto l’aspetto strategico; ma qui siamo all’ultimo anno di Boniperti calciatore, il secondo e terzo scudetto di questo fenomeno maldicente linguacciuto rimangono pietre miliari nella storia del campionato. Le cronache di calcio celebrarono le insuperabili prodezze di Omar per la fabbricazione di quei due scudetti artistici, dopo i quali l’asso di San Nicolas cominciò a rabbuiarsi. Eppure aveva accelerato i tempi del ritiro di Boniperti. Eppure era rimasto sulla tolda del comando. Ma bisogna che un fuoriclasse sappia innanzitutto comandare a se stesso.
Il declino atletico di Sivori cominciò presto. La Juventus, ingaggiata da Heriberto Herrera per ripristinare l’ordine professionale, lo mandò per disperazione al Napoli. Toccò a Piercesare Baretti raccontare su “Tuttosport” la malinconica guerra privata tra Heriberto e Omar. La vinse Heriberto, perché la Juventus non ha mai tollerato i ribelli.


ANGELO CAROLI, “HURRÀ JUVENTUS” APRILE 2005
Non imitabile, perché rappresenta il sogno che si fa realtà e la fantasia che diventa calcio. Una pietra miliare perché trasforma un gioco in felicità senza tempo. Omar Sivori è tante cose messe insieme. Ora lo piange chi ama lo sport nell’accezione più favolistica. Omar fallisce solo l’ultimo exploit poiché non sa segnare un goal al destino. E gli spasmi del destino sono cinici e imbattibili, anche perché spesso allontanano in modo prematuro i ricordi più affascinanti e cari. Il destino chiude i battenti davanti ad uno dei discoli più irridenti del pallone. Adesso uno degli angeli dalla faccia sporca ritrova e riabbraccia, lassù fra le nuvole, un grande partner di stagioni irripetibili, John Charles. Il gigante mancato l’anno scorso all’affetto dei familiari e dei tifosi bianconeri disseminati in ogni angolo dei quattro continenti.
Omar è una stravaganza del destino; un vizio lo definisce un giorno l’avvocato Giovanni Agnelli; una piroetta tecnica figlia dell’invenzione; un tocco che ricorda il pungere dei serpenti a sonagli; un’occhiata demoniaca rivolta all’avversario; uno show arrogante; un impulso suggerito da un gene maligno e spettacolare; uno slancio viscerale e luciferino che gli lievita dentro e che intanto gli ispira gesti leggiadri; insomma Sivori è un prim’attore alquanto introverso nato per ammaliare le folle anche di colore avverso. Per chi vive al suo fianco è e resta lo showman universale senza limiti di tempo e spazio. Cerco nella memoria accostamenti.
Impossibile, lui non è imitabile, appunto. Resta nella mia memoria il Giamburrasca del pallone che prova e regale gioia ai compagni di squadra, ai dirigenti e ai tifosi. Una creatura diabolica a cui piace respirare i battiti della vita nel modo più scanzonato, irriverente, talvolta dissacrante. Uno zingaro, un picaro attaccato alla famiglia ma pure cittadino di ogni dove e capace di una sensibilità che non vuole comunicare. È facile pensare a Omar e al suo zazzerone corvino, gli occhi scuri come i capelli e indiscreti come sonde che ti penetrano in fondo all’anima. Quando posa per i fotografi è quasi frenato da un imbarazzo misterioso tanto che tiene le mani appoggiate ai fianchi, il testone (cabezón per gli argentini) appena inclinato in basso, lo sguardo sfuggente e fisso verso un punto imprecisato del prato, i calzettoni ravvoltolati alle caviglie, le tibie con il marchio di tacchetti nemici nuovi e antichi. Poi il sorriso, un sorriso dolce che riserva alla famiglia, sorriso indocile e talvolta perfido da mostrare sul campo. Una specie di etichetta satanica.
Che cosa si può raccontare di ciò che Omar offre sull’erba del Comunale, del Marchi, del Combi e di ogni stadio italiano? Innanzitutto il vorticoso frullio dei piedi. Toccano il pallone con la rapidità del baleno, la lievità delle carezze e il garbo di mani guantate. Se volete mettere le ali alla fantasia immaginate un bisturi che incide con l’asettica e pitagorica perizia di un chirurgo. Il calcio di Omar è prima di tutto illusionismo. Un illusionismo mai fine a se stesso, che provoca guasti e umiliazioni all’avversario. Quando si presenta per la prima volta al Comunale è un pomeriggio assolato dell’estate 1957. Compie un paio di giri di campo senza che il pallone tocchi terra. Il sinistro si muove in verticale, rapido e leggiadro, con la meticolosa bravura di un prestidigitatore. Un dirigente delle minori bianconere lo scruta insoddisfatto, inclina la testa da un lato e mette una mano sotto il mento quasi per sorreggerlo. È perplesso, molto perplesso, strizza le labbra tra i denti e azzarda una storica profezia: «Questo qui va bene in un circo equestre, da noi non sfonderà».
Tutto intorno volteggia un silenzio sospetto. E imbarazzante. Mai profezia fu più incauta e fallace. Qualche giorno dopo, ci alleniamo al Comunale non ricordo per quale ragione, il nuovo allenatore Broćić raduna la rosa a metà campo. Sussurra in un italiano stentato una frase che suona più o meno così: «Se Boniperti lancia il pallone a Stivanello e Stivanello crossa per Charles segneremo un sacco di goal. Perché John ha due strade, indirizzare la palla in porta o servire Omar. E lui farà la festa ai portieri». Detto e fatto. Gli score di quegli anni sono la testimonianza più obiettiva.
Omar debutta in campionato e da quel giorno tira fuori dal repertorio numeri di puro divertimento e praticità. Quando si gioca in casa prima del match entra in campo prima degli altri, si fa servire il pallone e si sposta sotto la curva Filadelfia per battere a rete con semplicità didascalica. Il gesto è scaramanzia che diventa tradizione. Il segnale di una sorte benefica che gli dà ulteriori stimoli. La folla saluta con ovazione prolungata. Lui sente gli eventi. Gli capita ogni tanto di vomitare prima di una gara importante. Dotato di una padronanza assoluta del pallone, accoppia il pragmatismo al senso più genuino dell’estetica. Il tunnel sta in cima ai suoi pensieri come un’impensabile follia. E sta allo Zenith della filosofia, sempre ai limiti dell’azzardo, degli incantatori di platee. Lo realizza in due modi: con l’avversario di fronte e con il guardiano che lo marca correndogli di fianco. È impossibile chiudere per tempo il compasso delle gambe, quando ti accorgi che sta per toccare il pallone questo è già schizzato dall’altra parte, sempre di sua proprietà.
Un altro fiore all’occhiello, che vent’anni dopo verrà riproposto da Diego Maradona, è il continuo tocco breve, ripetuto e verticale come per seguire una linea retta. Sono pizzicate di stradivari eseguite con alta frequenza. Incredibili le conclusioni in area di rigore, dove gli attaccanti sono per solito preda di ansie e frenesie. Lui esercita e arricchisce il carisma attraverso intuizioni tecniche programmate con cinismo e messe in atto con la lievità insostenibile delle farfalle. È immenso soprattutto nell’area di rigore, dove per ogni calciatore l’erba scotta come il sole in agosto e dove, perdonatemi se mi ripeto, lui diventa algido come un robot. Nonostante questo, Omar è emotivo, capace di reazioni spropositate. Sente le partite come un predicatore percepisce i suggerimenti del Vangelo. Talvolta va ben di là dalle indicazioni del Nuovo Testamento. Se provocato non mostra l’altra guancia ma replica ai colpi che gli segnano le tibie. Un giorno Charles lo schiaffeggia davanti all’arbitro per placare un’isteria improvvisa che sta offuscando il versante razionale di Omar.
Parla il necessario e quando parla incide. L’ironia è per lui pane quotidiano, forse figlia di un’autostima autorizzata dalla grandezza calcistica. Talvolta l’ironia si trasforma in satira che colpisce e incide. Sivori ama la vita ma questo non gli impedisce di adorare la famiglia, che successivamente si arricchisce della moglie Maria Elena, la quale gli dà tre figli, Umberto, Nestor e Myriam.
Il dottor Umberto Agnelli preleva Omar dal River Plate nell’estate del 1957 su segnalazione di Carletto Levi che avverte la società bianconera: «Il River è in crisi economica e Sivori non è incedibile, costa solo troppo». Il Dottore fiuta l’affare e lo acquista per poco meno di 180 milioni, questa è la cifra di cui si parla all’epoca. Umberto Agnelli accompagna l’assegno con una dichiarazione confessione: «Sivori ha ventidue anni, con lui creeremo una squadra che diverte e può vincere per cinque o sei anni. Potremo tenere alto il livello di incassi e garantire bilanci in ordine». Operazione felicemente conclusa, è l’inizio di una storia fantastica che all’apice offrirà pagine leggendarie di duelli con il Real Madrid targato Di Stéfano, amico di lunga data, e Pachín, badilante che lo marca con maniere selvagge.
È l’epoca della Torino soft, piena di garbo e discrezione. Della Torino di Buscaglione e di Van Wood, del salone dell’automobile e di via Roma che di notte appare come una scintillante propaggine di Parigi. D’inverno i calciatori indossano giacca, camicia e cravatta; d’estate polo Fred Perry e Lacoste. La moda è confezionata dalle grandi case e non dagli sponsor. O tempi o costumi!
Omar nasce a San Nicolas, Argentina, il 2 ottobre del 1935. San Nicolas è a circa 200 chilometri da Baires. Lui gioca nel River Plate che lo vende alla Juve. Dopo 253 partite ufficiali in bianconero con 167 reti all’attivo e dopo aver vinto tre scudetti, tre Coppe Italia e un Pallone d’Oro nel 1961 (è il primo bianconero a fregiarsi del prestigioso titolo) si trasferisce al Napoli dove milita fino al 1969. In serie A disputa complessivamente 278 partite e realizza 146 reti. Come oriundo in maglia azzurra vanta nove presenze e otto goal. Torna in patria e diventa commissario tecnico della Nazionale argentina raccogliendo l’eredità di Cap che nei Mondiali di Germania 1974 non fa molto, anche se elimina l’Italia con un pareggio. Come commissario tecnico fa il duro, manicheo irreprensibile e rigoroso. I ritiri da lui programmati sono lunghi e fustiganti. Ecco l’insospettabile sdoppiamento di personalità. Forse le imposizioni di Heriberto Herrera che lo obbligano a divorziare dalla Juve nel 1966 sono una specie di tardiva redenzione caratteriale.
Al ritorno in Argentina acquista due fattorie a cui dà il nome di Juventus e Napoli. Non smetterà di seguire le imprese dei bianconeri. Ottimi sono i rapporti con Bettega, Giraudo e Moggi ai quali non fa mancare indicazioni su prodotti raffinati nell’area argentina. Lo rivedo in un paio di circostanze, la prima all’inaugurazione di “Juvecentus” nel 1987. Sorridente e ironico come sempre e con lo sguardo velato dalla nostalgia per il passato e una tristezza derivatagli dalla morte del figlio Umberto, si allontana a testa bassa dai saloni dove tutto ha respiro bianco e nero. Quasi a voler fiutare gioie pregresse e nostalgie. Bruno Garzena ed io lo osserviamo mentre svanisce al di là dell’ingresso. All’unisono osserviamo: «È impossibile non amare il calcio quando gli attori sono fenomeni come lui».
È quasi un’impresa estrapolare dalla sua favola italiana una diapositiva speciale che lo riguardi. Omar, dicevo all’inizio, è una successione di miracoli messi insieme. Personalmente mi piace citare un 19 marzo del 1961, quando la Juve batte il Torino 1-0 nel derby di ritorno. Il Comunale è sferzato da un vento fastidioso ed è ovviamente stracolmo. Mi capita di crossare un pallone abbastanza teso da sinistra verso il centro area granata. Omar anticipa Bearzot e segna uno dei rari goal con la testa. Vado ad abbracciarlo. Andiamo ad abbracciarlo. Gli dico che con un cross del genere è un facile fare goal. Mi sbircia e risponde: «Hai avuto solo c**o». Lo dice con un ghigno affettuoso, dopodiché abbassa di nuovo gli occhi pungenti come spilli e pieni di sarcasmo. Con il trotterellare di un personaggio da favola si risistema a centrocampo per la ripresa del gioco. «Il derby dobbiamo ancora vincerlo», incita. Lo vinciamo e lo scudetto verrà dopo.
La domenica successiva Omar compie l’ennesimo miracolo. Charles ed Emoli sono out. Il sottoscritto, umile gregario, ha la tonsillite. Il medico mi blocca e Parola (Gren vola in Svezia per i funerali del suocero) affida a Leoncini il compito di marcare Vinicio e utilizza Mazzia, il Professore, a centrocampo. Sono in tribuna, pieno di sciarpe e antibiotici. Più che a una partita assisto a un fuoco d’artificio: Omar segna tre goal, uno più spettacolare dell’altro, Nicolè arrotonda il punteggio mentre Vinicio appaga le aspettative bolognesi con una doppietta.
Ho usato il presente storico per raccontare Sivori, quasi per riascoltare una storia incredibile, l’illusione di rivivere nel presente, congelandoli per un po’, fotogrammi remoti. È la mia intenzione. Solo che adesso Omar appartiene davvero al passato. Immenso Cabezón con la sindrome del “ganar” (di vincere), chi ama il calcio ti saluta con nostalgia e tristezza nel cuore. E tanta affettuosa riconoscenza.

 

http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2012/10/omar-enrique-sivori.html

 

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Juve-legende Omar Sivori (69) overleden - Voetbal International
 
2 ottobre 1935: nasce Omar Sivori (VIDEO)
 
Boniperti, il trio magico con Sivori-Charles: la Juve negli anni del boom -  La Gazzetta dello Sport
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Leggenda del Calcio e della Juve!!!!!

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Bellissimo video dedicato al "El Cabezon" @@:

:sventola: :sventola: :sventola: :sventola: :sventola: :sventola: :sventola:

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tra cinque giorni

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Grande, di pi

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un mio idolo...spesso non viene ricordato come uno dei dei giocatori pi

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EL GRÁFICO | JUNIO DE 2015

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2017-01-08_GSPORT_MONUMENTAL_RIVER_PLATE_SIVORI_JUVENTUS.png

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1940-1971.png.2d826d0e5149b764b7a63c6e48948cc9.png OMAR ENRIQUE SIVORI

 

Afbeeldingsresultaat voor omar sivori juventus

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Omar_Sívori

 

 

Nazione: Argentina Argentina

         Italia Italia
Luogo di nascita: San Nicolás de los Arroyos
Data di nascita: 02.10.1935

Luogo di morte: San Nicolás de los Arroyos

Data di morte: 17.02.2005
Ruolo: Attaccante
Altezza: 163 cm
Peso: 59 kg

Nazionale Italiano e Argentino
Soprannome: El Cabezon

 

 

Alla Juventus dal 1957 al 1965

Esordio: 08.09.1957 - Serie A - Juventus-Verona 3-2

Ultima partita: 23.05.1965 - Serie A - Foggia-Juventus 1-0

 

253 presenze - 167 reti

 

3 scudetti

3 coppe Italia

1 coppa delle Alpi

 

1 Pallone d'oro 1961

 

 

 

«Sívori è più di un fuoriclasse. Per chi ama il calcio è un vizio.»

(Gianni Agnelli)

 

Enrique Omar Sívori (San Nicolás de los Arroyos, 2 ottobre 1935  San Nicolás de los Arroyos, 17 febbraio 2005) è stato un calciatore e allenatore di calcio italo-argentino che, nel corso della sua carriera agonistica, rappresentò sia l'Argentina che l'Italia e militò nei club del River Plate, della Juventus e del Napoli; in panchina fu anche commissario tecnico dell'Albiceleste all'inizio degli anni 1970.

 

Chiamato El Cabezón per la folta capigliatura scura che spiccava sul corpo minuto, Sívori vinse con la maglia della Selección la Copa América 1957 mentre, tra le file di River Plate e Juventus, ottenne 6 titoli e 2 coppe nazionali. In carriera mise a segno 147 reti nel campionato italiano e 17 con le casacche di Argentina e Italia; detiene inoltre, assieme a Silvio Piola, il record del maggior numero di gol segnati in una singola partita della Serie A: il 10 giugno 1961 siglò infatti 6 reti nella gara Juventus-Inter (9-1) della stagione 1960-1961.

 

È considerato uno dei giocatori più forti di tutti i tempi: insignito nel 1961 del Pallone d'oro, occupa la 36ª posizione nella classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dall'IFFHS nel 2000 (comprendente anche la 16ª in quella relativa ai sudamericani e la 5ª per quanto concerne gli argentini); nel 2004 è stato inoltre inserito nella FIFA 100, lista che raggruppa i maggiori fuoriclasse di sempre.

 

Omar Sívori
Omar Sivori, Juventus 1961-62.jpg
Sívori alla Juventus nella stagione 1961-1962
     
Nazionalità Argentina Argentina
Italia Italia (dal 1961)
Altezza 163 cm
Peso 59 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex attaccante)
Termine carriera 1968 - giocatore
1979 - allenatore
Carriera
Squadre di club
1954-1957   River Plate 63 (29)
1957-1965   Juventus 253 (167)
1965-1968   Napoli 63 (12)
Nazionale
1956-1957 Argentina Argentina 19 (9)
1961-1962 Italia Italia 9 (8)
Carriera da allenatore
1969-1970   Rosario Central
1972   Estudiantes
1972-1973 Argentina Argentina
1979   Racing Club
Palmarès
 
Transparent.png Copa América
Bronzo Uruguay 1956
Oro Perù 1957

 

Biografia

Sívori nacque a San Nicolás de los Arroyos, città della provincia di Buenos Aires, in una famiglia di origini italiane. Suo nonno paterno, Giulio Sívori, era un immigrato di Cavi di Lavagna, frazione del comune ligure di Lavagna, mentre sua madre Carolina era abruzzese di Tornareccio.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

«Era il genio assoluto, l'esplosione, l'anarchia come disciplina superiore del calcio.»

(Massimo Raffaeli, 2010)

 

Calciatore talentuoso, le sue specialità erano il dribbling in velocità e il palleggio. Era abbastanza forte fisicamente e possedeva un'ottima coordinazione. Agli esordi in Argentina si guadagnò i soprannomi di El pibe de oro (Il ragazzo d'oro) – rispolverato decenni dopo per il connazionale Diego Armando Maradona  e di El Gran Zurdo (Il grande mancino), quest'ultimo riferito alla sua propensione a giocare principalmente con il piede sinistro.

Carriera

Giocatore

Club

River Plate
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Un giovane Sívori in azione al River Plate a metà degli anni 1950

 

Ancora ragazzo entrò a far parte del River Plate, in una squadra che includeva giocatori come Ángel Labruna e Félix Loustau, che a loro volta fecero parte della cosiddetta Máquina degli anni 1940; fu allora che si guadagnò il soprannome di El Cabezón per via della folta capigliatura che spiccava sulla sua esile figura.

 

Il carattere rissoso di Sívori

«Stravedevo per la cattiveria e la scaltrezza di Sivori: non si faceva mai picchiare da nessuno. Anzi, al massimo succedeva il contrario.»

(Marcello Lippi)
Personaggio alquanto inquieto e rissoso, Sívori non esitava a scatenare risse e fare fallacci: in 12 anni di carriera in Italia ha scontato 33 giornate di squalifica. In un'occasione, con la maglia della Juventus, stava per scagliarsi su un avversario, ma fu fermato dal compagno di squadra John Charles che gli mollò uno schiaffone. Il 25 marzo 1962, nella gara tra i bianconeri e la Sampdoria, all'80' aggredì l'arbitro Grignani, ritenendo ingiusta la sua espulsione, venendo punito con sei giornate di squalifica. Nel 1967, quando militava al Napoli, si infortunò a un ginocchio e giocò poche gare. Infuriato, inveì contro l'allenatore Pesaola. Fu punito con un milione di lire di multa. Il 1º dicembre 1968, dopo aver steso lo juventino Favalli fu espulso e punito con 6 giornate di squalifica.

 

La squadra vinse la Primera División Argentina nel 1955, titolo confermato quando il River batté il Boca Juniors 2-1 alla Bombonera. Nella stessa stagione il club vinse la Copa Río de La Plata battendo il Nacional. La stagione successiva la squadra vinse il campionato argentino all'ultima giornata battendo il Rosario Central per 4-0, con Sívori che realizzò l'ultima rete. Avrebbe giocato l'ultima partita con la maglia del River contro lo stesso club il 5 maggio 1957.

 

Il giovane vestì la maglia dei Millonarios fino alla stagione 1957-1958, quando fu ingaggiato dalla Juventus. A posteriori quel trasferimento provocò indirettamente un declino nella storia del club argentino, che nei diciotto anni seguenti non riuscirà più a vincere il titolo nazionale; tuttavia con i soldi ottenuti dal trasferimento fu iniziato il completamento de El Monumental.

La Juventus e il Trio Magico
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Trio Magico.

 

A 21 anni, Sívori arrivò quindi in Italia. Fu soprattutto l'interessamento dell'ex juventino Renato Cesarini a rendere possibile il trasferimento del giovane calciatore al club torinese, che pagò 10 milioni di pesos (equivalenti allora a 190 milioni di lire) per il suo cartellino, stabilendo un record dell'epoca; a essere battuta fu soprattutto la concorrenza dell'Inter.

 

Esordì in maglia bianconera nel 1957, andando ad affiancare in attacco l'altro neoacquisto, il centravanti gallese John Charles, e il capitano della squadra, l'italiano Giampiero Boniperti: nonostante le incognite della vigilia, questi andarono a comporre un formidabile trio offensivo (tra i più prolifici visti sul palcoscenico della massima serie italiana) che fece la fortuna della Juventus a cavallo degli anni 1950 e 1960.

 

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Sívori (a sinistra) coi compagni di reparto Charles e Boniperti, nello storico Trio Magico d'attacco della Juventus di fine anni 1950

 

L'argentino indossò la casacca bianconera in 253 partite (215 in A, 23 in Coppa Italia e 15 in Europa), segnando 167 reti (136 in A, 23 in Coppa Italia e 8 in Europa). Con la Juventus visse il suo periodo di maggior successo, vincendo tre scudetti (tra cui il primo, storico, «della stella») assieme ad altrettante coppe nazionali; nel 1960 riuscì inoltre a conquistare il suo unico titolo di capocannoniere, mentre l'anno successivo raggiunse il suo massimo traguardo personale, venendo insignito (grazie al suo status di oriundo) del Pallone d'oro come miglior calciatore europeo: era la prima volta che il prestigioso riconoscimento veniva assegnato a un giocatore italiano (per quanto italo-argentino), nonché il primo successo assoluto per un calciatore juventino e militante nel campionato italiano.

 

Sívori fu l'ultimo elemento del Trio Magico a lasciare il club torinese, restando in bianconero fino al 1965 quando, a causa d'insanabili contrasti con l'allora allenatore Heriberto Herrera (di cui non sopportava la stretta disciplina), decise di cambiare squadra.

Napoli

Nel 1965 cedette quindi alle lusinghe del Napoli. Sívori arrivò a vestire la maglia azzurra grazie all'opera di Bruno Pesaola; l'allora presidente partenopeo Achille Lauro, per ottenere il suo cartellino, acquistò due motori navali per la sua flotta e pagò settanta milioni: quando arrivò in città, ad accogliere il giocatore ci furono migliaia di tifosi.

 

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Sívori all'epoca della militanza nel Napoli

 

Qui, all'ombra del Vesuvio, formerà una coppia-gol tutta sudamericana assieme all'altro oriundo, l'italo-brasiliano José Altafini. Col club campano vinse subito la Coppa delle Alpi 1966, e fu poi protagonista in Serie A con un terzo posto nello stesso anno, un quarto l'anno dopo e un secondo nel 1968.

 

Un infortunio al ginocchio destro durante una tournée del Napoli in Colombia, nell'estate 1967, lo metterà a disposizione della squadra partenopea a mezzo servizio nelle ultime due stagioni; ciò, unito ad uno storico litigio con l'arbitro Fulvio Pieroni durante un Napoli-Juventus del 1º dicembre 1968 (culminato con un'espulsione e successivi sei turni di squalifica), lo convinse definitivamente a concludere la propria carriera, a trentatré anni, decisione su cui già meditava da tempo.

 

Darà il suo commosso addio al calcio giocato in televisione, il 21 dicembre 1968, durante la tredicesima puntata di Canzonissima, con un collegamento da Napoli.

Nazionale

L'Argentina e gli Angeli dalla faccia sporca

Sívori scese in campo per l'Argentina, suo Paese d'origine, in 19 occasioni, collezionando 9 reti e vincendo il titolo continentale sudamericano nel 1957 – venendo al contempo eletto miglior giocatore dell'edizione.

 

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Sívori (penultimo da sinistra) e gli Angeli dalla faccia sporca, perno dell'Argentina trionfatrice al Sudamericano 1957

 

Con altri fuoriclasse di quella squadra (Omar Corbatta, Humberto Maschio, Antonio Angelillo e Osvaldo Héctor Cruz) aveva formato nell'Albiceleste un gruppo destinato a rimanere nella memoria con il nome di Angeli dalla faccia sporca (appellativo mutuato dall'omonima pellicola del 1938) per l'aria da impertinenti scugnizzi che i cinque avevano sul campo e fuori.

 

Il terzetto con Angelillo e Maschio non poté ricostituirsi nelle squadre di club italiane dalle quali i tre furono poi ingaggiati: Sívori approdò alla Juventus, mentre gli altri due si trovarono a giocare per una storica rivale dei torinesi, ovvero l'Inter. Successivamente, solo Angelillo riuscirà negli anni 1960 a riunirsi calcisticamente, seppur brevemente, al fuoriclasse argentino: nel 1961 con la maglia azzurra, entrambi da oriundi, e nel 1967 con la casacca del Napoli, durante la tournée partenopea in Colombia che vedrà Sívori protagonista del già citato grave infortunio.

Italia

Come accennato, nel 1961 Sívori vinse il Pallone d'oro e, in virtù della sua condizione di oriundo, dallo stesso anno poté essere impiegato nell'Italia che partecipò al campionato del mondo 1962 in Cile, dove fu penalizzato ancora una volta, secondo i giornalisti, dal suo carattere introverso.

 

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Sívori nel 1962 con l'Italia, assieme all'altro oriundo Humberto Maschio

 

Con la maglia della nazionale azzurra Sívori disputò in tutto 9 incontri, mettendo a segno 8 reti (di cui 4 contro Israele nel 1961).

Allenatore e dirigente

Club

Per circa un decennio, subito dopo il ritiro dal calcio giocato, Sívori si cimentò nel ruolo di allenatore nella natìa Argentina. Debuttò in panchina nel 1969 assumendo la guida del Rosario Central, club che guidò per un biennio. Nel 1972 prese poi le redini dell'Estudiantes, squadra che allenò brevemente fino al suo incarico da CT della nazionale. Dopo un quinquennio d'inattività, nel 1979 venne chiamato dal Racing Club, dove rimase per un anno. Dopo quest'ultima esperienza, non accettò più altre panchine.

 

Dal 1986 al 1988 fu presidente della Viterbese. Sotto il suo mandato, il club venne promosso dal campionato laziale di Promozione all'Interregionale.

Nazionale

Intervallato tra gli incarichi con le squadre di club, nel 1972 diventò commissario tecnico dell'Argentina, con il compito di qualificare i biancocelesti al campionato del mondo 1974 in Germania Ovest (incarico delicato, in quanto l'Argentina aveva fallito il pass nel 1970); ottenne la qualificazione ai danni di Paraguay e Bolivia, con 3 vittorie e 1 pareggio.

 

Rimane celebre la mossa attraverso la quale (dovendo giocare due partite ravvicinate, una al livello del mare e l'altra ai 3650 m di quota di La Paz) allestì due nazionali "differenti": mentre la prima, formata dai giocatori titolari, si allenava agli ordini di Sívori a Buenos Aires e si recò ad Asunción dove pareggiò col Paraguay, la seconda (definita "nazionale da montagna" o "nazionale fantasma"), formata da giocatori non convocati abitualmente, fu portata dal tecnico in seconda a prepararsi in segreto sulle Ande, per acclimatarsi in quota.

 

Sívori venne allontanato nel 1974 dalla guida della nazionale, per divergenze con il presidente della federazione e per le sue scarse simpatie nei confronti di Juan Domingo Perón, rientrato in Argentina e tornato presidente in quel periodo. Sulla panchina dell'Albiceleste conta un ruolino di 16 gare, di cui 9 vittorie, 4 pareggi e 3 sconfitte.

Dopo il ritiro

Negli ultimi anni di vita lasciò l'Italia per tornare a vivere in Argentina. Sposato con María Elena Casas, da lei ebbe tre figli: Néstor, Miriam e Humberto, questo ultimo scomparso di cancro nel giugno 1978, all'età di quindici anni. Morì il 17 febbraio 2005 nella sua casa di San Nicolás de los Arroyos (da lui chiamata La Juventus in omaggio al club italiano), a causa di un tumore al pancreas, all'età di sessantanove anni.

 

Riposa nel cimitero privato Celestial del barrio San Nicolás di Buenos Aires.

 

Record

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Sívori segna uno dei suoi quattro gol alla nazionale israeliana nel 1961

Palmarès

Giocatore

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Sívori col Pallone d'oro vinto nel 1961, il primo per un giocatore italiano, juventino e militante in Serie A

Club

Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

Nazionale

Individuale

Nella cultura di massa

Nell'estate 1965 la popolarità raggiunta portò Sívori a interpretare se stesso nel film Idoli controluce di Enzo Battaglia, con Massimo Girotti e Valeria Ciangottini, cui seguì nel 1970 la pellicola Il presidente del Borgorosso Football Club di Luigi Filippo D'Amico, con Alberto Sordi.

 

Nel 1972 partecipò a un numero della rubrica pubblicitaria televisiva Carosello, pubblicizzante l'olio per motori Apilube dell'Anonima Petroli Italiani (API), nella quale veniva intervistato dal campione motociclista Giacomo Agostini.

 

Quando abbandonò il calcio giocato, la polemica con la classe arbitrale si trasferì dai campi di gioco alla televisione, e Sívori si dimostrò per lungo tempo competente e apprezzato commentatore.

 

 

 

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File:Juventus' Omar Sívori and Inter Milan's Mauro Bicicli (ca.  1950s–60s).jpg - Wikimedia Commons

 

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