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Ghost Dog

Tifoso Juventus
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  1. 09 10 2012 Un sistema molto nervoso LO SCHIAFFO (MINACCIATO) DI ARONICA A UN GIORNALISTA, IL COMPIACIMENTO POCO MOTIVATO DI NICCHI, IL LABIALE DI COSMI, LA SCENATA DI ALLEGRI: DA QUALSIASI PARTE SI GUARDI, LO STILE DEL PALLONE RESTA SOTTO I PIEDI STILE RECOBA Una nuova inchiesta partita ieri dalla Procura di Fermo: decine di calciatori brasiliani e argentini arrivati in Italia con passaporti falsi Gli studenti scendono in piazza, gli operai salgono sui tetti. E Aronica vuole “ammazzare” un giornalista. Strano, iperbolico Paese quest’Italia tanto mal messa da far esplodere anche la sua principale zona franca, quella del tifo. Il difensore del Napoli, una squadra che tra l’altro va benissimo guidando con la Juve la classifica, ma nella quale al momento lui figura poco o punto, perde la brocca e minaccia e schiaffeggia un giornalista dopo la partita. Poi si scusa, e vorrei vedere. Solidarietà d’obbligo al collega, reo di averlo criticato “troppo”, anche se il tasso di cultura sportiva in circolazione rasenta percentuali da prefissi telefonici. Vendono merce troppo spesso adulterata sia i media che le squadre di calcio, e si incrociano nel peggio. Ma giacché fortunatamente sono ancora episodi eccessivi, abbastanza lontani dalla turbe latino-americane, vale la pena di notare questa uscita di senno come sintomo di una malattia. Il classico “calcio sull’orlo di una crisi di nervi” o al di là di essa, che comunque spero non sia il titolo di questo articolo… per scapolare l’ovvio, e molto perché vorrei risalire alla fonte di questo nervosismo, che è come sempre politica. O “politica”, virgolettato, fate voi. Al di là dell’Aronica fuori campo, in campo si gioca male e si picchia peggio. Gli arbitri si distinguono in generale per una forma scadente e in particolare per una difformità di giudizio da paura. Ognuno secondo tifo e lucidità colga fior da fiore gli episodi dell’ultima giornata di campionato, definita “lusinghiera” dal capo degli arbitri di A, tal Nicchi, che segue altre giornate infelici. Ogni tanto c’è lo “scandalo” grosso, del rigore dato o non dato, più spesso e quasi sempre ci sono appunto arbitraggi da “sorteggio”, da estrazione del lotto. Che facciamo, lo ammoniamo e quindi presto lo cacciamo il Chiellini X piuttosto che il Samuel Y o il Natali Z (leggi della Fiorentina spuntata ma geometrica…), oppure facciamo finta di niente anche se siamo lì a un passo? E ovviamente la sensazione è che si sia indulgenti con i forti (del momento, quando la Juve era in ribasso la mazzolavano) e feroci con i deboli, quelli con meno potere, quei club che non protestano o non sono in condizioni oggettive di farlo. L’obiezione è o potrebbe essere: va bene per il discorso sul Siena, bianconeri “poveri” contro i ricchi imbattuti, ma nel derby di Milano non si scontrano due poteri forti? Certo, ma ce ne è sempre uno stagionalmente prevalente. Parlano i fatti. Di qui l’esaurimento nervoso di chi perde, per limiti propri e per magagne di difformità “giudiziaria” degli arbitri, come Cosmi, un idolo, che espulso dice con un labiale commovente nella sua semplicità “da qui non me ne vado”. E poi ribadisce ai microfoni del dopo partita “sarò stato pure infantile, ma è il mio lavoro”. Oppure come Allegri, effettivamente penalizzato dal signor Valeri più scadente come arbitro del Milan come squadra, al parossismo di reazione all’inizio per un Samuel neppure ammonito, e come il suo collega rivale Stramaccioni che ha fatto lo stesso in termini di pantomime pubbliche per non esser da meno (Stramaccioni è bravo, competente, e giovane, ma se mourinheggia troppo finirà a pernacchie). E nervi molto oltre la pelle a Roma per Zeman, che vince sì, ma a malapena, e imponendo le sue regole a De Rossi e Osvaldo. Fino a prova del contrario (leggi le fonti dei giocatori), il punto è che Zeman li torchia come virgulti neanche fossero gli under del Pescara, e invece loro sono milionari della Roma che si devono amministrare. Dunque la colpa di Zeman sarebbe come al solito quella di poco realismo, di essere Zeman fino in fondo. Ma se non vi stava bene allora perché lo avete preso, benedetti dirigenti che vi arricchite con il pallone? Quest’ultima affermazione vi parrà troppo forte: ebbene, non riguarda la squadra singola e relativi manager o procuratori, bensì tutto il calcio italiano. I cui nervi sono esposti al rischio della Finanza, recentemente in visita al Napoli e alla Federcalcio. Se dovesse divampare un fuoco di carte, ci sarebbe la risposta alla domanda: perché tanti stranieri nel nostro campionato? Forse anche perché oltre confine si lasciano meno tracce fiscali? E che dire della notizia odierna, a proposito della nuova inchiesta partita dalla Procura di Fermo sulle decine di calciatori brasiliani e argentini arrivati in Italia (anche in A) con passaporti falsi, stile Recoba? È sorprendente? Davvero? Questo dell’illegalità diffusa è un aspetto non trascurabile, credo, di un sistema rotondolatrico assai malato. E appunto assai nervoso. Perché non funziona nulla, esattamente come nel Paese: ma se non funziona nulla neppure nel diversivo nazionale, ecco il corto circuito. Ci vorrebbe una flebo di legalità sportiva. Ma come forse saprete (per sbaglio temo, i media ne parlano poco o niente), la chacchieratissima e indisponente “giustizia sportiva” a partire dal procuratore federale, Stefano Palazzi, è stata riconfermata un paio di settimane fa dal presidente uscente della Figc, Abete. Per altri quattro anni. Il giudiziario dipendente dall’esecutivo, un’autonomia di poteri che innamora. E Abete fino a gennaio non saprà se verrà riconfermato, dopo le tante buone prove che ha dato di sé… Era indispensabile riconfermare i responsabili di tutti quei pasticci? Nessuno ricorda le contraddizioni (eufemismo!!!) estive nei vari gradi di giudizio? Il nome Conte dice nulla? E allora siamo sempre a Voltaire: riconfermate riconfermate, a qualcuno converrà. . . se non è politica questa nel regno dei nervi incrociati non so proprio come chiamarla.
  2. ___ IL RICORDO Quando l’ironia fa gol Beppe Viola, quello che... lavorava all’Ufficio Facce Trent’anni fa moriva il grande giornalista sportivo, umorista e paroliere milanese Un tipico esempio di maestro involontario. Che ha avuto troppi (e cattivi) imitatori CALCI E PAROLE Esordì in Milan-Benfica nel ’63. I suoi racconti? Pezzi letterari di pregio DAL BAR ALLA RETE E ora Diego Abatantuono porta su YouTube una sua vecchia idea di DANIELE ABBIATI (il Giornale 10-08-2012) In trent’anni ne sono passate di facce,sotto i ponti d’Italia. Molte, purtroppo, anche so­pra i ponti, celebrate cioè in pompa magna (due parole magi­che, se non profetiche) da quelli che il soggetto in questione proba­bilmente avrebbe chiamato «i nuo­vi randa », con accompagnamento di frizzi, lazzi e belle figliole discin­te. E tutte quelle facce oggi potreb­bero mettersi in fila davanti al suo «Ufficio Facce», in attesa di essere collocate al loro posto: chi a pulire i cessi, chi a far di conto, chi a tenere le publicrelescion . Pensiamo soltan­to ai fatti e misfatti recenti: uno Schet­tino, un Fiorito, un Renzi, un Gabrie­le, quello del Papa, ma non l’arcange­lo, l’altro:gente mi­ca da ridere, nel senso buono e in quello cattivo. Il Nostro e il suo so­dale Enzo Jannac­ci, seduti a un tavo­lino di Gattullo con un bicchiere di bianco davanti, che cosa non po­trebbero ricavar­ne? Del resto, in trent’anni abbia­mo avuto, nell’or­dine: la Milano la bere che ha ubria­cato l’Italia intera come in un bacca­nale da happy hour; il pre-berlusconismo, quel­lo pre-van Basten, per intenderci; Tangentopoli; il primo berlusconi­smo, quello con van Basten&Co; il post-berlusconismo, cioè il post­van Basten; il titic e titoc prodiano, una melina volta ad addormenta­re il gioco e l’Italia; il secondo berlu­sconismo, incarnato da quello che il predetto soggetto in questione avrebbe potuto definire Basletta II, vale a dire Fabio Capello, dove Basletta I era e resta Giovanni Lo­detti; e adesso abbiamo il «sobrii­smo » tassativo, nel senso dell’ob­bligatorietà istituzionale e della pressione fiscale, che volendo fan­no anche rima. Il soggetto in questione, che era proprio un bel soggetto, non ha fat­to in tempo a vedere nulla di tutto ciò, essendosene andato il 17 otto­bre 1982, trent’anni fa,appunto.Si chiamava Beppe Viola e anche lui, involontariamente, ha generato un «ismo»: il «violismo», quello di chi vuol fare il Beppe Viola senza esserlo,dei«simpatici»che voglio­no essere simpatici senza esserlo. È il destino dei grandi: lasciarsi die­tro un corteo di piccoli. Viola ap­partiene al gruppo dei maestri pi­gri, dei liberi, liberissimi docenti in Scienze della comunicazione i quali hanno esercitato il proprio ta­lento ben prima che la comunica­zione diventasse, contemporanea­mente, becero talk show e seriosa materia universitaria, degli osser­vatori da bar e da tram. I Giancarlo Fusco, i Marcello Marchesi, i Lu­ciano Bianciardi, gente che ha trac­ciato sublimi ghirigori mentre al­tri tracciavano pallosissime linee per questa o quella scuola di pen­siero. Vent’anni in Rai e 43,quanti gliene sono toccati in sorte, per le strade del mondo, frequentando i palcoscenici dello sport (calcio, pugilato,ippica,motori),del caba­ret, della musica e del cinema (me­morabile il suo cammeo in Roman­zo popolare , con Tognazzi e la Mu­ti, e significativa la sua sceneggia­tura di Cattivi pensieri , sempre con Tognazzi). Di lui ricordiamo il fisico da stop­per anni Sessanta sovrappeso e la voce da milanesun , bonaria e cal­da, nei servizi per 90 º minuto o nei cazzeggi alla Domenica Sportiva , magari in compagnia di Gianbre­rafucarlo, il «papa» del folbal di una volta. Esordì, quella voce, co­me ci ricorda l’amico e collega Massimo Bertarelli, in un frangen­te da tremarella, per un milanista doc. È il 22 maggio 1963, allo stadio di Wembley va in scena la finale della Coppa dei Campioni: Milan-Benfica. Dopo il primo gol di Altafi­ni che vale il pareggio, il collega­mento audio con Londra s’inter­rompe, e al posto del commento di Nicolò Carosio, da studio entra a sostituirlo, senza riscaldamento delle corde vocali e del cuore, pre­da di una doppia emozione, un ra­gazzo di belle speranze. Ha 24 an­ni e gli tocca commentare la fuga in contropiede e la seconda rete del suo e nostro Josè. Un battesi­mo di fuoco, gestito però in punta di piedi, una tesi di laurea in cravat­ta rossonera: «Ecco Rivera ha tolto la palla a Raul... ha servito Altafi­ni... solo davanti al portiere... re­spinge Costa Pereira... rete... ha se­gnato in questo momento Altafi­ni... due a uno per il Milan». Niente punti esclamativi, anche se sotto si sente fremere il magone. E fu così che la prima nonna dell’attuale Censcion prese la strada per via Tu­rati al civico numero 3. Basta andare su Youtube per cat­turare quel frammento. E basta an­dare su Youtube per scoprire che l’ « Ufficio Facce» esiste ancora. Il vol­pone Diego Abatantuono, che ave­va otto anni ai tempi del mitico Mi­lan- Benfica e che nella temperie cabarettistica del «Derby» giocò le sue prime partite, ha voluto titola­re così una sorta di X Factor targata Colorado Film per barzellettieri, intrattenitori, sbevazzatori, tiratar­di e, ovviamente, facce da pirla. Senza andare al bar, allo stadio, in officina o all’oratorio, la gente manda i propri video per sottopor­li­al giudizio insindacabile del pub­blico. La vis comica è una cosa se­ria, e per questo non può essere se­rial­izzata nel tormento del tormen­tone, deve rinnovarsi di continuo. Lui,Beppe Viola,non l’aveva im­parato a scuola, lo sapeva per natu­ra. Il mantra della canzone Quelli che... recitato come un rosario lai­co e irriverente e che dà il titolo alla raccolta di racconti e battute ripub­blicata nel 2009 da Baldini Castol­di Dalai lo dimostra alla grande. Pardis ,Il bambino Massimo e Don Alessandro sono lì a dimostrarci quanta buona letteratura abbia­mo perso per colpa di una corsa tris o di un Milan-Catanzaro qual­siasi.
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