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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Il presidente

Napolitano si emoziona: “Bravi”

L’abbraccio con Buffon, che gli regala la maglia, e le battute sulle scommesse

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 11-06-2012)

IL CAPITANO Napolitano abbraccia il capitano Buffon, il carismatico e discusso

Buffon. Se lo stringe forte, gli dice bravo.

Ed è come se l’Italia facesse pace con l’Italia. Il portiere regala la maglia

al presidente («Scusi, è sudata», «Non si preoccupi, lo so che non andrebbe

lavata: però io la posso lavare?»), il presidente conferma la fiducia al

portiere. È il momento più simbolico dopo Spagna-Italia, la partita che doveva

riavvicinare il paese alla squadra e al suo calcio così malmesso dopo scandali,

scommesse e avvisi di garanzia.

Dai poliziotti a Coverciano, fino al presidente allo stadio di Danzica, non è

un salto da poco. Ed è un salto in avanti, lo compiono gli azzurri con l’aiuto,

con la spinta del loro tifoso più illustre. Addirittura finiscono per

scherzarci su, presidente e portiere. Napolitano che dice “avrei firmato per

il pareggio, ma non ditelo” e il numero uno che non si fa scappare la battuta

“no no, sennò ci mettono dentro”.

«Siamo orgogliosi della sua vicinanza, è stato molto carino e noi gli abbiamo

dato un segnale forte», sono le parole di Gigi Buffon. Colui che era arrivato

in Polonia con la brutta storia del miliardo e mezzo di euro versati all’amico

tabaccaio, quello delle scommesse (legali) (presto, un'ambulanza! ndt).

«Bravi!», è stata la prima parola che Napolitano ha pronunciato di fronte a

Buffon, evocando anche un altro episodio: «Mi ricordo che lei, al Quirinale,

una volta fece anche un grande discorso politico».

Con il suo abbraccio, e con un intero pomeriggio trascorso insieme alla

nazionale, è come se il presidente avesse in parte riabilitato agli occhi

della gente un mondo sportivo nel quale, da qualche tempo, non è più

così facile credere.

Il capo dello Stato ha comunque parlato solo di sport: «La crisi economica

e finanziaria è una cosa, il calcio un’altra: ma vincere incoraggia i Paesi nei

momenti di difficoltà - aveva dichiarato prima della gara -. In ogni caso, mi

pare una cosa positiva che ci siano manifestazioni di spirito unitario europeo,

è molto importante che si consolidi su tutti i piani».

Felice come un ragazzino alla partita, poi, Napolitano ha spiegato in tribuna

alla signora Clio chi fosse quel signore francese al suo fianco (“È Platini”

“Ah”) e negli spogliatoi, al termine, ha fatto molti complimenti agli azzurri

con uno scambio di battute meno istituzionale: «Mai essere pessimisti in

partenza, visto?», «E noi nei momenti difficili diamo il massimo» la risposta

di Buffon.

«Il presidente - riferisce ancora Prandelli ci ha detto di avere sofferto un

po’, alla fine, come del resto tutto noi, e di essersi divertito di più nel

finale del primo tempo». Non pochi hanno ricordato lo storico viaggio di

Pertini a Madrid per la coppa del mondo ‘82, e il mondiale che lo stesso

Napolitano andò a vivere a Berlino, con l’epilogo della vittoria, poco più di

due mesi dopo la sua elezione, nel 2006. Si vede che il presidente porta

fortuna agli azzurri. Poche volte ne hanno avuto più bisogno.

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“Trattati come appestati”

Vita da pentito del

calcioscommesse

A Micolucci minacce di morte, la fidanzata resta senza lavoro

di NICCOLÒ ZANCAN (LA STAMPA 11-06-2012)

Lo chiamano «Μerdolucci», e tutto sommato non è neanche l’insulto peggiore.

Gli urlano infame, venduto, traditore. Scritte sui muri e minacce di morte.

Inseguono la sua fidanzata mentre va al supermercato, si appostano sotto casa:

«Dovete andarvene da qui! Non vi vogliamo». E intanto, è passato un anno. Un

anno terribile da pentito del calcioscommesse. Da quando Vittorio Micolucci,

ex difensore di Pescara, Bari e Ascoli, ha scelto di raccontare quello che

sapeva. E se la parola pentito vi puÒ sembrare esagerata considerato il tema,

è bene precisare subito che nelle carte dell’inchiesta di Cremona lui viene

indicato come «collaboratore di giustizia». Esattamente come nelle storie di

mafia.

Micolucci ha descritto scene pesanti. Mazzette di denaro sventolate in faccia

ai giocatori. Ha riconosciuto quelli del cosiddetto «gruppo degli zingari »,

gente che non deve essere bello annoverare fra i propri nemici. Ha fatto i

nomi dei compagni di squadra coinvolti nelle combine. Ed è stato sempre lui,

a luglio dell’anno scorso, il primo a pronunciare davanti agli investigatori il

nome di Carlo Gervasoni, poi diventato un altro pentito della stessa

inchiesta. Insomma, Micolucci è stato il primo a raccontare, anche quando

poteva stare zitto.

Ora il problema è che questa scelta di campo non pare essere stata molto

apprezzata. «Lo trattano da appestato - dice l’avvocato Daniela Pigotti -, non

ha ricevuto una sola telefonata dai vecchi compagni. Il suo procuratore è

scomparso. Dalla società, nessun cenno. Gli ultrà lo riempiono

sistematicamente di insulti. La stampa locale lo schifa, considerandolo il

responsabile delle disgrazie della squadra. E anche la fidanzata, solo pochi

giorni fa, è dovuta andare alla Digos per fare denuncia, perché non riesce

neppure a portare le bambine a scuola. Ormai non trova nemmeno un lavoro

umilissimo, perché è la compagna di “Μerdolucci"».

Il sospetto è pesante: che un certo mondo del calcio possa perdonare i

venduti, ma non chi ha tradito la regola del silenzio. E in effetti, non ci

risulta che gli altri compagni di squadra coinvolti nello stesso scandalo

stiano ricevendo uguale trattamento. Non sono state organizzate campagne

denigratorie contro Pederzoli e Sommese, per fare un esempio. E in effetti,

per fare un altro esempio, l’ex portiere della Cremonese Marco Paoloni, che ha

scelto di minimizzare anche quello che gli investigatori ritengono conclamato,

si sta già riciclando come commentatore televisivo nelle tv locali romane.

Forse radiato dal campo, ma non ripudiato dal suo vecchio mondo.

Anche gli altri due pentiti del calcioscommesse vivono giorni difficili.

L’avvocato Filippo Andreussi, difensore di Carlo Gervasoni: «C’è ragionevole

timore rispetto alle dichiarazioni fatte. Per ovvie ragioni, dell’argomento

non si puÒ parlare. La situazione è delicatissima». Filippo Carobbio, in

un’intervista a Repubblica, aveva dichiarato: «Se tutti dicessero la verità,

sarebbe una rivoluzione». Ma l’invito sembra caduto nel vuoto. E la scorsa

settimana, la moglie Elena Ghirardi ha usato parole che fanno riflettere: «Mio

marito non è un infame. Ha fatto la scelta giusta. Io sono orgogliosa di lui».

Se lo dicono fra loro.

Vittorio Micolucci continua a vivere ad Ascoli, perché lì c’è la sua

fidanzata e ci sono i figli di lei, che stanno crescendo insieme. Il clima da

città di provincia probabilmente non aiuta. Quando gli hanno concesso

i domiciliari e poi l’obbligo di firma, si sono posti il problema

dell’incolumità fisica. Persino un giudice rigoroso come Guido Salvini ha

accettato dimandarlo ai domiciliari in Sardegna, a casa dei suoceri. Vittorio

Micolucci sembra essere considerato responsabile non tanto per quello che

ha fatto, ma per quello che ha detto. «Ha infranto un tabù - spiega l’avvocato

Pigotti -, ora paga un prezzo doppio. La giusta squalifica e una solitudine

assoluta. L’unico che mi ha cercato per mandargli un messaggio di vicinanza

è stato il sacerdote dell’Ascoli Calcio».

In campo, Micolucci era uno dei più bravi. In B, a 28 anni, aveva un

contratto da 830 mila euro netti in tre anni. Ma era sempre periferia

dell’impero, gli stipendi non arrivavano regolarmente. C’è cascato per questo,

ha spiegato agli investigatori. Ed ora, attraverso il suo avvocato, dice:

«C’era questo meccanismo, normale, quasi automatico. Ho sbagliato, anche

se non ho mai intascato soldi. Oggi non ci cascherei più. Ne sono sicuro. Quanto

a quello che è successo dopo, sono contento della scelta che ho fatto. Non la

rinnego». Davanti alla giustizia sportiva ha patteggiato due squalifiche, in

teoria potrebbe tornare a giocare a gennaio. «Io spero ci sia un presidente

che apprezzi la scelta di Vittorio - dice l’avvocato Pigotti -, ma temo che la

strada sarà in salita».

___

Disciplinare: possibili sconti ai club

I giudici potrebbero ridurre le penalizzazioni più pesanti di AlbinoLeffe (-27) e Piacenza (-19)

Il teorema Palazzi non dovrebbe essere smontato, ma c'è qualche caso «equivoco»

di MAURIZIO GALDI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 11-06-2012)

Resta soltanto l'attesa. La camera di consiglio della Disciplinare si è

conclusa, ma non certo il lavoro della commissione presieduta da Sergio

Artico. Trovata la quadratura del cerchio con la definizione delle sanzioni (e

le richieste della Procura federale che leggete sotto sono pesantissime), ora

si tratta di scrivere le motivazioni. Tempi? Avevamo detto alla chiusura della

fase dibattimentale che le decisioni sarebbero uscite a metà settimana e

restiamo di questo avviso. La Disciplinare vuole fare un lavoro completo, ma

anche dare tempo alla Procura federale e alle difese di predisporre eventuali

ricorsi: ricordiamo che per l'abbreviazione dei termini, ad accusa e difesa

vengono concessi due giorni per depositare gli appelli. In caso di richiesta

atti scattano, con il preannuncio dell'appello, ulteriori due giorni. Ecco

perché anche la Procura aveva chiesto ai giudici di non andare oltre giovedì.

Se dovesse sopraggiungere qualche ritardo, tutto slitterebbe alla prossima

settimana.

Cosa dobbiamo aspettarci? è difficile che la Disciplinare segua una

direzione diversa rispetto alle richieste della Procura federale, soprattutto

per i tesserati. Potrebbero esserci piccole sorprese per posizioni «marginali»

o «equivoche». A questo proposito: l'avvocato di Job aveva parlato di un

possibile «scambio di persona» con Conteh, ma lo stesso difensore ha citato

Job come persona coinvolta nelle combine, idem Acerbis a Cremona. Qualche

speranza potrebbero averla, invece, i giocatori ex Novara per la presunta

combine con il Chievo in Coppa Italia. Il «pentito» Gervasoni, infatti, nel

primo interrogatorio aveva parlato del coinvolgimento di «Ventola e di qualcun

altro», ma nel secondo ha aggiunto particolari (la cifra sborsata dagli

Zingari, 150 mila euro) e nomi. Shala, per esempio, che perÒ non è albanese

come detto da Gervasoni, oppure il portiere Fontana, citato una volta

soltanto. Altri casi: Ferrari, Coser e Garlini, ex AlbinoLeffe, sono stati

tirati in ballo da Gervasoni per una sola combine, ma non da Carobbio e

neppure da Ruopolo, che ha collaborato (e patteggiato). In ogni caso,

l'attendibilità di Gervasoni e Carobbio non dovrebbe essere «pesata» dalla

Disciplinare: se verrà considerata valida, tutti i tesserati che sono stati

citati dai due «pentiti», soprattutto per fatti di loro diretta conoscenza,

rischiano la condanna. Nulla da fare per la richiesta di stralcio presentata

da Andrea Iaconi, ex d.s. del Grosseto, ora al Brescia. Le oltre quattro ore

di ammissioni in Procura federale potranno essere utili soltanto in appello

davanti alla Corte di giustizia federale.

Le società Le posizioni più pesanti riguardano AlbinoLeffe e Piacenza. La

Procura per la prima ha chiesto una penalizzazione pesantissima: 27 punti.

Impossibile per la squadra di Andreoletti ricominciare dalla Lega Pro con quel

macigno. In aiuto potrebbe venire la Disciplinare, come del resto aveva fatto

lo scorso anno con il Benevento (la richiesta era -14, l'avvocato lo stesso:

Eduardo Chiacchio). La società bergamasca potrebbe partire con una

penalizzazione di una quindicina di punti. Stesso ragionamento per il Piacenza,

che potrebbe avere una sostanziosa riduzione dal -19 chiesto da Palazzi.

L'atteggiamento del Novara durante il dibattimento, molto apprezzato, e

soprattutto gli atti (documentati) messi in atto per evitare il «tradimento»

dei propri calciatori — per esempio, l'essersi affidato a Federbet, società

belga di controllo dei flussi anomali di gioco — potrebbero essere premiati.

Non con la cancellazione totale della responsabilità oggettiva (lo stesso a. d.

De Salvo l'aveva considerata giusta), ma con una riduzione della

penalizzazione (è stato chiesto il -6).

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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi

Petrucci vota per Abete

"Deve restare in Figc"

L'aveva promesso: silenzio e massima attenzione a quello che succedeva nel mondo del calcio. E ora il n.1 dello sport italiano, Gianni Petrucci, è sceso in campo, ancora una volta, a fianco di Giancarlo Abete. "Lui è la persona giusta per guidare la Federcalcio", ha detto Petrucci a Cracovia dove ha visitato Casa Italia insieme con il ministro Gnudi e Lello Pagnozzi. "Non bisogna reclamizzare fenomeni, il presidente di una Federazione deve essere una persona serena e concreta. Abete ha questi requisiti". E ha escluso l'intenzione di tornare in Federcalcio ("non ci penso proprio"), il prossimo anno quando scadrà il suo mandato al Coni. Probabile vada al basket, non è esclusa nemmeno la carriera politica (è già sindaco di San Felice Circeo). Il calcio vive un momento difficile, è vero: "Certo, ci sono gli scandali-ha ricordato Petrucci-ma come ha detto anche il procuratore capo di Bari nel calcio ci sono tre milioni e mezzo di persone e la grande maggioranza è per bene. La responsabilità oggettiva? Oggi è immutabile". Un segnale a quei presidenti di club che aveva tentato, goffamente, di modificarla (a loro vantaggio). A questo punto, Abete potrebbe sciogliere la riserva a decidere di ricandidarsi: c'era l'ipotesi di un ritorno alla politica che lo aveva visto giovane deputato della Dc e in questo caso, per a Figc, si sarebbe candidato Carlo Tavecchio (e non solo lui). Petrucci inviterà le Federazioni a tenere le loro elezioni entro il 30 gennaio del 2013, massimo febbraio. Per anticipare i tempi. Anche al Coni, a questo punto, si voterebbe nella primavera del prossimo anno: e l'intenzione di Petrucci è di passare il testimone a Lello Pagnozzi. Nel segno della continuità, come spiegano molti presidenti di Federazione. "Con questa crisi-aggiungono-non è momento di salti nel buio...".

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Repubblica SERA 11-06-2012

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TEMPO SCADUTO di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 12-06-2012)

Immobilismo Petrucci e

la concretezza di Abete...

L'uomo giusto è lui, Giancarlo Abete. Per fare che? Quello che fa da cinque

anni: il presidente del calcio italiano. Lo giura Gianni Petrucci, presidente

di tutti gli sport, cioè del Coni: "Al nostro calcio serve una persona pacata

e concreta - tuona ispirato - inutile cercare i fenomeni".

Ecco fatto: teniamoci quello che c'è, che altrimenti chissà che succede. E,

soprattutto, quello che c'è è roba nostra. Una magnifica teoria, applicabile

e applicata da sessant'anni circa più a meno a tutti i posti di comando del

paese, e non si vede perché lo sport dovrebbe fare eccezione. La teoria

si basa infatti su un principio cardine e inderogabile: i risultati non contano

niente, il merito tanto meno, gli scandali prima o poi passano e resta la

poltrona, che è tutto e tutto si fa per lei.

Non per essere cattivi, però, sulla concretezza di Abete, per dire,

ci sarebbe parecchio da ricordare all'amicone (di Abete) Petrucci: molto

concreto è stato ad esempio trascinare per anni le scorie di calciopoli senza

decidere nulla, fino a codificare il diritto di non decidere che ha provocato

una causa da 450 milioni dalla Juventus; moltissimo concreto deve sembrare

ai più l'aver perso completamente il controllo della Lega di serie A, diventata

una scheggia impazzita governata in realtà da Sky, con la felice collaborazione

di un altro poltronissimo, il dimissionario immaginario Beretta; mostruosamente

concreti sono i risultati internazionali ottenuti dalla Figc quando si trattò

di portare in Italia gli Europei: due tentativi, uno perso contro Polonia e

Ucraina, l'altro finito dietro perfino la Turchia; e concrete, perbacco, sono

state le riforme della giustizia sportiva e degli organi di controllo:

strutture che hanno dimostrato la propria efficienza negli ultimi anni, fino

allo showdown entusiasmante del caso scommesse.

Certo, adesso tutti speriamo, addirittura ci spremiamo perché si rinnovi il

miracolo di Berlino, perché gli azzurri cancellino scandali e scoramenti (ma

sì: anche quel concreto disastro del Sudafrica) alzando una coppa piena

di medicine: l'entusiasmo, la festa, la passione popolare ritrovata, magari

un'amnistiuccia. Ma più di tutti, immaginiamo, fa il tifo proprio Abete.

Pacato, sì, ma pronto a scalmanarsi se quella Coppa cancellasse anche

l'ultimo ostacolo verso la riconferma. Quello del rischio che qualcuno, magari

meno amico dell'amicone Petrucci, gli dica: scusi dottor Giancarlo, qui è l'Italia.

Ci può spiegare una sola buona ragione per cui dovremmo affidarci ancora

a lei?

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Tensione Juve-Nike per la maglia

Alberto Pastorella - Guido Vaciago - Tuttosport - 12-06-2012

Azzerare le stelle ha moltiplicato i problemi. E così, oggi, ci sono oltre duecentomila maglie nei negozi, ma non possono essere vendute in attesa che Juventus e Nike si mettano d’accordo sulle soluzioni per adattare le casacche alla nuova linea politica del club bianconero in fatto di stelle e scritte. Non senza malumori da parte del colosso americano che tuttavia non sembra scalfire il puntiglio juventino nel realizzare la loro idea.

PEZZE E PATCH E’ una questione di pezze, che siccome in italiano suona male fa più figo tradurle in patch, ma sempre pezze rimangono. La maglia della Juventus in commercio dovrebbe averne in dotazione due, secondo le volontà bianconere. Una per coprire le due stelle stampate originariamente dalla Nike e una per inserire la scritta «30 sul campo» da piazzare sotto il classico logo ovale del club. Troppe per la casa americana che storce il naso all’idea di mandare nei negozi un prodotto con il loro marchio che l’utente debba correggere. Non è in linea con gli standard qualitativi, si dice negli uffici del marketing Nike. La maglia è nostra e decidiamo noi cosa deve esserci sopra, si può origliare nelle stanze di Corso Galileo Ferraris.

LA CORREZIONE Ma perché la maglia si deve correggere? Non era meglio aspettare a stamparla? I tempi tecnici non lo consentono e le aziende sono solite stampare le maglie con enorme anticipo. Per dare un’idea, il progetto grafico della nuova maglia juventino è stato approvato nel febbraio 2011, più di un anno fa. Poi le maglie sono andate in stampa ben prima che la Juventus vincesse lo scudetto. Anche perché è abitudine che il fatidico triangolino tricolore venga comunque consegnato a parte (un’altra patch, quindi!). Insomma, la Nike ha stampato le maglie con due stelle, perché all’epoca nessuno si era posto il problema del diverso conteggio degli scudetti fra Juventus e Figc. E certamente non ha semplificato le cose il fatto di aspettare un mese prima di dare un’interpretazione ai regolamenti, optando per la cancellazione delle stelle e l’inserimento della scritta «30 sul campo».

VERSIONE CHAMPIONS Scritta che, per altro, dovrà sparire in ambito Champions. Perché la Uefa non consente lutilizzo di alcuna scritta sulla maglia e pure il Milan che ostenta con orgoglio la dicitura «Il club più titolato al mondo», la deve cancellare quando gioca in Europa. Esisterà quindi una versione campionato e coppa Italia con la scritta «30 sul campo» e una senza scritta per la Champions. in entrambi i casi il presidente del Coni Petrucci applaude: «Le tensioni con la Juventus per la vicenda del 2006? Vedete, Andrea Agnelli è una persona intelligente e con la quale ho un bel rapporto. Avete visto come si sta comportato ora: tutti sostenevano che avrebbe messo la terza stella sulla maglia, invece, anche se io capisco le pressioni dei tifosi, non lo farà. La frase trenta sul campo è un altro discorso: le regole esistono e vanno interpretate. E gli scudetti alla Juventus non sono stati tolti sul campo. Comunque oltre non voglio andare». Al di là della soddisfazione delle istituzioni, però, resta il problema delle maglie che nei prossimi giorni (se non proprio nelle prossime ore) verrano svelate e, soprattutto, messe in vendita. Per le pezze, invece, servirà tempo (chi compra la maglia subito riceverà probabilmente un buono per ritirarle successivamente). Il tutto quando Nike e Juventus si metteranno d’accordo sui dettagli. Anzi quando ci metteranno… una pezza.

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Calcioscommesse, il Vicenza: «Ripescateci. Il Grosseto è da punire»

I veneti all'attacco. L'ex d.s. toscano Iaconi voleva confessare il 23 maggio, ma la Procura federale disse no. Ventura da Palazzi

Maurizio Galdi -Gasport -12-06-2012

Domani dovrebbero arrivare le decisioni della Disciplinare sul filone «cremonese» del calcioscommesse, intanto in via Po (sede della Procura federale) proseguono le audizioni (ieri sentito l’ex allenatore del Bari Giampiero Ventura) che avranno il loro clou oggi con quella di Stefano Guberti (ex Sampdoria, ora al Torino). Ma tiene ancora banco il patteggiamento del Grosseto alla luce delle dichiarazioni rese davanti al gip Salvini dagli ex calciatori dei toscani Turati e Joelson. A chiedere «sanzioni dure» adesso sono i legali del Vicenza, che lavorano per il ripescaggio.

Caso Grosseto «Già da sabato mattina eravamo al lavoro — spiega l’avvocato Andrea Fabris, direttore di gestione del club e uno dei legali del Vicenza — perché siamo dell’avviso che sia giusto, anche per un rispetto nei confronti della tifoseria, non lasciare nulla al caso». La sconfitta al playout ha condannato i veneti alla Prima Divisioni: «Abbiamo avuto notizia — aggiunge Fabris — dell’interrogatorio, da parte di Palazzi nella giornata di venerdì, dell’ex d.s. Iaconi. Ora c’è da capire che cosa succederà e solo allora potremo decidere come muoverci». Il presidente Massimo Masolo ha detto di essere pronto anche a incatenarsi davanti alla sede della Figc.

Il giallo E proprio intorno alle dichiarazioni di Iaconi si può parlare di giallo. Perché l’ex d.s. del Grosseto non è stato sentito prima? Agli atti della Disciplinare (insieme alla richiesta di stralcio giunta a dibattimento chiuso) ci sono le ricevute di fax inviati alla Procura federale (il 23 e il 28 maggio) nei quali si sottolineava la «volontà di fare dichiarazioni utili al dibattimento». Perché non è stato ascoltato se non venerdì 8 maggio? Molti cronisti, nei giorni del dibattimento all’ex Ostello della gioventù, hanno visto Iaconi. Non in aula, ma al chioschetto poco distante. Come è accaduto con Sbaffo, perché non ha potuto accordarsi e fare le proprie ammissioni in aula? Spesso la fretta è cattiva consigliera. Iaconi venerdì ha confermato quanto Turati e Joelson hanno detto a Cremona, non una testimonianza assolutoria, ma una doverosa (da parte sua) precisazione: «Non ho fatto nulla per favorire le scommesse, ma ho fatto soltanto gli interessi del club». Chiarire, insomma, che con scommesse e Zingari non ha nulla a che fare.

Le audizioni Intanto ieri la Procura ha maggiormente focalizzato l’attenzione sul Bari. Domani sono convocati il segretario Pietro Doronzo, il team manager Claudio Vino e il direttore generale Claudio Garzelli, ci sarà anche il d.s Guido Angelozzi, ma il suo nome era già inserito tra i convocati. Ieri è stato Ventura a essere ascoltato per circa due ore, al termine era sorridente e la sua unica battuta è stata: «Spero facciano in fretta chiarezza per il bene del calcio». Oggi, comunque, il clou sarà rappresentato da Guberti, che dovrà parlare dell’incontro con Andrea Masiello alla vigilia della partita Bari-Sampdoria. Per il resto dei convocati al centro c’è sempre Bologna-Bari. Domani, però, l’attenzione si concentrerà su Udinese-Bari visto che è convocato Simone Pepe, oggi alla Juventus, ma all’epoca dei fatti in forza all’Udinese.

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Qatar Hero

Michel Platini is often seen as the ex-pro coming

to save Fifa. But why did he vote for Qatar?

By PHILIPPE AUCLAIR (THE Blizzard ISSUE FIVE | June 2012)

“Let me tell you a tale,” my friend said, “a tale in the Oriental

style.”

This friend will remain anonymous, for two reasons: firstly, while

he won’t mind my re-telling the tale in question he would probably

prefer not to see his own name in print; secondly, his name wouldn’t

mean much to most readers anyway. This friend could adopt

Descartes’s larvatus prodeo [masked, I proceed] as his motto, as the

path he’s followed in football, which took him to very high places

indeed, remains largely uncharted. He wouldn’t have it any other way.

This conversation took place at his (unmarked, unlisted) London office, six

weeks before Fifa chose Russia and Qatar to be the respective hosts of the

2018 and 2022 World Cups. To say that these decisions came as a surprise to

my interlocutor would be a wild exaggeration, as, that afternoon, after fielding

calls from Sepp Blatter and Mohammed Bin Hammam, he assured me that

the Russians would walk it, that England would be lucky to get more than

a solitary vote and that it was touch and go for the Qataris to bag the prize in

the first round. I passed on the information to my contacts at England 2018,

who clearly thought that my source had offered me something stronger

than espresso at our meeting. We all know what happened in the end. But

let’s go back to the tale itself.

“Once, there was a French president whom we shall call Nicolas. He didn’t

have much money. In fact, he was desperate for some but, thankfully, his

good friend the emir had plenty of it. The emir told him that he’d buy all sorts

of things from France, expensive things like planes and nuclear power stations

and Nicolas was very happy. But then the emir said, ‘There’s one condition,

though, just a little thing.’

“‘What could it be?’ Nicolas asked.

“‘Just tell Michel to give us the World Cup, ’ the emir replied.

“Nicolas didn’t have much of a choice. He needed the money. So he asked

Michel to do what he was told, and Michel said he’d do it. ”

•••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••

This is only a tale, of course. Maybe it’s true and maybe it’s not. I pass it on

it as it was given to me, minus some details related to the way the Qataris used

their huge campaign budget to promote their bid. I was troubled, though. It

was true that Sheikh Hamad bin Khalifa Al Thani, ruler of Qatar, had travelled

incognito to Paris a few days before this conversation took place - ‘incognito’,

in this case, meant not staying at the Hôtel Lambert, his palatial residence

on the Île Saint-Louis, but instead taking over a whole floor at the Royal-Monceau

hotel, which he, or his country, or his country’s sovereign fund, which is pretty

much the same thing, happened to own as well.

The aim of that visit was not to secure a vote at the forthcoming Fifa

Congress, not primarily anyway. The French government was thinking of

selling a significant stake of Areva, a state-owned body which controls the

country’s nuclear industry from uranium mines to power stations, to the

gas-rich emirate. The transaction didn’t take place in the end, partly because

of an almighty uproar in the French media. But it demonstrated the strength

of the links between France and the minuscule Gulf state, threequarters of whose

1.7m residents are ‘guest workers’, mostly shipped in from the Indian sub-continent,

who enjoy no civic rights and are treated in such a shocking way by their

employers that, in November 2011, the International Trade Union Confederation

(ITUC) asked Fifa to re-consider their choice of Qatar as World Cup-hosting

country. Good luck to them.

Who was the first head of state to make an official visit to the Élysée palace

after Nicolas Sarkozy’s election to the presidency in 2007? Sheikh Hamad bin

Khalifa Al Thani. That was good business for la République. France sold Qatar

£208m worth of defence equipment on that occasion, as well as a fleet of sixty

Airbus 350s. And if Nicolas and Hamad like each other, the same can be said of

Carla and Moza, that is Carla Bruni, the pop-singing wife of Nicolas, a

regular guest in Doha, and Sheikha Moza al-Misned, the wife of Sheikh Hamad,

the figurehead of the Qatar 2022 bid and president of the Qatar Foundation,

the ‘charity’ which disburses £25m each year to make sure Barcelona don’t have

to lower themselves to endorsing a commercial shirt sponsor¹.

¹ Pep Guardiola banked £350,000 to endorse the Qatari bid; a pittance, true,

when compared to what Zinedine Zidane got. Zidane, who had initially refused

to lend his name to their campaign, finally relented when he was offered a

deal worth £14m.

In the context of geopolitics, the Uefa president and Fifa vice-president

Michel Platini, whether he says tu to Nicolas Sarkozy or not (he does - they

go back a long way), is a prestigious but not overly significant cog in the

wheel of the Franco-Qatari ‘special relationship’, which is not to say he is

without consequence from a football perspective. One of his greatest assets

must be that, as a recognised great of the game, his views carry far more

weight than those of the Swiss former amateur goalkeeper Sepp Blatter. To

question him is, somehow, to question the near-genius of Juventus and Les

Bleus - something like walking into a Greenpeace convention wearing a

‘DOLPHINS ARE BASTARDS’ T-shirt or finding out that the ethereal Isolde

you were in love with had an inch-thick dossier at the local VD clinic.

db_file_img_356_600x483.jpg

This might explain why I was met with a rather cool reaction when I suggested

to a few people back in France that my tale at least provided us with a lead

worth following. We French tend to be very protective of the powerful,

especially when they hold a prestigious position in an international

organisation and contribute to the grandeur of our nation. Even Dominique

Strauss-Kahn. A pity, in that case, as Michel Platini himself confirmed in

March 2012 that Sarkozy had told him over lunch that “it would be a good

thing if I did it” — that is, vote for Qatar. But, of course, this didn’t mean the

president had specifically asked him to do so, as he knew “that I am free and

independent.” Honesty or impudence? Or both? The man who can keep a

straight face when describing himself as “a player at heart, not a politician”

has developed a remarkable gift for presenting the indefensible as if it were

dictated by self-evident common sense.

How on earth does he get away with it? Take his proposal to hold the 2022

World Cup in winter, an option that neither Fifa nor the Qatari organisers

themselves had studied or were in favour of, and which he made without

having consulted any of his experts about the impact this might have

on club football. “I thought, after South Africa 2010”, he said, “where it was

0° at 5pm and there was no life [sic] for the fans, how can we ask the fans

and players to go to this country when it is 50 or 60° in July? [...] The best

time to play is winter. [...] What is the problem for the Premier League to

finish at the end of May instead of the beginning, and recuperate this time in

December? We have to put the World Cup and the fans first. ”

Breathtaking stuff , all the more so since Platini had sung a rather different

tune immediately after Qatar had been chosen to host the 2022 tournament,

suggesting a switch to a cooler time of the year in the Middle-East, that’s

true, but also reminding us that, “the temperature in Dallas [at the 1994

World Cup] was over 40° in 1994, if I’m not mistaken, and nobody criticised

the US at the time.” He didn’t mind the idea of air-conditioned stadiums and

fanzones then, it seems. He also thought it might be a good idea to have the

2022 World Cup games played outside as well as in Qatar, so that it became

a Gulf-wide competition - not such a stupid notion, come to think of it, but one

it might have been more suitable to put forward before the vote had taken

place and after having informed the Qataris themselves. That other bidding

countries - Australia, the USA, South Korea and Japan - might be aggrieved

didn’t seem to have crossed Platini’s mind. The provisos and specifications

around which they’d built their dossiers, spending fortunes in the process,

could apparently be jettisoned on a whim of the Fifa vice-president, but the

apostle of fair-play wasn’t perturbed in the least. The fact is that only one

of the twentytwo members left in the Fifa executive committee after the ban

imposed on Amos Adamu and Reynald Temarii had requested a copy of

the technical report compiled by the organisation’s own inspectors, a report

in which Qatar 2022 was the only bid given a ‘high risk’ rating. It’s true that

these gentlemen are known for their very relaxed attitude to ‘detail’ and that,

in that respect if not all others, Michel Platini is no different from his

fellow Exco members. After all, this is the man who said that, “in Spain, the

owners are the fans, the socios,” when only four of La Liga clubs are run on

these lines, and who had to be reminded that Uefa’s Financial Fair-Play (FFP)

regulations would have to be approved by the European Commission before

they could be implemented. A micro-manager Platini is not.

Still, tearing up the rule-book which had guided everyone - Qatar included -

during the bidding process was surely unthinkable. Wouldn’t the losers have

every right to pursue the matter in the courts? When asked these questions,

Platini responded with the insouciance of an 18th century roué. “Who will

remember the words in 12 years?” he shrugged. “In 12 years, everybody will

be happy to have a very well-organised World Cup and not remember what’s

happened before. When I organised the World Cup in France, we did [things]

differently from what we proposed in the bid.” That’s what Platini is so good

at: to proffer enormities which are so, well, enormous, that whoever hears

them is momentarily lost for words, by which time he’s trampling daisies in

another field, singing a little air of his confection.

“When I organised the World Cup.. . ” True, Platini was one of the chief

coordinators of France’s World Cup Committee. But poor Fernand Sastre,

the French Football Federation administrator for whom bringing the tournament

to France had been the ambition of a lifetime and who died on 13 June 1998,

three days after its opening ceremony. This is Platini’s way.

Platini’s glowing endorsement of the “magnificent” Qatari bid has landed him

in some awkward spots since the December 2010 vote, however. When

the emirate’s ruling family bought Paris St-Germain FC in June 2011 through

Qatar Sports Investments (QSI) and immediately started pumping millions

into the ailing club (€42m on purchasing Javier Pastore from Palermo alone),

it could have been expected that the crusader for FFP would step forward

and issue a stern warning to the new owners. And he did - after a fashion.

“We don’t know their budget yet,” he said in March of this year. “They’ll come

to present it [to Uefa]. We have to observe, adapt, that’s not easy. We must

stay true to a philosophy which has been endorsed by Uefa - and we will

and the PSG owners will as well, otherwise they won’t play in our competitions,

or they’ll have other problems, but I don’t know anything at all [about that].

”The Al Thani family must have been trembling when they heard that.

Speaking to one of Platini’s closest aides, the Uefa general secretary

Gianni Infantino, at a recent football forum, it became clear to me that “I

don’t know anything at all” would be the default response to most if not

all questions about the actual implementation of the rules which are supposed

to represent Platini’s legacy to the football world. Real Madrid’s project of

building a fantasy island in the Gulf to raise gazillions of dollars: fair or

unfair? “We’ll see.” Manchester City’s sale of naming rights to Etihad: fair

or unfair? “We’ll see.” The decision by Uefa to centralise the negotiation of

TV rights on behalf of everyone else, anything to do with (Qatar-based, and

Qatari-owned) Al Jazeera’s transparent plans to become the exclusive

broadcaster of football’s major events? “...”

Vagueness, of course, makes it easier to disguise (and live with)

contradictions, with which Platini’s speech and “philosophy”, the word he uses

himself, are replete. “I know I’m defending something which is not defensible

anymore, ” he sighs, portraying himself for a second as the slightly

old-fashioned but engaging uncle whose views are tolerated by the family

because of his advancing years. “I’m not a great fan of foreign owners, but

the laws are the laws, and I can’t do anything about it. ” Sulejman Karimov’s

spending at Anzhi Makhachkala? “At least the man who is putting all this money

into Anzhi comes from there, so he has a local connection, and that’s fine.

It’s a new world.” Eh? What about the Glazers at Manchester United then? You’d

expect him to tear into the Yanks, but no, not really. “I’m not bothered by

their debt, since they’re able to pay it back.” You must have heard how Uefa

and the European Clubs Association (ECA) have agreed to tick off one friendly

from the international calendar; it was less widely reported that ECA, which

had made veiled threats of going it alone and creating their own European

tournament, got something more from Platini’s organisation: clubs will share

€100m from profits generated during Euro 2012 and “an estimated €150m from

the 2016 edition”. ECA’s been very quiet since then. Where does bribery start?

And corruption?

It becomes maddening, after a while. Another example: what constitutes

the ‘identity’ of a club for Platini would baffle anyone steeped in a British

football culture and, dare I say, quite a few of the juventini who adopted him

as one of their own when, having run down his contract at Saint-Étienne,

he joined the Old Lady in 1982, the French club receiving only a nominal fee.

For him, identity has to do with the owners, the players, the coaches, who

now “come and go” and, down the list, the fans. His opinion became clear in

his address to a group of supporters’ organisations in April 2012 when he

admitted fans were the “only identity” left, but then let slip that these fans to

whom “football belongs as well” [my italics], would have their views taken

into consideration “when we would be able to do so.” Why, thanks a lot! His

weird obsession with the faults of English football, which he jokingly puts down

to “the legendary rivalry between England and France, that’s all” leads him

to statements which, were they directed at a different target, would not go

down at all well, coming as they do from the head of a pan-European

organisation. “When you have some English players on the field, they are

playing not so bad, ” he quipped in January of this year. We’re still waiting

for observations of that kind about Serie A, which provides three of the

top five “clubs that fielded the fewest association-trained players” in the

2010-11 season, according to a recent International Centre for Sports

Studies (CIES) study².

² Namely Internazionale, AS Roma - the top two - and Udinese.

But I realise that I’m falling in the trap that Platini sets for whoever

follows his meandering track with a critical eye: it is I who get lost. His

own progress has been mapped ever since he retired as a player, 25 years

ago, and probably before that. In 2015, regardless of his denials, he will

be anointed Sepp Blatter’s successor by Fifa. Blatter, whom he says “is

no angel... a typical politician” but “not corrupt, honest, 200%”; Blatter whom

he’ll try “to help finish his mandate well, because it is for the good of the

game.” He says, he doesn’t know “what I will do in four years.” Can we have

a guess, Michel?

One thing he will not be too concerned about until then is the well-being of

his 33-year-old son Laurent who, in January of this year, became legal advisor

for the European operations department of a rather large and wealthy

corporation: Qatar Sports Investments.

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Can fans be journalists and

can journalists be fans?

by PAUL GARDNER (WorldSoccer | June 2012)

I have always believed - and as far as my 52-year sportswriting career goes,

I do mean always - that it is a basic requirement of a sports journalist that

the writer must not be a fan of a particular club. Or of a particular country,

for that matter. But it is something that I've been wondering about for quite

a while now, trying to make up my mind whether or not I'm a prisoner to a

way of thinking that has simply had its day.

Lately, I find what seems to me an increasing number of top writers whom I

know and respect who openly sing of their love for a club. One (an American)

has written of how he felt he needed a club to support if he was going to be a

soccer writer and how he set about choosing one. Another (also American)

writes his stories openly - and often brilliantly - from the point of view of

his beloved club.

I have always been aware of a difficulty with my argument. Namely, that

most football writers - probably all of us - got involved in the sport first as

a fan. And those boyhood loves die hard. Likely, they can never be erased,

but I've maintained that it is the task of a professional to move on, to take

a more detached view of the sport. To appreciate the essence of fandom -

and why not, when it has been experienced? - but to resist the bias that

inevitably accompanies it.

The warning "no cheering in the press box" dates back as far as I can

remember, indicating that misplaced fandom has been a problem for a long

time.

For sure, Nick Hornby's novel Fever Pitch did a superb job of capturing the

sweetness and sorrow of being a fan, the way that the experience can come

to rule a life. But it did more. It brutally exposed the unacceptable tace of

fandom: its hollowness, its lack of logic, the ultimate silliness of intelligent

people coming to believe that just because a group of men wear shirts of a

particular colour somehow means that they always have right on their side.

None of that is to be belittled, because trifting and witless experiences are

a vital part of ordinary life, and they are frequently its most enjoyable

part. But a football writer must take his chosen subject seriously. I don't

mean sombrely; I mean that he must be able to resist the temptation to

form judgments based on shirt colours.

When he watches and analyses a game he must see 22 players, not just 11,

and must apply the same judgments to each one.

I do not see any other way of becoming an expert - and sports journalists

are supposed to be experts, no? Well, maybe. Again, the seeds of doubt

threaten. The very concept of objectivity is under fire as being an impossible

conceit. The internet is now bristling with blogs from fans. One soccer

website features dozens of stories openly headlined as having been written

by fans. If sports journalism is merely to reflect what fans feel, then I see

little future for it - not least because journalists expect to be paid for their

work, fans do not.

Yet it remains my belief that sports journalists should not be fans. Fans

of the sport itself, or of a certain way of playing it, yes - that is fandom

based on reason, fandom without the suffocating emotional involvement

of club fandom.

I am also aware that the image of a sports journalist that I am outlining may

not sound greatly appealing - he sounds too calm, too objective, too clever,

something of a snob looking down on, and patiently putting up with, the

childish amusements of the masses. A prig, in other words. But it should

not be difficult for football writers to avoid that tag as they work close to the

enthusiasm at the grass-roots level. The necessity, I believe, is to avoid

being influenced by its skewed judgment values. But l'm no longer sure that

is a generally held opinion.

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Sosteniamo Carobbio,

condanniamo Conte!

di P.CICCONOFRI (GIÚleMANIdallaJUVE 12-06-2012)

Il motto: Conte da punire, Carobbio da credere…

“Ecco non dica quella parola, non la dica che ‘l’ha inguaiato’: passa per il

grande accusatore di Conte e per la rovina del calcio, ma lui ha solo

descritto un sistema. In un interrogatorio di tre mesi fa, si è vuotato la

coscienza, ha parlato per ore ed ha detto, per fare un esempio, che anche

Conte sapeva di una partita aggiustata. Non credeva di finire in prima pagina,

non pensava che sarebbero andati a perquisire la casa di Conte. Lui è un

ingenuo, un ‘facilone’, caduto in un gioco più grande lui”. Elena Carobbio.

Dall’intervista concessa dalla Signora Carobbio al settimanale “Oggi”, esce

l’immagine di una famiglia felice. Lei in posa per lo scatto mentre calcia un

pallone e difende spassionatamente il marito, reo confesso nello scandalo del

calcio scommesse. Commovente.

Mancava solo l’immagine famigliare da usare per rafforzare la credibilità

di Carobbio, “l’ingenuo”, il “facilone” finito al centro del calcio scommesse.

Appunto, mancava ed è stata aggiunta. Ma era necessario?

Se Carobbio è un “facilone”, che “non credeva di finire sulla prima pagina”

parlando di Antonio Conte, la Signora Carobbio con questa intervista forse

cercava proprio quello, ed è stata accontenta.

Al contrario di quanto sostiene a proposito del coniuge, Elena certamente

“ingenua” non è: la prima cosa che ha fatto è stata quella di confermare la

veridicità delle parole del marito su Conte. Solo il nome di Conte è quello

ripreso nell’intervista, ben specificato e ripetuto più volte. Non può

trattarsi di una casualità. Ma perché questa scelta?

Forse perché sapeva che solo tirando dentro Conte le sue parole sarebbero

state riprese un po’ da tutti i media? Se questo era l’effetto desiderato,

vista la grancassa mediatica ottenuta, pare evidente che avesse ragione.

Forse perché quell’intervista aveva il solo scopo di continuare a battere

sullo stesso tormentone che coinvolge il neo tecnico campione d’Italia, che

andrebbe punito, al contrario del suo grande accusatore che merita la

clemenza riservata ai pentiti?

O più semplicemente per alimentare il proprio egocentrismo con qualche foto

su un settimanale largamente diffuso?

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Qualunque sia la ragione, a far sorgere più di un dubbio sulla bontà del

reale scopo dell’intervista è “l’argomento Conte”, affrontato anche nel

precedente numero di “Oggi”, che ospitava al suo interno la risposta di Mario

Sconcerti alla domanda: “Dopo calciopoli la Juve resterà senza allenatore?”.

Il taglio è quello usato dagli accusatori della prima ora, con al centro la

figura di Carobbio, definito “il pentito più ascoltato del nuovo scandalo”,

ritenuto dai giudici “un teste molto attendibile”.

Scrive Sconcerti testualmente a conclusione della sua risposta: “Si

dimostrasse il coinvolgimento diretto del Siena e la consapevolezza di Conte

si potrebbe arrivare a un passo dalla radiazione. In caso di omessa denuncia

(cioè sapeva ma non ha detto niente) si andrebbe da sei mesi a un anno di

squalifica”.

Il copione prevede di non prendere in esame l’ipotesi del “se venisse

assolto…”. Come al solito, il messaggio non deve prevedere una via di

scampo per lo sciagurato juventino.

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Prima Sconcerti, poi Elena Carobbio, vogliono rafforzare la credibilità

del testimone chiave. Per due settimane, i lettori di “Oggi” hanno ricevuto

un chiaro messaggio: “Conte è colpevole, Carobbio è credibile”.

Il gioco è sempre lo stesso, ne sono testimonianza anche questi siparietti;

l’unico fine è quello di sfruttare ogni mezzo per arrivare a più persone,

condizionandole per indurle a credere nella colpevolezza di Antonio

Conte, di conseguenza macchiandone l’immagine integra di vincitore e

simbolo della Juventus.

Per la Ġazzetta dello Sport, il martellamento è invece continuo. Giorno

dopo giorno, non dimentica di rinfocolare il perpetuo moto antijuventino.

Nell’edizione dell’11 giugno scrive: “In ogni caso, l’attendibilità di Gervasoni

e Carobbio non dovrebbe essere ‘pesata’ dalla Disciplinare: Se verrà

considerata valida, tutti i tesserati che sono stati citati dai due ‘pentiti’,

soprattutto per i fatti di loro diretta conoscenza, rischiano la condanna”.

La Stampa, nell’edizione del 11 giugno prima indica chi punire: “Il sospetto

è pesante: che un certo mondo del calcio possa perdonare i venduti, ma

non chi ha tradito la regola del silenzio”; per poi insistere sulla credibilità di

Carobbio: ”Filippo Carobbio, in un’intervista a Repubblica, aveva dichiarato:

«Se tutti dicessero la verità, sarebbe una rivoluzione». Ma l’invito sembra

caduto nel vuoto. E la scorsa settimana, la moglie Elena Ghirardi ha usato

parole che fanno riflettere: «Mio marito non è un infame. Ha fatto la scelta

giusta. Io sono orgogliosa di lui»“.

Messaggio chiaro?

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Spagna: spese folli in tempi di crisi

Perché Grecia e Spagna sull'orlo del baratro hanno società sportive spendaccione

Gianluca Ferraris - Panorama.it - 18-06.2012

Dalle battute sul rigore della Grecia a quelle sul girone dei pericolanti (ovviamente il nostro, dove siamo in compagnia di Irlanda e Spagna). Era inevitabile che, visti i tempi, gli Europei di calcio ci portassero in dote una ricca serie di metafore politiche ed economiche.

Ma all’indomani dell’incontro tra azzurri e furie rosse, proprio mentre sui giornali le pagelle di Cassano e Iniesta si alternano alla notizia del pacchetto di aiuti da 100 miliardi che Bruxelles concederà alle banche iberiche, è lecito porsi qualche domanda in più.

Una soprattutto: come fa il calcio spagnolo ad essere ancora il più bello, ricco, sfavillante (e dunque, almeno fino a ieri, il più temuto) del mondo se è figlio di un sistema indebitatissimo e di un sistema-Paese dove investimenti e consumi sono crollati in maniera ben più drastica che da noi?

La risposta è piuttosto complessa, ma un dato è certo e riguarda i conti economici. Se squadre come Barcellona e Real Madrid dettano legge sul campo, infatti, a livello finanziario non se la passano certo bene. Tanto che, anche se pochi lo sanno, la loro leadership pallonara è tra le principali cause della spirale in cui, tra mancanza di liquidità e asset tossici, sono precipitati gli istituti di credito del Paese. Finora, però, il particolare status giuridico dei club, la loro popolarità e il valore degli asset (giocatori in testa) ha evitato il peggio. Ecco qualche numero per chiarire meglio il quadro.

A livello patroniale la situazione del calcio professionistico italiano e di quello spagnolo è piuttosto simile: i debiti complessivi del nostro pallone, al termine della scorsa stagione, ammontavano a 4,8 miliardi di euro, quelli iberici a 4,9. Ma se quelli accumulati dai team italiani sono quasi tutti verso terzi (con le banche a farsi semplici garanti) e in piccola parte verso il fisco, al di là dei Pirenei la situazione è ben diversa.

Qui l’80% dell’esposizione delle squadre, pari dunque a circa 4 miliardi, si registra nei confronti degli

istituti di credito. Che nonostante la crisi, anche negli ultimi anni hanno generosamente finanziato ricapitalizzazioni, coperto buchi e persino aiutato i club nell’acquisto di calciatori.

La crisi di Bankia (nata nel 2010 dalla fusione di 7 casse e parzialmente nazionalizzata lo scorso maggio quando stava per dichiarare default) è emblematica: a dispetto di un buco da 19 miliardi di euro, ha appena concesso al Barcellona un finanziamento per la sua prossima campagna acquisti. Ma lo stesso hanno fatto, per la verità, anche Caja Madrid e Bancaja, che tra il 2009 e il 2010 hanno generosamente pompato contanti, a tasso d’interesse agevolato, nei forzieri di Real e Valencia. Squadre oggi gravate da debiti rispettivamente per 590 e 400 milioni.

Non è tutto, perché ad agosto 2011, in piena tempesta finanziaria, gli stessi istituti si sono rivolti per un prestito ponte alla Bce, utilizzando come garanzia obbligazioni ad alto rendimento emesse verso terzi, a loro volta garantite, tra le altre cose, dal patrimonio delle squadre che si erano rivolte a loro. Un po’ contorto, ma semplificando è come se Cristiano Ronaldo e David Villa fossero diventati un bond ad alto rischio.

Seconda domanda: ma se le principali squadre spagnole sono in default tecnico e le banche che le finanziano versano nelle stesse condizioni, come fanno a proporre ingaggi che noi non possiamo più permetterci? In questo caso la risposta va cercata nel particolare status fiscale e finanziario di cui godono i team.

Primo: a Madrid e dintorni l’aliquota fiscale sui redditi più alti è al 52%, contro il 57% italiano: significa in pratica che a parità di investimento, un team iberico è in grado di assicurare ai suoi calciatori stipendi leggermente più alti. Fino a pochi mesi fa, inoltre, bonus e premi erano totalmente detassati. Provvedimento che è stato cancellato di recente, anche se verrà comunque mantenuto in caso di vittoria di Iniesta e compagni all’Europeo, grazie alla «complicità» di Polonia e Ucraina (dove restano detassati) che riceveranno i bonifici dalla Federcalcio spagnola. Secondo: molte squadre spagnole sono società ad azionariato diffuso, con uno status in parte simile a quello delle nostre cooperative, che permette di detassare una parte degli investimenti e di fare sì che ogni acquisto effettuato dalle decine di migliaia di soci-tifosi (dagli abbonamenti all’acquisto di merchandising) concorra alla ricpaitalizzazione. Terzo: ai club è stata concessa una dilazione di 8 anni per rientrare dei debiti entro il 2020, a partire dalla stagione 2014-15.

Si potrebbe obiettare che la situazione resti comunque critica: abbiamo già detto del Real le cui esposizioni ammontano a 590 milioni, ma anche il Barcellona con 578 non scherza.

Anche in questo caso, però, i numeri vanno letti, e soprattutto interpretati, in maniera adeguata. Lo ha fatto Swiss Ramble, uno dei blog più autorevoli in questo campo. Secondo la sua analisi, queste cifre comprendono infatti anche la rateizzazione degli acquisti dei giocatori (Il Real ha rate da pagare per 126 milioni, il Barcellona per 75) che sono spesso molto lunghe e, come abbiamo visto, godono di tassi favorevoli.

Inoltre, il famoso fair play finanziario in vigore da quest’anno basa i propri conteggi sul metodo denominato Ias, che fa riferimento principalmente ai debiti finanziari e bancari. Utilizzando questa chiave di lettura, i debiti lordi delle due squadre scenderebbero a 146 milioni per il Real Madrid e 150 per il Barcellona. Vale a dire che sarebbero minori rispetto a quelli di molti top club europei, italiani compresi.

Inoltre, per il Barcellona, c'è un fattore particolarmente importante da tenere presente, quando si mettono in fila i debiti complessivi. Infatti, i giocatori nati e cresciuti nelle giovanili del club, non sono contabilizzati nel capitale del club come di solito si fa quando si acquista un giocatore (si divide il valore dell'acquisto per il numero di anni di contratto e si detrae quel valore dal totale per ogni anno che passa fino alla scadenza del contratto). Provate a calcolare quale patrimonio attivo potrebbe avere il Barcellona se fossero valutati tra gli attivi di bilancio anche Messi, Puyol, Xavi, Iniesta e Pedro. Questo calcolo, evidentemente, le banche e i creditori lo hanno fatto.

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Mistero Calciopoli

Auricchio aveva

un pc di Tavaroli

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 13-06-2012)

COSA ci faceva, il 15 maggio del 2005, uno dei computer di Giuliano Tavaroli

nella sede della seconda sezione del nucleo operativo dei Carabinieri di Roma

in via Inselci, quella del maggiore Auricchio e nota per essere quella che ha

svolto le indagini (e le intercettazioni in particolare) di Calciopoli? Oggi

forse lo sapremo, perché Paolo Gallinelli, l’avvocato di Massimo De Santis

interverrà nell’udienza del processo Telecom, dedicata al controinterrogatorio

di Tavaroli. la scorsa settimana, quando le domande venivano poste dall’accusa,

Tavaroli aveva confermato che l’Inter, nella figura di Massimo Moratti, gli

aveva commissionato il dossier “Operazione Ladroni”, un’indagine illegale

sui dirigenti della Juventus, l’arbitro De Santis e alcuni dirigenti della Figc.

Ora, dalle carte del processo emerge un elemento che potrebbe risultare

una clamorosa svolta per la storia di Calciopoli. C’è infatti un decreto di

ispezione, firmato dal pm Napoleone, in cui un computer di Tavaroli,

sequestrato dal nucleo operativo di Milano nel quadro delle indagini che hanno

portato al Processo Telecom, viene spedito a Roma per essere ispezionato.

E’ il 15 maggio del 2005, siamo alle battute finali dell’indagine di Calciopoli

ed è curioso che quel computer debba viaggiare fino a Roma per un’ispezione.

Oggi, probabilmente, se ne saprà qualcosa di più.

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Fairplay finanziario

Il Psg se ne frega

Ha chiuso l’ultimo bilancio con un fatturato inferiore a 90 milioni,

ne ha spesi altrettanti per Lavezzi e Thiago Silva e ora punta a

Dzeko: come se le regole non dovessero valere per tutti

di ALBERTO PASTORELLA (TUTTOSPORT 13-06-2012)

MILANO. Qualcuno, prima o poi, dovrà cominciare a spiegarci per chi vale

il fairplay finanziario e per chi no. E così, approfittando dell’occasione,

potremo provare a capire come faccia il Paris Saint Germain (certo

gli sceicchi, il Qatar i soldi degli arabi e tutto il resto: ma qui stiamo

parlando delle regole dell’Uefa, che sono un’altra cosa), che ha chiuso

l’ultimo bilancio con un fatturato inferiore ai 90 milioni di euro, possa, con

due soli acquisti ( Lavezzi e Thiago Silva , nessuno dei due è ufficiale ma

ufficialissime sono le cifre delle operazioni) spendere una cifra che pareggia

il fatturato, in pratica. E non finisce qui, come si diceva in una fortunata

trasmissione televisiva: perché il prossimo arrivo sarà Dzeko e poi si passerà

all’assalto di Dani Alves o di Maicon . Già che ci siamo, la stessa persona

potrebbe poi spiegarci come si compenserà, con il fair play finanziario, la

spesa prevista per l’ingaggio: con la nuova tassazione che il neo presidente

francese, Francois Hollande sta per imporre agli stipendi superiori al milione

di euro, i dieci milioni promessi a Thiago Silva diventeranno, al lordo,

venticinque. Per cinque anni fanno altri 125 milioni di euro. Più quelli di

Lavezzi. Qui non c’è solo da aver invidia per chi ha i soldi, e compassione

per chi non ce li ha. C’è, soprattutto da chiedere regole uguali per tutti.

___

Folle Psg, il fair play

diventa una farsa

Da Abramovich agli sceicchi, nessuno pensa alle regole di Platini

di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 13-06-2012)

«Nessun favoritismo: non guarderemo in faccia a nessuno». La “partita” più

dura di Michel Platini stavolta è contro gli sceicchi (e Abramovich). Contro

chi dello spauracchio dell’Uefa, il Fair Play Finanziario, se ne infischia

altamente e continua a spendere, a comprare calciatori, a far sì che il

“rosso” del calcio europeo abbia toccato ormai quote record: 1, 6 miliardi di

euro e un costo del lavoro alle stelle (5,6 miliardi di euro per gli stipendi)

, secondo le ultime stime dell’Uefa. Che farà Platini fra due anni? Sì, perché

il conto alla rovescia è già iniziato: il primo controllo è previsto a fine

2013 e riguarderà i bilanci 2012 e 2013. Sarà consentito un deficit massimo di

45 milioni di euro e chi sgarra, dalla stagione 2014-’15, rischia le prime

sanzioni, che possono portare addirittura all’esclusione dalle Coppe europee.

«Nessun favoritismo», garantisce Platini. «Io voglio aiutare i club, non

certo affossarli». Ma sarà dura anche per lui, stavolta, imporre la sua legge.

Nella stagione appena conclusa, fra i club che hanno preso parte a Champions

ed Europa League, ben 13 erano fuori dai parametri Uefa: Manchester City e

United, Inter, Chelsea (campione d’Europa...), Milan, Barcellona, Valencia,

Liverpool e Paris Saint Germain. E non sembra proprio, visti almeno gli ultimi

colpi di mercato, che molte di queste società, a cominciare proprio dal Psg,

abbiano voglia di iniziare un percorso virtuoso. Il Milan e l’Inter invece

sono sulla strada buona, anche se i 45 milioni di deficit restano ancora

lontani da raggiungere. Ma anche la nuova Juventus ha speso molto,

ultimamente: dalla sua però ha lo stadio di proprietà, un vantaggio non da

poco, di cui l’Uefa tiene conto.

Le sanzioni del Fair play finanziario prevedono quattro gradi di severità:

1) gli avvisi (figuriamoci Abramovich. . . ); 2) le multe; 3) la penalizzazione

di punti, la trattenuta (temporanea o definitiva) di una percentuale dei premi

Uefa, il divieto di iscrizione di giocatori nelle liste Uefa, la riduzione

delle liste Uefa (meno dei 25 calciatori previsti); 4) la squalifica dalla

competizione in corso, l’esclusione da future competizioni. Ma che Champions

sarebbe senza Barcellona o Chelsea? Le società per ora tacciono, e chi le

rappresenta (la European Club Association) ha dovuto accettare le regole Uefa.

Ma il timore che qualche sceicco, se solo gli bloccano il mercato milionario,

possa andare da un giudice è altissimo. Lo sanno bene all’Uefa, dove per ora

si sono “coperti” con generiche assicurazioni della Comunità Europea.

Platini non molla, questo è sicuro. E assicura di non essere imbarazzato

nemmeno dal Paris Saint Germain: consigliato dal suo amico Nicholas Sarkozy,

Roi Michel non si è certo messo di traverso all’acquisto del club parigino da

parte degli arabi del Qatar. Il Psg, per un breve periodo, era stato in

vendita anche in Italia, subito dopo la Roma: costo, solo 45 milioni. Poi è

finito allo sceicco Nasser Al- Khe-laifi, n.1 anche di Al Jaazera. E nello

staff della Qatar Sport Investment lavora, come consulente di diritto sportivo,

anche l’avvocato Laurent, che ha 33 anni, di cognome fa Platini ed è figlio

di Michel (la figlia fa l’attrice): porterà il padre in tribunale?

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«Da noi regalare è normale

altri coinvolti, anche in A»

Micolucci «Se Gegic parla sono dolori. Spendevo ventimila euro al

mese, oggi vivo con 500 ma mi sento libero. E vorrei una chance»

di FRANCESCO CENITI (GaSport 13-06-2012)

«Non mi pento di essermi pentito». Vittorio Micolucci ha barba incolta e occhi

umidi. Azzurri come il mare che da queste parti si ritaglia angoli di

paradiso: calette inaspettate nascoste dai verdi boschi del Conero. Un rifugio

per pochi. Ma nessun rifugio è così isolato per chi ha permesso all'inchiesta

sul calcioscommesse di scavare nelle profondità del marcio. Per gli «addetti

ai lavori» è stata la colpa più grave. Parlare in un mondo di omertosi. La sua

testimonianza ha inchiodato Gervasoni, facendo scoprire agli italiani gli

«zingari». Una palla di neve lanciata nel luglio 2011. Quasi un anno dopo è

diventata una valanga. Nessuno, neppure l'ex difensore dell'Ascoli, sa quali

saranno le dimensioni finali. Le conseguenze di questa scelta estrema, l'unica

possibile per ridare credibilità al calcio italiano? Minacce, insulti, una

compagna che ad Ascoli non può neppure portare i figli a scuola. Vita da

appestato.

Perché si è ritrovato nei guai?

«Sono stato un ċoglione a infilarmi in questa storia, a mandare all'aria un

vita fortunata. Fare il giocatore professionista ti fa perdere la percezione

della realtà: spendevo 20 mila euro in un mese, tutto quello che guadagnavo.

Anche di più. Vestiti, donne, locali, ristoranti, macchine, viaggi.

Soprattutto vestiti».

Resta la domanda di prima: era un malato di gioco come Paoloni?

«Le scommesse? No, quel vizio non l'avevo, ma è comune a molti miei colleghi.

Il vero problema è un altro: "regalare" una gara quando non hai assilli di

classifica, è una prassi in Italia. E questo significa valigette di soldi con

società pronte ad alzare il prezzo pur di salvarsi o centrare una promozione».

Allora ha ragione Gegic quando dice che non doveva faticare a

convincere i giocatori...

«Sì, credo dica il vero. Gli "zingari" hanno fatto saltare il banco, ma il

tavolo era pieno. Altro che 40 sfigatelli... Tra combine e puntate proibite

forse bisogna aggiungere uno zero».

Perché era seduto a quel tavolo?

«Volevo soldi facili, fregare chi mi proponeva illeciti. In campo ho sempre

dato il massimo. Non è una giustificazione. Merito la squalifica e gli insulti

dei tifosi, ma chiedo una seconda opportunità».

Ha mai pensato «forse era meglio restare in silenzio»?

«Raccontare il marcio è la scelta giusta, anche se poi ti additano come un

infame. Ma è infame nascondersi e non raccontare la verità. Tolto un peso, mi

resta la vergogna. Ancora non riesco a guardare dritto negli occhi mamma e

papà. Lui fa l'idraulico a Giulianova: quello che spendevo in 4 mesi lo

guadagna in 2 anni».

Quanti sono i calciatori coinvolti ancora nell'ombra?

«Credo molti, anche in A. Se Gegic parla sul serio sono dolori».

Lei che idea si è fatto?

«È difficile che si scopra tutto. Ci sono di mezzo troppi interessi. Non mi

stupirei se rimanessero coinvolti dirigenti importanti. A un presidente

conviene investire 400 mila euro per una gara o rischiare di retrocedere

perdendo milioni? Se a questo aggiunge una mentalità sbagliata che ti fa

considerare "normale" queste cose, avrà la risposta. Per non parlare delle

scommesse. Può sembrarle strano, ma ha ragione Platini: chi cede alle

tentazioni non deve più giocare. E squalifiche pesanti anche per chi sa e non

denuncia».

Lei ha fatto tutti i nomi?

«Sì. Ho capito l'enormità del problema quando Gervasoni si è presentato con

gli zingari di notte ad Ascoli. Mi disse: "da 3 anni lavoro con loro". Avevano

mazzette da 500 euro e me le sventolavano sotto il naso. Ilievski diceva

"belli". Sembrava un film».

Come i soldi lasciati a Bertani in un asciugamano? A proposito:

afferma che lei ha inventato tutto.

«Pensi che a Novara li avevo portati dentro un calzino. Avevo una paura folle

nei controlli all'aeroporto. Bertani nega? Non so che dire. Leggo che chi

collabora farebbe nomi a vanvera pur di ottenere sconti. Ma perché dovrei

rovinare la vita di una persona? Quando ho accusato Gervasoni, stavo male,

sapendo di dire la verità. Se potessi a Bertani e agli altri nella sua

condizione direi di parlare. Solo così elimini quel tarlo che ti divora

l'esistenza».

Come sta vivendo il presente e quale sarà il futuro?

«Oggi mi posso guardare allo specchio. Oggi che vivo con 500 euro al mese

passati dai miei genitori. Oggi che mi chiamano "Μerdolucci". Oggi che ho di

nuovo voglia di ricominciare. A febbraio mi scade la squalifica: spero in

un'opportunità. Minimo di stipendio, anche in Lega Pro. Ho sbagliato e sto

pagando. Ma forse sono un personaggio scomodo: meglio prendere chi sta zitto.

Il pentito deve morire, come scrivono sui forum. Ho passato l'ultimo anno

chiuso in casa. Ora basta: voglio correre e lottare in campo. Altrimenti andrò

a fare del volontariato e per mantenermi un lavoro qualsiasi. Che so, il

cameriere...».

-------

A CREMONA OGGI IL GIP SALVINI DOVREBBE DARE L’OK PER I DOMICILIARI

Bertani fuori ma resiste: «Io innocente»

Spunta una lite a Legnano con Gervasoni

di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 13-06-2012)

Duro, irremovibile, come da un anno a questa parte lo era stato soltanto

Antonio Bellavista. Cristian Bertani, attaccante della Sampdoria ed ex del

Novara, probabilmente lascerà oggi il carcere di Cremona, ma senza ammettere

nulla e senza avere intenzione di farlo. Se il gip Guido Salvini darà l'ok,

potrà tornare a casa almeno ai domiciliari per stare accanto alla moglie che

aspetta il terzo figlio (ieri l'ha rivista per qualche minuto in carcere), ma

la sua linea difensiva non è cambiata. «A Legnano abito a 500 metri da

Gervasoni, ma io e la mia famiglia possiamo andare in giro a testa alta. Non

mi interessa confermare o smentire quello che dicono i pentiti», ha precisato

con tono fermo al gip durante l'interrogatorio di ieri. Un colloquio breve,

voluto dallo stesso Bertani dopo che la prima volta si era avvalso della

facoltà di non rispondere.

Lite al Palio All'attaccante è stata mostrata anche la Ġazzetta con

l'intervista a Gegic, che dalla latitanza ha confermato di conoscerlo e di

avere tenuto contatti con lui per taroccare le partite. «Non mi interessa

quello che dice, di lui parlerò quando sarà il momento», ha detto. «Non è

emerso nulla di nuovo, Cristian continua a proclamarsi innocente», ha

confermato il suo avvocato Mattia Grassani. Bertani, che inizialmente era in

cella con alcuni extracomunitari, da qualche giorno è stato spostato in

infermeria a causa del sovraffollamento, ma non è stato più tranquillo:

l'altra sera un detenuto ha dato fuoco a un lenzuolo ed è stato necessario

intervenire con un estintore. Bertani ha sempre accusato l'ex amico Gervasoni

di avere fatto il suo nome senza motivi e gliel'ha anche detto personalmente,

a muso duro. Il giorno prima dell'arresto, domenica 27 maggio, Gervasoni e

Bertani hanno assistito entrambi al Palio di Legnano. Il difensore seduto

nella tribuna delle autorità, sorridente e con tanto di sigaro in bocca,

raccontano. L'attaccante dalla parte opposta, scuro in volto e con tanta

rabbia in corpo. Nei paraggi c'erano anche gli agenti che lo tenevano d'occhio

in vista dell'arresto, scattato qualche ora più tardi. A Palio concluso,

durante la festa per la vittoria della contrada di Sant'Ambrogio, quella in

cui è andato ad abitare dopo le nozze, Bertani si è avvicinato alla recinzione

della tribuna e ha ricoperto di insulti Gervasoni, sotto gli occhi di decine

di persone.

Riciclaggio Il gip Salvini, intanto, ha rimesso in libertà Luca Burini, uno

degli amici di Sartor indagati per riciclaggio. L'uomo — che faceva il

promoter in Cina per un'azienda emiliana ed è stato licenziato —

nell'interrogatorio di ieri avrebbe dimostrato di avere avuto un ruolo

marginale rispetto a quanto detto dall'ex calciatore.

-------

IL PROCESSO SPORTIVO

Guberti nega

«Bari-Samp fu gara vera»

Oggi c'è Pepe

di VALERIO PICCIONI (GaSport 13-06-2012)

Il primo è stato Stefano Morrone, alla buon'ora. Il più «spremuto», invece,

Alessandro Parisi: due ore e mezza di interrogatorio. Il più loquace

pubblicamente è risultato Stefano Guberti: camicia a quadri su maglia bianca,

scatto perfetto davanti a taccuini e telecamere, ha delegato all'avvocato

Katia de Nicola i punti chiave del suo colloquio con i collaboratori del

procuratore Palazzi: «Bari-Sampdoria (aprile 2011 finita 0-1) fu gara

verissima, e chi lo tira in ballo in altre questioni, delle quali ha saputo

solo ieri, sarà querelato per diffamazione».

Difesa La De Nicola insiste: pronte querele e richiesta di danni per chi

tirerà in ballo Guberti. «Il mio assistito non era al corrente di quanto gli

hanno letto gli inquirenti, cioè fatti riferiti da altri. Ha, quindi, smentito

tutto. S'è parlato solo di una gara, Bari-Sampdoria: Guberti ha dichiarato di

aver giocato, lui e i suoi compagni, nella maniera più vera possibile. Ci sono

state altre dichiarazioni, che Guberti ha acquisito solo oggi, e sulle quali

sicuramente agiremo in altre sedi per tutelare la sua onorabilità».

Masiello In ballo, negli interrogatori di ieri, c'era anche la telefonata di

Salvatore Masiello per «indirizzare» Udinese-Bari: sarebbero stati contattati

anche Bonucci e Pepe («Allora, te la vuoi comprare una Ferrari?»). Ma ieri,

Masiello ha negato la chiamata. Oggi sarà ascoltato anche Pepe (all'epoca

all'Udinese). L'assist di Masiello può tornargli certamente utile. Sono stati

ascoltati anche Riccardo Meggiorini, Massimo Donati, Daniele Paponi e il

centrocampista del Parma Stefano Morrone. Sempre oggi sarà sentito anche

Cristian Stellini, collaboratore di Antonio Conte, mentre la sentenza per il

primo gruppo di deferiti potrebbe arrivare domani.

-------

PARLA GRASSANI

«Milanetto pronto a

fare causa allo Stato»

di ROBERTO PELCCHI (GaSport 13-06-2012)

CREMONA Mattia Grassani è anche l'avvocato di Omar Milanetto, centrocampista

del Padova, ex Genoa, accusato di aver contribuito a combinare Lazio-Genoa 4-2.

Annunciando il ricorso al Tribunale del Riesame per la revoca degli arresti

domiciliari, il legale ha detto che «Milanetto fin dall'inizio si è sentito

vittima di una serie di contestazioni prive di riscontro, che lo hanno portato,

con un ruolo pressoché inesistente, persino in carcere. Quando la sua

estraneità sarà dimostrata in ogni sede — aggiunge l'avvocato —, Omar chiederà

allo Stato il risarcimento per tutto quello che ha dovuto patire. E questa

sarà una mossa che farà giurisprudenza».

___

Calcioscommesse

L’assist granata “scagiona” Pepe e Bonucci

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 13-06-2012)

La partita che strattona al centro dello scandalo scommesse i bianconeri

Bonucci e Pepe, da ieri, appare più sgonfiata. «Ma quale telefonata a Pepe, io

sono completamente estraneo ad ogni addebito.. . », così Salvatore Masiello,

difensore del Toro, ma ai tempi giocatore del Bari, nel suo interrogatorio in

procura Figc. «Non capisco perché sia uscito il mio nome, su quella gara non

ho proprio niente da dire...», così Alessandro Parisi, difensore del Toro,

anche lui ex barese.

La partita in questione è il duello Udinese-Bari del 9 maggio del 2010,

verdetto 3 a 3. Sfida che, secondo Andrea Masiello, ex barese e accusato

di associazione a delinquere, avrebbe avuto un esito scritto in partenza:

Masiello ha raccontato ai pm di Bari di aver avvicinato quattro suoi compagni

di squadra - Salvatore Masiello, Parisi, Bonucci e Belmonte - nella settimana

prima della gara con i friulani e di averli avvertiti della possibilità di

combinare la partita con tanti gol. Un racconto passato per una telefonata,

quella dell’omonimo Salvatore, a Pepe (allora giocatore all’Udinese) nella

stanza d’albergo del ritiro. «...capii che la risposta era stata negativa, ma

per quanto non avessimo raggiunto l’accordo- queste le parole di Andrea

Masiello fatte mettere a verbale - io, Bonucci, Belmonte e Parisi giocammo

per raggiungere il risultato a cui mirava De Tullio (scommettitore finito

nell’inchiesta, ndr), agevolando la segnatura di tre reti...». Bonucci, quella

ricostruzione, l’ha smentita con fermezza quando si è trovato davanti i pm di

Bari («Ero in Nazionale quella settimana e non sono stato in stanza con gli

altri in ritiro»). Ieri, la versione di Andrea Masiello è stata smontata da

Salvatore Masiello e Parisi. Oggi, toccherà a Pepe rispondere alle domande

del pool di Palazzi in Figc, domani sarà il turno di Belmonte, più avanti quello

di Bonucci. L’assist granata di ieri ai due juventini avrà un suo peso.

-------

LA STAMPA 13-06-2012

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CorSport 13-06-2012

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Murdoch preme

per la Superlega

La cena di gala della News Corporation l’occasione per parlarne

Con il varo della competizione addio Champions ed Europa League

Il magnate fiuta il mega affare e si confronta con le personalità del pallone

I nodi da sciogliere però sono molti: difficile ipotizzare una data di partenza. Servirà altro tempo

di PIETRO GUADAGNO & ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 13-06-2012)

MILANO - I primi passi verso la nascita di una Superlega Europea sono stati

mossi ieri sera, in uno dei monumenti del neoclassicismo milanese, Villa

Reale. In pieno centro a Milano invitati dalla News Corporation, il principale

investitore internazionale in diritti sportivi, si sono ritrovati dirigenti di

grido del mondo del pallone, amministratori delegati dei più importanti top

investitor di Sky e personaggi di spicco del mondo della finanza.

Ufficialmente il calcio è stato un argomento di contorno, non certo all’ordine

del giorno, ma in realtà tra i tavoli della cena di gala con menù a base di

pesce si è parlato molto della Superlega europea, l’obiettivo sempre meno

nascosto dei top club del Vecchio Continente.

MURDOCH SPINGE - A tifare per la rivoluzione copernicana del mondo del

pallone è soprattutto Rupert Murdoch, il magnate australiano di nazionalità

statunitense che fiuta un business milionario dopo un investimento (in diritti

tv) che comunque sarebbe corposo in un momento di crisi dell’economia

mondiale. L’idea, in passato già sponsorizzata dalle società riunite nell’Eca,

pare sia stata rilanciata in questi giorni proprio dal grande boss della tv

mondiale, ieri sera presentatosi insieme al figlio James e a José Maria Aznar,

ex premier spagnolo e adesso membro del board di News Corp. Trovarsi a

cena insieme a presidenti tanto influenti nel panorama calcistico internazionale

non ha fatto altro che rafforzare l’idea di Murdoch che ieri sera ha

approfondito il discorso con Sandro Rosell, il numero uno del Barcellona

arrivato appositamente a Milano in mattinata insieme al dirigente blaugrana

che si occupa dei diritti televisivi, con il presidente dell’Inter Massimo

Moratti e il figlio Angelomario, il presidente della Juventus Andrea Agnelli,

il patron del Napoli Aurelio De Laurentiis, il direttore organizzativo del

Milan Umberto Gandini (Galliani era a Parigi per la trattativa di Thiago Silva)

e il presidente onorario del Bayern Monaco, Franz Beckenbauer.

ORGANIZZAZIONE - Il modello della Superlega è noto: un torneo riservato ai

top club dei 5 più importanti campionati europei (Premier League, Liga, Serie

A, Bundesliga e Ligue 1), senza retrocessioni e senza nuovi innesti (almeno

nella fase iniziale). Una specie di Nba in salsa europea, anche se il nuovo

torneo andrebbe "mixato" con i campionati nazionali che certo non potrebbero

scomparire anche se obbligatoriamente vedrebbero ridotto il numero delle

formazioni partecipanti. E non a caso anche l’attuale (dimissionario)

presidente della Lega di Serie A, Maurizio Beretta, ieri sera era presente e

ha ascoltato le chiacchiere in libertà dei proprietari dei club con Murdoch.

Non sono mancati neppure il numero della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo,

il responsabile della gestione sportiva del Cavallino, Stefano Domenicali, gli

organizzatori del torneo di Wimbledon, Briatore e i volti noti di Sky

(Gianluca Vialli, Paolo Rossi, Simona Ventura, Ilaria D’Amico, Antonio Rossi,

Yuri Chechi e Fiona May).

PREVISIONI - Difficile ipotizzare una data di partenza della Superlega

europea perché in questo momento ci sono troppe incognite, troppi nodi

da sciogliere, ma il fatto che alcuni tra i più importanti protagonisti del

panorama calcistico ne abbiamo discusso a margine della serata organizzata

dalla New Corp (stasera bis a Roma con le istituzioni e il mondo della

politica) lascia intendere che il progetto è serio e che le grandi del Vecchio

Continente, sempre interessate a nuovi introiti, stiano prendendo in seria

considerazione l’idea. Il varo della nuova Lega segnerebbe l’addio alla

Champions League e all’Europa League. Si andrebbe verso un calcio ancora

più globale, con le tv al centro di tutto, con l’obiettivo di riportare la gente

allo stadio con grandi sfide ogni settimana. Le piccole inevitabilmente

perderebbero terreno e il calcio sarebbe ancora meno romantico e più legato al

business. Servirà ancora tempo, ma la strada imboccata è questa. Murdoch

spinge e i presidenti non sembrano insensibili. Il futuro è sempre più vicino.

-------

NAPOLI PIONIERE

«Cambiamo il calcio» Ora la preghiera

di De Laurentiis può essere esaudita

di ANTONIO GIORDANO (CorSport 13-06-2012)

NAPOLI - Ma che calcio fate? Una, due, cinque, dieci volte: fino ad annoiarsi

da sé e a sbuffare, sprofondato in quell’universo « obsoleto, usurato,

incapace di cambiare». Ciak, si gioca: e in quel macrocosmo che affascina in

qualsiasi anfratto della terra, c’è qualcosa d’antico da rimettere al centro

del campo, per restituire fascino al gioco più «vecchio» del mondo. « Non so

più in che lingua dirlo: qui bisogna cambiare, cambiare, cambiare». Così

parlava De Laurentiis, ancor prima d’accomodarsi al tavolo con Murdoch, mentre

intorno s’accendevano le luci abbaglianti della Champions: « Questa è una

formula da cambiare o persino da contestare, come quella dell’Europa League.

Sono competizioni che non s’armonizzano con i campionati nazionali; e poi ci

sono sorteggi che sono affidati al caso: io sostengo da anni che serve una

ristrutturazione globale del calcio, partendo da un vero e proprio campionato

europeo che si affianchi alla nostra serie A, magari ridimensionata nel numero

delle partecipanti». Il calcio di Aurelio De Laurentiis, quell’idea di azienda

che produce spettacolo e però anche profitto, è in un blog che sforna

soluzioni a raffiche, alternative e prospettive da mille e una notte; una

giostra della felicità per club da assimilare ad imprese moderne e

lungimiranti e da tenere distanti da uno Jurassic park nel quale non c’è

futuro: « Mi spiace dover prendere atto che esista una incapacità di vedere il

calcio da un’ottica industriale. Qui si parla ancora di retrocessioni, invece.

Errare è umano, ma...», Ma, perseverando diabolicamente, il block-notes nel

quale c’è racchiuso il De Laurentiis-pensiero pare un decalogo per lanciarsi

nell’era moderna e lasciarsi alle spalle quella glaciale dei bilanci complessi,

boccheggianti, colmi di perdite e privi di prospettive con ricavi: « Per

quanto mi riguarda, ridurrei la serie A e la porterei a 14-16 squadre ed

allestirei un campionato Continentale con sessanta squadre. Si dovrebbe

sottrarre il calcio alle grandi organizzazioni ed attrezzarsi per un

grandissima manifestazione europea: in questo caso, il fatturato sarebbe

di alcune decine di miliardi di euro. Bisogna organizzare un incontro tra i

proprietari dei club più autorevoli». Detto. E fatto.

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Calciopoli

La «vera storia» del più grande

scandalo del pallone italiano. Finora...

L’anticipazione del libro del pm che condusse l’inchiesta

napoletana contro Moggi e “il sistema” creato dagli ex

vertici della Juventus con l’aiuto di arbitri e dirigenti

di GIUSEPPE NARDUCCI (EX PUBBLICO MINISTERO, PROCURA DI NAPOLI)

«LA NOSTRA INDAGINE È INIZIATA - COME SVILUPPO DI UNA

PRECEDENTE INVESTIGAZIONE CHE RIGUARDAVA L’INTRECCIO

TRA CALCIO-SCOMMESSE E PARTITE COMBINATE IN SERIE A E B -

NELL’OTTOBRE 2004, QUANDO L’ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE

CHE ABBIAMO INDIVIDUATO ERA GIÀ IN UNA FASE FORTEMENTE

DINAMICA, CON LEGAMI INTENSI ED ATTIVI TRA GLI ASSOCIATI.

Abbiamo iniziato l’indagine senza sapere che, nei due mesi precedenti, la

Procura di Torino aveva già svolto intercettazioni telefoniche nei confronti

di tre importanti imputati del processo: Luciano Moggi e Antonio Giraudo,

allora dirigenti della Juventus, e il designatore arbitrale Pierluigi

Pairetto. Il caso volle che iniziammo le nostre intercettazioni a ridosso di

quelle torinesi, portandole poi avanti per l’intero campionato, ma allargando

il fronte degli intercettati anche all’altro designatore arbitrale Paolo

Bergamo, al Presidente dell’Aia Tullio Lanese, al Vice Presidente della

Federazione Innocenzo Mazzini e all’arbitro Massimo DeSantis. (. . . )

Dall’identificazione delle schede telefoniche riservate, sono emersi nomi e

identità di molti arbitri e assistenti di Serie A e B e abbiamo, pian piano,

scoperto le tracce di una vera e propria associazione per delinquere che, in

realtà, ritengo di poter affermare avesse iniziato ad operare già prima del

campionato 2004/2005, probabilmente in epoca immediatamente successiva

alla nomina, avvenuta nel 1999, dei due designatori arbitrali che ancora

governavano il calcio italiano in quella stagione, Paolo Bergamo e Pierluigi

Pairetto. (. . . )

IL DUELLO MILAN-JUVE

Dal punto di vista strettamente calcistico, quello della stagione 2004/05 è un

campionato segnato dalla serrata competizione per lo scudetto fra Juventus e

Milan, competizione che si snoda attraverso un lungo testa a testa in cima

alla classifica. Tuttavia, ad un certo punto, questa competizione accentua i

suoi aspetti illegali, tanto che il dirigente addetto agli arbitri del Milan,

Leonardo Meani, cerca non solo di acquisire informazioni su ciò che sta

accadendo, ma anche di contrastare lo smodato potere di questa associazione

mediante la messa in opera di altri mezzi illegali. Quel campionato è dominato,

però, anche da una importante vicenda di segno politico: l’elezione del

Presidente Federale. Il 14 Febbraio 2005, viene confermato alla presidenza

Franco Carraro, nell’ambito di un accordo, non formalizzato, di successiva

staffetta che permetterà all’altro dirigente in lizza - Abete - di succedergli

due anni dopo. Questa vicenda attraversa la storia dei rapporti fra gli

imputati ed è destinata a spiegare molte conversazioni e molti atteggiamenti

dei singoli, anche con riflessi sul tema delle frodi sportive. C’è poi

un’altra vicenda senza la quale non si può comprendere ciò che accadde in

quella stagione: per una serie complessa di ragioni, proprio nel 2004/2005,

entra in crisi il sistema che va avanti dal 1999, rendendo incerto il futuro

dei due designatori. Bergamo e Pairetto mettono in conto di poter essere

avvicendati l’anno successivo e, dalle intercettazioni, emergono sicure ed

indubbie attività finalizzate a realizzare tale risultato. (... ) Infine, una

quarta vicenda attraversa tutta l’indagine ed è l’estromissione di Maria

Grazia Fazi dalla segreteria Can. Questo fatto sarà al centro dell’indagine

del Procuratore Aggiunto di Torino Guariniello che, all’inizio del 2005, si

reca a a Roma per ascoltare proprio Maria Grazia Fazi e Manfredi Martino. La

paura che si diffonde nell’ambiente è che la Fazi possa fornire informazioni

tali da disvelare la struttura illecita del mondo del calcio. La Fazi non

rivestiva più alcun ruolo formale e dalle parole degli stessi imputati emerge

che la sua estromissione fosse stata decretata proprio da Moggi e Giraudo. La

donna cercherà, con l’ausilio di Bergamo, nel corso di tutto quel campionato,

di riguadagnare il proprio ruolo e questa circostanza diventerà un elemento

cruciale nel rapporto collusivo fra Moggi e i due designatori. Oltre ai timori

per l’indagine torinese e per le possibili rivelazioni di Maria Grazia Fazi,

c’è un’altra vicenda che spiega alcuni dei comportamenti che poi vengono

adottati: la Procura della Repubblica di Napoli, già nel 2004, aveva avviato

un’indagine sugli arbitri Marco Gabriele e Luca Palanca, nell’ambito della

quale emergevano elementi che rimandavano all’esistenza di un gruppo

arbitrale capeggiato da Massimo De Santis. Sarà proprio De Santis,

con altri, ad attivarsi al fine di acquisire notizie su questa indagine

che viene ritenuta pericolosa per le possibili ricadute sull’esistenza stessa

dell’organizzazione e di quella struttura di potere.

Almeno dall’inizio degli anni Ottanta, la storia del calcio italiano è, in

tanti suoi momenti, storia di illegalità e di comportamenti delinquenziali.

Basti pensare allo scandalo del 1980, poi ancora a quello del 1986, anni

seguiti da altri segnati da varie vicende che dimostrano, tutte, in quali modi

sia possibile frodare o alterare un incontro sportivo. (. . . ) La nostra

indagine ha cambiato radicalmente questo scenario. Nel nostro caso non si

alterano, occasionalmente, una o più gare per sé e per la propria squadra,

ma l’alterazione dei risultati è programmata e realizzata con continuità, al

punto che si alterano anche le partite degli avversari. Ad esempio, questa

organizzazione ha cercato di ostacolare il Milan, nel corso di quel campionato

principale antagonista della Juventus. Ma è avvenuto un fatto ancor più

singolare: si sono alterate anche partite di squadre terze, che non hanno

avuto nulla a che vedere con lotta per lo scudetto, ma che avrebbero

potuto influire sullo svolgimento della partita successiva. (. . . ) L’adoperarsi

al fine di alterare partite di squadre satelliti o amiche dimostra l’esistenza di

una vera e propria organizzazione la cui attività è riuscita a predeterminare

risultati anche a favore di squadre non interne all’organizzazione. È, ad

esempio, il caso dell’attività svolta per favorire la Lazio del Presidente

Lotito, club e dirigente non interni all’organizzazione ma che, in un certo

frangente, si è ritenuto conveniente sostenere dal punto di vista dei

risultati sportivi. Lo stesso è avvenuto per un’altra società: la Fiorentina

dei fratelli Della Valle, avversari di questo sistema per ragioni politiche e,

inizialmente, anche oggetto di un’attività finalizzata a danneggiarli sul

piano dell’immagine. Nonostante questo, la Fiorentina, nello scorcio finale

del campionato,dopo aver esercitato una forte attività di opposizione interna

alla Federazione, dovrà “andare a Canossa”di fronte al concreto rischio di

retrocedere».

-------

«Questo mondo non è capace

di fare pulizia al suo interno»

Il magistrato oggi assessore a Napoli: «Dall’inchiesta

di Cremona emergono dettagli che sembrano un déjà vu»

di MASSIMO SOLANI (l'Unità 13-06-2012)

«SONO PASSATI SEI ANNI DALLA VICENDA E IN MEZZO CI

SONO DUE SENTENZE PENALI. Probabilmente questo è proprio il

momento migliore per tornare a parlare di Calciopoli e per rimettere insieme i

pezzi di quella vicenda. Ripartendo dai fatti. Una operazione opportuna, a mio

avviso, in un Paese che dimentica in fretta e metabolizza tutto». Giuseppe

Narducci oggi è assessore alla Sicurezza del Comune di Napoli ma nella vita

precedente, con la toga addosso, è stato protagonista dell’inchiesta Calciopoli

che ha portato alla condanna a 5 anni e 4 mesi di carcere per «associazione a

delinquere» di Luciano Moggi e a quelle a carico degli ex designatori Bergamo

(3 anni e 8 mesi) e Pairetto (1 anni e 4 mesi) e dell’arbitro De Santis (1 anno

e 11 mesi). Il suo libro esce proprio all’indomani del tricolore juventino,

della polemica sui 28-30 scudetti e in pieno scandalo calcioscommesse.

«Una coincidenza è sintomatica del fatto che il calcio non riesce a liberarsi

dei propri mali e a fare i conti con i suoi difetti strutturali», commenta

amaramente. Sim card segrete, omertà, accordi fra società, dalle carte

dell’inchiesta cremonese saltano fuori dettagli che somigliano a un déjà vu

della vicenda Calciopoli. È come se il calcio non fosse proprio in grado

di imparare dai propri errori. Ma è un problema del calcio o dell’Italia? «Il

calcio è una parte di questa società, della sua economia e dei suoi costumi -

prosegue Narducci - Il problema, ahimé, riguarda impietosamente il Paese,

i suoi difetti e i livelli pericolosamente bassi della sua etica individuale e

collettiva».

Resta la vicenda di una inchiesta che ha spaccato l’Italia, scomodato la

politica e fatto tremare il calcio prima della sbornia mondiale di Germania

2006. E la notorietà improvvisa di un magistrato rimasto senza nome dopo

anni in prima linea nella lotta alla Camorra. Un preoccupante ribaltamento

di valori, si direbbe. «In un certo senso sì, ma è anche il senso di quanto

il calcio sia in cima alla lista dei pensieri e delle preoccupazioni degli

italiani - commenta Narducci - È un limite culturale e civile del Paese, con il

risultato che finisce per essere qualcosa di completamente diverso da

quello che normalmente dovrebbe essere uno sport». E forse è proprio

per questo se Calciopoli gli ha procurato insulti, polemiche e fango come

nessuna inchiesta prima. «In passato mi sono occupato di vicende

rilevanti e delicatissime, anche sul terreno dei rapporti fra la politica e la

criminalità organizzata, eppure non ho mai assistito a un simile scatenarsi

di passioni e istinti primordiali come ai tempi dell’inchiesta Calciopoli

- ammette - Dobbiamo prendere atto che né la politica, né l’economia o la

cultura riescono a smuovere le passioni degli italiani quanto il calcio. È una

storia, forse non sono italiana, fotografata bene dalla famosa frase di

Bill Shankly, allenatore del Liverpool: “il calcio non è solo questione di vita

o di morte. È qualcosa di più, di molto di più”».

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Le partite truccate in Cina

Due ex dirigenti della federazione calcistica sono stati condannati per corruzione, insieme all'ex capitano della nazionale e decine di giocatori, arbitri e allenatori

13 giugno 2012

Nan Yong e Xie Yalong, ex capi della Federazione calcistica cinese, sono stati condannati a dieci anni di carcere per aver preso tangenti rispettivamente per 235 mila e 273 mila dollari. Wei Shaohui, ex capitano della Nazionale di calcio, ha ricevuto la stessa condanna ed è stato multato di 31 mila dollari, sempre per corruzione. Li Dongsheng, un altro funzionario calcistico di alto livello, è stato condannato a nove anni per tangenti e appropriazione indebita. Quattro ex giocatori della nazionale – Shen Si, Qi Hong, Jiang Jin and Li Ming – sono stati condannati a sei anni di carcere per aver truccato alcune partite.

Nan Yong e Xie Yalong sono i più alti dirigenti calcistici condannati per corruzione in Cina da quando, due anni fa, il governo ha lanciato una campagna per combattere il fenomeno nel calcio, dov’è particolarmente diffuso. Non hanno ancora fatto sapere se faranno appello. Decine di calciatori, allenatori e arbitri sono stati arrestati e condannati per aver truccato le partite. Lo scorso febbraio Lu Jun, che arbitrò due partite ai Mondiali del 2002, è stato condannato per aver ricevuto più di 128 mila dollari in tangenti per truccare i risultati di sette partite di campionato. Nel frattempo la nazionale cinese non si è riuscita a qualificare per i Mondiali del 2014. L’unica volta in cui è riuscita a qualificarsi è stato nel 2002, quando è stata eliminata al primo turno

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Linkiesta e il calcio:

un'ipotesi interpretativa

di ANDREA MARIUZZO dal blog A MENTE FREDDA (LINKIESTA 12-06-2012)

Tutto è cominciato, almeno a mia memoria col post del 21

aprile 2012 che Massimiliano Gallo ha dedicato nel suo blog personale al

coinvolgimento di Conte nel caso scommesse. La disinvolta affermazione sul

coinvolgimento della Juve in una faccenda che, in ogni caso, riguarderebbe il

Conte tesserato del Siena, e la discutibile affermazione per cui "il garantismo

vale anche per gli juventini (a volte è dura essere garantisti, lo ammetto)",

hanno prodotto una selva di commenti risentiti adeguati al tono del post

(e forse all'autore saranno pure piaciuti, chi lo sa).

Io, devo dire la verità, pensavo si volesse scherzare, anche perché

prima di allora gli interventi relativi a calcio e sport apparsi sulla testata

e su alcuni blog a ciò appositamente dedicati erano stati decisamente meno

sguaiati e, soprattutto, volti a prendere in considerazione questioni di una

certa serietà: così si conviene, del resto, quando si parla di un tema, quello

calcistico, di assoluta rilevanza economica (l'effetto moltiplicatore degli

investimenti nel settore è pari solo a quello del narcotraffico), identitaria

(basta guardare quanto il discorso sportivo strutturi le prese di posizione

dei nostri politici) e geopolitica (le questioni sull'Ucraina ospite degli

Europei parlano da sole). Tra l'altro, proprio lo stesso autore stava offrendo

sul tema della presenza gay nel calcio spunti di riflessione in cui non mi

riconoscevo del tutto, ma che effettivamente aprivano uno spazio interessante

su un tema meno irrilevante di quanto qualcuno si ostini a credere. Così mi

sono limitato a ricordare con una frecciata che certe insinuazioni sarebbero

più accettabili da parte dei tifosi di squadre la cui storia è caratterizzata

dall'assoluta trasparenza, e non era certo questo il caso, non solo perché

Moggi non ha iniziato la sua carriera alla Juve.

Gallo ha però perseverato, con post calcistici peraltro assai più

frequenti di prima, oltre che più sugaiati, fino ad arrivare a vette come

questa, di pochi giorni fa. Spero non si voglia prendere in giro la gente

dicendo che anche quella roba è un contributo per un'informazione di qualità

e per lo sviluppo di un'opinione meglio fondata, perché sarebbe eccessivo.

Fatto sta che l'autore di uscite simili non può certo lamentarsi se la sua

credibilità quando parla di calcio è ormai pari a zero qualunque cosa dica.

Se si vogliono produrre reazioni scomposte, quando arrivano si prendono.

FInora, comunque, siamo rimasti nel campo di un blog individuale,

autogestito, che impegna l'autore e basta e che può anche essere usato

per uscire dal seminato: sono abbastanza sicuro che se l'autore dei post

linkati sopra non avesse un ruolo di redazione difficilmente pezzi così

sarebbero stati rilanciati sulle pagine dei social network (che è poi l'elemento

fondamentale per dare visibilità reale a un post), ma queste sono scelte

assolutamente legittime, e in quanto tali indiscutibili da parte mia. Non ci si è

però fermati a questo, visto che un modo simile (forse un filo meno diretto

nell'insulto e un po' più sottile) di affrontare il tema calcio si è andato

consolidando anche negli articoli, che invece impegnano la testata assai

di più. Il caso peggiore il giorno dopo la finale di Coppa Italia, con l'ormai

nota storia di Mazara del Vallo, presentata da un pezzo in cui l'offesa alla

tragedia di Brindisi sarebbe stata perpetrata solo in caso di esultanza

bianconera: per fortuna "ci ha pensato il Napoli a decretare la quiete dei

tifosi bianconeri e a riportare, almeno in città, il giusto silenzio nella

notte del dolore", e a dare la stura a una gioia che notoriamente, viste le

circostanze, è stata vissuta con la compostezza tipica della tribuna reale al

campo centrale di Wimbledon. E giusto per non scontentare nessuno, direi

che anche ospitare tirate del genere contro giocatori che hanno fatto la

storia del calcio degli ultimi anni con un'altra maglia a strisce dovrebbe

contrastare con un adeguato controllo di qualità.

Tra i lettori che commentano, e anche tra i miei contatti che

leggono abitualmente Linkiesta (e che si rivolgono a me per saperne di

più come se fossi interno alle loro faccende, cosa che non è assolutamente

vera, visto che io mi limito a leggere e a tenere un blog che è assolutamente

personale) inizia a serpeggiare una spiegazione per tutto questo. Molto

semplicemente, dice qualcuno, questi hanno bisogno di aumentare il traffico,

lo fanno buttando in caciara un argomento che vi si presta, e infatti vanno sul

sicuro, consapevoli che a sputare veleno contro la squadra più amata e odiata

d'Italia, e in generale a trattare il calcio con la superficialità del discorso da

bar, la rissa di commenti e condivisioni favorevoli e critiche si ottiene sempre.

Se fosse vero, sarebbe un fatto gravissimo. In primo luogo perché il

giornale verrebbe meno alla missione per cui è stato concepito, quella cioè di

offrire contributi di qualità senza perdersi in quelle polemiche sterili e irrilevanti

che hanno fatto decadere così profondamente la professionalità del giornalismo

italiano. Cioè, va bene il tentativo di adeguarsi alle richieste e alle tendenze

dei lettori, in fondo la costruzione di una "comunità" di utenti dovrebbe portare

a questo, ma fare così per inseguire qualche click sarebbe ingiustificabile. E

non è tutto. Se davvero Linkiesta dovesse abbassarsi a questi mezzucci, allora

significa che qualcosa nel piano editoriale è andato storto, e che si deve

disperatamente ricorrere il traffico perché evidentemente l'idea della diffusione

"qualitativa" non paga quanto dovrebbe.

Le implicazioni di questa spiegazione, insomma, sono così gravi che

io non ci credo, se non altro perché esistono sistemi decisamente più

efficaci e meno rischiosi per la reputazione delle firme per ottenere gli stessi

risultati, come mettere una gallery al giorno di qualche starlette a tette di fuori,

espediente usato per garantirsi una buona messe di contatti un po' da tutti

i siti d'informazione, da Repubblica alla Ġazzetta a Lettera43. E poi, anche

per ragioni professionali, ho imparato a non postulare mai malafede e

disonestà intellettuale quando non è necessario e tutto si può tenere

interpretando le cose in altro modo.

Secondo me le cose sono molto più semplici: qualcuno ha iniziato

a insultare una squadra, ha visto le reazioni, lo ha rifatto, ha trovato reazioni

simili, ed evidentemente in redazione hanno cominciato a divertirsi per la

possibilità di produrre a comando reazioni condizionate di stampo quasi

pavloviano. Il senso di potere che evidentemente dà questa capacità di

imprimere sentimenti e comportamenti nelle folle, oltreché l'idea sbagliata

che il calcio possa essere un tema "minore" su cui allentare un po', ogni

tanto, la tensione verso la buona fattura dei servizi, ha fatto un po' sfuggire

di mano il tutto, come spesso succede in questi casi, e siamo arrivati fin qui.

Si tratterebbe, in questo caso, di una dinamica sicuramente più onesta e

innocente di quella che altri hanno ipotizzato. Questo non vuol dire che divertirsi

così sia cosa buona e giusta.

Ora i lettori che sono arrivati fin qui (credo ben pochi: la maggior

parte commenta fermadosi al titolo e alla presentazione sulla pagina facebook,

dove probabilmente il pezzo sarà pubblicato, altrettanto probabilmente

accompagnato da una breve presentazione redazionale velata di una sottile

ironia, come di solito succede in questi casi) si chiederanno perché ho scritto

questa roba. Semplicemente perché mi è stato ripetuto più volte che il mio

scarso/nullo apprezzamento per Gallo quando sbraca parlando di calcio è

dovuto al mio gusto personale, in particolare alla mia fede juventina.

Rispondendo anche alla mission del mio blog, ho chiarito come e perché non

si possa derubricare il tutto semplicemente in questi termini, e che esistono

(certamente a fianco di quelle di gusto) anche ragioni di preoccupazione

decisamente più oggettive. Maneggiare un tema popolare e sentito al solo

scopo di buttarlo in vacca non è mai una buona idea, e alla lunga può

creare problemi.

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Scommesse, ora alcuni tifosi pensano alla

class action contro le proprie squadre

di ALESSANDRO OLIVA dal blog VIVA LA FIFA (LINKIESTA 13-06-2012)

Trenta tifosi di diverse squadre fra cui Atalanta, Brescia e Monza hanno

deciso di rivolgersi a un legale per iniziare una class action contro alcuni

calciatori di queste squadre, per far valere in sede legale il 'tradimento'

alla fede calcistica. La decisione arriva in seguito all'inchiesta sul

calcioscommesse che ha coinvolto diversi atleti accusati di aver

'venduto' alcune partite di serie A e B. Secondo il legale dei tifosi, Silverio

Vitali, ci sono gli estremi sia per il danno economico sia per quello morale

legato alla fede calcistica tradita.

Fra i trenta supporter ci sono anche tifosi dell'AlbinoLeffe, del Brescia e

del Monza. La strategia del legale è quella di ricorrere alla mediazione

civile, rivalendosi direttamente sui giocatori. Le adesioni saranno raccolte

fino alla fine di luglio, e le azioni legali partiranno in settembre.

Solo poche settimane fa, in mezzo alla bufera del calcioscommesse,

il presidente dell'Atalanta Antonio Percassi aveva detto: "Le società

devono avere la possibilità di rivalersi, e l'Atalanta farà tutto quello

che è nelle sue possibilità per rivalersi nei confronti di Doni e Masiello".

Ecco, a proprosito di Doni. L'Eco di Bergamo riporta oggi che circa 30

sostenitori nerazzurri hanno dato mandato all'avvocato Silverio Vitali

per valutare se ci siano i presupposti dell'azione legale. "Sotto il profilo

strettamente civilistico - ha spiegato l'avvocato al quotidiano - sia per

l'abbonamento a Sky, che per l'abbonamento allo stadio o il biglietto

della singola gara, cè' un contratto che prevede che l'incontro si svolga

secondo i crismi della correttezza, non che si svolga per arrivare a un

risultato predeterminato. In pratica lo spettatore non ha ricevuto quello

per cui ha pagato".

Pertanto, secondo Vitali, i tifosi potrebbero vedersi riconoscere un

risarcimento oscillante tra i 500 e i 2000 euro, comprensivo anche dei

danni morali. Vitali ha spiegato di essere già stato contattato anche da

chi ha scommesso in ricevitoria e non ha azzeccato il pronostico a causa

delle combine. "Per loro sarà più difficile stabilire le possibili spettanze

perchè non c'è prova di come sarebbe potuta finire altrimenti la gara.

Pero' il danno c'e' tutto: pure chi ha scommesso lecitamente sugli incontri

risultati taroccati ha diritto a un risarcimento".

E le brutte notizie per Doni non sono finite, visto che anche l'Atalanta ha

intenzione di chiedere i danni all'ex capitano.

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 13-06-2012)

Milan, momento della verità

Barbara e Galliani, chi vince?

Che succede al Milan? Ce lo chiedevamo da tempo (vedi Spy Calcio del 31

maggio) dopo i tanti segnali preoccupanti che arrivavano da via Turati. Uno

dei club più importanti al mondo, sta vivendo un momento difficile, di

ridimensionamento, e soprattutto di scarsa chiarezza. Di sicuro, la proprietà,

la Famiglia Berlusconi, adesso non ha più intenzione di spendere i soldi che

ha speso in passato. Anzi, vuole tagliare dove è possibile tagliare. Barbara

Berlusconi è entrata nel club con il suo agguerritissimo staff di tagliatori

di spese (e di teste?) ed è entrata soprattutto in rotta di collisione con

Adriano Galliani, storico amministratore delegato (e ultrà) rossonero. Barbara

è in pieno accordo coi fratelli Marina e Piersilvio, che del Milan non si sono

mai interessati: ora che Mediaset attraversa un momento di crisi, ecco che

anche al Milan è necessario risparmiare. Gattuso, Nesta, Seedorf, Inzaghi,

Zambrotta e Van Bommel sono già andati via (e andranno rimpiazzati). Thiago

Silva sta per partire per Parigi, destinazione Psg, il club degli sceicchi, di

Leonardo e di Ancelotti: in cassa, in via Turati, arriveranno oltre 40 milioni

di euro. Manna di questi tempi (ma anche Thiago Silva andrà sostituito, prima

o poi...). Se fosse possibile, con l'aria che tira, sarebbe messo in vendita

anche Ibrahimovic: ha litigato con Allegri (a Londra, in occasione della

partita con l'Arsenal) ma questo è un problema minore. Il vero guaio è che

Ibra costa 12 milioni netti all'anno di stipendio e ha ancora due stagioni di

contratto: chi lo prende? Giusto gli sceicchi potrebbero fare una pazzia del

genere, che sarebbe peraltro molto "gradita" al Milan. Ma poi bisognerà

ricostruire una squadra all'altezza. I tifosi rossonero sono preoccupati e già

mugugnano. Chi comanda in casa rossonera? Il fronte Barbara o quello Galliani?

Di sicuro il fronte Barbara ha già sondato la disponibilità di Claudio Fenucci

e Michele Uva per il futuro. Anzi, volevano che arrivassero subito. Ma finché

c'è Galliani (e Braida) come fare? Ci sono anche voci che parlano di un taglio

di una quarantina di dipendenti, su un totale di 180: sarebbero traumatico,

sono tutte persone scelte in questi anni da Galliani. . . L'ipotesi migliore,

per restare competitivi, sarebbe quella di un ingresso in società degli

sceicchi (non quelli del Psg, ma quelli legati alla Emirates, la compagnia

aerea sponsor del Milan). Gente che ha soldi liquidi, e se prendesse il 30 per

cento del Milan ecco che Marina, Barbara e Piersilvio Berlusconi potrebbero

guardare con maggiore fiducia al futuro. Ma c'è poco tempo da perdere: è ora

che si fanno le squadre per il futuro e il Milan è in ritardo.

Progetto Csi: una società sportiva in ogni parrocchia

Oltre 400 delegati hanno appena rieletto, con il 93% dei voti, Massimo Achini

presidente del Csi per il quadriennio 2012-2016. La mission di Achini, membro

della Giunta del Coni, è di vivere i prossimi quattro anni all'insegna di un

sogno: aprire una società sportiva in ogni parrocchia d'Italia. E a portare

avanti questo ambizioso progetto non sarà solo: il mondo sportivo e le

istituzioni hanno accolto il suo appello, in coerenza con lo slogan scelto per

l'Assemblea, "Giocare per credere". "Il CSI di fronte alla crisi del nostro

tempo vuole reagire pensando ad una grande stagione di sviluppo di tutta

l'Associazione - ha affermato Achini - Vogliamo portare lo sport dappertutto e

tra tutti i ragazzi perché siamo convinti che sia un immenso bene educativo.

Per noi è naturale indicare come priorità delle priorità l'ambiziosa sfida di

dare vita ad un gruppo sportivo in ciascuna delle 26 mila parrocchie del

paese. È una sfida grande, immensa. Ma il Csi è in grado di vincerla. Lo sport

in oratorio non rappresenta il passato ma il presente e il futuro del sistema

sportivo italiano e rappresenta un patrimonio di inestimabile valore educativo

per tutto il Paese".

Tavaroli conferma: "L'Inter spiava anche Moggi"

Giuliano Tavaroli, l'ex capo della security di Telecom e Pirelli, sentito al

processo sui dossier illegali, ha confermato oggi a Milano di aver ricevuto da

parte dell'Inter incarico di "spiare" non solo l'ex arbitro Massimo De Santis

ma anche l'ex dg juventino, Luciano Moggi. Tavaroli, che ha aggiunto che ''i

report furono consegnati integralmente a Giacinto Facchetti, allora

vicepresidente nerazzurro'', ha affermato di non ricordare se ci fosse stata

attività su Antonio Giraudo, ex a. d. della Juventus. Tavaroli, sentito come

testimone - imputato di reato connesso, ha spiegato che su Moggi fu Adamo

Bove, l'ex dirigente Telecom morto suicida, a fare ''l'analisi del traffico

telefonico''. L'ex capo della security ha inoltre spiegato che questa attività

''era finalizzata a confermare dichiarazioni che l'Inter aveva ricevuto da un

arbitro su possibili frodi fiscali''. Inoltre ha aggiunto che sull'esito del

dossieraggio ''ebbi un incontro col dottor Facchetti. Non so se Facchetti poi

riferì a Moratti''. In futuro sarà sentito anche Cipriani. Bobo Vieri e De

Santis, difeso dall'avvocato Paolo Gallinelli, hanno intentato una causa per

danni all'Inter, chiedendo circa 20 milioni di euro ciascuno. Ora potrebbe

aggiungersi anche Moggi. Dal punto di vista sportivo è tutto prescritto

___

JUVE E I 30 SCUDETTI:

NON È ORA DI FINIRLA?

NELL'ALBO D'ORO CE NE SONO SOLO 28, MA I BIANCONERI

LA VIVONO COME UN'INGIUSTIZIA. E RIAFFERMANO SULLA

MAGLIA IL TRAGUARDO NEGATO DALLA GIUSTIZIA SPORTIVA

RISPONDE Maurizio Crosetti giornalista di Repubblica (OGGI N.25 20-06-2012)

La Juventus sente di avere vinto 30 scudetti, ma nell'albo d'oro sono 28 e

resteranno 28. La polemica sul computo dei campionati aveva già annoiato

abbastanza durante l'epilogo del torneo, in cui i bianconeri hanno meritato di

trionfare: sono stati i più bravi, anche questo è un dato di fatto che nessuno

cancellerà, punto. L'ultima idea del presidente Andrea Agnelli è la scritta

sulla maglia, non la terza stella troppo provocatoria e pure vietata dalla

Federcalcio: i tifosi saranno contenti, però basta. Sulla maglietta si può

scrivere quello che si vuole, anche «Sono Napoleone» oppure «tvb by

Sharon», ma le sentenze della giustizia sportiva e ordinaria restano

e non sono cancellabili: Moggi e Giraudo non sono stati una fantasia, un

incubo, ma la realtà juventina per oltre un decennio, e la giustizia sportiva li

ha radiati (quella ordinaria ha già condannato Giraudo, che patteggiò). La

Juve pensi semmai al presente e al futuro, allo scudetto da difendere e

all'assalto alla Champions League dopo troppo tempo: è molto forte, può

esserlo ancora di più, voltarsi sempre indietro fa solo venire il torcicollo.

I tifosi bianconeri hanno appena vinto uno degli scudetti più belli della

loro storia ultracentenaria: non di cartone ma di carne, lacrime e sangue.

Ventottesimo? Trentesimo? Uffa che barba.

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 13-06-2012)

Milan, momento della verità

Barbara e Galliani, chi vince?

Che succede al Milan? Ce lo chiedevamo da tempo (vedi Spy Calcio del 31

maggio) dopo i tanti segnali preoccupanti che arrivavano da via Turati. Uno

dei club più importanti al mondo, sta vivendo un momento difficile, di

ridimensionamento, e soprattutto di scarsa chiarezza. Di sicuro, la proprietà,

la Famiglia Berlusconi, adesso non ha più intenzione di spendere i soldi che

ha speso in passato. Anzi, vuole tagliare dove è possibile tagliare. Barbara

Berlusconi è entrata nel club con il suo agguerritissimo staff di tagliatori

di spese (e di teste?) ed è entrata soprattutto in rotta di collisione con

Adriano Galliani, storico amministratore delegato (e ultrà) rossonero. Barbara

è in pieno accordo coi fratelli Marina e Piersilvio, che del Milan non si sono

mai interessati: ora che Mediaset attraversa un momento di crisi, ecco che

anche al Milan è necessario risparmiare. Gattuso, Nesta, Seedorf, Inzaghi,

Zambrotta e Van Bommel sono già andati via (e andranno rimpiazzati). Thiago

Silva sta per partire per Parigi, destinazione Psg, il club degli sceicchi, di

Leonardo e di Ancelotti: in cassa, in via Turati, arriveranno oltre 40 milioni

di euro. Manna di questi tempi (ma anche Thiago Silva andrà sostituito, prima

o poi...). Se fosse possibile, con l'aria che tira, sarebbe messo in vendita

anche Ibrahimovic: ha litigato con Allegri (a Londra, in occasione della

partita con l'Arsenal) ma questo è un problema minore. Il vero guaio è che

Ibra costa 12 milioni netti all'anno di stipendio e ha ancora due stagioni di

contratto: chi lo prende? Giusto gli sceicchi potrebbero fare una pazzia del

genere, che sarebbe peraltro molto "gradita" al Milan. Ma poi bisognerà

ricostruire una squadra all'altezza. I tifosi rossonero sono preoccupati e già

mugugnano. Chi comanda in casa rossonera? Il fronte Barbara o quello Galliani?

Di sicuro il fronte Barbara ha già sondato la disponibilità di Claudio Fenucci

e Michele Uva per il futuro. Anzi, volevano che arrivassero subito. Ma finché

c'è Galliani (e Braida) come fare? Ci sono anche voci che parlano di un taglio

di una quarantina di dipendenti, su un totale di 180: sarebbero traumatico,

sono tutte persone scelte in questi anni da Galliani. . . L'ipotesi migliore,

per restare competitivi, sarebbe quella di un ingresso in società degli

sceicchi (non quelli del Psg, ma quelli legati alla Emirates, la compagnia

aerea sponsor del Milan). Gente che ha soldi liquidi, e se prendesse il 30 per

cento del Milan ecco che Marina, Barbara e Piersilvio Berlusconi potrebbero

guardare con maggiore fiducia al futuro. Ma c'è poco tempo da perdere: è ora

che si fanno le squadre per il futuro e il Milan è in ritardo.

Progetto Csi: una società sportiva in ogni parrocchia

Oltre 400 delegati hanno appena rieletto, con il 93% dei voti, Massimo Achini

presidente del Csi per il quadriennio 2012-2016. La mission di Achini, membro

della Giunta del Coni, è di vivere i prossimi quattro anni all'insegna di un

sogno: aprire una società sportiva in ogni parrocchia d'Italia. E a portare

avanti questo ambizioso progetto non sarà solo: il mondo sportivo e le

istituzioni hanno accolto il suo appello, in coerenza con lo slogan scelto per

l'Assemblea, "Giocare per credere". "Il CSI di fronte alla crisi del nostro

tempo vuole reagire pensando ad una grande stagione di sviluppo di tutta

l'Associazione - ha affermato Achini - Vogliamo portare lo sport dappertutto e

tra tutti i ragazzi perché siamo convinti che sia un immenso bene educativo.

Per noi è naturale indicare come priorità delle priorità l'ambiziosa sfida di

dare vita ad un gruppo sportivo in ciascuna delle 26 mila parrocchie del

paese. È una sfida grande, immensa. Ma il Csi è in grado di vincerla. Lo sport

in oratorio non rappresenta il passato ma il presente e il futuro del sistema

sportivo italiano e rappresenta un patrimonio di inestimabile valore educativo

per tutto il Paese".

Tavaroli conferma: "L'Inter spiava anche Moggi"

Giuliano Tavaroli, l'ex capo della security di Telecom e Pirelli, sentito al

processo sui dossier illegali, ha confermato oggi a Milano di aver ricevuto da

parte dell'Inter incarico di "spiare" non solo l'ex arbitro Massimo De Santis

ma anche l'ex dg juventino, Luciano Moggi. Tavaroli, che ha aggiunto che ''i

report furono consegnati integralmente a Giacinto Facchetti, allora

vicepresidente nerazzurro'', ha affermato di non ricordare se ci fosse stata

attività su Antonio Giraudo, ex a. d. della Juventus. Tavaroli, sentito come

testimone - imputato di reato connesso, ha spiegato che su Moggi fu Adamo

Bove, l'ex dirigente Telecom morto suicida, a fare ''l'analisi del traffico

telefonico''. L'ex capo della security ha inoltre spiegato che questa attività

''era finalizzata a confermare dichiarazioni che l'Inter aveva ricevuto da un

arbitro su possibili frodi fiscali''. Inoltre ha aggiunto che sull'esito del

dossieraggio ''ebbi un incontro col dottor Facchetti. Non so se Facchetti poi

riferì a Moratti''. In futuro sarà sentito anche Cipriani. Bobo Vieri e De

Santis, difeso dall'avvocato Paolo Gallinelli, hanno intentato una causa per

danni all'Inter, chiedendo circa 20 milioni di euro ciascuno. Ora potrebbe

aggiungersi anche Moggi. Dal punto di vista sportivo è tutto prescritto

___

JUVE E I 30 SCUDETTI:

NON È ORA DI FINIRLA?

NELL'ALBO D'ORO CE NE SONO SOLO 28, MA I BIANCONERI

LA VIVONO COME UN'INGIUSTIZIA. E RIAFFERMANO SULLA

MAGLIA IL TRAGUARDO NEGATO DALLA GIUSTIZIA SPORTIVA

RISPONDE Maurizio Crosetti giornalista di Repubblica (OGGI N.25 20-06-2012)

La Juventus sente di avere vinto 30 scudetti, ma nell'albo d'oro sono 28 e

resteranno 28. La polemica sul computo dei campionati aveva già annoiato

abbastanza durante l'epilogo del torneo, in cui i bianconeri hanno meritato di

trionfare: sono stati i più bravi, anche questo è un dato di fatto che nessuno

cancellerà, punto. L'ultima idea del presidente Andrea Agnelli è la scritta

sulla maglia, non la terza stella troppo provocatoria e pure vietata dalla

Federcalcio: i tifosi saranno contenti, però basta. Sulla maglietta si può

scrivere quello che si vuole, anche «Sono Napoleone» oppure «tvb by

Sharon», ma le sentenze della giustizia sportiva e ordinaria restano

e non sono cancellabili: Moggi e Giraudo non sono stati una fantasia, un

incubo, ma la realtà juventina per oltre un decennio, e la giustizia sportiva li

ha radiati (quella ordinaria ha già condannato Giraudo, che patteggiò). La

Juve pensi semmai al presente e al futuro, allo scudetto da difendere e

all'assalto alla Champions League dopo troppo tempo: è molto forte, può

esserlo ancora di più, voltarsi sempre indietro fa solo venire il torcicollo.

I tifosi bianconeri hanno appena vinto uno degli scudetti più belli della

loro storia ultracentenaria: non di cartone ma di carne, lacrime e sangue.

Ventottesimo? Trentesimo? Uffa che barba.

CAPRAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

FIGLIO DI tr**a

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Nuovo contropiede di Tavaroli

“L’Inter mi fece spiare anche Moggi”

Operazione Ladroni: la Juve tra gli obiettivi degli uomini Telecom

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 14-06-2012)

La nuova testimonianza di Giuliano Tavaroli, ex capo della security di Telecom

e Pirelli, nell’aula bunker del tribunale di Milano è come il sequel di un

film. Il primo tempo di Tavaroli al processo sui dossier illegali si era

concluso con l’accusa, diretta, al patron dell’Inter Massimo Moratti. «Sì, è

stato lui a darmi l’input per confezionare il dossier Ladroni (l’operazione di

spionaggio ai danni dell’arbitro De Santis, ndr). Per l’Inter... », così l’ex

dirigente una settimana fa. Ieri, un passo avanti. «Non io direttamente, ma

Bove (ex responsabile sicurezza Telecom, morto suicida, ndr) svolse analisi di

traffico telefonico su Moggi. I report furono consegnati integralmente a

Giacinto Facchetti, allora vicepresidente nerazzurro. . . », così Tavaroli.

Il sequel è servito. Prima l’allora arbitro De Santis, poi, secondo le

rivelazioni di Tavaroli in aula, Luciano Moggi e, forse, l’ex amministratore

delegato della Juve di quegli anni - stagione 2002-2003 - Antonio Giraudo

perché sull’opera di spionaggio ai danni di quest’ultimo, l’ex capo della

security Pirelli non conferma, ma non smentisce («Non ricordo. . . », la sua

risposta nel dibattimento in corso). Il tutto all’interno di un’operazione,

denominata Ladroni, che il presidente dell’Inter Moratti ha sempre negato di

aver avviato, ma che, adesso, Tavaroli prova a definire nei suoi contorni.

L’Inter non parla: dal club nerazzurro non arriva alcun commento alle verità

di Tavaroli in un procedimento dove la società interista non è mai entrata.

L’avvocato di De Santis, Paolo Gallinelli, si sofferma sul fatto che «l’aver

messo sotto controllo, pedinandolo, Cristian Vieri, particolare ammesso dallo

stesso Moratti, è cosa ben diversa e meno grave di aver messo in atto un’opera

di spionaggio su un arbitro e, alla luce delle dichiarazioni sotto giuramento

di Tavaroli di ieri, anche sullo stesso Luciano Moggi. Senza dimenticare i

dubbi su Giraudo: negli appunti della segretaria Plateo sono state ritrovate

più utenze riconducibili alla Juventus. Tavaroli - così il legale - aveva

avuto incarico di verificare l’eventuale esistenza di frodi sportive: ma le

procure della Repubblica o quella della Federcalcio a cosa servono?».

-------

Calcioscommesse

Pepe «blindato»

40 minuti in Figc

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 14-06-2012)

L’arrivo di Simone Pepe in Federcalcio per l’audizione davanti agli uomini del

pm del pallone Stefano Palazzi è blindata così come la sgommata, dopo nemmeno

quaranta minuti, lontano dalla Capitale. Pepe non parla e non si vede perchè,

a proteggerlo, c’è l’entrata segreta della Figc: agli inquirenti federali ha

raccontato di non saper niente sull’andamento di Udinese-Bari del 9 maggio del

2010, niente di strani movimenti, assolutamente niente sulla telefonata che

avrebbe ricevuto da Salvatore Masiello alla vigilia della sfida perchè, dice

Pepe, quella chiamata non c’è mai stata. Nella lunga giornata di audizioni,

ieri, in procura c’è stato spazio anche per Cristian Stellini, collaboratore

di Conte alla Juve, ma, soprattutto di tanto Bari. «Noi siamo parte lesa», il

coro dei vertici pugliesi.

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il Fatto Quotidiano 14-06-2012

Calciopoli, la vera storia

In un libro, il pm Narducci ricostruisce la vicenda dove è stata

coinvolta (e colpita) la Serie A. Ieri nel processo sui dossier

illegali, Tavaroli ha ammesso di aver messo sotto controllo Moggi

Nel giorno in cui esce in libreria “Calciopoli, la vera storia” di

Giuseppe Narducci con prefazione di Marco Travaglio (Edizioni Alegre,

270 pagg., 15 euro), a Milano, al processo sui dossier illegali, l'ex

responsabile sicurezza di Telecom e Pirelli, Giuliano Tavaroli,

ammette di aver messo sotto controllo l'allora direttore sportivo

della Juventus, Luciano Moggi. “Ricevetti in un incontro a tre Massimo

Moratti e Giacinto Facchetti. Il report era teso a confermare le

rivelazioni di un arbitro in merito a possibili frodi sportive del

2002. Consegnai integralmente il rapporto a Facchetti. Poi ne

discutemmo assieme, ma non so se Moratti fu messo al corrente

dell'esito delle indagini”. Citiamo la notizia, che è di ieri, perché

nel libro di Narducci, che di Calciopoli è stato il pm e che ha visto

sostanzialmente confermate dalla sentenza il proprio impianto

accusatorio, c'è una parte molto chiara su questa vicenda che chiama

in causa direttamente il modo in cui Luciano Moggi – condannato in

primo grado – distribuiva le utenze telefoniche riservate. Modalità

che sembra aver poco a che fare con il presunto spionaggio di

Tavaroli. Ecco uno stralcio del libro.

di GIUSEPPE NARDUCCI

Ma la versione di Moggi risulta ancor più inverosimile quando sostiene di

essere venuto a conoscenza – in un periodo imprecisato – di intercettazioni

del noto investigatore privato Cipriani che, insieme all’altrettanto noto

Giuliano Tavaroli – che lavorava per l’azienda Telecom – conduceva attività di

spionaggio. Moggi lo definisce spionaggio industriale e allude al fatto che lo

spionaggio si lega alle vicende di calciomercato. Avrebbe, dunque, fatto

ricorso alla consegna delle schede per fini di tutela dallo spionaggio altrui.

L’inconsistenza di questa versione viene anzitutto sottolineata proprio da uno

dei giornalisti presenti che gli chiede: “Scusi, Moggi, ma che c’entra con lo

spionaggio industriale e col calcio-mercato lei, dirigente della società Juve

insieme al Signor Giraudo ed altri... che cosa c’entra tutto questo con schede

date al designatore arbitrale Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto?”. Potremmo

tranquillamente da soli fornire la risposta, ma proviamo, per un attimo, a

prendere seriamente in considerazione questa versione. Moggi lascia intendere

che società concorrenti svolgano indebitamente delle attività per carpire

informazioni riservate. Come mai però Moggi, per tutelarsi da uno spionaggio

industriale che colpisce la sua società, invece di fornire una scheda al

signor Antonio Giraudo – amministratore delegato della Juve – e magari ad

altri stretti collaboratori societari, fornisce, per sua stessa ammissione,

una scheda ai designatori Bergamo e Pairetto? I designatori dovrebbero gestire

la scelta di arbitri e assistenti per le partite di Serie A e B, senza alcuna

comunanza di interessi con una delle parti in causa. Magari ci saremmo

aspettati che una scheda fosse stata data a procuratori dei calciatori visto

che, quando si trattano acquisti e cessioni, gli accordi si fanno fra società,

ma anche con colui che cura gli interessi del calciatore.

Invece, le schede non vengono consegnate a persone con ruoli similari a

quelli di Moggi, ma ai designatori e ad una sfilza di arbitri. Tra l’altro, le

conversazioni che siamo riusciti ad ascoltare sulle utenze svizzere non hanno

mai nulla a che fare col segreto industriale o con il calciomercato, mentre,

invece, si parla di sorteggi e scelta di arbitri e assistenti per le partite”.

Il modo in cui venivano utilizzate le schede svizzere, per evitare le

intercettazioni, è chiaramente illustrato nella testimonianza che ai

magistrati rende uno degli imputati, l'arbitro Paolo Bergamo. (…)

Nell’interrogatorio del 25 Maggio 2006, Bergamo, sollecitato da noi Pm, ha

risposto:

Bergamo: Effettivamente Moggi mi consegnò.. . probabilmente fra il Dicembre

2004 e il Gennaio 2005... un apparecchio cellulare contenente una scheda di

nazionalità sicuramente non italiana... e dunque adesso non riesco a fornire

indicazioni più precise. . . affinché comunicassimo con tale apparecchio.

Pm: Scusi, Bergamo, attraverso quale attività e azione materiale lei

effettuava la ricarica di questa scheda?

Bergamo: Su indicazione di Moggi, digitavo un codice numerico sull’utenza

cellulare sapendo che attraverso questa semplice operazione la scheda veniva

ricaricata.

Pm: Con chi ha parlato? Utilizzando quella scheda?

Bergamo: Ho ricevuto telefonate solo da Luciano Moggi e Pierluigi Pairetto. . .

Anzi preciso che certamente ho ricevuto telefonate su detta utenza da Luciano

Moggi... e quanto a Pairetto, non rammento se ho ricevuto da lui telefonate,

ovvero se sono stato io a telefonare allo stesso Pairetto.

Pm: Qual era il contenuto delle conversazioni?

Bergamo: Si è deciso di utilizzare l’apparecchio anche per nostre

comunicazioni su argomenti più delicati.

Pm: E perché questi argomenti non potevano essere affrontati nel corso di

normali conversazioni sulle ordinarie utenze telefonic he?

Bergamo: Si trattava di questioni molto particolari e delicate che

preferivamo affrontare anche di persona.

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AL PROCESSO TELECOM

«Sì, spiavo Moggi per conto dell’Inter»

art.non firmato (TUTTOSPORT 14-06-2012)

SOTTO giuramento, davanti ai giudici della Corte d’ Assise di Milano

presieduta da Piero Damaggio, Giuliano Tavaroli ha confermato di aver

svolto indagini illegali sui dirigenti della Juventus e sull’ex arbitro Massimo

De Santis, aggiungendo dettagli e circostanze. Come il fatto che il dossier

doveva essere pagato dall’Inter, ma solo per un «mero errore amministrativo»

fu fatturato a Pirelli. L’ex capo della security di Telecom e Pirelli,

convocato al processo sulla vicenda dei dossier illegali per la quale ha

patteggiato 4 anni, ha risposto alle domande dell’avvocato di De Santis, Paolo

Gallinelli per la parte “sportiva”.

Ha detto Tavaroli: «Non svolsi le indagini io personalmente, ma credo che lo

fece il dottor Bove (l’ex manager Telecom morto suicida) sicuramente sul

traffico telefonico di Luciano Moggi, oltre che su quello di Massimo De

Santis. Non ricordo se anche su quello di Antonio Giraudo». Esiste, tuttavia,

un appunto interno, scritto da Caterina Agata Plateo, collaboratrice di Bovo

in cui sono annotati i vari numeri telefonici da controllare e fra questi

Giraudo ha riconosciuto il suo.

Ha aggiunto Tavaroli: «Ricevetti in un incontro a tre Massimo Moratti e

Giacinto Facchetti. Il report era teso a confermare le rivelazioni di un

arbitro in merito a possibili frodi sportive del 2002. Consegnai integralmente

il rapporto a Facchetti. Poi ne discutemmo assieme, ma non so se Moratti fu

messo al corrente dell’esito delle indagini». L’arbitro in questione è Danilo

Nucini che, in quel periodo, aveva contattato Facchetti per riferirgli di

contatti fra Moggi e De Santis. Infine Tavaroli ha parlato delle indagini su

Vieri e gli altri calciatori dell’Inter: «Quello fu il primo incarico per cui

l’Inter si rivolse a Tronchetti Provera e quindi a me per un supporto

professionale. Le attività vennero poi condotte dall’agenzia Polis d’Istinto.

Chi pagò? L’Inter. Mentre per il dossier Ladroni (su Moggi e De Santis, ndr)

pagò Pirelli per un errore amministrativo».

-------

TRA EUROPEO E MERCATO 15 domande per capire il caso

Altre ombre sul titolo 2006

L’accusa di Tavaroli può riaprire la questione insabbiata dalla Figc. E quel computer...

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 14-06-2012)

1 Quando si svolsero le indagini illegali di cui parla Tavaroli nella

sue deposizione?

Fra il 2002 e il 2003, quindi molto prima che partisse l’indagine della

Procura di Napoli che poi è sfociata nel processo sia sportivo che penale di

Calciopoli. Curioso che l’impianto teorico su cui si basano le indagini di

Tavaroli è identico a quello su cui si applica Narducci, così come coincidono

i personaggi indagati: Moggi, Giraudo, De Santis e i designatori arbitrali.

2 Di che tipo di indagini si tratta esattamente?

Analisi dei tabulati telefonici (sostanzialmente per capire con chi parlavano

gli indagati), ma per quanto riguarda De Santis ci furono anche pedinamenti,

visure dei conti bancari suoi e dei suoi parenti più stretti. Queste indagini

sono contenute nel report “Operazione Ladroni” di cui solo una parte è finito

nelle mani degli inquirenti. Lo stesso Tavaroli quando ha visto quella

versione l’ha giudicata «incompleta».

3 E’ vero che quelle indagini diedero origine a un esposto al pm

milanese Ilda Bocassini?

Esiste un fascicolo, archiviato come modello 45, che se aperto potrebbe

rivelare il mistero dell’esposto interista alla Bocassini. Secondo alcune

ricostruzioni l’Inter spinse Nucini a parlare la pm milanese, ma poi l’arbitro

non fornì elementi per aprire un’indagine rimangiandosi, davanti alla

Bocassini, quanto aveva riferito a Facchetti. Secondo un’altra ricostruzione

l’esposto sarebbe partito direttamente dall’Inter. Quel fascicolo, per il

momento, non è stato aperto.

4 Moratti ha mai ammesso di aver commissionato quelle indagini?

Moratti ha ammesso l’esistenza di un dossier sul solo arbitro De Santis, ma

ha sempre negato di averlo commissionato e non era mai emerso che le indagini

riguardassero anche i dirigenti della Juventus. Questo anche alla Procura

Federale che lo sentì in merito.

5 Quindi le parole di Tavaroli sono in netta contrapposizione con

quelle di Moratti: il presidente dell’Inter ha smentito Tavaroli o ha

commentato in qualche modo?

Per il momento non risultano commenti o smentite di Moratti alle parole di

Tavaroli. Anche se dall’ambiente interista trapela fastidio per quanto sta

emergendo dal processo Telecom e nei confronti della figura di Tavaroli,

ritenuto inattendibile.

6 Quali conseguenze possono esserci per Moratti?

Nessuna dal punto di vista penale. Dovrà però rispondere in sede civile alle

richieste danni di De Santis e Vieri che l’hanno citato per essere stati

“spiati” illegalmente. In questo senso le parole di Tavaroli sono pesantissime,

perché specifica il modo con cui è stato commissionato il dossier, come è

stato fatto e come è stato consegnato. Restano, insomma, pochi dubbi

sull’esistenza di quelle indagini illegali.

7 Quanti soldi hanno chiesto De Santis e Vieri?

L’ex centravanti dell’Inter ha chiesto 21 milioni, De Santis non ha

quantificato il danno, lasciando al giudice la decisione, indicando come

parametro la richiesta di Vieri.

8 L’Inter o Moratti possono essere sanzionati dal punto di vista

sportivo?

Quei reati sono prescritti, quindi tecnicamente la giustizia sportiva non può

agire contro Moratti o l’Inter. Certamente pesa dal punto di vista etico la

clamorosa contraddizione fra le parole di Tavaroli e Moratti: uno dei due ha

mentito, o Tavaroli nella sua deposizione alla Corte d’Assise di Milano o

Moratti alla Figc.

9 Lo scudetto del 2006, assegnato all’Inter a tavolino, a questo punto

può essere rimesso in discussione?

Tecnicamente la questione è stata seppellita dalle due dichiarazioni di

incompetenza del Consiglio Federale e del Tnas. La Juventus è ricorsa alla

Corte d’Appello di Roma contro la “non-decisione” del Tnas. Ci sarebbe

l’opportunità di ricorrere all’articolo 39 del codice di giustizia sportiva

per la revisione del processo del 2006, ma per il momento nessuno di chi ne

avrebbe diritto sembra averlo messo in agenda.

10 La Figc cosa dice?

Per il momento nulla. Ma è di sicuro una situazione imbarazzante dover

difendere la posizione del 2006: lo scudetto assegnato a tavoli a una società

che, se Tavaroli non mente, aveva commissionato indagini illegali nei

confronti dei dirigenti di un altro club. Senza considerare la durissima

relazione Palazzi di un anno fa, che condannò duramente i le violazioni

dell’Inter, emerse dalle nuove prove di Calciopoli, ma prescritte per la

giustizia sportiva.

11 La Juventus che posizione tiene?

Sta seguendo con grandissima attenzione la vicenda del processo Telecom,

ma non ci sono nuove azioni in vista, anche perché procedono quelel

già esistenti.

12 In sede di Tar e Corte d’Appello, dove la Juventus è ricorsa per le

questioni scudetto 2006 e Calciopoli, possono essere utilizzate le

parole di Tavaroli?

Certamente e avranno sicuramente peso nel dimostrare le tesi della Juventus

sulla mancanza di chiarezza in tutta la vicenda Calciopoli. E per quanto

riguarda il ricorso alla Corte d’Appello contro la “non-decisione” del Tnas di

revocare lo scudetto 2006, le eventuali responsabilità dell’Inter nello

spionaggio di Moggi e Giraudo sono elementi “pesanti”.

13 Che effetto possono avere le parole di Tavaroli sull’appello del

processo Calciopoli di Napoli?

Notevole. Perché gettano nuove ombre sulle indagini e perché avvalorano una

delle tesi di Moggi che ha sempre sostenuto di essere spiato dalla concorrenza

e che per questo aveva adottato le schede svizzere, non come strumento di

un’associazione a delinquere. Il suo avvocato Maurilio Prioreschi sta seguendo

con attenzione il processo Telecom.

14 Moggi può chiedere i danni a Moratti per essere stato spiato?

Sì, Moggi si è costituito parte civile nel processo Telecom.

15 E il computer di Tavaroli che venne spedito da Milano a Roma?

Quando se ne saprà di più?

Dopo la brillante scoperta dell’avvocato Gallinelli di un decreto di

ispezione che “spediva” un computer di Tavaroli sequestrato a Milano e mandato

a Roma per essere ispezionato (decisione molto inconsueta) proprio dalla

sezione dei Carabinieri che indagavano su Calciopoli potrebbe riservare

sorprese. Ieri Gallinelli ha chiesto i verbali di quella ispezione, nei

prossimi giorni si saprà di più.

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