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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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IL CASO

«Spiato pure Moggi

L’Inter cercava prove

su frodi sportive»

Tavaroli torna sul Dossier Ladroni: «Prima incontrai

Moratti e Facchetti, poi diedi il report a quest’ultimo»

di MARCO IARIA (GaSport 14-06-2012)

Inter, Moggi, Dossier Ladroni, frodi sportive. Sta in questo intreccio di

parole la nuvola nera che avvolge Calciopoli, e che ieri Giuliano Tavaroli ha

contribuito a rendere ancor più densa. Nel corso della sua deposizione-bis al

processo sullo spionaggio Telecom, nell'aula bunker di San Vittore, l'ex capo

della sicurezza del gruppo (che ha patteggiato 4 anni di carcere) è tornato a

parlare delle indagini illegali che, come lui stesso aveva rivelato una

settimana fa, gli furono commissionate da Massimo Moratti per poi essere

gestite con Giacinto Facchetti. Una conferma della versione che rese ai pm

milanesi nel 2006, e contorni circostanziati.

Excursus Incalzato dalle domande dell'avvocato Paolo Gallinelli, legale

dell'ex arbitro Massimo De Santis, Tavaroli ha spiegato che tutto partì da «un

incontro a tre con Moratti e Facchetti». Il motivo del Dossier Ladroni,

confezionato tra il 2002 e il 2003? «Trovare conferma alle notizie su

possibili frodi sportive che l'Inter aveva ricevuto da un arbitro (Danilo

Nucini, ndr)». Quindi la fase esecutiva: «Non svolsi le indagini io

personalmente, ma fu il dottor Adamo Bove (ex dirigente della sicurezza Tim,

morto suicida, ndr) a fare le analisi sui traffici telefonici, anche su quello

di Luciano Moggi, oltre che di De Santis, non ricordo se pure su quello di

Antonio Giraudo». Infine, «i report furono consegnati integralmente a

Facchetti (allora vicepresidente dell'Inter, ndr), non so se lo stesso riferì

le risultanze a Moratti». Una parte dell'attività spionistica venne delegata

all'agenzia Polis d'Istinto dell'investigatore privato Emanuele Cipriani, che

si era già occupata di spiare alcuni giocatori nerazzurri come Vieri, Jugovic

e Ronaldo. «Ma l'operazione "Care" era completamente diversa, perché

riguardava dipendenti dell'Inter — la precisazione di Tavaroli —. Quella fu la

prima volta in cui l'Inter si rivolse a Tronchetti Provera e quindi a me per

un supporto professionale. Pagò la società nerazzurra, mentre il Dossier

Ladroni venne pagato da Pirelli per un errore amministrativo».

Scenari Mentre nel procedimento sullo spionaggio Telecom — come riferito dal

Corriere della Sera — sono state archiviate le posizioni dei manager

Tronchetti e Buora, De Santis aspetta l'udienza autunnale per la causa di

risarcimento danni nei confronti dell'Inter: la richiesta è di 21 milioni,

sulla scia dell'istanza di Vieri. Dal punto di vista sportivo, gli eventuali

reati sono ormai prescritti. Il 3 ottobre 2006, ascoltato dal capo

dell'ufficio indagini Figc Francesco Saverio Borrelli, Moratti raccontò di

essersi rivolto a Tavaroli ma di non avergli dato alcun mandato per redigere

dossier su De Santis né di aver visto alcun documento in merito. Il 22 giugno

2007 la procura federale archiviò il caso. Le parole di Tavaroli riaccendono

il dibattito e riportano alla ribalta la questione etica.

-------

NEL 2005

Pc di Tavaroli ispezionato

dai carabinieri di Calciopoli

di MARCO IARIA (GaSport 14-06-2012)

Tra le carte del processo sui dossier illegali Telecom, l'avvocato Paolo

Gallinelli, rappresentante di De Santis come parte civile, ha scovato un atto

della Procura di Milano risalente al 9 giugno 2005. È un decreto d'ispezione

che riguarda materiale informatico di Tavaroli sequestrato il 3 maggio di

quello stesso anno negli uffici Telecom. Viene deciso di far monitorare quel

computer, a partire dal 15 giugno 2005, ai carabinieri della seconda sezione

del nucleo operativo di via in Selci a Roma, guidata dal tenente colonnello

Attilio Auricchio.

L'avvocato Rileva Gallinelli: «È una coincidenza strana che il computer di

Tavaroli sia stato ispezionato, nell'ambito delle indagini su Telecom, dallo

stesso ufficio dell'Arma che si occupava di Calciopoli, sul finire della

stagione sportiva 2004-05, quando le indagini su Calciopoli non erano state

chiuse e le informative sulle schede svizzere dovevano ancora essere

realizzate». Il legale di De Santis è al lavoro per studiare il verbale

dell'operazione e capire a cosa portò quell'ispezione dei carabinieri.

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Pepe: «Udinese-Bari?

Non so nulla di combine

o proposte al telefono»

Il giocatore della Juve respinge le accuse di Andrea Masiello

Stellini, vice di Conte, contro Carobbio. Oggi Di Vaio da Palazzi

di GAETANO IMPARATO (GaSport 14-06-2012)

Non c'entriamo niente: pensieri e deposizioni di Simone Pepe e Cristian

Stellini. Tirati in ballo dai pentiti, Andrea Masiello (per Pepe) e anche

Carobbio (per Stellini), hanno risposto in maniera categorica ai collaboratori

del procuratore Stefano Palazzi, durante le audizioni di ieri. In un

pomeriggio da caccia al tesoro nell'area via Allegri-via Po presidiata da

telecamere, cronisti e curiosi. Pepe e Stellini, con i loro legali, hanno

infatti dribblato ogni domanda pubblica, usando entrate secondarie ed uscite

lampo negli uffici della Federcalcio, e non quelli della Procura.

Niente telefonata Pepe doveva rispondere per Udinese-Bari, una delle

partite sotto le lenti di ingrandimento dell'inchiesta. Era stato Andrea Masiello

(da non confondere con Salvatore, che invece aveva scagionato martedì

pomeriggio la punta bianconera) a fare il suo nome. Ma tutta l'impalcatura

accusatoria sarebbe stata respinta da Pepe al mittente in 40 minuti. Come la

telefonata ricevuta in ritiro in cui si sarebbe rifiutato di truccare il match.

Il vice Conte Più lungo il colloquio con Stellini, che era presente anche nel

famoso Udinese-Bari. Stellini è stato sentito per la seconda volta dagli

inquirenti, in pratica gli si chiede anche del Siena, match citati da Carobbio,

compreso quel Novara-Siena che ha portato all'avviso di garanzia ad

Antonio Conte. Fra l'altro Stellini era stato già sentito dalla procura federale,

quando però il quadro accusatorio non si era completato con i nuovi documenti

provenienti da Cremona. Il collaboratore del tecnico juventino, però, ha

negato tutte le circostanze chiave sia su Bari-Udinese sia le accuse di

Carobbio, compreso il contenuto della riunione tecnica prima della partita a

Novara, cuore delle accuse del calciatore «pentito».

Bari truffato Anche sull'altro fronte, quello barese, gli inquirenti hanno

raccolto soltanto un coro di «siamo innocenti e, soprattutto, parte lesa,

abbiamo ancora le ferite aperte»: dal segretario Doronzo, al d. g. Garzelli e

il team manager Claudio Vino. In particolare, è stato il d.s. Guido Angelozzi

(sentito per circa tre ore) a prendere la parola all'uscita dagli uffici dopo

la lunga audizione: «Quello che avevo da dire l'ho ribadito in Procura, non ho

altro da aggiungere, ma confermo che il Bari è stato truffato». Nella giornata

di oggi è prevista un'altra lunga lista di interrogatori, fra cui quello con

Marco Di Vaio. Si parlerà di un Bologna-Bari, che da tempo figura nella

collezione delle gare sospette. Siamo però lontanissimi dal traguardo finale

delle sentenze, ci sono oltre 100 tesserati ancora da sentire. Ma se Palazzi,

con i suoi procuratori, è costretto agli straordinari, la Commissione

Disciplinare è anch'essa assediata dai documenti. Fatto sta che la

pubblicizzazione delle sentenze, le prime del calcioscommesse bis, prevista

per oggi, subirà un nuovo rinvio. Se ne potrebbe riparlare lunedì, a meno che

non ci sia un'accelerazione nelle prossime ore per diffondere il dispositivo

domani sera. Il fatto è che le posizioni sono tante e il contesto estremamente

delicato.

Doni e il Tnas Ieri il TNAS avrebbe dovuto discutere il ricorso presentato da

Doni contro la Federcalcio per avere uno sconto di pena. Doni, nelle udienze

della Disciplinare, aveva preannunciato al Tnas di rinunciare all'arbitrato.

La Federcalcio non ha ritenuto completa la sua rinuncia e, quindi,

nell'udienza di ieri ha comunicato alle parti che si sarebbe andati avanti. La

prossima udienza il 26 giugno.

-------

Bertani passa ai domiciliari

Dal gip parole dure

Scarcerato per la gravidanza a rischio della moglie.

Salvini scrive: «Rifiuta il confronto»

di FRANCESCO CENITI (GaSport 14-06-2012)

Sedici giorni, ma nessuna apertura. Ieri Cristian Bertani ha lasciato il

carcere di Cremona: era entrato il 28 maggio dopo l'arresto per l'inchiesta

sul calcioscommesse. Il gip Salvini lo ha mandato ai domiciliari, accanto alla

moglie in attesa del terzo figlio e alle prese con una gravidanza a rischio.

Per gli inquirenti la posizione dell'attaccante è fin troppo chiara: accuse

dirette da parte dei pentiti e diversi riscontri. Anche per questa ragione si

sarebbero aspettati un atteggiamento diverso, se non subito almeno dopo

la lettura delle carte. E invece Bertani si è avvalso della facoltà di non

rispondere e quando martedì scorso ha incontrato di nuovo il gip ha ribadito

la sua scelta con questa frase: «Io e la mia famiglia possiamo andare in giro

a testa alta». Più «tecnico» il commento dell'avvocato Mattia Grassani:

«Cristian continua a dichiararsi innocente. È un suo diritto».

Bastonate Di sicuro il gip non ha usato metafore nell'ordinanza che lo

ha rimandato a casa. Scrive Salvini: «Ha rifiutato di confrontarsi con i gravi

elementi di accusa raccolti a suo carico in relazione ai suoi rapporti con gli

Zingari e alla sua partecipazione con un ruolo di rilievo alla manipolazione

di Chievo-Novara, Novara-Ascoli e Novara- Siena, riferendosi anche con un

certo sprezzo alla posizione di chi, come Gervasoni, ha scelto di collaborare

con l'Autorità giudiziaria. La posizione di Bertani è peraltro passibile di un

ulteriore approfondimento posto che Gegic Almir, in una lunga intervista resa

a La Ġazzetta dello Sport e non smentita, ha fatto specifico riferimento

proprio ai suoi rapporti con Bertani in relazione alla combine. E lo stesso

Gegic ha preannunziato la sua scelta, peraltro ancora da verificare, di

costituirsi entro breve tempo». Insomma, un quadro accusatorio grave. In ogni

caso la situazione della moglie ha reso possibile l'attenuazione della misura

cautelare. Resta «il divieto di comunicare in qualsiasi forma con persone

diverse dai familiari conviventi e dal difensore».

Modificato da Ghost Dog

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la Repubblica 14-06-2012

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PROCESSO TELECOM

Tavaroli: Fu l’Inter

a commissionare il

dossier su Moggi

Per il club nerazzurro (già assolto in Figc) non c’è nulla di illegale

La famiglia Facchetti: «Non ci sono prove»

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 14-06-2012)

MILANO - C’era anche un dossier su Luciano Moggi tra quelli dell’ “Operazione

Ladroni” portata avanti tra il 2002 e il 2003 da Giuliano Tavaroli. Ieri,

nella seconda parte interrogatorio iniziato 7 giorni fa nell'aula bunker della

Corte d'Assiste di Milano, l'ex capo della security di Telecom e Pirelli ha

dichiarato che oltre ai dossier su De Santis, sull’ex direttore sportivo del

Messina e del Genoa Mariano Fabiani e sul guardalinee Enrico Cennicola,

ce n’era anche uno sull’ex dg della Juventus. «L'attività - ha affermato Tavaroli

- nacque per verificare notizie su possibili frodi sportive che erano venute

da un arbitro (Nucini, ndr) e vennero effettuate anche analisi del traffico

telefonico di Luciano Moggi da parte di Adamo Bove (l’ex dirigente di Telecom

morto suicida avrebbe utilizzato il sistema Radar, non rintraccibile, ndr) .

Tutti i risultati vennero poi portati all’allora vice presidente Giacinto

Facchetti. Con lui e Moratti c'era stato un incontro a tre all'inizio della

vicenda, poi non so se Facchetti riferì le risultanze a Moratti» . Tavaroli ha

aggiunto che l’incarico di realizzare il dossier su Moggi gli sarebbe arrivato

dall’Inter e sarebbe stato realizzato dall'investigatore privato Emanuele

Cipriani che, attraverso la Polis d'Istinto, lavorava per Pirelli da prima del

suo arrivo. La prima operazione svolta per l’Inter, ha concluso, fu quella

denominata “Care” che consisteva nel tenere d'occhio giocatori tra cui Vieri e

Ronaldo. «L'Inter si rivolse a Tronchetti e a me, che misi in contatto Ghelfi

con l’investigatore Cipriani» .

FASTIDIO - Esattamente come una settimana fa dal club nerazzurro

nessun commento ufficiale, ma viene fatto rilevare che Moratti non ha mai

visionato né pagato l’ “Operazione Ladroni”, non a caso fatturata a Pirelli.

Da corso Vittorio Emanuele insomma filtra che la nuova testimonianza di

Tavaroli non ha fatto emergere niente di nuovo e che l’Inter e il suo

presidente, peraltro assolti dalla giustizia sportiva nel 2007, non hanno

commesso niente di illegale. La famiglia Facchetti invece ha sottolineato che

«queste parole si aggiungono alle dichiarazioni contradditorie rilasciate da

più soggetti su vicende note, dichiarazioni peraltro non supportate da

prove concrete» .

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il Fatto Quotidiano 14-06-2012

Calciopoli, la vera storia

In un libro, il pm Narducci ricostruisce la vicenda dove è stata

coinvolta (e colpita) la Serie A. Ieri nel processo sui dossier

illegali, Tavaroli ha ammesso di aver messo sotto controllo Moggi

Nel giorno in cui esce in libreria “Calciopoli, la vera storia” di

Giuseppe Narducci con prefazione di Marco Travaglio (Edizioni Alegre,

270 pagg., 15 euro), a Milano, al processo sui dossier illegali, l'ex

responsabile sicurezza di Telecom e Pirelli, Giuliano Tavaroli,

ammette di aver messo sotto controllo l'allora direttore sportivo

della Juventus, Luciano Moggi. “Ricevetti in un incontro a tre Massimo

Moratti e Giacinto Facchetti. Il report era teso a confermare le

rivelazioni di un arbitro in merito a possibili frodi sportive del

2002. Consegnai integralmente il rapporto a Facchetti. Poi ne

discutemmo assieme, ma non so se Moratti fu messo al corrente

dell'esito delle indagini”. Citiamo la notizia, che è di ieri, perché

nel libro di Narducci, che di Calciopoli è stato il pm e che ha visto

sostanzialmente confermate dalla sentenza il proprio impianto

accusatorio, c'è una parte molto chiara su questa vicenda che chiama

in causa direttamente il modo in cui Luciano Moggi – condannato in

primo grado – distribuiva le utenze telefoniche riservate. Modalità

che sembra aver poco a che fare con il presunto spionaggio di

Tavaroli. Ecco uno stralcio del libro.

di GIUSEPPE NARDUCCI

Ma la versione di Moggi risulta ancor più inverosimile quando sostiene di

essere venuto a conoscenza – in un periodo imprecisato – di intercettazioni

del noto investigatore privato Cipriani che, insieme all’altrettanto noto

Giuliano Tavaroli – che lavorava per l’azienda Telecom – conduceva attività di

spionaggio. Moggi lo definisce spionaggio industriale e allude al fatto che lo

spionaggio si lega alle vicende di calciomercato. Avrebbe, dunque, fatto

ricorso alla consegna delle schede per fini di tutela dallo spionaggio altrui.

L’inconsistenza di questa versione viene anzitutto sottolineata proprio da uno

dei giornalisti presenti che gli chiede: “Scusi, Moggi, ma che c’entra con lo

spionaggio industriale e col calcio-mercato lei, dirigente della società Juve

insieme al Signor Giraudo ed altri... che cosa c’entra tutto questo con schede

date al designatore arbitrale Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto?”. Potremmo

tranquillamente da soli fornire la risposta, ma proviamo, per un attimo, a

prendere seriamente in considerazione questa versione. Moggi lascia intendere

che società concorrenti svolgano indebitamente delle attività per carpire

informazioni riservate. Come mai però Moggi, per tutelarsi da uno spionaggio

industriale che colpisce la sua società, invece di fornire una scheda al

signor Antonio Giraudo – amministratore delegato della Juve – e magari ad

altri stretti collaboratori societari, fornisce, per sua stessa ammissione,

una scheda ai designatori Bergamo e Pairetto? I designatori dovrebbero gestire

la scelta di arbitri e assistenti per le partite di Serie A e B, senza alcuna

comunanza di interessi con una delle parti in causa. Magari ci saremmo

aspettati che una scheda fosse stata data a procuratori dei calciatori visto

che, quando si trattano acquisti e cessioni, gli accordi si fanno fra società,

ma anche con colui che cura gli interessi del calciatore.

Invece, le schede non vengono consegnate a persone con ruoli similari a

quelli di Moggi, ma ai designatori e ad una sfilza di arbitri. Tra l’altro, le

conversazioni che siamo riusciti ad ascoltare sulle utenze svizzere non hanno

mai nulla a che fare col segreto industriale o con il calciomercato, mentre,

invece, si parla di sorteggi e scelta di arbitri e assistenti per le partite”.

Il modo in cui venivano utilizzate le schede svizzere, per evitare le

intercettazioni, è chiaramente illustrato nella testimonianza che ai

magistrati rende uno degli imputati, l'arbitro Paolo Bergamo. (…)

Nell’interrogatorio del 25 Maggio 2006, Bergamo, sollecitato da noi Pm, ha

risposto:

Bergamo: Effettivamente Moggi mi consegnò.. . probabilmente fra il Dicembre

2004 e il Gennaio 2005... un apparecchio cellulare contenente una scheda di

nazionalità sicuramente non italiana... e dunque adesso non riesco a fornire

indicazioni più precise. . . affinché comunicassimo con tale apparecchio.

Pm: Scusi, Bergamo, attraverso quale attività e azione materiale lei

effettuava la ricarica di questa scheda?

Bergamo: Su indicazione di Moggi, digitavo un codice numerico sull’utenza

cellulare sapendo che attraverso questa semplice operazione la scheda veniva

ricaricata.

Pm: Con chi ha parlato? Utilizzando quella scheda?

Bergamo: Ho ricevuto telefonate solo da Luciano Moggi e Pierluigi Pairetto. . .

Anzi preciso che certamente ho ricevuto telefonate su detta utenza da Luciano

Moggi... e quanto a Pairetto, non rammento se ho ricevuto da lui telefonate,

ovvero se sono stato io a telefonare allo stesso Pairetto.

Pm: Qual era il contenuto delle conversazioni?

Bergamo: Si è deciso di utilizzare l’apparecchio anche per nostre

comunicazioni su argomenti più delicati.

Pm: E perché questi argomenti non potevano essere affrontati nel corso di

normali conversazioni sulle ordinarie utenze telefonic he?

Bergamo: Si trattava di questioni molto particolari e delicate che

preferivamo affrontare anche di persona.

Mister "Piaccia o non piaccia" rischia di incorrere nell'ennesimo strafalcione dovuto alle rivelazioni di Tavaroli e allora il Fatto Quotidiano cosa fa? Accorre in suo soccorso ovviamente, a puntellare l'ex PM papabile politico per evitargli l'ennesima figura di melma e "giustificare" come la fondata giustificazione di Luciano Moggi dell'uso di schede svizzere per non essere intercettato (in realtà intercettabilissime!!!) sia infondata.

Come se le intercettazioni in cui Moggi "tramava" non fossero note. Grazie Narducci. La cacca se non viene smossa non puzza più. Ogni volta che la smuovete la puzza si sente di nuovo forte.

MAFIOSI TU TRAVAGLIO E TUTTA l'ACCOLITA MEDIATICO POLITICA GIUDIZIARIA!

Modificato da antobros66

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PROCESSO TELECOM

Tavaroli: Fu l’Inter

a commissionare il

dossier su Moggi

Per il club nerazzurro (già assolto in Figc) non c’è nulla di illegale

La famiglia Facchetti: «Non ci sono prove»

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 14-06-2012)

MILANO - C’era anche un dossier su Luciano Moggi tra quelli dell’ “Operazione

Ladroni” portata avanti tra il 2002 e il 2003 da Giuliano Tavaroli. Ieri,

nella seconda parte interrogatorio iniziato 7 giorni fa nell'aula bunker della

Corte d'Assiste di Milano, l'ex capo della security di Telecom e Pirelli ha

dichiarato che oltre ai dossier su De Santis, sull’ex direttore sportivo del

Messina e del Genoa Mariano Fabiani e sul guardalinee Enrico Cennicola,

ce n’era anche uno sull’ex dg della Juventus. «L'attività - ha affermato Tavaroli

- nacque per verificare notizie su possibili frodi sportive che erano venute

da un arbitro (Nucini, ndr) e vennero effettuate anche analisi del traffico

telefonico di Luciano Moggi da parte di Adamo Bove (l’ex dirigente di Telecom

morto suicida avrebbe utilizzato il sistema Radar, non rintraccibile, ndr) .

Tutti i risultati vennero poi portati all’allora vice presidente Giacinto

Facchetti. Con lui e Moratti c'era stato un incontro a tre all'inizio della

vicenda, poi non so se Facchetti riferì le risultanze a Moratti» . Tavaroli ha

aggiunto che l’incarico di realizzare il dossier su Moggi gli sarebbe arrivato

dall’Inter e sarebbe stato realizzato dall'investigatore privato Emanuele

Cipriani che, attraverso la Polis d'Istinto, lavorava per Pirelli da prima del

suo arrivo. La prima operazione svolta per l’Inter, ha concluso, fu quella

denominata “Care” che consisteva nel tenere d'occhio giocatori tra cui Vieri e

Ronaldo. «L'Inter si rivolse a Tronchetti e a me, che misi in contatto Ghelfi

con l’investigatore Cipriani» .

FASTIDIO - Esattamente come una settimana fa dal club nerazzurro

nessun commento ufficiale, ma viene fatto rilevare che Moratti non ha mai

visionato né pagato l’ “Operazione Ladroni”, non a caso fatturata a Pirelli.

Da corso Vittorio Emanuele insomma filtra che la nuova testimonianza di

Tavaroli non ha fatto emergere niente di nuovo e che l’Inter e il suo

presidente, peraltro assolti dalla giustizia sportiva nel 2007, non hanno

commesso niente di illegale. La famiglia Facchetti invece ha sottolineato che

«queste parole si aggiungono alle dichiarazioni contradditorie rilasciate da

più soggetti su vicende note, dichiarazioni peraltro non supportate da

prove concrete» .

Assolto dalla Giustizia Sportiva? HA MENTITO BASTARDO! HA MENTITO!!!

MANIPOLATORI DEL C***O DOVETE MORIRE

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Dossier illegali La denuncia in aula al processo

Tavaroli: l’Inter mi incaricò

di spiare Moggi e De Santis

La testimonianza

L’ex capo della security di Telecom e Pirelli: riferii tutto a Facchetti

di CLAUDIA GUASCO (IL MATTINO 14-06-2012)

Milano. Serie A e spionaggio. A raccontare tutto davanti ai giudici è Giuliano

Tavaroli, l'ex capo della security di Telecom e Pirelli. Che conferma:

«Dall'Inter ho ricevuto l'incarico di realizzare un dossier non solo sull'ex

arbitro Massimo De Santis ma anche su Luciano Moggi, ai tempi direttore

generale della Juventus».

Tavaroli è testimone-imputato di reato connesso al processo sul caso dei

dossier illegali: l'ex numero uno della sicurezza ha patteggiato quattro anni

di carcere e ora alla sbarra, tra gli altri, ci sono gli investigatori privati

Emanuele Cipriani e Marco Bernardini, oltre all'ex responsabile di Telecom

Brasile, Angelo Iannone. Tavaroli, nella sua deposizione, svela nuovi

particolari sull'attività di dossieraggio che sarebbe stata commissionata

dalla squadra di Massimo Moratti: «I report su Moggi furono consegnati

integralmente a Giacinto Facchetti, allora vicepresidente nerazzurro», afferma,

aggiungendo però di non ricordare se tra gli obiettivi del lavoro degli 007

ci sia stato anche Antonio Giraudo, ex amministratore delegato della Juventus.

Quanto a Moggi fu Adamo Bove, l'ex dirigente Telecom morto suicida, a

effettuare «l'analisi del traffico telefonico» e questo intensa attività di

dossieraggio «era finalizzata a confermare dichiarazioni che l'Inter aveva

ricevuto da un arbitro su possibili frodi fiscali». Quando sulla scrivania di

Tavaroli arrivarono i risultati dell'operazione di spionaggio, il capo della

security ebbe «un incontro con il dottor Facchetti, ma non so se Facchetti poi

riferì a Moratti». Sotto il profilo sportivo è tutto prescritto, ma per

l'Inter la questione è aperta: l'ex attaccante nerazzurro Bobo Vieri e De

Santis hanno intentato una causa per danni alla squadra, chiedendo 20 milioni

di euro ciascuno e dopo le ultime rivelazioni di Tavaroli potrebbe aggiungersi

anche Moggi. Il responsabile della sicurezza di Telecom e Pirelli ha inoltre

riferito che a seguito di una segnalazione da parte delle forze dell'ordine di

un operaio sospettato di terrorismo, venne svolta attività investigativa in

fabbrica. «La direzione della security aveva un'attività di intelligence

all'interno della fabbrica - ha spiegato - e abbiamo introdotto personale

investigativo fornito da Cipriani con il compito di sondare il sentimento tra

gli operai. Svolgeva attività informativa sui movimenti, sulle amicizie, i

luoghi di frequentazione e banalmente anche la birra del dopo lavoro degli

operai». Queste informazioni venivano poi girate alle forze di polizia che

indagavano negli ambienti prossimi ai gruppi eversivi.

Intanto l'ex presidente di Telecom Marco Tronchetti Provera e l'ex

amministratore delegato Carlo Buora, convocati ieri in aula, hanno chiesto

tramite il loro legale di avvalersi della facoltà di non rispondere in quanto

indagati per ipotesi di reato connesse al procedimento. Sull'istanza si

pronuncerà il 20 giugno la corte d'Assise di Milano, tuttavia la loro

posizione nel frattempo è cambiata: per Tronchetti Provera i reati sono stati

archiviati o prescritti, a eccezione del capitolo sulla ricettazione relativo

al dvd frutto dell'attacco informatico alla Kroll, mentre per Buora

l'archiviazione riguarderebbe tutti i reati a lui contestati anche se nei suoi

confronti risulta ancora aperta un'indagine per reati fiscali.

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L'ex pm di Calciopoli Narducci a Radio 24: «Buffon e Bonucci? Non sono degni degli Europei»

Ilsole24ore.com -14-06-2012

«Io non avrei portato questi calciatori nella competizione». Giuseppe Narducci, l'ex pm di Napoli che curò l'inchiesta Calciopoli del 2006, intervenuto a "24 Mattino " su Radio 24 e online sul sito www.radio24.it, ha risposto così alla domanda se avrebbe portato Bonucci e Buffon agli Europei di calcio. «Io sono un integralista da questo punto di vista. Ovviamente la Nazionale doveva andare agli Europei - ha aggiunto Narducci, oggi assessore a Napoli - come successe nel luglio 2006 per i Mondiali. Ma allora, come in questo caso, era opportuno non portare nella competizione persone rimaste coinvolte. Il calcio non può ogni volta solo a parole predicare estremo rigore nei confronti di tutto e di tutti, proporsi di cambiare. Ci vuole coerenza tra i buoni propositi e i fatti. Questa coerenza non sempre c'è». Narducci ha anche rifiutato l'idea di un'amnistia per i reati accertati: «È una delle devastanti proposte ciclicamente avanzate - ha detto -. È accaduto dopo il calcioscommesse del 1980, fu una delle parole d'ordine nel 2006, ritorna adesso. È una parola d'ordine che si propone di non fare i conti con i mali del calcio, di non affrontarli e di cancellarli con un colpo di spugna».

Sulla Juventus l'ex pm ha commentato le dichiarazioni di alcuni dirigenti che dopo avere vinto lo scudetto quest'anno hanno detto di avere nel palmares trenta titoli, rivendicando anche i due revocati a seguito dell'inchiesta Calciopoli: «Credo si tratti di una provocazione - ha detto Narducci -. Comprendo i dirigenti di una società colpita sul piano sportivo ma le decisioni all'epoca furono giuste e a distanza di anni sono ancora più giuste. Il tentativo ricorrente di rovesciare la verità dei fatti emersa e contrastare le decisioni della giustizia sportiva e degli organi federali è una provocazione pericolosa». Narducci ha commentato anche le parole dell'ex consulente Telecom Tavaroli che ieri, in un altro processo, ha detto di avere spiato in passato Moggi per conto dell'Inter: «Non è storia nuova - ha detto Narducci -, l'ho ascoltata tante volti in diverse anni. Io ovviamente non conosco cosa ci sia nelle vicende di cui parla Tavaroli, posso dire che quello che può essere accaduto a Milano o altrove, in un periodo antecedente la nostra indagine, non ha nulla a che vedere con quello che storicamente è avvenuto nella nostra indagine».

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Repubblica SERA 11-06-2012

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MAHMOUD LIBERO ADESSO.

della Redazione Online di La Settimana Sportiva 14-06-2012

La Fifa protesta contro la detenzione del calciatore palestinese Mahmoud

Sarsak. Eric Cantona, Ken Loach, Noam Chomsky e altri sostengono Mahmoud

e chiedono che la Coppa Uefa Under 21 non si giochi in Israele. Una segnalazione

di Antonella Grafone.

La Federazione Internazionale Football (FIFA) ha finalmente protestato contro

la detenzione da parte di Israele del calciatore palestinese Mahmoud Sarsak.

In un comunicato, il presidente della FIFA Joseph S. Blatter ha espresso la

sua preoccupazione e la sua inquietudine riguardo la detenzione apparentemente

illegale dei calciatori palestinesi. Secondo i rapporti ricevuti dalla FIFA

-sottolinea il comunicato- “sembra che diversi calciatori palestinesi siano

detenuti in violazione dei diritti umani e della loro integrità, senza

processo ed in maniera illegale, dalle autorità israeliane. In particolare,

attiriamo l’attenzione sulla sorte di Mahmoud Sarsak, in uno stato di salute

critico in ragione dello sciopero della fame che conduce da circa 90 giorni

per protestare contro la sua detenzione illegale. La FIFA lancia dunque un

appello urgente alla federazione israeliana di football (IFA) affinché

assicuri l’integrità fisica dei calciatori palestinesi e il loro diritto a

processi equi”.

La FIFA è stata allertata su Mahmoud Sarsak da nazionale palestinese e altri

media internazionali.

FOOTBALL GOVERNANCE

Alleged illegal detainment

of Palestine football players

by (FIFA.com) Tuesday 12 June 2012

FIFA President Joseph S. Blatter expressed today (12

June) grave concern and worry about the alleged

illegal detention of Palestine football players.

The reports FIFA received state that in apparent

violation of their integrity and human rights and without

the apparent right of a due process (trial), several

Palestine football players have allegedly been illegally

detained by Israeli authorities. In particular, the

mentioned reports refer to the Palestine player Mahmoud

Sarsak, whose health is in a very delicate state due to

the fact that he has been undergoing a hunger strike for

approximately 90 days in protest of his alleged illegal

detention.

Due to the aforementioned graveness of the situation,

FIFA urgently calls on IFA to draw the attention of the

Israeli competent authorities to the present matter, with

the aim of ensuring the physical integrity of the

concerned players as well as their right for due process.

The matter came to FIFA’s attention following

correspondence with the Palestine Football Association,

several international media reports concerning the

football player Mahmoud Sarsak and a FIFPro media release.

Eric Cantona chiede la liberazione di Mahmoud, e si pronuncia contro lo

svolgimento della coppa europea di calcio under 21 in Israele, nel marzo 2013.

Ecco la sua dichiarazione:

“Siamo scioccati nel vedere che certi politici e istituzioni sportive che si

sono preoccupati per lo svolgimento degli Europei in Ucraina, in ragione delle

violazioni dei diritti umani, tacciono quando è Israele ad essere scelto per

accogliere la coppa europea di calcio under 21 nel 2013. Il razzismo, le

violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale sono moneta corrente

in quel Paese. Il governo israeliano lascia anche che la sua popolazione

attacchi gli immigrati africani, che definiscono “infiltrati” e che vogliono

imprigionare in campi militari. Nelle prigioni israeliane ci sono più di 4000

prigionieri politici palestinesi, dei quali più di 300 “detenuti

amministrativi”, incarcerati senza processo né accuse. Fra questi, il

calciatore di Gaza Mahmoud Sarsak, 25 anni, imprigionato da più di tre anni.

Disperato, è sceso in sciopero della fame da più di 80 giorni, e ora è in

agonia.

Chiediamo di sostenerlo, così come tutte le vittime dei soprusi israeliani.

E’ tempo di mettere termine all’impunità israeliana e di esigere da questo

Stato il rispetto delle stesse leggi che gli altri Paesi rispettano”.

Eric Cantona, attore ed ex giocatore

Noam Chomsky, professore del MIT, USA

John Dugard, ex Relatore Speciale dell’ONU per la Palestina, Sud Africa

Trevor Griffiths, scrittore, Inghilterra

Paul Laverty, sceneggiatore, Inghilterra

Ken Loach, regista, Inghilterra

Michael Mansfield, avvocato, Inghilterra

Miriam Margoyles, attrice, Inghilterra

John Pilger, giornalista e scrittore, Australia

Show Racism The Red Card

Ahdaf Soueif, scrittore, Inghilterra.

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la Repubblica 14-06-2012

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Piuttosto sintetici in repubblica!

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Piuttosto sintetici in repubblica!

Non la raccontano giusta.

Hanno trascurato del tutto la vicenda in settimana.

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Calciopoli, Tavaroli accusa ancora:

“L’Inter mi chiese di spiare Moggi”

L'ex capo della security di Telecom, testimone-imputato nel

procedimento connesso al processo sui dossier illegali, ha

raccontato di avere organizzato un'operazione per conto

della società nerazzurra per spiare i dirigenti bianconeri

di LUCA PISAPIA (il Fatto Quotidiano.it 14-06-2012)

Continua a parlare l’ex capo della security di Telecom Giuliano Tavaroli,

testimone-imputato nel procedimento connesso al processo sui dossier

illegali di Telecom. E dall’aula bunker di San Vittore le sue parole, sebbene

non più utilizzabili dalla giustizia sportiva per riscrivere la storia recente

del calcio italiano, aiutano a illuminare le troppe zone d’ombra dimenticate.

Durante il processo, Tavaroli – che ha patteggiato 4 anni -racconta di avere

organizzato un’operazione per conto dell’Inter per far spiare il dirigente

bianconero Luciano Moggi – e magari anche Antonio Giraudo, detto

“non ricordo” – e di avere poi consegnato il dossier nelle mani di Facchetti

per farlo arrivare, forse “non so”, in quelle di Moratti.

“Non io direttamente, ma Bove (ex responsabile sicurezza Telecom,

morto suicida, ndr) svolse analisi di traffico telefonico su Moggi oltre che

su quello di Massimo De Santis. Non ricordo se anche su quello di

Antonio Giraudo“, dice Tavaroli durante la sua deposizione, continuando

a tirare dentro con entrambi i piedi nel fango del decaduto Dio pallone la

società nerazzurra. Fino ad arrivare forse alla testa, al suo ‘massimo’ dirigente.

Già la settimana scorsa, interrogato dall’avvocato difensore dell’ex arbitro

De Santis, Tavaroli ammise di aver commissionato l’incarico di redigere il

‘dossier Ladroni’ a un investigatore per conto dell’Inter. E aggiunse poi di

aver organizzato l’attività direttamente con Facchetti su ordine del

presidente Moratti.

Ieri Tavaroli ha confermato quanto detto settimana scorsa: “Ricevetti in un

incontro a tre Massimo Moratti e Giacinto Facchetti. Il report (il famigerato

dossier Ladroni, ndr) era teso a confermare le rivelazioni di un arbitro

(Nucini, ndr) in merito a possibili frodi sportive del 2002. Consegnai

integralmente il rapporto a Facchetti. Poi ne discutemmo assieme, ma non

so se Moratti fu messo al corrente dell’esito delle indagini”. Tavaroli ha

nuovamente ammesso anche l’attività di spionaggio su Vieri e Jugovic,

ex giocatori dell’Inter. “Quello fu il primo incarico per cui l’Inter si rivolse

a Tronchetti Provera e quindi a me per un supporto professionale – ha

detto Tavaroli – Le attività vennero poi condotte dall’agenzia Polis d’Istinto.

Chi pagò? L’Inter. Mentre per il dossier Ladroni pagò Pirelli per un errore

amministrativo”. Grazie a quell’errore di fatturazione, l’Inter uscì pulita da

un’inchiesta sul medesimo dossier della Procura di Milano nel 2006.

Questa vicenda e Calciopoli si sfiorarono solo marginalmente. Ma ieri

l’avvocato Gallinelli, rappresentante dell’ex arbitro De Santis, ha chiesto

spiegazioni su un atto della Procura di Milano del giugno 2005 trovato tra le

carte del processo. Da questo si viene a sapere che il computer sequestrato

a Tavaroli a maggio, fu poi controllato dai carabinieri della seconda sezione

del nucleo operativo di via in Selci a Roma, guidata dal colonnello Auricchio.

“E’ una coincidenza strana che il computer di Tavaroli sia stato ispezionato,

nell’ambito delle indagini su Telecom – dice l’avvocato Gallinelli -, dallo

stesso ufficio dell’arma che si occupava di Calciopoli, sul finire della

stagione sportiva 2004-05, quando le indagini su Calciopoli non erano

state chiuse e le informative sulle schede svizzere dovevano ancora

essere realizzate”.

Dagli sviluppi dell’affaire Telecom concernenti il calcio, emergono

quindi ancora troppe domande cui non si è potuto, o voluto, dare risposta

in ambito di giustizia sportiva. Quello che rimane, al di là dei risvolti penali

della faccenda, è lo sconcerto per un procedimento sportivo concluso

in fretta e furia dopo aver individuato degli ottimi capri espiatori (non

per questo innocenti, anzi) solo in alcuni faccendieri del pallone nostrano.

E invece, come il finale a sorpresa (o mica tanto) di un thriller, se la storia

non assolve quelli che da subito per gli spettatori erano sembrati essere

i ‘cattivi’, di sicuro macchia indelebilmente quelli che fino ad ora avevano

recitato la parte dei ‘buoni’. E il film non è ancora finito.

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L'ex pm di Calciopoli Narducci a Radio 24:

«Buffon e Bonucci? Non sono degni degli Europei»

Ilsole24ore.com -14-06-2012

http://k005.kiwi6.com/hotlink/qiuvr8i9cz/2012_06_14_24_mattino_calciopoli_le_favole_di_narducci.mp3

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Calcioscommesse, per alcuni

tifosi il nemico è il giornalista

di LUCA PISAPIA (il Fatto Quotidiano.it 14-06-2012)

Dagli al giornalista, il vero nemico del popolo. I tuoi idoli ti tradiscono,

il calcio – tua ragione di vita – puzza di marcio come non mai? La colpa è

di scrive di questo, soprattutto se tira in mezzo la tua squadra. Ecco allora

che il giornalista diventa un infame, l’artefice di un complotto

pluto-demo-giudaico, un venduto al soldo di chissà quale potenza

interplanetaria istituita solo per fare del male alla tua squadra del cuore e

quindi a te. Oramai ci sono veri e propri siti specializzati nello smontare, e

poi rimontare a modo loro, gli articoli di chi si occupa di Calciopoli o del

calcioscommesse per dimostrare l’innocenza del proprio beniamino di

turno e la lampante colpevolezza di chi ha scritto sull’argomento: che ha

sbagliato, inventato, o addirittura consapevolmente travisato.

D’altronde fu proprio il capitano della nazionale italiana Buffon che,

esattamente un anno fa, all’indomani dei primi arresti relativi al

calcioscommesse, dichiarò: “E’ l’Italia di piazzale Loreto”. Facendo subito

intendere, al di là delle sue ribadite simpatie, che i colpevoli andavano

ricercati non tra coloro che hanno tentato di rovinare il gioco più bello

del mondo, ma in quelli che pretendevano la giusta punizione per i

colpevoli (restando nella similitudine di Buffon, i partigiani della

costituzione calcistica).

L’ultimo episodio in ordine di tempo arriva dal sito giulemanidallajuve.com

che insieme a Ju29ro da anni passa il tempo a leggere le migliaia di pagine

di ogni faldone di ogni processo in cui spunta il nome della Juve cercando

di riscriverlo. Ecco allora che – partendo dall’intercettazione telefonica agli

atti della Procura della Cremona di una telefonata tra il collega Marco

Mensurati di Repubblica e il cosiddetto ‘zingaro’ Ilievski – il sito

giulemanidallajuve.com sbatte i mostri (i giornalisti, per contrappasso

allo splendido film di Bellocchio) in prima pagina.

La storia è nota, e scivolosa. In un’intervista pubblicata su Repubblica

l’11 marzo 2012 e ripresa da tutti i quotidiani internazionali, Mensurati

e il collega Foschini intervistano lo ‘zingaro’ Ilievski. Tra le varie

cose interessanti (e sconvolgenti) emerge il nome del calciatore del

Genoa GiuseppeSculli, nipote del boss di ‘ndrangheta Giuseppe

Morabito, detto Peppino Tiradritto, su cui stava indagando da tempo la

Procura di Cremona. “Guarda che la partita è fatta. L’ha fatta Sculli”,

dice Ilievsky riferendosi a Lazio-Genoa. Il giorno dopo Ilievski, il cui

telefono è sotto controllo, chiama Mensurati e cerca di ritrattare,

soprattutto sul nome di Sculli, minacciando di sputtanarlo.

Il giornalista di Repubblica riesce però a fargli ammettere che durante

l’intervista il nome di Sculli sia stato fatto. Come emerge poi tra l’altro

dall’ordinanza che il gip di Cremona Savini dedica all’inchiesta: “L’ira

di Ilievski riguarda il fatto che il giornalista (Mensurati ndr.) abbia

pubblicato la notizia del coinvolgimento di Sculli, non tenendo conto che le

rivelazioni erano state formulate in via del tutto confidenziale. Al telefono,

Mensurati obietta che le informazioni erano state rivelate dal macedone in

un contesto di intervista. “Ascolta, Hristian! Ascolta, Hristian! Tu hai detto

Sculli ed io ho chiesto: Sculli?”. E tu hai detto: “Un milione per cento!”

Ricordi? “Un milione per cento!” (…) Nel prosieguo della conversazione,

Ilievski, consapevole di essere intercettato e spaventato, si muove su più

fronti con argomentazioni insostenibili (…) con il chiaro intento di inquinare

il tutto”.

Bene, siccome le intercettazioni di questa telefonata sono agli atti e

sono state rese pubbliche, il sito giulemanidallajuve. com trova in

questa telefonata frasi dette dal giornalista – come “io ti sono amico” o

“scrivo quello che vuoi” – per sostenere che Ilievsky sia stato imbeccato

dal collega di Repubblica che ha quindi costruito l’intervista a tavolino per

interessi suoi, ovviamente antijuventini. Il nemico, l’infame, è il giornalista.

La cosa più triste è che non ci sono solo questi siti di chiara impostazione

filojuventina che se la prendono con chi fa il proprio mestiere – si veda

Marco Travaglio che pur essendo juventino ha sempre osteggiato il

malaffare della passata dirigenza – ma anche diversi colleghi, o presunti tali.

Perché il tifoso, o l’interesse, che è in ognuno di loro è più forte di qualsiasi

deontologia professionale. E allora sbatti il giornalista in prima pagina.

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Lo spione sotto il Moggi

Oliviero Beha -olivierobeha.it - 14-06-2012

Due questioni. La prima: leggendo qui capirete meglio che cosa è stato o non è stato lo scandalo di Calciopoli?. La seconda: misurate la buona fede sui giornali del 14 giugno, per vedere dove queste notizie escono. Se non escono o escono defilate, siete autorizzati a pensare che tutti quelli che lo fanno vi stanno prendendo per il C**O (e naturalmente anche per lo Stivale).

(Oliviero Beha)

1- TAVAROLI: “SPIAI MOGGI. CONSEGNAI I REPORT A FACCHETTI”

http://www.lettera43

Giuliano Tavaroli, l’ex capo della security di Telecom e Pirelli, sentito al processo sui dossier illegali, ha confermato mercoledì 13 giugno di aver ricevuto da parte dell’Inter incarico di ‘spiare’ non solo l’ex arbitro Massimo De Santis ma anche l’ex direttore generale della Juventus Luciano Moggi.
Tavaroli, oltre ad aver ricordato che «i report, tesi a confermare le rivelazioni di un arbitro in merito a possibili frodi sportive del 2002, furono consegnati integralmente a Giacinto Facchetti, allora vicepresidente nerazzurro», ha affermato anche di non ricordare se ci fosse stata attività su Antonio Giraudo, ex amministratore delegato della Juventus.

IL DOSSIER LADRONI. La deposizione segue quella del 6 giugno dove Tavaroli ha ammesso che il dossier Ladroni gli fu commissionato proprio dal presidente dell’Inter Massimo Moratti e venne messo in atto con Facchetti.
Sentito come testimone, Tavaroli ha spiegato che su Moggi fu Adamo Bove, l’ex dirigente Telecom morto suicida, a fare «l’analisi del traffico telefonico». 
Inoltre ha aggiunto che sull’esito del dossieraggio «ebbi un incontro col dottor Facchetti. Non so se Facchetti poi riferì a Moratti».

2- PRESCRIZIONE PER LE INTERCETTAZIONI E PER I DOSSIERAGGI ILLEGALI DI TAVAROLI

Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera

Prescrizione per le violazioni della privacy legate ai sistemi informatici che in Telecom fino al 2005 potevano tracciare le intercettazioni; non luogo a indagare su ricatti telefonici in Perù nel 2001; archiviazione per i dossier della Security di Giuliano Tavaroli perché non c’è prova che Marco Tronchetti Provera, al pari di Carlo Buora e Gustavo Bracco, potesse prefigurarsi se e quali reati Tavaroli avrebbe commesso per dargli le informazioni richieste: in gran segreto il 5 giugno la Procura di Milano ha chiuso con queste richieste di archiviazione, accolte già il giorno dopo dall’ufficio gip del Tribunale, quasi tutte le accuse a Tronchetti.

Quasi. Perché l’assenza di un episodio lascia presumere che una richiesta di processo, per ricettazione nel 2004 del dvd frutto dell’attacco informatico alla Kroll, possa invece profilarsi sulla base di un inedito interrogatorio di Tavaroli e della deposizione di una segretaria di Tronchetti.

«Allo stato non sono accertate ipotesi di intercettazioni illegali», ma i periti dei pm Robledo e Piacente ravvisano che fino al 2005 «il sistema complessivo della rete Telecom era potenzialmente in grado di raccogliere e analizzare i dati sensibili relativi alle comunicazioni intercettate», mentre il sistema Radar poteva «segnalare l’esistenza di traffico tra utenti che si volesse monitorare».

Ma per i pm queste «criticità già esistevano verosimilmente all’insediamento di Tronchetti e Buora», hanno «ereditato e non creato una gestione carente della rete», pur se l’«illecito sfruttamento da parte di Tavaroli» può aver trovato «acquiescenza e/o approvazione» nei vertici: c’è «una responsabilità per il mancato impedimento» delle violazioni del Codice sul trattamento dei dati personali, ma la «condotta illecita è prescritta».

Poi c’è il Perù, di cui mai si era saputo. Nel computer di Adamo Bove, dirigente della Security suicida nel 2006, un rapporto del 23-27 novembre 2001 su Tim Perù «fa cenno a conversazioni telefoniche registrate su commissione di personaggi di altissimo livello della società peruviana per essere poi utilizzate come arma di ricatto»: ma mancano i presupposti per indagare su «illeciti asseritamente commessi in Perù» e comunque «verificati (anche) prima del subentro» di Tronchetti.

Sui dossieraggi illeciti di Tavaroli (che ha patteggiato 4 anni) i pm, criticando «alcune inesattezze» della gup Panasiti, ribadiscono di non avere prove su Tronchetti, Buora, Bracco: «Se Tavaroli ha solitamente seguito la regola di non riferire ai suoi committenti alcuni particolari che potessero imbarazzarli», essi «non potevano prefigurarsi, quando chiedevano informazioni, se e quale specifico reato sarebbe stato perpetrato al fine di acquisirle».

E la conoscenza successiva di un reato «può configurare una ipotesi di connivenza, di adesione morale, ma non implica un concorso nella perpetrazione del reato». Di qui l’archiviazione, pur se talune «intrusioni informatiche» (come al pc del giornalista Mucchetti) sono state «finalizzate a tutela.

Se per i pm Buora «appare aver comunque assunto una posizione decisamente più defilata rispetto a Tronchetti», invece «elementi di conoscenza sulle modalità illecite di acquisizione di notizie sono stati forniti principalmente al presidente di Telecom» sull’«utilizzo» nel 2004, fatto appunto «in pieno accordo con Tronchetti, dell’illecita attività di hackeraggio ai danni della Kroll», gli 007 privati ingaggiati dai rivali brasiliani di Telecom.

Qui i pm coltivano l’ipotesi di ricettazione sulla base di un interrogatorio di Tavaroli il 13 dicembre 2010 su una riunione «in via Negri a Milano con gli avvocati Chiappetta e Mucciarelli. Feci presente loro che un hacker russo ci aveva fornito, dietro pagamento, materiale riservato della Kroll sulle indagini contro Telecom e posi il problema di come utilizzarlo contro Kroll. Proposi di compendiarlo in un dvd da far recapitare in forma anonima alla segreteria di Tronchetti.

Ci recammo nel suo ufficio. Fu informato da Chiappetta di quanto avevo detto, e Chiappetta prospettò la soluzione dell’invio del dvd in forma anonima alla segreteria del presidente. Il presidente accettò la proposta, chiamò la segretaria e le disse che sarebbero arrivate informazioni in forma anonima».

Il pm convoca allora la segreteria, E. L., che conferma: «Ricordo che il presidente mi disse che qualora fosse arrivato qualcosa che avesse attinenza con il Brasile, avrei dovuto inoltrarla a Tavaroli. Gli avvocati non dissero nulla. Dopo qualche tempo, in effetti, il plico arrivò»: per i pm era «il dvd che Telecom consegnò ai carabinieri il 27 settembre 2004» in un fascicolo originato «dalla denuncia di un ingresso abusivo nella casa del responsabile affari internazionali Zambeletti.

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Bene, siccome le intercettazioni di questa telefonata sono agli atti e

sono state rese pubbliche, il sito giulemanidallajuve. com trova in

questa telefonata frasi dette dal giornalista – come “io ti sono amico” o

“scrivo quello che vuoi” – per sostenere che Ilievsky sia stato imbeccato

dal collega di Repubblica che ha quindi costruito l’intervista a tavolino per

interessi suoi, ovviamente antijuventini. Il nemico, l’infame, è il giornalista.

La cosa più triste è che non ci sono solo questi siti di chiara impostazione

filojuventina che se la prendono con chi fa il proprio mestiere – si veda

Marco Travaglio che pur essendo juventino ha sempre osteggiato il

malaffare della passata dirigenza – ma anche diversi colleghi, o presunti tali.

Perché il tifoso, o l’interesse, che è in ognuno di loro è più forte di qualsiasi

deontologia professionale. E allora sbatti il giornalista in prima pagina.

Se la cantano e se la suonano tra loro.

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Mauri e Milanetto liberi

Gegic sta per costituirsi

Il gip revoca i domiciliari e su Genoa-Samp dice: «Nessuna prova»

Il serbo forse già oggi dai giudici di Cremona. E il calcio trema

di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 15-06-2012)

Da ieri all'ora di pranzo Stefano Mauri e Omar Milanetto sono uomini liberi,

mentre come annunciato nell'intervista alla giornalaccio rosa già oggi o, al più

tardi, all'inizio della prossima settimana Almir Gegic sarà a Cremona

per costituirsi. E le sue rivelazioni potrebbero inguaiare altri giocatori, forse

anche alcuni «nomi importanti».

Fuori Dopo una settimana di carcere e altri dieci giorni di arresti

domiciliari, il gip Guido Salvini ha dunque revocato la misura cautelare di

Mauri e Milanetto, diventata «inutile non potendosi ravvisare alcun pericolo

di fuga né la reiterazione di analoghi reati». Una via, questa, presa in

precedenza (con tempistiche diverse) anche per altri indagati finiti in

manette. La posizione di Milanetto, però, deve essere aggiornata con

riferimento a Genoa-Sampdoria «che, pur non essendo stato oggetto di

contestazione nella misura cautelare, può costituire un elemento sintomatico

di condotte illecite nell'ambito delle partite disputate dal Milanetto». Il

gip sottolinea che «gli elementi assai gravi desumibili dalla conversazione

telefonica riferibile a un capo ultrà non hanno trovato una conferma

soddisfacente nella successiva audizione dello stesso tifoso», Massimo

Leopizzi. Il quale, in merito alla presunta colletta dei giocatori doriani per

comprare cinque avversari, aveva parlato di «voci da bar». «Si tratta allo

stato — continua Salvini — di dati investigativi significativi, ma non

conclusivi, e dovranno essere approfonditi verosimilmente da un'altra autorità

giudiziaria», ossia la Procura di Genova. Milanetto, così come Mauri, era

stato comunque arrestato per la presunta combine di Lazio-Genoa 4-2 e non

per il derby di Genova.

Paradosso Anche se dall'ordinanza del gip non ci sono parole che facciano

pensare che Mauri e Milanetto siano finiti in carcere «per errore», il

difensore dell'ex genoano e il procuratore del capitano laziale vanno

all'attacco. «L'impianto accusatorio nei confronti di Milanetto si sta

sgretolando — dice Mattia Grassani —. Come si potrà spiegare alla famiglia

Milanetto, composta da due piccoli di 3 e 5 anni e dalla moglie, tra l'altro

commercialista, che si è trattato di un grande, imperdonabile, errore, di un

incubo, un'odissea che ha portato in carcere il giocatore per una settimana

e gli ha fatto passare altri 10 giorni agli arresti domiciliari, mentre i

compagni di scuola ridevano o guardavano sospettosi i figli? Meglio tardi

che mai, dirà qualcuno, ma i danni chi la paga alla famiglia?».

Sospettoso Tiziano Gonzaga, procuratore di Mauri, a Sky Sport 24 ha fatto

notare come il provvedimento del gip è arrivato il giorno prima dell'udienza

al Tribunale del Riesame (che ci sarà lo stesso): «Probabilmente non erano

così gravi i motivi per applicare la misura cautelare per 15 giorni». E

l'avvocato Gian Michele Gentile: «Con questa decisione la situazione si

modifica sotto il profilo disciplinare. È un segnale positivo che si riflette

sulla Lazio».

-------

LUNEDÌ LE SENTENZE DEL PROCESSO

Di Vaio amaro

«All'estero perdiamo punti»

di GAETANO IMPARATO

Meno male che in Canada non si sono accorti di nulla. «Stiamo perdendo

immagine in campo internazionale, dobbiamo riacquistare credibilità. Ma lì non

si percepisce quello che sta accadendo al calcio italiano». Marco Di Vaio,

capitano di quel Bologna che perse 0-4 col Bari nel maggio 2011, arriva in Via

Po, uffici della procura della Federcalcio, direttamente da Montreal. Varca il

portone mezz'ora prima che inizi Italia-Croazia, impiega lo stesso tempo per

raccontare di quella gara dove il difensore Portanova, suo compagno di squadra,

nell'immediata vigilia del match avrebbe fatto sapere a lui e a tutti i

colleghi, della strana proposta di combine formulata dagli amici di Andrea

Masiello. «Quando in Canada mi hanno chiesto il motivo del ritorno in Italia —

racconta Di Vaio —, ho dovuto spiegare che tutto il Bologna era stato

ascoltato per chiarire la dinamica dei fatti. Non potevo certo mancare io, che

ne ero il capitano».

Miserie e nobiltà Certo, si parla dell'eden canadese, del suo nuovo club,

il Miss Montreal Impact («Voglia di bel calcio, emozionante e denso di stimoli»),

della possibilità che arrivi Del Piero («A lui piace soprattutto l'America»

specifica Di Vaio). Ma dalla ricchezza del pallone nell'altra metà della terra,

all'attualità che ruba spazio con le miserie del calcio infetto, il passo è

brevissimo. In mattinata era toccato a Mutarelli e Luparelli raccontare di

quel Bologna strapazzato in casa («Non ci sono problemi per i miei assistiti,

sono tranquilli e sereni» giura l'avvocato dei due, Giudice). E ancor prima

Siligardi, presentatosi in procura senza legale.

Tanti giuramenti Palazzi fa capolino dal balcone centrale degli uffici della

Procura, poi sfiora i taccuini all'ora di pranzo senza lasciare dichiarazioni.

Ghezzal, nel pomeriggio, qualcosa aveva fatto capire per il tramite del suo

legale, l'avvocato Catapano. «Non ci è stato chiesto di una gara in

particolare ma soprattutto dei rapporti che intercorrevano con persone vicine

al Bari». Naturalmente, tutti giurano di essere estranei ai fatti. Ma

l'impressione che si ha origliando gli spifferi della Procura è che diversi,

in questi giorni, si siano arrampicati sugli specchi. Lunedì le sentenze,

quelle però del processo del primo troncone. Per l'indagine in corso, invece,

c'è ancora da lavorare.

-------

GaSport 15-06-2012

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GaSport 15-06-2012

La prima volta che un magistrato scrive libri, vabbè

Ma credo che sia la prima volta che il pm di un processo se la intenda con la controparte di un accusato, intrattenendo rapporto amichevoli anche in pubblico......

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Sport e giustizia

Narducci: Buffon e Bonucci

io non li avrei convocati

L’assessore che da pm indagò sul calcio

E Moggi: ma capisce di sport o magistratura?

di PAOLO CUOZZO (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 15-06-2012)

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NAPOLI — «Io non avrei portato questi calciatori nella competizione». Giuseppe

Narducci, l'ex pm di Napoli che curò l'inchiesta Calciopoli del 2006 e che

oggi è assessore comunale a Napoli, intervenuto a 24 Mattino su Radio 24 e su

www.radio24.it, ha risposto così alla domanda sulle convocazioni di Bonucci e

Buffon agli Europei. «Io sono un integralista da questo punto di vista — ha

detto il magistrato in aspettativa che proprio sull'indagine di Calciopoli ha

scritto un libro — ovviamente la Nazionale doveva andare agli Europei come

successe nel luglio 2006 per i Mondiali. Ma allora, come in questo caso, era

opportuno non portare nella competizione persone rimaste coinvolte (va

precisato comunque che Buffon non è coinvolto nell'attuale inchiesta, n.d. r. ).

Il calcio non può ogni volta solo a parole predicare estremo rigore nei

confronti di tutto e di tutti, proporsi di cambiare.

Ci vuole coerenza tra i buoni propositi e i fatti. Questa coerenza non sempre

c'è». Narducci ha anche rifiutato l'idea di un'amnistia per i reati accertati.

«E' una delle devastanti proposte ciclicamente avanzate è accaduto dopo il

calcioscommesse del 1980, fu una delle parole d'ordine nel 2006, ritorna

adesso. E' una parola d'ordine che si propone di non fare i conti con i mali

del calcio, di non affrontarli e di cancellarli con un colpo di spugna». Sulla

Juve, l'ex pm ha commentato le dichiarazioni di alcuni dirigenti che, dopo

avere vinto lo scudetto quest'anno, hanno detto di avere nel palmares trenta

titoli, rivendicando anche i due revocati a seguito dell'inchiesta Calciopoli.

«Credo si tratti di una provocazione. Comprendo i dirigenti di una società

colpita sul piano sportivo, ma le decisioni all'epoca furono giuste». Ed

ancora: «Il tentativo ricorrente di rovesciare la verità dei fatti emersa e

contrastare le decisioni della giustizia sportiva e degli organi federali è

una provocazione pericolosa».

Narducci ha commentato anche le parole dell'ex consulente Telecom Tavaroli

che, in un altro processo, ha detto di avere spiato in passato Moggi per conto

dell'Inter. «Non è storia nuova — ha detto Narducci — l'ho ascoltata tante

volte in diverse anni. Io ovviamente non conosco cosa ci sia nelle vicende di

cui parla Tavaroli, posso dire che quello che può essere accaduto a Milano o

altrove, in un periodo antecedente la nostra indagine, non ha nulla a che

vedere con quello che storicamente è avvenuto nella nostra indagine».

«Narducci dice che avrebbe lasciato a casa Buffon e Bonucci? Ma Narducci si

intende di calcio o di magistratura? Un magistrato che fa libri si è mai

visto? E' la prima volta che mi capita. Narducci dice che la questione dei 30

scudetti è una provocazione? Dico che gli scudetti della Juventus sono in

realtà 31, perché l'anno prossimo i bianconeri vinceranno il tricolore». Moggi

ha parlato ai microfoni di Radio Kiss Kiss Napoli.

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L’ATTACCO DELL’EX PM

Narducci al veleno

su Buffon e Bonucci

di STEFANO SALANDIN (TUTTOSPORT 15-06-2012)

POZNAN. L’espressione di Gigi Buffon si è ancor più incupita di quanto già

nonsia normalmente nei giorni di questa avventura polacca. E il silenzio di

Leonardo Bonucci è diventato ancor più impenetrabile. Del resto non hanno

neppure dovuto aspettare che qualcuno gliela segnalasse, connessi ormai come

sono costantemente a web e social network, la presa di posizione di Giuseppe

Narducci, ex pm del processo Calciopoli e ora assessore alla Legalità e

Sicurezza del Comune di Napoli: «Buffon e Bonucci non sarebbero dovuti

andare agli Europei». L’ex pm (proprio in questi giorni in cui riaffiorano

le inquietanti rivelazioni di Tavaroli, l’ex responsabile della security Telecom,

sulle direttive ricevute dall’Inter) ha scritto un libro sulla “vera storia di

Calciopoli” (naturalmente la “sua” storia) e ieri è stato intervistato dalla

radio del Sole 24 Ore sulla questione. E l’assessore ne ha approfittato per

allargare l’analisi all’attuale situazione del calcio, inquinato dalle

indagini sulle scommesse illegali che hanno lambito anche la Nazionale. Eccolo,

dunque, il pensiero di Narducci: «Io non avrei portato questi calciatori

nella competizione, sono un integralista da questo punto di vista. Ovviamente

la Nazionale doveva andare agli Europei, come successe nel luglio 2006 per i

Mondiali. Ma allora, come in questo caso, era opportuno non portare nella

competizione persone rimaste coinvolte. Il calcio non può ogni volta predicare

solo a parole estremo rigore nei confronti di tutto e di tutti, proporsi di

cambiare».

FASTIDIO Dal gruppo azzurro non è arrivato nessun commento, ma il fastidio

per queste dichiarazioni è risultato evidente nella delegazione. Certo, è

molto singolare la leggerezza con cui un uomo di legge manda al macero il

concetto cardine di “presunzione di innocenza”, tanto più che uno dei soggetti

delle sue dichiarazioni, il capitano Buffon, non è neppure indagato. Qualcuno

dell’entourage azzurro (che pretende il rigoroso anonimato) ricorda anche come

il giudice usi un approccio differente per questioni simili a seconda del

fatto che lo riguardano o meno. Anche lui, come è accaduto per Bonucci, fu

infatti accusato da un pentito (Salvatore Lo Russo) addirittura di rifornirsi

di droga tramite la collaborazione di carabinieri compiacenti. Il pm respinse

con sdegno ogni accusa e chiese immediatamente di testimoniare per

smontare tali rivelazioni. Ma, nel frattempo, continuò a ricoprire gli incarichi

pubblici. Perché, ci si chiede dunque con un poco di stizza, Bonucci non può

continuare a giocare serenamente a calcio in attesa che venga verificata

l’attendibilità delle accuse del pentito Masiello?

-------

LA NUOVA POLEMICA

Napolitano sta con Buffon

Narducci lo vuole a casa

L’ex pm di Calciopoli: «Era opportuno, come nei mondiali del 2006 non portare agli Europei calciatori indagati»

di ETTORE INTORCIA (CorSport 15-06-2012)

In Polonia, parole di Prandelli, la Nazionale non s’è fatta mancare nulla

in termini di polemiche, come se non fosse già abbastanza scomodo e

imbarazzante il blitz della polizia a Coverciano per notificare l’avviso di

garanzia a Criscito, lasciato poi a casa. Però c’era bisogno di una tregua,

che in qualche modo è stata sancita da un gesto bellissimo nella sua semplicità,

la visita del presidente Napolitano negli spogliatoi azzurri dopo il pareggio

contro la Spagna campione del mondo. Con tanto di abbracci e baci a

Gigi Buffon, il capitano, solo pochi giorni prima protagonista di un botta

e risposta polemico con il pm Di Martino, il titolare dell’inchiesta di Cremona.

Quel gesto del Capo dello Stato doveva servire anche ad allentare un po’

la tensione, a ritrovare compattezza, a dare fiducia alla Nazionale. Ma ieri,

a scaldare il count down della sfida tra Italia e Croazia, sono arrivate le

dichiarazioni di Giuseppe Narducci. E’ l’ex pm titolare dell’inchiesta penale

su Calciopoli, oggi assessore della giunta De Magistris a Napoli, con delega

alla sicurezza, incarico delicatissimo in una metropoli come quella campana.

Anche Narducci, intervistato da Radio24, ha voluto dire la sua sulla questione

delle convocazioni di Prandelli: «Bonucci e Buffon? Non avrei portato questi

calciatori nella competizione. Io sono un integralista da questo punto di

vista. Ovviamente la Nazionale doveva andare agli Europei come successe

nel 2006 per i Mondiali. Ma allora, come in questo caso, era opportuno non

portare persone rimaste coinvolte» .

IL CASO - Rispetto all’estate 2006, segnata da Calciopoli più che da altre

polemiche, il contesto è differente. Certo, gli azzurri di Lippi non partirono

per la Germania a cuor leggero, ma questo è un altro conto. Quanto allo

scandalo scommesse, è un po’ difficile mettere sullo stesso piano le posizioni

di Bonucci e Buffon: il difensore è indagato, il portiere no. Su Bonucci la

polemica c’è stata, anche legittima, perché indubbiamente la percezione

che per lui e Criscito non sia stato adottato esattamente lo stesso metro

c’è e infatti l’ex genoano, ora allo Zenit, si è lamentato più volte per

l’esclusione e la disparità di trattamento. Discorso diverso per Buffon. Che

sarà stato poco tempista con quell’infelice uscita sui pareggi di fine

stagione ma che, rispetto ai rumors su giocate da centinaia di migliaia di

euro, è assolutamente al riparo da tutto, sia sul piano penale che su quello

sportivo, perché scommettere su tutto ciò che non è calcio è consentito.

Magari non sarà salutare per il conto in banca, ma è consentito.

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Ma Narducci chi crede di essere? Un magistrato in aspettativa per motivi politici che scrive libri su una inchiesta dallo stesso condotta, biasimato dalla Casoria per il modo in cui la stessa è stata portata avanti,e non ancora conclusa; un cittadino con licenza di giudizio per la popolarità acquisita.... si ma come signor piaccia o non piaccia? Con le bugie raccontate in aula...piaccia o non piaccia... e la toppa che ci ha aggiunto è stata peggio dell'affermazione. Un magistrato che in maniera carbonaresca tresca con Moratti ed il Ten.Col. che ha guidato le indagini...bella cosa, a quando un pò di sobrietà e riservatezza che richiedeva l'incarico? Perchè non ha prodotto anche le prove a discarico per la difesa? Era un suo compito sancito dal codice di procedura penale, e che fine hanno fatto tutte le intercettazioni , e quelle con i baffi rossi? Perchè non spiega pure quelle invece di pontificare?

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Attualità CALCIO NELLA BUFERA

Che mal di SIENA

Lo scandalo delle scommesse.

I finanziamenti del Montepaschi.

Le manovre pericolose di Massimo

Mezzaroma. Tra pallone e affari

di GIANFRANCESCO TURANO (l’Espresso | 21 giugno 2012)

Finalmente si è capito che cosa fanno le banche. Nella fase più acuta della

crisi sostengono il calcio professionistico. A Madrid aiutano il Real a pagare

gli stipendiucci di Cristiano Ronaldo e Mourinho (27,5 milioni di euro netti

complessivi all'anno). Ma anche a Siena, nel loro piccolo, non scherzano. Con

l'aggiunta che a Siena, secondo i magistrati che indagano sul calcioscommesse,

hanno aggiustato 7-8 partite nel torneo 2010-2011, quando il club toscano era

in serie B.

Al centro dell'intrigo finanziario-sportivo c'è un imprenditore con il

destino nel cognome. Si chiama Massimo Mezzaroma, 40 anni, figlio di

una signora inglese e del romanissimo costruttore Pietro, nipote del

falegname Amerigo che dagli infissi fece il salto nell'edilizia residenziale. I

suoi zii si chiamano Gianni e Roberto, razza palazzinara anche loro. I

suoi primi cugini, Marco e Cristina, hanno anche loro a che fare con il calcio,

oltre che con le ruspe. Marco, marito dell'ex ministro salernitano Mara

Carfagna, è proprietario dell'area sulla Tiberina dove dovrebbe sorgere

il nuovo stadio delle Aquile della Ss Lazio. Marco è romanista, come Massimo,

e come Massimo ha lavorato a Trigoria quando la Roma era fifty-fifty tra Pietro

Mezzaroma e Franco Sensi. Ma la sorella Cristina ha sposato Claudio

Lotito, multiproprietario della Lazio e del Salerno calcio, e il business ha

preso il sopravvento.

Neppure Massimo, del resto, è un tifoso del Siena. Anche nel suo caso

sono gli affari che l'hanno portato nella città del Palio e del Monte dei Paschi

(Mps), la banca che ha in mano le sorti dello sport senese, dal football alla

Mens Sana, la squadra dominante del basket italiano. Prima di lui, c'era un

altro romano, Giovanni Lombardi Stronati della Credsec. Dopo di lui ci

potrebbe essere una cordata ancora più esotica tra un olandese del Suriname,

l'ex milanista Clarence Seedorf, e il milanese Luca Magnoni, figlio del

finanziere della Sopaf Giorgio e manager della Sopaf lui stesso. L'accoppiata

Seedorf-Magnoni, già alla guida del Monza calcio, ha preso contatti con chi di

dovere. Quindi non con Mezzaroma ma con il Mps dove l'aria è parecchio

cambiata rispetto al gennaio 2010, quando il costruttore ha preso il club

bianconero.

Due anni e mezzo fa il regista del passaggio del Siena da Lombardi Stronati a

Mezzaroma è stato Giuseppe Mussari, al tempo presidente di Mps e attuale

numero uno dell'Abi, la confindustria delle banche italiane. Lombardi Stronati

era diventato persona non grata a Rocca Salimbeni, la sede della banca. Troppi

problemi con il fisco e una richiesta di arresto pendente in Cassazione, poi

annullata. Mezzaroma, per parte sua, aveva rapporti complicati con Alessandro

Profumo di Unicredit, il principale finanziatore della sua capogruppo Impreme.

Profumo, già alle prese con la patata bollente dell'As Roma, vedeva l'Impreme

come una delle tante partite difficili ereditate dall'incorporazione della

Capitalia di Cesare Geronzi.

Il banchiere di Marino aveva Giulio Andreotti come protettore e Pietro

Mezzaroma come cliente. Il Gei Ar dell'Eur, andreottiano anche lui, con il

vanto di non avere finito le elementari, nel 1996 diede il seguente annuncio

ai suoi fratelli Gianni e Roberto: "Aò, c'è 'na novità. Semo falliti". Adesso,

a 77 anni, non ha più ruoli operativi. Ma due anni e mezzo fa, nel Siena c'era

anche lui. Perché nell'operazione calcio si giocava il futuro del gruppo.

Comprando la squadra, il gruppo Impreme si è trasferito con mutui e bagagli

da Unicredit al Montepaschi. Il valore complessivo dell'operazione supera i

200 milioni di euro per una holding che, nel consolidato 2010, presenta

un patrimonio netto di 66 milioni e un indebitamento finanziario netto di 300

milioni di euro.

Il peso maggiore, il più indigesto, è l'operazione immobiliare di Parco

Talenti, nella zona nord di Roma. Partito con grandi ambizioni, il progetto è

finito nel pantano della recessione con prezzi fuori mercato e case invendute.

Oltre a Parco Talenti, la banca senese ha un'ipoteca da 90 milioni sul centro

commerciale Appio 1 e altri 20 milioni di leasing immobiliari con Impreme. Mps

Capital Services, inoltre, è in societa con Mezzaroma per un'altra iniziativa

nella zona di piazza Navigatori all'Eur.

Formalmente, Impreme e Siena calcio procedono in parallelo e non hanno

nulla a che fare tra loro sotto il profilo societario. Il club è controllato all'83,

8 per cento dalla Senio, divisa in quattro parti uguali tra i fratelli

Mezzaroma, cioè Massimo e le tre sorelle Barbara (39 anni), Valentina (35 anni),

avvenente vicepresidente, e Alessandra (33 anni). Le quattro quote sono in

pegno al Mps. Tra i soci di minoranza ci sono piccoli immobiliaristi della

zona, tutti creditori del Monte Paschi, i costruttori Parri, qualche

cooperativa rossa, ma anche la Btp di Riccardo Fusi, e la Navigator di

Gregorio Gitti, socio nella Sator di Matteo Arpe e genero di Giovanni Bazoli.

L'ingresso di Mezzaroma nel Siena è stato interamente spesato dal Montepaschi

con circa 40 milioni di euro, tra i debiti della gestione precedente e un

finanziamento fino al 2019. A questa somma vanno aggiunti gli 8 milioni di

euro all'anno di sponsorizzazione.

Non è ancora finita perché alla fine del 2011, Mezzaroma ha annunciato di

volere portare a termine un'operazione sul marchio. È un giro di soldi sulla

carta che serve a puntellare i conti. L'hanno fatto tutti, la fa anche lui. Il

marchio Siena calcio sarà valutato e girato a una società costituita apposta,

la B&W communication. Nella B&W ci sono sempre i Mezzaroma, stavolta con

una società del gruppo Impreme, insieme ad altri due soci: un dirigente del Siena,

Davide Buccioni, e Fabrizio Sacco. Entrambi sono residenti a Rocca Salimbeni,

la sede della banca.

La cessione del marchio con riaffitto dovrebbe fruttare altri 25-30 milioni

di proventi straordinari ma non è detto che sarà Massimo Mezzaroma a gestirli.

L'inchiesta sulle scommesse della Procura di Cremona, che gli ha procurato

una perquisizione, è una minaccia reale. Dopo le accuse degli ex calciatori

Filippo Carobbio e Carlo Gervasoni, il club toscano rischia una penalizzazione

pesante, se non la retrocessione in serie B. Sarebbe una mazzata sul conto

economico, con almeno 20 milioni di diritti televisivi in meno.

Insomma, tra deficit e calcioscommesse i rapporti tra Mezzaroma e

il Montepaschi non sono più quelli di due anni e mezzo fa. Mussari se n'è

andato a cercare gloria politica a Roma e, nei corsi e ricorsi bancari, il

costruttore romano si ritrova sulla testa Profumo come presidente del Mps. Il

nuovo direttore generale del Monte, Fabrizio Viola, vuole razionalizzare il

settore contributi sportivi. In tempi di crisi, è sempre più difficile

giustificare perdite come quelle dell'ultimo bilancio del Siena calcio, chiuso

con un rosso di 20 milioni di euro.

Viola arriva dalla Banca popolare dell'Emilia Romagna (Bper), dove era

amministratore delegato. Ancora una volta, rapporti d'affari maturati altrove

potrebbero indirizzare il futuro del club toscano. Durante la gestione Viola,

la Bper ha comprato Meliorbanca quando Giorgio Magnoni era consigliere

e azionista. I maligni dicono che i Magnoni non hanno soldi da investire nel

calcio.

È facile rispondere che questo non è un problema. Almeno non a Siena, dove i

soldi per lo sport li mette sempre la banca.

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Morti, feriti e biscotti

lasciamo in pace gli spagnoli

Fulvio Bianchi -Spy calcio repubblica.it -15-06-2012

Proprio questo si provava umilmente a dire a Gianluigi Buffon all'indomani della sua uscita su biscotti, morti e feriti: non si dice, anche se malauguratamente si pensa, che nel calcio è normale fare due conti quando un risultato serve a entrambe le squadre. Perché ora è atrocemente facile fargli notare che non ci sarebbe una sola buona ragione, se tutti ragionassero così, per essere sicuri che quei "due conti" di cui parlava non li facciano Spagna e Croazia, magari pure con qualche sghignazzata. E appellarsi alla fama dei giocatori spagnoli "che non possono permettersi di farsi ridere dietro dal mondo con un 2-2" è purtroppo puerile, una nuova maldestra teoria: solo i calciatori tristi che non hanno vinto mai si mettono dunque d'accordo per i pareggini, quando serve? Solo loro pensano "meglio due feriti che un morto?" Solo i poveri hanno l'inconfessabile diritto a darsi una mano? Il rispetto della lealtà sportiva che impone di dare sempre il massimo è un'esclusiva dei campioni? Si misura con l'ingaggio?

Esiste invece, vogliamo ostinatamente crederlo, un'altra speranza a cui affidarsi per evitare il bis delle coliche di bile del 2004, quando svedesi e danesi fecero i due conti che produssero l'eliminazione azzurra e la loro qualificazione a braccetto. E' la semplice, retorica, invecchiata e maltrattata legge dello sport: quella che dice che chi lo pratica lo fa per confrontarsi e possibilmente per vincere, perché vincere dà fama, dà soldi, dà prestigio, dà un senso alle fatiche degli allenamenti. E vincere dà soprattutto gusto. Gli spagnoli, per esempio, che sono innamorati del loro calcio, forse sono più lontani dalla logica di morti e feriti di quanto pensiamo, anche se ora non faremo altro che ricordare loro cose come il rispetto dei valori, l'etica, la lealtà: tutte materie in cui l'Italia si è d'altra parte guadagnata una credibilità che è sotto gli occhi di tutti, con i derby truccati, i rigori concordati tra portiere e centravanti, le mazzette negli autogrill e negli spogliatoi, le calciopoli e le scommettopoli.

E allora sarebbe forse meglio fare altre cose, più sagge: stare zitti. Allenarsi. Pensare all'Irlanda e cercare di vincere almeno una benedetta partita, una che sia una. E sperare poi che la lezione di sportività, invece di darla noi con le parole, arrivi dagli altri con i fatti. L'ennesima lezione che purtroppo, però, non riusciamo mai a imparare.

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Inviato (modificato)

Calciopoli

La vera storia

di Giuseppe Narducci

-------

Prefazione

Pallisti e pallonari

di Marco Travaglio

Ci voleva proprio, questo libro di Giuseppe Narducci, per rinfrescare la memoria

agli smemorati di Calciopoli. E non mi riferisco tanto ai tifosi che, per

definizione (me compreso, quando ancora lo ero), ragionano con la pancia e non

con la testa. Ma ai giornalisti, ai commentatori, agli "esperti" veri o presunti e ai

dirigenti del calcio italiano, che sono o sarebbero tenuti a rispettare le regole:

quelle della correttezza, della deontologia, della completezza dell'informazione,

e anche del codice penale e di quello sportivo.

Scrivo questa prefazione poche ore dopo la vittoria dello scudetto da parte della

"mia" Juventus: lo scudetto numero 28, che però i dirigenti e molti tifosi

bianconeri spacciano per il numero 30, incuranti del fatto che due campionati

furono giustamente sanzionati dalla giustizia sportiva (e anche penale) perchè

viziati dalle gravissime irregolarità e illegalità di Calciopoli. Sono felice di

questo scudetto numero 28 (gli altri due sono quelli della vergogna ed è meglio

dimenticarli): felice perchè è stato conquistato sul campo, senza favoritismi né

moggismi, così come fui felice che la "mia" Juventus nel 2006 venisse retrocessa

per espiare le sue colpe. Colpe che erano sotto gli occhi di tutti i vedenti ancor

prima che uscissero le intercettazioni dello scandalo, anche se pochissimi

cronisti, commentatori e osservatori osavano scriverlo sui loro giornali e dirlo

nei programmi Tv (Moggi controllava militarmente anche quelli).

Quelle intercettazioni fui il primo a pubblicarle, sulle pagine di Repubblica con

cui all'epoca collaboravo. Ma, per conoscere il sistema Moggi, non ebbi bisogno

di leggerne le trascrizioni: mi era bastato seguire le partite della mia squadra del

cuore con occhi non foderati di prosciutto, per rendermi conto che molte delle

vittorie travolgenti dell'èra Moggi-Giraudo-Umberto Agnelli avvenivano altrove,

fuori dal campo, prima ancora del fischio d'inizio: frutto del doping e dell'abuso

di farmaci (come poi dimostrò il processo intentato dal procuratore torinese

Raffaele Guariniello al capo dello staff medico bianconero Riccardo Agricola e

all'amministratore delegato Antonio Giraudo, salvati dalla prescrizione in

Cassazione), ma anche del controllo padronale e capillare su arbitri, procuratori,

dirigenti federali, giornalisti, moviolisti e addirittura sui vertici di altri

club (come poi dimostrarono le sentenze della giustizia sportiva e poi di quella

penale).

Chi fosse Moggi, poi, l'aveva stabilito un altro processo, celebrato ai tempi in

cui Moggi era direttore generale dell'altro club pallonaro subalpino: il Torino

Calcio. Un processo che dimostrò come "Lucianone" fosse solito allietare le

trasferte delle terne arbitrali sotto la Mole prima e dopo le partite di coppa

Uefa con la dolce compagnia di ragazze squillo da lui ingaggiate (quella volta

Moggi se la cavò grazie a un buco nella legge sulla frode sportiva, reato punito

soltanto se commesso nell'ambito di competizioni organizzate dal Coni e non

dall'Uefa). Eppure, nonostante quell'indecente pedigree, o forse proprio per

quello, nel 1994 Umberto Agnelli e Antonio Giraudo lo arruolarono come direttore

generale del club più blasonato d'Italia, con tanti saluti allo "stile Juventus".

E lui ricominciò a vincere alla sua maniera: con la frode, solo in forme più

sistematiche e spudorate (la famigerata "Cupola") grazie alla potenza della Real

Casa zebrata.

Raccontai tutto quel che vedevo e sapevo in un libro, Lucky Luciano, pubblicato

da Kaos in tempi non sospetti, nel 1998, a sei mani con due giornalisti sportivi che

non vollero firmarlo per non rovinarsi la carriera (questo significava, e forse

ancora significa, mettersi contro Moggi). Naturalmente, per motivi di decenza,

smisi di tifare per la mia squadra del cuore e mi misi in sonno, in attesa che

arrivassero i carabinieri. L'attesa durò 12 anni, ma alla fine i carabinieri

arrivarono. La Juventus pagò un prezzo altissimo, ma giusto: cancellati gli ultimi

due scudetti, retrocessione in serie B (la prima della storia) e un lungo

purgatorio che s'è concluso solo quest'anno con l'arrivo di Antonio Conte, un

allenatore preso fra gli ultimi campioni che vincevano sul campo ai tempi di

Boniperti e Trapattoni.

Ricordo perfettamente quando, nell'aprile del 2006, riuscii a procurarmi il

faldone di intercettazioni che la Procura di Torino aveva trasmesso nell'autunno

del 2005 alla Federcalcio e all'Uefa, perchè attivassero la giustizia sportiva. Ma,

dopo mesi, quel faldone era rimasto chiuso nei cassetti romani della Figc, regno

incontrastato del custode del sistema Franco Carraro, forse nella speranza di

riuscire a tirare a campare almeno fino al termine del campionato e dei Mondiali

di Germania, previsti per il mese di giugno: Moggi avrebbe dovuto parteciparvi

come capo della delegazione azzurra; Lippi come commissario tecnico; l'arbitro

internazionale Massimo De Santis come rappresentante dell'Italia in giacchetta

nera. Invece, grazie a un colpo di fortuna (e alle voci nate dall'improvvisa

cacciata di Pierluigi Pairetto da designatore arbitrale Uefa), misi le mani sul

dossier. E iniziai a pubblicarlo ai primi di maggio su Repubblica, seguito a ruota

dagli altri giornali.

Erano le intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura di Torino fra il 10

agosto e il 27 settembre 2004, nell'àmbito di un fascicolo aperto per associazione

per delinquere finalizzata alla frode sportiva: telefonate dei massimi vertici

della Juventus con i capi del calcio italiano e con i designatori arbitrali, per

avere fischietti amici e pilotare i risultati delle partite a vantaggio della

squadra bianconera e dei club alleati, a tutto scapito dei "nemici". Mattatore

assoluto Moggi, seduto al vertice di una vera e propria "cupola" in grado di

condizionare partite, campionati, arbitraggi, calciomercato, organi di controllo,

stampa, televisione e persino ampi settori del mondo politico e delle forze

dell'ordine.

L'inchiesta torinese, condotta da Guariniello, era approdata all'archiviazione

dopo che l'ufficio dei Gip, con un grave errore di sottovalutazione, aveva deciso

di non rinnovare l'autorizzazione alle intercettazioni proprio nel momento in cui

- a fine settembre del 2004 - la stagione agonistica entrava nel vivo: gli episodi

accertati nei mesi estivi, pur gravi e indicativi del sistema Moggi, non

costituivano reato in quanto si riferivano a partite amichevoli del

pre-campionato. I magistrati, comunque, decisero che gli episodi accertati non

potevano non interessare alla giustizia sportiva e nel settembre 2005 trasmisero

il dossier alla Figc, all'Uefa e poi alla Procura di Roma, che nel frattempo aveva

avviato un'indagine sulla "Gea World" .

Si trattava di una società che "gestiva" centinaia tra calciatori, allenatori e

dirigenti facente capo a un'agguerrita pattuglia di "figli di papà": Alessandro

Moggi, figlio di Luciano; Chiara Geronzi, giornalista del Tg5 e figlia di Cesare,

il banchiere di Capitalia; Giuseppe De Mita, figlio del politico democristiano

Ciriaco; Francesca Tanzi, figlia del finanziere-bancarottiere Calisto, già patròn

del Parma; Andrea Cragnotti, figlio del finanziere bancarottiere Sergio, già

presidente della Lazio; Davide Lippi, figlio di Marcello, ex allenatore bianconero

e allora commissario tecnico della Nazionale; Riccardo Calleri, figlio di

Gianmarco, ex presidente della Lazio e del Torino. Un caso di scuola di conflitto

d'interessi.

Gli appuntamenti fra Lucianone e il superbanchiere Geronzi, di solito, li

fissavano i rispettivi rampolli. Secondo gli investigatori, fu proprio grazie a

questo colossale conflitto d'interessi che il presidente della Roma Franco Sensi,

inizialmente riottoso al sistema Moggi, ma indebitato fino al collo con la sua

Italpetroli nei confronti di Capitalia, fu indotto a cedere la guida del club alla

figlia Rosella, ben presto risucchiata nell'orbita geronzianmoggiana, e a

sacrificare uno strenuo oppositore della "cupola": il direttore sportivo Franco

Baldini.

C'è un po' di tutto, in quelle bobine. C'è il folklore: Moggi che chiama il

telegiornalista Aldo Biscardi («amore», «angelo»), il quale gli rinfaccia una

scommessa vinta e mai pagata: Lucianone è costretto a ricordargli di averla già

onorata con «un orologio da 40 milioni». C'è il controllo militare sui designatori

arbitrali: da un lato il torinese Pierluigi Pairetto, che Moggi al telefono chiama

«Pinochet»; dall'altro il livornese Paolo Bergamo, nome in codice «Atalanta». Ci

sono le istituzioni, dalla Figc all'Uefa, piegate a interessi di parte: per

sistemare gli amici e soprattutto per avere arbitri malleabili, in campionato e in

Champions League. E ci sono addirittura le riunioni in casa di Antonio Giraudo,

amministratore delegato della Juventus, con Lucianone e i due designatori. Visto

dal buco della serratura, Moggi è la copia conforme del suo stereotipo

leggendario: trafficone, spregiudicato, amico di tutti e di nessuno, sempre al

telefono per "aggiustare" tutto. Ora col bastone, ora con la carota.

Si sceglie "à la carte" gli arbitri preferiti per le partite della Juventus: i

due designatori prendono nota e obbediscono. Il direttore generale della Juventus

è in grado d'influire sulle loro carriere, e su quelle dei fischietti, non solo

intervenendo sui dirigenti del calcio, ma anche controllando capillarmente uno

stuolo di giornalisti sportivi, della carta stampata e della tv. Compresi i

"moviolisti" incaricati di analizzare le scelte arbitrali e di condizionare così i

giudizi sugli eventuali errori. Chi sbaglia a vantaggio della Juve e dei suoi

amici viene coperto e salvato. Chi invece sbaglia contro, o fa semplicemente il

suo dovere se ne pente amaramente: viene attaccato dai giornalisti moggiani e

punito dagli organi federali.

Moggi istruisce i commentatori televisivi a uno a uno, prima che vadano in onda.

Una sera il mezzobusto di una Tv privata lo chiama per sapere come trattare

l'arbitro Trefoloni che «ha regalato un rigore alla Lazio». E Lucianone: «Bisogna

trattarlo bene». Poi c'è l'ex arbitro Fabio Baldas, "moviolista" del Processo di

Biscardi su La7, che ha appena inaugurato la "patente a punti" per gli arbitri.

Anche per lui, istruzioni dettagliate: «Allora - raccomanda Moggi - te devi

salvare Bertini, Dattilo e Trefoloni ... Sul Milan puoi battere quanto ti pare».

Il moviolista fa notare che due dei tre arbitri hanno commesso errori e

«qualcosina dobbiamo tirar via a Trefoloni e Dattilo, magari un punto. Dimmi tu

cosa devo fare e io nei limiti del possibile faccio». Ma Moggi, inflessibile: «A

Dattilo, Trefoloni e Bertini va dato un punto in più: anziché 20, 21! Poi ci

sentiamo dopo la trasmissione».

Le telefonate immortalano un mondo di politici, giornalisti, dirigenti e

calciatori, tutti in fila, anzi in ginocchio davanti a Lucianone, in attesa di un

favore, una raccomandazione, una parola buona. Una miniera inesauribile di piccoli

e grandi scandali che vanno molto al di là dei luoghi comuni sul tentacolare

Lucianone, che gli italiani scoprono essere in ottimi rapporti perfino con molti

politici, a partire dal ministro dell'Interno Beppe Pisanu (che chiede e ottiene

il salvataggio della Torres Sassari in serie C1) e da quello dell'Ambiente Altero

Matteoli (tifosissimo bianconero).

Non potendo proseguire con le intercettazioni, alla Procura di Torino non resta

che archiviare il caso. La richiesta firmata il 19 luglio 2005 dal procuratore

Marcello Maddalena e poi accolta dal Gip è comunque durissima, tanto con i vertici

juventini quanto con quelli arbitrali: «Anche se non sono emersi fatti penalmente

rilevanti, lo scenario è quantomai inquietante. È inquietante che la salute di un

giocatore sia considerata meno importante di un positivo risultato sportivo in

quello che è pur sempre un giuoco. Ma soprattutto è inquietante che un dirigente

di società come il Moggi possa, da un lato, puntualmente ottenere dai vertici

arbitrali le designazioni a lui gradite nei casi in cui il sistema lo consente

(come per le amichevoli) e dall'altro vantarsi, parlando con dirigenti della

federazione, di poter «far cacciare» uno dei due designatori arbitrali [ ... ] Le

possibilità di influire su Pairetto là dove il sistema lo consente non sono

millanteria, ma dato reale, preciso e provato (almeno in un'occasione) in maniera

indiscutibile [ .. . ]. Una situazione anomala che merita l'attenzione dei

competenti organi della Figc».

Sembra finita lì, ma Calciopoli è soltanto all'inizio, perché il 12 maggio

cominciano a uscire a raffica le telefonate intercettate dai Carabinieri del Ros

di Roma per conto della Procura di Napoli (Pm Giuseppe Narducci, autore di questo

libro, e Filippo Beatrice) durante tutta la stagione 2004-2005. Stralci delle

conversazioni sono contenuti negli inviti a comparire recapitati ai 41 indagati.

Investigando su un caso di calcio-scommesse, infatti, i Pm partenopei hanno

(parallelamente quanto inconsapevolmente) portato a termine il lavoro lasciato a

metà dai colleghi torinesi. Così, dai nuovi "ascolti", il fronte di Calciopoli si

allarga. E, a far compagnia alla Juventus, entrano nello scandalo anche il Milan,

la Lazio, la Fiorentina e altre società ancora.

Fra le migliaia di telefonate, la più inquietante è quella in cui il dirigente

bianconero concorda col designatore Bergamo i sorteggi arbitrali a vantaggio della

sua squadra, ma anche di quelle alleate.

I magistrati di Napoli scoprono che molte "combine" arbitrali del duo

Moggi-Giraudo sono sfuggite alle intercettazioni perchè i dirigenti della Juventus

hanno fornito a designatori e arbitri loro complici decine di schede telefoniche

Sim estere, dunque "criptate", per comunicare lontano da orecchi indiscreti. Un

sistema che il Gup di Napoli Eduardo de Gregorio, condannando Giraudo con rito

abbreviato nel 2009, definirà «molto importante per raggiungere gli obiettivi», in

quanto le Sim criptate «costituivano il mezzo necessario agli imputati per

colloquiare in modo sicuro con riguardo, in special modo, alle griglie arbitrali

nonchè, in prossimità di partite di calcio, con gli arbitri che dovevano

dirigerle. Nel periodo in cui fu in vita l'associazione per delinquere, fu

accertata la disponibilità e l'uso di 29 schede straniere da parte di alcuni dei

coimputati. D'altra parte il possesso e il conseguente uso di schede segrete deve

essere considerato, oltre che come predisposizione di un minimum di mezzi comuni,

come sintomo, insieme ai precedenti, di appartenenza all'associazione e del

vincolo associativo tra i possessori e gli usuari».

Sia Paparesta sia Bergamo ebbero a disposizione quelle Sim, come hanno dichiarato

il padre dell'arbitro e il designatore stesso, e - ricorda il Gup - «lo stesso

Moggi, nel suo pur lungo interrogatorio, non ha trovato elementi ed argomenti per

negare il fatto di aver parlato di rilevanti cose calcistiche con più coimputati e

con grande frequenza usando schede non identificabili. Quale fosse il contenuto

dei colloqui tra imputati facendo uso delle utenze-riservate non è dato,

ovviamente, sapere a causa di detta caratteristica. Tuttavia è molto utile

segnalare il discorso tra Moggi e Bergamo avvenuto nella notte del 9 febbraio 2005

ed ascoltato dalla polizia giudiziaria solo per l'imprudenza di quest'ultimo che

chiamò il primo dal suo telefono casalingo senza sapere che fosse sotto controllo.

In questa conversazione i due parlarono con chiarezza e senza problemi della

composizione delle griglie e delle scelte arbitrali che i designatori dovevano

fare dopo due giorni. Dunque in una delle pochissime occasioni in cui fu disvelato

l'argomento dei dialoghi avvenuti tramite telefoni "coperti", fu palese che i

conversanti parlarono di temi che, nel rispetto dei reciproci ruoli, non avrebbero

dovuto condividere, concordando cioè le "fasce" all'interno delle quali effettuare

il sorteggio e le scelte stesse degli arbitri per le partite da giocare nel turno

successivo del campionato».

Per evitare che esploda uno scandalo a ogni arbitraggio pilotato, a ogni partita

addomesticata, bisognava poi sincerarsi che i giornalisti più influenti, quelli

televisivi e della carta stampata, non facessero il proprio dovere. Moggi infatti

trascorreva ore e ore al telefono con loro. Un giorno parla con Biscardi di come

«stangare» Zdenek Zeman, l'allenatore boemo che da anni criticava il sistema-Moggi

e denuncia lo scandalo del doping.

Biscardi: Zeman lo faccio stanga' da Riva ...

Moggi: . . . Ma vogliamola una bella cosa? Andiamogli addosso di

brutto!

Ed ecco Moggi e Biscardi a consulto dopo Juve-Milan 0-0, il 20 dicembre 2004.

Moggi: ... I due episodi dei rigori: uno che c'era e uno che non

c'era. Allora te non rompe' tanto i ċoglioni ...

Biscardi: L'unica moviola che ho fatto io, barando un po', come puoi

immaginare, che Costacurta stava dentro l'area con i piedi fuori: ma

con la mano che ha fatto il fallo da rigore, stava dentro l'area . . .

Moggi: ... Però, guarda che bisogna far assolvere l'arbitro con

formula ampia.

Biscardi: Bertini . . . sì sì gli faccio mettere poco!

Moggi: Niente, no ... niente, niente, niente Aldo. Taglia . . .

taglia ... taglia tutto ... O dici che ha ragione l'arbitro oppure

devi taglia' la moviola.

Il 17 gennaio 2005 Moggi parla con Baldas, il moviolista di Biscardi:

Baldas: C'è il fuorigioco di Trezeguet sul gol.

Moggi: L'arbitro deve essere assolto alla grande! Anzi!

Baldas: Tutto quello che vuoi, però voglio dire, siccome sai ... si

vede che c'è . . . che ci sono 50 centimetri di fuorigioco!

Moggi: Poi i 50 centimetri li accorci, devono diventa' 20!

Miracoli della tecnologia. Oltre al fulvo conduttore e al moviolista, al Processo

furoreggiano il commentatore del Tempo Franco Melli e il vicedirettore del Tg5

Lamberto Sposini, entrambi teleguidati dal puparo Lucianone. Poi ci sono i vertici

di Raisport, da Fabrizio Maffei a Ignazio Scardina, che addirittura consentono

a Moggi di scegliersi gli inviati e gli intervistatori preferiti per le partite

della Juventus e di porre il veto su quelli sgraditi. Decine di giornalisti

sportivi che seguono il calcio sono perfettamente al corrente dei metodi

truffaldini di Moggi. Ma non solo evitano accuratamente di informarne i loro

lettori e telespettatori che il gioco è truccato: vanno addirittura in tv a

difendere Moggi e la sua cricca da qualunque critica, che pure sanno fondata.

Tacciono o mentono, sapendo di mentire. Alla fine Biscardi sarà sospeso

dall'Ordine dei giornalisti del Lazio per sei mesi, Melli per quattro, Sposini per

tre.

Anche la vicenda della Fiorentina di Diego e Andrea Della Valle è emblematica.

I due fratelli rilevano la società viola da Vittorio Cecchi Gori nel 2002. L'uno è

presidente onorario, l'altro presidente effettivo. E subito provano a scardinare

la cupola del calcio, fondata su due pilastri: il sistema Moggi con la sua rete di

clientele e il sistema Milan con il potere politico e il controllo militare sui

diritti televisivi e sulla Lega Calcio (tramite il presidente Galliani, che è pure

il vicepresidente rossonero). I Della Valle si battono per cacciare Carraro dalla

Figc e Galliani dalla Lega. Ma ben presto sono costretti a scendere a patti con la

cupola. Come? Con una vera e propria persecuzione arbitrale, che a poche giornate

da fine campionato precipita la Fiorentina sull'orlo della retrocessione. E che

costringe i Della Valle a baciare la pantofola prima di Bergamo, poi di Moggi in

persona, grazie alla mediazione del vicepresidente della Figc Innocenzo Mazzini.

L'ultima giornata di campionato è decisiva: il Parma non deve vincere a Lecce,

altrimenti si salva e manda in B la Fiorentina. Arbitra il solito De Santis. Il

designatore lo chiama prima della partita per le ultime raccomandazioni:

Bergamo: Massimo, è tutto a posto?

De Santis: Ho parlato con i guardalinee, gli ho spiegato un po'

velatamente le cose, ci mettiamo in mezzo noi.

Bergamo: L'importante è che tu vinca.

Infatti la Fiorentina batte il Brescia 3-0 e Lecce-Parma finisce rocambolescamente

3-3. Vittima sacrificale: il Bologna che, senza santi in paradiso, retrocede al

posto dei viola. Mazzini si felicita con Della Valle per la missione compiuta.

Mazzini: I cavalli boni vengono sempre fori. Le nostre pedine

funzionano sempre, l'operazione chirurgica è stata perfetta.

Della Valle: Certi errori non li faremo più.

Il ruolo della Lazio nello scandalo è ancor più complesso: il presidente Lotito

avrebbe agito - si legge nella sentenza dell'arbitrato del Coni (l'ultimo della

lunga serie di verdetti della giustizia sportiva) - nella «putativa convinzione di

dover reagire a torti subiti e di poterlo fare avviando contatti non trasparenti

con i vertici federali». Le sue proteste vanno a buon fine, anche perché Carraro

ha bisogno del voto di Lotito per essere confermato alla presidenza della Figc.

Non per niente il 3 febbraio 2005, in vista dell'incontro fra Chievo e Lazio che

si giocherà il giorno 20, Carraro ordina a Pairetto: «Bisogna dare una mano alla

Lazio».

La posizione del Milan è particolare, rispetto a quelle di Juve, Fiorentina e

Lazio. Visto che gli arbitri li controlla Moggi, il club rossonero si accaparra i

guardalinee. Se ne occupa un consulente "esterno" del club berlusconiano,

in stretto contatto con Galliani: il ristoratore Leonardo Meani, molto addentro

alle segrete cose del calcio, essendo stato lui stesso guardalinee.

Nella primavera 2006 lo choc per lo scandalo Calciopoli è enorme, e non soltanto

in Italia. Anche perché cade alla vigilia dei mondiali di Germania. Moggi "salta"

come capodelegazione in pectore degli azzurri. E così l'arbitro De Santis.

Galliani, deferito al processo sportivo, è costretto a mollare la poltrona della

Lega Calcio, sebbene Berlusconi lo inviti a restare. Carraro si dimette da

presidente della Federcalcio. Se ne va pure il presidente dell'Aia (l'associazione

arbitri) Tullio Lanese, mentre l'associazione sospende nove "fischietti" e dieci

guardalinee. E la festa della Juventus per il 29° scudetto è funestata dalla

cacciata di Moggi e Giraudo e dalla probabilissima revoca degli ultimi due titoli

viziati dagli illeciti della Cupola.

Sulle prime la classe politica, unanime, chiede la massima severità. Così al

capezzale del calcio moribondo vengono chiamati d'urgenza due rari simboli di

legalità in Italia: l'avvocato Guido Rossi, massimo esperto di conflitti

d'interessi, diventa commissario straordinario della Figc al posto di Carraro;

Rossi nomina subito l'ex procuratore capo di Milano, Francesco Saverio Borrelli,

come capo dell'Ufficio indagini al posto del generale della Guardia di finanza

Italo Pappa, per seguire l'istruttoria che dovrà portare al processo sportivo,

possibilmente entro l'estate e dunque in tempo utile prima che vengano compilati i

calendari del nuovo campionato e della Champions League. Berlusconi, ancor prima

che emergano le intercettazioni che coinvolgono il suo Milan, protesta sgomento:

«La sinistra ha messo le mani sul calcio». Fabrizio Cicchitto intravede «una

manina che vuole recuperare il giustizialismo». Il meglio lo dà l'on. avv. Gaetano

Pecorella: «Se Borrelli farà al calcio italiano quello che ha fatto alla politica,

sarà la fine del calcio italiano». È come se tutti già sapessero che il Milan è

coinvolto e mettessero le mani avanti buttandola in politica.

Il 19 giugno Borrelli chiude la prima parte dell'indagine con una durissima

relazione di 190 pagine, consegnata al procuratore federale Stefano Palazzi, in

cui denuncia l'esistenza di un vero e proprio «sistema» di «illecito strutturato»,

un «accordo associativo», una «struttura consistente e pervasiva che ha dimostrato

capacità di incidenza sull'intero sistema calcio, occupando tutti gli spazi» e che

si è consolidata almeno dal 1999, essendo impensabile che si sia «materializzata

d'incanto in un solo campionato». Una galassia perversa che ruotava intorno a due

soli: il "sistema Juventus", più forte sul campo grazie al vassallaggio di

designatori e arbitri, e il "sistema Milan", più forte sul piano

politico-imprenditoriale grazie al premier-padrone, al vicepresidente Galliani

presidente di Lega, al controllo sulle tv e sui relativi diritti, e al ruolo del

"responsabile arbitri" Meani, che chiedeva e otteneva «assistenti graditi come

Contini, Copelli, Puglisi, Babini». «Per il Milan - precisa Borrelli - non può

parlarsi di organizzazione strutturata come quella juventina», ma ciò «non toglie

l'emersione di un'influenza diretta ed efficace sui designatori». Galliani sapeva

tutto di quel che faceva Meani, anche se «si è "sforzato" di prendere le distanze

dal suo collaboratore, riconducendo le sue attività ad iniziative di carattere

personale».

Un quadro devastante e sconsolante. Eppure, già due mesi dopo l'esplodere

di Calciopoli, il clima intorno allo scandalo muta radicalmente. Basta la vittoria

della Nazionale di Lippi ai Mondiali di Germania per fornire al Palazzo un

formidabile pretesto per invocare l'indulgenza plenaria. Si parla, prim'ancora che

inizi il processo, di un'amnistia, o almeno di forti sconti di pena (in sintonia

con l'imminente indulto penale targato Mastella). Si muovono anche gli onorevoli

avvocati, i soliti Calvi (Ds), Pecorella (Forza Italia) e Pisapia (Rifondazione),

che lamentano presunte violazioni del diritto di difesa. Molti scoprono

all'improvviso che, nella giustizia sportiva, vale la responsabilità oggettiva

delle società per le colpe dei loro dirigenti e l'onere della prova è invertito:

non è l'accusa a dover dimostrare la colpevolezza degli incolpati, ma sono questi

- in presenza di gravi sospetti - a dover provare la propria innocenza. Le regole

del calcio sono queste, si è sempre fatto così, molti club medio-piccoli sono

retrocessi in base a queste norme: perché mai le stesse regole non dovrebbero

valere ora per i "grandi"? Ma questi ultimi schierano potentissime lobby

parlamentari a propria difesa.

La Juventus ha addirittura un apposito club a Montecitorio, capitanato

dall'onorevole Salvatore Buglio della Rosa nel Pugno, che vaneggia di

«giustizialismo, gogna mediatica, giustizia sommaria, inchieste politiche». Il

forzista bianconero Guido Crosetto parla di «metodi da Gestapo». Il Milan, oltre

al direttore di Liberazione Piero Sansonetti che lacrima ogni giorno per il povero

Diavolo perseguitato, ha un intero partito ai suoi piedi: interviene in difesa dei

rossoneri persino Sandro Bondi, la cui passione sportiva era finora sfuggita ai

più. Il forzista romanista Cicchitto difende la squadra del padrone: «Mandano la

Juve in C per poter mandare il Milan in B». Il forzista juventino Maurizio Paniz è

il primo a invocare l'amnistia per Calciopoli. Il margherita Enzo Carra si

associa: «Amnistia fra un anno». E così il ministro della Giustizia Clemente

Mastella, amico di Berlusconi, Moggi e Della Valle: «L'amnistia la chiedono la

maggior parte dei tifosi. Questo processo è come l'arena del Colosseo». Poi

Mastella invita i giudici sportivi a «tener conto della vittoria di Berlino: chi

ci ha dato prestigio e dignità va valutato con occhio diverso».

Non appena viene coinvolto il Milan, anche l'on. avv. Pecorella lancia l'idea di

escogitare «un meccanismo, da introdurre per legge, che sconti un po' le condanne

per evitare che i nostri calciatori, che sono i migliori del mondo, paghino per

colpe non loro. Se la giustizia sportiva dovesse decidere di mandare in serie C

squadre come la Juventus, applicando la logica dell'indulto si potrebbe pensare ad

una retrocessione in B più una penalità. Se invece la condanna è ad andare in B,

la squadra punita potrebbe restare in A scontando in più un'altra penalità, magari

il pagamento di una somma o altro».

Paolo Bonaiuti, portavoce di Berlusconi, s'interroga pensoso sul perché «debbano

pagare i tifosi, costretti a veder retrocedere la squadra del cuore». Giuliano

Ferrara sul Foglio e Piero Ostellino sul Corriere della Sera forniscono munizioni

a mezzo stampa al partito dell'impunità. Ostellino, habitué della tribuna vip

moggiana, spiega che il processo sportivo «è un mostro giuridico» e rischia di

scivolare nella «responsabilità oggettiva dei processi staliniani». Poi ci sono i

sindaci, che - con qualche rara eccezione - scendono in difesa delle squadre

cittadine: in testa i Ds Leonardo Domenici a Firenze e Sergio Chiamparino a Torino.

Il processo sportivo a Calciopoli sarà talmente «staliniano» che alla fine, fra

un grado di giudizio e l'altro, si trasformerà in un gigantesco «scontificio» per

molti colpevoli eccellenti.

Il 14 luglio, in primo grado, la Caf infligge una raffica di squalifiche: Juve in

B con 30 punti di penalità, oltre alla revoca degli ultimi due scudetti (quello

del 2005-2006 verrà poi assegnato all'Inter); Fiorentina in B a -12; Lazio in B a

-7; Milan in A a -15, ma fuori dalla Champions League. Moggi, Giraudo e Mazzini

inibiti per cinque anni; Carraro e De Santis per quattro anni e mezzo; Diego Della

Valle per quattro; Lotito, Andrea Della Valle, Meani e Dondarini per tre anni e

mezzo; Pairetto e Lanese per due anni e mezzo; Galliani per un anno; Paparesta per

tre mesi; Bergamo, che s'è dimesso dalla Figc appena in tempo, non è giudicabile

pèr difetto di giurisdizione. Nelle motivazioni, i giudici escludono l'esistenza

di una vera "cupola", ma accolgono in vari casi l'accusa di illecito sportivo.

Il processo d'appello si celebra dinanzi alla Corte federale presieduta da Piero

Sandulli e rimasta intatta, tale e quale a quella dell'Ancien Regime: tutti

avvocati. Il risultato è la sentenza del 25 luglio: uno sconto di pene

generalizzato. Per la Juventus è confermata la serie B, ma la penalità scende da

30 a 17 punti (proprio come aveva auspicato lo stesso difensore bianconero,

avvocato Cesare Zaccone: «Ci meritiamo la B con qualche punto di penalizzazione

»). Lazio e Fiorentina si salvano dalla retrocessione e restano in A, anche se la

prima partirà da -11 e la seconda da -19. Il Milan ottiene addirittura l'accesso

ai preliminari di Champions League (e a fine stagione vincerà la coppa) e uno

sconto sulla penalità, scendendo da -15 a -8. "Dimagriscono" anche le sanzioni a

carico di presidenti e dirigenti (addirittura annullata quella a Carraro, che se

la cava con una multa da 80mila euro con "diffida"). Questi però, non ancora

soddisfatti, si apprestano a lucrare altri saldi di fine stagione davanti alla

Camera di conciliazione e all'arbitrato del Coni, senza contare che qualcuno punta

anche sul Tar e sul Consiglio di Stato.

Completa il quadro della restaurazione la nomina di Antonio Matarrese, vecchio

dinosauro della Dc e del calcio italiano, a presidente della Lega Calcio al posto

di Galliani: qualche giorno prima, "don Tonino" aveva paragonato il processo

sportivo a quello di Norimberga. Poco dopo, nuovo cambio della guardia alla

Federcalcio: il 21 settembre il Coni e il governo approfittano della nomina di

Guido Rossi a presidente della Telecom per sbarazzarsi di lui, anche se non c'è

alcun motivo che gl'impedisca il doppio incarico. Il nuovo commissario della Figc

è Luca Pancalli. In autunno altri sconti a gogò negli arbitrati del Coni: penalità

ancora ridotta alla Juventus (che partirà da -9), alla Fiorentina (da -15) e alla

Lazio (da -3). Ma i casi più scandalosi sono quelli di alcuni dirigenti. Carraro,

già passato dai quattro anni e mezzo del primo grado agli 80mila euro con diffida

in appello, rimane con 80mila euro senza diffida (insaziabile, ricorrerà al Tar

per farsi levare anche la multa). Galliani, che per l'accusa doveva scontare due

anni e per la Caf uno solo, si vede ridurre la squalifica dal Coni a cinque mesi:

così alla vigilia di Natale 2006 può tornare alla vicepresidenza del Milan. Meani

passa dai cinque anni chiesti dal procuratore Palazzi ai tre anni e mezzo della

Caf, ai due anni e cinque mesi dell'appello, ai due anni e due mesi dell'arbitrato

Coni. Lotito, che per l'accusa doveva restar fuori da tutto cinque anni, per la

Caf tre e mezzo, per l'appello trenta mesi, con l'arbitrato Coni se la cava con

quattro mesi appena e a novembre 2006 è di nuovo presidente della Lazio.

Così, alla fine, i più penalizzati restano Moggi e Giraudo (confermati cinque anni

per ciascuno) e De Santis (quattro anni) . In attesa dei processi penali di Roma e

di Napoli, Lucianone - imputato per associazione per delinquere - diventa

editorialista fisso del quotidiano Libero di Vittorio Feltri, nonché opinionista

di Antenna 3 Lombardia, mentre Rai e Mediaset se lo contendono per le consuete

interviste in ginocchio. Anche dopo che la Commissione Disciplinare della

Federcalcio lo radierà nel 2011, insieme con Giraudo e con l'ex vicepresidente

della Figc Innocenzo Mazzini, perchè i loro comportamenti furono di «intrinseca

gravità» ed ebbero «conseguenze aberranti» suscitando «un rilevante allarme

sociale», e in particolare Moggi aveva l'attitudine di «falsare la classifica

attraverso una continua opera di condizionamento del settore arbitrale» con una

condotta «altamente inquinante» connotata da «sistematicità e stabilità

organizzativa».

Nel processo Gea, celebrato a Roma, Moggi viene condannato in primo grado nel

2009 per violenza privata a l anno e 6 mesi di reclusione insieme al figlio

Alessandro. In appello la pena viene ridotta a l anno per la prescrizione di

alcuni episodi delittuosi. Moggi ha fatto ricorso in Cassazione, ma intanto è

stato di nuovo condannato in tribunale a 4 mesi per minacce nei confronti del

testimone Franco Baldini.

Nel processo Calciopoli, celebrato a Napoli, Moggi è stato condannato in primo

grado nel 2011 a 5 anni e 4 mesi di carcere per associazione per delinquere

finalizzata alla frode sportiva. Condannati anche Giraudo (nel 2009, con rito

abbreviato, a 3 anni), Bergamo (3 anni e 8 mesi), Mazzini (2 anni e 2 mesi),

Pairetto (l anno e 11 mesi), De Santis (l anno e 11 mesi), Lotito (l anno e 3 mesi),

Andrea e Diego Della Valle (l anno e 3 mesi ciascuno), Meani (l anno) e molti

altri fra dirigenti e arbitri.

Dopo il Purgatorio della serie B e la pronta risalita in serie A, la "nuova"

Juventus del giovane presidente della Fiat John Elkann, grazie a dirigenti

estranei all'Ancien Regime come Giovanni Cobolli Gigli e Jean-Claude Blanc, sembra

avere archiviato il suo indecente passato per guardare al futuro. Ma nel 2010 John

cede il comando della società al cugino Andrea Agnelli, figlio di Umberto, tuttora

vicinissimo a Moggi e Giraudo. Il quale, vellicando gli istinti più bassi della

parte più becera della tifoseria, riapre la ferita di Calciopoli rivendicando i

due ultimi scudetti, quelli revocati per lo scandalo, soprattutto il secondo,

quello del 2005-2006 assegnato a tavolino all'Inter. E chiedendo addirittura alla

Federcalcio i danni in sede civile. Il tutto tirando la volata a Moggi, che si

difende disperatamente nel processo di Napoli secondo la linea craxiana del "così

facevan tutti", accusando la Procura di Napoli e i carabinieri del Ros di aver

dolosamente occultato alcune intercettazioni in cui anche i vertici dell'Inter di

Massimo Moratti, e più precisamente il direttore generale Giacinto Facchetti, si

occupavano di arbitri parlando al telefono con i designatori abitrali.

Poco importa se le parole di Facchetti captate dalle microspie non sono neppure

lontanamente paragonabili a quelle della Cupola moggiana e dai suoi satelliti e

possono al massimo interessare la giustizia sportiva (che per anni s'è ben

guardata dall'esaminare l'intero faldone delle intercettazioni di Calciopoli,

dalle quali gli inquirenti penali avevano scremato soltanto quelle contenenti

notizie di reato). E poco importa se quelle telefonate non fruttarono all'Inter

alcun trattamento di favore, anzi tutto il contrario (tant'è che appaiono più che

altro maldestri tentativi, border line fìnchè si vuole, di difendersi da un

sistema che privilegiava sempre i soliti noti).

Alla fine il procuratore federale Stefano Palazzi, a proposito delle conversazioni

citate dalla difesa Moggi, sostiene che, telefonando ai designatori arbitrali,

l'Inter di Moratti e Facchetti violò l'art. l ("slealtà sportiva") e l'art. 6

("illecito sportivo"), ma non può essere punita perchè ormai le eventuali

irregolarità sono cadute in prescrizione. A meno che, si capisce, l'Inter non vi

rinunci. Palazzi equipara l'Inter agli altri club puniti per Calciopoli:

Fiorentina, Lazio e Milan. Tutti tranne uno: la Juventus di Moggi e Giraudo,

protagonista di fatti «di differente gravità, protrazione e invasività», dunque

fuori concorso. Però il Pm sportivo ricorda che la sua tesi accusatoria contro

Milan, Fiorentina, Lazio e ora Inter è già stata sconfessata dalla Corte federale,

secondo cui non basta telefonare ai designatori per commettere illecito: occorre

che le pressioni arrivino agli arbitri e li condizionino. La qual cosa Palazzi non

è riuscito a provare per nessun club, eccetto la Juve. Dunque è verosimile che,

anche se l'Inter rinunciasse alla prescrizione, verrebbe assolta o privata di

qualche punto. E, siccome le presunte pressioni interiste non sortirono effetti e

ai tempi della Triade bianconera l'Inter perdeva campionati truccati, nessuno

scudetto deve passare di mano. Ciò detto, sarebbe stato un bel gesto da parte di

Moratti rinunciare alla prescrizione per farsi giudicare nel merito. Così l'Inter

avrebbe finalmente potuto difendersi nel processo sportivo (penalmente, gli

inquirenti napoletani hanno già ritenuto che non c'è nulla di rilevante).

Il fatto paradossale è che, a invitare l'Inter a rinunciare alla prescrizione,

non è stato solo Palazzi, ma anche la Juventus attraverso i suoi massimi

rappresentanti. Peccato che la stessa Juventus, quand'era ancora nelle mani di

Moggi e Giraudo, si sia salvata in Cassazione nel processo del doping a carico del

dottor Agricola e dello stesso Giraudo proprio grazie alla prescrizione. E non

pensò neppure per un istante di rinunciarvi. Anche perchè, negli anni del doping e

dell'abuso di farmaci, aveva vinto tre scudetti, una Champions, due Supercoppe

italiane, una Supercoppa europea e un'Intercontinentale. E, se si fosse fatta

giudicare oltre i termini di prescrizione e fosse stata condannata, avrebbe

rischiato di dover restituire tutti quei trofei.

Meglio chiudere definitivamente quelle vecchie ferite e voltare pagina, con altri

comportamenti e altro stile. Per questo inorridisco all'idea di rivendicare

l'ultimo scudetto come numero 30, reclamando il diritto di appuntarsi sul petto la

terza stella. Da juventino ritrovato, mi auguro vivamente che le autorità sportive

si oppongano e facciano rispettare le sentenze. Proprio ora che abbiamo

ricominciato a vincere sul campo, confondere le vittorie meritate con quelle

taroccate sarebbe peggio che un errore: sarebbe un delitto. L'ennesimo.

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LA STORIA

Calciopoli, sei anni dopo

Fatti e sentenze sull'era Moggi

In libreria "Calciopoli, la vera storia", scritto dall'ex pm Giuseppe Narducci: un volume che mette un punto sul più grande scandalo del calcio italiano. Di parte (quella della pubblica accusa) ma difficilmente discutibile. Un esercizio di memoria utile che, ancora oggi, risulta sbalorditivo

Corrado Zunino - repubblica.it -15-06-2012

Il libro "Calciopoli, la vera storia" (edizioni Alegre, da ieri in libreria) mette un punto e offre una memoria. Una memoria di parte - dalla parte della pubblica accusa, quella dell'ex pm Giuseppe Narducci - , ma difficilmente discutibile. Ci sono fatti e sentenze sull'era Moggi e la sua mefitica influenza sul calcio italiano. Il libro le ricorda e le esplicita.

Luciano Moggi, e a scendere il mondo arbitral-dirigenziale che lo circondava e che da quell'amicizia guadagnava (prestigio e denaro), ha subito solo sconfitte dal momento in cui un giudice (penale, sportivo, civile, amministrativo) ha preso in mano le accuse contro il direttore generale della Juventus più vincente della storia del club. Moggi è stato condannato a Napoli, in primo grado, per associazione a delinquere ai fini della frode sportiva. E' stato condannato a Roma, in primo grado e in appello, per violenza privata (questione Gea, il figlio Alessandro). E' stato condannato nei due gradi della magistratura sportiva e non è riuscito a uscire con un compromesso salvifico dalla filiera degli accordi possibili con il Coni, le Conciliazioni, gli Arbitrati. Ancora, ha perso le querele per diffamazione presentate (in sede penale e civile) e sono stati respinti i ricorsi ai Tar firmati per lui dagli amici e dai sostenitori della Juventus.

Per ora il giudice assolutorio Luciano Moggi non l'ha trovato eppure il fenomeno Calciopoli, il suo processo soprattutto, ha conosciuto un'ondata delegittimante senza precedenti, alimentata dal vento del web filo-juventino, potentissimo. Ecco, l'ex pm prestato al sindaco de Magistris, il procuratore antimafia Giuseppe Narducci che presto tornerà a fare il magistrato, a sei anni di distanza dal disvelamento dei fatti, a quasi otto dall'inizio dell'inchiesta - ottobre 2004, appunto - , ha deciso di richiamare opinione pubblica e tifosi (juventini compresi) ai fatti. Questo libro aiuta ad immergersi in un mare di fatti che con puntualità accusatoria e scarsa attenzione al retroscena l'autore ci offre. Qui basta la scena, srotolata per 269 pagine sentenze comprese, per capire che Calciopoli è stato il più grande scandalo del calcio italiano (siamo in attesa di comprendere il perimetro degli accadimenti del calcioscommesse contemporaneo). Lo è stato per alcuni motivi peculiari: i due più importanti dirigenti del calcio italiano a cavallo tra i Novanta e il Duemila (Luciano Moggi e Antonio Giraudo) allestirono un'organizzazione, poi definita in due separati giudizi "a delinquere", che inglobò e mise a servizio proprio e della Juventus i due storici designatori arbitrali, lo storico presidente dell'Associazione italiana arbitri, il vicepresidente della Federazione italiana giuoco calcio, diciassette fra arbitri e guardalinee (fra cui il Massimo De Santis destinato ai Mondiali 2006 e una giacchetta nera del livello di Gianluca Paparesta), l'intero blocco dirigenziale arbitrale e una ventina di club del calcio italiano, ora aiutati, ora puniti dai loro referenti (i più alti dirigenti di sei di questi club sono stati condannati nel processo di Napoli). L'altra ragione dell'inaudita gravità di Calciopoli sta nell'opera realizzata dall'organizzazione di alterare i risultati degli avversari e degli amici, frode per conto terzi.

Leggere questo libro per chi ha seguito i fatti fin dall'inizio, anticipandoli con inchieste di giornale (vedi da pagina 176 a pagina 178), è un esercizio di memoria sano eppure sbalorditivo. Come se l'impellenza del momento (salvare il campionato successivo, decidere chi poteva andare a fare le coppe) non avesse fatto percepire nella sua contezza gli affari del designatore Pierluigi Pairetto, pur denunciati al telefono dal pari grado Bergamo: "Gigi risponde a tutti quelli dove ci sono grandi magazzini e lui ha bisogno di lavorare... Risponde alla Sampdoria, al Milan, all'Inter, al Verona, al Vicenza, al Palermo, ha interessi a Genova con l'amministrazione comunale".

Quelle intercettazioni, formidabili, teatrali, ci hanno raccontato un intero mondo del calcio, ci hanno illustrato attori e comprimari. Come Danilo Di Tommaso, oggi potente capo ufficio stampa del Coni di Petrucci-Pagnozzi. Paolo Casarin racconta come, ritenendo il giornalista Di Tommaso, allora esperto di arbitri per Tuttosport, "la voce di Moggi", lo si doveva usare "per conoscere il pensiero di Moggi e non farsi sbranare da lui come è riuscito invece a fare il designatore Baldas". Rileggendo "Calciopoli" si riprende in mano il concetto - una certezza nel 2006 - che l'ex arbitro Nucini è stato un teste attendibile (raccontò di un viaggio bendato per la città di Torino, iniziazione al clan) e che persino mister Ancelotti, omertoso in aula, fosse convinto dell'impronta truffaldina della Triade: "A Siena contro il Milan il guardalinee Baglioni è stato mandato da Moggi".

E' utile rileggere Calciopoli per ricordarsi che sì, è possibile truccare i sorteggi di inizio stagione nei campionati di quelle stagioni, anche se tre giornalisti sportivi non si accorsero di niente: ci sono comunque due testimoni a raccontare i trucchi lontani dal notaio, le palline corrose e riconoscibili. E poi si ritocca con mano la violenza intimidatoria nei confronti del comunque vile Paparesta, si rivedono gli atti sulle 45 schede telefoniche con 324 ricariche del Lichtenstein, e le ricariche svizzere, quelle slovene. Dovevano essere intestate a nessuno, "le prendi solo se non sono rintracciabili", ordinava Moggi ai tirapiedi. Ancora le parole in gergo e i soprannomi da malavita, l'"Atalanta", il "numero uno". "Poi ti richiamo di là", e spariva l'intercettazione. I telefonini regalati avevano solo i nomi della gang in rubrica. E, si ricordano nel libro, i doppi giochi della zarina Maria Grazia Fazi e quelli di Massimo De Santis che inizia ad arbitrare onestamente quando si accorge di essere sotto inchiesta. Ancora, i 14 incontri segreti dei più alti dirigenti italiani del calcio, le ammonizioni mirate sugli avversari futuri del club bianconero. Che altro si deve aggiungere - questi sono fatti, di più, prove riconosciute - per storicizzare un fenomeno sei stagioni dopo e non giocare ancora alla polemica con due scudetti che non ci sono (perché sono stati rubati)?

Ecco, "Calciopoli, la vera storia" è un libro di memoria. Basato su sentenze. Con qualche "fattispecie criminosa" di troppo e qualche spiegazione che - se il libro avesse avuto un impianto più arioso - ci saremmo aspettati. Perché, per esempio, un interrogatorio così tenero con Franco Carraro? In queste pagine si ricorda come la difesa dell'allora presidente della Federcalcio nei confronti della Lazio fosse da considerare centrale nell'impianto accusatorio. Perché non si è spesa neppure una parola sull'indagatore principe, il colonnello dei carabinieri Attilio Auricchio? E perché non si è offerto un senso pubblico - che c'è, ed è puramente investigativo - sul diverso peso dato alle intercettazioni (decine di migliaia) nei confronti dell'associazione a delinquere e a quelle (poco più di cento) nei confronti di Facchetti e i dirigenti interisti? Una spiegazione piana, affidata ai fatti, avrebbe spento l'ordalia di polemiche speciose avanzate da chi vorrebbe continuare a vincere facile.

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Modificato da huskylover

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