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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Il giudice avrebbe ripreso il testo senza neanche

cambiare le parole «questo pm» con «questo gip»

PALERMO - Il gip copia o si limita a riassumere le tesi accusatorie della Procura di Napoli e per questo il tribunale del riesame del capoluogo campano annulla l'arresto di Gaetano Riina, fratello del boss di Cosa nostra, Totò, avvenuto il 14 novembre scorso. L'accusa era di concorso esterno in associazione camorristica. Il gip, scrive il Giornale di Sicilia, si sarebbe limitato a riassumere la richiesta di arresto della Procura di Napoli, incappando peraltro in una serie di errori e non sostituendo nella sua ordinanza neanche le parole «questo pm» con «questo gip».

Secondo la procura di Napoli, Gaetano Riina avrebbe preso accordi con il clan del casalesi nella gestione del trasporto di frutta e verdura nei mercati siciliani, campani e laziali. Gaetano Riina rimane in carcere perchè arrestato nel luglio scorso per associazione mafiosa in quanto considerato nuovo capo del mandamento di Corleone. :nono:

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Joined: 17-Apr-2007
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Il giudice avrebbe ripreso il testo senza neanche

cambiare le parole «questo pm» con «questo gip»

PALERMO - Il gip copia o si limita a riassumere le tesi accusatorie della Procura di Napoli e per questo il tribunale del riesame del capoluogo campano annulla l'arresto di Gaetano Riina, fratello del boss di Cosa nostra, Totò, avvenuto il 14 novembre scorso. L'accusa era di concorso esterno in associazione camorristica. Il gip, scrive il Giornale di Sicilia, si sarebbe limitato a riassumere la richiesta di arresto della Procura di Napoli, incappando peraltro in una serie di errori e non sostituendo nella sua ordinanza neanche le parole «questo pm» con «questo gip».

Secondo la procura di Napoli, Gaetano Riina avrebbe preso accordi con il clan del casalesi nella gestione del trasporto di frutta e verdura nei mercati siciliani, campani e laziali. Gaetano Riina rimane in carcere perchè arrestato nel luglio scorso per associazione mafiosa in quanto considerato nuovo capo del mandamento di Corleone. :nono:

l'ho sentita oggi in radio, mi è venuta in mente una certa similitudine con certe pratiche provolonesche nel clonare i verbali dei vari pittoreschi personaggi pro accusa che hanno testimoniato a napoli

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l'ho sentita oggi in radio, mi è venuta in mente una certa similitudine con certe pratiche provolonesche nel clonare i verbali dei vari pittoreschi personaggi pro accusa che hanno testimoniato a napoli

nucini-borrelli, nucini-di laroni (un anno dopo) 2 verbali identici.

evidentemente è una pratica molto diffusa .oddio

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Joined: 14-Jun-2008
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Il dramma (e lo scandalo) dei cosiddetti G2: italiani di seconda

generazione, nati nel nostro Paese ma extracomunitari per la legge

e per la burocrazia del pallone Solo tre di loro, finora, sono

arrivati in A. Per tutti gli altri ragazzi under 18, cittadinanza,

tesseramento e soprattutto diritti sono ancora sogni lontani

Stranieri per forza

Quei 12.000 piccoli Balotelli che per l´Italia non possono giocare

di COSIMO CITO (la Repubblica 04-01-2012)

Un campetto di Roma, piena periferia, una fredda sera d´inverno: i riflettori

accesi, la terra battuta, due porte, un pallone da prendere a calci, il

romanesco dei ragazzini che le danno e le prendono allegramente. Il romanesco

non si lega ai visi, agli occhi a mandorla, alla pelle nera di questi ragazzi,

alle loro storie. Yuan è Giovanni per gli amici, ha 15 anni, un bel talento,

fa il portiere, è nato da genitori cinesi, ma in Italia, è un G2, un "italiano

di seconda generazione". Mike è nato nel Ghana, esattamente come Mario

Balotelli, i genitori hanno scelto l´Italia per il loro futuro e quello del

bimbo, che ora ha 12 anni e vorrebbe fare di quell´oggetto tondo il suo

mestiere, il suo futuro. Anche lui frequenta una scuola italiana, mangia

italiano, parla un perfetto italiano, è bravo sulla fascia destra, potrebbe

fare carriera. Come lui, secondo i dati del Settore giovanile e scolastico

della Figc, sono più di trentamila i figli di genitori stranieri iscritti in

società giovanili italiane, dodicimila dei quali sono nati in Italia, ma non

hanno ancora la cittadinanza italiana. Molti di loro presto dovranno cambiare

sport, aspirazioni e vita: una burocrazia iniqua, persino violenta, impedisce

agli italiani di seconda generazione il salto verso il grande calcio. Di fatto,

i G2 vengono equiparati dai regolamenti del calcio a extracomunitari e hanno

le stesse limitazioni, gli stessi spazi, esigui, intollerabilmente esigui.

Il peccato originale italiano è la norma sulla cittadinanza, basata sullo ius

sanguinis, il diritto di sangue che prevede, per l´acquisizione dei pieni

diritti, l´italianità di almeno uno dei due genitori. Per i nati in Italia da

genitori stranieri la situazione è molto complessa. Fino a 18 anni il ragazzo

non può fare richiesta della cittadinanza italiana. Dopo, ha appena un anno di

tempo, fino al compimento del 19esimo anno, per farne domanda, e inoltre deve

dimostrare di aver risieduto legalmente in Italia per almeno 10 anni, senza

interruzioni. Il tesseramento per una società calcistica, poi, passa

attraverso l´esibizione di una montagna di carte che scoraggerebbe chiunque:

permesso di soggiorno, certificato di frequenza scolastica e residenza,

permesso di soggiorno dei genitori, poi nuove carte in cui mamma e papà devono

documentare il loro "stato occupazionale" e il reddito, infine il transfert.

In altri sport, come il rugby, l´hockey o la boxe, è più facile: il calcio

invece deve affrontare non solo problemi di natura politica, ma anche una

direttiva Fifa, datata 2009, finalizzata al contrasto della tratta di giovani

atleti, per la quale tutti i primi tesseramenti dei figli di immigrati possono

avvenire solo dopo che una Commissione internazionale per lo status dei

calciatori abbia dato il suo benestare. Tra la richiesta e l´ok a volte

passano mesi, sette, otto, una vita.

La linea seguita dalla Figc poi è volta alla tutela dei vivai, ma declinata

sulla difesa dell´italianità degli stessi. Complicatissimo per i ragazzi non

italiani o figli di non italiani inserirsi e vivere attraverso il calcio. In

molti devono fermarsi prima del grande salto verso il professionismo.

In paesi come Francia, Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna, vige lo ius soli:

è cittadino chi è nato sul suolo nazionale. In Italia la sensibilità su questi

temi è scarsissima e solo recentemente, dopo le parole del presidente

Napolitano («Una follia che i figli di immigrati nati in Italia non abbiamo la

cittadinanza», fine novembre) si è cominciato davvero a parlarne.

Una situazione paradossale: sull´altare della tutela dei vivai vengono

giustiziate le aspirazioni di trentamila ragazzi. Il sociologo Mauro Valeri,

che ha dedicato studi e libri alla questione dei G2, fa un ragionamento

complessivo: «Manca a livello politico la volontà di aiutare questi ragazzi.

Non sono censiti dal Coni e non hanno quindi le stesse possibilità che hanno

loro coetanei di nascita italiana. La federazione non ha, probabilmente a

causa di pressioni politiche contrarie, una volontà forte, e il problema

resta. La tendenza è quella di lavorare caso per caso: se c´è un ragazzo di

qualità fenomenali, come Mario Balotelli, l´iter si accorcia e viene data la

possibilità di superare senza problemi le lungaggini che invece la maggior

parte dei ragazzi è costretta ad affrontare. Un discorso di struttura,

complessivo, non è mai stato affrontato».

Appena dodici, secondo il "1° annuario dei Black Italians nello sport" di

Mauro Valeri, in uscita, sono stati gli italiani di colore capaci di mettere

piede su un campo di serie A. Il primo fu Ibrahim Scandroglio, nel 1999, con

la maglia dell´Empoli: un ragazzo nativo della Costa d´Avorio adottato da una

famiglia italiana. Solo tre i G2, Mario Balotelli, Angelo Ogbonna e Stefano

Okaka, nati da genitori stranieri in Italia. Due su tre hanno già esordito in

Nazionale. Migliaia come loro non potranno mai farlo.

___

L'intervista

Il presidente del settore giovanile Figc:

"Battiamoci tutti per una conquista civile"

Rivera: "Discriminazione spietata

e il calcio paga il ritardo del Paese"

di COSIMO CITO (la Repubblica 04-01-2012)

Gianni Rivera è dall´agosto 2010 presidente del Settore giovanile e

scolastico della Figc e da allora combatte una battaglia dura su due

fronti distinti.

«Ci battiamo soprattutto a favore dell´accoglienza e per il riconoscimento di

un diritto sacrosanto. I ragazzi nati da coppie di stranieri e residenti in

Italia sono italiani a tutti gli effetti. Quando riconosceremo questo

principio avremo fatto il salto in avanti decisivo nel processo di

integrazione dei G2 nel nostro sistema-paese. Ho apprezzato moltissimo le

parole di Napolitano: la strada però è ancora molto lunga e non so quanto le

forze politiche maggioritarie abbiamo voglia di percorrerla».

Il vulnus del sistema è quindi la cittadinanza?

«Purtroppo la mancanza dello status di italiani espone i G2 allo scontro con

un aspetto del regolamento Fifa che impedisce di fatto il loro tesseramento».

Parliamo della cosiddetta norma anti-tratta?

«La federazione internazionale, per combattere la tratta di minori, pone

infiniti paletti al tesseramento di ragazzi di diversa provenienza, mettendo

di fatto sullo stesso piano extracomunitari e G2».

Una discriminazione.

«Le norme vigenti sono a favore non dei vivai in senso stretto, ma

dell´italianità dei vivai: chi non ha la cittadinanza italiana deve combattere

problemi di ogni tipo e un regolamento che ne limita l´impiego nel calcio

professionistico. I ragazzi di sangue diverso ma nati qui sono duramente

discriminati perché soggiogati da una burocrazia spietata».

Lo ius soli, come in Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, in parte

anche Germania, sarebbe una grande conquista di civiltà.

«Una grandissima conquista civile. E di riflesso anche il mondo del calcio se

ne gioverebbe, con forze nuove, fresche, con l´entusiasmo di tanti immigrati

di seconda generazione che tifano azzurro e sognano sin da piccolissimi di

vestire la maglia della nostra nazionale. Al momento il 3 per cento del nostro

movimento è composto da ragazzi che per regolamento non potranno mai salire

oltre la Lega Pro».

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La Spagna non è più il paradiso fiscale del calcio:

a rischio i campioni di Real e Barca

di GIOVANNI CAPUANO dal blog "Calcinfaccia" 04-01-2012

Era il paradiso fiscale dei calciatori di tutto il mondo, il paese con una

fiscalità così conveniente da essere stata studiata apposta per attirare i

cervelli in fuga all’estero e pazienza se, nell’esercito dei beneficiari,

c’erano anche i piedi nobili dei fuoriclasse strappati alla concorrenza

europea. C’era una volta la Spagna della Ley Beckham, quella speciale deroga

concessa nel 2003 dal governo Aznar in base alla quale i redditi prodotti in

Spagna da lavoratori stranieri venivano tassati al 24%, poi trasformato in 25%,

per i primi sei anni di permanenza. Una legge che ha consentito a Barcellona

e Real Madrid di fare incetta di campioni facendo leva anche sulla possibilità

di offrire ingaggi netti superiori del 25-30% rispetto agli altri maggiori

club europei.

Avete presente Galliani che schiumava di rabbia raccontando che difficilmente

il Milan avrebbe potuto resistere davanti alla corte del Real per Kakà? Ecco,

quello era il prodotto del regime fiscale spagnolo che dal 2010 non esiste più

e che adesso, come per una legge del contrappasso, rischia di trasformarsi in

un incubo per il Barcellona.

La crisi economica ha costretto infatti il governo ad alzare le tasse facendo

leva soprattutto sulle fasce più alte e a partire dal 1° gennaio 2012 i

redditi oltre i 300mila euro dovranno lasciare allo stato la bellezza

del 56% (in Catalogna) e del 52% nel resto del Paese. Un’autentica

mazzata che cancella quasi definitivamente gli effetti della Ley Beckham già

riformata nel 2010 quando - non con effetto retroattivo - gli ingaggi superiori

ai 600mila euro erano stati allineati alle medie europee con aliquote dal 45

al 49 per cento a seconda delle regioni.

La nuova stretta fiscale rischia di costare caro alle società spagnole e in

particolare al Barcellona. Il problema è emerso nelle pieghe della trattativa

per il rinnovo del contratto del francese Abidal in scadenza il prossimo 30

giugno. Guardiola e Rosell hanno deciso di confermarlo, a patto però che si

riduca il suo peso sui conti. E il francese ha sin qui beneficiato della

tassazione di favore al 25%. Rinnovarlo costerà al club quasi il doppio in

tasse. E lo stesso accadrà - a Barcellona come a Madrid - alla prossima

tornata di scadenze.

La Spagna, dunque, smette di essere il paradiso fiscale dei calciotori di

tutto il mondo e lascia il primato alla Francia dove l’aliquota massima è del

41% e scatta oltre i 71mila euro. Poco peggio va a Germania e Portogallo

dove la tassazione tocca il 42% per le fasce più alte. In Italia l’aliquota per

lo scaglione ricco (oltre 75mila euro) è stata confermata dal governo Monti al

43% e può arrivare con le addizionali varie al 45%. Meno di quanto accade

ormai in Spagna e meno di quanto accade da tempo in Inghilterra dove Stato

e calciatori fanno fifty-fifty (50%) quando i compensi superano le 150mila

sterline (circa 170mila euro).

Tralasciando paradisi fiscali più o meno leciti ed esotici, alla fine i più

fortunati sono gli atleti professionisti statunitensi. Negli USA, infatti,

nessuna aliquota supera mai il 35% e quella massima scatta a partire dai

370mila dollari (260mila euro).

___

Spagna, il premier Rajoy tassa i ricchi

Stop al regime fiscale agevolato per i calciatori

Per anni hanno attirato campioni allettandoli con una legge che

permetteva loro di pagare imposte minime. Ora le grandi squadre della

Liga fanno i conti con la nuova manovra lacrime e sangue del governo: i

giocatori della Liga pagheranno più tasse di tutti nell'Europa pallonara

di DARIO PELIZZARI (il Fatto Quotidiano.it 04-01-2012)

La crisi economica internazionale potrebbe aver fatto un bel favore al calcio

italiano. Il nuovo governo spagnolo di centrodestra del premier Mariano Rajoy,

che in campagna elettorale aveva promesso ai suoi elettori di mettere a posto

i conti del Paese anche a costo di varare misure impopolari, ha deciso di

rivedere pesantemente la politica fiscale da applicare a coloro che possono

vantare redditi superiori ai 300 mila euro. Dal primo gennaio 2012, i

benestanti di Madrid e dintorni dovranno pagare, tra le altre cose, fino al 6

per cento di tasse in più sulle loro entrate. Sotto scacco, in tal senso,

anche i calciatori più rappresentativi della Liga, la Serie A spagnola, che

fino a ieri (o quasi) godevano di privilegi che non avevano eguali nel resto

d’Europa.

Per cinque anni, dal giugno 2005 al gennaio 2010, i club spagnoli hanno

beneficiato della cosiddetta Ley Beckham, che ha permesso loro di muoversi sul

mercato dei giocatori con proposte più allettanti della concorrenza. Il

governo Aznar aveva approvato un decreto legge che prevedeva un’aliquota

di tassazione “di favore” per tutti i lavoratori stranieri in Spagna con reddito

superiore ai 600 mila euro all’anno. La sterzata non è stata di poco conto.

Dal 43 per cento si è passati in un amen al 24 per cento, per cinque anni e

con effetti retroattivi fino al 2004. Da qui, il collegamento con Beckham, il

quale allora era stato protagonista di un trasferimento extra lusso che lo

aveva consegnato al pubblico del Real Madrid dopo stagioni straordinarie

con la maglia del Manchester United.

Grazie alla Ley Beckham hanno raggiunto la Spagna alcuni grandi big del

calcio mondiale. Robinho, Sergio Ramos, Diarra, Robben, Pepe, Sneijder,

Huntelaar, Cristiano Ronaldo, Kakà, Benzema, ma anche Henry, Dani

Alves e Ibrahimovic, soltanto per citare i più noti. Forti del regime fiscale

agevolato, Real Madrid e Barcellona hanno fatto man bassa dei migliori talenti

del pallone, offrendo loro ingaggi da nababbi, contando sul fatto che le altre

società europee non avrebbero avuto i numeri per fare altrettanto. Per carità,

le due corazzate spagnole fanno bene praticamente da sempre, ma certo il

governo Aznar ha dato loro i mezzi per trovare uno spazio di tutto rispetto

nel panorama calcistico internazionale. Un vantaggio più che evidente fino al

gennaio 2010 e che da qualche giorno è stato praticamente annullato.

Già, perché anche se la Ley Beckham è stata ufficialmente messa da parte

nel 2010 i suoi benefici hanno avuto effetto per tutti i contratti che erano stati

firmati prima del gennaio dello stesso anno. Per la gioia dei campioni che

avevano scelto la Liga nelle stagioni precedenti. Con l’abrograzione del

decreto, invece, tutto è cambiato. I redditi superiori ai 600 mila euro sono

stati tassati dal 45 al 49 per cento, a seconda delle regioni, in linea con la

media europea. Ma ormai i giochi erano fatti e i campioni avevano già

trovato casa.

Con la nuova manovra del governo Rajoy, lo scenario cambia ancora e

questa volta in modo radicale. I fuoriclasse della Liga dovranno aprire il

portafogli per consegnare alle casse dello Stato dal 52 al 56 per cento dei

loro introiti. Più di quanto non viene prelevato ai giocatori che vivono e

lavorano in Germania, Inghilterra, Francia e Italia. Per i francesi, ora è primato.

Oggi guidano la classifica dei Paesi europei che possono proporre ai giocatori

stipendi più alti per via di un’aliquota pari al 41 per cento che scatta per i

redditi superiori ai 71 mila euro. L’Italia segue a ruota con il 45 per cento

per introiti oltre i 75 mila euro. Almeno fino a quando il governo Monti non

deciderà di varare la patrimoniale di cui si parla da settimane.

Modificato da Ghost Dog

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Il caso

Il vicepresidente Figc Albertini: "La politica ci aiuti". A Lecco calciatore reintegrato dal giudice

"Diritti per i nuovi italiani

deve intervenire il governo"

di COSIMO CITO (la Repubblica 05-01-2012)

Italiani per lingua, nascita, abitudini, residenza, extracomunitari per lo

Stato e per il calcio. Il paradosso dei G2, gli immigrati di seconda

generazione nati nel nostro paese da genitori stranieri, è un garbuglio di

difficile soluzione, complicato da una politica tiepida sul tema e, dal punto

di vista calcistico, da un regolamento internazionale che manda tra le fauci

della burocrazia le speranze e il talento di trentamila ragazzi. «Per le leggi

dello stato - racconta il vicepresidente federale Demetrio Albertini - i G2

sono extracomunitari finché la domanda di acquisizione della cittadinanza non

viene accettata. Certo, questo può avvenire solo con la maggiore età, e a quel

punto, quasi sempre, una carriera sportiva è già avviata e in molti casi, se

non aiutata da un contesto normativo favorevole, già finita. Noi abbiamo le

mani legate, aspettiamo che la politica avvii una revisione della norma dello

ius sanguinis, troppo penalizzante per i ragazzi nati in Italia da genitori

stranieri. La norma anti-tratta della Fifa poi rende tutto più complicato,

perché rende il concetto di extracomunitario troppo largo: di fatto mette

sullo stesso piano chi lo è davvero e i G2, rendendo così complicatissimo

l´avvento di questi ultimi nel calcio che conta, con grave danno per loro e

anche per le nazionali italiane, private di tanti talenti. Chiediamo al

Governo un dialogo su questo tema: noi siamo per l´integrazione, nel modo più

largo e assoluto. Ma è lo stato che deve intervenire e metterci nelle mani gli

strumenti giusti».

La via giudiziaria, in mancanza di una regolamentazione generale e in attesa

che la legge italiana pareggi il passo con la vita reale, è seguita da un buon

numero di giovani calciatori, non solo G2, ma anche ragazzi stranieri adottati

calcisticamente dall´Italia che sperimentano sulla propria pelle

un´inaccettabile discriminazione. È il caso dall´attaccante senegalese del

Lecco Ahmet Fall, che dopo aver battuto in tribunale la Figc è stato

reintegrato nella rosa della squadra lombarda di Lega Pro, in quanto, secondo

il giudice del Tribunale di Rimini, la sua formazione all´interno di un vivaio

italiano (Fall, classe 1991, è in Italia dal 2007) lo equipara a calciatori

italiani e gli concede uguali diritti ai fini del tesseramento in una società

professionistica.

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Ronda attorno al palazzo del calciatore

Zambrotta assume una «vedetta» contro i writer

di DARIO ALEMANNO (Libero 05-01-2012)

Il calciatore del Milan Gianluca Zambrotta ha deciso di difendere dai writers

il suo palazzo situato nel centro storico di Como. Per essere sicuro che

nessuno imbratti con scritte e disegni la facciata appena ristrutturata ha

reclutato la vedetta notturna. Una guardia giurata piantona per tutta la notte

lo stabile e lo sorveglia, assicurandosi che nessun ragazzo si avvicini con la

vernice spray. La ricetta anti-writers di Zambrotta è l'estrema soluzione a un

problema che da anni affligge la città murata del capoluogo lariano. Un

problema che nell'ultimo mese è tornato prepotentemente a far parlare di sé a

causa dei numerosi graffiti comparsi su muri, portoni ed edicole della città.

Così Zambrotta, che può contare sul un lauto stipendio da calciatore, ha

deciso di rivolgersi a sue spese alla ditta di vigilanza Vedetta 2 per

salvaguardare l'elegante edificio che ha acquistato e ristrutturato nel centro

storico. Ma non è l'unica soluzione a cui ha pensato. Il campio del Milan ha

fatto installare un sistema di allarme che riconosce il suono della bomboletta

spray qunado spruzza la vernice: in men che non si dica l'allarme suona e due

fari si accendono puntando una forte luce sul muro e sugli eventuali writers.

Modificato da Ghost Dog

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Napoli, giocatori intercettati

Indagato il portiere Gianello

Tra le 4 partite nel mirino c'è lo 0-3 col Milan. Controllati Mascara

e Cannavaro per capire come reagivano a pressioni camorristiche

di MAURIZIO GALDI (GaSport 05-12-2011)

Si solleva il velo sul nome che aleggiava da tempo su Napoli: Matteo Gianello

(ex portiere del Napoli e da novembre al Sarego in serie D) è iscritto nel

registro degli indagati per frode sportiva. Dal 15 giugno è stato più volte

sentito dal pool «reati da stadio» della Procura di Napoli coordinato da

Giovanni Melillo. Sul suo nome in questi mesi è cresciuto l'interesse, si è

parlato di superpentito, di informazioni importantissime da lui fornite.

Tant'è che Melillo ha mal digerito le anticipazioni di ieri e le rivelazioni

di oggi uscite sul settimanale Panorama. L'inchiesta procedeva a fari spenti:

il capitano Paolo Cannavaro e l'attaccante Giuseppe Mascara (entrambi del

Napoli) sarebbero anche stati intercettati, ma non indagati, per capire come

reagivano a presunte pressioni per favorire alcuni risultati (e non sarebbero

i soli ascoltati). Tutto era partito dalla presenza del figlio di un presunto

camorrista a bordo campo al San Paolo in occasione di Napoli-Parma. Da quelle

immagini la voglia di vedere quante persone non autorizzate si trovavano a

bordo campo in casa e in trasferta: come si riusciva a ottenere i pass di

servizio? Questo uno dei filoni d'inchiesta, poi da questo e dalle indagini si

arriva al mondo delle scommesse e alla possibilità che qualcuno possa tentare

di convincere i propri compagni ad «ammorbidirsi».

Napoli e Cremona Melillo in autunno aveva avuto diversi incontri con il

procuratore di Cremona Di Martino. Molti i punti in comune delle due inchieste

e molti i nomi che le due Procure avevano nel mirino. Dall'interrogatorio di

Gervasoni a Cremona, ad esempio, emergono i nomi di Michele e Federico Cossato

(secondo l'ex del Piacenza legati a un bookmaker austriaco), Melillo già li

aveva iscritti nel registro degli indagati. Ma soprattutto molte delle partite

che Cremona ritiene «interessanti» sarebbero finite nel mirino anche di

Napoli. È sull'esame dei flussi di giocate che le cose devono ancora essere

approfondite. Cremona ha segnalato alcune giocate fatte nell'area napoletana e

ora il lavoro della squadra mobile di Napoli deve accertare se quelle erano

scommesse su gare di Serie A o minori. Sotto la lente 4 match dello scorso

campionato dei partenopei: Napoli-Parma, Sampdoria-Napoli, Lecce-Napoli e

Milan-Napoli anche se per il momento non ci sarebbero elementi di rilevanza

penale. L'attenzione, comunque, potrebbe far scattare l'apertura di un

fascicolo da parte della Procura federale che già aveva avuto segnalazioni da

Cremona per alcune gare del Napoli. Per qualcuno potrebbe scattare anche

l'omessa denuncia.

Le altre inchieste Ma sulle scommesse a Napoli lavora anche la Direzione

distrettuale antimafia (Dda) di Rosario Cantelmo, che indaga sul clan

D'Alessandro di Castellammare di Stabia. E proprio ieri gli aggiunti

Filippelli e Siragusa hanno sentito in Procura la segretaria del giudice

sportivo Stefania Ginesio già intercettata a Cremona in alcune telefonate con

Bettarini. E sempre la Dda, ma questa volta di Bari, sta lavorando su alcune

gare del Bari della scorsa stagione. Anche in questo caso sarebbero stati clan

della malavita organizzata a fare pressioni per riciclare denaro proveniente

da attività illecite. Su questo filone si devono registrare contatti con la

Procura di Lecce che da tempo indaga sul ruolo di bookmaker stranieri presenti

sul territorio.

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Calciosospetti

alla napoletana

Tre giocatori nel mirino, diverse partite sotto la lente degli

inquirenti e il sospetto di infiltrazioni della camorra e delle

triadi cinesi. È questo il quadro dell'inchiesta della procura

campana. Che potrebbe connettersi con quella di Cremona.

di GIACOMO AMADORI E GIANLUCA FERRARIS (Panorama | 11 gennaio 2012)

Il 2011 è stato per il calcio italiano un annus horribilis, almeno dal punto

di vista giudiziario: sono arrivate le condanne per Calciopoli e ha preso il

via l'inchiesta sul calcioscommesse. Il 2012, però, potrebbe essere perfino

peggiore. Infatti se l'indagine della Procura di Cremona sulle partite

combinate (a dicembre 17 persone sono finite in cella, tra cui sei calciatori)

ha già messo sotto osservazione diversi incontri di serie A che

coinvolgerebbero anche squadre di rango come Lazio e Genoa (vedere l'articolo

successivo: "Troppe scommesse su Lazio-Genoa"), il vero botto potrebbe

giungere dal lavoro, sino a oggi sono traccia, di un'altra procura, quella di

Napoli, la stessa che nel 2006 ha scoperchiato Calciopoli. Qui da mesi sono

aperti almeno tre fascicoli che contengono riferimenti più o meno diretti a

incontri truccati e possibili collegamenti con la camorra. Investigazioni che

all'inizio di giugno hanno portato negli uffici della procura l'ex portiere

della squadra partenopea Matteo Gianello, accusato di frode sportiva.

Classe 1976, Gianello ha militato nel Napoli dal 2004 al 2011, dalla C alla A,

nonostante le origini veronesi tanto invise agli ultrà azzurri. II suo

avvocato Vincenzo Siniscalchi spiega a Panorama che il verbale è stato

segretato e che comunque si è parlato di più squadre e più campionati.

Gianello resta indagato, ma la sua vicenda non trova grande spazio sui

quotidiani. Forse perché gli inquirenti procedono con discrezione per non

agitare un ambiente e una tifoseria particolarmente sensibili ed eccitati per

le gesta in Champions league dei loro beniamini, mai così in auge dai tempi di

Diego Armando Maradona. Eppure, per quanto risulta a Panorama, a inizio estate

i magistrati hanno chiesto di intercettare le utenze telefoniche di Gianello,

insieme con quelle di due altri ex compagni di squadra: l'attaccante Giuseppe

Mascara, 32 anni, siciliano di Caltagirone, e il capitano Paolo Cannavaro,

napoletano doc.

Perché gli investigatori sarebbero interessati alle conversazioni dei tre? La

risposta non è semplice. In procura il fascicolo del pool «reati da stadio»

(formato da Antonello Arditum, Vìncenzo Ranieri, Danilo De Simone e Paolo

Sirleo, coordinati dal procuratore aggiunto Giovanni Melillo) resta blindato e

l'unica certezza è che nel mirino ci sarebbero diverse pratiche degli azzurri.

Di tre di queste si è parlato anche sui giornali: Napoli-Parma e

Sampdoria-Napoli del campionato 2009-2010, e Lecce-Napoli del torneo

2010-2011. Ma secondo quanto ricostruito da Panorama nei mesi scorsi gli

inquirenti avrebbero esaminato con attenzione pure le immagini di Milan-Napoli

del 28 febbraio scorso. Il big match (la posta in gioco era il primato in

classifica) finì 3-0 per i rossoneri, dopo che il primo tempo era terminato

0-0, nonostante gli attacchi milanisti. Gianello quel giorno non giocò.

Cannavaro e Mascara, acquistato dal Catania meno di un mese prima, sì.

Ģazzetta e Corriere dello sport promossero con lo stesso voto in

pagella il primo (6,5) e bocciarono il secondo (5), alla pari degli altri

colleghi di reparto.

Gianello e il suo avvocato negano di avere risposto a domande su quella

partita, mentre l'entourage di Mascara reagisce con sorpresa, escludendo

avvisi giudiziari o convocazioni del calciatore in procura. Forse perché gli

investigatori in questi mesi non hanno trovato riscontri ai loro sospetti. Per

quanto riguarda Cannavaro, sarebbe stato intercettato (senza essere indagato)

solo per capire come lo spogliatoio reagisse alle proposte esterne di combine.

La voce di Cannavaro, insieme a quella del fratello Fabio, capitano della

Nazionale campione del mondo nel 2006, era già finita nelle bobine degli

inquirenti nella primavera del 2010, mentre parlava al telefono con il suo

agente Enrico Fede (il cui cellulare era sotto controllo). Un paio di mesi

dopo quelle intercettazioni terminarono senza riscontrare illeciti penali.

Prima di spegnere i registratori e trasmettere i faldoni all'ufficio indagini

della Federcalcio, però, gli investigatori fecero in tempo ad annotare un

ultimo sms, definito «ambiguo», che arrivò sul telefonino di Fedele: «Chiedere

indirizzo portiere per invio prosciutti».

Fra le partite sotto esame, la più nota è Napoli-Parma del 10 aprile 2010.

Quel giorno era a bordo campo Antonio Lo Russo, rampollo dell'omonimo clan di

Secondigliano che controlla il totonero sin dai tempi di Maradona. Secondo una

fonte confidenziale dei carabinieri, durante l'intervallo di quella partita,

con il Napoli in vantaggio, alcuni personaggi legati ai Lo Russo puntarono

forte, e contro ogni logica, sulla vittoria emiliana. Che in effetti giunse

nella ripresa: 3-2. Il giovane è anche stato di recente ospite a casa del

fuoriclasse argentino Ezequiel Lavezzi, attaccante della squadra partenopea.

Che, quando le foto dei due insieme sono finite sui giornali, ha mostrato

tutto il suo stupore: «Pensavo fosse solo un capotifoso». I nomi di Fabio

Cannavaro, Lavezzi e dell'attaccante del Manchester City Mario Balotelli sono

entrati (senza conseguenze penali) anche in un'altra inchiesta della procura

napoletana, quella dei pm Sergio Amato ed Enrica Parascandolo, per i loro

rapporti con l'imprenditore Marco Iorio, arrestato nel giugno 2011 con

l'accusa di riciclare il denaro della camorra. Iorio chiese a Cannavaro, suo

amico e socio, di intestarsi fittiziamente il 15 per cento delle quote di una

società. Cannavaro accettò, come ha ammesso lui stesso con i magistrati, ma ha

assicurato di averlo fatto in buona fede, convinto che Iorio avesse problemi

di rapporti familiari. Hanno testimoniato in procura, a settembre 2011, pure

Lavezzi, frequentatore abituale del ristorante e della casa dell'imprenditore

(dove durante una perquisizione gli inquirenti ritroveranno le custodie di 10

orologi di proprietà dell'attaccante), e Balotelli, che proprio a Iorio si

rivolse nel giugno 2010 per provare il brivido di una gita a Scampia.

Amicizie pericolose che, però, non hanno evitato ai giocatori del Napoli e ai

loro parenti e agenti di essere bersagliati negli ultimi mesi da numerosi

furti e rapine. Nel frattempo la Dda di Napoli sta approfondendo anche i

collegamenti fra le partite truccate e il clan D'Alessandro. Il fascicolo ha

molti punti di contatto con quello cremonese: quattro delle partite

considerate sospette dai magistrati lombardi, per esempio, hanno registrato

volumi anomali di giocate nelle agenzie di scommesse campane.

E l'asse Cremona-Napoli torna anche nella deposizione di Marjio Crtvak.

Scommettitore croato di 46 anni, Crtvak dalla sua cella di Norimberga (dove

sconta una condanna a 5 anni per avere truccato numerosi match di Bundesliga)

ha dichiarato agli inquirenti che in Italia il grosso delle puntate e delle

vincite sugli incontri combinati passa per la piazza partenopea, dove «il

gioco nero è in mano ai cinesi». Con il placet dei boss. Le questure delle due

città avrebbero già messo nel mirino alcuni immigrati affiliati a una triade

della provincia di Zhejiang. Napoli è davvero milionaria per tutti,

chioserebbe Eduardo.

___

Troppe scommesse

su Lazio-Genoa

Sembrava la classica partita di fine stagione, invece ora

Lazio-Genoa del 14 maggio 2011 è al centro delle indagini della

Procura di Cremona. Gli inquirenti, attraverso l'esame delle

puntate, stanno cercando riscontri alle parole di Carlo

Gervasoni, difensore del Piacenza, sulla sfida tra romani e

liguri. Gervasoni dichiara che il giorno dell'incontro un altro

indagato, Alessandro Zamperini, «mise gli slavi (il gruppo che

organizzava le combine, ndr) in contatto con Stefano Mauri

(capitano della Lazio, ndr) e con Omar Milanetto (vicecapitano

del Genoa, ndr) che poi informò altri compagni». Zamperini nega

e i calciatori respingono le accuse. «L'obiettivo fu raggiunto»

fa mettere a verbale Gervasoni «in quanto le scommesse erano

sull'1-1 dopo 45 minuti». In effetti la partita finì 4-2, ma

durante il primo tempo, dopo un gol a testa nel giro di 6 minuti,

le squadre giochicchiarono attirandosi i fischi dell'Olimpico.

Un andamento che molti avevano previsto: «Quel sabato, poco

prima dell'inizio, si presentarono da me una decina di clienti

abituali» ricorda il titolare di una ricevitoria di Fiumicino.

«Puntarono circa 1.000 euro a testa sul risultato esatto del

primo tempo. Capii che qualcosa non tornava». Il colpo di scena

arriva quando un bookmaker austriaco, SkySport365, trasmette

alla Guardia di finanza italiana un rapporto sull'accaduto, che

combacia con la testimonianza racccolta da Panorama. «A 3 ore

dall'evento» si legge nell'esposto «rileviamo una richiesta

enorme di gioco sulla modalità "primo tempo X, secondo tempo 1"

oltre che sul risultato all'intervallo e sull'over finale. Vista

la conclamata anomalia siamo costretti (...) a inibire tale

possibilità di gioco (...). Tutte le giocate arrivano dalla

zona di Roma e dintorni». A Cremona sperano che, tra chi ha

riscosso le vincite, qualcuno abbia voglia di ricostruire come è

arrivata la dritta giusta.

Modificato da Ghost Dog

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A FEBBRAIO IL VADEMECUM

Mai dire

fairplay

È l’anno zero della rivoluzione di Platini. Ma solo i club italiani

sembrano prenderla sul serio. Il City chiede tempo alla Uefa, il Psg

spende in allegria, gli spagnoli eludono. Furbi loro o poveri noi?

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 06-01-2012)

Nuove%20regole.png

Fairplay finanziario, ma non per tutti. La parola magica agitata per la prima

volta dal gran capo dell’Uefa Michel Platini nel settembre del 2009 rischia di

trasformarsi se non in terreno di duello, quantomeno di sospetti o veti

incrociati. C’è una truppa di club, quelli italiani, che all’equilibrio fra

costi e ricavi sta dedicando energie, ma ci sono altre società, inglesi e

spagnole su tutti, che al traguardo del pareggio di bilancio fissato da

Platini per il 2018 e dintorni sembrano dare un valore diverso considerando

anche gli sforzi sul mercato di queste ore.

Così accade che, numeri alla mano (o meglio perdite), il Manchester City

dello sceicco Mansour, fra un investimento milionario e l’altro, trovi il

tempo di inviare una lettera d’intenti all’Uefa: la nostra intenzione è quella

di metterci in regola con i vostri parametri, ma non ce la faremo fin dalla

prima fase (i primi bilanci sotto la lente di ingrandimento di Platini saranno

quelli di quest’anno fino al 2014), questo sarebbe il contenuto nella missiva.

City con la giustificazione in mano, dunque. E club spagnoli, Real Madrid e

Barcellona, con l’assist della normativa civilistica da sfruttare: se, infatti,

è vero che il fairplay finanziario prevede l’aumento di capitale come regola

guida per immettere nuovi fondi nelle squadre, è altrettanto vero che la legge

in Spagna considera i versamenti dei soci delle società cooperative (e Real

Madrid e Barcellona lo sono) come ricavi e non appunto come aumenti di

capitale.

Entro febbraio l’Europa del pallone conoscerà il vademecum della Commissione

degli otto saggi (c’è l’italiano Umberto Lago) che conterrà il graduale

dosaggio delle sanzioni: i buoni propositi parlano di un primo cartellino

rosso accompagnato da pene economiche fino all’esclusione dalle stesse

competizioni europee per i più disobbedienti. Sarà vero? I club italiani si

augurano di sì ora che la figura del mecenate è cancellata e sul mercato le

società tricolori tirano il fiato. Chiedono fermezza, i nostri dirigenti di

vertice. Una mano dura che, per alcuni (vedi l’ad dell’Inter Ernesto Paolillo)

, potrebbe tradursi nel vietare l’utilizzo oltre confine di quei giocatori

acquistati in regime di deregulation. Non tutti i costi verranno pesati

dall’Uefa, non quelli per i settori giovanili o gli stadi. Ma nemmeno tutti i

ricavi saranno considerati virtuosi: avranno l’ok quelli da sponsorizzazioni,

biglietteria, web, diritti tv. «I club italiani hanno preso seriamente il

fairplay finanziario. Quello che accade altrove è sotto gli occhi di tutti... »,

così Michele Uva, direttore del Centro studi della Figc che tiene sotto

osservazione il panorama internazionale. Da Barcellona, arriva l’idea

innovativa del presidente Rossel: «Il nostro obiettivo è chiedere ad ogni

cinese un solo euro all’anno per l’abbonamento web. Guadagneremmo 1 miliardo e

600 milioni di euro: sai quanti campioni potremmo acquistare senza rompere

l’equilibrio entrate-uscite del fairplay finanziario».

Bilanci%202008-2010.png

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CALCIO INFETTO LE INCHIESTE

Combine e scommesse:

tre Procure in pressing

Cremona a rischio stop

Da febbraio il pm Di Martino sarà a lungo impegnato nell'Appello per piazza della Loggia

di MAURIZIO GALDI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 06-01-2012)

«E' venuta a galla soltanto una parte del marcio». Basta girare per i corridoi

delle Procure che stanno indagando sul calcio per raccogliere mezze frasi che

non possono lasciare tranquillo il movimento. Non più quattro sfigati, come

qualcuno ironizzava a giugno. E probabilmente non soltanto squadre e giocatori

di secondo piano invischiati. Ci sono tre Procure della Repubblica che stanno

indagando una quarta, a Bologna, avrebbe aperto un fascicolo per frode

sportiva e scommesse illegali, mentre la Procura federale finora ha ricevuto

una minima parte della documentazione necessaria per partire con il secondo

processo sportivo.

A Cremona Gli interrogatori riprenderanno mercoledì con Doni e Santoni, poi

dovrà tornare Carobbio. Ma il lavoro subirà un'interruzione a febbraio, perché

il pm Di Martino sarà impegnato per qualche mese nel processo di appello per

la strage di piazza della Loggia. La Procura di Cremona è piccola, con gravi

problemi di organico e Di Martino non ha un sostituto. L'inchiesta sul

calcioscommesse rischia quindi di subire un brusco stop se non arriveranno

rinforzi.

A Napoli Le inchieste sono due. La prima riguarda la Direzione distrettuale

antimafia Dda che fa capo al procuratore Cantelmo con i sostituti Filippelli e

Siragusa. La Dda concentra il suo lavoro sulle penetrazioni camorristiche nel

mondo delle scommesse, ma come filone parallelo sta verificando giocate

anomale nei massimi campionati italiani e stranieri. Per questo Filippelli e

Cantelmo hanno sentito diversi presidenti di squadre italiane Lotito due volte

e allenatori italiani e stranieri Malesani e Cuper. Inoltre, per le

intercettazioni con Bettarini già indagato in un procedimento a Napoli per il

calcioscommesse del 2003 mercoledì è stata sentita la segretaria del giudice

sportivo Stefania Ginesio. L'altro filone napoletano fa capo al pool «reati da

stadio» coordinato dal procuratore aggiunto Melillo. L'inchiesta parte

dall'esame di Parma-Napoli per la presenza a bordo campo del figlio di un

boss. Il lavoro ha evidenziato che alcune persone avrebbero tentato anche di

far pressioni su alcuni calciatori. Nell'ambito di questa linea è stato

intercettato e iscritto nel registro degli indagati l'ex portiere Matteo

Gianello. Dal suo interrogatorio del 15 giugno sarebbero emerse ipotesi

investigative che porterebbero a pensare che qualcuno potrebbe aver tentato di

influenzare i calciatori del Napoli. Per questo sono state ascoltate le

telefonate di Paolo Cannavaro e Mascara. Lo stesso pool sta investigando sulle

operazioni finanziarie legate a Iorio, titolare di una catena di pizzerie di

cui il fratello di Cannavaro, Fabio, è socio con il 15%. Iorio è indagato

perché sarebbe riciclatore per i clan.

A Bari L'indagine è partita dalla denuncia di Sks365 su Bari-Livorno. I

carabinieri stanno indagando per conto del procuratore capo Laudati.

Emergerebbero intercettazioni nelle quali i clan avrebbero contattato alcuni

calciatori del Bari non sarebbero ancora indagati per alterare alcuni

risultati sui quali ci sarebbero state notevoli giocate soprattutto nell'area

toscana dove i carabinieri avrebbero individuato tra gli scommettitori persone

vicine ai clan baresi. All'inchiesta barese si legherebbe anche un'analogo

lavoro condotto dalla Procura di Lecce sempre nell'ambito del riciclaggio di

denaro sporco da parte di clan.

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LA BOTTEGA di Sergio Neri (CorSport 06-01-2012)

IL LAMENTO DI PETRUCCI E IL FIGLIO DI GHEDDAFI

E va bene, quell’episodio di Osvaldo richiamato con punizione per il diverbio

fors’anche un po’ manesco con Lamela, è ormai lontano. Acqua passata, tutto

sommato risolto bene. I due si sono parlati in divertita armonia e si sono

passati la palla col gusto di creare il gioco che serve alla squadra. Però

ripensandoci bene, quella punizione inflitta a Osvaldo, che in un primo

momento era sembrata esagerata e inopportuna, è stata invece opportunissima e

tempestiva. Non tanto per dare una lezione a Osvaldo il quale forse da solo si

è subito reso conto d’aver commesso un errore ma per aver imposto

all’attenzione dei ragazzi il rispetto delle regole.

Il grido di dolore espresso dal presidente del Coni al sorgere della

bruttissima storia delle partite taroccate a beneficio delle scommesse, è

stato una reazione giusta anche se fragile, purtroppo, di fronte al dilagare

di un permissivismo, non solo nel calcio, che ha indotto la nostra società a

credere che tutto sia lecito, normale, scontato e che un certo richiamo al

rigore nel rispetto delle regole sia solo l’esercizio di un moralismo degno

d’essere irriso. Il rispetto degli altri? Un principio da vecchie zie

suggerito da regole che nei nostri giorni sono diventate comiche. E la

disciplina che lo sport invoca e impone (imporrebbe) ai suoi campioni? Non è

su questi principi di assoluto rispetto delle regole che si basa la

costruzione di una squadra e la gestione del suo comportamento sul campo?

Niente.

Non c’è dubbio che quella rete delinquenziale che si è creata intorno alle

partite e che ha trovato molti atleti disponibili per la tessitura del losco

canovaccio è nata anche perché tutti i cordoni della lealtà si sono allentati

e quelli del doveroso rispetto del prossimo e delle regole d’una società

civile e seria si sono spezzati.

Qualche anno fa giocava in Italia il figlio di Gheddafi. Giocava per modo di

dire ma intanto in tre squadre di serie A aveva trovato un posto con regolare

contratto. A Udine faceva parte, naturalmente, del gruppo ma sentite un po’

con quale rispetto delle regole. Era circondato da quindici persone che

alloggiavano con lui in un albergo a quattro stelle. Un appartamento era a

disposizione del suo cane che dormiva sul letto matrimoniale mentre il

guardiano del cane dormiva sul tappeto.

Aveva un paio di lussuose automobili. Pretendeva litri e litri di latte per

il bagno della bellissima moglie. E spesso col suo aereo personale

parcheggiato a Ronchi dei Legionari, l’aeroporto di Udine, se ne scappava a

Parigi portando con sé tre o quattro giocatori per assistere a uno

spettacolino notturno d’un locale di spogliarelli a Parigi. Tornavano la

mattina e pare giustificassero il ritardo con provvisori raffreddori.

Questo è un caso limite. Anche se l’apparato di una grande squadra, l’Udinese,

lo ha subìto e per qualche tempo tollerato. Però la dice lunga su quel genere

di tolleranza che pian piano ha creato nel nostro Paese, e non solo nello

sport, uno stato di inquietante offesa delle regole. Dalle regole infrante

nasce la corruzione e dalla corruzione nasce tutto il resto. Quella rete di

loschi intrecci delle scommesse su partite taroccate è la prova di una realtà

contro la quale Petrucci ha fatto bene a puntare il dito. Ma non basta.

Resterà un grido nel deserto se non ci convinceremo tutti che il rispetto

delle regole è il punto di partenza d’una società civile e se non diremo ai

responsabili di tutti gli sport i quali governano il grande movimento dei

ragazzi, che può essere proprio lo sport ad insegnare i fondamentali della

disciplina da praticare sul campo e da esportare nella vita.

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La storia La toccante biografia sul portiere tedesco suicidatosi a

32 anni: «Non sono attrezzato per il calcio. La paura mi paralizza»

Enke, il campione fragile che non sopportava il proprio talento

di PAOLO TOMASELLI (CorSera 06-01-2012)

È un pugno allo stomaco. Ma serve ad aprire un po' gli occhi. Perché di questa

storia era davvero nota solo l'ultima pagina. Quella del suicidio di Robert

Enke, portiere 32enne dell'Hannover 96 e della Germania, il 10 novembre 2009.

Tutto il resto lo racconta un libro («A life too short», «Una vita troppo

corta») da poco tradotto in inglese. L'autore, il tedesco Ronald Reng, stava

lavorando sulla biografia del portiere da anni. Con l'aiuto di Teresa, la

coraggiosa moglie del ragazzo prodigio della Germania dell'Est malato di

depressione da anni, il racconto diventa un viaggio intimo e struggente (mai

morboso però) tra le pagine inedite del diario di Enke e tra i tanti

retroscena della vita e della carriera di un giocatore che a 22 anni disse no

prima a Ferguson e poi a Mourinho, per scontrarsi poi con Van Gaal al

Barcellona.

La domanda che resta senza risposta è soprattutto una: perché Enke si è

ucciso? Ma l'altro grande interrogativo va oltre i misteri di una malattia

profonda quanto incompresa come la depressione: se Robert non fosse stato un

atleta di vertice avrebbe raggiunto il punto di rottura? Quello che emerge

sembra abbastanza chiaro: si è sottolineato quanto la morte della figlia Lara

di 2 anni abbia inciso sulla malattia di Enke. Però nel percorso che va da

Jena (professionista a 17 anni) fino alla lotta per la maglia da titolare al

Mondiale 2010, è evidente quanto siano soprattutto le pressioni del calcio di

alto livello a destabilizzare la mente di Robert. Dopo l'esplosione nel

derelitto Borussia Mönchengladbach, «Enkus» finisce al Benfica, ma il giorno

in cui firma il contratto per la squadra allenata dal connazionale Heynckes si

chiude in albergo terrorizzato e chiede di andarsene. Rimarrà e vivrà i tre

anni più belli della sua carriera al termine dei quali lo vuole il Manchester

United. Mourinho, che lo aveva allenato al Benfica, lo chiama al Porto, ma lui

finisce al Barcellona, anche se Van Gaal «non sapeva chi fossi». Il tecnico

olandese a sorpresa lancia il baby Valdes. E Robert si brucia prendendo tre

gol contro una squadra di terza serie in Coppa del Re: Franck De Boer lo

insulta in campo e lo incolpa davanti ai microfoni. È l'inizio della fine. Il

prestito al Fenerbahçe dura 15 giorni perché questa volta Enke esce (a fatica)

dall'hotel dopo la presentazione ma alla prima sconfitta chiede la rescissione

del contratto, entra in terapia per depressione e scrive cose così (12 agosto

2003): «Nella mia testa non sono attrezzato per il calcio. Sono paralizzato

dalla paura».

Ma Robert, oltre che un uomo fragile e sensibile (capace di scrivere un poema

di 104 versi per Teresa) era anche un bravo portiere, potente di gambe e dalle

mani enormi: riparte da Tenerife in B, poi ad Hannover ritrova il suo stato di

grazia. Gioca le sue migliori partite nei due anni sofferti della figlia (nata

con una grave malformazione cardiaca: Robert è con lei in clinica quando muore

in seguito a un'operazione all'orecchio), diventa capitano, trova la nazionale

da titolare, adotta la piccola Leila. Tutto sembra tornato alla «normalità».

Un infortunio prima della sfida chiave con la Russia però lo riporta dentro la

depressione.

Gli psicofarmaci, gli acciacchi camuffati, la forza che almeno tra i pali

resta sempre con lui, non bastano, perché questa volta rimettersi in cura

significherebbe mollare il calcio e il sogno del Mondiale. L'unica soluzione

allora diventa quella di aspettare un treno, seduto in auto tra i binari,

lasciando una lettera di scuse.

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Perché Tevez cambia squadra

di Pippo Russo (Il Riformista 5-01-2012)

Calciomercato. Dietro il campione argentino, la storia di uno strano fondo d’investimento

Quello di Carlos Tevez, attaccante argentino in forza al Manchester City, è uno dei nomi più ricorrenti nelle cronache sull’attuale sessione di calciomercato. Il Milan insiste per prenderlo, l’Inter prova azioni di disturbo, e fino a un paio di settimane fa la Juventus e il Paris-Saint Germain manifestavano interesse prima di ritirarsi dall’asta. Ma c’è un altro nome che ricorre nelle cronache, costantemente associato a Tevez: quello di Kia Joorabchian. Che dai giornali viene spacciato come l’agente del calciatore, ma in realtà è qualcosa di diverso. Joorabchian è una figura misteriosa. Di lui circolano addirittura due date di nascita (14 e 25 luglio 1971). Nato in Iran, possiede i passaporti britannico e canadese. Non è un agente, perché non ha mai acquisito la licenza per esercitare la professione. E di questo fa addirittura un vanto, quasi fosse l’alfiere della liberalizzazione in quel settore. In realtà Joorabchian non agisce per affermare un principio. Egli è un mercante di calciatori, e Tevez è il più famoso fra quelli della scuderia. E proprio qui sta il nodo della questione: quale tipo di rapporto lega Joorabchian ai calciatori che rappresenta?

Sul tema il mercante di calciatori si è sempre mantenuto sul vago. Una risposta viene però dalla misteriosa Media Sports Investments (MSI), un fondo d’investimento con sede legale presso le isole Vergini Britanniche. È attraverso questo fondo che Joorabchian assunse nel 2004 il controllo del Corinthians di San Paolo, il secondo club del Brasile. Per due anni il club dei “Timoes” divenne un punto di transito per alcuni fra i calciatori sudamericani maggiormente quotati, Tevez compreso. Acquistati a cifre assolutamente fuori portata per il Corinthians e qualunque altro club brasiliano, e in molti casi con transazioni estero su estero. Si dà per certo che il maggior finanziatore della MSI fosse Boris Berezovsky, l’oligarca russo riparato in Inghilterra per sfuggire alla repressione putiniana.

Ma di cosa si occupava la MSI? Presto detto: acquistava cartellini di calciatori sudamericani, approfittando dell’endemico stato di crisi economica che caratterizza i club del subcontinente, per poi lucrarci. Il che è vietato dalla Fifa, che proprio in seguito al tesseramento di Tevez da parte del West Ham nell’agosto del 2006 ha inasprito le regole sul divieto fatto alle third parties. Il principio è che il cartellino di un calciatore può essere proprietà soltanto del calciatore stesso, o del club col quale ha firmato un contratto e per la sola durata del contratto stesso. Nessun’altra parte può possedere quel titolo, perché si sconfinerebbe nel rapporto di lavoro schiavista e in qualcosa che somiglia alla tratta di esseri umani. Dopo la vicenda che portò al trasferimento dello stesso Tevez e del suo connazionale Javier Mascherano al West Ham, e l’inchiesta che ne seguì da parte della Premier League (il club londinese, che se fosse stato penalizzato in classifica sarebbe retrocesso, si vide infliggere la multa record di 5,5 milioni di sterline, 8 milioni di euro al cambio di allora), la posizione di Tevez venne ufficialmente regolarizzata. Della MSI rimane un sito web consistente in una homepage e nulla più. E Joorabchian continua a essere definito «agente» di Tevez. Guarda caso, l’argentino cambia club ogni due anni. E se capita che un club voglia tenerlo per il terzo anno, come è nel caso del Manchester City, lui punta i piedi e sperimenta ogni mossa per far salire la tensione.

La figura di Joorabchian non è un’eccezione. Essa è anzi paradigmatica del modo in cui sta cambiando il mercato internazionale del calcio. Finito sempre più nelle mani di super-procuratori, di misteriosi fondi d’investimento, o addirittura di magnati privati che inseriscono i cartellini dei giocatori nel loro portfolio. Un esempio di quest’ultimo tipo è dato da Delcir Sonda, magnate brasiliano della grande distribuzione (24 supermercati in patria, che danno lavoro a 5 mila addetti) che attraverso il fondo DIS è proprietario in quota o in toto di una sessantina dei maggiori calciatori sudamericani. Fra gli altri, i celebratissimi Ganso e Neymar. Chi li vuole, deve pagare anche lui.

Ma questa non è una realtà soltanto sudamericana. A novembre i giornali europei hanno dato notizia del misterioso Doyen Group, un fondo che per cifre modeste ha comprato gli spazi sulle maglie di alcuni club della Liga spagnola, e sta acquistando i diritti sui cartellini dei migliori giovani calciatori di Spagna. Fra gli ispiratori del fondo ci sarebbe il padre-padrone del calcio portoghese Jorge Mendes, agente fra gli altri di José Mourinho.

Modificato da huskylover

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IL CASO SCOMMESSE

Oltre 50 inchieste nelle Federazioni

Lo ha rivelato il capo della sicurezza Fifa: «Mai avuto così

tante indagini. Centinaia i giocatori in carcere». E in Italia

il 70% delle puntate avviene su bookmaker clandestini

di SIMONE DI STEFANO (Tuttosport 07-01-2012)

ROMA. Non c’è solo Cremona e l’Italia a indagare sul Calcioscommesse. Sono più

di 50 le inchieste in corso: «Circa un quarto delle federazioni associate alla

Fifa», spiega a Fifa. com Chris Eaton , capo della sicurezza Fifa, aggiungendo

che «non abbiamo mai avuto così tante indagini nazionali in corso

contemporaneamente, con centinaia di giocatori in carcere e amministratori

sotto inchiesta». In Italia il dato è allarmante: «Il 70% delle scommesse

sportive in Italia viene ancora effettuato su bookmakers non regolamentati o

non registrati». Insomma, una volta c’era il picchetto clandestino, oggi si

gioca sui siti non registrati, a zero controlli e quote più alte. Ogni anno le

scommesse arrivano a generare tra i 300 e i 500 miliardi di euro, il calcio la

fa da padrone: «In Italia - precisa Eaton - si registrano scommesse per 4, 2

miliardi di euro l’anno, e di queste il 92% è sul calcio. Di questa cifra però,

solo il 30% passa dai canali autorizzati, il restante 70% di flussi di

scommesse è indirizzato su bookmaker non regolamentati o non registrati, e di

conseguenza il gioco d’azzardo sul calcio, che in Italia, complessivamente,

muove circa 12 miliardi l’anno». La Fifa sta incoraggiando i governi ad

adottare misure comuni: «Solo così il problema - dice Eaton - può essere

definitivamente sconfitto. Nell’ultimo anno abbiamo sviluppato un sistema

investigativo per supportare polizia e altri organi investigativi nell’ambito

delle indagini su combine. Sappiamo che casi di partite truccate e

infiltrazioni criminali possono verificarsi anche in match di qualificazione

controllati dalla Fifa, e più del 90% delle scommesse sportive del Sudest

asiatico è legato al calcio, in particolare a match di livello

internazionale». Intanto ieri è tornata in scena la Serie B, pesantemente

chiamata in causa dalle rivelazioni di Gervasoni . Al Menti di Vicenza gli

ultras di casa hanno esposto l’eloquente striscione: «Partite truccate,

scommesse illegali. E poi siamo noi i veri criminali». Tutt’altro tenore al

Barbetti di Gubbio, dove si festeggiava Simone Farina , “eroe” di casa che

grazie alla sua denuncia in Figc ha permesso alla procura di Cremona di aprire

un nuovo filone d’indagine su Scommessopoli. Per Farina un lungo applauso e lo

striscione «Simone sei il nostro orgoglio» esposto all’ingresso in campo di

Gubbio e Bari. Simone ha salutato i suoi tifosi, poi l’emozione ha ceduto il

passo alla concentrazione per la partita.

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RITMO E CHIAREZZA DEI GIUDICI SPORTIVI

di ANTONIO GHIRELLI (CorSport 07-01-2012)

Il calcio mondiale e, in particolare, quello italiano stanno vivendo

una paradossale contraddizione: per un verso, le competizioni

nazionali, continentali e mondiali suscitano enorme interesse,

producendo spettacoli di straordinaria bellezza e mobilitando anche

paesi finora esclusi dal tradizionale palcoscenico del

calcio-spettacolo; ma per altro verso questo sport si sta misurando

con una minaccia imprevista ed inquietante. E' lo stesso, dilagante

successo delle trasmissioni, che per i club producono i famosi diritti

televisivi, ad alimentare la minaccia di una cospirazione senza volto,

costituita da trafficanti e produttori di carburante, da un lato, e

per l’altro da gruppi mafiosi, che puntano ad assicurarsi il controllo

delle scommesse sui risultati delle competizioni, o addirittura sulla

gestione e sui proventi dei grandi club.

Ovviamente, l’ingresso di nuovi e sia pure potenti finanziatori può

creare problemi e suggerire riforme, ma non costituisce un dramma,

come accade invece, senza ombra di dubbio, per il mondo delle

scommesse. Il cui controllo è una deviazione di tipo mafioso molto

particolare, perché può risolversi: a) in un’alterazione del normale

rapporto agonistico; b) nella creazione, in caso di scoperta del

meccanismo clandestino, di un fattore che sconvolge un intero torneo.

La spiegazione del fascino che il gioco ha conquistato in tutto il

mondo sta nell’incertezza del pronostico, nella imprevedibilità di

ogni azione, nell’incontrollabilità di ogni singolo contatto tra il

giocatore e il pallone. Se preordiniamo a nostro vantaggio l’esito

dell’intervento o addirittura dell’intera partita, abbiamo annientato

la bellezza della competizione, la sua stessa essenza democratica (e

mi scuso se sembra che stia esagerando).

I casi clamorosi degli ultimi anni, l’inchiesta su Calciopoli, le

vicende giudiziarie, il ritiro di uno scudetto alla Juventus e il

contrasto tra la società bianconera e l’Inter hanno dimostrato ancora

una volta quanto sia essenziale la lealtà del rapporto agonistico e

quale strascico polemico lasci un verdetto di condanna. Ma hanno

dimostrato ancora una volta anche un’altra verità: che specialmente

nel nostro paese, per mille ragioni che qui sarebbe difficile spiegare,

il ritmo e la chiarezza della giustizia sportiva non si ritrovano nel

tempo della giustizia normale. La logica democratica a cui si ispirano

le nostre istituzioni, combinata con una tradizione giuridica illustre

ed una prassi procedurale estremamente minuziosa, dilata sensibilmente

la durata del giudizio, rifuggendo da ogni accelerazione che

compromette i diritti della difesa e le indagini dell’inquirente.

Ma quello che è un vanto per il giudice normale, pure talora

discutibile, diventa un difetto impredonabile per quello sportivo, più

vicino all’arbitro che al magistrato. C’è tra i due giudizi molta

differenza, che i club, le leghe, la stessa stampa tecnica affrontano

sempre con disagio, perché hanno troppa fretta di arrivare

all’essenziale, e se questo può essere comprensibile in casi marginali,

poco importanti, diventa inaccettabile in quelli gravi. Proprio alla

luce di questa considerazione l’ipotesi di un’organizzazione più o

meno estesa che operi al servizio delle scommesse sui risultati di uno

o più campionati, prospetta un pericolo molto serio per la regolarità

dei tornei di calcio-spettacolo e pone quindi alle due magistrature, e

ai poteri statali e sportivi, il problema non facile di trovare una

soluzione che eviti il contrasto tra le due procedure. Non sarà facile

ma bisogna provare tenendo conto della passione e dei sentimenti

popolari che circondano, in tutto il mondo, il gioco.

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Il premier Monti

«Mi occupai di calcio nel 2001

Da allora mi piace meno»

di FEDERICO PISTONE (CorSera 07-01-2012)

MILANO — Il pallone e il premier? Un rapporto difficile. «Il calcio mi

appassiona un po' meno da quando nel 2001 me ne sono occupato come

commissario europeo», ha confessato ieri Mario Monti a margine di un

convegno a Parigi. In quell'epoca, mentre era alla guida della

commissione Antitrust della Ue, l'attuale presidente del Consiglio si

occupò del delicato tema del trasferimento dei calciatori stranieri.

La commissione ritenne che le regole in vigore fossero restrittive del

regime della libera concorrenza e impedissero l'accesso alla

professione a persone in possesso delle competenze idonee. Non solo:

Monti considerò pure «arbitraria e sproporzionata» la regola secondo

cui, in caso di trasferimento di un giocatore prima della scadenza del

suo contratto, la nuova squadra non avrebbe dovuto pagare nulla alla

vecchia come compensazione. Nel febbraio 2001 Monti annunciò l'intesa

con Fifa e Uefa, articolata in cinque punti: istituzione di periodi

fissi per i trasferimenti; durata minima e massima dei contratti,

rispettivamente due e cinque anni; creazione di un «meccanismo di

solidarietà»; costituzione di un foro arbitrale «efficace e obiettivo»,

purché non impedisca i ricorsi a tribunali nazionali; introduzione

del principio di compensazione ai club per i costi sostenuti nella

formazione dei calciatori. Restarono ancora tre punti da risolvere: la

rescissione unilaterale dei contratti, la tutela dei giovani

calciatori e le modalità di calcolo delle compensazioni da versare ai

club per la formazione. L'indagine della commissione fu ufficialmente

chiusa nel giugno 2002. Dopo oltre due anni, Ue e Fifa si accordarono

sulle nuove norme e limitarono a tre anni la «blindatura» dei

contratti attraverso sanzioni.

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La sfilata degli onesti mette Fifa

di TONY DAMASCELLI (Il Giornale.it 08-01-2012)

Sepp Blatter è un uomo astuto. Quando sente puzza di bruciato non chiama i

pompieri ma prende in mano il turibolo e riesce a confondere con l'incenso gli

astanti. Ha convocato come ospite a Zurigo, per la consegna del Pallone d'oro

mondiale, Simone Farina, il ragazzo del Gubbio che ha respinto le offerte di

denaro sporco per combinare una partita, con lui Fabio Pisacane che lo stesso

aveva fatto ma con minore enfasi dei media. Ha invitato, anche, Chantal

Borgonovo, la moglie di Stefano, un simbolo diverso del calcio, la malattia,

la sofferenza, la disperazione.

Il presepe di Blatter è completo, quasi. La Fifa, improvvisamente, si

autocelebra, accarezzando gli atleti che stanno vivendo un momento

particolare. La normalità diventa eccezione, Farina e Pisacane rappresentano

quello che qualunque uomo di sport dovrebbe essere, leale, onesto, coerente ma

il loro atto, di rifiuto alla corruzione, diventa uno scoop, di buon utilizzo

per il governo del calcio mondiale, è il momento delle opere buone, degli

applausi, della santificazione dei papa. Sepp Blatter si è però dimenticato di

invitare lord Triesman, il deputato inglese, ex presidente della Football

Association, che ha denunciato alcuni dirigenti del football internazionale,

con nomi e cognomi. Costoro hanno, o avrebbero, tentato di corrompere la

federcalcio inglese per appoggiare la candidatura di Londra all'organizzazione

della coppa del mondo poi assegnata al Qatar, la cifra promessa avrebbe

superato i tre milioni di sterline.

Blatter avrebbe potuto invitare, per l'occasione, mister Jack Warner,

presidente della confederazione dell'America del Nord e Centrale e, tra

l'altro «padrone» del calcio di Trinidad e Tobago; quindi il signor Nicolas

Leoz, presidente della confederazione sudamericana e, per finire, Ricardo

Texeira gran capo della federcalcio brasiliana e, in contemporanea, anche

della federazione thailandese.

Sono, sarebbero i tre moschettieri, i dirigenti protagonisti del tentativo di

corruzione denunciata dagli inglesi: «Non posso rispondere di tutti i membri

della mia organizzazione e non posso sapere se sono angeli o demoni» ha detto

Blatter, calciando il pallone in corner. Manca la prova tv, che a Blatter non

garba particolarmente, ma ci sarebbero tutte le voci e le testimonianze

necessarie all'indagine. Tuttavia il Pallone d'oro non può prestarsi a nessun

sospetto anche se, lo ricordo ai contemporanei, la Fifa si è appropriata di

una manifestazione che era francese ed europea per allestire un teatro

esclusivo. Simone e Fabio, con Chantal, lo devono sapere.

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LA CIUDAD ITALIANA ESTÁ A MERCED DE LA CAMORRA

El GTA Nápoles que espera a Eduardo Vargas

El club al que llegará el ex goleador de la Universidad de Chile es la más

reciente víctima del poder la mafia local, la camorra, que no tiene ningún

empacho en ejecutar a gente en la calle o en dejar la ciudad convertida en un

vertedero ardiente. Bienvenido Edu a Grand Theft Auto: Nápoles.

di SEBASTIÁN ALBURQUERQUE (The Clinic online 06-01-2012)

art.scoperto grazie a Ciro Pellegrino (LINKIESTA 08-01-2012)

La misión es simple: el jefe de la mafia local manda a sus matones a destrozar

el Holywood Casino. Caminando, con Ak-47 y uzis en las manos, se abren paso

por el local, disparando y botando los tragamonedas. No importa la gente que a

esa hora se encontraba apostando, como tampoco importan las familias que

jugaban bowling cuando rocían la pista de gasolina y le prenden fuego. Con el

mismo paso con que llegaron, se van. Misión cumplida. Pero no es una etapa de

algún GTA. Es una muestra de lo que pasa en Napoles, ciudad que alberga al

futuro club de Edu Vargas.

Actualmente el Napoli FC marcha en el 6° lugar del calcio. Su buena

perfomance lo mantiene vivo en la tabla de posiciones y aunque lejos de poder

pelear el scudetto, sus jugadores destacan a tal punto que su máxima estrella,

el uruguayo Edison Cavani, ha sonado para reforzar el Barcelona. Pero el buen

momento del club es apenas una pequeña alegría para los habitantes de Nápoles.

La ciudad es controlada por la mafia y eso se respira en las calles. Y a veces

ese olor es el de la basura agolpada e incendidada.

En junio del 2011, un gallito entre la alcaldía y la camorra, la mafia local,

dejó a la ciudad por semanas tapizada en basura. La camorra, que controlaba

las empresas de recolección de desperdicios, para mostrarle al recientemente

electo alcalde quién mandaba, no recogió los desperdicios y las bolsas se

amontonaron en las calles. No está claro si fueron los vecinos tratando de

controlar los olores o la misma mafia empeorando la situación, pero la basura

comenzó a ser incendiada. La noche de Nápoles se iluminaba con pañales

ardiendo. Como la Roma de Nerón, pero sin ningún emperador de espectador.

Camorra Fútbol Club

Aunque el Napoli FC sea la alegría local, el club no es inmune a las rabietas

de la camorra. Apenas en diciembre del pasado año, varios jugadores sufrieron

robos y escarmientos. Edison Cavani sufrió el robo de su casa, asaltaron a la

novia del argentino Ezequiel Lavezzi y a la esposa del eslovaco Marek Hamsik

le robaron su auto.

A Salvatore Arónica, defensa del equipo, lo asaltaron a punta de pistola y

obligaron a entregar su vehíc**o. Pero quizás la peor historia se la lleve el

apoderado de Cavani, Claudio Anellucci. Su auto fue interceptado por una

scooter con dos hombres abordo, uno de los cuales rompió el vidrio del

copiloto con la culata de su revólver y encañonó el vientre de su esposa

embarazada.

La ola de ataques al Napoli FC se debería a que su presidente, Aurelio De

Laurentiis, le cagó el negocio a la camorra en la reventa de entradas al

vender estas por internet.

El vínculo entre el club napolitano y la mafia local podría ser más fuerte.

El delantero argentino Ezequiel Lavezzi ha reconocido que se relacionaba con

Antonio Lo Russo, hijo del jefe Salvatore, mandamás del clan del mismo nombre,

pero que no sabía que era mafioso. “Yo lo conocía como uno de los capos de los

barrabrava del Napoli, vino incluso algunas veces a mi casa, no me pareció

nada extraño porque también en Argentina resulta habitual que los jugadores

traten con estos personajes”, declaró Lavezzi.

“Antonio se activó para impedir que el Nápoli me vendiese, ya que habían

comenzado a circular noticias sobre mi inminente transferencia”, recordó el

delantero argentino cuando fue interrogado por la fiscalía napolitana.

Asesinatos en la calle

La policía napolitana, desesperada por no encontrar pistas, hace público el

video. Un hombre llega a un local, se da unas vueltas, y ejecuta con un

disparo en la nuca a un hombre que fumaba afuera. Lo remata de un tiro en el

suelo. El cadáver queda ahí en la vereda, pero la gente le hace el quite.

No fue un caso aislado. Petru Birlandeanedu paseaba por el centro de la

ciudad con su esposa cuando se vio en medio de un tiroteo entre bandas

rivales. Herido, buscó ayuda en el metro. La gente huyó. Finalmente su esposa

se queda sola, llorando sobre su cuerpo, pidiendo ayuda.

Las calles de Nápoles parecen sacadas de un Grand Theft Auto. La camorra se

alza como una institución más fuerte que el Estado. Y Eduardo Vargas confía en

el Napoli FC para forjar su futuro en el fútbol. En el mejor de los casos,

sólo cosechará goles.

Modificato da Ghost Dog

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COME MAI IL PORTIERE DEL NAPOLI (E ANCHE DELLA NAZIONALE) DE SANCTIS NON SOLO NON ESULTA, MA SI INCAZZA DOPO IL GOL AL LECCE DEL SUO COMPAGNO DI SQUADRA CAVANI? - COME SE QUEL 4 A 1 NON CI VOLESSE, COME SE ROVINASSE QUALCOSA. È UN CASO CHE POI LA PARTITA FINISCE 4 A 2, RISTABILENDO IL VANTAGGIO DI 2 RETI SUL LECCE? - ERA IL 3 DICEMBRE. SE NON FOSSIMO NEL PIENO DEL CALCIOSCOMMESSE, FORSE NESSUNO SE NE SAREBBE ACCORTO. MA ORA IL VIDEO IMPAZZA SU YOUTUBE…

Dagospia 9-01-2012

1- IL VIDEO DI DE SANCTIS INCAZZATO DOPO IL GOL DI CAVANI (CON LUCARELLI CHE SUSSURRA SORRIDENDO "7-8 MINUTI")

Non solo il portiere De Sanctis non festeggia il gol di Cavani, ma c'è una strana intesa con Lucarelli, l'ex idolo del Livorno oggi attaccante del Napoli, che gli sussurra sorridendo "7-8 minuti", che era il tempo che mancava alla fine della partita. Sarà un caso che entro quei 7-8 minuti, proprio allo scadere, il Lecce riesce a segnare il 4 a 2, riportando il vantaggio del Napoli a 2 gol, ovvero la stessa proporzione che c'era prima del gol di Cavani?

2- SE DE SANCTIS NON FESTEGGIA DOPO IL GOL DI CAVANI AL LECCE E IL VIDEO FA IL GIRO DEL WEB...

Luca Fazzo per "Il Giornale"

Se non fossimo nel pieno dell'inchiesta di Cremona sul calcioscommesse, forse l'effetto sarebbe stato meno clamoroso. Ma visto quello che si sta scoprendo sui torbidi legami tra il mondo del pallone e quello delle scommesse, era inevitabile che il video che nei giorni scorsi ha iniziato a circolare sul web suscitasse un vespaio di interrogativi.

E' uno spezzone di Napoli-Lecce dello scorso 3 dicembre. La partita è alle ultime battute, il risultato è sul 3 a 1. Si vede il napoletano Cavani segnare il gol che chiude la partita. Le telecamere si spostano sul portiere del Napoli Morgan De Sanctis, aspettandosi di ritrarre le consuete scene di esultanza a distanza degli estremi difensori quando segna la loro squadra.

E invece la scena è totalmente diversa da quel che uno si immaginerebbe: il portiere brontola, smadonna, insomma appare visibilmente contrariato. Come se il gol di Cavani, anzichè mettere al sicuro il risultato, rovinasse qualcosa. Come se il distacco di due gol fosse quello che De Sanctis riteneva più giusto o, per qualche motivo, preferibile.

Da segnalare tre cose: che il distacco di due gol verrà ristabilito da lì a poco, grazie ad un gol del Lecce sul filo del fischio finale; che sulla partita non si sono registrate (a differenza che su Lecce-Napoli dello scorso campionato) giocate anomale; e che il disappunto di De Sanctis è talmente plateale da deporre per la buona fede del portiere.

Ma la domanda rimane, ed impazza sul web: perchè De Sanctis si arrabbia tanto?

Modificato da huskylover

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I video del capo degli ultras del Piacenza che terrorizza dirigenti e giocatori, lo scorso novembre

9 gennaio 2012

http://www.ilpost.it...eboli-piacenza/

PS

Per piacere, NON commentate qui dentro i video, sennò non ne usciamo più.

Ho messo questo post solo perché so che qui vengono a leggere tutti coloro che sono molto sensibili ai tanti problemi del calcio.

Modificato da CRAZEOLOGY

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Uno ics due

Antropologia del calcio scommesse. Vittime, carnefici,

sprovincializzazione del tifo: un reportage psicologico

di ALBERTO PICCININI (Studio 23-12-2011)

Mai pronunciata, se appassionati di calcio, l’espressione “risultato

bugiardo”? E la frase: “abbiamo perso, però abbiamo giocato bene” (qui il

plurale tifoso tradisce tuttavia una certa delusione)? La verità è che fino

all’avvento delle scommesse legali, on line e no, il numero di gol segnato in

una partita di calcio – il dato aritmetico, almeno – non voleva dire quasi

niente. Gianni Brera, nella preistoria, sosteneva che lo 0-0 era il risultato

della partita perfetta. Altri, in opposizione al comandamento del “primo, non

prenderle” coniarono la filosofia del “segnare un gol più dell’avversario”. E

giù fino al concetto di calcio-spettacolo emerso negli anni ’80 e ’90, non a

caso ai tempi del Mondiale americano: siccome gli americani erano poco avvezzi

al pareggio e alle reti inviolate, Il calcio-spettacolo (“neo-calcio”, diranno

i sociologi) sarà quello nel quale si segnano tanti gol. E per questo si

cambiano le regole: vietato il passaggio indietro al portiere, espulsione del

difensore (e calcio di rigore) per fallo da ultimo uomo, fuorigioco modificato

per aiutare il più possibile gli attaccanti. Eccetera.

Una cosa è certa: il vecchio Totocalcio, finché è rimasto in vita, ha

continuato a considerare certe speculazioni sul numero dei gol segnati in una

partita come una barocca stranezza. Uno, ics, due. La prendo alla lontana,

provando a scavare quel c’è sotto il linguaggio arcano delle scommesse,

quell’under/over 2,5 per esempio, col quale di recente abbiamo familiarizzato,

perché ciò che è in ballo qui è talmente profondo da riguardare non il crimine,

non la corruzione, ma la narrazione del calcio, oramai secolare. Prendiamo

l’ultimo Calciopoli, di qualsiasi cosa si sia trattato. L’idea che una o più

squadre ricche siano potenti e dunque forti, potendo blandire arbitri e

guardialinee, addomesticando al limite opinionisti e moviolisti, non è così

lontana da come le cose sarebbero andate lo stesso senza combine di nessun

genere. Calciopoli, voglio dire, non cambia il racconto del calcio.

“Last bet” invece, l’ultima delle molte inchieste giudiziarie sui casi di

partite aggiustate dal mondo delle scommesse illegali asiatiche, ha in sé

dell’altro. E questo nonostante anche i boss delle scommesse stiano bene

attenti a non turbare in superficie il racconto. Anche negli ultimi casi di

partite truccate è la squadra forte che vince sulla più debole; le partite

prese di mira, poi, sono laterali, contano poco “ai fini della classifica”;

spesso appartengono a campionati minori, poveri, poco seguiti, fuori dai

riflettori. Tanto fuori che, nel 2008, in Danimarca si è scoperto che le

scommesse asiatiche si erano dirette su un torneo per ragazzi, la Tivoli Cup,

che si giocava nei parchi davanti a un pubblico di poche dozzine di persone.

Poche dozzine di persone e alcuni dei personaggi chiave di questa vicenda: i

belchinezen.

I belchinezen, termine coniato dalla polizia olandese che li ha beccati la

prima volta sulle tribune semivuote della Serie B di quel paese, sono i

“cinesi che telefonano”. Sono ragazzi che guadagnano qualcosa trasmettendo in

tempo reale via telefono o laptop l’andamento delle partite interessanti per i

grandi siti di scommesse asiatiche. Oppure per i boss, che è quasi la stessa

cosa, se è vero che il 90% delle scommesse giocate laggiù ricadono

nell’illegalità. Un annuncio apparso su internet tempo fa spiegava le

caratteristiche richieste a un belchinezen:«Lavoro: Assistere alle partite di

calcio e trasmettere informazioni live. Richieste. Comprensione elementare

delle regole del calcio, nessun background professionale necessario, meglio se

si ha una macchina». Non è tutto. L’autore di quell’annuncio, Yang Zhen Zing,

25 anni, cinese residente a Newcastle, è stato torturato e assassinato nel

2009 assieme alla sua fidanzata e al suo gatto. Secondo la ricostruzione della

polizia Yang aveva pestato i piedi all’organizzazione per la quale curava il

reclutamento. Non è neppure un mistero il fatto che grazie al ritardo (circa

un minuto) nella trasmissione via satellite delle partite inglesi in Cina, le

informazioni live del belchinezen hanno una certa importanza per chi scommette

a partita in corso. Non è un gioco per signorine. Ecco.

Mettiamola così: ci sono due racconti del calcio. Quello che abbiamo

conosciuto fin qui ha il suo apice nella tv via satellite, nelle telecronache,

nell’idea di spettacolo venuta alla luce negli anni ’80 e ’90. Il calcio delle

scommesse, al contrario, ha sempre più il suo linguaggio e i suoi codici,

spesso tristemente anti-spettacolari, simili a certe cronache scritte delle

corse di cavalli che appaiono ancora sugli schermi di certe ricevitorie.

Perché c’è chi scommette sul calcio paraguagio e su quello finlandese, pure

con una certa preparazione su quel che accade laggiù, ma non certo per

improvvisa sprovincializzazione del tifo, anzi. E scommettere è divertente, ci

mancherebbe. Ma le scommesse sul calcio hanno prodotto nei tifosi un

comportamento del tutto schizofrenico. Chi tifa per una squadra raramente

scommetterà pro o contro la sua squadra, e quando lo fa preferirà tacerlo

anche agli amici. Da qui, il vero punto debole psicologico al quale si attacca

la mostruosa piovra multinazionale dei boss delle scommesse, attaccata alle

umane debolezze di noi tifosi, prima che alle altrettanto umane disponibilità

di calciatori di poco nome e scarso futuro.

L’architettura transnazionale degli ultimi scandali ha un aspetto

indubbiamente affascinante, e spiega molte cose. Il cervello è in Asia, dove

si calcola – in maniera approssimativa – che: a) il 90% delle scommesse sia

illegale, gestito direttamente cioè da cartelli malavitosi b) che il giro

d’affari di queste scommesse tocchi i 450 miliardi di dollari (dati 2006), una

cifra che decuplica i bilanci non di un solo campionato di calcio europeo, ma

di tutti i campionati europei messi assieme. I quadri dell’organizzazione sono

nell’Est Europa (i famosi “zingari”, quelli in tribuna d’onore con le mazzette

di denaro in tasca), e hanno alleati nelle organizzazione criminali storiche

(camorra ecc.). Gli anelli deboli sono – infine – giocatori di scarso nome, ex

giocatori, addetti ai lavori, nei paesi presi di mira: Germania, Italia,

Turchia, Croazia, Grecia, i più importanti sui quali fin qui s’è indagato.

Talvolta sono anch’essi scommettitori. Altre volte vengono presi nella rete

perchè tutto sommato conviene, e i rischi sono minimi.

«Non tutti i calciatori sono delle star – ha spiegato una volta il

giornalista inglese Declan Hill, che più di tutti è andato al cuore della

questione nel libro-inchiesta Calciomafia (Rizzoli) – Oltre i 26 anni,

superata la metà della carriera, un calciatore normale diventa facile preda di

chi voglia organizzare una combine. Ha moglie e figli, un futuro incerto».

Come dargli torto? Fateci caso: la diffusione del fenomeno dei campionati

aggiustati dalla immensa disponibilità di denaro dei grandi boss delle

scommesse segue esattamente la linee dei tentacoli della loro organizzazione.

Prima sono stati vampirizzati i campionati asiatici (si stimava ad esempio che

nel campionato malese il 70% delle partite fosse aggiustato, e il 10% dei

calciatori sudcoreani avessero accettato proposte in questo senso). Poi i

campionati dell’Est Europa, quelli decaduti e derelitti. Quindi i tornei

minori, le nazionali africane poverissime. Infine il grande salto, il piatto

forte: i grandi campionati europei.

Tornando alla cronaca, e tenendo a mente le reazioni rispetto all’ultimo

scandalo scommesse (sì, il clamoroso “Fantozzi è lei?”pronunciato al telefono

da Cristiano Doni, e la sua successiva fuga in mutande dietro la Porsche in

garage), l’impressione è che si reagisca a quel che accade con la stessa

schizofrenia degli scommettitori-tifosi. Incredulità, sottovalutazione delle

questioni in gioco, parlar d’altro. «È questa componente psicologica – ha

osservato una volta Declan Hill – che rende la corruzione nel calcio una

specie di crimine perfetto». Ricordate? Jorge Luis Borges, in un famosissimo

racconto scritto cinquant’anni fa, aveva immaginato di scoprire che il calcio

ormai si giocasse in uno studio televisivo, come un balletto nel quale tutto

era già previsto in anticipo. Dicevano che c’era del moralismo in quel

racconto, c’era il gusto del paradosso, cose così. Dicevano che Borges odiava

il calcio. Sarà. Ma ci siamo quasi arrivati.

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Farsa Barça

Blatter dà tutti i Palloni d’oro ai

suoi e quelli di carta agli inglesi

Suggerimenti per nuovi premi

di JACK O’MALLEY (Il Foglio 10-01-2012)

Londra. La serata delle premiazioni per il Pallone d’oro è così surrealmente

brutta nella forma che anche Rai Due si rifiuterebbe di metterla in

palinsesto. Karembeu è vestito come un personaggio di Tim Burton, Gullit è

pronto per “Ballando con le stelle”, Ronaldo è l’involucro di se stesso,

Shakira ha deciso di indossare gli avanzi di scena di una Valeria Marini ai

tempi del Bagaglino. Parlare poi della sostanza di questa riunione del Club

Bilderberg del calcio è, come si dice, un lavoro sporco ma qualcuno lo deve

pur fare. In sintesi: Messi vince il Pallone d’oro (dopo uno show da varietà

non lo si poteva che dare a un intrattenitore da varietà), Guardiola il premio

per il migliore allenatore, Neymar per il gol più bello, Ferguson vince la

Mortadella d’argento, Rooney il premio spogliatoio. La farsa messa in piedi

dal direttorio ispano-svizzero è disegnata apposta per esaltare anche i

barellieri del Barcellona e tutti i giocatori che si sono guadagnati fama e

onore in quella finzione che è la Liga; l’Inghilterra è umiliata dal premio

Blatter dato a Ferguson e dalla rovesciata impareggiabile di Rooney contro il

City battuta da un bel gol di Neymar contro la selezione dei ballerini di

Samba di Belo Horizonte. Il Giappone vince il premio Fair Play grazie al

terremoto, e a ritirarlo vanno due figuranti in abiti tradizionali (il

prossimo anno pare che lo vincerà l’Italia: andranno a ritirarlo Pulcinella e

Pantalone). Sono indeciso se l’acme del trash si è raggiunto con Ronaldo o con

James Blunt che fa un playback che non si vedeva dai tempi del Festivalbar.

Alla Fifa vorrei suggerire altri premi da istituire in vista del prossimo

anno: il premio sagoma cartonata, che di diritto va al Real Madrid in

contumacia, il premio per l’allenatore più emozionante da assegnare comunque a

Guardiola per fare un dispetto a Mourinho, il premio per il miglior accento

inglese che Blatter potrebbe tranquillamente dare a se stesso. Se si volesse

poi ancora prendere in giro Ferguson, ecco qualche trofeo da consegnargli:

quello per le gote più rubizze del mondo, il catetere d’oro e il chewingum

d’argento. E il premio sobrietà da assegnare naturalmente agli adepti

dell’Unicef del Barcellona ex aequo, volendo, con il vostro presidente del

Consiglio, Mario Monti, già in lizza per il “premier più eletto dell’anno”.

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Farina di Brecht

di MASSIMO GRAMELLINI (LA STAMPA 10-01-2012)

Simone Farina è un calciatore di serie B che ha rinunciato a duecentomila euro

per truccare una partita, denunciando il tentativo di corruzione alla

magistratura. Un cittadino esemplare, si sarebbe scritto una volta. Ma adesso a

fare il proprio dovere si diventa direttamente eroi. L’eterno presidente del

calcio mondiale Joseph Blatter lo ha nominato ieri ambasciatore del fair play,

che è come se Lady Gaga assegnasse i certificati di castità alle Orsoline.

Intendiamoci. Nessuna intenzione di sminuire la portata dell’evento. In

questa fase di convalescenza dal bunga bunga la nostra immagine internazionale

necessita di una lucidata e nulla può smacchiarla in profondità meglio di un

esempio di serietà e pulizia. Eppure c’è qualcosa di stonato. Non in Farina,

che sembra anzi il più imbarazzato di tutti. Ma in coloro che lo esaltano come

un essere sovrumano, con ciò ammettendo implicitamente che i comportamenti

onesti non rappresentano più la normalità, ma l’eccezione. Di questo passo

cominceremo a premiare il politico che non ruba, lo sportivo che non si dopa,

l’impiegato che non si mette in mutua per andare a fare la spesa, il cassiere

del bar che strimpella sinfonie di scontrini, l’automobilista che si arresta

davanti alle strisce, il genitore che dà ragione all’insegnante invece che al

pargolo, il banchiere che presta soldi a un giovane promettente invece che a

un altro banchiere. «Sventurato il popolo che ha bisogno di eroi», sosteneva

Brecht. E non conosceva ancora Blatter.

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Stop ai narcos: tredici arresti

Il capo era un leader dei «Fedayn»

Svelato anche il retroscena del rapimento di un socio avvenuto in Spagna

di ELENA ROMANAZZI (Il Mattino 10-01-2012)

Tredici arresti, più di 51 chili di cocaina purissima sequestrata di ingente

valore, soldi contanti e sei orologi rolex. È questo il bilancio di una maxi

operazione portata a termine dalla Guardia di Finanza. Una indagine,

denominata «ultras», per il coinvolgimento di Massimiliano Amato, detto o’

bandito, un tempo a capo del gruppo «Fedayn Eam Napoli», avviata nel 2005 che

ha sgominato una complessa organizzazione criminale dedita al traffico

internazionale di stupefacenti tra Campania, Sud America e Spagna.

In manette tredici dei 18 destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare in

carcere emessa dal gip di Napoli su richiesta dalla Dda partenopea. E tra

questi i capobanda, i fratelli Giuseppe e Fabio Sabatino (di San Giorgio a

Cremano) che avevano contatti diretti con i fornitori spagnoli. La guardia di

finanza ha intercettato e sequestrato due carichi di sostanze stupefacenti

pronti ad essere immessi sul mercato nazionale che hanno scatenato una rottura

nei rapporti tra fornitore spagnolo e acquirenti napoletani. Bisogna tornare

indietro nel tempo per comprendere l’operazione e come è stata smantellata

l’organizzazione. Il 7 aprile del 2006 vicino al casello autostradale A1 di

Caianiello veniva fermato un autoarticolato con targa italiana che trasportava

detersivi. Nascosto all’interno di un doppiofondo creato nella porta

posteriore del semi-rimorchio i finanzieri sequestravano ben 18 chili di

cocaina e arrestavano i due corrieri italiani. A pochi mesi di distanza, il

primo giugno 2006, sempre ad un casello autostradale è stato intercettato un

secondo carico (di) cocaina (32 chili) occultato all’interno della cabina di

guida della motrice di un autoarticolato che trasportava alimentari.

Il doppio sequestro ha messo a serio rischio la vita dei due fratelli

Sabatino. Senza droga non ci potevano essere gli introiti e dunque la partita

pur essendo stata ritirata non era stata pagata. Ma in Spagna pretendevano i

soldi. A fare pressioni Miguel Gutierrez Carmona e Javir Josè Luque Benites. I

Sabatino tentano una mediazione. Il 5 agosto del 2006 Fabio Sabatino, detto

Geppetto, va in Spagna dove viene sequestrato e chiuso in un camion per il

trasporto di cavalli fermo in un capannone vicino a Toledo. Giuseppe Sabatino

lo raggiunge e porta con sé la somma di 200mila euro come acconto per saldare

il debito (la droga acquistata costava 1 milione e 200 mila euro). Un

sequestro di persona (non denunciato) ma seguito passo passo dal coordinamento

del ministero dell’Interno e direzione centrale servizi antidroga con le

autorità spagnole. Fabio Sabatino riesce a liberarsi. E la polizia spagnola fa

scattare le manette ai polsi a ben otto narcotrafficanti, guidati da Marquez

Reina Josè Maunel di Siviglia, noto trafficante dell’Andalusia.

La banda di narcotrafficanti - come si legge dalla corposa ordinanza di

custodia cautelare - utilizza diversi stratagemmi per sfuggire alle maglie

delle forze di polizia. Il gruppo guidato dai Sabatino del quale fa parte l’ex

capo degli ultras napoletani, Massimiliano Amato, parla attraverso dei codici

complessi. La parola droga non viene mai pronunciata. Quando si deve

acquistare la merce si parla di «ragazze», di «case» di «macchine». Quando,

invece, si deve vendere, il linguaggio cambia. In una intercettazione Giuseppe

Sabatino e Gennaro Esposito prendono così gli accordi per la vendita: «Senti

-dice il primo- me ne sto andando a ballare, ieri pomeriggio mi hanno chiamato

ed io ho prenotato nove posti (a indicare il quantitativo di merce) a

tavola... ».

Per eludere i controlli e sfuggire alle intercettazioni sono state moltissime

le sim utilizzate. Gli affiliati (i reati sono associazione a delinquere

finalizzata allo spaccio internazionale di stupefacenti) invece di fornire i

numeri indicavano delle lettere dell’alfabeto. Massimiliano Amato si reca

personalmente in Spagna ed è parte attiva dell’organizzazione. Quando tratta

al telefono parla del «mono» che in spagnolo significa scimmia. Il personaggio

in questione è un uomo di punta dell’organizzazione madrilena che ha contatti

anche con il Sud America.

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