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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 10-12-2011)

Diritti tv, format campionati

e la "pace": un fine anno caldo

Giancarlo Abete, quest'anno, ha molti meriti: il suo voto supera di sicuro la sufficienza (unico errore: la vicenda del ricorso Juve sullo scudetto 2006 che andava gestita diversamente). Ma adesso lo attende un dicembre, e anche un gennaio, con molti problemi da risolvere. Il primo scoglio arriva subito con il tavolo della pace, "apparecchiato" da Giovanni Petrucci, un'iniziativa lodevole (lo ripeto) che può contribuire a svelenire il clima e mettere una parola chiara sugli anni di Calciopoli. Abete si presenterà mercoledì al Coni con il dg Antonello Valentini (e troverà Andrea Agnelli che gli ha chiesto 443 milioni di euro di danni...) ma pare proprio che ai vertici della Figc ci sia stato malumore e qualche escluso avrebbe partecipato volentieri al summit. Così come Massimo Cellino: voleva fare un documento con l'appoggio degli altri presidenti rimasti fuori dal tavolo ma, come al solito, sono intervenuti gli avvocati (proprio quello che Petrucci temeva...) e così il documento si stava trasformando in un atto di accusa contro il presidente del Coni. Risultato: nessun presidente ha avuto il coraggio di firmarlo e Cellino ha fatto rapida marcia indietro. Ormai, il tavolo è pronto: si parlerà di Calciopoli, è ovvio, ma soprattutto di futuro. Anche se potranno uscire solo indicazioni, non decisioni (quelle spettano alle Leghe competenti). Petrucci e Abete sono troppo rispettosi delle istituzioni, anche se a volte critici. Ma non vorranno certo entrare in rotta di collisione coi presidenti (delle Leghe e dei club): un documento comune potrebbe comunque essere anche un segnale importante, non solo per il mondo dello sport, che a volte sonnecchia, ma anche per il nuovo governo. Abete poi il 20 dicembre (in mattinata c'è la Giunta Coni) terrà all'ora di pranzo l'ultimo consiglio federale dell'anno: si parlerà dei tagli alla Figc, quei 16 milioni in meno per il 2012. La Lega di A insiste e vorrebbe che all'ordine del giorno ci fosse anche l'argomento della norma 22 delle Noif, che ha bloccato (per ora) Lotito, Mencucci, Andrea Della Valle, Foti e Massimo De Santis, tutti condannati in primo grado a Napoli. Può darsi che ci sia una riunione informale prima del 20 dicembre ma è certo che Abete farà slittare un'eventuale decisione di modifica della norma dopo il parere (consultivo, non vincolante) della corte di giustizia federale, parere previsto per il 9 gennaio. Intanto altri problemi incombono: è stato trovato l'accordo, ad esempio, per la ripartizione dei diritti tv ma i soldi per il futuro sono bloccati perché manca ancora l'operatività della Fondazione. In più il Coni chiede una parte di finanziamento per gli eventi sportivi (non calcistici). Insomma, una situazione di stallo. C'è da discutere e approvare poi il cammino per la riforma dei campionati (che riguarda per ora serie B, Lega Pro e, a cascata, anche la Lega Dilettanti) e bisogna sbrigarsi, altrimenti sarà difficile partire dalla stagione 2012-'13. C'è da mettere mano alla giustizia sportiva, che così non può funzionare (vedi Spy Calcio del 6 dicembre) e Abete se ne rende conto. C'è, ci sarebbe, da discutere sul perché i nostri stadi sono sempre vuoti o mezzi vuoti, e cosa si può fare (sabato: 39.917 spettatori per Inter-Fiorentina, 9.190 per Siena-Genoa, 6.846 per Lecce-Lazio, 18.474 per Palermo-Cesena: su quattro gare, ben tre sotto la media, che è di poco superiore a 23.000 spettatori). Ma questo non spetta ad Abete. Questo spetta (spetterebbe) alla Lega di serie A, se esistesse.

(11 dicembre 2011)

Modificato da huskylover

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http://www.canalejuve.it/news/gli-scheletri-di-franco-31025

Gli scheletri di Franco

Carraro_Petrucci_G.jpg

26 dicembre 2006, Moggi chiama Punghellini ( presidente della Lega Dilettanti e consigliere Figc all’epoca dei fatti ).

Punghellini: “Han fatto delle porcherie allucinanti”.

Moggi: “Soprattutto con me”.

P.: “Ti ricordi quella volta che ci eravamo visti a Torino,io te lo avevo preannunciato (…) e dietro questa roba qui guarda che c’è Carraro”.

M.: “Ma c’è rimasto incastrato pure lui,eh”.

P.: “Però ne han fatte di cotte e di crude per tirarlo fuori. Anche adesso”.

M.:Eh ma che vuoi, con Petrucci non ci sono dubbi sulla cosa”.

P.: “Adesso cercano, in accordo con Petrucci, in accordo con Tavecchio per esempio di zittire me, capisci”.

M.: “È incredibile guarda.Ma io che ci fosse di mezzo Carraro non avevo mai avuto dubbi,infatti vedi s’è fatto togliere la squalifica”.

P.: “Sì sì”.

M.: “Da Sandulli (…) È un allievo.È un allievo suo”.

P.: “È tutto lui.Fatto in combutta con tutta una serie di personaggi…poi ti raccomando Gallavotti”.

M.: “È il servo di Carraro”.

P.:Mi hanno chiamato a Napoli anche a me perché in alcune intercettazioni c’ero di mezzo io. Però io la verità gliel’ho detta,eh. Perché loro volevamo sapere se tu avevi fatto pressioni su di me. No,su di me le pressioni le ha fatte una persona sola. Carraro (…) L’han fatta ad arte (…) Poi sai ci sono i servizi di qualche braccio armato,perché poi anche Tavecchio ci ha messo del suo (…) È abituato a giocare su tre tavoli.Addirittura gli ha telefonato Gianni Letta,hai capito.Per salvare Carraro naturalmente”.

Ancora William Punghellini, dopo la pubblicazione delle intercettazioni: “non ho nulla da rimproverarmi, Moggi non mi ha chiesto niente e io non ho chiesto niente a lui. Ho semplicemente risposto con cortesia a una sua telefonata per uno scambio di auguri dello scorso Natale. Dopotutto, rimane pur sempre una persona anche se stiamo parlando di un dirigente squalificato. Per di più, la telefonata mi è arrivata dopo che Moggi era stato condannato…Aspetto serenamente la decisione dei pm ma vorrei sapere dove sono finite le denunce che avevo fatto a suo tempo alla giustizia sportiva.“.

Nota della procura federale del 26 febbraio 2008: “il presidente del comitato interregionale della Figc William Punghellini è stato deferito alla commissione disciplinare nazionale dal procuratore federale “per violazione dei principi di lealtà, probità e correttezza, per avere espresso, nel corso di colloqui telefonici intrattenuti dal dicembre 2006 all’aprile 2007 [...] con il Sig. Moggi Luciano, soggetto inibito, considerazioni, valutazioni e commenti volti a gettare discredito sulla reputazione di soggetti operanti nell’ambito del CONI, dell’AIA e dell’Istituzione Federale nel suo complesso, oltre che dal contenuto millantatorio“. 5 aprile 2008: squalificato per 6 mesi. Punghellini: “è una vicenda grottesca, sono molto amareggiato”.

Gianni Petrucci a luglio 2011, dopo la nomina di Carraro a commissario straordinario della Fisi ( Federazione italiana sport invernali ): “Franco Carraro è un nome di garanzia per la sua conoscenza dello sport e i suoi rapporti internazionali. La sua nomina è stata condivisa in maniera unanime dalla Giunta del Coni. Il passato e il presente di Carraro parlano chiaro, e per questo la scelta è stata condivisa da tutti“.

“Vanno fatti tacere”: non è solo un modo di dire

.

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TAVOLO DELLA PACE-7

Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni

Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme

al presidente federale Abete ci saranno Moratti

Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis

Un'occasione per provare a superare Calciopoli

ma anche per discutere del futuro della Serie A

Parte la nostra inchiesta in sette puntate che

ci accompagnerà fino al summit, analizzando

lo stato di salute del nostro calcio: cosa cambiare

e quali regole riscrivere per tornare competitivi

La prima puntata è dedicata alla legge 91

che ha introdotto il professionismo nello sport

===

Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 07-12-2011)

===

1

Ma che lavoro

fa il calciatore?

Lo status, il contratto, le tutele: perché cambiare la legge 91

TAVOLO-7.jpg

___

01

Quali materie sono disciplinate dalla legge 91 promulgata nel 1981?

Approvata in via definitiva dal Senato il 4 marzo 1981, la legge 91 “in

materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” introduce

nell’ordinamento italiano il concetto di professionismo nell’attività

sportiva. Si applica a tutte le discipline le cui federazioni sono affiliate

al Coni ma è stata “ispirata” da una battaglia condotta dall’Assocalciatori e

iniziata nell’estate del 1978. Il testo della legge 91/1981 è composto da 18

articoli articolati in quattro capi: nel primo viene definito lo sport

professionistico e disciplinato il lavoro subordinato sportivo; il secondo

riguarda le società sportive e le federazioni; il terzo gli aspetti tributari;

il quarto comprende le disposizioni transitorie e finali.

___

02

Come è definito il professionismo in campo sportivo e a quali figure

si applica?

Sono considerati sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i

dirigenti tecnico-sportivi e i preparatori atletici (l’interpretazione può

estendersi però ad altre figure tecniche riconosciute dalle federazioni) che

svolgono l’attività sportiva a titolo oneroso e con carattere di continuità

nell’ambito delle discipline aderenti al Coni. Le singole federazioni devono

osservare le direttive del Coni nella distinzione dell’attività

dilettantistica da quella professionistica. In Italia la maggioranza delle

federazioni non riconosce il professionismo. Nel calcio il professionismo va

dalla A alla Lega Pro (Prima e Seconda Divisione).

___

03

Quando il rapporto di lavoro sportivo è definito subordinato e quando

invece è ritenuto autonomo?

Per definizione, come prevede l’art. 3, il professionismo implica un rapporto

di lavoro subordinato. Lo sportivo professionista è un dipendente della

società alla quale “cede” le proprie prestazioni sportive. La legge prevede

che ogni federazione individui un contratto-tipo e quindi un accordo

collettivo, non differente dagli altri contratti di lavoro nazionali. Ci sono

delle eccezioni: il professionista viene considerato lavoratore autonomo se

l’attività viene svolta nell’ambito di una o più manifestazioni collegate e in

un breve arco di tempo; se l’atleta non ha vincoli sulle frequenze degli

allenamenti; se la prestazione non supera le 8 ore settimanali o 5 giorni al

mese (o 30 giorni all’anno).

___

04

Come si “assume” uno sportivo professionista? Quali caratteritsiche

ha il contratto?

L’ingaggio di uno sportivo professionista è un’assunzione a tempo determinato

che avviene con la chiamata diretta. Prevede la stipula di un contratto

scritto nel quale il tesserato cede le proprie prestazioni sportive alla

società. Va rispettato il contratto-tipo che ogni tre anni le federazioni

devono predisporre in base all’accordo collettivo stipulato con le

associazioni di categoria. Il contratto va depositato presso la federazione (o

la lega di appartenenza) per ottenere l’approvazione. Il contratto può

contenere clausole compromissorie sul ricorso ad un collegio arbitrale per le

controversie tra società e tesserato.

___

05

Quale la durata massima di un contratto e come può essere ceduto?

Quelli degli sportivi professionisti sono contratti “a termine”: l’art. 5

stabilisce che non possono avere una durata superiore ai cinque anni. Nel

caso del calcio, all’estero è possibile sottoscrivere accordi più lunghi, con

ovvii vantaggi tecnici (si “blinda” un calciatore più a lungo) ed economici

(l’ammortamento viene spalmato su più anni). Sempre l’art. 5 prevede la

possibilità della “cessione del contratto” da una società all’altra purché ci

sia l’assenso del tesserato. I trasferimenti sono disciplinati dalle singole

federazioni che fissano un calendario (come le finestre di “calciomercato”) e

dei limiti (come il numero massimo di trasferimenti di un tesserato in un

anno).

___

06

Quali tutele sono garantite allo sportivo professionista dal contratto?

Il contratto-tipo di ogni federazione (al momento parliamo di calcio e basket)

disciplina i rapporti club-tesserato (diritti e doveri) e, sul versante

economico, fissa i minimi salariali. L’art. 7 della legge 91 garantisce agli

sportivi professionisti la tutela sanitaria, con controlli periodici a carico

delle società. L’art. 8 prevede l’obbligo di una polizza assicurativa contro

il rischio di morte o di infortuni che possono pregiudicare la carriera.

L’art. 9 disciplina il trattamento pensionistico, con i contributi ripartiti

tra società (due terzi) e tesserato (un terzo) oppure interamente a carico

dello sportivo se lavoratore autonomo. In base all’ultima manovra finanziaria,

l’Enpals (l’ente di previdenza per i lavoratori dello spettacolo) sarà

assorbito dall’Inps.

___

07

Com’è cambiata la figura del calciatore dopo l’entrata in vigore della

legge 91?

L’introduzione del professionismo e il riconoscimento dello status di

lavoratore dipendente hanno offerto un ventaglio di garanzie ai calciatori,

sia sul piano dei diritti nell’ambito dei rapporti con i club che su quello

economico, con la garanzia di un trattamento previdenziale. L’introduzione di

un contratto a termine ha rivoluzionato anche le dinamiche di mercato: in

passato, il calciatore era legato al club in funzione del “vincolo” e doveva

discutere l’accordo economico anno per anno; la legge 91 ha aperto la strada

ad accordi pluriennali e creato i presupposti per una progressiva abolizione

del vincolo, definitivamente azzerato dalla sentenza Bosman nel ‘95.

___

08

Perché i club hanno dovuto cambiare assetto e diventare così società

di capitali?

Il cambio di ragione sociale che ha portato le vecchie società sportive a

diventare società di capitali è un obbligo previsto dalla legge 91. L’art. 10,

infatti, stabilisce che solo le società costituite come Spa (società per

azioni) o Srl (a responsabilità limitata) possono stipulare contratti con

sportivi professionisti. Sempre l’art. 10, però, pur introducendo con le

successive modifiche datate 1996 la possibilità per i club di generare degli

utili (società a fini di lucro), pone anche dei limiti alle attività delle

società professionistiche: possono svolgere, accanto a quella sportiva in

senso stretto, solo attività ad essa connessa o strumentali.

___

09

Quali le principali proposte di modifica della legge 91? Cosa chiede

il mondo del calcio?

In linea generale, più volte si è pensato di intervenire sui meccanismi di

distinzione tra attività professionistica e dilettantistica. Al momento molte

federazioni, dove vige un professionismo di fatto per il livello delle

retribuzioni, non si adeguano alla legge 91 per evidenti vantaggi fiscali e

contributivi. Il calcio, invece, preme per modificare lo status dello sportivo

professionista da lavoratore subordinato a lavoratore autonomo. In questo modo

per le società ci sarebbero dei vantaggi in termini economici:

fondamentalmente, i contributi previdenziali (che insieme all’Irpef

praticamente raddoppiano lo stipendio lordo rispetto al netto) sarebbero a

carico dei calciatori.

___

10

Calciomercato e cessione dei contratti: cosa divide Lega e

Assocalciatori?

La legge 91 riconosce la possibilità di cedere i contratti degli sportivi

professionisti, demandando alle federazioni il compito di regolamentare i

trasferimenti. In ogni caso, la legge prevede che ci sia l’accordo tra le due

società e anche l’assenso del tesserato. Lega e Aic hanno affrontato la

questione la scorsa estate nei lunghi e complessi colloqui per il rinnovo del

contratto collettivo. I club hanno provato a introdurre in qualche modo un

“obbligo” di trasferimento del calciatore nel caso di un accordo tra la

società di appartenenza e un’altra di pari livello, ovviamente con la garanzia

dello stesso stipendio. Un punto sul quale l’Aic non ha concesso nulla.

___

l'intervento di... SERGIO CAMPANA

«Legge 91: e fu rivoluzione

Modifiche? Con idee chiare»

«In discussione lo status di lavoratore dipendente»

Il 4 marzo 1981 rimarrà sicuramente una data storica per il mondo sportivo

professionistico: il Senato approvava infatti una legge (che secondo l’ordine

progressivo sarà la n.91) che regolava finalmente i rapporti tra società e

sportivi professionisti. E’ inutile dire che tra i “beneficiari” di tale

normativa un posto di primo piano spetta proprio ai calciatori che non per

niente furono i “responsabili” di questa vera e propria rivoluzione nel mondo

del calcio.

Tutto partì nell’estate del 1978, esattamente il 4 luglio, quando, a seguito

di un mio esposto, quale presidente dell’AIC, il pretore Costagliola bloccò, a

Milano, il cosiddetto “calcio-mercato”. I carabinieri fecero irruzione nei

saloni dell’albergo milanese Leonardo da Vinci, allora sede delle

contrattazioni, per “accertare eventuali violazioni di norme che vietano

l’intervento di mediatori nello svolgimento delle pratiche comunque attinenti

al trasferimento di calciatori che sono da considerare lavoratori subordinati

a tutti gli effetti”.

Esattamente una settimana dopo, l’allora sottosegretario alla Presidenza del

Consiglio del Governo Andreotti, onorevole Evangelisti, si fece promotore di

una riunione dei ministri competenti per studiare il problema. Da quel momento

serviranno oltre due anni di consultazioni e riunioni prima di arrivare

all’emanazione di una legge che, dopo dubbi, perplessità, incertezze, e

speranze in precedenza sempre deluse, definiva finalmente lo status giuridico

dello sportivo professionista.

Una conquista determinante per la categoria, certamente una delle tappe più

importanti del cammino dell’Associazione: lo sport professionistico, calcio in

primis, si trovava ad avere finalmente delle certezze giuridiche, delle tutele

ben precise.

Ovviamente la legge 91 è stata base di partenza per molte conquiste che l’AIC

è riuscita ad ottenere negli anni: con la nuova normativa il calciatore da

quel momento diventa infatti lavoratore subordinato, le cui prestazioni a

titolo oneroso costituivano oggetto di contratto di lavoro subordinato.

Venivano introdotte la tutela sanitaria, l’indennità di preparazione e

promozione, abrogata in data 7. 6. 96 a seguito dell’applicazione in Italia

della “Sentenza Bosman”, le assicurazioni infortuni, il trattamento

pensionistico, e soprattutto veniva abolito il vincolo sportivo, che fino a

quel momento aveva fatto del calciatore un’autentica “merce di scambio”.

Sono passati ormai trent’anni da quando è entrata in vigore la legge 91 e

periodicamente, da qualche componente calcistica, in particolare dalla Lega di

Serie A, vengono avanzate richieste di modifica della legge. In un’occasione

era stata costituita anche una Commissione di alto profilo politico e sportivo,

i cui lavori peraltro sono stati interrotti per la caduta del governo.

Recentemente la Lega è tornata all’attacco con rinnovate richieste che

peraltro non sono state ancora ufficializzate. Sicuramente una precisa istanza

riguarderà lo status giuridico dei calciatori, che ora è considerato dalla

legge un lavoratore subordinato e che la Lega vorrebbe fosse trasformato in

lavoratore autonomo.

L’Associazione Calciatori si oppone con tutte le forze ad una modifica del

genere, che non avrebbe alcun fondamento giuridico. La subordinazione riferita

alle prestazioni dei calciatori è chiara e indiscutibile ed è affermata e

riconosciuta da sempre in tutti i paesi calcistici europei.

L’avvocato Sergio Campana nel 1968 ha fondato l’Associazione Italiana

Calciatori e ne è stato presidente fino allo scorso aprile

___

Cosa succede negli altri sport

Basket: A e Legadue pro’

Le federazioni “dilettanti”

risparmiano sui contributi

Una legge ispirata dal calcio ma che dovrebbe tutelare anche gli altri

sportivi. Quelli che non guadagnano come i calciatori ma che professionisti lo

sono ugualmente di fatto. Eppure, a 30 anni dall’entrata in vigore della Legge

91, il professionismo sportivo è ancora un discorso che sembra riguardare

esclusivamente il calcio, la cui struttura è chiara: dalla A alla Seconda

Divisione (l’ex C2) professionisti, dalla Serie D alla Terza categoria

dilettanti. E fuori dal rettangolo verde?

AUTONOMIA - Tocca alla singole federazioni (e quindi alle leghe), nel rispetto

delle direttive del Coni, stabilire quale sia l’attività professionistica e

quale invece quella dilettante. In qualche modo, per essere più chiari, è la

singola federazione a decidere se aderire al professionismo. Il mondo del

basket ha fatto la sua scelta: in campo maschile sono considerati

professionisti i tesserati dei club di Serie A e Legadue. Le serie inferiori e

il movimento femminile appartengono alla sfera dei dilettanti. Il mondo del

volley, che pure rappresenta un movimento importantissimo e nel quale girano

cifre non trascurabili (siamo a livelli retributivi che nel calcio si trovano

facilmente in una B o di una Prima Divisione di alto profilo), ha scelto di

stare fuori dal professionismo. Come altre importanti federazioni.

VANTAGGI - Stare fuori dal professionismo, senza adeguarsi alla legge 91,

vuol dire fondamentalmente una cosa: risparmiare tanti soldi. In termini di

Irpef (per i contratti meno ricchi) ma soprattutto in termini di contributi

previdenziali, perché questi semplicemente non sono a carico del club. Tocca

semmai al tesserato - che è un autonomo - garantirsi un trattamento

pensionistico. Giusto per fare qualche esempio: per “ingaggi” fino a 7. 500

euro c’è l’esenzione totale dall’Irpef, per quelli fino a 25. 000 euro l’anno

il club versa un’aliquota del 23, 9%, che aumenterà progressivamente per le

cifre più alte. Lo status è quello del lavoratore autonomo, non subordinato né

a progetto: i contratti possono essere depositati in federazione o lega, in

parte essere anche garantiti, ma non c’è alcun accordo collettivo, niente

diritti, niente doveri. Per esempio: nero su bianco non saranno mai indicati

giorni e orari di allenamento, accordi su vacanze e permessi.

VINCOLO - Gli atleti che non sono professionisti sono anche meno liberi. Non

applicandosi la legge 91, vige ancora il vincolo: anche se l’accordo economico

è scaduto, la nuova società dovrà riconoscere al vecchio club un indennizzo

calcolato con il parametro. Quello che la sentenza Bosman ha cancellato tra i

pro’ quindici anni fa.

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TAVOLO DELLA PACE-6

Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni

Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme

al presidente federale Abete ci saranno Moratti

Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis

Un'occasione per provare a superare Calciopoli

ma anche per discutere del futuro della Serie A

Prosegue la nostra inchiesta in sette puntate

che ci accompagnerà fino al summit. Analizziamo

lo stato di salute del nostro calcio: cosa cambiare

e quali regole riscrivere per tornare protagonisti

Dopo la legge 91, nella seconda puntata parliamo

di temi economici: competitività, fiscalità e mercato

===

Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 08-12-2011)

===

2

Perché l'Italia

non attira più?

Ricavi, fiscalità, risultati: comandano Inghilterra e Spagna

TAVOLO-6.jpg

___

01

Da quanto l’Italia non è protagonista del mercato europeo con colpi

dai 30 milioni in su?

Esattamente da dieci anni: il mercato estivo della stagione 2001-2002 è

quello che ha fatto registrare i colpi più importanti fino ad oggi.

L’operazione più costosa è il passaggio di Mendieta dal Valencia alla Lazio

per l’equivalente di 47 milioni di euro ed è l’unico acquisto fatto

all’estero. Le altre sono tutte operazioni interne: Rui Costa dalla Fiorentina

al Milan (43,9 milioni), Buffon dal Parma alla Juve (38, 7), Pippo Inzaghi

dalla Juve al Milan (36,1), Thuram e Nedved alla Juve (36, 1 e 36 milioni),

Cassano dal Bari alla Roma (30,9) milioni. Da allora i colpi più costosi sono

stati tutti sotto la soglia dei 25 milioni, quelli spesi dal Milan per

Gilardino, dall’Inter per Milito, dalla Juve per Felipe Melo.

___

02

Perché i big preferiscono gli altri tornei europei alla Serie A?

Per una combinazione di due fattori: maggior attrattiva tecnica e migliori

possibilità di guadagno. Sul piano tecnico, lo dicono i risultati: al di là

degli ultimi successi in Champions di Milan e Inter, a livello continentale il

predominio di Spagna e Inghilterra è evidente ed appare difficile da spezzare.

E i risultati sportivi sono sempre accompagnati da eccellenti performance

finanziarie. L’aspetto tecnico non va sottovalutato. Prendete Sanchez: lui e

l’Udinese avevano ricevuto un’offerta economica più allettante dal City ma

hanno ritenuto più gratificante firmare con il Barça. Le offerte folli come

quella dell’Anzhi per Eto’o rappresentano un caso a parte: lì contano solo i

soldi.

___

03

Perché le società di Liga e Premier possono spendere di più sul

mercato e per gli ingaggi?

Perché sono le società che in Europa generano ricavi più elevati, con un

netto divario rispetto alle performance dei club italiani. Secondo l’ultimo

rapporto della Deloitte, che analizza i bilanci della stagione 2009-2010, la

squadra più ricca d’Europa è il Real Madrid con un fatturato di 438, 6 milioni

di euro, seguito dal Barça (398,1 milioni) e dal Manchester United (349, 8

milioni). Nella top 20 quattro italiane: la più ricca è il Milan (7°) con

ricavi per 235,8 milioni di euro. Nona l’Inter (224,8), decima la Juve (205),

diciottesima la Roma (122, 7). Le italiane sono anche più dipendenti dai

diritti tv che rappresentano oltre il 60% del fatturato; in Premier League,

invece, i diritti tv (39%) pesano quanto gli incassi da stadio (35%).

___

04

A parità di ingaggio netto, a quali club costa di più lo stipendio

lordo di un calciatore?

Nel calcio il costo del lavoro è più caro in Fracia: il carico di contributi

e imposte aumenta del 164% il “peso” della busta paga rispetto allo stipendio

netto. Segue l’Italia, dove il lordo raddoppia il netto. Quindi Inghilterra

(+87%), Germania (+82%) e Spagna (+80%). In pratica, un ingaggio netto da 1

milione di euro a un club francese costa 2,164 milioni e a un club italiano 2

milioni contro gli 1,8 milioni pagati in Spagna. Le aliquote fiscali massime

sono più o meno simili: 45% per la Germania, 43% per Italia e Spagna, 40% per

la Francia, con il picco del 50% in Inghilterra. La differenza, però, la fanno

i contributi e gli altri oneri. In Italia l’Enpals costa il 33% del netto (per

il 23, 8% è carico del club), il fondo di fine carriera il 7, 5%.

___

05

Legge Beckham: come funzionava e perché dal 2010 in Spagna è stata abolita?

Nel 2005 il governo Aznar in Spagna ha introdotto una fiscalità di vantaggio

per i lavoratori stranieri con redditi elevati (oltre i 600. 000 euro), con

un’aliquota ridotta dal 43% al 24%. Lo scopo era quello di incentivare la

permanenza in Spagna di professionisti (medici, ricercatori, etc.) ma di fatto

sono state avvantaggiate le società di calcio. La norma è stata ribattezzata

“legge Beckham” proprio perché l’ex stella dello United è stato il primo a

beneficiare della fiscalità agevolata al momento del passaggio al Real Madrid

(la norma aveva effetto retroattivo a partire dal 2004). Dal 1° gennaio 2010

la fiscalità agevolata è stata revocata: vale solo per i contratti firmati

entro il 2009 e ancora in corso.

___

06

Perché in Spagna e Inghilterra i club riescono a generare fatturati

più elevati rispetto all’Italia?

Per caratteristiche proprie di ciascun club (storia, prestigio, competitività

a livello continentale) ma anche per caratteristiche strutturali dei

campionati di appartenenza. Se Real e Barça, due spagnole, sono i club che nel

2010 hanno fatturato di più, è indubbio che la Premier League sia nettamente

il campionato più ricco in Europa, con un fatturato complessivo di 2, 5

miliardi di euro come stimato dall’ultimo rapporto della Deloitte. Seguono

Bundesliga (1,664 miliardi), Liga (1,622), Serie A (1,532) e Ligue1 (1, 072).

La Premier riesce a vendere meglio il prodotto, equilibrando i ricavi dai

diritti tv (con l’ultimo contratto si arriverà al 40% del fatturato) con i

proventi legati allo stadio e alle altre attività commerciali.

___

07

Con l’ingresso dei “nuovi ricchi” com’è cambiata la geografia del

calcio?

Che siano sceicchi o magnati dell’ex Unione Sovietica, in comune hanno la

stessa cosa: risorse economiche pressoché illimitate, legate al petrolio o

comunque al settore energetico. Con i loro capitali hanno cambiato la

geografia del calcio. Dopo Abramovich, che ha ridato forza al Chelsea, la

Premier League ha spalancato le porte allo sceicco Mansour che ha trasformato

il City nel padrone incontrastato del mercato. Ma occhio ai nuovi fenomeni. In

Russia, dopo lo Zenit controllato dalla Gazprom, ecco spuntare l’Anzhi del

magnate Kerimov (36° nella classifica Forbes) che offre 20 milioni a Eto’o. Il

PSG è nelle mani di Hamad Al Thani (Qatar Investment Authority), mentre

l’emiro del Qatar Abdullah Al Thani ha rilevato il Malaga.

___

08

I grandi tycoon ora investono anche in Francia e Spagna. Perché non in

Italia?

La Premier League è il campionato più ricco d’Europa e commercialmente quello

che “funziona” di più. E Londra è il cuore dei mercati finanziari del Vecchio

Continente. Logico che Abramovich investisse nel Chelsea, come Al Fayed aveva

fatto nel Fulham. L’ingresso di Mansour nel City segue logiche diverse:

nessuna dipendenza dai risultati economici ed investimenti esagerati per

vincere subito. Un po’ come accaduto questa estate al PSG con l’avvento della

Qatar Investment Authority rappresentata da Al Thani: 43 milioni per Pastore.

Dal Qatar arriva anche l’altro Al Thani, Adullah, che nel 2010 ha rilevato il

Malaga: un passaporto per entrare nella Liga provando a dare fastidio alle

grandi d’Europa.

___

09

Roma americana: l’arrivo del gruppo di DiBenedetto può aprire la

strada ad altri stranieri?

Il nostro calcio storicamente ha rispecchiato una caratteristica del nostro

sistema economico, più votato al capitalismo familiare che a quello

manageriale. In altre parole: patron direttamente impegnati nella gestione dei

club e spesso fortemente radicati sul territorio. Si pensi agli Agnelli, ai

Moratti, ai Sensi, a Berlusconi, per esempio. In passato tanti rumors ma nulla

di concreto, poi l’arrivo della cordata guidata da DiBenedetto: capitali

americani (assieme a quelli di Unicredit) e un management italiano per

plasmare la nuova Roma sul modello inglese, più ricavi uguale più

competitività. L’ingresso degli americani può aprire la strada a investitori

stranieri: l’ha auspicato anche Moratti.

___

10

L’attuale norma sull’ingaggio degli extracomunitari penalizza i nostri

club sul mercato?

Per i club italiani c’è una difficoltà in più sul mercato che li rende meno

competitivi rispetto ai top club europei: la normativa sull’ingresso di

calciatori extracomunitari acquistati all’estero. Oggi le nostre società

possono far entrare in Italia 2 extracomunitari all’anno ma ne devono cedere

all’estero (o far diventare comunitari) altrettanti. Una complicazione in più:

non si tratta di pareggiare le offerte della concorrenza europea ma anche di

“liberare” le due caselle, operazione spesso complicata. Oltretutto ogni Paese

si regola diversamente: in Premier League l’ingresso degli extracomunitari è

solo subordinato al curriculum; la Spagna ha soglie più alte e, con accordi

bilaterali, equipara molti extracomunitari a giocatori della UE.

___

l'intervento di... MICHELE UVA

«Le tasse non siano un alibi

Siamo allineati all’Europa»

«La proposta: “sconti” ai club per creare occupazione»

Fiscalità e competitività vivono da sempre un rapporto morboso, tirato spesso

in ballo per giustificare la perdita di competitività. Spesso i giocatori

emigrano dal calcio italiano per “vil denaro”, per ritornarvi di corsa

(Ibraimovic insegna) grazie anche alla prontezza di alcuni dirigenti italiani.

Ma vorrei sfatare alcuni luoghi comuni. Vero è che in Italia la pressione

fiscale sulle società è fra le più alte d’Europa, pari alla Francia, e

inferiore solo a Germania e paesi scandinavi, ma in Italia sono poche le

società in utile, quindi soggette a tasse specifiche. Discorso diverso per

l’Irap. Tassa iniqua per il calcio, evitabile se si riuscisse a cambiare la

qualificazione del giocatore professionistico.

Né dipendente, né libero professionista, bensì “lavoratore sportivo”. Darebbe

cospicui vantaggi a giocatori e club, che avrebbero la possibilità di

qualificare i compensi non come redditi da lavoro subordinato, ma come

“redditi diversi”. Tassabili con un’aliquota fra il 20 e il 30% e non soggetti

a Irap. Una fiscalità di vantaggio che però non appare proponibile in una

situazione di crisi come quella attuale.

Altrettanto non si può dire del costo del lavoro. In Italia il costo dello

stipendio netto di un giocatore è pari a quanto dovuto in Germania e Spagna,

ma è inferiore rispetto a Inghilterra e Francia. Solo in passato la Spagna

aveva avuto agevolazioni per giocatori stranieri (aliquota del 24%). Zapatero

ha annullato all’inizio del 2010 questa anomalia che era già entrata nel

mirino dell’Ue. Dunque il carico fiscale non erode la competitività dei club

italiani rispetto a quelli degli altri principali paesi europei. Niente alibi.

E, visti i tempi, un trattamento di favore per il mondo dello sport

professionistico non appare opportuno e sarebbe impugnabile a livello europeo.

L’Iva invece ci penalizza nei confronti dei nostri competitor europei e nel

secondo semestre del 2012 la differenza sarà ancora maggiore. Alcune proposte

avanzate già tempo fa nel libro “La Ripartenza” (Teotino-Uva, Ed. Arel Il

Mulino): la leva fiscale potrebbe essere utilizzata per favorire gli

investimenti delle società per la creazione e lo sfruttamento economico della

proprietà intellettuale, e quelli che soddisfano bisogni della collettività,

come e soprattutto la creazione di stadi moderni, lo sviluppo dei settori

giovanili e poi il sociale. Temi cari anche alla Uefa. Per rendere efficace la

fiscalità di vantaggio si potrebbe concedere alle società un credito di

imposta da compensare con le ritenute effettuate dai club sugli stipendi

pagati ai calciatori, condizionando l’impiego di tali somme per lo sviluppo di

queste attività. Si realizzerebbe l’effetto di ridurre i costi, senza

avvantaggiare i calciatori, e incentivando investimenti che produrrebbero un

maggiore giro di affari, nonché nuova occupazione. In tal modo il vantaggio

fiscale concesso alle società verrebbe “socializzato”: le risorse sottratte

all’erario (che non percepirebbe più le ritenute) andrebbero a vantaggio della

collettività attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro, generati dalla

costruzione e manutenzione di beni materiali (le strutture sportive e i

settori giovanili) e immateriali (la proprietà intellettuale). Peraltro, la

riduzione di gettito verrebbe in parte compensata dalla tassazione sui

pagamenti, come stipendi ai nuovi dipendenti, collaboratori, e simili.

Oltre a questo tipo di sgravi, legati a nuovi investimenti, sarebbe opportuno

promuovere un’iniziativa comunitaria per armonizzare l’Iva sul costo dei

biglietti per lo stadio.

Michele Uva è un manager sportivo

___

Da Balotelli a Pastore: talenti in fuga

Tevez si avvicina

Ma quante stelle

abbiamo perso...

Finalmente Tevez. Anche se in prestito con diritto di riscatto. Anche dopo

qualche mese d’attesa e “grazie” alla rottura tra l’argentino e Mancini che ha

ridimensionato le richieste del City. Finalmente Tevez, comunque. Perché

questa estate l’Italia è rimasta a guardare mentre le big d’Europa - sia i

soliti noti che i nuovi ricchi - hanno messo sul tavolo cifre che da queste

parti ce le sogniamo da un bel po’. Perché questa estate l’Italia è rimasta a

guardare mentre le big d’Europa ci sfilavano, sempre a suon di milioni, i

migliori talenti della Serie A. Aveva cominciato il City dello sceicco Mansour

due estati fa, nel 2010: per 28 milioni di euro ha convinto Moratti a cedere

il pupillo Balotelli, subito dopo il triplete, primo passo della rivoluzione

post-Mourinho in casa Inter. Poi è toccato agli altri.

CIAO ITALIA - La fuga dei talenti sembra inarrestabile, perché questa estate

la Serie A ne ha persi altri due. Javier Pastore al PSG è stato in assoluto

l’affare più costoso: i francesi guidati dal dg Leonardo hanno pagato

l’argentino ben 43 milioni di euro, una somma che è stata ripartita tra il

Palermo e l’agente del Flaco che deteneva ancora una quota del suo cartellino.

Cifre alle quali il Palermo non poteva dire di no. E cifre alle quali, al

momento, nessuna italiana poteva arrivare.

E’ vero, invece, che le big di casa nostra hanno provato fino all’ultimo a

trattenere almeno Alexis Sanchez. Piaceva all’Inter, era uno dei grandi

obiettivi della Juve. Entrambe, soprattutto l’Inter, erano pronte ad

accontentare le richieste economiche dell’attaccante. Però le offerte di

Barcellona e Manchester City all’Udinese non potevano essere pareggiate. I

Citizens offrivano qualcosa di più, al giocatore e al club. Però il ragazzo

voleva giocare nella squadra più forte al mondo e la famiglia Pozzo è stata

contenta di mandare il suo gioiello in Liga. Perché Gino Pozzo vive a

Barcellona e perché il Granada, altra società di famiglia, da quest’anno si

misura sul campo con Barça e Real.

AUSTERITY - Le serie storiche del mercato italiano certificano questo dato:

da dieci anni (stagione 2001-02) le società italiane non chiudono affari in

entrata per almeno 30 milioni di euro. Negli ultimi cinque anni il tetto di

spesa si è abbassato a 25 milioni: Gila al Milan, Milito all’Inter, Felipe

Melo alla Juve gli affari più costosi. Questa estate nessuno è andato sopra i

20 milioni di euro quando si è trattato di sborsare: Osvaldo alla Roma (18

milioni bonus inclusi), Inler al Napoli (17) e Vucinic alla Juve (15) le

operazioni più costose.

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TAVOLO DELLA PACE-5

Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni

Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme

al presidente federale Abete ci saranno Moratti

Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis

Un'occasione per provare a superare Calciopoli

ma anche per discutere del futuro della Serie A

Prosegue la nostra inchiesta in sette puntate

che ci accompagnerà fino al summit. Analizziamo

lo stato di salute del nostro calcio: cosa cambiare

e quali regole riscrivere per tornare protagonisti

Dopo legge 91 e competitività, nella terza puntata

affrontiamo il dibattito sull'articolo 22 bis delle NOIF

===

Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 09-12-2011)

===

3

Dirigenti sospesi

puniti due volte?

Stop dopo condanne non definitive: i club vogliono nuove norme

TAVOLO-5.jpg

___

01

Che cosa sono le NOIF e quali materie regolano nell’ambito della Figc?

Le NOIF (Norme organizzative interne della Figc) rappresentano sul piano

normativo l’architettura della Federcalcio, dalla definizione dei soggetti

all’ordinamento dei campionati. Le NOIF sono divise in due parte: la prima si

occupa di definire i “soggetti”, la seconda di regolamentare le “funzioni”

(dal tesseramento all’ordinamento delle rappresentative nazionali, dalla

struttura dei campionati ai rapporti tra club e calciatori). Sono le NOIF, ad

esempio, a fissare i criteri di controllo sulla gestione dei club da parte

della Covisoc. E sono sempre le NOIF a definire le figure di “dirigente” e

“collaboratore” alle quali fa poi riferimento l’art. 22 bis oggetto di

dibattito politico nelle ultime settimane.

___

02

Quali aspetti regolamenta l’articolo 22 bis e perché il tema è così

attuale?

L’articolo 22 bis riguarda le “disposizioni per la onorabilità”, fissa cioè i

requisiti giuridici indispensabili per poter assumere la qualifica di

“dirigene” (art. 21) e “collaboratore” (art. 22). Secondo le NOIF, non si può

assumere la carica di dirigente o di collaboratore nella gestione sportiva se

si rientra in due casi: se si è nelle condizioni previste dall’art. 2382 del

Codice Civile (per esempio interdetti, falliti, condannati all’interdizione

dai pubblici uffici etc.) o se si è stati condannati per una serie di delitti

tra i quali la frode sportiva, anche con una sentenza non definitiva. Chi è

gia dirigente, viene sospeso se condannato anche con sentenza non definitiva.

La “sospensione” vale anche per incarichi in Lega e in Consiglio Federale.

___

03

Per quali reati una condanna fa scattare l’incompatibilità o la decadenza?

L’art. 22 bis prevede l’impedimento o la decadenza in caso di condanna per un

ampio ventaglio di reati, a partire ovviamente dalla frode sportiva (legge

401/89, Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e

tutela alla correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche). Ma la

lista dei delitti è lunga: dalla cessione degli stupefacenti allo sfruttamento

della prostituzione, dall’adesione ad associazioni segrete ai reati

associativi di tipo mafioso, dai delitti contro la pubblica amministrazione

(peculato, concussione, corruzione) ai delitti contro il patrimonio, dalle

false comunicazioni sociali al traffico d’armi.

___

04

Quando cessa la sospensione dalla carica per un dirigente o

collaboratore?

Il terzo comma dell’art. 23 bis stablisce che la sospensione dalla carica di

dirigente di società o di collaboratore nella gestione sportiva scatta per chi

viene condannato per i reati previsti anche con una sentenza non definitiva. E

stabilisce che la sospensione dura fin quando non intervenga una successiva

sentenza assolutoria. La sospensione può scattare anche in altre circostanze:

se si è oggetto di un provvedimento restrittivo della libertà personale (e fin

quando non si è rimessi in libertà); se si è sottoposti a misure di

prevenzione o di sicurezza personale (come il divieto di soggiorno, la libertà

vigilata etc.).

___

05

Cosa deve fare un dirigente condannato? La Figc procede anche d’ufficio?

Al momento del tesseramento, dirigenti e collaboratori devono dichiarare di

possedere tutti i requisiti di onorabilità previsti dell’art. 22 bis. Nel caso

abbia subito una condanna (o un altro dei provvedimenti indicati dalle Noif),

un dirigente o collaboratore deve seguire questo iter: comunicare la condanna

alla lega di appartenenza della propria società e attendere che la lega a sua

volta informi la Figc. La Federcalcio può anche procedere d’ufficio, come

accaduto dopo la sentenza di Calciopoli: l'11 novembre, non avendo ancora

ricevuto la nota dalla Lega Serie A per i suoi tre dirigenti coinvolti, da via

Allegri hanno spedito le raccomandate con il provvedimento di sospensione

avendo comunque appreso della condanna.

___

06

Per quali dirigenti la sospensione dalla carica è scattata dopo il

verdetto di Napoli?

La Figc ha sospeso dalla carica cinque dirigenti che lo scorso 8 novembre

sono stati condannati a Napoli in primo grado nel processo su Calciopoli

celebrato dalla giustizia ordinaria. Si tratta di: Claudio Lotito, presidente

della Lazio (1 anno e 3 mesi): Andrea Della Valle, azionista della Fiorentina

(1 anno e 3 mesi); Sandro Mencucci, ad della Fiorentina (1 anno e 3 mesi);

Lillo Foti, presidente della Reggina (1 anno e 6 mesi); l’ex arbitro Massimo

De Santis (1 anno e 11 mesi), attualmente tesserato come dg del Palestrina. A

tutti e cinque è stata inviata dopo pochi giorni, era l’11 novembre, la

raccomandata con il provvedimento firmato dal segretario della Figc, Di

Sebastiano.

___

07

Andrea Della Valle è solo azionista della Fiorentina: perché è

scattata la sospensione?

Andrea Della Valle nella Fiorentina non ricopre alcuna carica dirigenziale in

senso stretto. E infatti, dopo la sentenza di Calciopoli, la Fiorentina aveva

dato comunicazione alla Lega Serie A solo della condanna in primo grado

dell’ad Mencucci. Quando la Figc ha proceduto d’ufficio, ha sospeso anche

Andrea Della Valle perché l’azionista di riferimento della Fiorentina siede

nel CdA del club viola. Come consigliere d’amministrazione, in base

all’articolo 1 comma 5 del Codice di Giustizia Sportiva («anche i soci e non

soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle

società stesse») è equiparato ad un tesserato.

___

08

I dirigenti sospesi avevano scontato già la squalifica: ora pagano una

seconda volta?

Una delle critiche mosse all’art. 22 bis delle Noif è proprio questa: perché

i dirigenti sospesi si trovano a pagare due volte? Lotito, Andrea Della Valle,

Mencucci, Foti e l’ex arbitro De Santis avevano già scontato le squalifiche al

termine del processo sportivo. Ora devono fare i conti con la sospensione. I

club dicono: non possiamo pagare due volte. La Figc ribatte dicendo che si

tratta di due misure diverse: la squalifica è una sanzione disciplinare,

legata alla violazione del Codice di Giustizia Sportiva e irrogata al termine

di un procedimento; la sospensione è un provvedimento automatico, scattato

perché sono venuti meno i requisiti di onorabilità indispensabili per la

carica di dirigente o collaboratore.

___

09

Perché le società criticano l’articolo 22 bis delle Noif e come

vorrebbero modificarlo?

Due aspetti non sono graditi ai club che spingono per un intervento

sull’articolo 22 bis delle Noif. Il primo è quello del “pagare due volte”,

come abbiamo spiegato. L’altro, più scottante, è quello del contrasto tra le

Noif e la “presunzione d’innocenza” sancita dall’articolo 27 comma 2 della

Costituzione che recita: «L’imputato non è considerato colpevole sino alla

condanna definitiva». L’obiezione che muovono i club - come ha spesso

argomentato anche l’avvocato Gentile, legale della Lazio - è questa: perché

far scattare la sospensione se la condanna è arrivata soltanto in primo grado

e la sentenza non è definitiva? Le pressioni puntano proprio a modificare la

norma in questa direzione.

___

10

La prescrizione può arrivare prima dell’assoluzione: perché le società

sono preoccupate?

La sospensione dalla carica, come stabilito dal comma 3, «permane sino a

successiva sentenza assolutoria». Ma nel caso di Calciopoli, prima della

conclusione del processo d’appello, per molti imputati interverrà nel

frattempo la prescrizione. Anche se gli effetti sul piano della pena saranno

gli stessi, la prescrizione è cosa distinta da un’assoluzione con formula

piena. Il timore delle società e dei dirigenti è allora questo: che

un’interpretazione estremamente rigida dell’art. 22 bis delle Noif, in

presenza di una prescrizione e non di un’assoluzione, non faccia cessare la

sospensione. In questo caso i dirigenti resterebbero sospesi aspettando

un’assoluzione che, essendo intervenuta la prescrizione, non arriverebbe mai.

___

l'intervento di... EDUARDO CHIACCHIO

«Misura inevitabile senza

l’intervento del legislatore»

«La sospensione deve cessare non solo con

l’assoluzione ma anche se interviene la prescrizione»

L’art. 22 bis delle Norme Organizzative Interne della F. I. G. C. appare

estremamente chiaro ed inequivocabile, sia con riferimento alle ipotesi di

preclusione e di decadenza previste dal comma 1 sia riguardo alla fattispecie

di sospensione dalla carica di cui al comma 3.

Le vicende giudiziarie che hanno recentemente caratterizzato il processo c. d.

di “calciopoli” rientrano sicuramente in questa seconda disposizione. Ebbene,

stando alla attuale formulazione della medesima, non vi può essere dubbio

circa l’immediata operatività della sospensione “dalla carica di dirigente di

società o di associazione e dall’incarico di collaboratore nella gestione

delle stesse” per “coloro che vengano condannati, ancorché con sentenza non

definitiva, per uno dei delitti previsti dalle leggi indicate al comma

precedente”, tra cui, appunto, la frode sportiva e l’associazione per

delinquere. In assenza, quindi, di un intervento del legislatore sportivo

volto a superare l’operatività di tale norma sin dalla sentenza di condanna in

primo grado, non si intravedono margini elusivi alla momentanea cessazione

dalle rispettive cariche, sociali e federali, dei soggetti condannati, almeno

sino ad una successiva pronuncia assolutoria.

Per quel che concerne, invece, gli effetti di una eventuale futura

assoluzione per intervenuta prescrizione, è altrettanto indubbio come,

parlandosi genericamente nella norma in questione di “sentenza assolutoria” e

dovendosi considerare tale anche quella per prescrizione, è evidente come,

pure in una ipotesi del genere, la sospensione verrebbe inevitabilmente a

cessare ed i dirigenti potrebbero indubitabilmente tornare a rivestire cariche

sia in Società che in Federazione e nei suoi vari Organi. Il comma 6 dello

stesso art. 22 bis, inoltre, stabilisce che “i soggetti suindicati, ove sia

intervenuta o intervenga a loro carico sentenza di condanna anche non

definitiva … sono tenuti a darne immediata comunicazione alla Lega od al

Comitato competente”: cosa che, nel caso che qui ci occupa, risulta

regolarmente e tempestivamente accaduta.

In definitiva, alla luce del vigente impianto normativo, è ineluttabile – a

parere di chi scrive – che i dirigenti condannati in primo grado debbano

ritenersi sospesi dalle cariche rivestite, sino a quando, per qualunque motivo

(prescrizione compresa), essi non vengano, in uno dei successivi gradi di

giudizio, assolti dalle rispettive imputazioni.

L’avvocato Eduardo Chiacchio è uno dei massimi esperti di diritto sportivo

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TAVOLO DELLA PACE-4

Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni

Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme

al presidente federale Abete ci saranno Moratti

Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis

Un'occasione per provare a superare Calciopoli

ma anche per discutere del futuro della Serie A

Prosegue la nostra inchiesta in sette puntate

che ci accompagnerà fino al summit. Analizziamo

lo stato di salute del nostro calcio: cosa cambiare

e quali regole riscrivere per tornare protagonisti

Dopo legge 91, competitività e articolo 22 bis

delle NOIF, la quarta puntata é sui settori giovanili

===

Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 10-12-2011)

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4

Puntare sui vivai

é un buon affare

Rose più giovani e meno costose. Ma i talenti vanno "blindati"

TAVOLO-4.jpg

___

01

L’Italia e i vivai: com’è strutturata l’attività giovanile all’interno

della Federcalcio?

Il settore giovanile della Figc (al di là dell’attività scolastica che non è

riconducibile alle società) è articolato in attività di base e attività

agonistica. La distinzione è per fasce d’età: dai 5 ai 12 anni si parla di

“attività di base”, quella che viene definita nel senso comune “scuola calcio”,

con i baby calciatori impegnati nelle categorie Piccoli Amici, Pulcini ed

Esordienti. Dai 12 anni in su si passa nella “attività agonistica”, che

coincide con le categorie Giovanissimi e Allievi. C’è poi l’attività riservata

agli Under 19, con campionati che assumono una denominazione diversa a seconda

della categoria in cui milita il club di appartenenza.

___

02

Come sono articolati i campionati dell’attività agonistica?

Il Settore Giovanile Scolastico della Figc organizza i campionati

Giovanissimi (under 14) e Allievi (under 16), con una distinzione operata tra

le società professionistiche e quelle che fanno parte dei dilettanti. Il

campionato Allievi Nazionali è suddiviso in due categorie: A e B da una parte,

Lega Pro dall’altra. Nei Giovanissimi la separazione avviene nei play off

scudetto. I club di A e B hanno la possibilità di iscrivere una seconda

formazione che andrà a confrontarsi con le squadre di Prima e Seconda

Divisione, ovviamente giocando fuori classifica per lo scudetto di categoria.

Il campionato Under 19 assume la denominazione di torneo “Berretti” per la

Lega Pro e di Campionato Primavera per la Lega Serie A e la Lega di B.

___

03

A quali campionati devono partecipare le società di A e B? Possono

iscrivere delle squadre “bis”?

Per le società di A e B è obbligatoria la partecipazione al Campionato

Primavera, a quelli Allievi Nazionali e a quello Giovanissimi Nazionali. Per

il campionato Allievi, tuttavia, è prevista una deroga per motivi logistici ai

club sardi e siciliani: Cagliari, Catania e Palermo, però, prendono

regolarmente parte agli Allievi e anche ai Giovanissimi. Per consentire al

maggior numero di ragazzi di giocare e crescere, c'è la possibilità di

iscrivere delle formazioni “B" ai campionati Allievi e Giovanissimi, fuori

classifica. In più si può partecipare al torneo Berretti, equivalente alla

Primavera come fascia d'età: in questo caso ci sono play off scudetto distinti,

da una parte A e B, dall'altra la Lega Pro.

___

04

I calciatori dei vivai sono divisi in categorie distinte tra pro’ e

dilettanti?

Sì, è una classificazione basata esclusivamente sulla categoria in cui milita

la società di appartenenza e che delinea per i tesserati due percorsi diversi

per la propria carriera e il passaggio ad altre società. Dagli 8 ai 16 anni il

calciatore è definito “giovane”, e si lega alla società di appartenenza con un

vincolo annuale. Già a 14 anni può cambiare lo status: se si è tesserati per

una società dilettante si rientra nella categoria dei “giovani dilettanti”; se

si è tesserati per un club professionistico, invece, si rientra nella

categoria dei “giovani di serie”. Per i club di A, B e Lega Pro, un “giovane

di serie” non ha ancora assunto lo status di professionista.

___

05

Per quanto tempo un ragazzo delle giovanili resta legato al club per

cui è tesserato?

Tra i dilettanti vige ancora il vincolo: il tesseramento contratto dai

“giovani dilettanti” dall’età di 14 anni dura fino al compimento del 25° anno

d’età del calciatore, il cui passaggio da un club all’altro (anche verso i

professionisti) è disciplinato in maniera dettagliata per tutelare gli

investimenti che le società sostengono per i vivai. Il discorso è diverso nei

campionati di A, B e Lega Pro. La sentenza Bosman ha abolito il vincolo per i

professionisti: un giocatore è libero a scadenza di contratto. Per i “giovani

di serie”, tuttavia, è previsto un vincolo fino all’anno in cui il ragazzo

compie 19 anni. In quell’ultima stagione l’atleta ha diritto ad un contratto

di addestramento tecnico che prevede un indennizzo economico.

___

06

Cosa accade quando i club pro’ pescano talenti nelle società

dilettantistiche?

Per tutelare l’attività di vivaio dei club dilettanti o delle società che

svolgono puro settore giovanile, sono previsti dei meccanismi di indennizzo.

Per i “giovani dilettanti” che si svincolano firmando un contratto da

professionista, il vecchio club riceverà un “premio alla carriera” pari a

18mila euro per ogni anno in cui ha formato il ragazzo in occasione del

debutto in A e per il debutto con la Nazionale maggiore o l’under 21. Per i

maggiorenni (“non professionisti”) che firmano per un club pro’, c’è un premio

prestabilito: ad esempio, un under 21 “pescato” in Serie D ad una società di A

costerà 93mila euro. Diverse le tutele, invece, per i ragazzi dei vivai dei

club professionisti.

___

07

A quale età può il “giovane di serie” firmare il suo primo contratto

da professionista?

E’ possibile firmare il primo contratto da professionista dopo aver compiuto

16 anni. Lo status di professionista (e quindi la firma del contratto) diviene

un diritto quando il giovane totalizza un certo numero di presenze: in A, per

esempio, la soglia è di 10 gare tra campionato e Coppa Italia. Normalmente il

percorso previsto per gli atleti del vivaio è questo: a 16 anni vengono

tesserati come “giovani di serie”; nell’ultima stagione di vincolo come

“giovani di serie” percepiscono un indennizzo come “addestramento tecnico”.

Dopo i 19 anni, se non sottoscrivono un contratto da professionisti, sono

svincolati e liberi di accordarsi con altre società.

___

08

Quali sono gli stipendi minimi da garantire ai calciatori del vivaio?

Di base, i “giovani di serie” non percepiscono alcun compenso.

L’addestramento tecnico scatta nell’ultimo anno di vincolo (quello in cui il

ragazzo compie 19 anni) e prevede un indennizzo di 15.000 euro lordi. Diversi,

invece, i minimi salariali previsti all’Accordo collettivo Lega-Aic per i

ragazzi che hanno già firmato un contratto da professionisti. A 16 si può

firmare il primo accordo, che non può durare più di tre anni: il minimo

salariale è di 20. 000 euro lordi l’anno. Dopo i 19 anni si possono

sottoscrivere accordi pluriennali (per un massimo di 5 stagioni) e lo

stipendio minimo parte da 29.000 euro lordi. Esempio: avere una rosa Primavera

di 25 giocatori tutti sotto contratto costerebbe almeno 375. 000 euro lordi.

___

09

Gli investimenti dei nostri club sono tutelati? Perché i baby vanno

all’estero?

Un “giovane di serie” può firmare un contratto da professionista con un’altra

società: in questo modo decade il vincolo speciale per gli under 19. Al

vecchio club verrà riconosciuto un indennizzo calcolato in base ai parametri

Fifa. Ovviamente l’indennizzo è ancora più basso se il ragazzo non è stato

ancora tesserato come “giovane di serie”: ecco perché molti club stranieri,

specie inglesi, hanno nelle ultime stagioni messo in atto dei veri e propri

blitz per portare via alcuni talenti under 16. Il più famoso è Macheda, che il

Manchester United ha portato via alla Lazio. Per blindare i talenti

bisognerebbe contrattualizzarli. Per i minorenni il contratto può durare al

massimo 3 stagioni: già a 19 anni un baby potrebbe essere di nuovo libero.

___

10

Quanto spendono ogni stagione le nostre società per l’attività dei

settori giovanili?

Secondo l’ultimo report elaborato dalla Figc, i club di Serie A nella

stagione 2009-2010 hanno investito complessivamente 67,8 milioni di euro nei

vivai, una somma pari al 5,63% del fatturato generato dalle 20 società. Chi

spende di più? Inter, Juve e Milan sono in testa con una spesa che si aggira

sui 5 milioni di euro all’anno, per tutte le altre società si parla di

investimenti di circa 1, 5-2 milioni di euro, a parte alcune eccezioni

rappresentate da club più piccoli che devono contenere i costi. Al di là delle

spese per le strutture e staff tecnico, una voce importante è rappresentata

dagli stipendi: nei club di fascia alta aumenta il numero dei giocatori sotto

contratto tra Primavera e Allievi Nazionali.

___

l'intervento di... FRANCESCO ROCCA

«Lavoro e meritocrazia

Formare i giocatori farà

risparmiare le società»

Del rilancio di vivai si parla da tempo, credo sia il momento di entrare nella

logica del mondo contemporaneo: siamo in crisi e in un periodo di crisi

economica bisogna affidarsi sempre di più ai giovani, perché costa meno

formare un talento in casa invece che andarlo a comprare fuori.

Certo, bisogna saperli allenare i giovani calciatori. Due scultori con lo

stesso blocco di marmo possono realizzare due cose diverse: uno fa la Pietà di

Michelangelo, l’altro una cosa che fa solo pietà... Io considero il ragazzo

nella sua formazione completa, che è sviluppata in funzione del risultato

finale, non del momento. Non conta quanti campionati giovanili un club vince,

conta quanti giocatori porta in prima squadra. Ma per arrivare a questo

risultato occorre metodo.

L’Italia è uno dei Paesi più ricchi di talenti, perché i nostri ragazzi hanno

caratteristiche straordinarie, fisiche, tecniche e tattiche. Al contrario, i

sudamericani hanno problemi caratteriali, quelli dell’Europa del nord problemi

di ambientamento. Con un italiano si può lavorare invece su tutto.

E’ il maestro che forma gli allievi: conta l’esempio, sotto l’aspetto fisico,

tecnico, tattico e morale. Serve un sistema di regole complessivo per la

crescita dei ragazzi. E ovviamente bisogna rivedere gli standard, alzare

l’asticella: se devo formare ragazzi destinati alla prima squadra, in

Primavera devo lavorare con parametri da prima squadra. All’estero lo fanno e

non sono scienziati. E all’Italia non mancano i talenti. Si tenta di imitare

il modello del Barcellona: sono dei fenomeni nel palleggio, ma corrono anche

tanto e portano un primo pressing altissimo. Bisognerebbe inculcare ai nostri

ragazzi quella mentalità.

L’età giusta per passare in prima squadra non è uguale per tutti. Io ho

esordito a 18 anni perché ero pronto, non per tutti è così. C’è il rischio che

un ragazzo a 16 anni possa andare in un’altra squadra se non messo sotto

contratto, è vero. Forse perché nessuno si prende la responsabilità di

bloccarlo, di metterlo sotto contratto. Per me a 16 anni si capisce se un

ragazzo ha le potenzialità da prima squadra e se è il caso di bloccarlo.

Investire nei vivai, però, non significa solo mettere sotto contratto i

ragazzi. Vuol dire investire negli staff tecnici, premiare la professionalità.

Ovviamente non bisogna illudere i ragazzi, c’è questa ossessione della

carriera che colpisce loro e le famiglie. Se inizi a trattare un ragazzo come

il re della squadra, è la fine. Invece bisogna fare selezione, lavorare sulla

qualità.

Oggi sono un osservatore della Nazionale, ma da tecnico delle selezioni

giovanili rivendico i risultati ottenuti: un Europeo Under 19 con Berrettini,

un secondo posto con me, la finale dei Giochi del Mediterraneo, l’aver

eliminato la Spagna al mondiale Under 20. Vuol dire che il settore giovanile è

prolifico, sebbene le società non abbiamo sempre dato una mano alle nazionali.

Con Sacchi sembra esserci più collaborazione da parte dei club, è un bel

segno. Ai nuovi ct auguro di migliorare i nostri risultati.

L’incentivo a rilanciare i vivai è economico: formare un giocatore costa meno

che comprarlo. Il segreto per crescere giovani talenti è questo: lavorare sodo

sul campo e applicare la meritocrazia.

Francesco Rocca, ex ct dell’Under 20, è osservatore per la Nazionale A

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TAVOLO DELLA PACE-3

Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni

Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme

al presidente federale Abete ci saranno Moratti

Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis

Un'occasione per provare a superare Calciopoli

ma anche per discutere del futuro della Serie A

Prosegue la nostra inchiesta in sette puntate

che ci accompagnerà fino al summit. Analizziamo

lo stato di salute del nostro calcio: cosa cambiare

e quali regole riscrivere per tornare protagonisti

Dopo legge 91, competitività, articolo 22 bis delle Noif

e vivai, la quinta puntata affronta il merchandising

===

Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 11-12-2011)

===

5

Più maglie vendi

più stelle compri

L'esempio di Premier, Liga e Bundesliga per aumentare i ricavi

TAVOLO-3.jpg

___

01

Quali sono i ricavi generati complessivamente dalle società della

Serie A?

L’ultimo rapporto della Deloitte calcola in 1, 532 miliardi di euro il

fatturato della Serie A. Un dato che colloca l’Italia nettamente alle spalle

della Premier League che due stagioni fa ha generato ricavi per 2, 5 miliardi

di euro. Alle spalle dell’Inghilterra ci sono Germania (1,664 miliardi di euro

di ricavi per la Bundesliga), Spagna (1, 622 miliardi), quindi l’Italia al

quarto posto e la Francia (1,072 miliardi di fatturato per la Ligue1). Mentre

per l’Italia il dato è sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente,

come accade anche per la Francia, Premier League, Bundesliga e Liga hanno

fatto registrare una crescita che è arrivata anche all’8% nonostante la crisi

finanziaria.

___

02

Quanto incidono i ricavi da sponsor e merchandising sul fatturato

rispetto all’Europa?

Al di là del valore assoluto del fatturato, rispetto alla Premier League, lo

abbiamo già spiegato a proposito di competitività, l’Italia ha un rapporto più

squilibrato tra le varie voci che compongono i ricavi. In altre parole, il

nostro campionato, e di conseguenza il livello di competitività dei nostri

club, anche a livello di calciomercato, è fortemente condizionato dai diritti

tv. Per la Serie A la voce più importante resta quella dei diritti tv che

“pesa” il 63%, contro il 24% dei ricavi commerciali e il 13% degli introiti da

stadio. Per far crescere il fatturato, bisogna operare in queste due

direzioni: ricavi da stadio e attività commerciali.

___

03

Cosa accade invece negli altri campionati europei a livello di

merchandising?

Considerando i primi cinque campionati europei, l’Italia per fatturato si

piazza al quarto posto, facendo meglio solo della Francia. Ma deve rincorrere

gli altri campionati anche sul piano dell’equilibrio tra le varie voci che

compongono il fatturato. Per anni la Premier League ha rappresentato il

modello ideale: oggi l’incidenza dei diritti tv è superiore al 50% in funzione

dell’ultimo accordo con Sky, ma merchandising e ricavi da stadio hanno

praticamente lo stesso peso. Molto interessante il dato della Bundesliga, con

un 45% di ricavi commerciali, cioè sponsor e merchandising, che sul fatturato

incidono addirittura di più dei diritti tv (che hanno meno appeal sui mercati

internazionali), fermi al 30%.

___

04

Quali sono i club europei con ricavi più elevati generati da

merchandising e sponsorizzazioni?

Liga e Premier sono i campionati più ricchi, ma il primato spetta al Bayern

Monaco con 173 milioni da sponsor e merchandising, un dato influenzato molto

anche dal contratto di sponsorizzazione dello stadio (Allianz). Seguono il

Real Madrid (151) e il Barcellona (122), che sono i due club che in tutta

Europa generano il fatturato più elevato. Al quarto posto il Manchester United

(99). Nella top 20, secondo la ricerca elaborata dall’Università di Milano

“Bicocca”, la Premier League piazza 6 squadre (anche Chelsea, Arsenal e

Tottenham), l’Italia cinque, la Germania quattro, la Francia due come la

Spagna.

___

05

Rispetto agli altri top club europei come si piazzano le nostre

società in classifica?

In fatto di ricavi aggregati da marketing e merchandising, il piazzamento

delle italiane nella top 20 riflette in qualche modo la classifica dei club

più ricchi. Il Milan è quello con il fatturato più alto (235, 8 milioni) ed è

anche quello che dal marketing e dal merchandising ottiene di più, 63 milioni

di euro che valgono un ottavo posto nella classifica europea. Il club

rossonero è seguito da Juve (dodicesima con 56 milioni), Inter

(quattordicesima con 48 milioni), quindi Napoli e Roma a chiudere la top 20

(38 milioni). Si tratta di un dato aggregato: quando ci si sposta sui ricavi

da merchandising e sponsorizzazioni, si ragiona su cifre molto più basse.

___

06

Tra sponsor e merchandising quanto ricavano oggi i nostri club di

Serie A?

Le due voci principali sono gli sponsor di maglia e il merchandising in senso

stretto. Che ovviamente non comprende solo i prodotti tecnici (divise da gara,

materiale da allenamento etc.) ma tutta una serie di gadget con il marchio dei

club di A per i quali le società concedono la licenza alle aziende

produttrici. Dal merchandising in senso stretto la Serie A ha raccolto

nell’ultima stagione 77 milioni di euro, con un’incidenza sul fatturato del 4,

4%. Le sponsorizzazioni di maglia hanno fruttato 66 milioni di euro. Il

mercato delle sponsorizzazioni, come fotografa il Rapportocalcio 2011 della

Figc, è cresciuto nell’ultimo triennio dell’8, 3%: lo sponsor di maglia

rappresenta il 44% degli introiti, quello tecnico vale il 15%.

___

07

Perché all’estero riescono a creare più fidelizzazione e a vendere più

prodotti ufficiali?

Si sommano due fattori. Da una parte all’estero sono state adottate in questi

anni strategie di marketing più efficaci, promuovendo tutto ciò che è prodotto

ufficiale. Lo dimostrano anche i risultati già citati relativi alla Bundesliga,

un campionato con meno appeal rispetto alla Premier che, però, riesce a

“vendere” il suo prodotto. Dall’altra contano fattori culturali, di contesto.

Le divise da gioco, il prodotto ufficiale per eccellenza, sono il principale

elemento che costituisce l’identità visiva di un club: andare allo stadio con

la maglia ufficiale è un modo per ribadire l’appartenenza al sistema di valori

che una squadra rappresenta. Ed è passato anche il concetto che il tifoso,

acquistando materiale ufficiale, aiuta il suo club ad essere sempre più

competitivo.

___

08

Maglie ufficiali: quali sono oggi le dimensioni del mercato italiano?

Da parte degli sponsor tecnici c’è molta riservatezza sui dati. Secondo PR

Marketing, le dimensione del mercato europeo sono di 13, 7 milioni di maglie

vendute (l’83% di squadre Nike e Adidas). In Italia le squadre che vendono più

maglie sono Inter, Juve e Milan (le prime due Nike, la terza Adidas): si stima

fino al 2010 un volume di vendite che oscilla tra 400 e 600 mila pezzi. In

Europa le maglie che vendono di più sono quelle di Manchester United e Real

Madrid (1,2-1,5 milioni) e Barcellona (1-1,2 milioni). In Italia, dietro Inter,

Juve e Milan, ci sono Napoli e Roma. Per il Napoli l’italiana Macron stima in

35. 000 maglie il volume di vendite in un anno.

___

09

Maglie dei top club: in Italia sono più care rispetto all’estero?

Le maglie rappresentano il 50% delle vendite. Le vendite di club come United,

Real o Barça sono più elevate, valgono 2-3 volte un top club italiano, sia

perché c’è una maggior riconoscibilità del marchio a livello internazionale,

sia perché da noi c’è da fare i conti con l’invasione dei prodotti

contraffatti. Esistono anche delle differenze di prezzo. In Italia si viaggia

in media sugli 80 euro per una maglia replica: Inter e Juve vestono Nike (79

euro); Milan indossa l’Adidas (79 euro); la Roma è marchiata Robe di Kappa (80

euro); la Lazio ha materiale Puma (75 euro); il Napoli è Macron (90 euro).

Fate un giro sugli store on line degli altri club: United (Nike) a 45 euro,

Chelsea (Adidas) a 42.

___

10

Quali sono i canali di vendita più utilizzati oggi dalle società?

Il materiale tecnico dei principali club italiani sfrutta anche i canali

della distribuzione tradizionale (negozi di articoli sportivi, negozi

monomarca). Per tutte le società di Serie A il canale preferenziale resta

l’e-commerce: sugli store on line è possibile personalizzare le maglie (che di

base sono prodotte senza numero e senza nome sulle spalle), acquistare tutto

il materiale tecnico, ma anche una lunga serie di gadget e prodotti

“marchiati” con i colori sociali. C’è poi l’esperienza degli store ufficiali:

Inter e Milan hanno punti vendita in centro e a San Siro; nella Capitale gli

AS Roma Store e i Lazio Style coprono diversi quartieri della città.

L’esperienza di uno store nello stadio di proprietà, però, è un’esperienza

provata solo dalla Juve.

___

l'intervento di... MARCO FASSONE

«Marketing più attento

ai grandi sponsor e lotta

ai prodotti contraffatti»

Nell'ambito dell'ampio dibattito che sta caratterizzando il nostro movimento

da qualche tempo, assume particolare rilievo la discussione intorno alle

modalità attraverso le quali il calcio italiano potrebbe significativamente

aumentare i propri ricavi e ritrovare competitività con i Paesi che meglio

hanno agito in questa direzione.

I ricavi caratteristici di una società calcistica professionistica di alto

livello dipendono sostanzialmente da tre fonti: la cessione dei diritti

audiovisivi, lo stadio, ed il marketing; quest'ultimo inteso come la somma di

sponsorizzazioni, merchandising e licensing.

I ricavi derivanti dallo sfruttamento di quest'ultimo territorio vivono da

alcuni anni una situazione di staticità, pur avendo alcune società adottato

strategie innovative e da seguire in futuro (ridotto numero di partner, alta

qualità delle aziende, basso affollamento pubblicitario). Sul fronte delle

sponsorizzazioni il nostro mercato presenta limiti molto evidenti, che

continuano a tenere lontani dai nostri campi di gioco i marchi di molte

prestigiose firme nazionali ed internazionali che avrebbero tutto l'interesse

a sposare il calcio italiano. E le ragioni non sono certo da ascrivere solo ad

una diminuita qualità complessiva del nostro prodotto, poiché le audience

televisive continuano ad essere di assoluto rispetto ed a primeggiare su

qualsiasi altro competitor in ambito sportivo. Quanto piuttosto alla nostra

difficoltà, come movimento, ad adeguarci culturalmente alle nuove esigenze

delle imprese, sempre più alla ricerca di prodotti e servizi customizzati, che

oltre a dare visibilità e reputazione al marchio oggetto di sponsorizzazione,

sappiano al contempo creare un rapporto diretto ed efficace tra il club e la

base dei loro consumatori. Giova ricordare come le imprese abbiano oggi

bisogno di trasformare in evento ciò che è ordinario, di ottimizzare budget

ridotti rispetto al passato distraendoli da investimenti tabellari di tipo

tradizionale, e di sapersi ritagliare uno spazio nella mente del tifoso,

associando il proprio Brand al nome del club in modo memorabile. Insomma,

sempre meno pacchetti rigidi e sempre più prodotti tailorizzati, meglio se

seguiti in prima persona dalle società calcistiche: il progressivo inserimento

di giovani manager provenienti dall'industria, ed avvezzi a ragionare in

chiave di Consumer marketing, potrebbe aiutare le società a migliorarsi in

questo ambito.

Inoltre non va trascurato il ruolo che potrebbe giocare, anche in ambito

marketing, una Lega di serie A realmente capace di intercettare le esigenze di

quelle aziende nazionali di grandi dimensioni e di rilevante penetrazione

popolare, che oggi sono distanti dal mondo del calcio solo per paura di

schierarsi con quel player anziché con quell'altro. Con un'offerta di tipo

collettivo in taluni casi si potrebbero raggiungere obiettivi che

individualmente sono quasi impossibili.

Minori, a mio avviso, i margini di crescita reali nel settore del Licensing e

del merchandising, dove persistono, nel nostro Paese, forti resistenze

culturali all'utilizzo di prodotti ufficiali del club, rispetto alla mentalità

anglosassone. Ciò nonostante una più attenta logica della qualità dei prodotti,

oggi spesso bassissima, ed una reale volontà politica di contrastare il

fenomeno della contraffazione (le leggi ci sono, basterebbe applicarle!)

potrebbero generare un incremento comunque non irrilevante di fatturati oggi

marginali.

Marco Fassone è general manager del Napoli

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TAVOLO DELLA PACE-2

Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni

Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme

al presidente federale Abete ci saranno Moratti

Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis

Un'occasione per provare a superare Calciopoli

ma anche per discutere del futuro della Serie A

Prosegue la nostra inchiesta in sette puntate

che ci accompagnerà fino al summit. Analizziamo

lo stato di salute del nostro calcio: quali regole

riscrivere per tornare protagonisti. Dopo legge 91,

competitività, art. 22 bis delle Noif, settori giovanili

e merchandising, parliamo della legge sugli stadi

===

Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 12-12-2011)

===

6

Una nuova casa

per club e tifosi

Procedure più snelle e risorse per costruire impianti: cosa cambierà

TAVOLO-2.jpg

___

01

Che cos’è la legge sugli stadi e quali materie disciplina?

La cosiddetta “legge sugli stadi” è un testo che nasce dalla sintesi di tre

distinti disegni di legge (n. 1193, 1361, 1437). E’ rubricata come

“disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti

sportivi e stadi anche a sostegno della candidatura dell’Italia a

manifestazioni sportive di rilevo europeo o internazionale”. Lo scopo della

legge è incentivare, anche attraverso la semplificazione dell’iter burocratico,

la realizzazione di nuovi impianti o la ristrutturazione di quelli esistenti,

in modo da garantire la sicurezza delle strutture sportive ma anche adeguare

il parco impianti alle normative internazionali per ospitare eventi come gli

Europei di calcio, ad esempio.

___

02

A che punto è attualmente l’iter parlamentare per l’approvazione della

nuova legge?

L’iter parlamentare è stato piuttosto complesso. Del resto l’attuale testo è

la sintesi di tre proposte distinte. Tra i temi sui quali si è dibattuto di

più ci sono le ricadute di impatto ambientale legate alla semplificazione del

rilascio delle concessioni edilizie, tenendo conto che la costruzione di nuovi

impianti consente anche di realizzare strutture di tipo residenziale. Lo

scorso 6 ottobre il testo è stato approvato dalla commissione cultura della

Camera in sede referente. E, questa la novità, si è deciso di proseguire

l’iter in commissione in sede legislativa senza dover passare così per il voto

del Parlamento. Il via libera era previsto per fine novembre, la crisi di

governo ha inciso sul calendario.

___

03

A quali impianti si applica la legge? E’ possibile anche realizzare

strutture di tipo residenziale?

Il testo fa riferimento ad impianti con una capienza di almeno 15. 000 posti a

sedere allo scoperto e di 7.500 posti al coperto, indicando precise direttive

da rispettare in sede di progettazione. Si dà anche la possibilità di

realizzare “complessi multifunzionali”: assieme allo stadio è possibile

realizzare altri impianti sportivi e strutture ricettive e commerciali. Non

solo, si dà la possibilità di realizzare accanto agli impianti sportivi in

senso stretto, e alle strutture comunque legate alla fruibilità dello stadio,

anche degli insediamenti residenziali (cioè per uso abitativo) o direzionali

(uffici), il che può essere funzionale pure a progetti di riqualificazione

urbana dei quartieri interessati.

___

04

Oltre alle società chi può proporre la realizzazione (o

ristrutturazione) di uno stadio?

La possibilità di proporre la realizzazione di un nuovo stadio (o la

ristrutturazione di uno esistente) spetta innanzitutto alla società sportiva

che fruirà (o fruisce già) prevalentemente dell’impianto. Il “soggetto

proponente” può essere anche una società di capitali controllata dallo stesso

club. La proposta può anche arrivare da soggetti privati o pubblici, comunque

interessati a partecipare all’investimento e che abbiano un accordo con il

club. L’accordo può prevedere sia la vendita alla società sportiva sia la

concessione dei diritti d’uso per almeno venti anni di tutto il complesso o

anche del solo stadio.

___

05

Come si individua l’area dove costruire i nuovi complessi

multifunzionali?

Serve un’intesa tra il “soggetto proponente” (il club, una joint-venture tra

club e altri soggetti) e il Comune nel cui territorio deve essere realizzato

l’impianto: entrambi possono proporre un’area per la realizzazione

dell’impianto, supportando la scelta con uno studio di fattibilità. Dalla

presentazione di questo studio il Sindaco ha 60 giorni per promuovere un

accordo di programma: il progetto verrà dichiarato di pubblica utilità e alle

opere verrà riconosciuto il carattere di indifferibilità ed urgenza.

L’impianto può sorgere sull’area di un privato ma anche su un’area di

proprietà del Comune. In questo caso l’amministrazione può vendere l’area al

club o concedere il diritto di superficie.

___

06

Quali criteri bisogna seguire nel progettare i nuovi impianti sportivi?

Ci sono parametri strutturali ed economici da rispettare. Sul piano

strutturale, gli impianti devono essere disegnati sul “modello inglese”:

distanza ridotta tra le tribune e il campo, migliori condizioni di visibilità

possibili, con un’attenzione anche alle riprese televisive, elevati standard

di sicurezza. Devono inoltre prevedere locali da destinare a servizi

commerciali, attività sportive e sociali che siano aperte alla cittadinanza:

l’idea, dal punto di vista del Comune, è quella di operare interventi di

riqualificazione urbana. Dal punto di vista economico, lo stadio e il

complesso devono essere dimensionati per avere un equilibrio tra i ricavi

complessivi (biglietti ma anche attività commerciale) e i costi di gestione.

___

07

E’ possibile ristrutturare e privatizzare impianti già esistenti?

Una delle possibilità previste dalla nuova normativa è quella di

ristrutturare gli impianti già esistenti e privatizzarli. Il Comune, fatta una

stima dello stadio, può cedere i diritti di proprietà o quelli di superficie

(per almeno 50 anni) alla società (o alle società) che utilizzano

prevalentemente la struttura. Assieme all’impianto, possono essere ceduti, per

esempio, parcheggi, biglietterie, gli eventuali altri fabbricati del complesso

già esistente. Da una parte la società dovrà garantire che il nuovo complesso

servirà anche per funzioni sociali e pubbliche; dall’altra il Comune può

agevolare il club consentendo, ad esempio, di ampliare le cubature già

esistenti se questo garantirà un equilibrio gestionale.

___

08

Quali vantaggi garantisce la nuova legge ai club sul piano economico?

La nuova normativa punta a garantire alle società tempi più rapidi per

concludere l’iter burocratico e quindi dare il via ai lavori. Ma ai club

offrirà anche un sostegno sul piano economico, attraverso un piano triennale

di intervento straordinario per l’impiantistica sportiva. Il piano

d’intervento è un decreto che il Governo dovrà emanare entro sei mesi dalla

data di entrata in vigore della legge sugli stadi. Si tratta di contributi

destinati ad abbattere gli interessi sui prestiti erogati dal Credito

Sportivo. Per l’accesso ai contributi si darà priorità ai complessi

multifunzionali in grado di garantire un processo di riqualificazione urbana.

Inoltre viene quantificata nello 0,5% la quota dei proventi dei diritti tv che

la Lega dovrà destinare all’impiantistica.

___

09

Juventus Stadium primo impianto di proprietà in A: ci sono già state

altre esperienze?

Club come Lazio e Roma seguono con interesse l’iter della nuova legge.

Intanto la Juve s’è mossa senza aspettare: lo Juventus Stadium, inaugurato

quest’anno, è stato realizzato sull’area dove sorgeva il vecchio “Delle Alpi”:

41.000 posti a sedere, nessuna barriera, tifosi praticamente sul terreno di

gioco, è il primo impianto di proprietà in Serie A. In Italia c’è un

precedente datato 1995: il “Giglio” di Reggio Emilia. Fu costruito da una

controllata della Reggiana e in parte finanziato anche dai tifosi emiliani con

la sottoscrizione di abbonamenti pluriennali. Design all’inglese, è stato

ampliato con un centro commerciale e oggi, dopo la fine della “vecchia”

Reggiana, è un bene del tribunale. Curiosità: fu inaugurato nel 1995 in un

match contro la Juve.

___

10

Perché lo stadio di proprietà può aiutare i club a far aumentare il

fatturato?

Innanzitutto l’impianto di proprietà rappresenterà un’importante voce dello

stato patrimoniale nel bilancio dei club. Per quanto riguarda il fatturato,

nuove strutture consentiranno di aumentare i ricavi da stadio riequilibrando i

rapporti di forza tra il botteghino e i diritti tv: impianti più moderni e

pensati per il calcio, con più servizi per il pubblico, attrarranno di più i

tifosi e consentiranno anche nuove strategie di pricing dei biglietti. Uno

stadio di proprietà consentirà di aumentare gli introiti da attività

commerciali e di generare ricavi non solo nei giorni dell’evento sportivo. Lo

store, il museo e i tour virtuali aumenteranno la fidelizzazione dei tifosi

con positive ricadute per il merchandising.

___

l'intervento di... FRANCESCO CALVO

«E’ una nuova idea

di stadio: per il calcio

un futuro più solido»

L’idea di uno stadio di proprietà nasce dalla riflessione, iniziata quasi 20

anni fa, sul futuro del calcio inteso come componente fondamentale del

comparto entertainment. Juventus, per prima in Italia, ha colto l’urgenza

della progettazione di un impianto di proprietà che potesse rompere con quanto

visto finora, con l'obiettivo di rinnovare l’approccio alla fruizione che lo

spettatore del calcio ha in Italia e, non ultimo, coinvolgere tutte le

componenti aziendali in un innovativo piano di ammodernamento delle attività

di business. Un piano generato per trasformare lo stadio in viatico per

l’incremento dei ricavi, grazie al quale poter raggiungere un flusso di ricavi

più bilanciato e competere alla pari con i più importanti club europei.

Per far questo, nel 1996 partiva l’iter a tappe che ha portato alla

definizione di uno stadio capace di collocarsi al livello dei migliori

impianti europei. In questo cammino sono stati fondamentali tre fattori: la

stretta collaborazione con gli enti governativi locali, a partire dalla Città

di Torino, l’articolato ed efficace piano di financing dell’opera e la

capacità di equilibrare gli investimenti societari sul piano puramente

sportivo con un’attenta gestione. Grazie al bilanciamento di tutti gli

elementi è stato possibile costruire, in pochi anni, una struttura dotata dei

migliori standard di sicurezza, in grado di garantire una qualità di visione

unica (7,5 mt di distanza tra il campo e la prima fila) e capace di ospitare

41.000 spettatori. Nasce il concetto di “sport production”, un nuovo modo per

far vivere ai tifosi l’evento partita. Allo Juvents Stadium, infatti, gli

appassionati bianconeri, oltre allo spettacolo calcistico, ritrovano momenti

d’intrattenimento musicale, giochi, eventi sponsor (visibili anche grazie ai

quattro maxischermi presenti all’interno).

Lo stadio, inoltre, come centro di attività corporate e business sette giorni

su sette. Nei primi tre mesi di vita, lo Juventus Stadium ha già ospitato

numerosi eventi di aziende che hanno scelto il palcoscenico dello stadio come

originale location per eventi business (meeting, cene aziendali, feste, ecc…).

Da novembre, poi, sono iniziati gli Stadium Tours, le visite accompagnate

all’interno delle aree “sacre” dello stadio che hanno riscosso un enorme

successo, tanto da costringere la Direzione dello Stadio, guidata da Francesco

Gianello, ad aggiungere nuovi turni di visita. Nella prossima primavera, a

completare i tour si aggiungerà la visita al Museo ora in costruzione.

I primi risultati, dunque, testimoniano una rapida crescita – in termini di

volume di attività e di business - e un grande successo di pubblico

testimoniato dalla serie positiva di sold out realizzati in tutte le gare

interne finora disputate. La caccia al biglietto è diventata un classico

settimanale per i tifosi della Juventus e i margini di sviluppo, in termini di

utilizzo della struttura, sono molto interessanti. Gli stessi giocatori hanno

testimoniato quanto l’energia trasmessa dal pubblico presente nello stadio sia

ormai un elemento essenziale nell’approccio agonistico con cui la squadra

affronta gli avversari: possiamo parlare senza enfasi del cosiddetto

“dodicesimo uomo in campo”. Con lo Juventus Stadium dunque, la Juventus ha

centrato immediatamente l’obiettivo e il pubblico bianconero ha capito fin da

subito di far parte di un progetto unico, di un’idea di stadio che potrebbe

essere condivisa anche dalle altre società italiane e che è, al momento, la

sola sostenibile per un sistema calcio dalle basi più solide e dal futuro più

sicuro.

Francesco Calvo è direttore commerciale e marketing della Juventus

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TAVOLO DELLA PACE-1

L'attesa è finita, domani il presidente del Coni

Petrucci riceverà i vertici del calcio: assieme

al presidente federale Abete ci saranno Moratti

Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis

Un'occasione per provare a superare Calciopoli

ma anche per discutere del futuro della Serie A

Si conclude la nostra inchiesta in sette puntate

che ci ha accompagnato fino al summit, analizzando

lo stato di salute del nostro calcio: quali regole

riscrivere per tornare competitivi. Dopo legge 91

competitività, art. 22 bis delle Noif, settori giovanili

stadi e merchandising, parliamo di diritti televisivi

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Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 13-12-2011)

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7

Ecco perché la tv

accende il calcio

Garantisce il 63% dei ricavi ma crea spaccature tra i club

TAVOLO-1.jpg

___

01

Quale normativa disciplina in Italia il mercato dei diritti televisivi

del campionato?

Il mercato dei diritti tv è disciplinato dal decreto legislativo n. 9 del

2008, meglio conosciuto come “legge Melandri”, che ha reintrodotto la vendita

collettiva dei diritti tv, riconoscendone la contitolarità alle singole

società e alla Lega, organizzatrice del campionato (e anche di Coppa Italia e

Supercoppa italiana). Alla Lega viene affidato il compito di modulare

l’offerta in “pacchetti” e di gestire la procedura d’assegnazione alle varie

piattaforme (satellite, digitale terrestre, radio, nuovi media) dei diversi

diritti (a pagamento, in chiaro, highlights etc.). La legge fissa i criteri di

ripartizione delle risorse fra i club e introduce il principio di “mutualità”

a sostegno della Serie B.

___

02

Cosa accadeva in passato? Per quanto tempo la vendita è stata

individuale?

In generale il mercato dei diritti tv in Italia è disciplinato dal 1981. Nel

senso comune, quando parla di diritti tv si fa riferimento al mercato dei

diritti “in criptato”, cioè per le emittenti a pagamento. Dal 1993, quando

Telepiù (poi confluita in Sky) ha iniziato a trasmettere anticipi e posticipi,

fino al 1999 la commercializzazione dei diritti è stata collettiva. Dal 1999

il precedente governo di centrosinstra (legge n. 78/1999) aveva invece

introdotto la contrattazione individuale dei diritti criptati, per evitare

posizioni dominanti nel mercato delle pay tv essendo nel frattempo nata

l’altra piattaforma satellitare, Stream (poi fusa con Telepiù in Sky). Nessuno

dei due operatori poteva acquisire più del 60% dei diritti.

___

03

Quanto vale oggi il mercato dei diritti tv del nostro campionato?

Nella stagione 2010-2011 la A ha incassato dalla vendita dei diritti tv

(tutti i pacchetti) 950 milioni di euro, di cui 790 solo dalle due pay-tv, Sky

e Mediaset. Per la stagione in corso Sky ha pagato la stessa cifra dell’anno

prima (580 milioni), Mediaset qualcosa in più (225). La Lega Serie A ha già

commercializzato, poi, i diritti tv cripati per il prossimo triennio: da Sky e

Mediaset incasserà complessivamente 2,442 miliardi di euro per le stagioni

2012-2015. Restano ancora da vendere gli altri pacchetti (highlights, in

chiaro, radio etc.) da cui la Lega conta di ricavare altri 400-500 milioni di

euro spalmati nel prossimo triennio.

___

04

Quanto sono cresciuti negli ultimi 15 anni i ricavi legati ai diritti tv?

La crescita dei ricavi dalla vendita dei diritti tv è stata più o meno

costante, nonostante molti analisti abbiano parlato di “saturazione” del

mercato pay-tv come numero complessivo di abbonati. E’ ovvio che il grosso dei

ricavi è legato alle trasmissioni a pagamento. Non è un caso che il grande

balzo si sia registrato nella stagione 1999-2000, quella del passaggio alla

vendita individuale dei diritti e dell’ingresso di un secondo competitor nel

mercato della pay tv satellitare. La concorrenza fra Stream e Telepiù ha fatto

schizzare i ricavi complessivi della A da 231 a 506 milioni di euro. In pochi

anni è cresciuto anche il peso dei diritti tv sui ricavi complessivi dei club:

nel 1995-96 era solo del 23%.

___

05

Quali differenze ci sono rispetto ai principali campionati del resto

d’Europa?

In valore assoluto la Serie A italiana è subito dietro la Premier League per

ricavi dai diritti televisivi. Ma il gap è evidente: nella stagione 2010-2011,

contro i 950 milioni di euro portati a casa dal nostro campionato, la Premier

ha portato a casa 1.446 milioni di euro. La differenza, come evidenzia uno

studio dell’Università di Milano-Bicocca, sta nella maggior internazionalità

del prodotto: dai diritti dell’estero la Premier ha ricavato 581 milioni di

euro. Gli altri tornei: Liga spagnola terza con 710 milioni, Ligue1 francese

quarta con 693 milioni, Bundesliga quinta con 457 milioni. Un occhio ai club

più “pagati”: in Italia sono Juve (79 milioni), Inter (75) e Milan (73).

___

06

Quanto incidono i diritti televisivi sul fatturato dei nostri club?

Cosa accade all’estero?

Nella stagione 2010-2011 la Serie A ha generato i ricavi più alti di sempre

dei diritti tv. E anche l’incidenza sul fatturato è diventata record: dalle

televisioni entra nelle casse delle società il 63% delle risorse. Un record

fatto registrare soltanto nel 2006-07. Fondamentalmente dal 1999 (due pay tv

satellitari, vendita individuale) l’incidenza è stata almeno del 40%: quando è

calata, è diminuito anche l’incasso da diritti tv. E’ un rapporto squilibrato

rispetto agli altri campionati: in Premier League i diritti sono arrivati a

incidere sul fatturato per il 55% solo con gli ultimi contratti; in Liga le tv

contano al 49%, in Bundseliga solo al 30%. Più dipendente dalle pay-tv è solo

la Francia: il 70% dei ricavi arriva dalla vendita dei diritti.

___

07

Com’è cambiata l’offerta in pay-tv del campionato dalla stagione

1993-94 ad oggi?

La crescita dei ricavi dai diritti “in criptato” va di pari passo con

l’avvento delle nuove tecnologie e della modulazione dei pacchetti. Tele+

inizia a trasmettere la Serie A a pagamento nel 1993-94 come pay-tv terrestre,

sui vecchi canali analogici: per tre stagioni trasmette solo 28 partite, i

posticipi della domenica sera. Perché si arrivi alla messa in onda di tutte le

gare della Serie A bisogna attendere il passaggio di Tele+ sul satellite. Dal

1999 la copertura della A è sempre totale ma spalmata tra più competitor e più

piattaforme: duopolio Tele+-Stream fino alla fusione, breve parentesi di Gioco

Calcio che si affianca a Sky nel 2003-2004, poi sfida satellite (Sky)-digitale

terrestre (Mediaset-Cartapiù/Dahlia La7) fino al 2010.

___

08

Vendita collettiva: come funziona la ripartizione dei ricavi tra i

club della Serie A?

Lo schema attuale rispecchia quello previsto dalla legge Melandri, ma è

suscettibile di correzioni da parte della Lega di Serie A che può bilanciare

diversamente le voci. I ricavi (al netto dei vari contributi di mutualità)

vengono così ripartiti: un 40% viene diviso in parti uguali tra i 20 club di A;

un 30% viene ripartito in base a una graduatoria che tiene conto dello

storico dei risultati dal 1946-47 in poi; l’altro 30% è ripartito in funzione

dei bacini d’utenza. Il 30% destinato ai bacini d’utenza è così composto: 25%

ripartito in base al numero dei sostenitori (la legge parla solo di indagini

demoscopiche, ma ora entrerà in gioco anche l’Auditel), un 5% ripartito in

base alla popolazione dei Comuni di riferimento dei club.

___

09

Calcolo dei bacini d’utenza: perché le società di A non sono tutte

d’accordo?

Il calcolo del bacino d’utenza terrà conto alla pari di due voci: indagini

demoscopiche e dati Auditel. Sulle indagini demoscopiche (tre società con

l’ipotesi di Mannheimer come supervisore), cioè i sondaggi, le grandi società

spingevano per la preferenza unica, le altre per una risposta multipla. Alla

fine sarà adottata questa soluzione, che tutela i club di provincia: un

veronese, per esempio, può dichiararsi sostenitore dell’Inter e del Chievo

allo stesso tempo. Lungo dibattito anche sull’impiego dell’Auditel:

Milan-Lecce, per esempio, avrà come spettatori più tifosi tra i rossoneri, ma

l’indice d’ascolto verrà attribuito in egual misura ad entrambe le società.

Roma, Napoli e Cagliari hanno votato no all’accordo per il 2010-11.

___

10

Indagini di mercato: se il tifoso può indicare due club e non uno, chi

perde e chi ci guadagna?

Al netto dei contributi di mutualità, in base ai bacini d’utenza nell’ultima

stagione è stata divisa una torta da circa 200 milioni di euro. Nel passaggio

da indagini di mercato a preferenza unica (la squadra del cuore) a quelle con

risposta multipla (si tifa per una squadra, ma si simpatizza per un’altra) a

perdere di più sono Juve, Inter e Milan, in ogni caso i tre club con il più

ampio bacino d’utenza: le flessioni sono stimabili tra il 20% e il 28%, fino a

10 milioni di euro. Viceversa guadagnano i club di provincia: Il Chievo, per

esempio, arriva a quintuplicare i ricavi, perché si porta dietro i voti dei

“simpatizzanti” che hanno magari scelto una big come squadra del cuore.

___

l'intervento di... ENRICO BENDONI

«Servono altre risorse

oltre alle tv o in Lega

sarà sempre divisione»

Il problema dei diritti televisivi del calcio italiano è strettamente legato

alla legge che ha imposto la vendita centralizzata delle immagini del

campionato, mettendo in qualche modo nelle mani della Lega più di due terzi

del fatturato complessivo del calcio. La perdita del controllo dei propri

ricavi, ha avuto l’effetto di far giocare in difesa tutti i presidenti,

responsabili delle proprie aziende - alcune quotate - al punto da giustificare

le regole statutarie riservate alla nuova “serie A”, finalizzate ad una

gestione assembleare, dall’esterno non sempre comprensibile.

Il calcio è il motore positivo del nostro sport, una locomotiva in grado di

trainare il sistema. Oggi non può farlo. E’ sicuramente litigioso e appare

quasi isolato, ma ha le sue ragioni e non solo colpe. Se guardiamo alla

politica e alla scarsa attenzione alla situazione degli stadi c’è da chiedersi

se servano o meno.

Le entrate di quasi tutte le società italiane sono principalmente vincolate

ad una sola voce, la tv, quando l’Europa e il mondo occidentale in genere

testimoniano che una gestione diretta della propria casa consente di portare

il relativo introito almeno ad un terzo dell’incasso stagionale,

patrimonializzando l’azienda e rendendo meno volatile l’attività. Questo tema

merita spazio in ogni tavolo dedicato al nostro sport. Il presidente del Coni

e il presidente della FIGC hanno il ruolo per assumere la guida di una vera

rifondazione.

Lasciando il calcio a dipendere dai soldi della televisione, col rischio di

veder deperire il campionato per le immagini prodotte in ambienti spesso

semideserti, poco illuminati e con terreni malridotti, avremo la costante di

una Lega di A divisa e macerata dall’interesse di ogni spartizione delle

risorse comuni, nel gioco delle maggioranze che un giorno pagano e il giorno

dopo tolgono.

Chi ha voluto la Lega di serie A sognava un interesse reale di tutti i soci,

la partecipazione attiva ed entusiasta delle dieci-dodici società maggiori,

quasi sempre escluse dal rischio di turnover con la serie B. Oggi si sente

Blatter parlare di un ritorno alle 16 squadre per rendere la stagione ideale,

migliore e forse più ricca. Da noi sarà un’impresa improbabile, perché nel

gioco delle maggioranze della serie A il quorum per ridurre il numero di chi

si siede a spartire il denaro delle tv non sarà raggiunto. E il governo del

calcio non sarà mai delle 10-12 principali realtà, ma degli interessi del

momento.

In un torneo a 16 squadre si giocano 240 partite in 30 giornate, contro le

attuali 380 in 38. Non più turni infrasettimanali e spazio perfino per una

Coppa di Lega, il terzo torneo. La tv offrirebbe comunque le sue 5 finestre di

finesettimana, lasciando alla domenica pomeriggio 4 partite.

Per essere uniti nel calcio bisogna cercare il denominatore comune.

Costruiamo gli stadi. Non è speculazione, ma vita e lavoro.

Agli errori è sempre possibile rimediare. Con l’introduzione della vendita

collettiva, ad esempio, una grande retrocessa in B non avrebbe salvezza, il

suo valore televisivo finirebbe disperso. Fino al 2010 non era così.

Chi non vuole lo “spezzatino” pensi che oggi il vero stadio è virtuale e che

giocando senza concorrenza si vince negli ascolti e si fa cassa. La

suddivisione delle risorse prevede una percentuale legata al peso

dell’auditel: in Lega ci sarà sempre la corsa a giocare in condizioni di

esclusiva, quando chi ha pagato l’abbonamento non può scegliere e chi

scommette può puntare su un solo evento da seguire in tv, sperando di

incassare la vincita. Se poi ci mettiamo le alluvioni e i problemi legati al

ranking Uefa, hanno tutti ragione.

Enrico Bendoni, giornalista, come manager ha lavorato per Italia ‘90, Uefa,

Fifa, Lazio e Roma

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SCOMODA-MENTE

Un piatto di "ştronzate" al tavolo 2006

di FABIO MAURO GIAMBÒ (Fantagazzetta.com 08-12-2011)

art.scoperto grazie a Luciano Moggi

Arrivano certi momenti nella vita in cui ci si accorge che troppe parole sono

state sprecate, troppi pettegolezzi hanno trovato pubblico spazio in questo o

quell’altro organo di stampa, e soprattutto ci si rende conto che chi dovrebbe

spiegarti le cose per come stanno, o per lo meno provarci, non è capace di

sedersi a tavolino con tutta la tranquillità di questo mondo per poterti dire

“caro amico, oggi è andata così”. Questo accade nella vita di tutti i giorni,

e così anche nel calcio dove solitamente basta perdere la pazienza per

attirare l’attenzione della gente, per creare notizia, magari per trovare un

credito popolare inimmaginabile, a meno che non si scelga l’obiettivo giusto.

Il popolo bianconero, e molto più in particolare la Ṿecchia Şignora, è

storicamente fra i soggetti più “pettegolati” dal resto del mondo pallonaro

italiano: ladri, drogati, perdenti, raccomandati e chi più ne ha, più ne

metta. Sino a qualche anno fa era facile creare sentenze ancor prima di un

regolare dibattito, i mezzi di comunicazioni erano molti di meno, e bastava

che una penna o un microfono d’elitè decidesse qualcosa affinchè tutti, come

capre, andassero dietro a quella linea tracciata. Oggi, anche se ancora in

maniera non del tutto soddisfacente, non è così: esiste internet, esiste la

possibilità di andarla a verificare una notizia, è possibile provare a

rendersi conto autonomamente di ciò che accade in giro per il mondo, e

personalmente ritengo non sia solo un caso che determinati quotidiani abbiano

perso una buona fetta del loro mercato.

Ma c’è qualcuno che si ostina a navigare sulla solita rotta, e con tutta la

buona volontà di questo mondo non si riesce a capire la motivazione. Fra ieri

e oggi due che hanno avuto in mano le chiavi di casa del calcio italiano hanno

ennesimamente lanciato bombe verso la Juventus, e prima o poi dovranno

spiegarcelo il perchè. Sto parlando di Guido Rossi e Franco Carraro,

rispettivamente coloro che hanno consegnato uno scudetto all’Inter che oggi la

Federazione dice di non poter toccare perchè non le compete nonostante le

numerose ed evidenti novità venute a galla negli anni (le credo, sig. Rossi,

lei non ne sapeva nulla: è l’unica spiegazione che le farebbe conservare un

briciolo di dignità sportiva), e che, in alcune delle intercettazioni

rinvenute grazie alla ricerca degli avvocati di Luciano Moggi, si

preoccupavano affinchè la Juve venisse eventualmente penalizzata dall’operato

degli arbitri che avrebbero diretto la squadra bianconera in determinate

partite. Certo, c’è qualcuno che sostiene che queste telefonate dimostrano

ancor più l’esistenza della cupola, seppur non si capisce secondo quale

criterio, ma, se così fosse, perchè Carraro non è stato mai giudicato nè dalla

giustizia sportiva, nè da quella ordinaria è uno di quei misteri irrisolti che

tali resteranno, con buona pace di chi cerca di capirci qualcosa senza partire

da posizioni prevenute, nè in un senso, nè nell’altro.

E avete capito bene, nè in un senso, nè nell’altro perchè va bene essere

juventini, ma qui nessuno è schiavo di nessuno, con buona pace di chi sostiene

il contrario. Semplicemente si prova a capire quello che sta succedendo,

quello che è successo, e proprio non si capisce ancora oggi come sia possibile

uccidere una squadra come la Juve nelle modalità in cui è stata uccisa nel

2006. Qualcuno mi dirà che le sentenze vanno rispettate, e il sottoscritto non

vuole di certo organizzare manifestazioni sovversive, ma sino a quando non

verranno mostrate le motivazioni di tali sentenze non si potrà non

sottolineare l’incongruenza di alcune accuse passate in giudicato. Ma ci sarà

modo di parlarne, non è questo, adesso, il tema del discorso.

Torniamo alle parole di Rossi e Carraro, e poi metto un punto perchè ad andar

per le lunghe si rischia di annoiare la gente.

Guido Rossi: “Se fossero state note anche le altre intercettazioni sin dal

2006, non sarebbe cambiato nulla. Sono stufo di queste cose, chi dice

ştronzate va fatto tacere. Quanto accaduto nel 2006 non va riscritto perchè è

storia”.

Franco Carraro: “La Juventus non può, e lo dico chiaro, dire che ha vinto 29

scudetti, e mettere quel numero nel proprio stadio. Capisco le motivazioni

psicologiche che portano Andrea Agnelli ad agire ma è su di lui che incombe la

responsabilità di dire, ‘ci sto male, ma la chiudo lì’. Vorrei vederlo

fermarsi e dire niente altro che ‘aspetto’”.

Si prende atto che:

è permesso ad un tifoso nerazzurro, oltre che ex rappresentante del

mondo del calcio italiano, insultare una società come la Juve;

è una ştronzata ritenere per lo meno ambigue le richieste di un

dirigente non juventino di scavalcare il sorteggio, chiedere di

rompere l’equlibrio di uno score di un arbitro, avere rapporti diretti

con un direttore di gara in attività affinchè questi faccia da

“cavallo di Ƭroia” in cambio di un lavoro esterno al calcio (tutto ciò

in esclusiva), andare a cena con i designatori e tanto altre cose in

comune o meno con altri condannati;

il lavoro del procuratore federale Palazzi è degno di lode quando

accusa la Juve, ma diventa una ştronzata quando etichetta gli

atteggiamenti di altre società come qualcosa di sportivamente più

grave di quanto posto in essere da altri soggetti già condannati e

giudicati;

è lecito che il presidente della Federcalcio faccia pressione sugli

arbitri affinchè commettano errori non pro-Juve.

Su una cosa siamo d’accordo, però, io e Rossi, qualche ştronzata c’è: in

attesa delle motivazioni si può dire che è una ştronzata condannare la gente

ad anni di carcere perchè si è giustamente agito nel rispetto del regolamento

del gioco nel calcio in episodi quali le ammonizioni di alcuni giocatori in

alcune partite, ma questo, guarda un po’, nessuno mai si è mai sognato di

farlo presente. E per oggi basta così, non vorrei attirare l’attenzione di

qualche altro genio incompreso che oggi scalda la poltrona in Figc: dopo tante

perle di saggezza, sotto Natale di abeti vogliamo sentirne parlare solo in un

certo contesto.

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IL TAVOLO DELLA PACE SALE L’ATTESA

Palazzi, il fantasma al tavolo

Mercoledì si parlerà di Calciopoli, ma il nodo resta la relazione che condanna l’Inter

Tra i malumori degli assenti (anche in Figc...) e i dubbi dei partecipanti, procedono i preparativi e viene definita la scaletta

di ALVARO MORETTI & GUIDO VACIAGO (Tuttosport 12-12-2011)

IL TAVOLO logora chi non ce l’ha, ma pure fra gli invitanti un po’ di tensione

c’è, perché la scaletta - ufficialmente ancora top secret, ma in via di

definizione - innervosisce quelli che saranno presenti mercoledì mattina alle

nove. Calciopoli è ovviamente lo scoglio su cui rischia di scontrarsi la buona

volontà di Gianni Petrucci , padrone di casa che sta facendo di tutto per

avviare il calcio italiano verso una nuova era.

PASSATO E FUTURO Ma il futuro non si può costruire senza chiarezza sul

passato e il 2006 rischia di essere un mattone traballante nella costruzione

che ha in mente il Coni. Tant’è che l’argomento Calciopoli farà sicuramente

parte della succitata scaletta. Il problema che si pongono tutti (o quasi) è

il come verrà trattato.

RELAZIONI Perché mentre anche in Figc c’è chi non nasconde malumori per non

essere fra coloro che discuteranno del futuro (la Federcalcio sarà

rappresentata dal presidente Abete e dal dg Valentini , mentre in via Allegri

resterà, per esempio, il vicepresidente Albertini ), il vero convitato di

pietra del tavolo sarà il procuratore federale Stefano Palazzi , l’autore

delle settanta pagine di relazione che ha luglio hanno terremotato la

Calciopoli del 2006, e aperto la crisi nel calcio. Perché non sono stati gli

avvocati, tanto invisi a Petrucci, a scrivere che, ascoltate le telefonate

occultate, l’Inter ha violato il fu articolo 6 (illecito sportivo). A dopare

le certezze inscalfibili della Figc di Guido Rossi è stata la Figc di

Giancarlo Abete al quale Palazzi ha indirizzato la sua relazione, previo

dissinesco attraverso la prescrizione naturalmente, ma questa è un’altra

storia.

DOMANDE INEVASE Palazzi, che mercoledì ovviamente sarà altrove, sentirà

fischiare le orecchie quando Petrucci affronterà l’argomento Calciopoli,

perché è proprio partendo dalla sua relazione, dribblata dal Consiglio

Federale del 18 luglio e scavalcata pure dal Tnas, che Andrea Agnelli

formulerà le domande rimaste finora senza risposta. E il tavolo si spaccherà

in due: da una parte chi per Calciopoli ha pagato (Juventus e Fiorentina),

dall’altra chi con Calciopoli ha guadagnato (l’Inter). Davanti a comportamenti

analoghi, certificati dalla procura Figc mica da un avvocato della Juventus,

la disparità di trattamento è davvero clamorosa perché nessuno si prenda la

briga di giustificarla. Mercoledì l’arduo compito spetterà a Petrucci, che

dovrà trovare il modo di far restare seduto Moratti . Perché il presidente

interista ha fatto capire in modo relativamente chiaro che di fronte a certi

argomenti potrebbe alzarsi e lasciare la compagnia. E, per la cronaca, Moratti

derubricò a spazzatura la relazione Palazzi fin dal giorno della sua uscita.

SILENZIO STRATEGICO Insomma, un problema assai spinoso. L’unico sereno sembra

essere Agnelli che ha strategicamente fatto calare un silenzio totale

sull’argomento tavolo, senza lanciare messaggi a mezzo stampa (semmai è

intercorsa qualche discreta telefonata con Petrucci), ma senza neppure

prendere mai in considerazione l’idea di ritirare i ricorsi contro la Figc (in

particolare quelli al Tar e alla Corte dei Conti). Perché tavolo o non tavolo,

l’iter prosegue e solo la revoca dello scudetto 2006 potrebbe bloccarlo. E’ da

escludere che questo possa avvenire mercoledì, dove tutt’al più si possono

porre delle basi sulle quali continuare la discussione e il documento scritto

da far approvare ai tavolisti a cui lavorano al Coni sarebbe la prima pietra.

Nel frattempo (che tecnicamente si calcola in un annetto scarso, visto che il

ricorso a Tar potrebbe essere preso in esame alla fine nel prossimo autunno)

la Juventus non ha intenzione di mollare.

SPADA DI DAMOCLE E la richiesta di oltre 400 milioni di euro continua a

pendere sulla Federcalcio, come una potenziale arma letale. Altro fattore che

al tavolo, dove Abete e Agnelli si ritroveranno di fronte per la prima volta

dopo la maxi richiesta danni.

Telefonate e incontri

In arrivo due giorni caldi

di GUIDO VACIAGO (Tuttosport 12-12-2011)

OGGI a Milano alla presentazione del premio “I piedi buoni del calcio”

si incroceranno Giancarlo Abete e Gianni Petrucci, era atteso anche

Andrea Agnelli che non ci sarà (assente giustificato dalla partita di

questa sera), potrebbero esserci Adriano Galliani e Massimo Moratti, è

annunciato anche il presidente della Lega di Serie A Beretta. Quasi un

anticipo di 48 ore del tavolo. Quasi, perché oltre a non essere

previsto nessun briefing separato, gli stessi protagonisti escludono

che la coincidenza possa essere più di una nota di colore.

Il tavolo è uno solo ed è quello che inizierà mercoledì nel palazzo

del Coni, dove stanno lavorando da settimane alla preparazione di una

ponderosa documentazione per la riunione. Perché al di là dello

scoglio Calciopoli (e no - se qualcuno se lo chiede -, non ci sarà la

relazione Palazzi nei faldoni che si porterà dietro Petrucci), ci sono

altri temi da discutere a partire da un riflessione sulla legge 91 e

per finire ai diritti tv, sui quali potrebbe esserci un assalto alla

distribuzione collettiva voluta dalla legge Melandri.

Ed è questo che rende tumultuoso il clima fra i presidenti di A, fra

i quali c’è chi mugugna (fermandosi lì, però, visto che le

dichiarazioni di guerra di Cellino sono rimaste tali) e si domanda se

per il calcio italiano abbia fatto di più un presidente come Pozzo o

come De Laurentiis, che al tavolo si siederà e probabilmente non per

intervenire su Calciopoli.

A rassicurare gli assenti, comunque, ci hanno pensato proprio

Petrucci e Abete, spiegando - off the record - che dal tavolo

usciranno delle indicazioni, che solo le Leghe potranno trasformare in

decisioni.

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Appello del Brescia Oggi ricorso contro Palazzi

«Il tavolo della pace si occupi anche di noi»

di ARIANNA RAVELLI (CorSera 12-12-2011)

MILANO — Aggiungi un posto al tavolo (della pace). O almeno una portata alla

lista degli argomenti. Sarà questo il senso del discorso che l'avvocato del

Brescia, Bruno Catalanotti, pronuncerà oggi davanti all'Alta Corte di

giustizia. Un appello perché mercoledì a Roma, all'incontro organizzato dal

presidente del Coni Gianni Petrucci con le società più importanti della A, si

allarghino gli orizzonti della discussione e si provino a risanare — al di là

delle dispute ormai molto accademiche tra Juventus e Inter sullo scudetto 2006

— «i conflitti veri, ancora in atto nei tribunali della giustizia ordinaria».

Ovvero quelli che vedono Atalanta, Bologna e Brescia (retrocesse al termine

del campionato 2004/2005) chiedere risarcimenti a Fiorentina, Juventus e Lazio,

i cui dirigenti sono stati condannati dal Tribunale di Napoli.

Ma andiamo con ordine. Oggi il Brescia si troverà all'Alta Corte a discutere

contro la Figc e Luciano Moggi, insolitamente alleati. Si discute, infatti, il

ricorso che Catalanotti ha presentato il 15 luglio contro il procuratore

federale Stefano Palazzi, o meglio contro le indagini da quest'ultimo avviate

(sulla base delle nuove intercettazioni), quando i termini della prescrizione

erano già scaduti. È il provvedimento, per capirci, che ha ridato fiato alle

richieste della Juventus (ecco perché anche i legali di Moggi lo difendono), e

in cui Palazzi afferma sì che i fatti che riguardano Giacinto Facchetti,

Massimo Moratti e altri 14 tesserati e 8 società sono archiviati, ma anche che

quei fatti configuravano illeciti. Quelle indagini, per il Brescia, non si

dovevano neanche cominciare visto che i fatti erano già prescritti e il

provvedimento di Palazzi è definito «abnorme» sia per ragioni di «economia

processuale» (si è indagato per più di un anno a termini scaduti) sia perché

Palazzi si è addentrato in valutazioni che violano il diritto alla difesa. Il

Brescia è interessato alla questione perché in quelle pagine si fa cenno a un

comportamento illecito di Nello Governato che avrebbe agito per suo conto

(però il Brescia non è stata inserita tra le società colpevoli). Ma non si sa

mai, i legali vogliono sgombrare ogni ombra, essendo in piedi ancora le

richieste di risarcimento danni. E qui si ritorna al punto della questione che

ha interesse più generale: è vero che si tratta di tre «piccole» destinate a

non mutare gli equilibri di potere del calcio italiano, ma forse finché sono

in ballo richieste di risarcimenti milionari sarà dura parlare di pace.

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Quel tavolo senza pace

di GUIDO BOFFO (LA STAMPA.it 12-12-2011)

Nella settimana del tavolo della pace, la Yalta del calcio italiano, l’arbitro

Gianluca Rocchi da Firenze semina zizzania. Quest’uomo ha uno straordinario

talento per complicarsi la vita, oltre che le partite. Vede rigori inesistenti

(Inter-Napoli), sorvola su clamorosi falli di mani in area (ieri,

Bologna-Milan). Smentisce un vecchio luogo comune, e cioé che abbiamo la

migliore classe arbitrale del mondo. Se così fosse, non rischieremmo di

mandare Rocchi ai prossimi Europei, il meglio fico del nostro povero bigoncio.

Eppure i nipotini di Collina, e i loro guardalinee, godono di una condizione

invidiabile: la pax moviolistica. Rispetto agli anni passati, in tv si parla

molto meno degli errori arbitrali, spesso in orari fuori dalla portata dei

minorenni e con il distacco degli argomenti demodé. Ma il calo di pressione

non acuisce la vista, nè sviluppa il talento.

Agli arbitri italiani siamo portati a riconoscere molte e giustificate

attenuanti: la buona fede (soprattutto nel post Calciopoli), l’isteria dei

calciatori in campo e dei dirigenti fuori, la difficoltà delle decisioni in

tempo reale e in un calcio sempre più veloce, la crisi delle vocazioni che

erode il ricambio. Ma il Rocchi horror show è soltanto un pessimo spettacolo,

e forse qualcuno dovrebbe assumersi la responsabilità di bloccare le repliche.

A Bologna è andata persino bene: il pareggio del Milan ha anestetizzato i

cattivi pensieri degli juventini, mercoledì il tavolo della pace può partire.

Già, ma con quali gambe? Gianni Petrucci, presidente del Coni, si accinge a

una missione che defineremmo impossibile, se non sottovalutassimo le sue

risorse democristiane. Non per questo, possiamo definirci ottimisti. Al tavolo

si parlerà di Calciopoli, non è chiaro se con l’obiettivo di scrivere la

parola fine, operare una lettura revisionistica o tutte e due le cose; e si

discetterà di futuro, in vista di un’agenda da sottoporre al nuovo governo:

legge sugli stadi, riforma della legge 91 sul professionismo, tutela del

merchandising.

Per guardare avanti, la Juve esigerà di chiudere i conti con il passato.

Tuttavia lo scudetto del 2006 è un argomento che l’Inter non intende nemmeno

sfiorare. Qualcuno dovrebbe fare un passo indietro: eppure dubitiamo che

Agnelli rinunci al ricorso al Tar da oltre 400 milioni in cambio di un

imprecisato riconoscimento morale, o in alternativa Moratti decida di scucirsi

il titolo ammettendo implicitamente che non gli spettava. E poi che c’entra De

Laurentiis con Calciopoli? E perché non Lotito, che al pari di Diego Della

Valle - lui sì invitato - è stato condannato in primo grado dal tribunale di

Napoli? Semplice: Petrucci, il padrone di casa, ha lasciato fuori dalla porta

gli ospiti indesiderati, compreso il presidente di Lega, Beretta. Un suo

diritto, puntualizzano al Coni. Saremo felici di sbagliarci, ma a questo

tavolo di pace se ne vede ben poca.

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Doping e sport, il pm Guariniello: “Stiamo

esaminando anche il caso di Giorgio Mariani”

Parla il pm di Torino, titolare delle più importanti

inchieste sull'utilizzo di sostanze dopanti nel mondo del

professionismo sportivo, tra cui l'indagine sulle morti

sospette nella Fiorentina degli anni '70, la squadra in

cui militava il calciatore morto la scorsa settimana

di DARIO PELIZZARI (Il Fatto Quotidiano.it 12-12-2011)

Qualche giorno fa è morto l’ex calciatore Giorgio Mariani. Aveva 63 anni, era

malato da tempo. Per molti, la sua scomparsa è un fatto che si spiega da sé.

Colpa dell’età che avanza e del fisico che non è più quello di una volta. Per

altri, Mariani è soltanto l’ultima vittima di un male che colpisce sempre più

atleti in tutto il mondo, il doping. “Stiamo esaminando anche il suo caso, non

posso entrare nel merito – dice a ilfattoquotidiano.it il procuratore Raffaele

Guariniello, protagonista di numerose inchieste sulle connessioni tra sport e

doping e titolare di un’indagine sulle presunti morte sospette nella

Fiorentina degli anni Settanta -. Si tratta comunque di patologie

multifattoriali, prima di esprimere una valutazione occorre fare un’indagine

accurata. In questi casi, acquisiamo la documentazione sanitaria e poi

cerchiamo di ricostruire la storia professionale e non solo della singola

persona. Vede, non è come il mesotelioma, che colpisce il lavoratore

dell’amianto, il collegamento in questi casi è diretto e pressoché certo.

Bisogna fare attenzione e indagare a fondo sulle possibili cause della

malattia”.

“Eravamo una generazione di ignoranti, perché prima delle partite prendevamo

il Micoren senza chiederci cosa fosse”, dichiarò qualche tempo fa all’Avvenire

l’ex scudettato del Torino nella stagione 1975-76, Salvatore Garritano, malato

da tempo di leucemia. E prima ancora si erano espressi nella stessa direzione

anche Giovanni Galeone, mister di tantissime squadre di A e B, (“con tutti i

prodotti che ho assunto a vent’ anni oggi devo sentirmi contento di essere

vivo. Nell’ Udinese mi davano il Micoren per rompere il fiato, il Cortex e il

Norden per recuperare, poi il Sustanol, tutte cose oggi vietate. Le prendevo

come fosse acqua minerale”) e Aldo Agroppi, altro grandissimo del calcio che

fu, oggi alle prese con una lunga riabilitazione dopo aver subìto, storia di

metà novembre, un altro infarto (“i giocatori degli anni Sessanta non vivono

certo giornate tranquille. In quel periodo la somministrazione della corteccia

surrenale era una moda e noi eravamo ignoranti, ci fidavamo”). Al netto delle

inchieste sulla diffusione del doping negli anni Sessanta e Settanta, cosa si

può dire oggi su quel periodo? “Le generalizzazioni sono un po’ rischiose –

spiega Guariniello -. Noi abbiamo visto su alcuni casi che si è evidenziata

l’utilizzazione di determinate sostanze. Stiamo ancora indagando in questa

direzione per verificare i dati che abbiamo raccolto. Certo è che dagli anni

Sessanta c’è stato un crescendo di casi di possibili patologie. Le cause, però,

ripeto, vanno accertate caso per caso”.

Capitolo Sla, sclerosi laterale amiotrofica, o morbo di Lou Gehrig. E’ la

malattia che uccide i neuroni in movimento e purtroppo anche molti atleti.

Calciatori, ma non solo. Il morbo prende il nome proprio da un campione del

baseball Usa, Lou Gehrig, morto a 38 anni senza aver capito bene perché.

Stefano Borgonovo, ex attaccante, tra le altre squadre, di Fiorentina e Milan,

dal 2008 è alle prese con questo male maledetto. “Lasciate stare il calcio,

non c’entra nulla”, ripete da sempre. Ma Guariniello volle vederci chiaro. La

sua inchiesta accertò 43 casi di Sla (ora sono più di 50) fra circa 30 mila

calciatori: un malato ogni 700. Il conto delle vittime ha raggiunto quota 39,

ma il bilancio è destinato a salire. “C’è un eccesso di mortalità dei

calciatori che è epidemiologicamente evidente – dice il pubblico ministero di

Torino – . Ancora oggi si cerca di spiegarne la causa specifica. La scienza

qui è ancora in difficoltà. In ogni caso, oggi si può dire che la Sla ha una

frequenza di accadimento tra i calciatori addirittura crescente col passare

del tempo”.

“Le prestazioni dei giocatori erano alterate sia con sostanze proibite, sia

somministrando farmaci leciti su atleti sani. Le 49 pagine di motivazioni

depositate ieri dalla II sezione penale accolgono le richieste del pg Monetti

e annullano l’assoluzione d’appello, dichiarando i reti commessi, ma

prescritti dal 1° aprile 2007?. E’ l’estate dello stesso anno: Marco Travaglio

consegna a Repubblica le righe con cui viene di fatto messa la parola fine sul

lungo e vorticoso processo che ha interessato i dirigenti della Juventus e il

medico al servizio in quegli anni della società bianconera, Riccardo Agricola.

Il pm titolare dell’inchiesta era proprio Guariniello, per molto tempo

additato dai tifosi juventini come “il nemico numero uno” della Signora. “Ma

no – sorride lui – i processi più difficili sono stati Eternit e Thyssenkrupp,

perché hanno comportato grandi difficoltà sul piano probatorio. Quello a cui

si riferisce lei è stato uno dei tanti. E poi, le reazioni che si provocano in

questo o quel processo hanno motivazioni che sono irrilevanti. No, non mi ha

provato assolutamente. E’ stato però molto significativo, questo sì, perché ha

portato anche a fare una legge. Il problema dell’uso di farmaci nel mondo del

calcio è diventato molto sentito, ma non è ancora del tutto affrontato in

maniera adeguata. Bisogna fare molto di più sul piano della vigilanza. Sono

stato recentemente all’estero per prendere parte ad un convegno sul doping.

Bene, l’Italia era considerata un esempio per via di tutti i processi che si

sono celebrati in questo ambito. E questo per me significa che negli altri

paesi si fa davvero poco”.

Il doping non è mai stata una pratica esclusiva degli sportivi

professionisti. La pasticca proibita e pericolosamente nociva, infatti, è

spesso assunta da atleti dilettanti che vogliono migliorare le proprie

prestazioni in gare di interesse locale. I numeri, in questo ambito,

raggiungono cifre da capogiro. Si parla di un mercato che muove ogni anno un

giro di affari di 650-700 milioni di euro. L’ultimo caso, lo scorso settembre.

Le forze dell’ordine hanno effettuato centinaia di perquisizioni in diverse

regioni sequestrando seimila farmaci, per un valore complessivo di circa 300

mila euro. Le sostanze illegali venivano vendute nelle palestre e nelle

società di ciclismo. “Il commercio di queste sostanze purtroppo non è facile

da regolamentare – spiega Guariniello -. Le vendite vengono fatte in molti

casi via Internet. Però non mancano gli strumenti di investigazione.

L’importante sarebbe fare interventi molto più sistematici, continuativi. E un

po’ ovunque, non soltanto in alcune zone del nostro Paese. La legge ce

l’abbiamo ed è una delle più avanzate. Molti paesi ce la invidiano, ma si può

fare molto di più”.

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CONI.it 12/12/2011

ALTA CORTE DI GIUSTIZIA: Diritti tv, dichiarato inammissibile il

ricorso presentato da Inter, Juventus, Milan, Napoli e Roma contro

LNP di Serie A, altri club di A e FIGC

L’Alta Corte di Giustizia ha dichiarato inammissibile il ricorso, presentato

il 27 maggio 2011 da parte delle società Inter, Juventus, Milan, Napoli e Roma

nei confronti della Lega Nazionale Professionisti Serie A, di tutte le altre

società di Serie A e della Federazione Italiana Giuoco Calcio, avverso la

decisione resa dalla Corte di Giustizia Federale FIGC in materia di

definizione dei bacini di utenza ai fini della ripartizione delle risorse

audiovisive della stagione 2010/2011 (individuazione delle società di ricerche

demoscopiche e delle relative metodologie di indagine).

Roma, 12 dicembre 2012

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CONTO ALLA ROVESCIA Ventiquatt'ore al faccia a faccia per stringersi la mano e mettere la parola fine alle polemiche

Moratti: Vado al "tavolo" con curiosità

«Non so esattamente quale sarà il significato dell'invito del presidente Petrucci»

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 13-12-2011)

APPIANO GENTILE - Il conto alla rovescia è arrivato alla conclusione.

Ventiquattr’ore e gli invitati al tavolo della pace si siederanno ai loro

posti per discutere. Gli argomenti li sceglierà il numero uno del Coni, Gianni

Petrucci, che ieri, intervenuto alla giornalaccio rosa dello Sport per la presentazione

del premio “I piedi buoni del calcio”, ha lanciato messaggi improntati alla

serenità. I presidenti delle società dovranno adeguarsi. «Non so esattamente

quale sarà il significato di questo tavolo - ha commentato il presidente

dell’Inter, Massimo Moratti - e quindi vado là con molta curiosità». Il club

di corso Vittorio Emanuele non si aspetta che tra gli argomenti in discussione

ci sia lo scudetto del 2006. L’Inter è convinta che le sentenze della

giustizia sportiva non saranno né toccate né messe in discussione. Moratti a

riguardo qualche giorno fa è stato chiaro. Ha deciso di partecipare perché

Petrucci, l’ideatore del tavolo, è una garanzia, mentre aveva detto di no a

un’iniziativa quasi analoga del patron della Fiorentina, Diego Della Valle,

per non interferire in nessun modo con il lavoro svolto dalla giustizia

ordinaria. Trattandosi adesso di un invito del numero uno del Coni, rischi del

genere non ce ne sono.

TRANQUILLI E SERENI - La “garanzia” dell’Inter è Petrucci che ieri è stato

chiaro sul clima che si aspetta domani a Roma: «Sarà un incontro all’insegna

della serenità - ha iniziato - e, anche se sento un’attesa spasmodica nei

confronti di questo evento, si tratterà di una riunione normale, un tavolo in

cui si parlerà di calcio e in cui l'attore principale, come è giusto che sia,

sarà la Figc. Sono felice che tutte le persone invitate abbiano confermato la

loro presenza». Il problema in questo momento sono i... non invitati perché i

malumori non mancano. Il presidente del Coni ha provato a spegnerli

rivolgendosi in maniera diretta alla Lega e ai club con “il mal di pancia”.

«Chi non è stato invitato non si deve offendere perché se avessimo invitato

tutti, sarebbe diventata un’assemblea di Lega invece che un tavolo della pace.

Spero che questo incontro serva a chiudere definitivamente le pagine di

discussioni, di corsi e ricorsi. Ho visto comunque tanta serenità da parte

delle persone invitate e spero che questo atteggiamento non sia solo dovuto al

periodo natalizio. Se i presidenti fossero più rispettosi delle istituzioni,

più uniti e più sereni il calcio ne trarrebbe vantaggio. E a proposito

permettetemi di ringraziare un presidente (Zamparini; tono usato decisamente

ironico, ndr) che anche ieri, come sempre, è stato molto carino e rispettoso

ricordando che il Coni non si comporta bene.

Al tavolo c’è Abete, il presidente della Figc, che rappresenta tutte le

società di calcio. Chi si offende dimostra di non essere cosciente di quello

che dice lo statuto della Federcalcio. La Lega è importante, ma fidatevi della

Figc». Inevitabile chiedere a Petrucci del contrasto tra Juventus e Inter, ma

il numero uno dello sport italiano ha spento qualsiasi polemica: «La battuta

del coltello sotto al tavolo fatta da Moratti è di qualche settimana fa e dopo

ha detto altre cose. Con lui ho parlato e sono sicuro che sarà costruttivo. E’

una persona di buon senso, lo stimo ed è sereno come Agnelli. Questo non è il

momento di fare polemiche, ma serve tranquillità».

ABETE, NO ALLE PRESSIONI - Al tavolo ci sarà anche Giancarlo Abete:

«Calciopoli è stata un'esperienza traumatica per tutti - ha osservato il

presidente della Figc -, ma se ne parla ancora e spero che questa sia

l'occasione giusta per guardare avanti. L'importante è non strattonare la

Federazione anche perché non ci faremo mettere pressione da nessuno. Da parte

mia ci sarà lo spirito giusto per fare riflessioni e dare chiarimenti. Il

clima deve essere positivo per guardare con serenità al passato ma anche al

futuro».

===

IL MALUMORE DEGLI ESCLUSI

Cellino: L’incontro era solo per Juve e Inter

cosa c’entrano Milan, Fiorentina e Napoli?

«Perché non è stata invitata la Lega che per quei fatti è stata parte lesa?»

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 13-12-2011)

Il “Tavolo della Pace” ha avuto un effetto: far scendere sul piede di guerra i

club (la maggiornza) che non hanno ricevuto l’invito del presidente del Coni.

Il portavoce ufficiale dei “malpancisti” è Massimo Cellino, presidente del

Cagliari e Consigliere Federale, ma la sua posizione non è isoltata. Dice un

amministratore delegato: «Petrucci non si è reso conto che la sua iniziativa

invece di portare serenità all’interno della Lega ha per il momento solo

acuito i contrasti e le reciproche diffidenze». Nell’ultima assemblea lo hanno

detto chiaro e tondo, i dissidenti, puntando il dito contro il presidente

della Lega, Maurizio Beretta, non invitato al tavolo: «Così ti hanno soltanto

delegittimato». Non è un caso che ieri Beretta abbia provveduto a sottolineare

che «nel momento in cui si dovrà affrontare il progetto del calcio del futuro

servirà un coinvolgimento diverso». Giancarlo Abete che conosce bene le

dinamiche di via Rosellini, capendo che l’iniziativa pacificatoria rischia, al

contrario, di trasformarsi in una sorta di detonatore, ha confermato che non è

quella la sede per parlare di riforma. Dunque, l’ordine del giorno ha

immediatamente avuto una bella sforbiciata anche perché l’ultima riforma nata

da un tavolo con ospiti selezionati fu quella del doppio designatore, cioè la

“madre di tutte le ingiustizie”, come ha sottolineato spesso Abete.

CELLINO - Allo scoperto ieri è uscito nuovamente Cellino intervenendo ai

microfoni della “Politca nel Pallone-Gr Parlamento”: «Questo tavolo non l’ho

capito». Ha spiegato: «Se doveva servire per far stringere la mano a due

società come Juventus e Inter e dimostrare che i valori dello sport sono

superiori a tutto, allora bastava la presenza di Agnelli e Moratti. Ma cosa

c’entrano gli altri?» Perché se Galliani e Della Valle (che per primo ha

lanciato la proposta) possono avere un motivo per esserci, a parere del

presidente del Cagliari non si comprende la presenza di De Laurentiis che

all’epoca dei fatti non era nemmeno un “socio” della Lega. E ancora: «Perché

mai non si invita la Lega che pure per quei fatti è stata parte lesa?» E qui

l’accusa durissima a Petrucci: «Così è solo una iniziativa che si trasforma in

un atto arrogante di sopraffazione della Lega. L’idea che ci siano presidenti

che si collocano al di sopra delle regole si trasforma di fatto in un

sabotaggio del faticosissimo percorso che abbiamo intrapreso per trovare una

unione al nostro interno».

DANNI - Gli umori in Lega dove non esiste una leadership non sono in questo

momento positivi. E se Abete non viene ritenuto rappresentativo del mondo del

calcio professionistico, Petrucci viene visto quasi come un alieno. Posizioni

abbastanza condivise che alcuni (Cellino, Zamparini) portano all’esterno, ma

che molti altri condividono. E se Beretta lancia freddi «auguri» (una volta

accompagnati dalla speranza di figli maschi) ai commensali del tavolo, gli

altri si chiedono che senso abbia tutta questa mobilitazione per vicende ormai

giudicate e condannate tanto dalla giustizia sportiva quanto da quella

ordinaria. Tra l’altro la stessa iniziativa risarcitoria portata avanti dalla

Juventus ha irritato diversi presidenti visto che il conto presentato alla

Federazione nel caso di richiesta di saldo finirebbe per essere presentato

sempre alle società professionistiche, cioè alla Lega. Ecco perché Cellino non

molla: «Qui ci sono dei magistrati, dei galantuomini, che ci hanno dato una

mano perché se non fossero intervenuti la situazione non sarebbe cambiata. E

noi che facciamo? Pensiamo di chiudere la partita con un tavolo che

giornalisticamente chiamiamo della pace».

___

DOMANI A ROMA IL TAVOLO DELLA PACE

Abete apre su Calciopoli

«Si potrà parlare pure del 2006, ma nessuno strattoni la Figc»

L’ottimismo di Petrucci, presidente del Coni: «Mi aspetto serenità da tutti». Moratti: «Vado al tavolo con molta curiosità»

di ALBERTO PASTORELLA (Tuttosport 13-12-2011)

MILANO. Domani, finalmente, cadrà il velo sul tavolo della pace. E tutto sarà

più chiaro. Ma ieri è stato un momento importante per capire lo stato d’animo

con il quale le varie componenti si stanno avvicinando all’evento. Con la Lega

che, come si legge a parte, fa sì gli auguri, ma tiene anche a precisare che

senza il presidente delle società di calcio non avrebbe senso parlare del

futuro del calcio. Con la Federazione che ammonisce con molta chiarezza: «Non

ci faremo strattonare». E con il Coni che, nella figura del presidente

Petrucci , veste i panni non solo del padrone di casa, non solo di chi detterà

l’agenda, ma anche di pompiere preventivo: «L’obiettivo dovrebbe essere

semplice, trovare la serenità perché il calcio è sempre uno sport». Ancora

poche ore e sapremo se le speranze o le ambizioni dei promotori troveranno o

meno riscontro.

CURIOSO Massimo Moratti ieri non era presente all’iniziativa della giornalaccio rosa

dello Sport , che ha promosso il premio “I piedi buoni del calcio”, al quale

invece hanno aderito Abete , Petrucci e Beretta . Ma anche lui ha fatto

sentire il suo parere sull’appuntamento di domani a Roma: «Il mio stato

d’animo? Non so esattamente quale sarà il significato. Quindi vado là con

molta curiosità». E’ una curiosità comune, peraltro: non solo di Moratti, ma

di tutti coloro che vorrebbero capire cosa uscirà dalla riunione.

CALCIOPOLI Un segnale da un certo punto di vista nuovo, per quanto riguarda

il tavolo, sembra però offrirlo il presidente Abete. Che pur ammonendo i

presenti, come annunciato, dal “non strattonare” la Figc, ammette tuttavia che

Calciopoli, in un modo o nell’altro, sarà comunque un convitato di pietra:

«Sarà una opportunità per approfondire tante problematiche riguardanti gli

ultimi difficili anni e le criticità collegate a Calciopoli. Sappiamo che nel

mondo del calcio ci sono tante tensioni accumulate dagli eventi del 2006 in

avanti: tutti possono portare avanti la propria tesi, ma nessuno pensi di

strattonare la Figc. Noi da subito abbiamo appoggiato l’iniziativa del Coni:

il nostro ruolo è essere garanti delle regole, senza avere figli e figliastri,

senza una logica di nemici e guerra». Abete ha quindi detto: «Quando si

parlerà della riforma del calcio, la discussione riguarderà tutte le

componenti di questo mondo».

PAROLA D’ORDINE Per il Coni c’è una sola parola che deve accompagnare tutte

le componenti che parteciperanno al tavolo. La serenità, quella serenità che

il mondo del calcio deve ritrovare al più presto per chiudere un periodo

turbolento: «Io sono sereno e mi auguro che lo siano anche tutti gli altri. Il

calcio è uno sport e nessuno deve dimenticarlo. Ecco perché dico che mi

aspetto serenità da parte di tutti. Ho letto le opinioni di tante persone che

parlavano di questo tavolo, ma non rispondo a nessuno, non faccio polemiche.

Il Brescia vorrebbe partecipare? Il Coni ha fatto i suoi inviti per questo

tavolo e chi è rimasto fuori non si deve arrabbiare perché questa non è

l’assemblea di Lega. Ripeto, chi non è stato pregato di intervenire, non si

deve offendere perché io non posso fare un’assemblea di Lega. C’è Abete, il

presidente della Figc, che rappresenta tutte le società di calcio. Chi si

offende dimostra di non essere cosciente di quello che dice lo statuto della

Figc, l’associazione che rappresenta i club. La Lega è importante, ma fidatevi

della Figc». Secondo Petrucci, si dovrebbero anche “chiudere definitivamente

le pagine di corsi e di ricorsi”. E confessa di non capire “questa attesa

spasmodica: si tratta di un incontro normale».

SASSOLINI Anche Petrucci, tuttavia, ha un’anima. E quest’anima non gli

consente di risparmiarsi una frecciata: «Permettetemi di ringraziare un

presidente che anche l’altro giorno, come sempre, è stato molto carino e

rispettoso con me e ha ricordato che il Coni non si comporta bene». Il

riferimento, ovviamente, è a Zamparini , presidente del Palermo, da sempre uno

dei più critici, non essendo stato invitato. Con Moratti, invece, non ci

saranno problemi: «La battuta sui coltelli sotto il tavolo è vecchia e dopo ne

ha fatte altre. Ho parlato con Moratti ed è sereno, come è sereno anche

Agnelli ».

LA LEGA OUT

Beretta a denti stretti

«Auguri a tutti quanti»

di ALBERTO PASTORELLA (Tuttosport 13-12-2011)

MILANO. L’occasione non è tale da consentire ulteriori

polemiche. Ma è chiaro che la Lega Calcio, per non essere

stata invitata al tavolo della pace, non è che abbia fatto

proprio i salti di gioia. Parlare di calcio senza che ci

sia la Lega, che rappresenta tutte le società, viene

considerato un mezzo sgarbo. Ma il presidente Maurizio

Beretta ha voluto innanzitutto inviare a tutti i

partecipanti, seppure un po’ a denti stretti, un

messaggio: «Bisogna fare a tutti i partecipanti i migliori

auguri, perché ci siano gli elementi di una vera

riappacificazione». Poi, nel ricordare quale deve essere

il ruolo della Lega Calcio, mette qualche paletto: «Questo

non sarà, ovviamente, il tavolo della Lega. E quindi non

credo che si potranno affrontare le problematiche del

calcio del futuro, perché in questo caso ci vorrebbe un

coinvolgimento diverso».

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Il Pallone di Luciano

Cari juventini non illudetevi:

il vertice produrrà ingiustizie

di LUCIANO MOGGI (Libero 13-12-2011)

Petrucci non ha reso nota l’agenda, sembra però che tutti sappiano tutto e

pontifichino di conseguenza. Tutti a plaudire, nessuno a ricordare come è nata

l’iniziativa. Andrea Agnelli aveva chiesto un “tavolo politico”. Petrucci l’ha

trasformato e l’impressione è quella di un calderone, nel quale c’è tutto e

forse manca il punto di partenza. Annacquati i puntelli, cavalli di battaglia

del presidente della Juve: i fatti del 2006, l’impar condicio pagata solo dal

club bianconero, lo scudetto di quell’anno trasferito all’Inter per motivi

etici inesistenti, e sullo sfondo del tutto dimenticata la relazione di

Palazzi, quella che ha accertato la violazione dell’art. 6 tout court a carico

dell’Inter, l’illecito sportivo per chi provasse a dimenticarlo, il grido di

Abete (chissà quante volte se ne sarà pentito) che l’etica non sarebbe andata

in prescrizione, l’invito dello stesso Abete a Moratti di rinunciare alla

prescrizione, invito arrogantemente respinto.

Troppe chiacchiere

C’è anche chi come Carraro, invece di tacere, chiede alla Juve di rimuovere

dallo stadio i due ultimi scudetti, il 28 e il 29, senza chiedersi come e

perché resta nella bacheca dell’Inter l’ultimo del 2006, che sta lì solo per

prescrizione, quindi indebitamente, e perché non si è trovato un organo della

Figc che si dichiarasse competente per revocarlo, con l’ultima barzelletta che

non essendoci stato un atto specifico, per questo motivo non può essere

rimosso. C’è chi sostiene (Spy Calcio) che «Agnelli non calcherà la mano sullo

scudetto 2006, per non rischiare di fare alzare Moratti subito dal tavolo». Se

le cose stanno così, allora ha ragione chi vede nel tavolo un gioco delle

beffe, e non un tavolo di pace. E a questo punto un concetto deve essere

chiaro: se la pace vuole intendersi come una genuflessione di fatto ai diktat

di Moratti («non ci penso per niente a cedere lo scudetto»), mentre lo stesso

patron nerazzurro se ne sta zitto sui fatti e misfatti del club (svelati da

Palazzi), allora ha ragione la tifoseria bianconera, Agnelli non dovrebbe

nemmeno sedersi, a meno che nelle più alte sfere bianconere non siano stati

decisi piani diversi. Lo dice con chiarezza, pari a una stilettata, il blog

aspettandogodot10: “Dovrebbe essere un tavolo della pace ma forse è una via

di fuga”. Insomma c’è puzza di bruciato e di digressione (inutile) su altri

problemi. Non si capirebbe altrimenti la presenza di De Laurentiis, un segno

di considerazione, certo, e di attenzione sui temi esternati dal patron del

Napoli, ma non c’entrano niente con quel tavolo che avrebbe dovuto (lo dico

già al passato) pacificare i duellanti.

Cari amici tifosi bianconeri, lo scenario è questo, mi dispiace per la vostra

battaglia, che è stata anche la mia, e lo è ancora, ma se parlano ancora

Carraro e Guido Rossi, se nessuno dice a Petrucci che proteggere Abete non

significa cassare a comodo tutti i suoi errori (gli chieda Petrucci perché e

come è stata adottata e segretata la radiazione cancellata di Preziosi), se

questo è lo scenario e anzi l’andazzo la conclusione può essere una sola, un

altro atto di somma ingiustizia.

Parla il campo

Juve e Milan non sono più sole, l’Udinese è qualcosa in più di un disturbo e

probabilmente lo è anche la Lazio. Il quadro aggiornato nasce dal Milan che

rallenta pareggiando a Bologna. Il Bologna che fa la voce grossa, Allegri che

mostra come si può parlare di errori arbitrali anche quando ti hanno aiutato,

ma nessuno evoca complotti o cupole. Si son passati tutti la voce, sono solo

errori, hanno messo in mezzo anche la Juve per l’aiuto, peraltro non

determinante, che ci sarebbe stato nella gara con il Cesena, stavolta comunque

non serviranno a qualche investigatore i tabellini della giornalaccio rosa, è un’altra

storia, ora viene vista così. Mazzarri iscrive altri due punti tra quelli

pagati per la Champions, ma a Novara il Napoli ha rischiato di più. Tesser ha

messo il bavaglio al più titolato avversario, sfiorando anche la vittoria.

Azzurri lontani dalla vetta e dai posti Champions, ma è inutile dire che De

Laurentiis ha sbagliato a privilegiare la Coppa, intanto agli ottavi è

arrivato, e c’è tempo per recuperare. Domenica derby del sud con la Roma al

san Paolo.

La batosta col Cesena ha lasciato l’amaro in bocca al Palermo, ma la

classifica è ancora buona. Cesenati trascinati da Mutu. L’Inter è riemersa

scavalcando la Fiorentina, oggi il recupero con il Genoa, che è andato a

vincere a Siena, periodo nerissimo per i toscani, attesi stasera a Palermo per

la Coppa Italia.

Modificato da Ghost Dog

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di Riccardo Signori - 13 dicembre 2011, 08:00

il giornale.it

Ve li immaginate Moratti e Agnelli che si guardano negli occhi, pronti a baciarsi? Troppo alternativa? Forse. Troppo gaya? Suvvia, non pensate male. Ma sul web ci hanno già provato seguendo il Benetton style, che ritocca foto e ispira campagne pubblicitarie. Poi hanno fatto ammenda, tanto nessuno ci avrebbe creduto. No, difficile pensare che Moratti e Agnellino domani finiscano così e forse nemmeno a braccetto. Al massimo una stretta di mano, perch´ fra gentlemen una mano stretta, non tesa, si nega a nessuno. Ecco, ieri l'atmosfera disegnata da parole e musica di Petrucci, Abete, Beretta, presidente di Lega (va detto sennò nessuno ricorda il suo ruolo) e il Moratti medesimo, ha riproposto la difficoltà a rendere credibile il tavolo della pace, ribattezzato dei lunghi coltelli, che prenderà forma a casa Petrucci.

Siamo vicini all'ora X e, ieri, il presidente del Coni ha provato a dare a tutti l'ultima benedizione di pace. Forse timoroso di scoprire davvero che qualcuno si porterà i coltelli, altro che ulivo. Ne è stata occasione una manifestazione connaturata al cuor d'oro, presentata a Milano nella sede della giornalaccio rosa dello sport che ne è pure patrocinatrice: si chiama premio «I Piedi buoni del calcio - Lo sportivo esemplare», e intende valorizzare i calciatori di Serie A capaci di fare buon uso della popolarità sia dentro il campo (con il comportamento), sia fuori, portando avanti iniziative di solidarietà attraverso personali fondazioni o con associazioni e onlus (il ricavato del galà-premiazione sarà devoluto alla Fondazione Candido Cannavò e alla Cooperativa Agorà 97 - I Bindun).

Quale miglior occasione per l'ultima predica? Il presidente del Coni ci ha riprovato, sollecitando la bontà d'animo dei suoi invitati. «Ho chiamato chi probabilmente servirà a riportare serenità». Ovvero i soliti noti. Con Moratti che ogni tanto ammolla un buffetto, Agnelli che si è defilato, i Della Valle in fervida attesa. Anche ieri il presidente interista ha lasciato cadere poche parole, ma con il sale dell'ironia che, nel suo caso, è un po' corrosivo. «Tavolo della pace? Non so quale significato avrà. Andrò con molta curiosità». Quando vuol essere conciliante il patron nerazzurro usa altro modo di parlare, ed allora Petrucci gli ha replicato con monacale pazienza. «Gli ho già parlato, sa già di cosa parleremo. É una persona di buon senso ed ho fiducia in lui».

Ed allora «serenità!», usato un po' come l'«allegria!» di Mike Bongiorno. Una sorta di scudo per evitare eventuali siluri. Lo dicono tutti, ciascuno a suo modo. Petrucci l'ha persa soltanto parlando di Zamparini che gli fa girar le... cose. «Un presidente come sempre carino e rispettoso per ricordare che il Coni non si comporta bene». Poi è tornato cardinalizio: «Non si deve offendere chi non è stato invitato: perch´ questo scetticismo? Presidenti, siate buoni tutto l'anno, non solo sotto Natale. Ah, se i presidenti fossero più uniti... Il calcio ne avrebbe un vantaggio».

Vanno a braccetto, loro sì, Petrucci e Abete, ovvero il presidente federale che qualche colpa ce l'ha per tutto il guazzabuglio fra Moratti e Agnelli ed ha cercato di confezionare il pacco regalo in confezione natalizia: «Dall'incontro dovrà nascere uno spirito positivo per capire che Calciopoli è stato un trauma e ha determinato effetti difficili negli anni successivi. Ma dobbiamo avere la capacità di guardare con serenità al passato ed anche al futuro. Nessuno pensi di strattonarci. Il nostro ruolo è essere garanti delle regole senza avere figli e figliastri, senza una logica di nemici e guerra».

Poi Abete ha dovuto ammettere che non si sente da tempo sia con Moratti sia con Agnelli, cioè con i duellanti che nessuno riesce a far tirare indietro. Il tavolo della pace ha dato questa sensazione: proposta rasserenante di Petrucci, quei due che se ne dicono, gli altri che vogliono farli tacere ed invece ora c'è chi si agita di più. Per esempio Beretta che fa spallucce all'invito mancato, con lo snobismo di chi si rode: «Credo che il problema riguardi solo alcune società, dunque auguri. Ma ricordate che, in futuro, servirà un tavolo di costruzione più vasta per discutere le regole».

Ecco, qui sta il problema: anche Moratti non vuol parlare di passato, solo di futuro. Agnelli pensa al passato. Quel bacio non s'ha da fare.

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Moratteide: la tragicomica epopea di una grande squadra di calcio

La stucchevole vicenda di calciomercato che vede sugli scudi (l'ex)

attaccante dell'Inter Samuel Eto'o, riporta sotto i riflettori del

calcio nazionale la gestione societaria e tecnica della squadra

milanese sotto la presidenza di Massimo Moratti. Quasi 17 anni di

decisioni e improvvisazioni, che Tempi. it, da oggi, vi racconta.

Puntata per puntata

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 23-08-2011)

Da giorni, sui giornali e in tivù, appare un Samuel Eto'o in tunica

nerazzurra (complimenti a Sky per il tempismo!) che fa gridare al miracolo

mentre levita nell'aria durante un'acrobatica rovesciata. Il vero miracolo

in casa Inter, però, sarebbe un presidente che finalmente dimostri di essere

adeguato per condurre la realtà societaria di una grande squadra di calcio.

Cosa che negli ultimi 16 anni è accaduto molto raramente.

Nonostante, Massimo Moratti, l'attuale patron dell'Inter goda di una

speciale immunità da critiche da parte dei commentatori sportivi, non solo

di parte interista, con la scusa di avere speso, negli anni palate di soldi

per arrivare ai trionfi tanto agognati (vi racconteremo poi in che modo), è

giunta l'ora, dopo l'ennesima estate, dove, in casa interista, chi ci

capisce qualcosa è bravo, di raccontare con rispetto, ma senza falsi pudori

e con un tocco di ironia (autoironia), la storia di questi anni morattiani,

giusto per dare un senso alla desolazione (anche durante i periodi

vittoriosi) che attanaglia i tifosi interisti. Massimo Moratti rileva

l'Inter Football Club il 25 Febbraio 1995; vuole ripercorrere i fasti della

presidenza di suo padre Angelo, quelli di Helenio Herrera in panchina e di

"SartiBurgnichFacchettiBedinGuarneriPicchiDomenghiniBicicliMazzolaSuarezCorso"

in campo.

Scudetti e Coppe dei Campioni, ma anche una fine repentina: nel 1967, in

pochi giorni la squadra perse l'ennesima finale europea contro il Celtic e

uno scudetto già vinto (papera di Sarti contro il Mantova e sorpasso della

solita Juve). Chi scrive, undicenne all'epoca, ne fu sgomento testimone.

Poi vennero le presidenze Fraizzoli e Pellegrini. Poche furono le

soddisfazioni:

1971, un campionato vinto sotto la stella Boninsegna, una rimonta di 9

punti sul Milan (con i 2 punti in palio era ben più difficile ribaltare gli

ordini di arrivo), un Herrera (Heriberto) licenziato dai "senatori" e

autogestione "coperta" da tal Invernizzi in panca.

1980, un anonimo titolo tricolore con il trainer Bersellini e uno dei

record (1989), con il Trap in panca, strappato all'odiata Juve, mentre il

Milan vinceva Champions a ritmo seriale sotto la guida di Sacchi. Tra uno

scudetto e l'altro, e non per modo di dire, qualche Coppa Uefa ('91 e '94) ,

il mancato arrivo per ragioni diverse di un paio di fuoriclasse (Platini e

Falcao), gestioni presidenziali, certo problematiche, ma condotte con stile,

(anche se la deriva conclusiva della gestione Pellegrini, Orrico "docet", fu

difficile da digerire), impegnate a tenere alto il blasone dei "bauscia"

interisti contro le rivali di sempre Milan e Juve, che pure loro

affrontavano problemi non da poco.

Un esempio? Il mancato ingaggio da parte dell'Avvocato Agnelli del giovane

ma già acclamato Maradona, per non offendere gli operai della Fiat in cassa

integrazione e l'onta della "B" (due volte) che il Milan subì, per colpa di

alcuni suoi giocatori, scommettitori illegali. Insomma per il tifoso

interista gli anni '70, '80 e metà dei '90, poche gioie e diverse delusioni.

E' in questo scenario, di un calcio che tra l'altro si sta velocemente

trasformando e che è succube dell'invadenza sempre più esplicita degli

sponsor e dall'avvento delle tivù locali con il loro monitoraggio quotidiano

degli spogliatoi e delle voci di mercato e delle satellitari con le loro

promesse di incassi televisivi sempre più appetitosi ma con l'obbligo di

regole "mediatiche"via via più assurde, che il giovane Moratti decide

perentoriamente di giocarsi immagine e "budget" di famiglia nell'avventura

calcistica.

___

Anno 1995: comincia la gestione di Paperon Moratti

Seconda puntata della tragicomica epopea dell'Inter sotto la gestione

di Massimo Moratti. L'uomo capace di spendere 800 milioni di euro per

cento giocatori, tra fondi di magazzino, bluff e (poche) stelle

Continua la nostra storia semiseria sugli anni di presidenza di un

giovane petroliere prestato al mondo del calcio italiano e stritolato

dal medesimo: tutto per adempiere a una missione, tornare a far

vincere l'Inter e riportarla ai fasti europei, tanto cari alla

nostalgica bacheca di famiglia.

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 25-08-2011)

Anno 1995: giovane per entusiasmo e intraprendente da subito, Massimo Moratti,

entra immediatamente nel cuore dei tifosi. Anche se le perplessità per una

futura gestione adeguata alle responsabilità dirigenziali di un grande club,

avanzano molto presto: nei primi sette anni, da qui al fatidico 2002 (di cui

si scriverà abbondantemente nelle prossime puntate), Moratti acquista ben 88

giocatori, scialando dalla cassa di famiglia ben 1. 000 (mille) miliardi di

lire (500 milioni di euro!), proseguendo fino al 2007 i milioni di euro

diventano 800 (ottocento!) e i giocatori acquistati superano il centinaio;

tutto questo bendiddio per un pugno di fuoriclasse, qualche ottimo giocatore,

una schiera di buoni pedatori e un battaglione di bluff da incubi notturni.

Qualche nome? Eccoli e mettetevi comodi:

PORTIERI: Ballotta, Bindi, Carini, Cordaz, Ferron, Fontana, Frey, Frezzolini,

Julio Cesar, Mazzantini, Nuzzo, Orlandoni, Pagliuca, Peruzzi, Toldo

DIFENSORI: Adani, Andreoli, Anglomà, Barollo, Bia, Blanc, Bonucci, Brechet,

Burdisso, Camara, Cannavaro, Centofanti, Carlos, Coco, Cirillo, Colonnese,

Conte, Cordoba, Dellafiore, Domoraud, Favalli, Ferrari, Festa, Franchini,

Fresi, Galante, Gamarra, Georgatos, Gilberto, Gresko, Grosso, Helveg,

Macellari, Maicon, Materazzi, Maxwell, Mezzano, Mihajlovich, Milanese,

Padalino, A.Paganin, M.Paganin, Panucci, Pasquale, Pedroni, Pistone, Potenza,

Rivas, Samuel, Sartor, M. Serena, Silvestre, Simic, Sorondo, Tarantino,

Tramezzani, Vivas, West, Wome, J.Zanetti, Ze Maria

CENTROCAMPISTI: Almeyda, Aloe, Beati, Belaid, Biava, Binotto, Brocchi,

Cambiasso, Carbone, Cauet, Cinetti, dabo, Dacourt, Dalmat, D'Autilia, Davids,

Dell'Anno, Di Biagio, Djorkaeff, Emre, Fadiga, Farinos, Figo, Gonzales,

Guglielminpietro, Ince, Jugovich, Karagounis, Kily Gonzales, Lamouchi, Luciano,

Boumsong, Mancini, Manicone, Maniche, Marino, Morfeo, Moriero, Nichetti, Okan,

Orlandini, Orlando, Paulo Sousa, Pelè, Peralta, Pinto Fraga, Pirlo, Pizarro,

Quaresma, Rebecchi, Seedorf, Sergio, Conceiçao, Sforza, Shalimov, Simeone,

Solari, Stankovic, Trezzi, Vampeta, Van der Meyde, Veron, Vieira, Winter,

Zanchetta, C.Zanetti, Ze Elias

ATTACCANTI: Adriano, Baggio, Batistuta, Branca, Caio, Choutos, Colombo,

Corradi, Crespo, Cruz, Delvecchio, Di Napoli, Ferrante, Ganz, Germinale,

Ibrahimovic, Kallon, R.Keane, Kanu, Martins, Meggiorini, Momentè, Mutu, Obinna,

Pacheco, Pancev, Rambert, Recoba, Robbiati, Ronaldo, Russo, Sinigaglia,

Slavovsky, Suazo, Hakan Sukur, Ventola, Veronese, Vieri, Zamorano

E poi quelli attualmente in rosa e quelli che hanno già salutato o stanno per

farlo:

Muntari, Santon, Balotelli, Eto'o, Sneijder, Chivu, Arnautovic, Thiago Motta,

Milito, Biabiany, Lucio, Samuel, Nagatomo, Pazzini, Coutinho, Jimenez, Pandev,

Mariga, Obi, Karjia, Ranocchia, Jonathan, Alvarez e sicuramente dimentichiamo

qualcuno…

Se avete avuto il tempo e la pazienza di leggere questa fila interminabile di

nomi, avrete notato come dall'Inter in questi ultimi sedici anni è passato il

mondo calcistico e avrete anche notato della capacità della presidenza

morattiana e della dirigenza tecnica di coltivare pseudo giocatori che dopo

qualche mese si sono accorti che forse il calciatore non era il loro mestiere,

e nello stesso tempo, mandando segnali di grande competenza, sbolognare come

fondi di magazzino veri e propri campioni che hanno fatto la fortuna di

dirette avversarie, ricevendo in cambio, quelli si, veri e propri flop!

Qualche lettore avrà già individuato di chi stiamo parlando, per gli altri

scopriremo l'arcano strada facendo, nelle prossime puntate.

Se non siete ancora esausti della lettura, siccome non vogliamo passare per

cinici e preconcettualmente avversi alla presidenza Moratti, ammettiamo che

alcuni giocatori sono stati dei casi umani all'insaputa anche dalla cosidetta

"stampa specializzata" e qualche nome importante, trovatosi in gravi

situazioni fisiche, dopo essere stati curati e coccolati a spese della società,

cioè da Moratti, sono stati dei perfetti ingrati. Fischiano le orecchie a

Kanu e Ronaldo? E ad Adriano e Balotelli?

___

Provaci ancora Massimo!

Terza puntata per Moratteide, la storia della tragicomica epopea

dell'Inter sotto la gestione di Massimo Moratti. Doveva essere il

Presidente della nuova Inter, la squadra carica di successi, ma i suoi

primi anni da dirigente iniziano all'insegna della confusione

strategica. Peccati dovuti all'inesperienza o inclinazione congenita

al motto "indecisi a tutto"?

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 31-08-2011)

Siamo giunti al 1995: povero Massimo, bisogna capirlo, ha deciso di iniziare

l'avventura della presidenza dell'Inter da pochi mesi, è generoso ma

inesperto. E i guai dell'inesperienza vengono subito a galla. Nell'estate del

'95, primo calciomercato dell'era morattiana, si parte subito con i fuochi

d'artificio: arrivano due giovanissimi che fanno ben sperare: il terzino

"d'attacco" Roberto Carlos, brasiliano, e "l'Avioncito" argentino Sebastian

Rambert, attaccante; dall'Inghilterra viene acquistato un centrocampista di

quelli tosti Paul Ince. Arriva anche qualche nome interessante italiano

Maurizio Ganz e "il nuovo Scirea" Salvatore Fresi. Ah, dimenticavo, la società

nell'operazione Rambert deve accollarsi anche l'acquisto di un giovanissimo

terzino tuttofare, un certo Javier Zanetti (per la cronaca, Rambert venne poi

scaricato nel mercato di gennaio della stessa stagione). L'allenatore,

ereditato dalla precedente presidenza è Ottavio Bianchi, mister di una certa

esperienza, che parte subito male, vedendo la squadra uscire al primo turno di

Coppa Uefa, battuta dal… Lugano. Sconfitta che in qualche maniera gli costa il

posto: siamo appena alla fine di settembre e già la panchina dell'Inter cambia

titolare; vi si siede Roy Hodgson, raffinato trainer inglese, con esperienze

in squadre europee di media classifica ma, soprattutto, alla conduzione di una

nazionale sempre ai vertici del calcio mondiale: la Svizzera.

Qui si potrebbe aprire il tormentato "capitolo allenatori", la girandola dei

quali, nell'era morattiana è stata argomento di barzellette in ambiti di Bar

Sport, ma ve ne daremo conto mano a mano che si dipanerà la storia. La

"Beneamata", comunque, concluderà il campionato in settima posizione a 19

punti dal Milan, campione d'Italia e si assicura, per il rotto della cuffia,

una partecipazione in Europa per la stagione seguente. Risultato non esaltante,

ma come in tutti i nuovi progetti la pazienza è d'obbligo. Se, però, il

progetto avesse un capo e una coda, cosa di cui qualcuno comincia a dubitare.

Esempio lampante: Roberto Carlos. Acquistato giovanissimo, ma già nazionale, il

brasiliano è indubbiamente un fuoriclasse nel suo ruolo di terzino sinistro:

grande corsa, esplosività nel tiro a rete, unico nel battere punizioni; deve

però fare i conti con la fase difensiva, dove è un po' carente. Ma è giovane e

con ampi margini di miglioramento, non avendo il carattere "farfallone" tipico

della filosofia brasiliana già durante la stagione dà segnali di applicazione

e alla fine risulta tra i più positivi, una sicurezza per il futuro. Morale:

viene venduto al Real Madrid!

E' superfluo raccontare la sorpresa dei tifosi davanti a questo "harakiri"

tecnico : Moratti (o chi per esso) riesce a distruggere in pochi mesi una

coppia di terzini che avrebbe potuto entrare nella leggenda del calcio

mondiale (Zanetti – Carlos) e contemporaneamente rinforza i "blancos" di

Madrid che con il terzino brasiliano vinceranno Liga e Champions. Naturalmente

Moratti in questa operazione scellerata non ci mette la faccia e lascia che

per anni su questa cessione si rimpallino responsabilità Hodgson e Sandro

Mazzola (in quel momento direttore tecnico dell'Inter): la verità non si saprà

mai. Tra l'altro, con la partenza di Carlos, la fascia sinistra difensiva

interista risulterà "stregata", come se gli dei del pallone avessero inteso

come sacrilega tale decisione. Sono circa una trentina fino a oggi i difensori

sinistri che hanno tentato di porvi rimedio, senza apprezzabili risultati,

anzi con vere e proprie debacle (i nomi li trovate nella lista della scorsa

puntata). Solo Javier Zanetti è stato più forte dell'incantesimo malefico, ma

essendo parente di Superman lo fermerebbe solo la Kriptonite. Quasi senza

accorgersi il mister inglese, diventato nel frattempo macchietta comica in

"Mai dire goal", ospite di Aldo, Giovanni e Giacomo (reti Mediaset), continua

a sedersi sulla panca nerazzurra e assiste alla campagna acquisti per la

stagione '96 – '97: nome importante per la storia dell'Inter morattiana, il

genietto francese Youri Djorkaeff, il generoso ma con il piede un po' "a

banana" Ivan Zamorano, il giovanissimo fromboliere nigeriano Nwankwo Kanu, che

dopo poche apparizioni in precampionato viene stoppato dai medici per una

grave malformazione cardiaca; sarà operato, atteso con impazienza ma deluderà

sia in campo che per una certa ingratitudine verso la società che praticamente

gli aveva salvato la vita, chiedendo a più riprese e in maniera poco ortodossa

di essere ceduto. I tifosi, comunque, non lo rimpiangeranno mai.

Oggetto di una fulminante battuta nel primo film di Aldo, Giovanni e Giacomo,

fortemente voluto da Roy Hodgson, arriva anche lo svizzero Ciriaco Sforza. I

"pallini" dei mister, spesso, sono dei flop, specie nell'Inter (Scifo –

Trapattoni, Quaresma - Mourinho, i più eclatanti) il nazionale svizzero

conferma la tendenza: la sua presenza in campo sarà spesso impalpabile. Il

tecnico inglese pagherà anche per questa scelta, arrivando terzo in campionato

a 6 punti dalla Juve, ma l'episodio che decide la sua cacciata dalla panchina

(ma farà di nuovo capolino, qualche anno dopo) è la sconfitta nella doppia

finale di Uefa dove perde ai rigori, davanti al pubblico di San Siro, venendo

quasi alle mani con il mite Zanetti, contro lo Shalke 04 (corsi e ricorsi

storici). Ma Moratti, non si rassegna a questi primi risultati negativi della

sua gestione e ha in serbo per la stagione '97 – '98, un colpo veramente

grosso, anzi, immenso, che sicuramente cambierà le sorti di una squadra alla

ricerca di una precisa identità. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.

___

E alla fine arrivò Ronaldo

Il primo anno di presidenza Moratti comincia a far intravedere ai

tifosi ciò che dovranno sopportare nel futuro della squadra: scudetti

d'estate e rifondazioni caotiche anno dopo anno. Ma il 1997 è l'anno

del sogno Ronaldo

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 02-09-2011)

Mentre mister Hodgson fa le valigie, arriva direttamente dal Napoli il nuovo

allenatore: Gigi Simoni. Radici emiliane, uomo pratico, non più giovanissimo,

grande stile e capacità di rapporto con i giocatori da vecchio saggio; non un

genio di tattica, capace però di costruire formazioni quadrate e solide. Ma la

notizia bomba dell'estate interista è l'acquisto più eclatante, dopo quello di

Maradona, da parte di una squadra di calcio italiana. Dal Barcellona Moratti,

alla modica cifra di 51 miliardi di lire, ingaggia nientepopodimenochè Ronaldo

e i tifosi accolgono con entusiasmo "Il Fenomeno" brasiliano, assaporando già

le vittorie che attendono la squadra avendo tra le proprie fila colui che

viene ritenuto, a ragione, il più forte attaccante del mondo.

Attorno al bomber Moratti, assolda un gruppo di tenaci centrocampisti:

l'argentino Simeone, il francese Cauet e l'infaticabile Moriero, arrivato dal

Milan attraverso complicati giri. In più ci sono un paio di difensori e un

giovanissimo fantasista uruguagio, tal Recoba, detto "Il Chino", che nel tempo

diventerà croce e delizia (molto più croce, per la verità) dell'Inter targata

Moratti. Ma la non chiarezza con la quale il Presidente opera sul mercato crea

un piccolo caso: Maurizio Ganz, "el segna semper lù" viene venduto

inaspettatamente al Milan nel mercato di riparazione invernale e diventa

subito protagonista nel derby di Coppa Italia, estromettendo dal torneo,

praticamente da solo, la sua ex squadra. Una piccola ombra che non riesce a

oscurare il cammino della Beneamata trascinata da Ronaldo, sia in Campionato

che in Coppa Uefa. La vera tempesta che si abbatterà sul cammino tricolore ha

i colori bianconeri degli juventini. Dopo aver condotto in testa buona parte

del torneo, i nerazzurri, a quattro giornate dalla fine, devono rincorrere la

Juve, e proprio ora c'è in programma la sfida diretta di ritorno: Juve punti

66, Inter 65. La partita di Torino non finirà nel migliore dei modi per la

squadra milanese: la Juve è in vantaggio con Del Piero quando avviene il

patatrac, qualcosa che incrinerà per sempre la storia della concorrenza tra le

due grandi compagini e tra i dirigenti delle due società.

Quel pomeriggio attecchirà il seme di Calciopoli che germoglierà ben otto

anni dopo. All'Inter, in svantaggio, viene negato un clamoroso rigore, per un

atterramento di Ronaldo, in piena area juventina da parte del centrale

difensivo Mark Juliano. Ma non finisce qui: mentre avvengono le rituali

proteste della squadra danneggiata (brutta abitudine, specialmente della

cultura calcistica italiana) gli juventini ricevono un rigore a favore, che

comunque lo stesso Del Piero si fa parare. Ma ormai in campo regna l'anarchia

e la confusione più totale: Gigi Simoni, abitualmente compassato e ligio alle

regole, aggredisce verbalmente l'arbitro e entra in campo con palla in

movimento al grido di "Vergognatevi!" e si fa espellere. E anche Ronaldo si

abbandonerà a dichiarazioni di fuoco davanti ai microfoni di "90° Minuto", che

saranno oggetto di provvedimenti disciplinari da parte del giudice sportivo.

Ma lo "tsunami" di polemiche non si concluderà in campo. La stampa e le tv

nazionali, nelle ore seguenti, saranno palcoscenici mediatici e luoghi di

scontri accesi tra le fazioni avversarie e inizieranno a rovistare negli

episodi poco chiari nella carriera del direttore tecnico della Juve, Luciano

Moggi: cominciano a nascere i primi sospetti sulla correttezza dei suoi

rapporti con la classe arbitrale al fine di ricevere favori sul campo. Queste

sono le premesse di quello che poi scoppierà nell'estate del 2006, che intanto

porteranno all'intensificarsi dell'insistita e ingiustificata deriva

vittimista del Presidente Moratti, sempre più convinto che i mancati successi

del suo team dipendano da una sorta di complotto anti-Inter e non invece il

naturale risultato di strategie isteriche e pressappochiste.

Comunque la stagione interista finisce in gloria con la conquista della Coppa

Uefa nello stadio "Parco dei Principi" di Parigi contro la Lazio, in una

partita convincente e spettacolare. Il risultato finale recita 3 a 0 per i

nerazzurri, con due flash "d'autore": un gol (uno dei pochi, in tanti anni di

carriera) di Javier Zanetti, una "minella" dal limite dell'area avversaria

sotto l'incrocio dei pali, ma soprattutto una magica serie di finte di Ronaldo

che fa sedere Marchegiani, il portiere laziale e insacca. Ma nonostante questo

limpido successo, non si acquietano le voci di un cambio sulla panchina

occupata da Simoni: Tronchetti Provera, guida operativa del Gruppo Pirelli,

sponsor dell'Inter e azionista del Consiglio di Amministrazione della stessa,

spinge per il suo esonero (voci di corridoio parlano di contatti con

Zaccheroni, allenatore emergente della rivelazione Udinese). Insieme a lui,

spinge al cambio la solita stampa specializzata che accusa Simoni di proporre

un gioco monotono, anzi, un non-gioco (palla lunga a Ronaldo e poi ci pensa

lui).

Ma la limpida vittoria in Coppa fa tentennare Moratti sul da farsi, rompe le

uova nel paniere ai "ribaltonisti" del povero Gigi e nell'impasse si inserisce

il Milan che soffia ai nerazzurri Zaccheroni. Evidentemente, una sensata

gestione tecnica, non avrebbe dovuto neanche porsi il problema della

sostituzione di un allenatore che al suo primo anno in società aveva raggiunto

già buoni risultati, avendo anche rispetto e collaborazione dai suoi giocatori,

ma forse un suo deficit "mediatico" da uomo di sport "all'antica" e magari

qualche parolina di perplessità sussurrata a orecchie interessate da Ronaldo,

mettono l'uomo di Crevalcore in precario equilibrio nelle considerazioni

presidenziali.

Si continua con Simoni dunque, che nell'estate 1998 vede arrivare come

giocatori per la prossima stagione: il "Divin Codino" Roberto Baggio, antico

pallino morattiano, due giovanissimi, Ventola, centravanti del Bari, e un

giovanissimo centrocampista del Brescia, Andrea Pirlo, assieme a un paio

d'altri gregari, Cristiano Zanetti e Dabo, e un giovane terzino sinistro

francese Silvestre, che venduto a fine stagione diventa protagonista in

Premier League nelle fila del Manchester United per un bel po' di anni.

Malgrado le solite incongruenze e sviste tecniche un'altra campagna acquisti

lussureggiante, giusta per una squadra che ha tra le sue fila il più grande

attaccante del mondo. Ma è proprio nell'estate 1998, quella dei mondiali in

Francia, che Ronaldo affronta nel suo Brasile una serie di misteriosi

infortuni che finiscono per condizionare gravemente la sua resa in campo. Ma

di questo parleremo nella prossima puntata.

___

La scelta di Massimo: via il miglior allenatore della stagione

Nell'estate del 1998, anno dei Mondiali in Francia, Ronaldo accusa

misteriosi problemi di salute. Il Fenomeno ha bisogno di operarsi al

ginocchio e la ripresa si annuncia lenta, i tifosi interisti dovranno

aspettare ancora un po' prima di vedere il brasiliano in campo assieme

a Roberto Baggio. Alla guida della squadra c'è ancora Simoni, ma non

per molto. . .

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 06-09-2011)

Estate 1998: i tifosi interisti lo avevano salutato augurandogli "buon

viaggio" verso il ritiro del Brasile e un "in bocca al lupo" per l'avventura

mondiale in terra francese. Mai avrebbero immaginato di soffrire e di

preoccuparsi per le sue sempre più precarie condizioni fisiche. Mano a mano

che il torneo si sviluppava, Ronaldo appare sempre più stanco e oggetto di

voci incontrollate su fantomatici infortuni. Si parla di cure intensive dopo

un pestone ricevuto da Davids nella gara contro l'Olanda: un tallone fuori uso,

curato con misteriose cure per non perdere l'appuntamento per la finale

contro i padroni di casa. Finale nella quale Ronnie non scende in campo, anche

se annunciato come titolare. A ridosso del pre-partita circolano voci di una

crisi nervosa durante la notte, addirittura c'è chi ipotizza l'insorgenza di

una forma di epilessia dovuta a un'allergia ai farmaci antidolorifici con i

quali il fuoriclasse è stato imbottito per combattere i traumi muscolari. Il

Brasile perde contro la Francia di Zidane & co. ed è impressionante la scena,

qualche giorno dopo, di Ronaldo che scende a fatica la scaletta dell'aereo che

riporta sul suolo patrio la squadra carioca.

Ma cosa è successo a Ronnie? Che cosa gli hanno fatto? Un mese di riposo non

basta al brasiliano per recuperare quella che ai più attenti risulta una

tendinopatia rotulea risolvibile con una operazione chirurgica. La società

però nicchia. L'attesa di vedere "il Fenomeno" duettare insieme a Roberto

Baggio in un reparto d'attacco che si annuncia tra i più forti al mondo è

snervante, la stagione parte un po' in sordina anche perché il fantasista

italiano non è in perfette condizioni. Il peso di sopperire alle defaillance

dei campioni è tutto sulle spalle dei giovanissimi Pirlo e Ventola che,

nonostante la fiducia riposta in loro dal tecnico Simoni, non può essere

sopportato a lungo. A proposito di Pirlo, cari milanisti, simpaticamente

cialtroni, vi ricordate le risate che scoppiavano sonore quando il mister

interista paragonava Pirlo a Rivera? L'inizio titubante dell'armata nerazzurra

(non poteva essere diversamente mancando due pedine così importanti) è un

invito a nozze per i detrattori di Simoni ai quali il Presidente, naturalmente,

si accoda. Non basta dimostrare che la squadra sa reagire alla sorte avversa

giocando, per esempio, un'epica partita in Champions League contro il Real

Madrid a San Siro (si era capitati nel girone dei vincitori dell'edizione

precedente nel torneo, che presentava per la prima volta l'attuale formula),

dove raccogliendo le ultime risorse fisiche a disposizione Ronaldo nel primo

tempo e Baggio entrato a partita iniziata, autore poi della doppietta decisiva,

sbaragliano i blancos e si mantengono in corsa.

Ma non basta. E' una sera di fine novembre: Simoni, raggiunto il luogo dove

verrà premiato quale miglior allenatore della stagione precedente, risponde a

una telefonata e dall'altro capo del telefono sente la voce di Moratti che gli

comunica, con "dispiacere" l'esonero immediato. Anche se la musichetta del

luna park non si sente, è confermato che all'Inter è ripartita "la giostra

degli allenatori": la panchina ora appartiene a Mircea Lucescu, rumeno che

aveva già un passato di allenatore in Italia dal 1990 al 1997, ben

impressionando alla guida del Brescia, dove rimase per 5 anni. Non avendo la

bacchetta magica anche Lucescu si trova davanti agli stessi problemi di

Simoni: Ronaldo viene finalmente operato, dopo un lungo periodo di

riabilitazione, ritornerà in campo, dosando le presenze, aspettando tempi

migliori. Lucescu fa appena in tempo a raggiungere i quarti di finale in

Champions, perdere contro il Manchester United (che vincerà il torneo) che

Moratti aziona ancora una volta la leva della "giostra" lo defenestra e al suo

posto arriva Castellini, soluzione provvisoria "casalinga": è il 21 Marzo 1999.

Dopo poco più di un mese Moratti si domanda: "Ma perché continuare con

Castellini? Quasi, quasi richiamo Hodgson". E infatti, ecco rimaterializzarsi

l'inglese ad Appiano Gentile (per la gioia di Zanetti). Risultato: ottavo

posto in campionato e manco la possibilità di una coppettina europea nella

prossima stagione. Non rivedremo mai più Roy all'Inter. Lo scontento dei

tifosi nel frattempo monta, tanto da far minacciare le dimissioni a Moratti,

offeso dalle contestazioni, dimissioni che verranno subito ritirate. La misura

non è colma, gli interisti sono destinati ancora a soffrire altrimenti, che

gusto c'è? Ma c'è un ennesimo colpo di scena, un altro asso nella manica che

il presidente presenta ai tifosi: ed è sicuro, la storia dell'Inter cambierà.

Arriva Marcello Lippi!

___

1999: Marcello Lippi è il nuovo allenatore dell'Inter

Dopo cinque anni Moratti ha già cambiato altrettanti allenatori.

Nell'estate 1999 l'inarrestabile Massimo pesca il nome da applauso:

Marcello Lippi, il tecnico che ha vinto tutto, o quasi, con la

Juventus. Basterà all'Inter per tornare a vincere?

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 08-09-2011)

Estate 1999: nel tentativo di ripercorrere la stessa strada della presidenza

Pellegrini, quando "il ristoratore" strappò alla Juve dopo tanti anni di

successi bianconeri mister Trapattoni, Massimo Moratti chiede e ottiene il

"si" all'avventura interista, dall'allenatore vincente dell'avversario più

odiato: Marcello Lippi. "Allenator giovane" arriva all'Inter forte di un

palmares indiscutibile di vittorie in cinque anni alla Juve: 3 scudetti, una

Coppa Italia, 2 Supercoppe Italiane, una Supercoppa Europea, una Coppa

Intercontinentale, una finale di Coppa Uefa persa contro il Parma, 3 finali di

Coppa Campioni (2 perse, una vinta). Fischia! E'proprio l'allenatore giusto

per una squadra così affamata di vittorie come l'Inter. D'altra parte il

viareggino è ben contento di approdare all'Inter: vuole dimostrare che i suoi

successi alla Juve sono in gran parte merito suo e non del trio

Moggi-Giraudo-Bettega. Infatti, arriva ad Appiano Gentile con pretese di

"General Manager" all'inglese, che in italiano significa "faccio tutto io".

Moratti è perplesso e, cinque minuti dopo averlo ingaggiato, comincia già a

storcere il naso: forse gli accordi non erano questi, pazienza…

Marcello non demorde e da riconosciuto "esternatore" su argomenti religiosi,

nella sana tradizione toscana, appena entrato negli spogliatoi chiede la testa

del cattolico Bergomi, monumento interista e del calcio nazionale (4 edizioni

mondiali giocati, più di 80 presenze in Nazionale). In quel momento il

capitano indiscusso della squadra stava vivendo, a 34 anni, una seconda

giovinezza, dopo essersi riciclato da terzino fluidificante a classico libero

d'area e in attesa del rinnovo di contratto. Un fulmine a ciel sereno, non

però per chi scrive Moratteide, che aveva confidando in tempi non sospetti a

parenti e amici che il primo provvedimento di Lippi sarebbe stato proprio

questo. In modo un po' pusillanime la Società (Moratti) accoglie la richiesta

del nuovo tecnico. Che non si ferma qui: chiede e ottiene anche

l'allontanamento di Simeone, ricordando antiche polemiche tra il giocatore e

il precedente tecnico della Juve, cioè lui stesso. Vengono ceduti anche Taribo

West, Winter, Dabo, Paulo Sousa, Kanu, Djorkeff, Ze Elias, Silvestre, e

vengono arruolati Michele Serena, un giovane centrale difensivo colombiano

Ivan Cordoba, il serbo Jugovic (già alla Juve con Lippi, però abbondantemente

spremuto), il portiere Peruzzi al posto di Pagliuca, il centrale Laurent Blanc

(34 anni, al posto di Bergomi, 36), Domoraud, Panucci e il giovane promettente

centrale Fresi, il nazionale Di Biagio, il greco Georgatos, il talento rumeno

Mutu, il rientrante dal Venezia, Recoba. Dal mercato di Gennaio arriverà, dal

Real Madrid, anche l'olandese Clarence Seedorf. Più che una squadra, una

Babele!

Un via vai, una vera rivoluzione, una costosa rivoluzione, alla quale il

Presidente e le sue tasche si adeguano per accontentare il nuovo "profeta"

titolare della panchina. Ma a Moratti non basta e vuol mettere anche la sua

firma a questa dissennata campagna acquisti: per la modica cifra di 45 milioni

di euro (circa 90 miliardi del vecchio conio) compra il centravanti della

Lazio Christian "Bobone" Vieri. Un girovago del calcio, un furbacchione di

sette cotte, che grazie a un "mordi e fuggi" in diverse squadre, ha raggiunto

cifre di ingaggio da capogiro. La "mission" è quella di affiancare a Ronaldo,

ancora impegnato a recuperare la forma migliore, un altro bomber di sicuro

affidamento, e pazienza se bisogna svenarsi economicamente, l'indotto

pubblicitario dovrebbe salvare le casse esangui. Non sarà così. Finalmente si

parte: ma quella che, sulla carta, doveva essere una stagione memorabile, si

trasforma giorno dopo giorno in un "horror movie" o in uno di quei film

catastrofici tanto in voga negli anni '70. Tra rapporti personali ridotti ai

minimi termini e drammatici infortuni, l'ipotetica stagione delle rivincite

viene definitivamente stroncata.

Lippi, litiga con Panucci, altro bel caratterino, diatriba che costerà al

difensore esclusioni dalla formazione titolare. E poi c'è da aprire il

capitolo Baggio. Il fantasista era già stato alle dipendenze di Lippi nella

Juve, ma "di striscio": infatti il divin codino fu venduto dalla società

bianconera al Milan, proprio con l'arrivo dell'allenatore viareggino, che in

accordo con la dirigenza gli preferì il più giovane ed emergente Del Piero.

Naturalmente Baggio se l'era legata al dito e si adombrò all'accorgersi che,

con grande tempismo, Moratti glielo faceva ritrovare tra i piedi. Il

contenzioso tra i due continuò sempre più insistente per tutto il campionato,

condizionando i risultati in campo. La tranquillità della squadra fu

destabilizzata anche da una serie di incidenti fisici sul campo che ebbero

come vittima Ronaldo. Con Vieri, Ronnie rappresentava un progetto di

coppia-gol invidiata da tutto il mondo del calcio. Purtroppo il progetto in

questa stagione non decollò mai: il 21 Novembre, in Inter-Lecce, si rompe il

tendine rotuleo già parzialmente lacerato e operato nella stagione precedente.

Nuovo stop, nuova operazione, nuova lunga convalescenza e nuovo rientro. E qui

è come raccontare una novella straziante da libro Cuore. Il 12 Aprile 2000,

finale di andata di Coppa Italia, Stadio Olimpico in casa Lazio. Lippi fa

segno a Ronaldo, portato in panchina, di scaldarsi; dopo mesi potrà ritornare

in campo. Ronnie riassapora l'atmosfera della gara, di nuovo protagonista;

sono passati appena sette minuti, un battito di ciglia rispetto ai mesi di

attesa per dimostrare di essere ancora il più forte. E' dai mondiali del '98

che lo vuol dimostrare.

Il pallone tra i piedi, una finta della sue, nessuno gli si fa incontro, ma

il "Fenomeno" crolla a terra. E' come un film al rallentatore, i compagni

impietriti non vogliono pensare al peggio, così pure gli avversari sbigottiti

davanti al destino cattivo di un talento irraggiungibile, la curva laziale non

urla più, lo stadio ammutolisce. Tutti trattengono il fiato. Il ginocchio,

quello più volte operato, cede completamente: un urlo di dolore e le mani nei

capelli dei giocatori più vicini confermano l'entità dell'infortunio e le gole

urlano verso la panchina tutta la loro disperazione. Il film, che in questo

caso è dura realtà, riprende a velocità normale e accompagnato dagli applausi

commossi, di piena solidarietà umana di tutti i presenti, Ronaldo esce in

barella, piangendo egli pure. Lo stadio Olimpico lo rivedrà piangere

amaramente, esattamente due anni dopo. Lo racconteremo.

Stagione segnata, quindi, difficile raddrizzarla. Quando però ci si mette di

mezzo anche la testardaggine e la superbia umana non è più giustificabile. 23

Maggio 2000, l'Inter arrivata quarta in campionato insieme al Parma deve

giocarsi lo spareggio per un posto nei preliminari di Champions. I nerazzurri

vincono 3 a 1, grazie alle magie di Roby Baggio, che però aveva avvertito che

se ne sarebbe andato dall'Inter se fosse rimasto Lippi. L'allenatore da parte

sua aveva chiesto il raggiungimento di un posto in Champions per la sua

conferma nella stagione seguente. Ancora una volta la faccenda è quantomeno

bizzarra: Lippi non viene esonerato proprio grazie al giocatore da lui

ostracizzato. Un bel grattacapo per Moratti, che, denunciando una incapacità

decisionale endemica, lascerà che Baggio dia compimento alla sua minaccia: "Se

Lippi rimane, io me ne vado". Sarà il Divin Codino a fare le valigie.

___

Moratti all'Inter compra, vende e ricompra: meglio dei fratelli Panini

Continua, tra incomprensibili rivoluzioni tattiche, celebrati scudetti

d'agosto, sogni regolarmente infranti, decisioni della presidenza

troppo umorali e veri e propri drammi sportivi, (quello di Ronaldo è

una ferita difficile da rimarginare), l'epopea della presidenza

Moratti all'Inter

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 12-09-2011)

Moratti, malgrado la contraddittoria stagione appena trascorsa, vuole dare

ancora fiducia al mister Lippi, e lo fa mettendo mano, ancora una volta, al

portafoglio: via tutti e tre i portieri (quindi anche il titolare Peruzzi),

via tutta la difesa (Panucci, Fresi, Colonnese, Georgatos, Rivas), alcuni

riferimenti a centrocampo (Moriero e Mutu). Arrivano il portierino francese

Frey (con l'esperto Ballotta in seconda), Macellari, Cirillo e Ferrari in

difesa; Pirlo, sempre impegnato a fare e disfare valigie, l'ala Brocchi, a

centrocampo quel genio di Vampeta, lo spagnolo Farinos, in attacco Robbie

Keane (voluto fortemente dal figlio del presidente dopo averlo visto giocare

in partite trasmesse in tivù) e il turco Hakan Sukur.

Insomma, i fratelli Panini, quelli dell'album omonimo, fanno la figura dei

pirla al confronto di cotanta parata di nomi. Purtroppo all'Inter si comprano

e si vendono giocatori, con la stessa facilità con la quale si staccano le

figurine, e non lo stiamo inventando noi: Panucci, Fresi, Georgatos, Mutu e

Peruzzi, erano stati comprati soltanto l'estate prima, il "televisivo" Keane e

l'inguardabile Vampeta resistono ad Appiano giusto il tempo per ricordarsi

qual è il loro armadietto negli spogliatoi, a gennaio lasciano anche Zamorano,

Domoraud. Pirlo continua il suo errare, in prestito ad altre squadre, ma è

l'ultima volta, nell'estate del 2001, di ritorno dal Brescia, dove ha giocato

qualche mese con Roby Baggio, anche lui da pochissimo esule dall'Inter, per

una cifra importante (35 miliardi di lire) viene venduto, definitivamente, al

Milan.

Dal mercato di Gennaio arriva una promessa, centrocampista "dai piedi buoni",

il francese Dalmat e comincia a fare la conoscenza dell'ambiente un altro

giovanissimo, l'attaccante brasiliano Adriano. Ci scusiamo per la pedanteria

con la quale segnaliamo tutti questi movimenti, ma ci serve per capire meglio

fino a che punto di confusione tecnico-tattica, alla ricerca della squadra

perfetta, la gestione Moratti ha dovuto fare i conti, e non per modo di dire.

Movimenti, in entrata e in uscita, che come avete potuto notare, non

riguardavano solo i giocatori, ma anche l'allenatore. La panca interista

diventa, durante l'epopea morattiana, una costante patata bollente. Le terga

bruciano anche all'esperto Lippi: già le ha portate in salvo, grazie a Baggio,

che è stato determinante nello spareggio per partecipare al preliminare di

Champions conteso al Parma, alla fine della stagione precedente. Preliminare

buttato alle ortiche già in agosto contro i "quasi dilettanti" svedesi

dell'Helsinborg, (Recoba sbaglia un rigore decisivo al 90° del match di

ritorno). Ci può stare.

L'Inter perde anche la Supercoppa Italiana contro la Lazio. Ci può stare.

L'Inter perde anche nella prima giornata di campionato 2000/01 contro la

Reggina: eh no, adesso basta! Dopo pochi minuti del fischio finale, a Reggio

Calabria, nella conferenza stampa televisiva, Lippi anticipa tutti ed esplode

in una filippica contro i giocatori (che aveva voluto lui in campo): "Questi

giocatori dovrebbero essere appesi ad un muro e presi calci in c**o!". E poi,

l'ultimo affondo, un harakiri dialettico, o, forse, un modo per far uscire

Moratti allo scoperto e costringerlo ad una decisione: "Se fossi il presidente

innanzi tutto caccerei l'allenatore!".

Infatti a Moratti non par vero cotanto consiglio, che lo mette subito in

pratica: approfitta della pausa di campionato per la nazionale, licenzia Lippi

e assume Tardelli, in quel momento commissario tecnico della Nazionale Under

21. Resta sempre un enigma come un allenatore, coperto di prestigiosi titoli

in una grande squadra come la Juve, abbia perso completamente la trebisonda in

ambito interista. E' comunque storia e non leggenda il fatto che, dopo quasi

due anni sabbatici, il futuro ct della Nazionale mondiale in Germania

ritornerà ad allenare i bianconeri, per restarci tre anni e rimacinare

successi: 2 scudetti, 2 Supercoppe Italiane e una finale di Champions persa

contro il Milan, ai rigori, in quel di Wembley.

A Moratti, quindi, non rimase che leccarsi le ferite per un rapporto

professionale che, nonostante le premesse, non decollò mai, ma purtroppo il

"progetto" Tardelli si rivelò "la pezza di ripiego peggiore dello strappo":

quella stagione sarà forse la più disastrosa degli anni morattiani, già molto

problematici. Quella della sconfitta per 6-1 contro il Parma in Coppa Italia,

dell'eliminazione in Coppa Uefa ad opera degli spagnoli del Deportivo Alaves

(mica Real Madrid!), della sconfitta a Milano per 2-0, dopo una rocambolesca

trasferta in terra iberica (dall'1-3 al 3-3).

Sarà, soprattutto, l'epocale sconfitta per 6-0, rimediata nel derby di

ritorno, in una calda serata di maggio, che, nonostante alla fine l'Inter

arrivi nella classifica finale del torneo tricolore al quinto posto, proprio

davanti ai cugini, autori della scoppola nella stracittadina, Moratti deciderà

di porre fine anche all'avventura di Tardelli, allenatore dell'Inter, facendo

accomodare in panchina "l'hombre vertical", l'argentino Hector Cuper, discusso

protagonista di un paio di stagioni, che rivivremo nelle prossime puntate.

___

E poi arrivò il 5 maggio 2002

Dopo Bianchi, Hodgson, Simoni, Lucescu e Lippi: ecco Hector Cuper,

allenatore preparato che però incapperù nei problemi della gestione

morattiana e del fatidico 5 maggio contro la Lazio di Poborsky

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 16-09-2011)

Estate 2001: è il turno dell'"hombre vertical", Hector Cuper. L'allenatore

argentino arriva all'Inter dopo più che apprezzabili risultati ottenuti con il

Valencia. Con la squadra spagnola disputa due finali consecutive di Champions,

perdendole tutt'e due, creandosi la fama di eterno secondo. Particolare che

peserà sulla sua esperienza milanese. Cuper arriva in uno spogliatoio

rivoluzionato rispetto alla stagione precedente (e ti pareva!).

Frey, sul quale pesa la sfuriata nello spogliatoio ai compagni dopo il

clamoroso risultato tennistico nell'ultimo derby, viene venduto a favore di

Francesco Toldo. La difesa viene rimossa di nuovo quasi in blocco: fuori

Macellari, Cirillo, Ferrari e Blanc , dentro Materazzi, Padalino, Vivas

(argentino), Sorondo (uruguaiano), Georgatos (di ritorno, in traghetto, dalla

Grecia). A centrocampo, via Cauet e Jugovic, si scaldano i muscoli Sergio

Conceicao (portoghese, dal Parma) e due turchi, arrivati a parametro zero Okan

Buruk ed Emre Belozoglu.

In attacco, molto traffico, tra chi esce e chi entra: innanzitutto l'epocale

scambio Brocchi–Guglielminpietro, fatto col Milan (a proposito alla squadra di

Berlusconi viene anche ceduto in via definitiva Pirlo, bell'affare, eh?),

ritornano i prestiti Kallon e Ventola; Adriano è disponibile da subito, ma si

preferisce spedirlo a "fare esperienza" a Firenze. A gennaio si dà il

benservito anche a Hakan Sukur. Per la cronaca, viene venduto anche

l'uruguaiano Pacheco: qualcuno si era accorto che giocava nell'Inter?

Il nuovo allenatore ha, però, l'opportunità, da subito, di schierare

contemporaneamente l'ombroso Vieri e il redivivo Ronaldo. Un'ordinata tattica

e l'utilizzo dei due bomber permettono a Cuper di far accarezzare il sogno

scudetto ai tifosi, già al suo primo anno di panchina nerazzurra. Sogno che si

infrange contro la Lazio, nell'ultima giornata, quella che doveva consacrare

l'Inter campione d'Italia: il fatidico 5 maggio 2002. Qui si apre un altro

capitolo dell'era morattiana, complesso e misterioso erede, in qualche misura,

degli echi del '98. Ancora una volta Moratti si troverà a gridare al complotto

anti-Inter e alla corruzione della classe arbitrale, accusata di essere

succube dei maneggi di Moggi e ancora una volta l'alibi non regge.

A conferma che le responsabilità sono da ricercare all'interno della stessa

società nerazzurra, ripercorreremo la concitata fase finale della stagione.

L'Inter veleggia sicura verso la conquista dello scudetto: a cinque giornate

dalla fine, ha una imprevista battuta d'arresto, perde in casa contro

l'Atalanta, ma il nervosismo aumenta dopo il risultato della terz'ultima.

L'Inter gioca a Verona contro il Chievo, sorprendente, di Delneri, il

risultato dà ragione ai nerazzurri, si segnala un possibile rigore negato a

Ronaldo e uno spreco di occasioni clamorose per mandare in porto la gara

positivamente. Arrivano i minuti di recupero e il Chievo sotto di un gol,

pareggia: 2-2.

Minuti di recupero anche a Piacenza, dove la Juve è inchiodata sullo 0-0: ma,

ecco, Nedved, nell'unico tiro della partita, infila il sette nella porta

avversaria. L'Inter sente il fiato sul collo. E siamo a domenica 5 Maggio:

manca poco alla fine. La Juve, è vero, non è automaticamente costretta al

secondo posto, ma per vincere lo scudetto, l'Inter dovrebbe avere un tracollo;

l'ambiente interista è fiducioso ed è proprio il presidente ad assicurare che

non bisogna avere paura della Lazio, perché, ormai, la squadra di Cragnotti

non chiede più nulla alla classifica e poi c'è gemellaggio tra i tifosi

laziali e quelli nerazzurri. Argomenti, questi, che così "sapientemente"

elencati, fanno sospettare i media di una possibile partita "addomesticata".

Non ringrazieremo mai abbastanza Moratti per la tempestività con la quale

promuove l'immagine dei sentimenti interisti. Durante la settimana di

avvicinamento al traguardo, arrivano notizie da Appiano Gentile di un ambiente

euforico e deconcentrato (si spiffera anche di una festa in discoteca). Gli

scafati juventini, naturalmente, tacciono e si preparano ad affrontare

l'Udinese, il cui vivaio è notoriamente serbatoio di giovani con destinazione

Torino. Oltre a una certa atmosfera "festaiola", si segnala dallo spogliatoio

una novità tecnica: il ritorno del "Chino". Lasciato ai margini della squadra

titolare, che così aveva trovato un giusto equilibrio in campo, ecco ritornare

negli "undici" Recoba. Sostenuto dalla solita "stampa specializzata" e

dall'inesauribile innamoramento di Moratti che, come dice la famosa battuta,

"lo farebbe giocare anche nel suo giardino pur di averlo a disposizione",

l'uruguaiano ritrova il suo posto da titolare proprio contro la Lazio, che,

alla conferma della notizia, "stappa lo champagne", come racconterà il futuro

mister nerazzurro Zaccheroni, in quella stagione allenatore della formazione

laziale.

E' il 5 maggio: accompagnato dalle solite roboanti dichiarazioni morattiane,

siamo al fischio d'inizio. Dopo pochi minuti la Juve va in vantaggio

sull'Udinese: Trezeguet si trova "inspiegabilmente" da solo, in mezzo all'area

dei friulani, e batte comodamente a rete. L'autore di questa "Moratteide"

ricorda perfettamente gli interventi dei radiocronisti a "Tutto il calcio":

raccontavano di come stessero scrutando il campo di Roma per vedere con quale

atteggiamento la Lazio approcciasse la partita, ipotizzando la possibilità di

una gara accomodata, a seguito proprio delle esternazioni presidenziali

interiste. Ma stava per andare in scena una tragedia sportiva e umana:

nonostante due uscite "a farfalla" del portiere laziale Peruzzi , l'Inter due

volte va in vantaggio e due volte si fa raggiungere, anche grazie a una

catastrofica esibizione del terzino Gresko, mesta eredità della gestione

Tardelli.

Il ceco Poborsky, l'autore della doppietta laziale, è l'unico che esulta.

L'Inter isterica, che scende in campo nel secondo tempo, alla fine perde

partita, scudetto e faccia. L'Olimpico assiste ancora al pianto di Ronaldo

(rimandato in panchina da Cuper, per manifesta "svogliatezza" in campo). Il

brasiliano è l'immagine di una squadra e di una società allo sbando. Intanto

Materazzi strattona avversari urlando a muso duro che era l'Inter che doveva

vincere. Il fatto è che giocatori, società e tifosi interisti sono ricacciati

nell'incubo di essere gli eterni perdenti del calcio italiano e gli eterni

protagonisti delle barzellette sul football nazionale.

Solo qualche giorno prima il quotidiano La Repubblica, pubblicava un articolo

che ripercorreva i primi sette anni dell'era Moratti con cifre incontestabili:

per raggiungere pochissimi successi (solo la Coppa UEFA nel 1998) il

petroliere aveva già speso 1000 miliardi di lire (circa 500 milioni di euro),

nel 2001 insieme a Tronchetti Provera aveva già ripianato il bilancio della

società con 75 milioni di euro. Aveva già cambiato 8 allenatori (la media di

uno all'anno), acquistato (con i risultati che sappiamo) 88 giocatori,

imbastito demenziali operazioni di mercato. Venduto dopo appena un anno un

fuoriclasse come Roberto Carlos, per poi trovarsi a comprare 21 (ventuno)

terzini sinistri e non uno che funzionasse. Tra questi, Gresko. Altro che

complotto anti-interista! Ora, bisognerebbe raccogliere i cocci e ricostruire:

occorrerebbe un po' di serenità, ma un'altra estate "bollente" attende il

popolo interista.

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

Ronaldo scappa, arriva Zac: ma non si vince mai

Dopo Cuper, Verdelli, dopo Verdelli, Zaccheroni, dopo Zaccheroni,

Mancini. La giostra "macina allenatori", ben oliata da Moratti,

continua a girare allegramente. I risultati non arrivano e i soldi di

famiglia se ne vanno, provocando buchi finanziari sempre più difficili

da ricompattare. Ma fin quando ci sono

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 22-09-2011)

La ferita dell'Olimpico sanguina ancora e Società e tifosi interisti devono

affrontare l'ennesima grana. E come è accaduto nel 1998 c'è un Mondiale di

mezzo e il protagonista è sempre lui: Ronaldo! L'abbiamo lasciato piangente

sulla panchina nella fatidica partita contro la Lazio, il Fenomeno vola verso

il Giappone e intanto vuole volare via dall'Inter. Dal Mondiale in terra

nipponica parte uno stillicidio di dichiarazioni e smentite, ma sembra proprio

che la decisione di finire di giocare tra le fila nerazzurre sia irrevocabile.

I tifosi interisti lo vedono protagonista con il Brasile, segna nella finale

contro la Germania, è campione del mondo e lancia un out out a Moratti: o me o

Cuper!

Moratti è messo alle strette e questa volta non sente ragioni: non vuole

darla vinta ad un suo giocatore, neppure se si chiama Ronaldo, e in un caldo

pomeriggio milanese d'agosto, apre una porta sul retro della sede interista di

via Durini e lascia fuggire il campione brasiliano, come un traditore della

patria, verso il Bernabeu, dove lo accoglieranno i "blancos" del Real Madrid.

Nelle stesse ore Silvio Berlusconi in qualità di presidente del Milan,

annuncia l'acquisto, dalla Lazio, di Alessandro Nesta, dopo che, qualche

giorno prima, aveva negato l'esistenza della trattativa con il grande

difensore, nei saloni affollati del Meeting di Rimini. Intanto, il popolo

interista, saluta piuttosto inviperito Ronaldo; la sua avventura al Real non

sarà esaltante: con un inizio promettente, vincerà un paio di coppe

internazionali e un campionato spagnolo, ma mai la Champions.

Ma torniamo all'estate del 2002. Alla notizia dell'arrivo al Milan di Nesta,

Moratti si avventa su Fabio Cannavaro, punto fermo della Nazionale, e per

sostituire Ronnie arruola l'argentino Crespo. E' immancabile la girandola di

giocatori che arrivano o lasciano il campo di Appiano Gentile: si

intensificano gli "affari" con il Milan, all'altra squadra di Milano vengono

ceduti Seedorf e Simic per Coco (rifiutato "sdegnosamente" Rui Costa), al

Parma vengono ceduti Adriano (in prestito, per farsi le ossa) e Gresko

(definitivamente, deo gratias!). Arrivano, inoltre, il centrocampista Almeyda

e il trequartista Morfeo. Parte, quindi, la stagione 2002/2003: secondo anno

per Cuper, con un ambiente che deve dimostrare di aver superato lo shock

dell'abbandono di Ronaldo. Il campionato scivola via senza infamia e senza

lode, l'Inter arriva seconda a 7 punti dalla Juve e davanti al Milan di 4

punti.

Il percorso di Champions League, vede la squadra di Cuper arrivare alle porte

della semifinale e, con sorpresa, accorgersi di dover giocare il derby anche

in sede europea. Infatti, l'avversario di turno è il Milan; malgrado molti

acciaccati "l'hombre vertical" esce, sì, perdente, ma a testa alta dalla

doppia sfida: i derby di Champions finiscono 0-0 all'andata in casa milanista

e 1-1 sul terreno interista. Insomma, senza perdere e rischiando addirittura

di vincere in casa (Abbiati deve superarsi e compiere un autentico miracolo su

Kallon), l'Inter cede la finale al Milan, ma con onore. I rossoneri, poi

vinceranno la Coppa a Wembley, in un finale tutto italiano, contro la Juve ,

ai rigori, dopo una partita noiosissima. Nonostante Cuper abbia condotto la

squadra fino alle semifinali di Champions (cosa che non accadeva all'Inter da

tempo immemore), non ha più la piena fiducia di Moratti, che nel calciomercato

di quell'estate si "regala" lo spagnolo Kily Gonzales, l'olandese Van der

Meyde e, dal Chievo, il brasiliano Eriberto (poi scopertosi Luciano), che dopo

sei mesi torna al Chievo. Ma non finisce qui: arrivano l'argentino Cruz, dal

Bologna, e il terzino danese Helveg; a gennaio, poi arriveranno Adriano, di

ritorno dal Parma, dove era in comproprietà (e che l'Inter, per la solita

sventatezza organizzativa rischia di perdere) e Dejan Stankovic dalla Lazio.

Questa girandola di nomi non basta e dopo un avvio stentato Moratti dà anche a

Cuper il benservito. La giostra "macina allenatori", ben oliata dal

presidentissimo, è sempre in funzione ed è causa di un buco nero finanziario

di difficile ricomposizione. Funziona così: il neo allenatore di turno,

assunto da Moratti, strappa nella trattativa di assunzione un contratto

pluriennale, ben sapendo che il Massimo dirigente interista si disferà presto

del suo operato. Avendo subìto il licenziamento, l'ormai ex allenatore potrà

cercarsi un'altra squadra con molta calma, sapendo di potersi godere anni di

stipendio a spese della società nerazzurra.

Dunque, Cuper viene sbolognato a ottobre e sulla panchina che scotta arriva

(con un po' di ritardo) un vecchio pallino di Moratti e Tronchetti Provera:

Alberto Zaccheroni, che nel frattempo aveva vinto un avventuroso scudetto con

il Milan e sedeva sulla panchina della Lazio, nel tragico 5 Maggio 2002.

Zaccheroni accetta, violando il suo credo, quello di non prendere mai le

redini di una squadra a campionato iniziato. E infatti il suo campionato da

trainer interista si svolgerà fra tanti bassi e pochi alti, in Italia (4°

posto) e nelle coppe internazionali, e alla fine della stagione dovrà salire

anche lui sulla "giostra" presidenziale, per far posto a un giovane allenatore

emergente: Roberto Mancini.

___

Stagione 2004/2005: un altro annus horribilis per il Presidente

E' il turno di Roberto Mancini sulla panchina dell'Inter. L'ex

bandiera della Sampdoria però non riesce a portare a casa quei

risultati tanto attesi dai tifosi e dalla dirigenza che continua a

sbagliare tutto sul mercato. E lo scudetto è sempre più lontano

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 28-09-2011)

16 giugno 2004: aveva rischiato di diventare interista da giocatore (a Moratti

sono sempre piaciuti i pedatori estrosi, vedi Baggio e Recoba), ma ora ci

arriva in nerazzurro come allenatore: Roberto Mancini allunga così la lista,

già molto lunga, dei "mister" chiamati dal Presidente a condurre l'Inter.

Ottimo giocatore, una mezzapunta capace di capolavori balistici, dal carattere

un po' "fumantino", che gli procurò diverse squalifiche a causa di veri e

propri ammutinamenti in campo verso gli arbitri. Dopo essere stato la bandiera

calcistica di Bologna, Sampdoria e Lazio e non convincendo mai in Nazionale,

Mancini arriva all'Inter avendo alle spalle pochi anni da allenatore di

Fiorentina e Lazio, vincendo la concorrenza di Fabio Capello che, in quel

momento allenatore della Roma, malgrado avesse ripetuto per mesi che mai

avrebbe accettato di allenare la Juventus, viene convinto da un blitz di Moggi,

ad approdare alla corte bianconera.

Agitata e, come al solito piena di promesse di vittoria, la campagna acquisti

estiva: per espresso desiderio del nuovo tecnico arrivano ad Appiano Gentile i

laziali Favalli e Mihajlovich, in prestito dal Chelsea l'argentino Veron, ex

laziale pure lui, a parametro zero dal Real un altro argentino Esteban

Cambiasso, dal Perugia il brasiliano Zè Maria, dal Boca Juniors Burdisso e dal

Barcellona l'olandese Edgar Davids. Salutano alcuni dimenticabili della

stagione precedente e, in modo un po' clamoroso, Fabio Cannavaro vola verso la

Juve. Ennesimo scambio demenziale da parte della dirigenza interista: si vende

a una diretta concorrente il capitano della Nazionale italiana per tale Fabìan

Carini, terzo portiere della rosa bianconera. Il "caso Cannavaro" è il

classico episodio che nel calcio vede protagonisti dirigenti tecnici

inadeguati a gestire una squadra di rango (l'Inter) e scaltri manager con un

pelo sullo stomaco lungo così! Il buon Fabio viene ceduto dall'Inter per

disperazione, dopo una stagione costellata di infortuni e mali oscuri, che si

scopriranno poi essere stati "consigliati" al giocatore da alcuni dirigenti

juventini al fine di essere venduto alla squadra della famiglia Agnelli per

qualche nocciolina. E Moratti, naturalmente, ci casca: puoi considerare

l'indiscusso capitano azzurro "rotto", ma non esiste, scambiarlo con il terzo

portiere della Juve!

La stagione 2004/05 interista inizia con una serie impressionante di pareggi,

anche se si scorgono sprazzi di buon calcio, vanificati dalle bizze

caratteriali del titolare della panchina, sempre alla polemica contro tutto

ciò che è milanista e juventino, e dal giovane fenomeno brasiliano Adriano,

per i tifosi, "l'Imperatore". Fisico possente, grande senso del gol. Il

ragazzo è purtroppo gestito un po' approssimativamente fuori dal campo, anche

a causa di alcuni problemi familiari e si trova spesso a frequentare "cattive

compagnie" che ne limitano il rendimento in campo. Inutili saranno i tentativi

di recupero fisico e mentale e sotto la gestione Mourinho l'ormai ex

Imperatore sarà ceduto, forse meglio dire abbandonato a se stesso. Peccato,

Moratti avrebbe potuto venderlo al Chelsea, che lo aveva fortemente richiesto

quando ancora stava in piedi per la cifra iperbolica di 90 milioni di euro! Ma

onestamente non si può addossare al Presidente, una decisione così impopolare,

che solo un pazzo avrebbe affrontato.

Nel proseguo della stagione anche a Mancini, come a Cuper, tocca incontrare

il Milan in Champions, ai quarti di finale: una debacle! I cugini rossoneri

vincono in casa 2 a 0, nell'andata e a tavolino 3 a 0 nella partita di ritorno,

a causa di manifestazioni piuttosto "vivaci" della curva interista che

contesta la società per una ennesima stagione fallimentare con lanci di bombe

carta, facendo sospendere la partita, con relativa squalifica del campo, per

la successiva stagione internazionale. Un petardo raggiungerà accidentalmente

anche il portiere rossonero Dida che stramazza al suolo e da quel momento

perderà riflessi e concentrazione naufragando con tutta la squadra, qualche

settimana dopo, nella rocambolesca finale contro il Liverpool di Benitez a

Istanbul. In casa Inter, la contestazione è indigesta a Moratti, che questa

volta si dimette da presidente, rimanendo patron e lasciando la poltrona

"ufficiale" a un simbolo nerazzurro, Giacinto Facchetti, che purtroppo dovrà

arrendersi a una fulminante malattia il 4 settembre 2006.

Sul finale di stagione, intanto, arriva una vittoria nella finale di Coppa

Italia, la quarta nella storia interista, primo trofeo vinto dopo sette anni

di astinenza da successi in campo. Purtroppo il popolo interista rimane

scettico davanti a Mancini, sempre agitato in panchina, spesso espulso e che

non riesce ancora a dare all'Inter un'impronta da grande squadra, specie nelle

sfide decisive. E si riparte per una nuova stagione. Estate del 2005, gli

arrivi sono importanti: il portoghese Luis Figo, che nelle fila dell'Inter

farà il canto del cigno di una celebrata carriera, Walter Samuel, già nella

Roma e Santiago Solari. Tutti e tre comprati dal Real Madrid: la squadra

spagnola doveva forse ancora pagare Ronaldo? Mah! Dall'Udinese arriva David

Pizarro, regista di centrocampo, e per fare il secondo di Toldo, un giovane

portiere brasiliano, Julio Cesar. La stagione comincia bene, mettendo in

bacheca una Supercoppa Italiana vinta contro la Juve, ma il campionato subirà

i soliti alti e bassi, tra facili entusiasmi e profonde delusioni. Si finisce

alle spalle della Juve, con diversi punti di distanza e con 14 punti

recuperati in volata dal Milan, che conclude in classifica davanti ai

nerazzurri. Ma questa classifica sarà destinata a essere stravolta: sul finire

del torneo, annunciato con tuoni in lontananza, scoppierà la tempesta di

Calciopoli (o Moggiopoli), che rivoluzionerà per sempre il mondo del calcio

italiano. Ma tutto questo lo racconteremo nella prossima puntata.

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E con Calciopoli la vittima Moratti tirò fuori la balla degli "onesti"

La Moratteide arriva al 2006, anno caldo dello scandalo Calciopoli,

quando Moratti approfitta per dichiarare che le sconfitte degli anni

precedenti erano dovute a irregolarità e che l'Inter è la squadra dei

"diversi", degli "onesti"

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 04-10-2011)

Maggio 2006: è sul rush finale del campionato che scoppia lo "tsunami" di

Calciopoli. Un'inchiesta giornalistica con capofila "La Ģazzetta dello Sport",

lievitata poi per settimane fa scattare l'indagine della Federcalcio e

deflagra fino a decidere le sorti di "onnipotenti" dirigenti di club (la

Triade juventina, su tutti) e a destabilizzare e quindi ribaltare l'ordine di

arrivo del campionato. Squalifiche, deferimenti e minacce di radiazioni si

sprecano, suscitando grande clamore mediatico, proprio all'inizio

dell'avventura azzurra ai mondiali di Germania.

Il selezionatore Marcello Lippi, ex allenatore (di ritorno) della Juve, viene

messo prepotentemente in discussione: c'è chi non lo vorrebbe vederlo partire

con la squadra. Tanto che, punto sul vivo, indice discutibili conferenze

stampa, in compagnia di Fabio Cannavaro, capitano degli azzurri e punto fermo

della difesa sia in Nazionale, che nella Juventus, per difendersi e

dichiararsi estraneo da episodi di corruzione sportiva.

Il caos è totale: quotidianamente su giornali e in televisione spuntano

sbobinature di intercettazioni telefoniche compromettenti, per diversi

dirigenti di squadre di serie A. E se, in questo marasma, la spedizione

italiana si ricompatta e con una certa dose di fortuna conquista il quarto

titolo mondiale, ai rigori, contro la Francia di Zidane, il mondo dei club

della massima serie, ne esce completamente terremotato. Nella confusione e

nella fretta di risolvere entro l'estate il processo sportivo, con decisioni

molto contestate dalla piazza dei tifosi, gli organi della Federcalcio

decidono di assegnare lo scudetto del campionato 2005/06 all'Inter, non prima

di aver retrocesso la vincitrice di quella stagione, la Juve, per la prima

volta in serie B e aver penalizzato il Milan, arrivato secondo, affibbiandogli

anche una partenza sottozero, nel campionato successivo, in compagnia della

Lazio. Anche se alla squadra di Berlusconi viene evitata l'onta della terza

seria B della sua storia, la sentenza costringe i rossoneri a giocarsi i

preliminari di Champions e a realizzare, nell'indecisione della penalizzazione,

una problematica campagna acquisti, che, senza lo scoppio della scandalo,

aveva già in previsione l'acquisto di Ibrahimovich, in rotta con la Juve.

E così, Moratti, uscito "immacolato" dal terremoto Calciopoli, anzi,

considerandosi la vittima sacrificale di anni di angherie e truffe dei

dirigenti juventini in combutta con gli arbitri, si insinua nella trattativa

del Milan, per l'attaccante balcanico-svedese e, con la scusa di aiutare la

nuova dirigenza juventina ad affrontare le improvvise difficoltà economiche,

gli fa il piacere di acquistare il bomber per 26 milioni di euro, mentre lo

stesso Ibra, non sapendo in che modo sarebbe stato penalizzato il Milan aveva

raffreddato la pista rossonera. Fu così che il lungagnone che si era preparato

il discorso di come già da bambino, nella sua cameretta, avesse appeso il

poster del Milan, dovette precipitarsi a staccarlo dalle pareti per affiggervi

quello dell'Inter, con "i suoi eroi nerazzurri".

Dalle macerie di Calciopoli, dunque, l'Inter di Moratti emerge in tutto il

suo splendore di "squadra degli onesti" e si fregerà del famoso "scudetto di

cartone" 2005/06. Il capitolo dello "scudetto di cartone", ritenuto da Moratti

"risarcitorio" per gli anni nei quali l'Inter non ha vinto nulla, è

emblematico dei meccanismi mentali del presidente interista. Al netto dei

recenti sviluppi investigativi, dove risulta che anche l'Inter intesseva

rapporti con la classe arbitrale, per lo meno sconvenienti, giustificati forse

a ragione da un sentimento di legittima difesa; al netto di tutte le

perplessità su come sono state condotte le indagini nel frettoloso processo

sportivo dell'estate 2006, dove non tutte le telefonate compromettenti sono

state valutate, dovrebbe essere pacifico che per chiudere definitivamente

l'era di sospetti e recriminazioni che ancora aleggiano e determinano i

rapporti tra le società coinvolte, una sola cosa avrebbe dovuto fare Moratti:

rinunciare a fregiarsi di un titolo vinto a quel modo, "in segreteria", come

direbbe Mourinho.

Se Moratti, già nel 2006, uscito indenne dallo scandalo, avesse compiuto

l'atto nobile di lasciar perdere uno scudetto non vinto sul campo, avrebbe

raggiunto il risultato di far scendere definitivamente il sipario su un brutto

capitolo della storia del calcio italiano. Purtroppo si è vantato più volte di

tale trofeo, inneggiando alla "diversità interista". Moratti, invece, dovrebbe

rendersi conto che se l'Inter non vinceva non era per i rapporti "particolari"

di Moggi con la classe arbitrale, ma più semplicemente per la miriade di

decisioni scellerate e demenziali, che si sono protratte negli anni e che fino

a qui abbiamo voluto illustrare, senza tirare in ballo ipotetici "onesti

truffati", quando tutte le squadre, per difendere i propri interessi,

bazzicavano i quartieri alti della casta arbitrale. Moratti, inoltre, nel suo

delirio, non ha mai ammesso che i successi del post-Calciopoli, sono dovuti in

gran parte dalla deflagrazione degli equilibri tra le varie squadre di vertice.

Accade, quindi, che nella stagione 2006/07, l'Inter vince il campionato "in

carrozza" con un Ibra in più ed un'ennesima campagna acquisti faraonica:

arrivano i terzini di fascia Maicon e Maxwell, brasiliani entrambi; ancora

dalla Juve, precipitata in B, Patrick Vieira e dal Chelsea, un cavallo di

ritorno: Hernan Crespo. I nerazzurri vincono la Supercoppa italiana contro la

Roma, dopo un'esaltante rimonta. In Champions si fermano agli ottavi, dopo una

deplorevole rissa finale sul campo del Valencia. Lasciano in mano alla Roma la

Coppa Italia, dopo un'altra serata "fumantina" del mister Mancini. Pur

raggiungendo alcuni successi, però, l'Inter dà sempre l'impressione di essere

una grande incompiuta. E qualcosa dice che Moratti sta, per l'ennesima volta,

pensando a un cambiamento in panca. Ma questo ve lo racconteremo nella

prossima puntata.

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All'Inter arriva Mourinho, l'unico che tiene a bada Moratti (e così vince)

Anche se Mancini vince lo scudetto, Moratti gli dà un benservito

dorato per prendere Mourinho. Il portoghese vincerà grazie alla sua

capacità di mettere fine all'anarchia del presidentissimo

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 11-10-2011)

Campionato 2007/08: Anno secondo dopo Calciopoli. L'Inter deve vedersela con

la Roma fino all'ultima giornata: Ibra a Parma entra dopo settimane di assenza

a causa di un serio infortunio e segna la doppietta che mette in bacheca il

secondo scudetto vinto sul campo, di fila. La stagione non è iniziata nel

migliore dei modi: la squadra di Mancini, ad agosto, ha lasciato la Supercoppa

italiana nelle mani della Roma. Incredibilmente la campagna acquisti è stata

molto contenuta: è arrivato Chivu, difensore rumeno dalla Roma, e l'attaccante

honduregno David Suazo, dopo un braccio di ferro con il Milan, dal Cagliari.

Naturalmente Suazo, fortissimamente voluto da Mancini, scomparirà presto dalla

squadra titolare: ma è un particolare che non incide su una squadra che

dimostra finalmente di avere personalità in campo.

Nonostante i successi in campionato, l'ambiente interista è in perenne

agitazione: il Presidente constata che a livello internazionale la squadra non

fa il desiderato "salto di qualità"; la Champions, anche con la pesante

presenza di Ibra, resta un tabù e dopo l'ennesima eliminazione, l'11 marzo, a

S. Siro, contro il Liverpool, negli ottavi di finale, Mancini comincia a

sospettare che la società, delusa, gli stia facendo terra bruciata intorno:

annuncia in conferenza stampa con strani giri di parole che anche se vincerà

lo scudetto il suo destino all'Inter è segnato e l'anno successivo non siederà

più sulla panchina nerazzurra. Molti tifosi e osservatori accolgono questo

messaggio come annuncio di dimissioni da parte del mister, ma i più attenti

segnalano che Moratti, dopo essersi attivato inutilmente alla fine della

stagione 2006 per accaparrarsi Capello, si era già guardato intorno e aveva

sondato il terreno e addirittura fatto firmare un precontratto a un top

allenatore, momentaneamente a spasso: Josè Mourinho. Il portoghese aveva

lavorato molto bene per più di due anni al Chelsea di Abramovich, ma era stato

esonerato per incompatibilità caratteriale dallo stesso petroliere russo.

Mancini, probabilmente, aveva notato questi strani movimenti, ma Moratti

smentisce tutto in maniera categorica, anzi, com'è nel suo stile tranquillizza

lo jesino assicurandogli fiducia eterna. Infatti, se pur con fatica, l'Inter

vince lo scudetto e la panchina di Mancini non sembra più tremare. Ma al

momento di andare in ferie, quando ancora gli echi dei festeggiamenti per la

vittoria nel torneo nazionale non si sono ancora spenti, ecco il colpo di

scena: il tecnico, in un pomeriggio di maggio, il 27, invece di essere

chiamato in sede per la paga viene esonerato quasi in diretta televisiva, con

la scusa delle dichiarazioni del post partita di Champions. Naturalmente non è

così, i sospetti di Mancini erano fondati e se l'annuncio dell'esonero risulta

di grande effetto, lo è anche la cifra che Mancini chiederà e otterrà per il

benservito, in attesa di allenare una nuova squadra. Ricerca che da parte

dell'ex allenatore interista sarà condotta con molta calma, sapendo che

"Pantalone" Moratti avrebbe pagato ogni mese il lauto stipendio all'allenatore

esonerato, nella miglior tradizione dei suoi anni di gestione, continuando

imperterrito in questa assurda strategia del lancio dei soldi dalla finestra.

Tra l'altro, anche Mourinho, non risulterà pagato con le noccioline.

Il portoghese si presenta subito come un grande comunicatore: «Io non sono un

pirla», esordisce alla prima conferenza stampa alla Pinetina, raccogliendo

subito il favore di stampa e tifosi. Il "padreterno" di Setubal è stato

ingaggiato per la sua esperienza internazionale: ha già vinto una Champions

League con il Porto dei miracoli e mantenuto il Chelsea nel giro europeo,

sfiorando la finale sottrattagli in semifinale dal Barcellona di Guardiola

dopo scandalosi errori arbitrali. In poco tempo, Mou si accorge che la

priorità in casa Inter è organizzare un sistema di competenze e disciplina

nella comunicazione dentro e fuori la squadra, che l'incosciente anarchia

morattiana ha reso inesistenti. Il portoghese, prende in mano l'ingarbugliata

matassa di rapporti interni ed esterni e da geniale General Manager riordina

ruoli e responsabilità. Sotto la sua gestione non usciranno più spifferi

polemici dallo spogliatoio; metterà sempre la sua faccia per difendere la

tranquillità della squadra nei momenti delicati. Duro con i giocatori che non

lo seguono, comprensivo con chi merita la sua fiducia, gestirà con autorità e

pazienza le bizze di Adriano e Balotelli, fino a quando non sarà costretto ad

abbandonarli al loro destino, lontano dall'Inter. Non smetterà di stuzzicare,

facendo nomi e cognomi, gli avversari con verve e spavalderia, ai limiti della

maleducazione, ma realizzando in ogni conferenza stampa uno show irresistibile

e irrinunciabile, cosa inedita e inusitata per l'ingessata ipocrisia del

calcio italiano.

Soprattutto, oscura finalmente la presenza di Moratti, ne limita il raggio

d'azione, costringendolo per il bene della società ad esternare il meno

possibile: sull'Inter, adesso, nessuno più racconta barzellette! Non che

Mourinho non sbagli mai: appena arrivato convince Moratti a comprare per una

cifra assurda il connazionale Quaresma, una buona ala, ma tutta da scoprire

sui nostri campi. Il flop è dietro l'angolo, Moratti abbozza, tanto che nel

mercato della stagione successiva glisserà sui nomi proposti dal vate di

Setubal (Deco e Carvalho) e con buona dose di fortuna azzecca Lucio e Sneijder

a costo di discount. Comunque, il campionato 2007/08 viene vinto in carrozza,

con diverse giornate di anticipo, anche se permane il problema della ricerca

di un buon piazzamento di Champions, (si esce ancora agli ottavi contro il

Liverpool), intanto ne sorge uno nuovo: Ibrahimovic, spremuto fino alla fine

dal mister, segnala un certo disagio nei confronti della squadra e dei tifosi,

e fa capire con gesti inequivocabili che vorrebbe finire la sua avventura

all'Inter. Detto fatto il suo procuratore, l'ex pizzaiolo Mino Raiola, si

attiva e gli scalda un posto nel dream team del Barcellona.

Lo scambio si farà nelle ultime ore del calciomercato: Ibra, con sua immensa

gioia, verrà ceduto alla squadra catalana per un valore di 80 milioni di euro;

circa 50 in contanti più un attaccante che nelle fila della formazione guidata

da Pep Guardiola (fresca regina d'Europa) stava stretto: il camerunense Samuel

Eto'o. Ma l'affare, chi lo fa? Ve lo racconteremo nella prossima puntata,

quella che celebrerà l'anno del "triplete".

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Massimo Moratti riesce a rovinare anche il triplete di Mourinho

Una delle puntate chiave della Moratteide: l'anno del mitico triplete,

ad opera degli eroi di Madrid e di Mourinho, Ma Moratti è sempre in

agguato...

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 20-10-2011)

Stagione 2009/10. Eccoci alla seconda stagione del Mourinho interista:

scherzando, ma non troppo, il tifoso nerazzurro associa al portoghese

proprietà taumaturgiche e magiche. Esagerazioni, che però hanno una loro

ragione: basta la sua presenza negli spogliatoi di Appiano Gentile, a

trasformare, come per magia appunto, un ambiente sempre sull'orlo di una crisi

di nervi, soffocato dall'eterno tourbillon di allenatori e giocatori, segno

distintivo dell'era morattiana. Ormai in società non si muove foglia che Mou

non voglia. L'immagine con i media passa attraverso il filtro delle conferenze

stampa del vate di Setubal, veri e propri spettacoli di reality calcistico, un

fuoco di fila di battute a volte ironiche, a volte preoccupate, nel denunciare

complotti ai danni dell'Inter, spesso per dileggiare e sfottere gli avversari,

provocando grande ilarità dei tifosi interisti e dei giornalisti presenti agli

show, ma tirandosi addosso le contumelie del rimanente circo pallonaro,

incapace di replicare adeguatamente, per far fronte ad una situazione

inimmaginabile del successo comunicativo che disintegra decenni di buonismo

ipocrita e falso.

Il portoghese, che, notate bene, plana come un marziano in un mondo ancora

sotto choc per Calciopoli, svela e scardina luoghi comuni e meccanismi,

aiutato da una innata capacità di presenza scenica e da copioni adeguatamente

preparati e recitati con una scioltezza da grande mattatore: "Zero Tituli" e

"proxtituzione intellectuale" sono solo alcuni dei neologismi che ridondano

attraverso un marketing da far invidia ad una agenzia di creativi

pubblicitari. Ma tutto ciò sarebbe stato ridicolo se contemporaneamente la

squadra non seguisse il tecnico nell'atteggiamento sfrontato e vincente in

campo: quell'atteggiamento che ha permesso di riacciuffare partite già perse,

realizzando gol decisivi negli ultimi secondi dei minuti di recupero, oppure

imponendo a centrocampo un gioco devastante, asfissiando gli avversari in

maniera inusitata: come dimenticare le delizie balistiche di Sneijder, le

folate supersoniche di Maicon, la danzante incisività di Eto'o, a precisione

chirurgica dei gol di Milito, l'esplosività di Lucio, l'impenetrabilità di

Samuel, l'esuberanza dei veterani Zanetti e Cambiasso e i salti felini di

Julio Cesar?

Ebbene sì, lasciatemi ancora godere di questi magnifici ricordi: per me

interista, sconfortato nell'attraversare, in questi anni, un'eterna valle di

lacrime (sportive s'intende); la serie di vittorie e i trofei vinti in questa

stagione sono un segno indelebile della centenaria storia nerazzurra, che

fortunatamente ho vissuto in diretta; potrò mai dimenticare i due derby di

campionato, uno più esaltante dell'altro? E il passaggio di turno in Champions

nella incredibile rimonta contro la Dinamo Kiev? Il testa a testa finale con

la Roma in campionato, che approfitta della nostra flessione ma che sprofonda

proprio sul più bello all'Olimpico contro la Sampdoria di Cassano e Pazzini?

La conquista dell'ennesima Coppa Italia, ridicolizzando la Roma sul suo campo,

facendo saltare il lume della ragione al Pupone Totti, che compie il fallo di

reazione (su Balotelli) più disperante e ridicolo della storia del calcio

mondiale. E come dimenticare la fortuna sfacciata che ci accompagna in

Champions, in una serie di partite che solo pensarle fanno tremare i polsi?

Passiamo, sì, con Chelsea e Barcellona, ma è innegabile che la Dea bendata ci

protegge verso vittorie insperate, su campi ritenuti impossibili. Ma, come si

dice, "la fortuna aiuta gli audaci" e la squadra di Mourinho è un pugno di

audaci capaci di sfidare il mondo intero e vincere ben tre titoli nella stessa

stagione. Il mitico triplete è realtà.

E poi… ecco che la favola si trasforma in un incubo! E proprio nella serata

di massima goduria! Quella della finale di Champions, a Madrid, contro il

Bayern di Monaco. E' come uno strozzo in gola che non ti fa respirare, è come

un film che si riavvolge lasciandoti instupidito e privo di reazione, è come

una puntina che sfregia irreparabilmente il vinile più prezioso che possiedi,

è come un'unghia che sibila sul vetro, il gessetto sulla lavagna, una nota

stonata in un capolavoro musicale, un quattro in condotta in una pagella piena

di nove. Insomma, tutto ti riporta alla realtà: ti eri dimenticato che il

presidente della tua squadra, che sta vincendo tutto, si chiama Massimo

Moratti, e allora è come se qualcuno ti aprisse improvvisamente sotto il naso

Il libro di Murphy: "Se tutto sta andando a meraviglia, stai tranquillo e

intanto spegni 'sta ċazzo di sveglia!".

Le bandiere sventolano ancora per le vie di Milano, ma a Madrid cosa accade?

Che il tecnico della squadra vincente saluta la compagnia, sale sull'auto del

presidente del Real Madrid e se ne va, come un ladro nella notte. Maicon viene

inseguito dai giornalisti per sapere se non gli convenga rimanere lì nello

stadio Bernabeu, che, sembra, sarà la sua prossima casa calcistica. Milito

annuncia che se non avrà un aumento d'ingaggio, accoglierà proposte di altre

squadre, che gli stanno arrivando a fiumi. Una cosa mai vista: ma come, da una

squadra che vince ogni cosa scappano tutti? Ancora una volta l'inadeguatezza

societaria della gestione Moratti suscita perplessità togliendoci il gusto

della vittoria epocale: come si può gioire del presente se i segnali del

futuro sono così contradditori? Ora la presidenza è a un bivio: trattenere gli

eroi del "triplete" o, ripartendo da questi successi, gettare le basi per un

rinnovamento della squadra, cominciando dalla scelta di un erede sulla

panchina degno del vate di Setubal?

Tutto a tempo debito, ci rispondono, ora bisogna festeggiare. Ma i

preparativi per la stagione 2010/11, già incombono e siamo ansiosi di

conoscere le iniziative di Moratti. Sarà, la prossima, la stagione della

conferma di un ciclo vincente? Lo scopriremo nella prossima puntata.

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Il problema dell'Inter sono i cortigiani?

Moratteide sospende il racconto cronologico delle vicende interiste

per capire cosa sta accadendo in questi giorni in casa nerazzurra.

Fatti che sembrano confermare ancora una volta l'inadeguatezza della

presidenza morattiana. Come farà l'Inter a uscire dalla crisi?

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 31-10-2011)

E' inutile girarci tanto intorno, a Tempi.it abbiamo cominciato a lanciare

segnali già dal mese di agosto: l'inizio della pubblicazione a puntate della

rubrica Moratteide, comincia proprio in quei giorni. Avevamo già il sospetto

che la squadra nerazzurra andasse incontro a una stagione contraddittoria e

avara di soddisfazioni. Intanto i soliti soloni interisti, televisivi e della

carta stampata, rassicuravano il popolo nerazzurro sconcertato sia dalla (s)

vendita di Eto'o a una misconosciuta squadra russa in cerca di visibilità

mediatica sia dai tentennamenti sul campo della campagna acquisti e cessioni,

tipica di una società indecisa su tutto.

Questi illustri soloni erano certi che la decisione di Moratti di vendere il

bomber camerunense fosse dovuta alla volontà del patron di regalare un grosso

colpo alla squadra, magari all'ultimo minuto come l'anno prima aveva fatto il

Milan con Ibrahimovic. Speranze vane! Il mercato non si è mosso e ora gli

stessi che avevano scommesso anche la moglie e la casa per uno scatto di reni

morattiano, piangono la paura di essere già risucchiati nella lotta per non

retrocedere.

Ma, nelle loro parole, ancora non viene rivelata una verità lampante: questa

situazione è cronica da almeno 17 anni, cioè da quando Massimo Moratti

cominciò a baloccarsi con il giocattolo Inter, gentilmente regalatogli con

budget quasi illimitato dalla famiglia. E' tutto qui il problema dell'Inter:

un presidente inadeguato al ruolo assunto, che si è circondato da diversi

incompetenti che negli anni pre - Calciopoli aveva ridotto la squadra

nerazzurra a una simpatica (per gli avversari e rispettive tifoserie)

barzelletta; che è stato vittima della paranoia del "complotto" ordito da

Moggi & co.; che ha affermato che lo scudetto di cartone era un premio per

chissà quali torti subiti, con il solo risultato di esacerbare gli animi e far

rimanere aperta una brutta pagina del calcio nazionale, che altrimenti si

sarebbe già chiusa. Che ha vissuto qualche mese di gloria (qualche mese, non

un ciclo!) grazie a un profeta portoghese che aveva capito come muoversi nel

marasma anarchico di Appiano Gentile. Purtroppo la lezione di Mourinho, non è

servita a nulla: in due stagioni i suoi successori sono già stati quattro,

ritornando alla media dell'era Moratti. E potremmo andare avanti, tra errori

tecnici (Oriali allontanato, due consecutive campagne acquisti e cessioni

fallimentari) e finanziari: Moratti, in 17 anni ha speso un abbondante

miliardata di euro, più di Juve e Milan messi insieme e ora piange per il fair

play economico, proprio ora che grazie ai proventi delle vittorie avrebbe

potuto rinforzare la squadra a dovere. Lo avrebbe potuto fare si, se non

avesse in questi anni dilapidato il budget iniziale con una gestione

demenziale del parco giocatori e allenatori.

Ma di questo, non sentiremo mai nessuno occuparsene, nè dagli schermi

televisivi, nè sulla carta stampata. Questa è la condanna dell'Inter, pensare

che ogni critica che abbia come obiettivo la dirigenza sia semplicemente un

delitto di lesa maestà. Ancora in questi giorni gli esperti di cose nerazzurre

mettono sul piatto delle accuse gli allenatori, i giocatori, gli arbitri

(tanto per cambiare), ma si guardano bene dall'accennare qualche velata

critica anche al responsabile ultimo di questo caos. Forse c'è una ragione per

questa latitanza: il dover fare i conti con la suscettibilità del soggetto che

potrebbe, ora anche in difficoltà finanziaria, optare per uno sganciamento

definitivo dalle responsabilità operative presidenziali e decidere di mettere

in vendita la società, con il rischio di creare una situazione ancor più grave

e irreversibile.

E allora come uscire dal tunnel? Sarebbe opportuno che invece di fare

l'offeso il presidente interista rilasciasse una dichiarazione nella quale

ammettesse che qualche errore di gestione, in questi anni, è stato compiuto

anche da lui e non solo dai suoi collaboratori, spiegare che soldi in cassa

non ci sono più (per le ragioni che abbiamo spiegato) e che è ora di

rimboccarsi le maniche e magari cercare di capire come mai dai vivai, chiamati

in prima squadra, arrivano solo meteore che non incidono nei necessari

ricambi. Siamo sicuri che i veri tifosi interisti capirebbero e si

stringerebbero con più convinzione in questa sorta di solidarietà sportiva,

per risollevare le sorti della loro squadra. Alla faccia dei cortigiani!

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Dentro Benitez, fuori Benitez: un'altra chicca di Moratti

Dopo la vittoria del Triplete, Moratti ne combina delle belle

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 28-11-2011)

Estate 2010. L’Inter ha appena concluso una stagione trionfante: scudetto,

Coppa Italia e Champions League, sotto la stella di Josè Mourinho. In una

squadra normale, dove la gestione presidenziale ha una logica economica e di

programmazione delle risorse umane, con i premi arrivati dalle federazioni

organizzatrici dei tornei, si aprirebbe una stagione di conferme e riconferme,

di acquisti mirati, di cessioni economicamente redditizie per un rinnovamento

oculato. Naturalmente l’Inter di Moratti non segue questi canoni da grande

squadra e i tifosi restano attoniti davanti ad una serie di eventi, che

partono già dal triplice fischio che decreta la vittoria interista sul Bayern,

nella finale europea di Madrid. Che ora elenchiamo:

1) Come già anticipato da settimane di tira e molla l’allenatore portoghese

saluta la truppa e annuncia che allenerà il Real Madrid.

2) Pur sapendo già della decisione di Mou di divorziare dall’Inter, la

dirigenza nerazzurra sembra presa alla sprovvista e le settimane successive

passano a registrare la solita giostra mediatica su nomi possibili e

improbabili, giusto per dare un po’ di succo alle pagine sportive dei

quotidiani e alle trasmissioni dedicate al calciomercato delle emittenti

locali. Alla fine, non si sa se convintamente o per disperazione, la scelta

cade su Rafael Benitez, allenatore con discontinui risultati del Liverpool. Un

personaggio antitetico alla figura egemonica del vate di Setubal: è lui che

dovrà sostituirlo e ridare nuovi stimoli a giocatori plagiati dall’influenza,

quasi ipnotizzante del portoghese. Vedremo poi, il fallimento della sua

strategia d’approccio alla squadra.

3) Vittima di una guerra intestina per la gestione di spogliatoio e di

strategie di calciomercato, Lele Oriali, figura mitica dell’Inter anni ’80 e

da qualche anno il trait-union tra la panchina e la dirigenza, viene

licenziato, lasciando campo libero a Marco Branca, galvanizzato per qualche

botta di… fortuna, riguardante l’acquisto di giocatori risultati fondamentali

nella trionfante stagione appena conclusa, arrivati all’Inter con prezzi

modici, rispetto alla richiesta originale di Mourinho. L’allenatore chiese il

connazionale Deco dal Chelsea? Branca comprò con un blitz riuscitissimo

Sneijder, espulso come corpo estraneo dal Real Madrid. Il portoghese chiese il

connazionale Carvalho sempre dal Chelsea? Branca, con un costo da liquidazione,

gli diede a disposizione Lucio, regista difensivo del Bayern e capitano della

Nazionale carioca. A questi acquisti a sorpresa si aggiunsero Milito e Thiago

Motta, paghi uno compri due, dal Genoa. Forte del successo di questi

investimenti, Branca ottiene l’esclusiva delle prossime novità riguardanti il

mercato acquisti – cessioni.

4) Arrivato con squilli di tromba, Benitez, nell’illusione di trovarsi in un

ambiente galvanizzato dalle recenti vittorie e quindi pronto ad investire

soldi e prestigio, propone subito a Moratti l’acquisto dal Liverpool del

centrocampista argentino Mascherano, trave portante della nazionale

sudamericana, e dell’ala olandese Kuyt. Per tutta risposta Moratti,

improvvisamente terrorizzato di esondare dal fairplay finanziario, curiosa

trovata del governo europeo del calcio targato Platini, fa orecchie da

mercante e si fa in quattro per dare a disposizione del nuovo titolare della

panchina nerazzurra quei “fenomeni” di Biabiany e Mariga, giovani giocatori

provenienti dalle fila del Parma. Naturalmente accompagnati da un altro “colpo

eccezionale” come il baby brasiliano Coutinho. Non contento, il patron Moratti

avalla la cessione, per demeriti caratteriali e per mancanza di rispetto alla

maglia, di Mario Balotelli, che raggiunge, così, attraverso l’attivismo del

suo procuratore, il “simpatico” Mino Raiola, il suo mentore in casa interista,

attualmente coach del Manchester City, Roberto Mancini. Inoltre vengono

trattenuti, i mugugnanti Milito, Maicon e Sneijder, praticamente i

protagonisti assoluti dell’epica stagione appena trascorsa.

5) E per finire, la ciliegina sulla torta, che vede l’Inter protagonista in

maniera indiretta: dopo essere stato assicurato dal patron rossonero

Berlusconi, che in nome del fairplay finanziario, il Milan non avrebbe fatto

grossi investimenti su grandi nomi, Moratti e il popolo interista assistono ad

un colpo mediatico e di sostanza impensabile fino a qualche settimana prima:

il Barcellona cede, ad un prezzo misteriosamente irrisorio, Ibrahimovic alla

compagine milanista, proprio nelle ultime ore del mercato. Il presidente

dell’Inter non nasconde irritazione: non tanto per il personaggio che se ne

era andato da Appiano Gentile, anche per il poco feeling prodotto con

spogliatoio e tifosi, stanchi per i suoi mal di pancia (cessione che comunque

era stata ben gestita: arrivarono nelle casse di via Durini una ingente

quantità di milioni di euro, insieme al bomber Eto’o in rotta con la società

blaugrana); il disappunto di Moratti parte dal fatto che non c’è più spazio

per un acquisto da parte interista di uguale potenza mediatica.

Ma ecco, dopo un precampionato molto ridotto a seguito degli impegni dei

nazionali ai Mondiali di Sudafrica, la nuova Inter di Benitez, fa i conti con

i risultati in campo. Si comincia con la vittoria sulla Roma, per l’ormai

tradizionale duello della Supercoppa Italiana ma uno stop ferma gli uomini del

triplete contro l’Atletico Madrid, qualche giorno dopo, nella finale di

Supercoppa Europea. Primi mugugni: perdere contro una squadra non

irresistibile non aiuta all’immagine del nuovo corso, ma è sempre calcio

d’agosto e si spera che sia una contingenza dovuta a una preparazione

affrettata. L’inizio del campionato ed alcuni risultati non esaltanti nel

girone di Champions mettono a nudo le scelte incongruenti dell’era post

Mourinho. Nell’ansia di farsi accettare dallo spogliatoio, Benitez, già molto

adombrato per i mancati arrivi dei pupilli Mascherano e Kuyt, cerca di

demolire il gioco della squadra, che aveva permesso di vincere tanto in Italia

ed Europa (pretendendo dai giocatori difesa più alta e meno contropiede dopo

fasi di gioco passive).

Approccio, questo, che gli aliena lo spogliatoio plagiato da Mourinho.

Arrivano le prime inaspettate sconfitte di una squadra che si vede anche

costretta ad una preoccupante emergenza: l’infermeria segnala il tutto

esaurito e giocatori nella precedente stagione decisivi e continui, sono

spesso fermi ai box: Maicon, Milito, Sneijder, Motta; effettivamente il mister

spagnolo non riesce mai a presentare un undici decente, data anche

l’inconsistenza dei nuovi arrivi e anche per una buona dose di immagine

personale sempre più delegittimata, viene messo in discussione dalla società

già dai primi mesi. L’umoralità di Moratti, viene solo frenata, dalla

partecipazione dell’Inter, a dicembre, del mini torneo con in palio la Coppa

intercontinentale per club, che la squadra nerazzurra onora con la vittoria

finale. Ma il destino di Benitez è segnato, lui lo sa e nella conferenza

stampa pochi minuti dopo la vittoria mondiale, si sfoga e vuota il sacco,

parlando al parterre dei giornalisti di come ad Appiano regni l’anarchia, che

ormai questa squadra è da considerare bollita nei suoi giocatori fondamentali

e che i sospirati rinforzi non sono arrivati per una strategia precisa della

dirigenza.

È la goccia che fa traboccare il vaso e dà legittimità al licenziamento che

arriverà dopo qualche giorno: è superfluo affermare che l’analisi di Benitez,

anche col senno di poi, aveva un fondo di verità, ma come abbiamo già

stigmatizzato, criticare la gestione societaria, quando c’è di mezzo Moratti è

considerato un grave atto di lesa maestà. E così, dopo pochi mesi dai trionfi

nazionali e internazionali, l’Inter si trova, per l’ennesima volta nei sedici

anni di gestione Moratti, a dover impegnarsi nella ricerca di un titolare

della panchina e questa volta il presidente sfila un asso dalla manica, che

lascerà l’ambiente calcistico italiano a bocca aperta: la scelta cade su

Leonardo, allenatore del Milan nella stagione precedente, ma soprattutto da

una vita protagonista in campo nella squadra rossonera degli anni ’90 e serio

dirigente e capace osservatore di talenti proprio per la società di

Berlusconi. Ma vi racconteremo nella prossima puntata come inciderà nel

prosieguo della stagione la decisione di Moratti.

___

Benitez, Leonardo e Gasperini: ultimi tonfi della gestione Moratti

Ultima puntata della Moratteide, epopea di un presidente che non

capisce niente di calcio. La storia lascia il posto all'attualità e

alla cronaca

di CARLO CANDIANI (Tempi.it 13-12-2011)

23 dicembre 2010: un comunicato stampa sul sito ufficiale dell’Inter annuncia

il divorzio tra la società e l’allenatore Rafael Benitez. Il sodalizio è

durato sette mesi, un tempo ridicolo per una grande squadra: l'ennesimo gesto

istintivo degno di un presidente di una squadra provinciale per Moratti, che

non sorprende neanche più un tifoso interista attento alla storia della

gestione morattiana.

24 dicembre 2010: sempre sul sito ufficiale dell’Inter, viene ufficializzato

all’universo mondo che il nuovo allenatore nerazzurro sarà il brasiliano

Leonardo. Sorpresa e sgomento! Sorpresa da parte dei media: Moratti decide di

far allenare la squadra interista ad un uomo targato Milan, cioè ad un ex

giocatore milanista, rimasto per anni nell’ambiente rossonero come osservatore,

all’interno della struttura societaria (Kakà, Pato e Thiago Silva sono

giocatori arrivati in Italia grazie a lui). Inoltre Leonardo, è stato nella

stagione precedente allenatore della squadra della famiglia Berlusconi,

ottenendo buoni risultati con un team in disarmo, raggiungendo il terzo posto

in campionato, ma attirandosi le critiche del padrone di casa, tanto da

prendere il cappello e andarsene, senza fare polemica, alla fine della

stagione.

Anche se ormai da mesi fuori dall’orbita Milan, la decisione di Moratti e la

disponibilità finale di Leonardo, viene accolta da quegli “sportivoni” del

Milan come un tradimento. Si potrebbe aprire una corposa parentesi per

spiegare come mai ingaggiare Ibra sotto il naso dell’Inter è un legittimo atto

di professionalità sportiva, mentre l'assunzione di un tuo ex allenatore è

un'offesa ai propri colori. Ma andiamo avanti. Con Leonardo alla guida della

squadra nerazzurra, Moratti vuole (o vorrebbe) aprirsi ad un nuovo stile di

conduzione manageriale e la figura elegante del brasiliano ha tutti i crismi

per poterla realizzare. Già profondo conoscitore dei meccanismi del campionato

italiano, Leonardo dà una sferzata di autostima alla squadra. Il presidente fa

la sua parte, comprando sul mercato di gennaio quei rinforzi tanto desiderati

da Benitez e mai accordati all’allenatore stesso. Arrivano il giovane, ma già

in nazionale, Ranocchia, difensore centrale dal Genoa, il difensore d’ala

giapponese Nagatomo, il centrocampista marocchino Kharja ma soprattutto il

centravanti della Sampdoria, Pazzini.

L’innesto di questi giocatori dà nuova linfa al gioco interista che partendo

dall’iniziale vittoria sul Napoli, dopo la pausa natalizia, recupera punti su

punti alla capolista, il Milan, fino ad arrivare ad appena due lunghezze dai

cugini proprio alla vigilia del derby di ritorno. L’ambiente interista è

esaltato dal nuovo protagonismo della squadra, che si trova in corsa ancora in

tutti e tre gli obiettivi di stagione: campionato, Champions, coppa Italia e

già prefigura nuovo orizzonti di vittorie. Ma un destino crudele si abbatte

sui sogni di gloria interisti. Il derby, che sarà decisivo per la vetta della

classifica, parte con brutti segnali che arrivano dalla tifoseria rossonera,

che tira di nuovo fuori il presunto tradimento di Leonardo, che verrà accolto

dall’inizio di partita con bordate di fischi e striscioni ingiuriosi. Davanti

a tanta arroganza e mancanza di etica sportiva, sentimenti dei quali i

milanisti, mentendo, pensano di disporre in abbondanza, la risposta

dell’allenatore brasiliano è così pacata, che anche i suoi allenati scendono

in campo senza grinta e lasciano sul prato i sogni di poter ritornare a

condurre il campionato: infatti in una partita senza storia, il Milan ricaccia

i nerazzurri a -5, vincendo agevolmente 3-0.

Brutti nuvoloni si addensano sulla testa di Leonardo: da una parte lo scherno

perfido dei milanisti, dall’altra la delusione dei tifosi nerazzurri. È un

dato di fatto che per tre volte consecutive (due sulla panchina rossonera e

una su quella interista), viene sconfitto in un derby. Per l’Inter è un

ritorno alla cruda realtà: la partenza problematica con Benitez, gli infortuni,

le tossine accumulate dalla stagione precedente, la mancata vacanza per i

nazionali al ritorno dal Sudafrica, la rincorsa a perdifiato sul Milan,

sostenuta più dai nervi che da un gioco ritrovato, si infrange definitivamente

qualche giorno dopo nella partita di andata dei quarti di Champions contro lo

Schalke 04, una modesta squadra tedesca salutata come avversaria assolutamente

comoda per poter proseguire il cammino internazionale. Oltretutto, dopo avere

superato nel turno precedente lo scoglio Bayern Monaco, una sorta di revival

della finale di Madrid, con un ritorno in terra tedesca esaltante per i

nerzzurri, che eliminano i tedeschi con un tiro fulminante all’88’ di un

giocatore interista fino ad allora “non pervenuto”: Goran Pandev.

Una classica impresa “stile Inter”, che risulterà ingannevole sulle reali

condizioni psico-fisiche della squadra: relegato il derby come una serata

storta e nulla più, l’Inter scende in campo, forse con un po’ di sufficienza.

Atteggiamento che sembra giustificato da un inizio folgorante: Stankovic trova

il gol dopo appena un minuto dal fischio d’inizio e la squadra pregusta già le

semifinali. Ma i conti sono sbagliati: dopo aver pareggiato al 17’, lo Schalke

dilaga e alla fine davanti agli sguardi attoniti e increduli di giocatori,

allenatore, presidente, dirigenti e tifosi (allo stadio e a casa), il

risultato è inequivocabile: Inter - Schalke 2-5. La batosta è impressionante:

c’è chi ricorda che fu proprio lo Schalke a togliere all’Inter, durante la

gestione Hodgson, il gusto della vittoria in casa, in una finale di Coppa Uefa.

Un particolare statistico che non consola: malgrado tanti proclami di una

improbabile impresa, l’Inter sbaglia anche al ritorno, perde 2-1 e abbandona

la Champions a testa bassa. È ufficiale: l’Inter di Mourinho non esiste più!

A nulla serve il contentino della vittoria nella finale di Coppa Italia contro

il Palermo, sconfitto da due gol del bomber che da solo ha tenuto in piedi la

baracca interista: Samuel Eto’o, un grande di livello mondiale. Il secondo

posto in campionato e quindi l’automatico accesso alla Champions League, però,

non riescono a far dimenticare i dieci giorni terribili tra derby e Schalke e

quest’ombra graverà sulle decisioni di Moratti, che non vuole rinnovare la

fiducia a Leonardo, che improvvisamente all’inizio del rompete le righe

vacanziero, quando si decidono le strategie del calcio mercato, dichiara

finita la sua avventura all’Inter, dopo una serie di conferme e smentite

piuttosto stucchevoli, per diventare Direttore sportivo del Paris St.Germain,

società da poco rilevata da una cordata di sceicchi arabi.

Una vicenda, ancora avvolta nel mistero, squarciato solo da una conferenza

stampa dello stesso Leonardo, qualche settimana dopo. Intanto, l’Inter

gestione Moratti ripiomba nella naturale condizione di confusione dirigenziale,

che ha abituato i tifosi, ormai da 17 anni, cioè da quando il petroliere si è

insediato nell’ufficio di via Durini. È appunto nella nebbia totale che la

società, dopo aver scandagliato la disponibilità di una schiera lunghissima di

allenatori, più o meno liberi, ricevendo sdegnati dinieghi, ripiega su tal

Gasperini, ex allenatore delle giovanili juventine e ultimamente cacciato dal

Genoa. Tutti sanno come è andata a finire, dopo non più di un mese dalla

partenza della stagione.

Si conclude qui, per ora, questa “Moratteide”. Naturalmente, continueremo a

monitorare l’avventura morattiana in casa Inter, ora che la storia cederà il

passo all’attualità della cronaca.

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Juve e Inter: o la stretta di mano oppure affari vostri e lasciateci in pace

da Bloooog! di FABRIZIO BOCCA (Repubblica.it 13-12-2011)

Due parole due sul “Tavolo della Pace” che metterà una davanti all’altra

Juventus e Inter, insieme a Coni, Federcalcio e quant’altri. E’ l’ultima

occasione non dico per chiudere ma quanto meno per tenere sotto controllo una

vicenda che ormai va avanti da oltre cinque anni. Non so quante probabilità di

stretta di mano ci siano. Direi che ognuno deve mettere molta disponibilità e

anche fare un passo indietro. Sapete come la penso, e lo ripeterò solo in una

riga: la Juventus deve smetterla con la storia due scudetti e l’Inter non può

vantare meriti su quello scudetto avuto nel 2006 e blindato dalla prescrizione.

Non so come si faccia a parlare d’altro, non so come si faccia a girarci

intorno al problema dei problemi, facendo finta di occuparsi in generale del

calcio italiano e non delle cose che hanno messo Juventus e Inter su fronti

opposti, secondo me la questione è quella e quella va affrontata. A meno che

non si voglia far finta di nulla anche l’uno davanti all’altro. So in ogni

caso che oltre questa occasione non c’è più nulla, che se non ci sarà la

stretta di mano, la questione Juventus-Inter diventerà puramente personale,

addirittura privata, una di quelle faide che vanno avanti per tempo immemore

in cui alla fine non è più importante stabilire chi ha cominciato, devi solo

condannare entrambi e basta.

Al resto del calcio italiano la questione Juventus-Inter comincia

sinceramente a non interessare più nulla perché ormai la giustizia sportiva

sta finendo totalmente il suo corso e anche quella penale sta ormai ribadendo

le medesime conclusioni.

Non si può pretendere che la faida Juventus-Inter trascini l’intero sport

italiano in una faida di risentimenti che lasciamo volentieri a loro. Se si

vuol capire bene, altrimenti affari vostri e amen.

___

Tavolo della pace: ecco chi non ci sarà

dal blog "Calcinfaccia" di GIOVANNI CAPUANO 13-12-2011

Ufficialmente la tavolata sarà a nove posti con Moratti e Agnelli seduti ai

due capi e in mezzo tutti gli altri a cercare di fargli fare pace, pronti a

scattare se a uno dei due dovessero scappare le due paroline magiche:

"scudetto 2006". Tavolo apparecchiato per le nove di mattina così da prendersi

tutto il tempo necessario per "chiudere definitivamente discussioni, corsi e

ricorsi" come ha fatto sapere il presidente del Coni che è anche padrone di

casa e che dovrà districarsi tra veti e minacce perché il tavolo della pace

non si trasformi in una Caporetto del calcio italiano.

Che le posizioni siano distanti non lo nasconde nessuno. Moratti non

accetterà di mettere in gioco le sentenze del 2006 a partire dall'assegnazione

dello scudetto. Agnelli vuole partire proprio da lì e subisce le pressioni

della piazza che gli chiede di non cambiare strategia. Abete vorrebbe parlarne

ma non può per non smentire le decisioni prese in luglio sulla non competenza

della Figc. Della Valle ha il dente avvelenato con Moratti ma la sentenza di

Napoli lo ha azzoppato non poco nelle motivazioni. Galliani cerca di capire

l'aria che tira e De Laurentiis si è praticamente autoinvitato.

Pronostico facile facile: o Petrucci, che ha trascorso le ultima settimane al

telefono, trova qualche sponda disinteressata o sarà difficile anche se il

resto dell'agenda - Calciopoli a parte - è tutt'altro che disprezzabile a

partire dalla riforma della legge 91 sul professionismo per proseguire con

stadi di proprietà, spartizione dei diritti tv e protezione del merchandising.

Proprio per questo a far rumore sono soprattutto quelli che domattina, mentre

i magnifici nove si siederanno al tavolo apparecchiato da Petrucci, al massimo

scenderanno a far colazione al bar sotto casa. Molti presidenti, Cellino e

Zamparini in testa, lo hanno detto apertamente. La Lega Calcio abbozza ma non

gradisce. Il timore è che gli equilibri del nuovo calcio possano essere

scritti in un circolo ristretto cosa che in passato ha portato più guai che

soluzioni come accadde con la scelta del doppio designatore per non

scontentare nessuna delle 'sette sorelle' di inizio anni Duemila.

Se, invece, si parlasse davvero di Calciopoli e di quanto accaduto

nell'estate del 2006, allora Petrucci ha ancora poche ore di tempo per

allungare la lista degli invitati. All'elenco mancano infatti alcuni personagi

imprescindibili. Ad esempio bisognerebbe sentire anche Cellino, Campedelli,

Foschi, Gasparin, Governato, Spinelli e Corsi, finiti insieme a Facchetti e

Moratti nelle 72 pagine della requisitoria senza replica del procuratore

Palazzi. Oppure Lotito, Gazzoni Frascara, Foti e il Brescia. E un angolino

andrebbe riservato, perché no?, anche a Luciano Moggi e al suo consulente

Nicola Penta, l'unico a poter dire di aver sentito con le sue orecchie (quasi)

tutte le 170mila telefonate contenute negli atti della Procura di Napoli. Cosa

contengono che ancora non è stato distillato ai giornali?

Oppure si potrebbe invitare Cosimo Maria Ferri, nome sconosciuto ai più e

figura chiave dei processi sportivi di cinque anni fa. Era un dirigente della

federazione, teste chiave per valutare il presunto illecito tra Della Valle e

Lotito, la cui memoria fu azzerata dalla decisione di abbandonare il mondo

dello sport. Una sorta di prescrizione di cui si lamentarono anche i giudici

della Corte Federale scrivendo che con il suo silenzio "era venuto a mancare

al processo un prezioso contributo probatorio". E perché non chiamare anche

Guido Rossi, all'epoca commissario straordinario della Figc, per chiedergli

del comunicato stampa con cui ufficializzò la consegna dello scudetto

all'Inter e che ha recentemente definito con eleganza "s********e" i tentativi

di riscrivere il capitolo.

O Francesco Saverio Borrelli e lo stesso Palazzi per dirimere una volta per

tutte il mistero delle telefonate di Facchetti che c'erano o non c'erano già

nel 2006. Il rischio è che più che un tavolo si finisca col dover prenotare un

ristorante intero. Davvero troppo anche per Petrucci già condannato a una

missione impossibile: far stare seduti Agnelli e Moratti senza che l'incontro

della pace si trasformi in un lancio di posate. Difficile. Quasi impossibile.

Modificato da Ghost Dog

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Evasioni di campo

Tavolo della 'pece': dov'è Guido Rossi?

di Xavier Jacobelli, direttore di quotidiano.net

Il pareggio dell'Olimpico fa bene a tutte e due. Alla Roma che respira, alla Juve che ritorna in testa assieme alla splendida Udinese, per la quale gli elogi non sono mai abbastanza. Roma gagliarda, Juve irriducibile. Roma che passa subito in vantaggio grazie a De Rossi in forma mondiale, Juve che reagisce, schiaccia i rivali nella loro metà campo per almeno venti minuti, trova il pareggio con Chiellini.

Roma che potrebbe ribaltare tutto, ma Buffon sta come De Rossi, modello Berlino 2006 e dice no a Totti parandogli il rigore. Totti che è insostituibile e speriamo Luis Enrique l'abbia capito, una volta per tutte. Già, Luis Enrique. Lo spagnolo ha coraggio e punta anche su Viviani, 19 anni e la disinvoltura del ragazzo di talento. Non poteva perdere questa partita, Enrique e c'è riuscito, nonostante la difesa in emergenza, Osvaldo che continua ad essere troppo nervoso per risultare decisivo, la persistente difficoltà ad andare al tiro di un attacco che comunque ha messo in

difficoltà l'unica squadra imbattuta del campionato.

Conte ha ragione di essere soddisfatto: anche se il furore agonistico della Juve non è durato per tutta la partita, i bianconeri hanno superato un altro, importante esame di maturità. Lo svarione di Vidal poteva complicare maledettamente le cose come l'inconsueta insufficienza di Marchisio che, dall'inizio della stagione, invece, è stato il trascinatore dei bianconeri. Ma alle carenze dei singoli, ancora una volta ha sopperito la forza del collettivo e non è un caso che a siglare il pareggio sia stato Chiellini, sempre l'ultimo ad arrendersi. La classifica dice che quattro squadre si stanno giocando lo scudetto, ma occhio a considerare il Napoli tagliato fuori. Ci sono ancora 72 punti a disposizione e tutto può succedere. Anche rivedere l'Inter nei

quartieri alti, Genoa permettendo, s'intende.

Mercoledì, intanto, si imbadisce il tavolo della pace che meglio sarebbe chiamare della 'pece', tanto oscuro e vischioso si annuncia questo incontro dal quale, salvo imprevisti colpi di scena, tutti usciranno come ci saranno entrati, rimanendo sulle rispettive posizioni. Petrucci si affanna a dire che mica poteva invitare l'universo mondo: chi c'è c'è e chi non c'è, s'attacca.

Il convitato di pietra si chiama Guido Rossi, l'uomo che nel 2006 assegnò a tavolino lo scudetto all'Inter quando, in realtà, quel titolo doveva rimanere vacante per manifesta irregolarità della competizione, come recita il regolamento della Federcalcio. Cinque anni fa, Rossi ha commesso il peccato originale da cui è disceso tutto, Rossi dovrebbe avere almeno il buon gusto di non definire le vicende di Calciopoli con il termine volgare e irripetibile che ha usato la settimana scorsa. Se su Calciopoli non è stata fatta giustizia piena e completa, c'entra anche Rossi che se n'è andato dopo tre mesi di commissariamento per tornare a fare il presidente di Telecom. Adesso è troppo comoda chiamarsi fuori.

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Calciopoli, il trionfo dell'ipocrisia e il fallimento di Coni e Figc

Come volevasi dimostrare, Moratti e Agnelli non faranno mai pace

di Xavier Jacobelli - quotidiano.net

Inter e Juve non mollano su nulla: la riunione del Coni è stata una parata di parole vuote. La verità è che la giustizia sportiva non ha fatto luce a 360 gradi sul più grave scandalo calcistico del dopoguerra: e adesso la palla ritorna ai tribunali

Quando Quotidiano.net aveva definito Tavolo della Pece quello che pomposamente era stato chiamato Tavolo della Pace, era stato sin troppo ottimista. Nulla si immaginava sarebbe scaturito dall'incontro promosso dal Coni e nulla è scaturito.

Un'inutile passerella mediatica piena solo di parole vuote: ecco che cosa è stato il summit del Foro Italico, prenatalizia saga dell'ipocrisia o, nella migliore delle ipotesi, della superficialità.

Come sarebbe stato possibile "cambiare il calcio" (anche questa ci è toccato sentire dalle veline di Palazzo) se lo sanno anche i muri, che Inter e Juve non mollano e rimangono inchiodate sulle rispettive posizioni?

E perchè dall'adunata sono stati tagliati fuori i club che non hanno santi in paradiso?

E perchè il presidente del Coni e il presidente della Figc, per prima cosa non hanno riconosciuto che nel 2006 non è stata fatta giustizia a 360 gradi?

Perchè non hanno dichiarato che la giustizia sportiva si è mossa tardi e male dopo le nuove intercettazioni presentate davanti al Tribunale penale di Napoli?

Perchè non hanno spiegato per colpa di chi sia scattata la prescrizione?

Perchè non hanno esatto la presenza del signor Guido Rossi, commissario straordinario nel 2006, affinchè spiegasse come mai avesse assegnato lo scudetto a tavolino pur potendo anche non farlo, a norma di regolamento, come hanno detto gli Ex Tre Saggi, smarcandosi dall'ex presidente Telecom?

Altro che rappacificazione, riconciliazione, ferita ancora aperta da rimarginare e bla bla bla.

Ha detto bene Diego Della Valle: "Sono state ore di confronto civile su posizioni che rimangono distanti". La fotografia nitida di come stiano le cose. Tutto il resto è fuffa. E adesso, la palla ritorna ai tribunali della giustizia ordinaria e amministrativa. Calciopoli è una storia infinita: doveva essere l'occasione per fare una pulizia totale, è stata sprecata da un sistema incapace di rinnovarsi e preoccupato soprattutto di salvaguardare le proprie poltrone. Facendo finta che tutto cambiasse perchè tutto rimanesse come prima.

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Joined: 30-Aug-2006
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Tavolo della pace fallito: il calcio italiano torna nelle aule dei tribunali

dal blog "Calcinfaccia" di GIOVANNI CAPUANO 13-12-2011

Nessun passo avanti e nessun passo indietro. Il tavolo della pace ha certificato l'impossibilità di chiudere il capitolo Calciopoli senza passare dai tribunali malgrado l'impegno di Petrucci, i sorrisi della vigilia e le promesse di collaborazione. E' andata male anche se la parola "sconfitta" l'ha pronunciata solo il presidente del Coni sia pure per esorcizzarla e spiegare che il tentativo andava fatto e che la coscienza nel capo dello sport italiano è pulita.

Una magra consolazione di fronte allo scenario dei vertici del maggiore movimento nazionale che in quattro ore e mezza attorno a un tavolo non sono riusciti a fare altro che ribadire le proprie posizioni rifiutando qualsiasi confronto e che ora si consegneranno all'ennesimo pellegrinaggio per aule giudiziarie col risultato di tenere bloccata qualsiasi idea di accordo per riformare un sistema che sta perdendo posizioni e competitività.

Che il tavolo della pace fosse destinato a fallire lo si era intuito anche solo osservando la disposizione degli astanti. In mezzo Petrucci e Pagnozzi. Poi Abete da una parte e Valentini dall'altra. Quindi i grandi nemici seduti rigorosamente distanti; alla destra di Petrucci i 'falchi' Agnelli e Della Valle, alla sinistra le 'colombe' Moratti e Galliani. Troppo lontani anche solo per abbozzare una stretta di mano, figurarsi per arrivare all'abbraccio che il Coni e la Figc speravano.

"Le scorie di Calciopoli sono ancora scottanti. Dovevamo lenire una ferita ancora aperta e il tentativo non è riuscito" è stata la sintesi amara di Petrucci. Quella più secca di Della Valle era arrivata qualche minuto prima: "Tutti sono civilmente rimasti sulle loro posizioni. Un altro tavolo? Non so". Difficile che ci si riprovi a breve anche perché uscito dalla sala giunta del Coni il calcio italiano si è avviato diritto per le aule dei tribunali senza possibilità di fare un passo indietro. Non lo ha fatto la Juventus che si è rifiutata di ritirare il ricorso al Tar con allegata richiesta di risarcimenti danni alla Figc per 443 milioni di euro. Non potrà farlo la stessa Federcalcio quando sarà chiamata a rispondere dei suoi atti in una contesta che andrà certamente anche davanti al Consiglio di Stato. Abete ha spiegato con chiarezza come il ricorso di Agnelli rappresenti un problema concreto per la Figc: "Non abbiamo stanziato fondi per farvi fronte altrimenti la federazione si dovrebbe fermare per due o tre anni". Il bilancio annuale ammonta a circa 180 milioni di euro. Se la Juve vince la Figc dichiara bancarotta, altrimenti le carte di mischiano nuovamente.

Da quanto si è appreso il clima al tavolo è stato, almeno nella forma, sereno. Nessuno ha alzato la voce, non ci sono stati scontri aperti e nessuno ha pensato nemmeno un momento di alzarsi ed andarsene. Anche così si spiega la durata particolarmente lunga che nel corso della giornata aveva fatto sperare nella possibilità che le parti fossero vicine ad un accordo e che si stesse lavorando ad un documento comune da inviare al Governo. Nulla di tutto questo. Petrucci ha iniziato il suo intervento introduttivo partendo da Calciopoli e lì ci si è fermati con piccoli accenni agli altri temi dell'agenda. Il risultato pratico di tutto questo è che, Calciopoli a parte, il calcio italiano non riuscirà a trovare a breve un accordo anche su altri temi caldi.

Difficile se non impossibile che venga identificato un successore per il presidente part-time della Lega Calcio, Maurizio Beretta; il gioco dei veti incrociati lo rende impossibile. Improbabile che sia varata la riforma dei campionati che la Lega Serie B e la Lega Pro attendono e che dovrebbe auspicabilmente portare a una riduzione a 18 del numero delle squadre della massima serie. "Un incontro è sempre utile" ha concluso Moratti, l'unico a tentare di apparire conciliante anche alla fine. Anche lui, però, non ha fatto nessun passo indietro. L'accordo era impossibile e il tavolo l'ha certificato. Spente le luci restano scorie e macerie di un guerra che non ha ancora scritto l'ultimo capitolo.

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