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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Palazzo di vetro DI RUGGIERO PALOMBO (GaSport 03-12-2011)

Calcio e non solo,

rinvii e ventriloqui

Quasi tutto slitta, a gennaio si rischia

l'ingorgo. E Roma 2020 ora traballa

E' tempo di rinvii. Prima l'Alta Corte di Giustizia che doveva esaminare il

caso delle radiazioni di Moggi, Giraudo e Mazzini. Poi la Corte di Giustizia

federale sulla questione dell'articolo 22 delle Noif. Infine il Governo, che

di Paralimpici e Roma 2020 non vuole sentire parlare fino all'anno prossimo.

Dio non voglia il tavolo della pace e i vari Tnas ancora in azione non

dovessero mettere qualche punto fermo, gennaio rischia il gigantesco ingorgo

istituzionale, giudiziario e procedurale. Speriamo bene. Soprattutto per Roma

2020 che traballa e per Pancalli che chiude bottega, ma anche per ciò che

investe più da vicino il calcio, la cui legge sugli stadi sembra letteralmente

sparita.

La storia dell'articolo 22, il caso Lotito, è emblematica di come (non)

funzionano certe cose. Sabato scorso se ne è occupato Palazzo di vetro,

sostenendo, non in punta di diritto ma di buon senso, che il presidente della

Lazio nonché consigliere federale, dopo la condanna di Calciopoli non merita

l'ergastolo sportivo, non merita di essere escluso dalla partecipazione alla

vita associativa della Lega, e non merita (ora) di sedere in C. f. Questa

opinione, per la sua terza parte, non è piaciuta a Lotito, secondo il quale

Palazzo di vetro è «ventriloquo di Abete» e profetizza pareri già scritti. Per

una curiosa successione temporale, a queste valutazioni ha fatto seguito

martedì la lettera che il presidente della Lega Beretta ha mandato ad Abete e

alla Corte. Nella quale, tra le varie eccezioni sollevate, «corre l'obbligo di

rilevare che l'eventuale esclusione del nostro rappresentante dal Consiglio

federale in ragione di una disciplina incerta nella sua applicazione

apparirebbe come del tutto contraria allo spirito... Ciò rischierebbe poi di

minare la specificità e l'autonomia dell'ordinamento sportivo, con il rischio

di alimentare quel ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria, che insieme a

te (Abete) non vorrei mai vedere esercitato, ma che è stato già da più parti

evidenziato...». Conclude Beretta: «... la sospensione di questi (Lotito) per

effetto di una pronuncia non definitiva può impedirne la nuova elezione, ma

non può comportare la cessazione anticipata dell'incarico». E qui sta il

punto: con tutto il rispetto per l'opinione di Beretta, noi, con o senza

ventriloqui, continuiamo ad avere la nostra.

Ps «Il presidente del Coni può essere solo uno che ha avuto esperienze nel

mondo del calcio». Così Petrucci martedì a fine Giunta. L'ex-commissario Figc

Pagnozzi sarà contento. Malagò e Barelli un po' meno.

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Facchetti Il terzino-campione, il suo mondo

di parola, le grandi partite, nel ricordo del figlio

Quando il calcio

profumava di Giacinto

di Marta Morazzoni (LA STAMPA - tuttoLIBRI 03-12-2011)

Da un anno pensavo di scrivere sul clima Inter, in cui l'avventura europea al

Santiago Bernabeu, artefice lo stregone Mourinho, mi aveva ripiombato, tirando

in ballo le emozioni del tempo mitico del mago Herrera. Ora, in tutt’altro

stile e con un altro paradigma, nel racconto di un figlio che ricorda suo

padre, mi trovo proiettata in quel gioco sincronico, che riporta sulla scena

in un valzer a due tempi l’Inter del Prater di Vienna del 1964, per me la

prima magia, e quella di Madrid. Le facce si confondono, i nomi delle

formazioni si accavallano, e però mi pare che il capitano Zanetti sia il trait

d’union, mi pare che la sua faccia, il suo sorriso abbiano qualcosa in comune

con quelli di Giacinto Facchetti.

Non so se Gianfelice Facchetti avesse già in cantiere il suo tempo ritrovato,

prima che per il mondo nerazzurro scattasse il richiamo della memoria

involontaria, di fatto il suo la di scrittore è coinciso con il la della

memoria e dell’emozione collettiva. Si sa che bisogna diffidare del passato

mitizzato, perché la dea Mnemosine si districa con abilità tra quello che le

piace di ricordare e quello che non le piace più di avere in mente. Per di più

un figlio che parla del padre corre dei rischi, sempre, se poi il padre è

protagonista di un epos sportivo oltre il tifo dei club, la penna scivola

facilmente verso l’emozione poco controllata da entrambe le parti, lettore e

scrittore. Facchetti è stato un pezzo di storia dell’Inter e della nazionale,

quella che ha subito lo scacco della Corea nel ‘66, ma ha vinto gli Europei

del ‘68 e ha giocato la partita delle partite, quell’Italia-Germania 4 a 3 che

ha visto la gente attaccata al televisore in una tensione da cardiopalma, in

uno di quei rari momenti in cui l’Italia è un’Italia unita.

Lecito quindi domandarsi se quello che stiamo leggendo sia la nostalgia di

una stagione idealizzata, o un ragionato ripensamento intorno a uno stile di

vita che si è via via fatto estraneo a un oggi un po’ meno coraggioso e

pulito. Nostalgia sì, comunque: il libro è dolce e amaro, ci sono ricordi

tenerissimi familiari, sportivi, amicali, c’è un presente di affetti solidi;

ma ci sono, o meglio ci sono stati rospi fastidiosi da ingoiare, e chi ha

almeno sentito dire della vicenda di calciopoli, non ha bisogno che gli si

ripassi la parte. Su tutto domina uno sguardo lucido su un oggi svilito non

solo nello sport. Il titolo è emblematico di quell’altro mondo che, nel clima

sgusciante e parolaio che conosciamo, rischierebbe se non l’irrisione, lo

stupore, un titolo sospeso su una domanda a quel tempo retorica: Se no che

gente saremmo... che gente saremmo se non avessimo una parola sola? C’è,

nell’aneddoto legato a questa frase, il taglio di un’onestà assoluta, che si

imbarazza all’idea di venire meno a quel che ha detto. A 64 anni Facchetti ha

chiuso i conti con questo mondo sempre meno di parola, li ha lasciati aperti

in un dialogo di emozioni con suo figlio che in questo libro ce ne fa parte. E

il racconto del dialogo interrotto e ripreso tra loro due ci coinvolge,

ciascuno di noi con una sua peculiare memoria, dal rosario laico della

formazione dell’Inter alla foto di gruppo del maggio 1964 al Prater di Vienna.

Ce l’ho, quella foto, col sorriso di Facchetti in bianco e nero. O nerazzurro.

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Genoa-Milan non è una partita come le altre

di STEFANO NAZZI (Il Post.it 03-12-2011)

Chi ha visto venerdì sera Genoa-Milan in tv sa che è successo qualcosa fuori

dallo stadio. Tafferugli, dicono i giornali. La curva genoana ha aspettato

l’arrivo dei milanisti e li ha accolti con sassi e bottiglie. È un fatto:

Genoa Milan non sarà, ancora per molto tempo, una partita normale. E non per

il risultato, ma per una data: 29 gennaio 1995. Quel giorno, fuori dallo

stadio di Marassi, dalla parte della curva nord, un ragazzo genoano di 25 anni,

Vincenzo Spagnolo, venne accoltellato a morte da un altro ragazzo, uno della

curva sud milanista. Quello che accadde quel giorno è ormai storia giudiziaria,

ma è anche la storia di una delle curve più antiche e famose d’Italia, quella

del Milan. A uccidere con una coltellata al cuore Vincenzo Spagnolo fu Simone

Barbaglia, 18 anni. Faceva parte di un gruppo che si era staccato dalle

Brigate rossonere anche, e soprattutto, per motivi politici. La curva

rossonera aveva allora una forte componente di sinistra, così almeno era per

le Brigate rossonere. Chi diede vita alle Brigate 2 aveva invece simpatie per

la destra radicale ma, soprattutto, ideologizzava lo scontro sempre e comunque,

a tutti i costi. I suoi leader tra l’altro non assomigliavano molto alla

classica figura del tifoso della curva: venivano della buona borghesia

milanese, studenti di architettura o di lettere. Il loro capo indiscusso (lo

chiamavano “il chirurgo”, per l’uso continuo del coltello) è oggi un affermato

commercialista milanese. Quel giorno a Genova erano andati per conto loro, non

con il treno ufficiale dei tifosi ma su un treno normale, senza sciarpe o

altro materiale che potesse distinguerli. Puntarono subito verso la curva nord

genoana e dietro i capi c’erano, come sempre, decine di ragazzini. Barbaglia

era uno di loro. Fu condannato a 14 anni e otto mesi, oggi è libero. Molti

capi delle Brigate 2 patteggiarono pene tra i cinque mesi e un anno, “il

chirurgo” venne condannato a due anni. La Procura generale di Genova chiese

invano che venisse processato anche lui per omicidio volontario.

Dopo l’omicidio di Spagnolo, le varie curve d’Italia cercarono di parlarsi,

di discutere su quello che era successo. Venne anche indetta, a Genova,

un’assemblea, il titolo era tipico del linguaggio delle curve: “Basta lame,

basta infami”. I milanisti non vennero invitati. Si creò anche un

coordinamento che prese posizione, negli anni seguenti, contro quello che la

“mentalità ultras” definisce il calcio moderno, dettato dall’egemonia

televisiva. Il coordinamento durò poco, troppi odi tra una curva e l’altra,

anche politici. La destra radicale aveva conquistato ormai l’egemonia in tutte

le principali curve d’Italia, aggiungendosi a quelle, come la nord interista,

che di destra erano sempre state.

Ma c’è stato, nelle curve italiane, un passaggio ulteriore: l’arrivo in forze

della criminalità organizzata. A Milano, sponda curva sud, si arrivò nel 2006

a una resa dei conti clamorosa: il gruppo più antico d’Italia, il più famoso,

la Fossa dei Leoni, fu costretto a sciogliersi. La FdL era rimasta l’unico

gruppo in curva non allineato: di sinistra e spesso in antagonismo pesante con

la società. Il pretesto fu una storia di striscioni rubati e scontri con gli

juventini, fatto sta che ai capi della Fossa (il direttivo) fu intimato di non

mettere più piede allo stadio. Le minacce arrivavano da gente che non si

poteva sottovalutare: facce nuove, legate alla ‘ndrangheta, che avevano

fiutato l’affare: merchandising, biglietti, trasferte, una curva organizzata

vale tanti soldi. Il direttivo convocò un’assemblea, diventata storica, in cui

venne votato, pur di non far cadere il nome e l’organizzazione in mano ad

altri, lo scioglimento della Fossa. Un solo leader si oppose, fondò un gruppo

con un nome evocativo, Leoni della Sud, ma il gruppo egemone gli fece capire,

pesantemente, che doveva andarsene anche lui. Ci furono pochi tentativi di

resistenza, volarono anche colpi di pistola. Il 25 gennaio del 2007, dopo

Milan-Roma, Walter Settembrini, uno dei pochi di sinistra rimasti in curva,

venne aggredito con una violenza spaventosa. Una telecamera riprese tutto, il

video può dare bene l’idea della violenza con cui vengono gestite le curve

italiane. Settembrini rimase due mesi in ospedale, gli avevano sfondato la

faccia e la testa. Al processo gli aggressori parlarono di “antipatia per

quell’individuo”. Tutto lì, antipatia.

Il resto è storia recente: c’è stato un processo a nuovi e vecchi capi della

curva sud rossonera: l’accusa era quella di aver ricattato la dirigenza del

MIlan. In sostanza: o ci dai un sacco di biglietti per le trasferte (biglietti

che poi ovviamente vengono rivenduti) oppure ti facciamo squalificare il

campo. Uno dei capi della curva è oggi latitante, ricercato per altre storie,

legate alla criminalità organizzata. E dire che un paio di anni fa è anche

comparso come attore in un film, L’ultimo ultras. Faceva se stesso.

Da due anni i tifosi della curva milanista hanno avuto il permesso di tornare

a Genova, in occasione di Genoa-Milan. Sono passati 16 anni dalla morte di

Vincenzo Spagnolo, le curve d’Italia sono cambiate. Quella partita, però, non

sarà mai come le altre.

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“Le belve” reloaded:

il calcio messicano usato per riciclare il denaro dei narcos

di FRANCESCO CAREMANI dal blog "IL CALCIO DELL'ALTRO MONDO" (LINKIESTA 25-11-2011)

Otto delle ultime dieci edizioni della Concacaf Champions League sono state

vinte da squadre messicane, le altre due da formazioni costaricensi.

All’apparenza niente di strano, visto che il Messico è, senza ombra di dubbio,

la massima potenza calcistica dell’area, ma rileggendo le dichiarazioni

rilasciate da Fernando Rodriguez Mondragon la cosa assume tutto un altro

spessore: «In Colombia è risaputo che i narcotrafficanti messicani stanno

riciclando denaro sporco attraverso le squadre, acquistando giocatori con

operazioni oscure, tramite conti alle Bahamas e in altri paradisi fiscali».

Fernando Rodriguez, figlio di Gilberto Rodriguez Orejuela e nipote di Miguel

Rodriguez Orejuela, ‘fondatori’ del cartello di Cali, oggi è in carcere negli

Stati Uniti e scrive libri, il più famoso Il figlio dello scacchista, nel

quale afferma che un emissario di Bin Laden nel 2000 aveva cercato contatti

con i cartelli colombiani per importare negli Usa cocaina all’antrace.

Dichiarazione che non possiamo confutare e che sicuramente dentro un libro

venduto negli Stati Uniti avrà avuto il suo effetto rebound, ma che in qualche

modo abbassa la credibilità della gola profonda colombiana.

Che, però, la testa del narcotraffico internazionale si sia spostata dalla

Colombia al Messico è un dato di fatto, con una guerra che governo locale e

quello a stelle e strisce stanno perdendo giorno dopo giorno: circa il 90 per

cento della cocaina che arriva in Canada e Stati Uniti passa attraverso la

frontiera messicana.

Non hanno inventato niente di nuovo. I narcos utilizzano le plusvalenze, non

per barare sui bilanci, come sanno bene alcuni club italiani, ma per riciclare

il denaro frutto delle attività malavitose, droga in testa. Si compra un

giocatore, secondo Fernando Rodriguez Mondragon soprattutto argentini, lo si

valuta 20 milioni di dollari, se ne pagano solo 2 al club di provenienza ed

eccone 18 puliti. L’operazione passa attraverso le banche dei paradisi fiscali

e il gioco è fatto, senza contare che il calcio latinoamericano è lontano anni

luce dai controlli amministrativi e finanziari che vigono attualmente in

Europa.

Fernando Rodriguez Mondragon cita il paragone con la Colombia degli anni ’80

e ’90, dove il suo cartello controllava l’America di Cali, mentre Pablo

Escobar acquistò l’Atletico Nacional. Risultati? L’America di Cali ha vinto 9

dei suoi 13 scudetti nel ventennio ’79-99, 4 (su 11 totali) l’Atletico

Nacional. I primi hanno conquistato una Coppa Merconorte e hanno giocato

quattro finali di Libertadores, i secondi una Libertadores, due Merconorte e

due Interamericana. Gonzalo Rodriguez Gacha detto “il Messicano”, invece, è

stato proprietario dei Millonarios. Una rete che arriverebbe fino ai

paramilitari, sui cui computer, una volta estradati negli Stati Uniti, sono

comparse le squadre che gestivano.

«L’America di Cali era quasi invincibile e non solo per i suoi grandi

giocatori, ma anche perché il denaro prodotto dal narcotraffico influenzava i

risultati quando si cominciarono a pagare gli arbitri», sottolinea Fernando

Rodriguez, che indica nell’America e nel Cruz Azul i due club messicani

maggiormente legati al narcotraffico; anche se il primo non vince un titolo

dal 2005 e il secondo dal ’97. Il Cruz Azul ha conquistato due Concacaf

Champions League consecutive (’96 e ’97), l’America nel 2006. Senza trascurare

che il suo proprietario è il miliardario Emilio Azcarraga (uno degli uomini

più potenti del Messico), il quale con il gruppo Televisa domina il settore,

prosciugando il 70% dell’audience, escluso il digitale.

Le squadre messicane del momento, risultati alla mano, sono Monterrey (che

vedremo al Mondiale per club della Fifa), Pachuca, Atlante, UNAM Pumas e

Toluca.

La zona costiera che da Monterrey (capitale industriale del Paese) scende

fino a Cancun, sul golfo del Messico, è sotto il dominio de Los Zetas, uno dei

cartelli più sanguinari: fosse comuni, rapimenti, assassini di politici e

gente comune, creando un clima di terrore che sta trasformando questa striscia

in terra di nessuno. I cartelli, secondo una cartina dettagliata pubblicata da

Le Monde Magazine, si spartiscono il territorio e, ormai, è più quello

controllato da loro che dallo stato, incapace (?) di proteggere i cittadini.

In odore di narcotraffico sarebbero anche Los Indios di Ciudad Juarez

(fondato nel 2005, oggi nella Liga de Ascenso, nostra B) e Los Mapaches di

Nueva Italia, retrocessi dalla Federazione in terza divisione (Segunda A) per

questo motivo e dentro un’inchiesta che porterebbe al club America.

Sui primi i media messicani sono un po’ discordanti. In realtà pare che la

squadra sia stata un gran rifugio psicologico per i cittadini di uno dei posti

più vicini all’inferno che si conoscano al mondo, con i giocatori che

rischiano la propria vita e che hanno subito minacce di morte e di rapimento,

tanto che gli stranieri rimasti hanno mandato via le famiglie.

Salvador Cabanas, attaccante del Paraguay, è stato colpito a morte nel 2010

dentro un bar, sopravvivendo miracolosamente, secondo i media messicani per un

debito legato alla droga. L’America ha rescisso il suo contratto

unilateralmente. Carlos Mercedes Vasquez, ex nazionale guatemalteco, è stato

fatto a pezzi e nascosto in cinque borse diverse per essere andato con la

moglie dell’uomo sbagliato. Los Zetas hanno poi, una volta attraversata la

frontiera, assalito il carcere dov’era rinchiuso il sicario accusato di averlo

ucciso, liberandolo.

Messico e nuvole, la faccia triste dell’America.

Modificato da Ghost Dog

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ERRORE ARBITRALE IN MILAN-BARÇA SALTERÀ LA SFIDA COL VIKTORIA

La Uefa squalifica Aquilani «a tavolino»

art.non firmato (GaSport 04-12-2011)

Niente Viktoria Plzen, dopodomani, per Alberto Aquilani. Nessun problema

fisico, comunque: il centrocampista rossonero salterà l'ultima giornata del

gruppo H di Champions per via di un errore arbitrale durante la sfida con il

Barcellona dello scorso 23 novembre. Un errore commesso in occasione del

rigore che aveva portato i blaugrana sul 2-1. Ripercorriamo: al 29' del primo

tempo Aquilani viene a contatto in area con Xavi, che finisce a terra. Il

fischietto tedesco Stark, su segnalazione dell'assistente di porta, fischia un

rigore inesistente e poi commette un secondo errore: invece che ad Aquilani

mostra il giallo a Nesta, tratto in inganno dal suo assistente e probabilmente

dalle fattezze fisiche dei due giocatori. Forse anche dai numeri simili (13 e

18). Aquilani in quel momento era già ammonito e quindi avrebbe dovuto essere

espulso.

A tavolino Il giorno seguente il fischietto tedesco ha segnalato l'errore

all'Uefa, che ha rivisto i filmati e attivato le procedure per intervenire in

tempo utile in vista della prossima partita. Risultato: secondo cartellino

giallo «a tavolino» ad Aquilani, con conseguente squalifica per un turno in

occasione di Viktoria-Milan, e ovviamente ammonizione a Nesta derubricata.

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Pericolo ultras a Cracovia dove,

assieme agli azzurri, ci saranno

anche l’Inghilterra e l’Olanda

di ANDREA SANTONI (CorSport 04-12-2011)

KIEV - C'è un'ombra sulla tranquilla Cracovia, scelta con soddisfazione dalla

Federazione come sede del quartier generale di Euro 2012: il pericolo ultras.

La città capoluogo del Voivodato della Piccola Polonia, 750mila abitanti,

ospiterà nella sua area urbana, oltre a quello italiano, i ritiri

dell'Inghilterra e dell'Olanda, con al seguito tifoserie molto numerose e un

passato di scontri violenti. Vero che l'Inghilterra provvederà in via

preventiva a bloccare la partenza dei suoi hooligans più pericolosi, ritirando

loro il passaporto (unica nazione europea a prevedre questa normativa), ma è

noto che la squadra di Capello è seguita normalmente da almeno 20mila

supporter, con evidenti problemi di gestione dell'ordine pubblico. Da

considerare poi che la Polonia sta vivendo gravi problemi per le azioni

violente dei propri ultras di orientamento nazistoide (nel 2011 ci sono stati

108 arrestati). Recentemente è stata introdotta una normativa sull'esempio di

quella italiana, con l'introduzione del daspo nei casi di reati da stadio. Ma

il cocktail che può derivare da birra, odio nazionalista e crisi economica sta

allarmando gli organizzatori. Il timore di scontri nelle fan zone (gli stadi

sono ritenuti sicuri) è alto. A quelle latitudini hanno ben presente quello

che accadde ad Amburgo, durante il mondiale 2006, a margine di

Germania-Polonia. Il quadro delle tifoserie a rischio è completato da quelle

ceche e croate.

IL CASO ITALIA - E gli ultras Italia? Al di là della rilevanza mediatica,

numericamente il loro numero è esiguo. Nel caso di Germania 2006, le

segnalazioni italiane alle autorità di Polizia tedesche furono 150 (mentre i

"daspati" sono oltre 4mila). Del resto tradizionalmente la nostra Nazionale,

attesa generalmente da grandi comunità di emigrati (quella di Cracovia ne

conta alcune migliaia), muove invece in queste circostanze meno mille tifosi

dal nostro Paese (furono 800 cinque anni fa). Roberto Massucci, funzionario

del Ministero dell'Interno e responsabile della sicurezza azzurra, alla sua

sesta grande manifestazione dal 2002, è già al lavoro. Presto verrà allestita

la sua squadra, una decina di agenti da lui coordinati, che seguirà la

Nazionale a Cracovia. A ridosso dell'evento sarranno inviate in Polonia le

segnalazioni dei nostri elementi in partenza da tenere d'occhio. Di sicuro,

rispetto al Sud Africa, dove al centro dell'azione di sicurezza c'era

soprattutto la squadra, in questo caso è la gestione delle tifoserie il

principale obiettivo in agenda.

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ERRORE ARBITRALE IN MILAN-BARÇA SALTERÀ LA SFIDA COL VIKTORIA

La Uefa squalifica Aquilani «a tavolino»

art.non firmato (GaSport 04-12-2011)

Niente Viktoria Plzen, dopodomani, per Alberto Aquilani. Nessun problema

fisico, comunque: il centrocampista rossonero salterà l'ultima giornata del

gruppo H di Champions per via di un errore arbitrale durante la sfida con il

Barcellona dello scorso 23 novembre. Un errore commesso in occasione del

rigore che aveva portato i blaugrana sul 2-1. Ripercorriamo: al 29' del primo

tempo Aquilani viene a contatto in area con Xavi, che finisce a terra. Il

fischietto tedesco Stark, su segnalazione dell'assistente di porta, fischia un

rigore inesistente e poi commette un secondo errore: invece che ad Aquilani

mostra il giallo a Nesta, tratto in inganno dal suo assistente e probabilmente

dalle fattezze fisiche dei due giocatori. Forse anche dai numeri simili (13 e

18). Aquilani in quel momento era già ammonito e quindi avrebbe dovuto essere

espulso.

A tavolino Il giorno seguente il fischietto tedesco ha segnalato l'errore

all'Uefa, che ha rivisto i filmati e attivato le procedure per intervenire in

tempo utile in vista della prossima partita. Risultato: secondo cartellino

giallo «a tavolino» ad Aquilani, con conseguente squalifica per un turno in

occasione di Viktoria-Milan, e ovviamente ammonizione a Nesta derubricata.

e da quando si possono far ste robe?mai sentito,sempre saputo che una volta fatto,l'errore rimane

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e da quando si possono far ste robe?mai sentito,sempre saputo che una volta fatto,l'errore rimane

Infatti e' strana come procedura.

Strano anche come la Gazza sia sulla notizia: non ho letto (o mi sono perso) scoop di altre testate in merito.

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Infatti e' strana come procedura.

..................................

E, se ho capito bene, Aquilani doveva essere espulso.

Invece il milan ha continuato in undici.

Mi chiedo: può essere convalidato il risultato, visto che l'arbitro ha riconosciuto l'errore tecnico?

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E, se ho capito bene, Aquilani doveva essere espulso.

Invece il milan ha continuato in undici.

Mi chiedo: può essere convalidato il risultato, visto che l'arbitro ha riconosciuto l'errore tecnico?

Attendiamo e speriamo nello scrupolo di qualche giornalista

Modificato da Ghost Dog

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Joined: 07-Nov-2011
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E, se ho capito bene, Aquilani doveva essere espulso.

Invece il milan ha continuato in undici.

Mi chiedo: può essere convalidato il risultato, visto che l'arbitro ha riconosciuto l'errore tecnico?

il milan ha perso lo stesso eh :D

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il milan ha perso lo stesso eh :D

Lo so.

Comunque c'è stato un errore dell'arbitro che in un certo modo ha influenzato il risultato.

Molto probalmente, o sicuramente, ha favorito il milan

chi lo sa....?

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Errore riconosciuto dall'arbitro ma non influente ai fini del risultato finale tanto che il Milan ha perso lo stesso.

Non credo che esistano i presupposti per la ripetizione della partita anche se Aquilani è stato espulso e poi squalificato a posteriori, ma ciò indubbiamente costituisce un precedente del quale bisognerà tener conto nel futuro.

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Calciopoli: scandalose affermazioni di alcuni dirigenti!

dal blog di SIMONA AIUTI 24-11-2011

Andrea Agnelli, con la sua pacatezza, parole ferme, ma soprattutto deciso

nelle azioni, sembra proprio che non irriti solo Massimo Moratti, un po’

piccato e infastidito negli ultimi mesi, ma anche molti altri soggetti del

calcio italico come Petrucci che invita al buon senso.

Abbiamo l’impressione che da più parti, in tanti mandino a dire al presidente

della Juventus:” ma perché non la pianti?..Ci stai infastidendo! Ma perché non

ti rassegni?”

Un detto latino però dice che la legge va in soccorso di chi vigila, e non di

chi dorme! E cosa dovrebbe fare Agnelli al pensiero che la Federazione ha

mandato tutto in prescrizione senza fare giustizia? Non è stata forse la

scandalosa disparità di trattamento, e il ping pong di competenze che hanno

costretto la Juve a ricorrere ai tribunali?

Sulle reti televisive più importanti, si danno ancora informazioni “false”,

dicendo ancora oggi che la Juve ha ricevuto una condanna a Napoli per via

delle intercettazioni, invece non solo la Juventus è stata assolta, ma le

intercettazioni inchiodano l’Inter che ne è uscita immacolata, per ora. Ci

sono fatti tanto evidenti che non è possibile cancellarli.

La Juventus chiede un risarcimento milionario perché non c’è una telefonata

compromettente intercettata sulla squadra torinese, mentre , “Hai messo in

forma Trefoloni?”, “diglielo a Bertini che è determinante domani”, “mettono

dentro due preclusi…” e scusate se è poco!

E questi illeciti che hanno violato l’articolo 6 del codice sportivo non

hanno un peso? Qualcuno è forse autorizzato a violarlo questo articolo e poi

per premio riceve scudetti, ricchi premi e cotillon?

Petrucci dice che il calcio è malato di doping legale, e c’è da chiedersi se

la battuta è sua o abbia degli autori che scrivono cose del genere! Se la FIGC

avesse utilizzato le intercettazioni a disposizione, in cui Facchetti parlava

con designatori e arbitri, forse non avrebbe bisogno di battute da Cinema anni

ottanta, considerando il fatto che è stato lui a scegliere un avvocato per

anni membro del CDA dell’Inter, con i nerazzurri chiaramente parte interessata

alle decisioni che doveva prendere la giustizia sportiva!

C’è da chiedersi a ragion veduta, da quanti anni si era a conoscenza dei

rapporti dell’Inter con i designatori, sempre facendo riferimento alle

intercettazioni, perché quelle 171 mila telefonate le ha acquistate dopo che

tutto era già andato in prescrizione: che tempismo!

A pensar male si fa peccato, però ci si indovina, infatti, le telefonate

Facchetti-Pairetto/Bergamo, acquisite per conto della Procura di Torino e

palesatesi nel maggio 2006, erano e sono prova di illecito.

Petrucci è apparso seccato dalla ferma posizione di Agnelli, e clamorosamente

ha detto che c’è mancanza di rispetto per le regole e per l’etica, e alla

faccia rispondiamo noi!

La FIGC di Abete per anni ha dormito tra le braccia di Morfeo su quelle

intercettazioni resuscitate, riesumate, riabilitate, rispolverate, rianimate,

che, in realtà, erano nella disponibilità della parte civile FIGC, e allora mi

ripeto che a pensar male si fa peccato però…..!

Oltre al danno, la Juventus dovrebbe accettare supinamente la beffa?

Considerando che una società che ha slealmente taciuto le sue telefonate e

abboccamenti segreti con un arbitro e con i designatori, frequentato

costantemente un arbitro “grimaldello” e poi non basterebbe soltanto il caso

di Cristian Vieri per tenere impegnata la giustizia sportiva italiana? Chi ha

pedinato Bobo Vieri? Ma soprattutto a qualcuno interessa scoprirlo? Anche l’ex

calciatore chiede un risarcimento e anche lui non sembra affatto intimidito.

Qui qualcosa non quadra, ma noi il senso di tutto questo l’abbiamo capito e

siamo determinati a rovinargli la festa!

Agnelli e tutti noi dovremmo fare un passo indietro? Io credo invece che

altri debbano farsi un esame di coscienza e rimettere le cose a posto,

altrimenti potremmo arrivare addirittura ad una sospensione del campionato di

serie A per mezzo della giustizia ordinaria. Non è stata la Juventus a volere

questo braccio di ferro e non sarà la Juventus a mollare il colpo.

Invece è Moratti che dover fare un passo indietro restituendo quello scudetto,

alla luce dell’evidenza di telefonate incontrovertibili.

===

Juventus, Inter e Petrucci al tavolo delle trattative

dal blog di SIMONA AIUTI 03-12-2011

Moratti imperterrito fa lo sdegnoso, sicuro d’averla fatta franca, nonostante

la relazione di Palazzi, secondo cui l’Inter avrebbe posto in essere reiterati

illeciti sportivi, intrattenendo nel tempo, rapporti illeciti con arbitri in

attività e anche con designatori. Il presidente dell’Inter dorme tranquillo,

dopotutto il tempo ha lavorato a suo favore. A questo punto non avrebbe più

senso parlare di tavolo della pace proposto da Petrucci, in parte perché

quest’ultimo è stato uno dei primi ad innescare “l’errore” che ha portato il

primo scudetto all’Inter con l’interista Guido Rossi, e nessuna sanzione dal

primo momento, ma solo ingiustificati trofei acquisiti. In secondo luogo il

presidente dell’Inter non ha la minima intenzione di ammettere gli illeciti; è

impossibile quindi sedersi ad un tavolo e spiegare cosa è accaduto davvero

cinque anni fa, alla luce delle intercettazioni che riguardano i nerazzurri:

utopia allo stato puro.

Addirittura, per Moratti Calciopoli non riguarda l’Inter ed è incredibile che

lo affermi conoscendo le prove audio. Sappiamo che lo fa solo perché si sente

in una botte di ferro nonostante le prove inoppugnabili, ma per ora tant’è.

Stizzito Moratti dice anche che ci sono altri che giudicano, che hanno già

giudicato o che stanno giudicando; e riguardo allo scudetto che rivorrebbe

Agnelli, che invece a noi risulta ne rivoglia indietro due dice: “Va bene che

siamo vicino a Natale, ma non credo che pretenda che gli faccia quel regalo…

Credo che quello sia qualcosa di cui sinceramente si può parlare come si può

parlare in un bar”. Insomma, essere ancora trattati con sufficienza comincia

ad essere un po’ troppo.

Si nega l’evidenza, e a rinunciare alla prescrizione non ci pensa proprio

dicendo: “In merito ha già risposto anche il procuratore di Napoli dicendo

quanto poco importante fossero quelle intercettazioni”. Alla faccia della poca

importanza, rispondiamo noi! E’ un’affermazione un po’ azzardata dire che

quelle intercettazioni non sono rilevanti, considerando il fatto che lo sono

molto di più di quelle di Moggi, che nulla ottenne mai, al contrario di

Facchetti, che otteneva le griglie il giorno prima e pure gli arbitri

desiderati.

Non solo Moratti però, ma anche Petrucci secondo noi sottovaluta Andrea

Agnelli e forse non ha ben chiaro dove potrebbe portare quello che ha definito

un “doping legale”, o forse invece teme che la macchina legale italiana

cominci a stritolare il campionato, come è accaduto negli U. S. A.

Il vero rischio è che Agnelli a forza di scomodare la giustizia ordinaria,

quest’ultima prima o poi potrebbe davvero bloccare il campionato di serie A e

visti i tempi della giustizia nostrana, sarebbero dolori per tutti, perché in

un tribunale vero mica si può fare gli sdegnosi e voltarsi dall’altra parte

davanti alle intercettazioni! In quel caso non sarebbe più possibile ignorare

le prove, il ruolo di Guido Rossi, i rapporti con designatori e arbitri, cene

occulte, Pier Luigi Collina che chiedeva al cellulare se la sua performance

era piaciuta a Galliani, le affermazioni di Baldini che voleva fare il

ribaltone, e le indagini di Auricchio senza 170. 000 intercettazioni.

Noi non è che siamo appena scesi dal pero, e tanto per essere chiari, non

abbiamo potuto non notare la sua presenza accanto a Moratti alla presentazione

del libro “I mondiali della vergogna”, con prefazione di Giuseppe Narducci, il

PM di Napoli, ma guarda un po’! Ad un tratto una telecamera curiosa, birichina

e dispettosa, ha ripreso proprio Auricchio e Moratti parlare fitto, fitto per

tutto il tempo della presentazione e chissà che avevano da dirsi!? Il

colonnello Auricchio che ha approvato quel: “L’Inter non ci interessa”,

riferito da Coppola in dibattimento, proprio lui. Comunque siamo fiduciosi e

al contempo curiosi di conoscere le intercettazioni inedite che a Napoli in

appello tirerà fuori la difesa di Moggi, fiduciosi che Moratti si piccherà

ancora un po’ e che Agnelli andrà avanti com’è giusto che sia.

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“Mi ritornano in mente i tempi di Baldini, Capello e Moratti…”

di ANTONELLO ANGELINI (Calcio GP.it 04-12-2011)

La classifica del campionato e questa giornata sembrano davvero un amarcord:

Juventus in testa seguita del Milan, poi le altre…ma proviamo ad immaginare

questi risultati in un anno a caso: il 2004-2005. I principali quotidiani

sportivi titolano all’ incirca così “Juve cosi non si può!!” con vago

riferimento al rigore inventato dall’ arbitro per fallo di Antonioli su

Giaccherini. Il rigore in effetti non c’ era però nessuno scrive a tutta

pagina che è stato dato nel finale di una partita già sull’ 1-0 e il Cesena

avrebbe dovuto già da tempo essere in 10 per l’ espulsione di Rossi, fa più

audience e lettori puntare sul furto-Juve.

Nel frattempo l’ Inter, nonostante i miliardi spesi dal suo Patron, l’

elegantissimo e gentleman Moratti, non riesce a tenere il passo delle grandi.

A Milano stanno per licenziare il secondo allenatore in 13 giornate. Ma tutto

questo non conta, l’ Inter è dietro perché gli arbitri l’hanno penalizzata col

Napoli e col Novara e a poco servono i risarcimenti postumi, ieri Pazzini è

scivolato ma non sarebbe scivolato se (da primo in classifica) non avesse

sentito la tensione sui tacchetti. Ad Appiano sono convinti che ci sia una

trama contro i neroazzurri e un arbitro cavallo di T***A lo conferma.

Bisognerà indagare perdiana!!!

Ma la prova provata che esiste una cupola che gestisce i campionati arriva da

Firenze dove in previsione di Roma-Juventus di lunedì prossimo ci pensa l’

arbitro a fare il “delitto perfetto”: Roma sconfitta ma soprattutto senza 3

giocatori espulsi, e magari Moggi riuscirà a far applicare la prova televisiva

ad Heinze che innervosito dall’ arbitro e dal risultato ingiusto, ha rifilato

una gomitata in faccia ad un giocatore viola. Sembra la gomitata che Tassotti

rifilò ai mondiali proprio a LuissEnriche. Mi sembra di rammentare che

Tassotti prese 8 giornate, li però non c’ era Moggi dall’ altra parte e allora

a Heize almeno 10 sennò Lucianone non conta più nulla.

Il Milan e le sue tv domenica sera forzeranno i servizi sulla crisi dell’

Inter ma soprattutto sul rigore della Juve…tanto per creare un po’ di

sentimento popolare che non guasta. Ah scordavo, il Milan non ha tv, parola di

Auricchio. Insomma ammonizioni “preventive”, rigore inventato per la Juve,

prova tv certa che favorirà la Juve, Zeman allena in serie B e non il Barca o

il Real… ci sono tutti gli indizi per Narducci…se solo non facesse l’

assessore dovrebbe ricominciare un’ altra indagine seria e

particolareggiata…tanto i giornali in edicola si trovano dove cercare i

riscontri, ma escluso Tuttosport mi raccomando. Calciopoli 2, diventerà

Marottopoli??? Baldini in tv parla di progetto, mi sa che se non vince

qualcosa alla svelta dovrà fare un altro ribaltone. Del fallo di Kaladze su

Ibra nessuno ne parla, sottolineo giustamente, però se fosse stato un ex Juve

o uno della Gea a fare il fallo da rigore per la Juve…chissà quante allusioni…

Modificato da Ghost Dog

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La classifica perfetta

della Redazione (BLOG JUVENTINOVERO.COM Domenica 04 Dicembre 2011 19:09)

striscione-juventus-7.jpg

La classifica di oggi rispecchia, finalmente, la realtà:

Juventus 29

...

Inter 14*

Dio (o per i non credenti il Caso e/o Fato) ha un certo senso dell'umorismo.

Che anche lui sia juventino? Sicuramente non è interista infatti in quel caso,

certamente, avrebbe lasciato prescrivere Sodoma e Gomorra.

Modificato da Ghost Dog

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Serie A: Juve, vittoria macchiata. Il sangue di Del Piero e il rigore che non c'è.

Il capitano gioca 8' e si infortuna. L'arbitro Doveri inventa il penalty del 2-0 ed espelle Antonioli. Decisivo Marchisio.

Juventus-Cesena è soprattutto la partita della sfiga di Del Piero. Il "decano" della Juventus, per una volta, entra in campo con un'abbondante mezz'ora da giocare, si presenta con un colpo di tacco, un'azione in cui non viene servito da Vidal e uno splendido affondo, poi deve uscire per un tremendo impatto con Marco Rossi'. Al 63', con l'arcata sopraccigliare sinistra, urta il tacchetto della scarpa di Marco Rossi, si taglia malamente (riceverà 8 punti di sutura e Tac alla Clinica Fornaca con notte in osservazione) e deve lasciare il campo al 63'. Dopo appena 8'. Se non è sfiga questa... Ma anche il cesenate Antonioli non scherza, quanto a jella, vittima di un'espulsione avventata che contribuirà a chiudere l'incontro.

L'incontro, terminato 2-0, vede fondamentalmente la squadra di Conte dominare e affondare, ma non concludere con la facilità che ci si sarebbe aspettati. In tutto il primo tempo il Cesena dal centrocampo in su, risulta non pervenuto. I piemontesi, in realtà, non brillano e in 45' raccolgono solo una conclusione dalla sinistra di Vucinic che Antonioli salva.

Ma nella ripresa la musica cambia: dop 5' Vucinic e Pepe scaldano i guanti di Antonioli, poi Conte getta nella mischia Quagliarella e Del Piero (Vucinic zoppica) e arrivano i pericoli veri. Ma Pinturicchio, come detto, deve uscire (per Giaccherini) e la manovra ne risente un po'. Al 65' improvvisa conclusione di Martinho, e Buffon c'è, poi torna in sella la Juventus e lo fa con Marchisio, che affianca Matri tra i capocannonieri della Vecchia Signora in questa stagione: bello il sinistro dalla linea dell'area, Antonioli non può nulla.

Sbloccato il risultato, si fa notare anche l'ex di turno Giaccherini, che dopo aver dribblato Rossi serve Pepe ma il bomber toppa. E all'83' lo stesso Giaccherini è protagonista involontario di uno svarione del direttore di gara Doveri di Roma: Lichtsteiner lancia lungo Giaccherini, Antonioli esce di pugno, respinge nettamente prima che arrivi lo juventino poi i due si scontrano. Non sarebbe né fallo dell'attaccante né fallo del portiere, ma per Doveri è rigore ed espulsione.

Il Cesena ha già esaurito i cambi, quindi tra i pali va un uomo di movimento, Rodriguez, che sul rigore battuto da Vidal non può proprio niente.

Il risultato, per quanto si è visto, è giusto, ma la modalità con cui è maturato penalizza troppo il Cesena. L'incontro finisce con un po' di comprensibile nervosismo di Arrigoni e dei suoi, e con l'esultanza della Juventus sotto la curva del suo stadio. I tre punti sono arrivati, la testa del campionato è confermata ma la giornata è stata decisamente marcata dalla sfiga. E dall'erroraccio di Doveri.

[da virgilio.it]

Voi pensate che chi ha scritto questo articolo possa considerarsi sano di mente?

Modificato da totojuve

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Serie A: Juve, vittoria macchiata. Il sangue di Del Piero e il rigore che non c'è.

Il capitano gioca 8' e si infortuna. L'arbitro Doveri inventa il penalty del 2-0 ed espelle Antonioli. Decisivo Marchisio.

Juventus-Cesena è soprattutto la partita della sfiga di Del Piero. Il "decano" della Juventus, per una volta, entra in campo con un'abbondante mezz'ora da giocare, si presenta con un colpo di tacco, un'azione in cui non viene servito da Vidal e uno splendido affondo, poi deve uscire per un tremendo impatto con Marco Rossi'. Al 63', con l'arcata sopraccigliare sinistra, urta il tacchetto della scarpa di Marco Rossi, si taglia malamente (riceverà 8 punti di sutura e Tac alla Clinica Fornaca con notte in osservazione) e deve lasciare il campo al 63'. Dopo appena 8'. Se non è sfiga questa...

[da virgilio.it]

Voi pensate che chi ha scritto questo articolo possa considerarsi sano di mente?

homer_simpson_urlo_munch.jpg

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neanche la giornalaccio rosa ha scritto una cosa del genere.chiudere virgilio.it

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Oriali, un'altra vita da mediano

di MASSIMILIANO CASTELLANI (Avvenire.it 03-12-2011)

«Finché ce n’hai stai lì...», continua a cantare sul palco Ligabue e continua

a pensarla così anche il suo idolo, Gabriele Oriali nella sua inesauribile

“vita da mediano”. Una vita passata a recuperare palloni, a rincorrere

generoso il suo destino e quello delle persone che ama, fuori e dentro il

campo. «Tre cose - dice - mi hanno sempre dato una spinta in più: la fede

incrollabile nel buon Dio, l’amore e il rispetto per la famiglia e poi la

grande passione per il mondo del calcio...». Un mondo che ha visitato in lungo

e in largo con la maglia dell’Inter, arrivando fin sotto la Grande Muraglia:

«Siamo stati la prima squadra italiana ad entrare in Cina», ricorda. Un mondo

che ha visto dal “tetto” più alto che c’è, a Spagna ’82, per poi ritrovarsi a

piedi dopo trent’anni (19 da giocatore e 11 da dirigente) di fedeltà assoluta

alla Beneamata. E allora il film della vita schietta ed intensa di Lele Oriali

va rivisto partendo dall’ultima sequenza: l’addio all’Inter. «Un addio che fa

ancora male, perché sono stato costretto ad andarmene. Non è stata colpa di

Moratti, ma di quelle persone che girano intorno a lui... Con il presidente ci

sentiamo ancora, lui sa che cos’è per me l’Inter. Metà dell’esistenza l’ho

trascorsa alla Pinetina, quella rimarrà per sempre la mia seconda casa». Ma se

la società lo ha sganciato, Oriali è ancora nel cuore del popolo nerazzurro

che a gran voce ne chiede il ritorno. «Mi ha fatto un piacere enorme vedere

gli striscioni che mi hanno dedicato allo stadio e i tanti messaggi di stima e

d’affetto pubblicati su Facebook. Non pensavo di essere così amato... I tifosi

mi hanno fatto capire che dopo Giacinto Facchetti l’ultima “bandiera” ero io.

E prima di arrivare al dolce “triplete” quanti bocconi amari ho ingoiato. . . ».

Il 22 maggio 2010 in quel Bernabeu in cui da azzurro aveva conquistato la

Coppa del Mondo, con Mourinho alzò al cielo l’agognata Champions, ma il 20

luglio spiazzava tutti annunciando la fine del suo rapporto con l’Inter.

«Quando Mourinho mi fece capire che sarebbe andato via, gli dissi che allora

anche il mio tempo all’Inter era scaduto. Josè invece mi rassicurava

dicendomi: “Guarda che noi vinciamo tutto e loro dovranno tenerti per

forza”... È stata una delle poche volte in cui si è sbagliato». Parla con

affetto dello “Special One” perché dice: «Ci sono due Mourinho, quello

mediatico che è sotto gli occhi di tutti e il Josè padre di famiglia, amico e

confidente che abbiamo avuto la fortuna di conoscere in pochi. E posso

assicurarvi che quest’ultimo, il Mourinho “umano” è davvero speciale». Ora

sotto i riflettori della tv c’è finito anche lui nel ruolo inedito di

opinionista di Mediaset Premium, l’emittente del patron del Milan, Berlusconi.

«Per ora non ho ricevuto nessuno sfottò in merito, anche perché penso di

essere sempre stato obiettivo, mai avuto problemi a fare i complimenti al

Milan quando li merita, così come critico tranquillamente l’Inter quando non

va. Sono uno che ha sempre detto quello che pensa e magari questo viene visto

come un difetto». Arruota la “r” Oriali quando fa autocoscienza su quelli che

considera i suoi errori. «Quando mi guardo indietro penso: ma chi l’avrebbe

detto che saresti arrivato così in alto? Però ho commesso un grosso errore. . .

Aver tenuto sempre tutto dentro e non essermi mai goduto a pieno le vittorie.

La notte della finale dell’82, dopo la partita mi chiusi in una stanza con

Zoff e Scirea, i tre “muti”. Eravamo campioni del mondo, eppure non riuscimmo

a dire una parola...». Il silenzio di tre eroi esemplari del calcio: il

portiere, il libero e il mediano di Bearzot arrivato in cima, partendo dal

basso. «Mio padre - continua - lavorava all’azienda municipale di Desio e mia

madre doveva crescere sei figli, con una sorella che aveva bisogno di

operazioni continue per via della poliomelite. A fine mese di soldi non ce

n’erano più. Avevo 140 lire per il tram per andare agli allenamenti, finiti

quelli addio...». Ma nel 1967 arriva la chiamata dell’Inter. «Quello è anche

l’anno in cui ho perso mio fratello Gualtiero, morto a 23 anni in un incidente

stradale. Stessa sorte è toccata a Giuseppe, il fratello più piccolo... Spesso

ti senti dire che sei ricco, famoso e che hai vinto tutto, e invece nella mia

vita, come in quella di ogni uomo, ci sono pure tante sconfitte e ferite che

non si rimarginano più». Si fa triste per un attimo, ma recupera il sorriso al

volo, come un pallone lì nel mezzo e torna ad essere l’eterno “Piper” di

Gianni Brera. «Per Brera ero “Piper”, come lo champagne, ma quando giocavo le

mie partite frizzanti. Se invece incappavo in una brutta giornata non mi

risparmiava il votaccio in pagella e allora diventavo “gazzosino”. . . ».

Nostalgia per il calcio di letteratura, «per le voci alla radio di Ameri e

Ciotti e le sintesi registrate della Rai di un tempo solo della partita clou,

in bianco e nero». Oriali sfoglia di corsa l’album dei ricordi nella sua

memoria e rivede i duelli con Rivera, Claudio Sala, Platini e Maradona. Tutti

campioni che ha inseguito e braccato. Insieme ai campioni che ha cresciuto da

dirigente e “collezionista” di Palloni d’Oro: Fabio Cannavaro «l’ho avuto

quando ero al Parma», Ronaldo e Figo «all’Inter» e Roberto Baggio «che portai

al Bologna. Ho giocato con Baggio alla Fiorentina quando aveva 16 anni, era

già un fenomeno. Roby è stato il calciatore italiano che più si è avvicinato

al genio di Maradona». Oggi gli piacerebbe vedere l’effetto che fa Oriali

contro Messi e si stupisce di come al Barcellona «Guardiola riesca a motivare

ogni giorno ragazzi che hanno vinto tutto». Ma lo stesso carisma in panchina

lo vede anche nel compagno di tante battaglie e di vittorie all’Inter, Roberto

Mancini. «Il “Mancio” ha cambiato radicalmente la mentalità e il sistema di

lavoro al Manchester City». Mancini sta anche cercando di cambiare la testa

matta di Mario Balotelli. «Mario non è forte, è di più ancora. Ma ha bisogno

di crescere e di avere intorno a sè gente che gli vuole bene sul serio e non

perché è ricco e famoso, ma perché è Mario, un ragazzo buono che è anche un

talento del calcio». Un talento al quale Oriali vorrebbe tornare a stare

vicino, magari trasferendosi proprio al City. «Sono stato a Manchester da

gennaio a giugno. Ho toccato con mano il “calcio vero”, noi purtroppo siamo

indietro anni luce. Ho visto stadi confortevoli dove le famiglie arrivano

un’ora prima con i bambini, mangiano al ristorante, visitano il museo del club

e poi guardano la partita in tranquillità...». Per atterrare nel calcio dei

sogni, il Lele nazionale alla soglia delle 60 primavere si è rimesso anche a

studiare l’inglese. «Alla mattina in Inghilterra andavo a scuola. Un

sensazione strana per uno che all’esame di terza media si sentì dire dal

professore: “Oriali, i libri non fanno per te, piuttosto spendi le tue energie

nello sport”. Aveva visto giusto, ma oggi so che lo studio serve eccome. Sono

un autodidatta, fiero di quattro figlie (Veronica, Francesca e Valentina «le

gemelle» e Federica) tutte laureate con 110». Con sua moglie Delia sono i suoi

cinque “scudetti rosa” cuciti sul cuore, di cui va orgoglioso. Così come va

fiero dello scudetto del 2006, assegnato all’Inter per gli effetti di

Calciopoli. «L’unica vera vittima di Calciopoli è stato quel gran signore del

presidente del Bologna Gazzoni Frascara. Lo scontro Juve-Inter? Ma c’è sempre

stata una stupida e inutile “guerra”. L’ultima volta che giocai con l’Inter

contro la Juve finì 3-3, ma poi ci diedero il 2-0 a tavolino perchè tirarono

due mattoni contro il nostro pullman. Marini non potè scendere in campo e a me

ci misero delle ore per estrarmi dalla pelle tutte le schegge del finestrino.

Io penso che sia il momento di sedersi a quel tavolo del Coni e fare la pace

sul serio, perché certi attacchi continui possono diventare pericolosi e

generare una violenza che non ha nulla a che vedere con il calcio». Chiede la

pace il caposcuola di quella razza, forse in estinzione, dei mediani veri.

«Siamo i gregari del pallone, quelli che lavorano tanto e spesso nessuno se ne

accorge di quanto sia prezioso il nostro sacrificio. Mi sono rivisto spesso in

Conte, Zanetti, Tommasi e Gattuso». Quelli che natura non gli ha dato «nè lo

spunto della punta nè del 10 che peccato...», canta Ligabue che ai 100mila di

San Siro intona il refrain «lavorando come Oriali» in Una vita da mediano.

«Certo che mi piace quella canzone, ho provato anche a cantarla, ma sono

stonato come una campana. E pensare che per anni ho fatto il chierichetto

cantore all’oratorio di don Luigi...».

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Oriali, un'altra vita da mediano

di MASSIMILIANO CASTELLANI (Avvenire.it 03-12-2011)

«Finché ce n’hai stai lì...», continua a cantare sul palco Ligabue e continua

a pensarla così anche il suo idolo, Gabriele Oriali nella sua inesauribile

“vita da mediano”. Una vita passata a recuperare palloni, a rincorrere

generoso il suo destino e quello delle persone che ama, fuori e dentro il

campo. «Tre cose - dice - mi hanno sempre dato una spinta in più: la fede

incrollabile nel buon Dio, l’amore e il rispetto per la famiglia e poi la

grande passione per il mondo del calcio...». Un mondo che ha visitato in lungo

e in largo con la maglia dell’Inter, arrivando fin sotto la Grande Muraglia:

«Siamo stati la prima squadra italiana ad entrare in Cina», ricorda. Un mondo

che ha visto dal “tetto” più alto che c’è, a Spagna ’82, per poi ritrovarsi a

piedi dopo trent’anni (19 da giocatore e 11 da dirigente) di fedeltà assoluta

alla Beneamata. E allora il film della vita schietta ed intensa di Lele Oriali

va rivisto partendo dall’ultima sequenza: l’addio all’Inter. «Un addio che fa

ancora male, perché sono stato costretto ad andarmene. Non è stata colpa di

Moratti, ma di quelle persone che girano intorno a lui... Con il presidente ci

sentiamo ancora, lui sa che cos’è per me l’Inter. Metà dell’esistenza l’ho

trascorsa alla Pinetina, quella rimarrà per sempre la mia seconda casa». Ma se

la società lo ha sganciato, Oriali è ancora nel cuore del popolo nerazzurro

che a gran voce ne chiede il ritorno. «Mi ha fatto un piacere enorme vedere

gli striscioni che mi hanno dedicato allo stadio e i tanti messaggi di stima e

d’affetto pubblicati su Facebook. Non pensavo di essere così amato... I tifosi

mi hanno fatto capire che dopo Giacinto Facchetti l’ultima “bandiera” ero io.

E prima di arrivare al dolce “triplete” quanti bocconi amari ho ingoiato. . . ».

Il 22 maggio 2010 in quel Bernabeu in cui da azzurro aveva conquistato la

Coppa del Mondo, con Mourinho alzò al cielo l’agognata Champions, ma il 20

luglio spiazzava tutti annunciando la fine del suo rapporto con l’Inter.

«Quando Mourinho mi fece capire che sarebbe andato via, gli dissi che allora

anche il mio tempo all’Inter era scaduto. Josè invece mi rassicurava

dicendomi: “Guarda che noi vinciamo tutto e loro dovranno tenerti per

forza”... È stata una delle poche volte in cui si è sbagliato». Parla con

affetto dello “Special One” perché dice: «Ci sono due Mourinho, quello

mediatico che è sotto gli occhi di tutti e il Josè padre di famiglia, amico e

confidente che abbiamo avuto la fortuna di conoscere in pochi. E posso

assicurarvi che quest’ultimo, il Mourinho “umano” è davvero speciale». Ora

sotto i riflettori della tv c’è finito anche lui nel ruolo inedito di

opinionista di Mediaset Premium, l’emittente del patron del Milan, Berlusconi.

«Per ora non ho ricevuto nessuno sfottò in merito, anche perché penso di

essere sempre stato obiettivo, mai avuto problemi a fare i complimenti al

Milan quando li merita, così come critico tranquillamente l’Inter quando non

va. Sono uno che ha sempre detto quello che pensa e magari questo viene visto

come un difetto». Arruota la “r” Oriali quando fa autocoscienza su quelli che

considera i suoi errori. «Quando mi guardo indietro penso: ma chi l’avrebbe

detto che saresti arrivato così in alto? Però ho commesso un grosso errore. . .

Aver tenuto sempre tutto dentro e non essermi mai goduto a pieno le vittorie.

La notte della finale dell’82, dopo la partita mi chiusi in una stanza con

Zoff e Scirea, i tre “muti”. Eravamo campioni del mondo, eppure non riuscimmo

a dire una parola...». Il silenzio di tre eroi esemplari del calcio: il

portiere, il libero e il mediano di Bearzot arrivato in cima, partendo dal

basso. «Mio padre - continua - lavorava all’azienda municipale di Desio e mia

madre doveva crescere sei figli, con una sorella che aveva bisogno di

operazioni continue per via della poliomelite. A fine mese di soldi non ce

n’erano più. Avevo 140 lire per il tram per andare agli allenamenti, finiti

quelli addio...». Ma nel 1967 arriva la chiamata dell’Inter. «Quello è anche

l’anno in cui ho perso mio fratello Gualtiero, morto a 23 anni in un incidente

stradale. Stessa sorte è toccata a Giuseppe, il fratello più piccolo... Spesso

ti senti dire che sei ricco, famoso e che hai vinto tutto, e invece nella mia

vita, come in quella di ogni uomo, ci sono pure tante sconfitte e ferite che

non si rimarginano più». Si fa triste per un attimo, ma recupera il sorriso al

volo, come un pallone lì nel mezzo e torna ad essere l’eterno “Piper” di

Gianni Brera. «Per Brera ero “Piper”, come lo champagne, ma quando giocavo le

mie partite frizzanti. Se invece incappavo in una brutta giornata non mi

risparmiava il votaccio in pagella e allora diventavo “gazzosino”. . . ».

Nostalgia per il calcio di letteratura, «per le voci alla radio di Ameri e

Ciotti e le sintesi registrate della Rai di un tempo solo della partita clou,

in bianco e nero». Oriali sfoglia di corsa l’album dei ricordi nella sua

memoria e rivede i duelli con Rivera, Claudio Sala, Platini e Maradona. Tutti

campioni che ha inseguito e braccato. Insieme ai campioni che ha cresciuto da

dirigente e “collezionista” di Palloni d’Oro: Fabio Cannavaro «l’ho avuto

quando ero al Parma», Ronaldo e Figo «all’Inter» e Roberto Baggio «che portai

al Bologna. Ho giocato con Baggio alla Fiorentina quando aveva 16 anni, era

già un fenomeno. Roby è stato il calciatore italiano che più si è avvicinato

al genio di Maradona». Oggi gli piacerebbe vedere l’effetto che fa Oriali

contro Messi e si stupisce di come al Barcellona «Guardiola riesca a motivare

ogni giorno ragazzi che hanno vinto tutto». Ma lo stesso carisma in panchina

lo vede anche nel compagno di tante battaglie e di vittorie all’Inter, Roberto

Mancini. «Il “Mancio” ha cambiato radicalmente la mentalità e il sistema di

lavoro al Manchester City». Mancini sta anche cercando di cambiare la testa

matta di Mario Balotelli. «Mario non è forte, è di più ancora. Ma ha bisogno

di crescere e di avere intorno a sè gente che gli vuole bene sul serio e non

perché è ricco e famoso, ma perché è Mario, un ragazzo buono che è anche un

talento del calcio». Un talento al quale Oriali vorrebbe tornare a stare

vicino, magari trasferendosi proprio al City. «Sono stato a Manchester da

gennaio a giugno. Ho toccato con mano il “calcio vero”, noi purtroppo siamo

indietro anni luce. Ho visto stadi confortevoli dove le famiglie arrivano

un’ora prima con i bambini, mangiano al ristorante, visitano il museo del club

e poi guardano la partita in tranquillità...». Per atterrare nel calcio dei

sogni, il Lele nazionale alla soglia delle 60 primavere si è rimesso anche a

studiare l’inglese. «Alla mattina in Inghilterra andavo a scuola. Un

sensazione strana per uno che all’esame di terza media si sentì dire dal

professore: “Oriali, i libri non fanno per te, piuttosto spendi le tue energie

nello sport”. Aveva visto giusto, ma oggi so che lo studio serve eccome. Sono

un autodidatta, fiero di quattro figlie (Veronica, Francesca e Valentina «le

gemelle» e Federica) tutte laureate con 110». Con sua moglie Delia sono i suoi

cinque “scudetti rosa” cuciti sul cuore, di cui va orgoglioso. Così come va

fiero dello scudetto del 2006, assegnato all’Inter per gli effetti di

Calciopoli. «L’unica vera vittima di Calciopoli è stato quel gran signore del

presidente del Bologna Gazzoni Frascara. Lo scontro Juve-Inter? Ma c’è sempre

stata una stupida e inutile “guerra”. L’ultima volta che giocai con l’Inter

contro la Juve finì 3-3, ma poi ci diedero il 2-0 a tavolino perchè tirarono

due mattoni contro il nostro pullman. Marini non potè scendere in campo e a me

ci misero delle ore per estrarmi dalla pelle tutte le schegge del finestrino.

Io penso che sia il momento di sedersi a quel tavolo del Coni e fare la pace

sul serio, perché certi attacchi continui possono diventare pericolosi e

generare una violenza che non ha nulla a che vedere con il calcio». Chiede la

pace il caposcuola di quella razza, forse in estinzione, dei mediani veri.

«Siamo i gregari del pallone, quelli che lavorano tanto e spesso nessuno se ne

accorge di quanto sia prezioso il nostro sacrificio. Mi sono rivisto spesso in

Conte, Zanetti, Tommasi e Gattuso». Quelli che natura non gli ha dato «nè lo

spunto della punta nè del 10 che peccato...», canta Ligabue che ai 100mila di

San Siro intona il refrain «lavorando come Oriali» in Una vita da mediano.

«Certo che mi piace quella canzone, ho provato anche a cantarla, ma sono

stonato come una campana. E pensare che per anni ho fatto il chierichetto

cantore all’oratorio di don Luigi...».

Non una domanda sul passaporto di Recoba!

Sembrava brutto!

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11014 messaggi

Scusate, oggi giornata pienissima. Per il momento, ecco una conferma,

l'ennesima, sulla trasparenza e celerita' dell'ufficio indagini FIGC.

___

SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 06-12-2011)

Palazzi, 8 mesi per un deferimento

Giustizia sportiva, ecco cosa non va

La partita Parma-Bari si è giocata il 3 aprile scorso e soltanto adesso il

superprocuratore della Figc, Stefano Palazzi ha deferito il calciatore

Palladino (e il Parma per responsabilità oggettiva). Incredibile ma vero: otto

mesi ci ha messo per decidere di mandare Palladino davanti alla Disciplinare

(cosa era successo? una violenta discussione fra i calciatori a fine gara). E,

tra l'altro, anche su quella partita (finita 2-1 per i pugliesi, ora in B) c'è

un'inchiesta della magistratura che ha messo nel mirino alcune gare del Bari

della passata stagione. Giancarlo Abete è una persona perbene, e ultimamente

ha fatto anche molte cose importanti in Figc: ma quando metterà mano anche

alla giustizia sportiva? Ci vuole efficienza, trasparenza e celerità. Entro

dicembre ad esempio si chiude l'indagine per Premiopoli: non sono più

possibile proroghe. Speriamo che si sappia, e in fretta, se c'è stato

deferimento o archiviazione. E' un caso minore, d'accordo, ma si trascina

ormai da troppo tempo (e con troppi sospetti). La superprocura non funziona da

quando deve occuparsi anche delle indagini: non è colpa certo di Palazzi ma di

chi ha voluto una riforma assurda. Carlo Tavecchio, vicepresidente vicario

della Figc, propone ad esempio l'istituzione di alcune procure regionali, che

si occupino di tutti i casi del calcio dilettantistico e giovanile. Lasciando

così i casi più importanti a Roma e snellendo il lavoro di Palazzi e dei suoi

uomini (sottopagati). Il calcio è superprofessionistico, c'è anche il cancro

delle scommesse adesso che preoccupa: ecco perché ci vogliono nuovi mezzi e il

ritorno ad un Ufficio Indagini efficiente e forte. Il 20 dicembre ultimo

consiglio federale: si parlerà, è ovvio, dei tagli del Coni. Alla Figc

andranno 16 milioni in meno. Ma sarebbero importante se in quell'occasione,

Abete dedicasse la sua attenzione alla giustizia sportiva. In futuro, sarebbe

anche il caso di allungare i termini della prescrizione: così alcune

situazioni (vedi Calciopoli-bis, con la dura requisitoria di Palazzi) e alcuni

club non sarebbero sfuggiti alla giustizia "domestica", dopo che quella penale

aveva giudicato le indagini di Napoli, a torto o a ragione, "non rilevanti".

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Pubblicato il 05.12.2011

Juventus - Cesena 2 - 0 - ABBIAMO BATTUTO I GUFI!

di Antonio La Rosa

La Juventus mantiene il primato in classifica, riuscendo a regolare il Cesena al termine di una gara difficile, quasi stregata fino a metà ripresa.

E’ stato un autentico monologo bianconero (72% possesso palla, 20 conclusioni a rete contro una sola cesenate), vanificato in gran parte dalla giornata incolore del reparto offensivo, e ulteriormente complicato dagli infortuni di inizio ripresa, che hanno costretto Conte a reinventare letteralmente la linea d’attacco.

Ma la caparbietà è una delle doti della Juventus di questa stagione, e così a togliere le castagne dal fuoco ci ha pensato al solito Marchisio; poi il generoso (ma non inesistente) rigore ha chiuso la gara, sempre ammesso che gli avversari abbiamo mai provato a metterla in discussione.

La partita alla lavagna

Gara molto attesa in quanto prima stagionale in assenza di Pirlo, e dunque con equilibri tecnico - tattici da perfezionare: Conte non cambia molto a dire il vero, e dunque solo Pazienza al posto di Pirlo, e identico modulo collaudato, tridente Pepe - Matri - Vucinic, e rientro di Marchisio a centrocampo; Cesena con modulo 4 - 4 - 2, coppia offensiva Mutu - Bogdani, e linea a 4 di centrocampo, Ghezzal e Martinho esterni Parolo e Guana centrali.

Juventus subito in avanti, cosa che farà per tutta la gara, ma fin dai primi minuti si percepisce che manca qualcosa per rendere davvero incisiva la manovra, e più che l’assenza di Pirlo, sembrano pesare la giornata non brillante degli attaccanti, oltre a qualche problema di assetto a centrocampo, diciamo che inizialmente Marchisio e Pazienza non trovano i giusti tempi, per cui tocca a Vidal provare a costruire qualcosa.

Gli unici sussulti degni di nota arrivano nel finale di tempo, quando Vucinic finalmente si mette in mostra con due azioni delle sue, e conclusioni finali, fuori una e parata l’altra.

L’inizio ripresa sembra più tonico, bianconeri che chiudono del tutto gli avversari a ridosso dei 16 metri, sfiorano in un paio di occasioni il gol, ed ancora una volta Pepe si mostra il più intraprendente dei bianconeri.

Gara che però si complica con le sostituzioni: esce Matri ed entra Quagliarella, ma poco dopo si infortuna Vucinic, e dunque Del Piero in campo; il capitano parte bene ma dopo pochi minuti, rimedia un calcione (fortuito a dire il vero) da parte di Rossi, che gli provoca una profondo ferita alla testa, e dunque nuovo cambio, entra Giaccherini.

Come dire, nella fase più delicata, la Juventus è costretta ad attaccare con un reparto offensivo improvvisato, Quagliarella punta centrale, Pepe e Giaccherini esterni.

Dopo vari tentativi, la rete arriva finalmente grazie ad una intelligente verticalizzazione di Vidal per Marchisio, che al limite dell’area di rigore, si libera bene tirando rasoterra di sinistro, a fil di palo.

Cesena che neppure prova a reagire, Juventus ancora in attacco, e sull’ennesima offensiva, una uscita un pò avventurosa di Antonioli che travolge Giaccherini: rigore diciamo generoso, ma a termini di regolamento (e vedendo altri concessi in questo turno), il danno procurato c’è tutto, dato che la palla era ancora giocabile e poteva essere raggiunta da Giaccherini.

La realizzazione di Vidal, con un portiere improvvisato, chiude definitivamente la gara.

Juventus “in”

Indubbiamente il risultato è la cosa migliore, come pure è importante avere verificato che la squadra può trovare altre soluzioni di gioco, quando manca Pirlo, anche se non della stessa qualità.

E, come solito, il carattere del gruppo, emerso soprattutto dopo l’infortunio di Del Piero.

Juventus “out”

Probabilmente l’assenza di Pirlo ha psicologicamente condizionato la squadra, qualcuno giocava più sui nervi che sulla razionalità, quasi a dimostrare che mancando il fulcro del gioco si teme di non essere all’altezza, e ciò nonostante Pazienza abbia svolto con notevole diligenza il suo ruolo di portatore di palla con qualche lancio intelligente a scavalcare gli avversari.

Certamente ha pesato la giornata incolore degli attaccanti, in particolare di Matri, e Vucinic a mezzo servizio, per cui il primo tempo è stato alquanto sterile.

Le pagelle

I Promossi

Vidal: 7

A mio giudizio il migliore in campo. A parte il solito lavoro di interdizione, si è calato nei panni di inedito regista offensivo, sia nel primo tempo, sia nella ripresa, e non a caso il gol decisivo è scaturito da una sua intelligente verticalizzazione.

Marchisio: 7

Non era stato brillantissimo fino al momento del gol, diciamo che si è percepito lo scarso affiatamento con Pazienza e dunque la sua difficoltà a trovare la giusta posizione in campo. Però, appena avuta la palla giusta, l’ha messa nel sacco, ed è quello che contava in una gara che si stava dannatamente complicando.

Chiellini: 7

Bene in fase difensiva (anche se ha dovuto lavorare poco), si è spesso dedicato a dare una mano alle azioni offensive, arrivando più volte al cross da fondo campo. Sembra proprio che la fase d’appannamento si sia allontanata, per nostra fortuna.

Pazienza: 6,5

Non è, nè può essere, come Pirlo, ma sicuramente è un centrocampista che ha grande diligenza e spirito di sacrificio, ha fatto e bene quello che doveva, ossia recuperare palla, gestirla di prima, provando anche a verticalizzare rapidamente. Come dire, su di lui si può contare.

Per il resto direi bene Giaccherini, entrato subito nel vivo della gara; Quagliarella in costante crescita atletica e pure nei movimenti; senza voto i centrali difensivi, con Buffon più impegnato a giocare a scopone scientifico con i tifosi, per far passare il tempo (primo ed unico tiro, ad un quarto d’ora dal termine), che a badare agli attacchi avversari.

Da rivedere

Matri: 5,5

Una gara sotto tono, dopo tante disputate ad alto livello, può succedere, e che non fosse la sua giornata lo si è capito dal primo pallone toccato, e sprecato malamente.

La sentenza

Più che il Cesena, stavolta la Juventus ha battuti i ... gufi!

Perchè di fatto non c’è stata partita sul campo, le statistiche in fondo dicono ancor meno di quello che si è visto per i ’90 di gioco, ossia un catenaccio stile anni ’50 fatto dai romagnoli, ed un assedio asfissiante e costante tenuto dai bianconeri padroni di casa.

Ma appunto sono queste le partite più insidiose e difficili, quando si attacca, si sfiora magari la marcatura, non si segna, e possibilmente arrivano altre contrarietà, come il doppio infortunio, nel giro di pochi minuti, di Vucinic prima e Del Piero poi: segni questi di una giornata storta che non prometteva niente di buono, e che poteva finire magari con la giocata beffa a fine gara.

Non è accaduto, e per certi aspetti anche questo, come il pareggio di Napoli, è segno che l’annata potrebbe riservarci delle soddisfazioni, a patto di non abbassarsi la guardia.

Dicembre sarà un mese fondamentale per consolidare quanto fatto finora dalla squadra di Antonio Conte, si giocherà praticamente ogni tre giorni, tra coppa Italia e recupero della prima giornata, ci saranno due trasferte delicatissime, con un turno casalingo da non prendere sottogamba, contro il Novara.

In particolare ritengo insidiosa più di quanto si possa pensare, la prossima trasferta all’Olimpico contro la Roma, dopo il turno di Coppa Italia contro il Bologna.

L’ambiente giallorosso è decisamente in fermento, arrivano le prime contestazioni verso il nuovo allenatore Luis Enrique, la gara di Firenze ha mostrato crolli psicologici seri da parte di alcuni giocatori (tre espulsi ed Heinze a rischio prova TV, che non verrà presumibilmente applicata, non avendo strisce bianconere questo giocatore ...), come dire la squadra è chiamata ad un pronto riscatto e a dare prova di reattività ed attaccamento alla maglia; si aggiunga pure che le assenze non saranno così gravi come può supporsi, dato che rientrerà il "punito" Osvaldo, dunque desideroso di riscatto, e che c’è sempre la vecchia guardia pronta a scendere in campo (ossia Totti e Pizarro).

Poi, dopo Roma e la gara casalinga con il Novara, ci aspetta Udine, e sarebbe importante arrivarci sempre in vetta alla classifica.

Le mie postille

1 - La "mediaset" del fango.

Dunque, la notizia è che Berlusconi, uscendo da Palazzo Chigi, e forse pure dalla politica, tornerà nuovamente ad essere presidente del Milan, scelta che, alla luce della legislazione vigente, costituendo "conflitto di interesse" gli impedirebbe la candidatura alla presidenza del Consiglio, alle prossime elezioni.

E così i metodi che ha utilizzato alla grande con "Il Giornale", li sta trasferendo nel calcio, sempre ammesso che il gruppo di cui è padrone, non li abbia mai utilizzato in passato.

Solo che adesso si sono raffinati, e dunque anzichè gettare fango direttamente contro i nemici da battere, lo si getta "trasversalmente".

Ossia contro giocatori, contro dirigenti, e comunque contro persone che possono in qualche modo essere ricollegati ai nemici da battere, che quest’anno sono gli odiati bianconeri della Juventus.

Mi riferisco all’enfasi con la quale, unici in Italia, hanno dato la notizia dell’arresto del padre e di una zia di Arturo Vidal, per questioni attinenti al traffico di stupefacenti.

Modo per mettere in cattiva luce il giocatore, che invero, come tutti sanno o dovrebbero sapere, ha al contrario avuto una infanzia difficile, abbandonato da questo padre da piccolo, e con il quale non ha più contatti umani da tanto tempo.

Ma naturalmente ai milanmediasettari al servizio del capo, queste cose non interessano.

Inutile dire che questa forma di "informazione libera" si aggiunge ai vari commenti e servizi che vengono sempre confezionati in chiave antijuventina (ma stranamente mai gli anni scorsi in danno dell’Inter ...).

Come dire, Andrea Agnelli, dopo la battaglia contro la Federcalcio, deve pensare seriamente alla battaglia ancora più fondamentale contro le faziosità mediatiche: che poi sono quelle che creano il cosiddetto "sentimento diffuso popolare".

2 - Scemi della settimana.

Sono costretto ad usare il plurale.

Perchè Juve che vince e che è in testa alla classifica, fa aumentare in maniera esponenziale i soggetti che si esibiscono in deliri e rosicamenti vari, o in affermazioni "intelligenti" da citare a perenne memoria.

Ad esempio un amico lettore (Federico B.), mi riporta questo interessante dialogo, ascoltato alla radio, tra il radiocronista giallorosso Cucchi Riccardo, e il moviolaro radiofonico Grassia Filippo, famoso perchè i rigori per la sua inter ci sono sempre mentre quelli contro o per le altre (leggi Juventus) non ci sono mai.

L’amico Federico mi riferisce che Grassia ha subito voluto chiarire che la juve è sì prima ma "ha faticato oltre il previsto con il Cesena, dimostrando di avere sì carattere ma scarsa qualità di gioco" (sic!); "eh ma questo rigore" gli fa eco Cucchi ridacchiando "cosa doveva fare Antonioli? evaporizzare?" e ride ancora. "Curioso" risponde Grassia "che non se ne siano accorti né l’arbtrito né il guardalinee", e ridacchiano ancora.

QUESTI SIGNORI LI PAGHIAMO NOI, CAPITE?

Inutile dire che nessuno ha spiegato di come un lieve contatto abbia fatto crollare a terra come un sacco il giocatore svedese che gioca a strisce rossonere, o come un mani di Milito sia stato considerato rigore per l’Inter.

Ma non è l’unica perla.

La migliore l’ha scritta l’ex arbitro Casarin Paolo, sul Corriere della Sera, che ha parlato di inesistente rigore decisivo a favore della Juventus.

In effetti il "Real Cesena" in dieci minuti sarebbe riuscito a fare quello che non aveva saputo fare in ottanta, ossia tirare a rete e segnare due volte, solo così può spiegarsi la "decisività" di quel rigore.

E dire che questo ha anche arbitrato ed è stato pure designatore internazionale, quando nel calcio comandavano Carraro e Matarrese, guarda caso due amici della concorrente della Juventus ...

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Vinci-no (Il Foglio 06-12-2011)

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