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thebigbangtheory

Narducci, Auricchio E Compagnia

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Joined: 04-May-2011
19 messaggi

salve a tutti! mi potreste dire cosa hanno fatto narducci e auricchio e compagnia di così clamoroso per favorire l'inter e sfavorire la juve? voi direte "ma che ignorante!", però io di queste cose ne capisco poco e tutti quei post lunghissimi su farsopoli non li ho mai letti! ovviamente userò le vostre spiegazioni contro gli amici interisti e milanisti... grazie a tutti! :interxxx:

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Joined: 03-Feb-2012
9 messaggi

sei sicuro di stare bene?

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Joined: 04-May-2011
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sei sicuro di stare bene?

sei sicuro di stare bene?

oh scusa se tento di informarmi... sto benissimo a livello psicofisico non preoccuparti... sono solo disinformato, voglio saperne di più perché quando discuto di farsopoli con i miei amici non juventini non riesco mai ad argomentare bene su narducci e auricchio perché sento sempre i loro nomi però non so che ruolo abbiano nella giustizia sportiva nè cosa abbiano fatto... magari ho espresso male la domanda e seconde te sono sembrato un pazzo psicopatico, ma dato che preferisco seguire la juve sul campo piuttosto che nei tribunali, ho chiesto gentilmente se potevate spiegarmi cosa hanno fatto sti due tizi. Spero di aver fugato ogni dubbio sulla mia sanità mentale, buona giornata

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Joined: 03-Feb-2012
9 messaggi

Ti chiedo scusa fratello.

Allo stesso tempo ti dico che, anche io che sono informatissimo sulla cosa, non riesco a discutere con i tifosi delle altre squadre perchè è impossibile tentare di convincere chi è ormai convinto da secoli di lavaggio del cervello che la Juve ruba!!

E' impossibile grazie all'opera dei mass media che hanno privato tuta la nazione di un proprio cervello!

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Joined: 04-May-2011
19 messaggi

Ti chiedo scusa fratello.

Allo stesso tempo ti dico che, anche io che sono informatissimo sulla cosa, non riesco a discutere con i tifosi delle altre squadre perchè è impossibile tentare di convincere chi è ormai convinto da secoli di lavaggio del cervello che la Juve ruba!!

E' impossibile grazie all'opera dei mass media che hanno privato tuta la nazione di un proprio cervello!

Ti chiedo scusa fratello.

Allo stesso tempo ti dico che, anche io che sono informatissimo sulla cosa, non riesco a discutere con i tifosi delle altre squadre perchè è impossibile tentare di convincere chi è ormai convinto da secoli di lavaggio del cervello che la Juve ruba!!

E' impossibile grazie all'opera dei mass media che hanno privato tuta la nazione di un proprio cervello!

scuse accettate, tranquillo ;)

sono d'accordo con te per quanto riguarda i mass media. Visto che come hai detto sei molto informato sui fatti, non è che potresti rendermi partecipe delle infamie di questi 2 personaggi (auricchio e narducci)?

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Joined: 03-Feb-2012
9 messaggi

Guarda se vai sul sito ju29ro.com lì troverai tutto ciò che ti serve per conoscere lo scempio di farsopoli!!

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Joined: 18-Apr-2007
457 messaggi
Inviato (modificato)

Per spiegare una cosa del genere non ci vogliono 5 minuti. Va bene argomentata, altrimenti sarebbero risposte alla Travaglio, ovvero solo affermazioni senza prove.

Se vuoi capire davvero farsopoli e tutte le balle che hanno raccontato su Moggi e sull'onestà dell'inter devi letteralmente metterti a studiare l'archivio di ju29ro.

Ti copioincollo un bell'articolo super-riassuntivo di Zampini di poco tempo fa, ma non pensare che dopo averlo letto potrai andare a parlare con un interista, quelli sono imbevuti di anni di favole, raccontate talmente tante volte da renderle molto credibili, per sapere quando le sparano devi essere ben preparato. In questi anni abbiamo visto di tutto, PM e carabinieri che mentono in tribunale e occultano prove, testimoni dell'accusa che depongono a favore della difesa, ci sono intercettazioni pazzesche che coinvolgono Facchetti e Meani, roba che se le avesse fatte Moggi ci avrebbero radiati. Non si può riassumere tutto in un post.

Ma ti avverto, se decidi di informarti fino in fondo ti ci appassionerai come ad un romanzo, ma poi non seguirai più il calcio allo stesso modo.

ASSOCIAZIONE A DELINQUERE:

SÌ, NO, FORSE

Tweet: «Non siamo abituati ad avere tanti amici ma non mi

aspettavo di non averne nemmeno a Milano, dove la stampa

ci attacca» (Massimo Moratti).

di MASSIMO ZAMPINI (IL GOL DI MUNTARI - 2012)

Premessa

A novembre arriva la sentenza di primo grado del Tribunale di Napoli: Luciano

Moggi e alcuni altri imputati vengono condannati per associazione a delinquere.

A febbraio escono le motivazioni, e qui i giudici sono più duri con i pm che con gli

associati a delinquere: chi ha portato avanti l'accusa lo ha fatto a senso unico,

contro il solo Moggi, ne ha ostacolato la difesa processuale, il sorteggio degli

arbitri non era truccato i testimoni erano inattendibili, il campionato era

regolare, ma la distribuzione agli arbitri delle schede svizzere pare credibile ed

è sufficiente a integrare il reato configurato.

Questo stabilisce la sentenza di primo grado: inutile dire che quella d'appello,

e poi la Cassazione, magari se ne discosteranno del tutto, e allora valuteremo

cosa i giudici avranno definitivamente stabilito sulla vicenda. Per ora, però,

abbiamo la decisione di primo grado.

La contraddittorietà tra sentenza (durissima) e motivazioni (molto più

concilianti con gli imputati) è emblematica della vicenda giudiziaria più

incredibile che si ricordi, almeno in ambito sportivo. Di professione faccio

l'avvocato, per passione seguo il calcio sin da piccolo, per dovere civico e

interesse personale cerco di informarmi da sempre sulle principali vicende

politiche e giudiziarie italiane. Non solo: da quando avevo otto anni, per ragioni

professionali (tranquilli: di mio padre, non mie), ho sempre avuto a disposizione

sette quotidiani da leggere ogni giorno. Da sinistra a destra dallo sport a tutto

il resto. L'abitudine, quindi, è sempre stata quella di sforzarsi di comprendere

le ragioni di tutti, di spiegare a chi legge solo un giornale, o a chi crede

sempre e soltanto a una parte, che vi sono anche ragioni opposte, portate

avanti dagli «avversari», magari altrettanto valide o comunque degne di

attenta riflessione.

Calciopoli, sotto ogni punto di vista, è davvero un caso assurdo. Lo è per

l'appassionato di calcio, per l'avvocato e, a maggior ragione, per il lettore di

sette quotidiani al giorno.

L'appassionato di calcio da sempre

La vicenda, inutile prendersi in giro, non nasce certo nel 2006. Si pensi

alla tesi ricorrente di gran parte dei tifosi e di diversi giornalisti (per quanto

le due categorie spesso si confondano) secondo la quale la Juve, al di là

dei due revocati, ha fin troppi scudetti rispetto a quelli che avrebbe meritato di

avere.

Inutile dire quanto il teorema sia risibile e facilmente smontabile: basti

ricordare che le squadre di cui maggiormente si contesta la legittimità delle

vittorie sono quelle di Boniperti (che diede sei nazionali all'Italia campione del

mondo) e quella della Triade (che ne diede cinque, l'allenatore, il preparatore,

oltre a tre giocatori all'altra finalista ). Zoff, Gentile, Cabrini, tanto per

capirci, per molti non juventini non hanno meritato gran parte delle proprie

vittorie. Come già accennato, infatti, per la Roma è immeritato (loro dicono

rubato) lo scudetto del gol di Turone, per i fiorentini è immeritato (loro dicono

rubato) lo scudetto del rigore di Brady, e così via. Zoff, Gentile, Cabrini,

dunque, avrebbero dovuto vincere molto meno.

Una volta è l'arbitro, una volta le (presunte) squalifiche dei giocatori

avversari, una volta la fortuna, una volta il (presunto) doping: l'assunto da cui

parte l'Italia non juventina è che la società bianconera abbia vinto spesso con

metodi sporchi. Non per Zidane, Scirea, Baggio, Del Piero, Platini, Nedved, Lippi

e Trapattoni, ma per Paolo Bergamo, per Ceccarini, per i farmaci. Le sconfitte

all'ultima giornata nel pantano dopo ore di attesa o con regole cambiate in corsa,

quelle no, quelle sono sacrosante, e ci manca pure che vi lamentiate. Proprio voi,

che dovreste averne vinti la metà. Tutto ciò da sempre. Non certo dal 2006.

È per questo che le vicende di Calciopoli non le conosce quasi nessuno.

Non interessano a nessuno. Perché anche se dimostrassimo che quell'anno

non abbiamo truccato partite, sicuramente lo avremo fatto negli anni precedenti.

Anche Moratti ha fatto capire più volte che per lui i trucchi c'erano prima, più

che negli anni incriminati: lo scudetto a tavolino lo intende dunque come

una forma di risarcimento. Per questo la discussione sull'argomento non

può esistere: non perché ci siano idee opposte su quell'anno incriminato

(con alcuni tifosi avversari che si sono informati sì, ma sono una percentuale

quasi inesistente), ma in quanto dopo un minuto di dialogo si percepisce

che l'interlocutore non conosce la questione, se non attraverso quanto letto

sui titoli di qualche giornale, equindi si passa al doping, er-go'-de-Turone,

rigore-su-Ronaldo e così via.

Ora, questa non è la sede - e non ci sarebbe lo spazio necessario - per raccontare,

che prima del gol di Turone (tra l'altro sul filo del fuorigioco, difficilissimo

da vedere) c'erano state altre decisioni sfavorevoli alla Juve e subito

dimenticate, che l'anno del presunto rigore su Ronaldo all'andata c'era un rigore

di West su Inzaghi subito dimenticato, che la Juventus nella sua storia ha avuto

una marea di errori a sfavore ma non ne ha mai fatto una ragione di vita e quindi

non se li ricorda nessuno. Inutile, non c'è lo spazio e comunque non servirebbe.

Qui ci si deve soffermare solo sulla vicenda Calciopoli, che concerne la stagione

2004-2005 e, non si sa bene perché, quella successiva. L'assurdità della vicenda,

per un appassionato di calcio, emerge in primo luogo proprio dall'osservazione

delle partite. La Juventus, allenata da Fabio Capello, aveva appena acquistato

Ibrahimovic, destinato come sappiamo a fare sfracelli nel campionato italiano. Tra

gli altri, con lui, giocavano Nedved, Thuram, Cannavaro, Buffon, Emerson,

Trezeguet e svariati altri campioni. Tanto per essere chiari, Alessandro Del Piero,

che comincia la stagione da ventinovenne, parte in panchina insieme a un

giocatore come Mutu. Ora, per capire la forza di quella squadra, basti pensare che

il Del Piero trentottenne viene considerato elemento di cui non privarsi

assolutamente, pena la lesa maestà da parte del presidente Agnelli, mentre quello

ventinovenne era costretto in panchina da giocatori ritenuti dal tecnico di allora

più determinanti. Del Piero, a ventinove anni, era un panchinaro di quella squadra.

Sulla forza di quei giocatori davvero non sussistono dubbi. E in effetti va

riconosciuto che ben pochi avversari ne contestano la qualità da un punto di

vista, tecnico e caratteriale. Rimane appunto la questione arbitrale quella

principale: ebbene, qualunque tifoso abbia seguito da vicino quell' anno faticherà

a ricordare gravi errori arbitrali in favore della Juve. Da tifoso, un po' te ne accorgi:

ci sono degli anni in cui la squadra è più fortunata con i direttori di gara (nel

famoso 1998 le cose andarono così) e altri molto meno (gli anni post Calciopoli

sono stati una tragedia): quella 2004-2005 è una di quelle stagioni in cui il

bilancio non era certamente a nostro favore. Basti pensare che tra gli errori pro

Juventus che si ricordino, e per i quali si è ovviamente gridato allo scandalo, i

principali riguardano il match Roma-Juventus, terminato 1-2 (gol di Cannavaro

in fuorigioco, difficilissimo da vedere in diretta, e rigore per fallo su Zalayeta al

limite dell'area, forse fuori di qualche centimetro), partita in cui il romanista

Cufré dà un pugno (!) a Del Piero senza essere espulso e Ibrahimovic si

vede annullare per fuorigioco un gol regolarissimo.

L'altra partita che tuttora si ricorda, per evidenziare i vantaggi che riceveva

quella squadra, è un Bologna-Juventus arbitrato da Pieri. Il povero arbitro paga

e pagherà per sempre il fischio di un calcio di punizione (!) dubbio al limite

dell'area in favore della Juve. Sfortuna vorrà, per il suo prestigio e la sua

carriera, che Nedved infili un tiro fantastico e i bianconeri vincano la partita

grazie a quello. Un calcio di punizione è oggetto di discussione in un tribunale

italiano. Ora, ogni tifoso di calcio sa che una punizione dal limite, per quanto

pericolosa, decide la partita una volta su dieci. Di gol di Nedved su punizione,

nella Juve, ne ricordo pochissimi, forse addirittura solo quello. Se in una

stagione calcistica ci indigniamo addirittura per i calci piazzati ottenuti da una

squadra, è chiaro che non troveremo un campionato regolare a partire dall'inizio

del Novecento. Anche allora, chissà che la Pro Vercelli o il Vado non abbiano

ottenuto una punizione che non c'era o realizzato una rete in fuorigioco senza che

nessuno se ne sia accorto, giocatori avversari compresi. L'altra contestazione,

relativa a episodi dubbi in favore dei bianconeri, riguarda la mancata sanzione

per una mezza trattenuta in area su Crespo in Juventus-Milan, che se mi dai rigore

contro spacco il televisore e chiedo anche i danni morali all'arbitro Bertini.

Basta. In più di trenta partite, alla Juventus, nell'anno che le è costato la

retrocessione in serie B e la revoca di due scudetti, i tifosi avversari (non

proprio noti per essere generosi nei suoi confronti) rinfacciano un gol in

fuorigioco che in diretta era sfuggito anche ai giocatori dell'altra squadra, un

rigore pochi centimetri fuori dal limite dell'area, un calcio di punizione e una

mezza trattenuta non sanzionata. Gli episodi avversi, invece, sono tanti e ben più

evidenti. A cominciare dalla partita delle partite, Reggina-Juventus, quella del

fantomatico (ma rimasto impresso nell'opinione pubblica) sequestro di persona

dell'arbitro Paparesta da parte dell'Anonima moggiana. Ci si è spesso soffermati,

appunto, su questo terribile rapimento, finito fortunatamente nel migliore dei

modi, con il direttore di gara barese che ha potuto riabbracciare i suoi cari dopo

lungo patimento. Ma pochi ricordano cosa sia accaduto nel corso della gara. Ci

viene in soccorso, guarda un po' tu, la moviola della «Ġazzetta dello Sport», che

racconta così quanto accaduto quel giorno: «L'arbitro non aveva visto un chiaro

fallo di mani di Balestri (già ammonito) in area, annulla una rete a Ibrahimovic e

una nel finale a Kapo per un fallo di mano dubbio». Un rigore netto negato, con

conseguente espulsione mancata, e due gol annullati, con decisioni dubbie. In

poche parole, questi episodi già pareggiano, da un punto di vista quantitativo, i

più gravi in favore della Juve nel corso di tutto il campionato contestato. E poi

ti lamenti se ti sequestrano? Non c'è davvero più religione.

Ma non basta. Gli episodi contro i bianconeri, nell'anno della Cupola, sono

anche altri, altrettanto clamorosi: tra gli altri, un gol di Cannavaro non visto

contro la Fiorentina (ma non diventerà mai il titolo di un libro, possiamo starne

certi), un clamoroso rigore negato a Del Piero a Parma e un altro fallo in

area non sanzionato a Palermo da De Santis, l'arbitro della Cupola. La partita

decisiva, il big match Milan-Juventus a poche giornate dalla fine, in cui ci si gioca

tutto, lo arbitra Collina, non proprio il preferito dei tifosi bianconeri. E la Juve

lo gioca senza la sua stella principale, Zlatan Ibrahimovic, squalificato per tre

giornate grazie alla prova TV per una manata a Cordoba, prontamente ripresa

e segnalata dalle televisioni Mediaset. A occhio, quindi, la Cupola per quella

partita non si è industriata più di tanto. Con Collina e senza Ibra. Ma a San Siro

vince la Juve. Rovesciata di Del Piero, gol di Trezeguet. I due del 5 maggio, i

due di mille vittorie.

La nuova stagione si apre con la Supercoppa italiana, tra Juventus e Inter (non

ricordo bene perché proprio tra loro due, forse il trofeo si disputa tra chi vince

lo scudetto sul campo e chi se lo vede assegnato a tavolino). Arbitro De Santis,

proprio lui. Vince l'Inter, con gol di Trezeguet annullato per fuorigioco

inesistente. Non c'è niente da fare, è proprio la Cupola più pazza del mondo.

Sul campo, prima di ascoltare le intercettazioni e di leggere mille chiacchiere di

ogni genere, i tifosi italiani hanno visto questo. Ma questo scudetto è stato

revocato, come quello seguente, che pure non è mai stato oggetto di indagini

ed era governato, dal punto di vista arbitrale, da personaggi diversi rispetto

al 2005. Al di là di ogni sentenza, di ogni titolone di giornale o di ogni luogo

comune sulla Juve, che comunque ruba, e se non ruba si dopa, in campo è

accaduto questo.

Per finire, da appassionato di calcio, devo però aggiungere una verità, tendendo

la mano ai poveri accusatori, che indagavano convinti di trovare chissà che: sono

stati pure scalognati, perché da tifoso credo di non avere mai visto una stagione

così sfortunata dal punto di vista arbitrale per una Juventus (ma anche un'altra

squadra) che abbia poi vinto lo scudetto.

L'avvocato

Professionalmente, non mi occupo di diritto penale. Tranne che per gli

studi universitari, quelli per l'esame di avvocato e lo studio di qualche

piccola pratica, non ho quindi una profonda esperienza diretta nella specifica

materia. Tuttavia, non serve essere dei penalisti di lungo corso per cogliere

appieno le contraddizioni, le omissioni, le violazioni del diritto della difesa e le

troppe pressioni che hanno caratterizzato questa vicenda giudiziaria.

Anzitutto, le contraddizioni: si è già accennata la contraddizione principale,

relativa alla discrasia tra dispositivo e motivazioni della sentenza penale di

primo grado (sulla superficialità e parzialità dei processi sportivi non vale

neanche la pena soffermarsi). Associati a delinquere, ma non troppo.

Merita invece soffermarsi su qualche passaggio indicativo della sentenza, primo

vero giudizio su Calciopoli con gran parte degli elementi necessari conosciuti dal

collegio giudicante: ne mancherebbero altri, a dire il vero, considerato che le

difese devono ancora ascoltare decine di migliaia di telefonate, ma perlomeno

stavolta si è giudicato conoscendo tante chiamate di dirigenti di altre squadre,

misteriosamente omesse e dimenticate da parte dell'accusa.

Partiamo dai principali motivi per cui si è arrivati alla condanna.

Non vi è dubbio che l'elemento più rilevante, ai fini della condanna degli

imputati, riguardi «l'uso delle schede straniere delle quali è risultata la

disponibilità procurata da Moggi a designatori e arbitri». Per i giudici è dunque

credibile il sistema di attribuzioni prospettato dai pubblici ministeri, anche se

il giudice Casoria evidenzia il «metodo pacificamente artigianale» utilizzato dal

maresciallo Di Laroni.

Sia chiaro: nessuno sa cosa si dicesse su quelle schede, intercettabili ma non

intercettate. Ciò che si sa con assoluta certezza è che, quando veniva arbitrata

da arbitri asseritamente in possesso delle tessere straniere, la Juventus faceva

meno punti rispetto alle partite dirette dagli altri (come dimostrato in sede

dibattimentale dalla difesa degli imputati). In poche parole, andando per logica:

pare credibile che Moggi avesse dato le schede svizzere ad alcuni arbitri, anche

se il metodo utilizzato da chi doveva attribuirle è pacificamente artigianale, ma

non si sa bene per farci cosa, dal momento che poi in media (vedi De Santis e gli

arbitraggi sopra riportati) la squadra andava peggio. Forse utilizzava le schede

per chiedere di perdere, ma allora l'imputazione dovrebbe essere relativa alle

scommesse, più che a un'associazione a delinquere.

Quanto ai rapporti con i vertici arbitrali, il collegio giudicante sottolinea la

«generalizzata tendenza a conquistare il rapporto amichevole, in funzione

del suggerimento, con designatori e arbitri». Più avanti si sottolinea che «dagli

atti emerge il rapporto di altri arbitri non imputati e addirittura di taluno degli

arbitri imputati, come De Santis, altrettanto amichevole con dirigenti sportivi

curanti interessi diversi da quelli di Moggi, ad esempio Meani». Tuttavia,

sottolinea il collegio, questo quadro generalizzato non preclude il giudizio sui

reati.

In poche parole: abbiamo capito che lo facevano in tanti, quasi tutti, ma a

noi hanno portato le vostre telefonate, e noi quelle dobbiamo giudicare. Bello,

quando le proprie intercettazioni vengono nascoste da chi di dovere.

Fino a qua, le principali ragioni della condanna: ragionevolmente certa

assegnazione di schede svizzere, che già di per sé configurano un tentativo

di frode, e rapporti fin troppo amichevoli con i designatori. Hanno nascosto

alcune telefonate, hanno indagato solo su di te, e su di te hanno giudicato.

Piaccia o non piaccia, così vanno le cose. È la nostra giustizia, bellezza. Il

collegio,però, non si ferma qui: afferma anche (e soprattutto, per quanto ci

interessa) che il dibattimento in verità «non ha dato la prova del procurato

effetto del risultato finale del campionato 2004-2005». Quindi, ricapitoliamo:

avete dato le schede, intrattenevate rapporti fin troppo amichevoli con i

vertici arbitrali cercando di condizionarli (come tutti, però hanno indagato solo su

di voi), ma il campionato non è stato in alcun modo alterato.

Ancora più definitivo il giudizio sull'ipotesi, portata avanti fino allo stremo

dai pubblici ministeri, dei sorteggi degli arbitri truccati: «Che il sorteggio non

sia stato truccato, così come hanno sostenuto le difese, è emerso in maniera

sufficientemente chiara al dibattimento. Incomprensibilmente il pubblico ministero

si è ostinato a domandare ai testi di sfere che si aprivano, di sfere scolorite e

di altri particolari, se il meccanismo del sorteggio per la partecipazione ad esso

di giornalista e notaio era tale da porre i due designatori, Bergamo e Pairetto,

nell'impossibilità di realizzare la frode».

Durissimi i giudici, sull'ostinazione dei pubblici ministeri, che pure appare

del tutto comprensibile. Che razza di Cupola era, se non riusciva neanche a

scegliersi l'arbitro? Il sorteggio avveniva all'interno di una griglia che Moggi (e

non solo) cercava di condizionare, si dirà, ma quella griglia aveva margini

bassissimi di discrezionalità: c'era tutta una serie di paletti cui i designatori

dovevano attenersi, e molto spesso i giornalisti specializzati la indovinavano prima

ancora che fosse decisa. Una Cupola deboluccia, e talvolta masochista (come sulle

schede, date agli arbitri «cattivi»).

Altro giro, altra bordata a chi ha portato avanti l'accusa, probabilmente la più

grave, quella definitiva: «La difesa è stata in fatto molto ostacolata nel suo

compito dalla mole delle telefonate, 171 mila, e dal metodo adoperato per il loro

uso, indissolubilmente legato a un modo di avvio e sviluppo delle indagini per

congettura, emerso dal dibattimento» .

Calciopoli, ci fanno capire i giudici di Napoli, nasce da un teorema, da

uno sviluppo di indagini per congettura: Moggi è il cattivo, gli altri sono i buoni.

È stato intercettato solo lui, tra i dirigenti delle grandi squadre: se abbiamo

qualche possibilità di ascoltare vecchie telefonate di Facchetti, Moratti e

Galliani, tanto per fare un esempio, è solo perché parlavano con soggetti

intercettati. Ma se quei tre dirigenti parlavano ad esempio con Collina, non

lo sapremo mai (oddio, su almeno uno dei tre abbiamo qualche sospetto

abbastanza fondato). Buoni e cattivi, la solita divisione, profondamente

radicata nel sentimento dei tifosi italiani. È per questo che siamo partiti dal

campo. Per spiegare che Calciopoli non riguarda un'analisi serena sul

campionato sotto esame, ma è un processo alla Juventus, ai suoi dirigenti

e alla sua storia.

Juventus che viene assolta del tutto, mentre il suo direttore generale viene

condannato: Moggi lavorava per sé, per i suoi rapporti, per il mercato,

procuratori e così via, ma non portava vantaggi alla sua società. Che dunque,

visto che tutti ci invitano a rispettare le sentenze, è ritenuta innocente.

Motivazioni della sentenza a parte, sono molteplici gli aspetti che

non convincono chi si occupa quotidianamente di questioni legali (e non solo,

suppongo): tornando al diritto di difesa calpestato, è impossibile dimenticare

quanto emerso negli ultimi mesi circa le valutazioni dei Carabinieri (i

cosiddetti «baffi», messi accanto alle conversazioni più rilevanti), ignorato da

chi portava avanti l'accusa. Diverse conversazioni di dirigenti interisti (e non solo),

valutate come estremamente gravi, sono state del tutto dimenticate da chi di dovere.

Va bene che si è proceduto per congetture, ma insomma ... E poi così, un po' di

flash su episodi surreali di questi anni: il famoso «piaccia o non piaccia non ci

sono telefonate di Bergamo o Pairetto con il signor Moratti», incautamente pronunciato

dal pm Narducci, che ha dovuto poi confusamente spiegare che intendeva parlare di

telefonate rilevanti (per lui, ovviamente).

L'incredibile incontro tra Moratti, il responsabile delle indagini colonnello

Auricchio e il suddetto pubblico ministero alla presentazione di un libro sui

Mondiali argentini del 1978 e il regime militare dell'epoca, su prefazione proprio

di Narducci: non si tratta chiaramente di qualcosa che vada contro la legge, ma

di clamorosa mancanza di opportunità, da parte di tutti e tre. Il video dell'incontro,

per certi versi inquietante, è stato segnalato da un lettore al sito di

controinformazione su Calciopoli Ju29ro: si vede Moratti confabulare a lungo

con Auricchio, mentre nella stessa sala ci sono Narducci e il giornalista della

«Ġazzetta» Piccioni, tipo i quattro amici al bar di Gino Paoli. Rimane il mistero:

cosa si saranno detti il presidente della squadra da tutti riconosciuta come la

più grande graziata (nonché beneficiaria) dell'intera vicenda e il responsabile di

quell'indagine? Perché si conoscono? E di cosa avranno parlato tra di loro per

buona parte dell'incontro? E Moratti va a Roma alla presentazione di un libro

sull'Argentina del 1978 solo perché magari ha dato l'autorizzazione a intervistare

alcuni suoi giocatori?

Anche qui, come per i contenuti delle chiamate con le schede svizzere, prove non

ne abbiamo. La situazione sembra paragonabile, pur se con una grande differenza:

con gli arbitri chiamati in gran segreto, la Juve perdeva. Con i responsabili

delle indagini di Calciopoli, incontrati in un'anonima presentazione romana di

fine maggio, l'Inter ha sempre vinto.

Il punto, in fondo, è proprio questo: perché le telefonate dell'Inter sono state

nascoste? La risposta che sentiamo spesso è che i toni erano diversi, che non

sono state giudicate rilevanti, che l'Inter voleva solo difendersi dalla Cupola

moggiana, eccetera eccetera. Ma Facchetti parlava al telefono con Bergamo,

invitandolo a fare presente all'arbitro Bertini quanto sarebbe stato

«determinante» il suo arbitraggio, prima di un Cagliari-Inter di Coppa Italia,

dove la Juventus è già stata eliminata. Perché allora l'ex presidente nerazzurro

ricorda al designatore il deludente score dell'arbitro toscano con la sua squadra?

Paura del potere dei sardi di Cellino? A occhio, e così la pensava chi valutava

inizialmente le telefonate, si trattava di intercettazioni estremamente

interessanti, utili a chiarire il contesto in cui operavano le grandi squadre di

serie A: perché allora sono state nascoste, mentre tutti conosciamo il contenuto

di una telefonata tra Alessandro Moggi, procuratore figlio di Luciano, e una nota

presentatrice sportiva, in cui si parla di tutto, tranne che di aspetti che

possano interessare un processo penale (e sportivo, s'intende)?

Gli aspetti poco chiari sono troppi, comprese le insistite richieste di

ricusazione del giudice Casoria, provenienti non da parte della difesa, come

solitamente accade, ma dall'accusa, che non si sentiva abbastanza tutelata da un

giudice dai modi un po' spicci e che sembrava ascoltare con la stessa attenzione

tutte le parti in causa, senza troppi preconcetti.

Richieste respinte, alla fine, ma magari non del tutto inutili, dal momento che il

procuratore capo dott. Lepore, intervenendo con toni fin troppo enfatici a

RadioRadio dopo la sentenza, ha chiarito che ci sono volute ben «due istanze

di ricusazione per ristabilire la regolarità del processo». Ora, non serve essere

dei legali per capire che c'è qualcosa di poco logico nel ritenere ristabilita la

regolarità del processo dopo le istanze di ricusazione, visto che sono state

respinte tutte e due e il giudice è rimasto al suo posto. Magari è stato un

elemento di pressione, magari altro ancora, dubito che lo capiremo mai.

Le stranezze, ad ogni modo, sono davvero troppe, tanto che l'avvocato Maurilio

Prioreschi, legale di Moggi, intervenendo nella trasmissione radiofonica che

conduco con l'amico Antonello Angelini, ha detto di avere riscontrato più anomalie

in questo processo che in quello relativo all'omicidio di Mino Pecorelli, e non si

spiega il perché.

Qui non si tratta di decidere se Moggi sia colpevole o innocente: ognuno di noi

ha una sua vita, e quando ci sarà una sentenza definitiva, qualunque essa sia,

ce ne faremo tranquillamente una ragione. Qui si tratta di capire come

funziona, talvolta, la giustizia in Italia. Perché se Moggi non avesse avuto

le disponibilità economiche che ha, non avremmo mai conosciuto altre migliaia

di telefonate, e sarebbe rimasto per tutta l'Italia «quello che parlava con i

designatori delle griglie», quando si trattava di un'abitudine estremamente

diffusa. Perché se il rapporto tra organi inquirenti e alcuni dei protagonisti in

gioco (o non in gioco, in quanto miracolosamente salvati) è stretto e misterioso,

qualcosa non quadra più. Perché se per arrivare alla condanna di qualcuno

si omettono vicende fondamentali, si ostacolano le difese, tanto da venire

bacchettati dall'organo giudicante, la giustizia diventa ingiustizia.

Per la cronaca, Narducci e Auricchio, pesantemente criticati dal collegio

giudicante, sono stati giustamente promossi dal sindaco di Napoli De Magistris,

con ruoli rilevanti nella nuova giunta: assessore alla sicurezza l'uno, capo di

gabinetto l'altro. Da noi, le cose, funzionano così.

L'assiduo lettore di diversi quotidiani (che talvolta va in TV)

C'è il tifoso, l'avvocato, e poi c'è il divoratore di giornali, che un po'

casualmente è finito in radio e TV, su RadioRadio e su Antenna 3 (emittente

legata a Telelombardia), il cui direttore, Fabio Ravezzani, ha voluto la presenza

mia e di Antonello Angelini nella trasmissione di punta Lunedì di rigore. Lo

specifico perché talvolta, da attento osservatore dei media, ne sono diventato

quasi involontariamente parte, trovandomi a discutere di temi calcistici con persone

che se ne occupano di professione da una vita.

Seduto accanto a me (o ad Angelini, a seconda delle puntate), a Lunedì di rigore

c'è solitamente Franco Melli, giornalista romano molto conosciuto dal grande

pubblico, già al «Corriere della Sera», grande protagonista del Processo

biscardiano negli anni in cui aveva ancora un suo forte seguito. La carriera e

l'onore di Melli sono stati fortemente danneggiati da Calciopoli: siccome è emerso

un rapporto telefonico con Luciano Moggi, cioè il diavolo, Melli è passato agli

occhi di tanti moralisti come un suo servo, o comunque un giornalista asservito

alla diabolica Cupola moggiana. Proprio RadioRadio e Antenna 3, appunto, lo

hanno comunque voluto come opinionista principe delle proprie trasmissioni sportive.

Mi è capitato spesso di parlare con lui, che ovviamente non è sotto processo,

non deve difendersi da niente e soprattutto non era davanti alle telecamere.

Lui, profondo antijuventino, è sinceramente disgustato dalla vicenda Calciopoli

e da come i media l'hanno gestita. Il suo caso è esemplare: parlava con Moggi, è

vero, ma parlava con tantissimi dirigenti di serie A, pure facenti parte delle squadre

che piangono sempre, le miracolate di Calciopoli. Ognuno, a suo dire, gli dava

consigli, indicazioni, imbeccate, perché la trasmissione aveva un suo seguito e la

parola di Melli la sua influenza. Tuttavia, avendo intercettato solo Moggi, e non

i dirigenti delle squadre miracolate da quella farsa processuale, la realtà

visibile a tutti è di un Melli che parla con Big Luciano della puntata successiva

o di altri argomenti. Il problema, purtroppo, è sempre lo stesso: perché si sono

intercettati solo alcuni, falsando così la rappresentazione della realtà? La

risposta ce l'ha data il giudice Teresa Casoria: si è indagato seguendo un

teorema. Stop.

È stato questo il moralismo insopportabile mostrato da gran parte dei media: la

condanna e la gogna per chi è stato intercettato, e la beatificazione di chi non

lo è stato, nonostante sappiano tutti che certe abitudini sono sempre andate

avanti a 360 gradi. Dovessi indicare il lato più inquietante di tutta la vicenda

Calciopoli, darei senza dubbio la precedenza a quello mediatico. Il vero problema,

infatti, non è tanto (o comunque non solo) che una vicenda processuale non sia

gestita nel migliore dei modi. Capita, ed è sicuramente capitato di molto peggio,

dove gente che non aveva proprio niente a che vedere con i reati di cui era

accusata è stata condannata ed esposta per anni al pubblico ludibrio (per quanto,

anche qui, i tanti assolti già in primo grado come il giornalista Ignazio Scardina

e tanti altri colleghi e arbitri si siano visti rovinare la vita senza motivo)

prima dell'assoluzione definitiva.

La vera anomalia, l'autentico baco nel sistema, è all'interno dei principali media

nazionali sportivi (e non solo, ma qui ci interessano quelli). Funziona come in un

regime: c'è una verità ufficiale, anche ben prima delle sentenze (che vengono

spesso pronosticate da taluni con discreto successo), si dividono i personaggi in

buoni e cattivi, e da quel momento in poi ogni accusa ai secondi viene riportata

come una condanna certa, mentre ogni prova a discarico viene sottaciuta o irrisa

in qualche trafiletto. Procedimento inverso per i buoni: le accuse nei loro

confronti sono nascoste o comunque esposte in termini dubitativi, meritando

un'immediata replica (ben visibile) dell'interessato, mentre tutto ciò che può

scagionarli richiede un bel titolo in prima pagina. Gli esempi sono infiniti, e

solo relativamente a questa vicenda possiamo farne alcuni che riguardano gli

organi d'informazione ritenuti più prestigiosi e alcuni giornalisti considerati

tra i più preparati.

Marco Travaglio è un giornalista scrupoloso. L'ho incontrato due o tre volte in

aereo, con il suo pacco di giornali, che legge con estrema attenzione. Sa molto,

è preparato (pregi non da poco, rispetto ad altri colleghi) e ha il gusto della

polemica. Anche lui, però, divide il mondo in buoni e cattivi. E se, restando al

calcio, non è difficile capire chi siano i cattivi, meno facile è capire perché

gli altri ai suoi occhi siano i buoni. Per essere più chiari: Moggi a suo parere è

un disonesto, perché telefona, parla di griglie, dà schede svizzere, eccetera

eccetera. Okay. Per un fustigatore della morale, duro allo stesso modo con tutti,

mi sta benissimo: personalmente, neanche io sono un fan sfegatato di certi modi

e rapporti al limite, tipici di questo paese. Quindi va bene, Big Luciano non ci

piace. Ma allo stesso tempo non deve piacerci neanche chi telefona per dire

che un arbitro deve essere determinante, oppure che in una partita bisogna

condizionare il sorteggio per fare uscire Pierluigi Collina, e così via.

Com'è noto, nel luglio del 2011 viene divulgata la relazione del procuratore

federale Palazzi sulle telefonate dell'Inter, di cui archivia la posizione

dichiarando che è ormai intervenuta la prescrizione. Vale la pena ricordarne

qualche estratto: «Alla luce dei principi posti dalla decisione della CAP (CU 1\C

del 14 luglio 2006), va rilevato che la condotta del Facchetti appare presentare

notevoli e molteplici profili di rilievo disciplinare. In questa trattazione

specifica della posizione del Facchetti, è appena il caso di rilevare che la

società Internazionale F.C. di Milano, oltre che essere interessata da condotte

tenute dal proprio presidente che, ad avviso di questa Procura federale,

presentano una notevole rilevanza disciplinare per gli elementi obiettivamente

emergenti dalla documentazione acquisita al presente procedimento, risulta

essere, inoltre, l'unica società nei cui confronti possano, in ipotesi, derivare

concrete conseguenze sul piano sportivo, anche se in via indiretta rispetto agli

esiti del procedimento disciplinare, come già anticipato nella premessa del

presente provvedimento e come si specificherà anche in seguito. Dalle carte in

esame e, in particolare, dalle conversazioni oggetto di intercettazione

elefonica, emerge l'esistenza di una fitta rete di rapporti, stabili e protratti

nel tempo, intercorsi fra il presidente della società Internazionale, F. C. ,

Giacinto Facchetti ed entrambi i designatori arbitrali, Paolo Bergamo e Pierluigi

Pairetto, fra i cui scopi emerge, fra l'altro, il fine di condizionare il settore arbitrale.

La suddetta finalità veniva perseguita sostanzialmente attraverso una frequente

corrispondenza telefonica fra i soggetti menzionati, alla base della quale vi era

un consolidato rapporto di amicizia, come evidenziato dal tenore particolarmente

confidenziale delle conversazioni in atti ( ... )».

L'Inter voleva condizionare i designatori arbitrali, con frequente corrispondenza

telefonica di tenore particolarmente confidenziale. Chi lo dice non offende

affatto la memoria di chi non c'è più, come afferma in modo evidentemente

strumentale chi non vuole arrivare a discutere nel merito delle questioni,

fermandosi agli slogan. Sono vicende giudiziarie (di diritto sportivo, in questo

caso) che devono portare solo alla ricerca della verità, poi il ricordo di un

fenomenale giocatore e di una persona certamente positiva (e di un dirigente

che a mio parere non faceva niente di diverso da quanto gli veniva richiesto)

non ha motivi per essere intaccato. Torniamo alle frasi di Palazzi, molto dure

con i dirigenti interisti (ce ne sono altre su Moratti, che sapeva dei rapporti

tra Facchetti e i designatori e così via). Travaglio, spietato all'epoca con Moggi,

cosa scrive? Si indigna anche stavolta? Nossignore.

Scrive un articolo con diverse imprecisioni, in cui il bersaglio è, ma guarda un

po' , ancora Big Luciano, un'autentica ossessione. Comincia affermando che,

per Palazzi, Moratti e Facchetti hanno violato le regole semplicemente «telefonando

ai designatori», quando invece per il procuratore sono state riscontrate condotte

«certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica in favore della

società Internazionale F. C. , mediante il condizionamento del regolare

funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità,

terzietà, imparzialità e indipendenza, che devono necessariamente connotare

la funzione arbitrale». Palazzi, tra l'altro, aggiunge che «assume una portata

decisiva la circostanza che le conversazioni citate intervengono spesso in

prossimità delle gare che dovrà disputare l'Inter e che oggetto delle stesse sono

proprio gli arbitri e gli assistenti impegnati con tale squadra». Il problema

dunque non è telefonare (anche se nel 2006 sembrava fosse un problema anche

quello), ma fare pressioni per ottenere dei vantaggi. E l'Inter, secondo Palazzi

(idolo nel 2006, oggi mero accusatore giustizialista), lo ha fatto più volte.

Travaglio prosegue sottolineando che «non basta telefonare ai designatori

per commettere illecito: occorre che le pressioni arrivino agli arbitri e li

condizionino». Ora, ribadito che il problema non erano le telefonate di per sé,

ma il loro contenuto (Travaglio insiste nell'equivoco), ecco la seconda imprecisione:

sono sei anni che ogni volta che portiamo dati che smentiscono le tesi dell'accusa

(ammonizioni preventive mai esistite, medie punti degli arbitri di cui si è

ipotizzato il possesso di schede svizzere ecc.) tutta Italia ci dice che per la

giustizia sportiva basta il tentativo, non va provato il condizionamento effettivo,

quindi meritavate la C, eccetera eccetera, e ora invece è necessario provare

che le pressioni arrivino agli arbitri e li condizionino? E quali condizionamenti

sarebbero stati provati, nel caso di Moggi? Quali pressioni sarebbero certamente

arrivate agli arbitri?

Il Travaglio morbido, in versione nerazzurra, afferma poi che «è verosimile che,

anche se l'Inter rinunciasse alla prescrizione, verrebbe assolta o privata di

qualche punto». Assolta? Ma sbaglio o non è stato assolto nessuno? Ma sbaglio o

il Milan si è salvato dalla B solo perché Meani non aveva responsabilità diretta,

mentre Facchetti dell'Inter era il presidente? Palazzi con l'Inter è durissimo:

certamente avrebbe ricevuto come minimo una forte penalizzazione (lo ha detto

addirittura il vicedirettore della «Ġazzetta» Palombo, noto antimoggiano),

probabilmente non avrebbe preso Ibrahimovic, sicurissimamente non avrebbe mai

indossato lo smoking bianco.

Poi diverse altre imprecisioni per il gran finale: «Finora hanno parlato solo

Palazzi e Moggi con la sua corte di avvocati e giornalisti à la carte». Questa

è il top. Premesso che andrebbe stabilito chi siano i giornalisti à la carte, e

cosa si intenda esattamente con questo termine, perché poi le accuse di

malafede vanno provate e non solo accennate, vanno ricordati i due

schieramenti. Da un lato «Ġazzetta», «Repubblica », Travaglio, «Corriere

della Sera», Mediaset, Rai e compagnia bella, molto duri con Moggi e

non altrettanto con i nerazzurri. Dall'altra la potenza mediatica di Zampini,

Angelini e di qualche sito, blog e forum di tifosi della Juve. La prossima

volta, se possibile, facciamo a cambio. Ah, un'ultima richiesta: scriva quello

che vuole, Travaglio, ma non si definisca juventino. Perché sennò io mi

definisco interista e poi comincio ad attaccare l'Inter in tutti i modi, e allora

è troppo facile.

La «Ġazzetta dello Sport» è il quotidiano più letto d'Italia. Storicamente, è

ritenuto il più autorevole tra i giornali sportivi. Dal 2006 in poi, ha cambiato

registro: una serie di titoli contro la Juventus rimasti storici (epica la

collezione di «Juve, così non si può!» ogni mezzo errore arbitrale in suo favore);

l'insistenza con la definizione dello scandalo mediante l'espressione «Moggiopoli»;

le prime pagine con cui si anticipavano le sentenze di condanna; il mitico «Ecco

come truccavamo i sorteggi» dopo la deposizione del segretario della Can

Manfredi Martino, che quindi, da testimone, voleva evidentemente diventare

imputato, autoaccusandosi così (basti rileggere il pensiero dei giudici sulle

ipotesi di sorteggi alterati, per capire l'attendibilità di questo titolo), e così via.

Poi è arrivata la relazione di Palazzi, e anche la Rosea non ha potuto esimersi

dal fare un titolo molto forte sul suo contenuto, auspicando la revoca dello

scudetto di cartone dalle maglie dell'Inter. A quel punto, però, è intervenuto

Moratti, per il quale «l'attacco a Facchetti è più grave dell'eventuale perdita

dello scudetto 2006». Palazzi, dunque, impeccabile nel 2006, ora non sta

giudicando le telefonate, ma vuole attaccare Facchetti. Bah. La parte più

divertente, tuttavia, deve ancora arrivare: «Non siamo abituati ad avere tanti

amici ma non mi aspettavo di non averne nemmeno a Milano, dove la stampa ci

attacca».

Dai, questa davvero non è male. Da quel giorno, in prima pagina, la «Ġazzetta

dello Sport» continuerà a far intendere che lo scudetto avrebbe dovuto essere

revocato, ma ospitando diverse interviste di Moratti (ricordate? se si accusano i

buoni, si dà loro la parola) e sancendo, già il 14luglio, che lo scudetto 2006 non

è revocabile. Dai, presidente, non sono proprio così nemici.

E così va quando capita di confrontarsi con i vari opinionisti nelle radio e nelle

televisioni che frequentiamo: i toni sono diversi, i contenuti sono diversi, gli

altri lo facevano per difendersi e comunque, dando per buono che fossero come

voi, rimanete colpevoli. L'approfondimento non va oltre, l'indignazione del 2006

per ogni piccola notizia emersa ha lasciato il posto alla noia perché ci sono ancora

degli scocciatori che vogliono parlare di questo argomento.

Ci sarebbero altre mille cose da raccontare, ma il campionato va avanti e

dobbiamo proseguire il racconto. Il finale sul tema va dedicato allora

all'incredibile video del «Corriere della Sera», che sul proprio sito, diverso tempo

dopo l'uscita delle motivazioni, cerca di andare in soccorso dei pm: «Esclusivo,

il video inedito del sorteggio arbitrale». La demolizione della tesi, operata

dalla sentenza di primo grado, ai pm non dev'essere andata giù, e allora il

«Corriere» dà grandissimo risalto a un video in cui non si capisce nulla tranne

che poi le palline le pescano i giornalisti, confermando dunque che il sorteggio

non è truccato. Nel servizio la giornalista incaricata legge parola per parola l'appello

dei pm, come se si trattasse di verità sconvolgenti e rivoluzionarie, quando si

tratta solo di un atto di parte, della solita parte che trova spazio su certi

media. Questa è l'esclusiva sbandierata a gran voce dal «Corriere della Sera» su

Calciopoli, diversi mesi dopo la sentenza di primo grado. Almeno ci siamo messi

l'anima in pace: anche per i prossimi gradi di giudizio, sappiamo già come saremo

informati.

Modificato da leo13

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Fantastico l'articolo di Zampini. Me l'ero perso.

Sempre grandissimo, preciso, tagliente ed ironico

Avesse lo stesso spazio dato a quel cialtrone di travaglio, molta gente sarebbe costretta a rivedere i proprio comodi pregiudizi.

Ma in itaglia conviene sempre abbracciare la causa antiJuventina.

Pseudo giornalisti e pseudo magistrati in primis

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Fantastico l'articolo di Zampini. Me l'ero perso.

Sempre grandissimo, preciso, tagliente ed ironico

Avesse lo stesso spazio dato a quel cialtrone di travaglio, molta gente sarebbe costretta a rivedere i proprio comodi pregiudizi.

Ma in itaglia conviene sempre abbracciare la causa antiJuventina.

Pseudo giornalisti e pseudo magistrati in primis

.quoto

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II personaggio Dalla Nunziatella al Comune, carriera (e strategie) di Attilio Auricchio

Giurò in aula di tifare Napoli

Chi è il plenipotenziario

di Palazzo San Giacomo

di GIANLUCA ABATE (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO - NAPOLI 21-11-2012)

ROMA — Ha smantellato le ’ndrine in Calabria. Ha chiuso le cliniche degli aborti clandestini nel Lazio. Ha svelato la corruzione di alcuni giudici in Campania. Epperò, per quella strana italica deriva pallonara, è diventato «famoso » solo quando s’è messo a indagare sul calcio malato, cioè su Luciano Moggi e la Juventus dei primati ai tempi di Calciopoli. E dire che Attilio Auricchio di record se ne intende. È stato l’unico pubblico ufficiale nella storia giudiziaria costretto a rivelare sotto giuramento davanti a un tribunale la sua passione calcistica («Tifo per il Napoli», disse ai giudici della nona sezione penale). E, da ieri, è anche l’uomo che cumula più cariche all’interno di un Comune: capo di gabinetto, direttore generale, comandante della polizia municipale, capo della cabina di regìa per la gestione del patrimonio immobiliare, delegato per le vicende relative alla Coppa America e ai grandi eventi. A voler trovare un caso che si avvicini, prima di lui solo l’attuale capo della Ragioneria generale Enzo Mossetti aveva concentrato un numero simile di cariche.

Attilio Auricchio—classe ’70, natali a Casoria, una moglie e tre figli a Roma, una passione per la storia di Napoli— alla prima linea è abituato. Scuola militare alla Nunziatella, Accademia militare aModena, laurea in Giurisprudenza, dal ’95 ha comandato per tre anni il nucleo operativo dei carabinieri di Catanzaro, prima di passare a Pomezia, Frascati e Roma. Scriveva di lui il comandante interregionale dei carabinieri in un encomio solenne: «Ha partecipato personalmente alla delicata attività investigativa con professionalità, spirito di sacrificio e determinazione organizzativa ». È per questo che lo vollero vicino a sé tanto Luigi de Magistris a Catanzaro (inchiesta Why Not) che Giuseppe Narducci a Napoli (Calciopoli). E, non certo per caso, Attilio Auricchio varcò la soglia del Comune di Napoli proprio con Luigi de Magistris sindaco e Giuseppe Narducci assessore.

Doveva essere solo il capo di gabinetto. Poi, però, ha iniziato a concentrare una carica dietro l’altra. Quando Narducci è andato via sbattendo la porta e s’è interrotto il rapporto con Luigi Sementa, è toccata a lui la delega alla polizia municipale. Così come è lui a dare l’indirizzo «politico» per le vicende relative all’America’s Cup e alle strategia da intraprendere quando cesserà il rapporto con Romeo. Ora che Silvana Riccio è andata via, è stato nominato anche direttore generale. Ed è diventato l’uomo più potente del Comune.

Proprio i motivi che hanno portato alla rottura tra il sindaco e l’ex dg di Palazzo San Giacomo, però, lasciano intuire che è su quest’ultima nomina che Attilio Auricchio si gioca la sua partita più importante. Perché, seppur prestato all’amministrazione, Auricchio resta un carabiniere (tenente colonnello in aspettativa con il placet del comandante dell’Arma, il generale Leonardo Gallitelli). Un uomo di legge. Così come donna di legge è Silvana Riccio, mandata via per non aver firmato il contratto delle maestre. Il prefetto che fu voluto da Luigi de Magistris «in base al curriculum » (si era occupata di contrasto della corruzione nella pubblica amministrazione) dice a questo giornale che così «ci rimette un modo di agire improntato alla legalità». E soprattutto spiega che «la volontà politica spesso va in contrasto con le norme amministrative ». Ecco perché, ora che deve decidere se firmare o meno quell’atto, Attilio Auricchio si gioca la sua partita più difficile. Se le regole sono quelle (non) scritte dal prefetto, che farà lui? Indosserà la maglietta del politico o vestirà la divisa del carabiniere?

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L’ex procuratore Lepore

«Pm che scrivono sulle indagini? Non lo approvo»

di TITTI BENEDUCE (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 25-11-2012)

NAPOLI — Giovandomenico Lepore, fino allo scorso dicembre procuratore di Napoli, è uno di quelli che non hanno apprezzato la decisione di Maresca di scrivere un libro su Zagaria. E, pur ribadendo la sua stima all'autore, chiarisce che cosa non lo convince.

Presidente, perché «L'ultimo bunker» non andava scritto?

«Premetto col dire che non ho ancora avuto la possibilità di leggerlo e mi baso su quanto mi è stato riferito da alcuni colleghi. Per i magistrati sta diventando una moda scrivere libri sulla loro attività: è una moda sbagliata ed è deontologicamente inopportuno. Diversa, ovviamente, la situazione di quanti scrivono romanzi gialli, come Gianrico Carofiglio, o si occupano di argomenti di carattere generale. Anche a me hanno chiesto di scrivere un libro: fino a quando ero in servizio mi sono guardato bene dal farlo; ora che sono in pensione, potrei ripensarci».

Le vicende raccontate da Maresca sono ormai cristallizzate, non si rischia nulla a farne oggetto di un libro. Non trova?

«Non tutto era già cristallizzato: c'era qualcosa di nuovo, come l'appunto sulla riunione interna».

Lei crede che questo sia l'unico motivo per il quale il libro ad alcuni non è piaciuto?

«Credo che abbia provocato malumori in Procura anche perché sembra che la cattura di Zagaria sia opera solo di Maresca. In realtà, e ci tengo a dirlo, quella cattura è stato il risultato di un lavoro corale, di uno sforzo comune che si è protratto per anni. Ciascuno ha fornito il proprio contributo e Federico Cafiero de Raho ha coordinato tutti in maniera magistrale. Abbiamo dovuto coinvolgere altre istituzioni, finanche l'Aeronautica militare: non è stato facile. Quella della squadra mobile era una pista, che poi si è rivelata vincente: ma ne seguivamo anche altre. La Guardia di Finanza, ricordo, pure è arrivata molto vicino al latitante».

Nel libro, comunque, vengono citati altri pm del pool e si dà atto del lavoro comune.

«Certo, ma la mia impressione è che i riflettori siano ora puntati su un solo magistrato mentre anche altri hanno dato molto alle indagini».

A suo avviso Maresca rischia un procedimento disciplinare?

«Non me la sentirei di escluderlo».

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ma il suo compagno di merende narduccio non ha pubblicato un libro su calciopoli?

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