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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
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Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
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06 08 2013 Galliani e il mercato stile Forza Italia IL DIRIGENTE MILANISTA CORTEGGIA LJAJIC E FA INFURIARE LA FIORENTINA MENTRE LE ITALIANE SI FANNO STRAPAZZARE NELLE AMICHEVOLI AGOSTANE E LA GIUSTIZIA SPORTIVA COLLEZIONA L’ENNESIMA FIGURACCIA OMERTÀ SOVRANA Il nostro pallone è la faccia malata di una società malata Sullo scandalo scommesse tutti sanno tutto e nessuno può parlare Stanotte a Miami si gioca un derby d’Italia un po’ scalcagnato: perché Juventus e Inter sono ancora in piena fase di preparazione, perché finora hanno fatto poco perdendo sempre, di misura o di goleada, perché come tutti i club sono in questo periodo in giro non per soldi ma per denaro, per portare a casa qualche incasso in più che rivitalizzi i conti spesso esausti dopo spese azzardate. Tra Juve, Milan, Napoli e Inter ho visto solo spezzoni di quest’ultima, troppo brutta contro il Valencia in un’amichevole alla moviola per essere vera e per corrispondere al duro Mazzarri. Sembrava piuttosto l’Inter d’album di figurine tra Moratti e Thohir… E comunque come già scritto il calcio agostano può dire poco, molto o tutto con lo stesso margine d’errore ovviamente per il discorso sui vari stadi di preparazione ma forse soprattutto perché molto più che nella “finestra di gennaio” (non è poesia, è la prosa del calciomercato invernale) adesso i giocatori non sono ancora sicuri di niente. A partire dai rischi di infortunio precoce e a finire con le antipatie del neotecnico di turno al quale magari hai rivolto un’occhiata in tralice mal assorbita. E del resto che si giochino assai più partite contemporaneamente fuori campo lo dimostra anche l’ultimo intrigo dell’estate, il “giallo Lijaic”, cromaticamente molto viola ma anche un po’rossonero. Qui si misura tutta l’abilità e la mancanza di scrupoli di un amministratore come Galliani, quasi sprecato per il Milan e maturo per Forza Italia, in un discorso da invertire per il suo datore di lavoro, che dopo aver fatto il colpaccio con Montolivo, preso un anno fa gratis a fine contratto, sta tentando il bis per qualche milione in più con il giovane serbo, pieno di classe e di Nutella. La meccanica è semplice: dovresti a rigore contattare prima il club d’apparte - nenza e solo dopo il suo benestare il calciatore. Galliani abitualmente fa l’opposto. Dove ha sbagliato (forse) questa volta? Che ha preso la Fiorentina e i Della Valle bros. per quelli di due anni fa, quando il club era in disarmo, nella confusione più totale, e la proprietà scazzatissima, incerta se vendere per acquistare un altro club, ad esempio la Roma dopo aver pensato pubblicitariamente al Colosseo. Adesso il Milan rischia una magra figura, è probabile che la Fiorentina possa permettersi persino il lusso di far scegliere a Liajic tra la cessione ad altro club magari all’estero e la tribuna fissa per un anno se non trovano un accordo di reciproca soddisfazione per allungare il contratto in scadenza, di certo ne esce rafforzata la credibilità del club che solo due anni fa sembrava dover piatire (con la “a”) in giro briciole dalle squadre più forti. DUNQUE questo calcio un po’ barzotto prova a distrarci con i gol estivi fatti e subiti, e con le cifre eclatanti che giungono dalla Spagna e dall’Inghilterra: Messi, per il quale il Barcellona chiede 580 milioni, Ronaldo, contratto prolungato dal Real a 50mila euro netti al giorno, Bale che il Tottenham pare non voler vendere al solito Real neppure per una cifra come 120 milioni, che certamente nessuno vale, neppure la freccia d’Albione nato terzino, riempiono discussioni e immaginario dei calciofili o calciomani. Invece come sempre quasi totalmente distratti nei confronti dell’ennesima imbarcata della giustizia sportiva di casa nostra. Lo vado scrivendo da una vita, l’ho rimarcato per Calciopoli, sette anni fa, quando il mio banale neologismo Moggiopoli (poi immediatamente rinominato) rischiava di far fraintendere l’insieme, sono tornato alla carica due estati fa quando riscoppiò macroscopicamente (all’apparenza…) lo scandalo delle scommesse. Detto con linearità: 1) Il calcio è una faccia malata di una società malata, ed è da un pezzo al di sotto di qualunque etica. Questo vuol dire che sono tutti d’accordo nel delinquere? No, solo qualcuno e per svariati motivi. Però vuol dire che tutti sanno tutto e se non sanno è perché non vogliono sapere: giocatori, tecnici, staff complessivi, dirigenti e naturalmente giornalisti, che a cena tra addetti ai lavori (livori) chiacchierano di scandali e poi scrivono di mammolette, “come se” fosse tutto a posto. Moggi era il più bravo a fare quello che tutti facevano, e ha pagato per tutti in un mondo in cui la giustizia sportiva collude con una realtà rimossa, eufemisticamente “elastica” in tutti i suoi aspetti; 2) Poiché la giustizia sportiva, sia nella sua veste accusatoria (il solito Palazzi della Procura federale che chiede 4 anni e 6 mesi per Mauri e 6 punti di penalizzazione per la Lazio, ad esempio) che in quella giudicante (in primo grado sei mesi a Mauri e un “salutame a sorata” da 40 mila euro di multa senza altre conseguenze alla Lazio di Lotito), dipende dal Palazzo non essendoci né Montesquieu né la divisione dei poteri, ergo il nocciolo duro di un calcio scandaloso sta lì, e non nel singolo per truffaldino che sia; 3) Il Procuratore capo di Cremona, Di Martino che ha indagato sul serio sulle scommesse accennando senza mezzi termini spesso alla putrefazione di questo mondo, non si capacita del fatto che tutto ciò che accerta finisca insabbiato nel Reame Rotondo. E grazie: in un ambiente in cui tutti perlomeno sanno tutto rischierebbero un secolo a testa per omessa denuncia. Per questo tacciono. È l’inverno della giustizia nell’omertà sovrana, bellezza, altro che il calcio estivo…
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In autunno il divorzio I fratelli Moratti separati in casa La Saras non produce più utili né dividendi, l’Inter divora soldi che non ci sono più e tratta con l’indonesiano Gian Marco e Massimo smontano la cassaforte di famiglia e si dividono il patrimonio creato dal papà Angelo di NINO SUNSERI (Libero 02-08-2013) La favola della grande famiglia brianzola è finita. Il decoro meneghino che ha sempre accompagnato i fratelli Massimo e Gian Marco Moratti appartiene al passato. Rompono il loro sodalizio di affari e, a questo punto, probabilmente anche di affetti. Verrà sciolta la Angelo Moratti Sapa, la cassaforte di famiglia cui fa capo il 50,02% della Saras, la raffineria alle porte di Cagliari che rappresenta il tesoro della dinastia. Le azioni della scatola verranno assegnate in forma paritetica ai due fratelli che a questo punto potranno decidere del loro futuro. È vero che alcuni legami restano come un patto di sindacato e l’obbligo, nel caso che uno dei due rami voglia vendere di offrire le quote al fratello. Ma si tratta di orpelli giuridici. La realtà è quella della rottura in famiglia. Per adesso separati in casa. Poi si arriverà al divorzio. Certo, per Saras, al momento non cambia nulla tant’è che il titolo non si è mosso in Borsa. Ma è solo una tregua. Che cosa è successo? Le note ufficiali non dicono molto. Allora giocano le indiscrezioni che parlano di crescenti divergenze fra due fratelli molto diversi. Gian Marco, riservato e silenzioso che insieme alla moglie Letizia sostiene finanziariamente la Comunità di San Patrignano e, vivo Muccioli, passava da quelle parti molto del tempo libero. Dall’altro Massimo, più vulcanico ed estroverso, marito di Milly, grande animatrice dei circoli ambientalisti milanesi e spesso in conflitto con la cognata sindaco. Ma ovviamente c’è di più. Per esempio la terza generazione che spinge per prendere il timone. A cominciare da Angelo Mario, più noto come Mao, figlio di Massimo che, quarantenne, vorrebbe prendere spazio in azienda. Deve, però, dare i conti con Gabriele, il cugino di 34 anni che tuttavia ha già qualche peccatuccio da farsi perdonare. Per esempio la condanna a una multa di 49mila euro per il “Bat appartamento” che aveva realizzato a Milano. Una ristrutturazione effettuata senza chiedere il permesso al Comune, nonostante il sindaco fosse mamma Letizia. Gelosie, conflitti, ripicche, come sempre accade nella grandi dinastie che perdono il collante di affari e affetti. E su questo fronte i problemi non mancano. A cominciare da quelli di Massimo che ha dovuto ristrutturare il debito della sua holding personale spossata dalle spese per sostenere l’Inter. Così si spiegano le trattative per cedere la squadra al magnate indonesiano Erick Thohir. E probabilmente nascono proprio da qui le difficoltà di tutto l’impero, tanto da aver fatto entrare con una quota del 21% il colosso russo Roseneft incassando 178 milioni. Il primo passo verso l’abdicazione. I Moratti però non avevano molte scelte. L’era delle vacche grasse, per i figli e i nipoti del capostipite Angelo, è finita da qualche anno. I numeri raccontano la parabola discendente meglio di tante parole. Nel maggio di sette anni fa - all’epoca della quotazione - la Saras era una sorta di gallina dalle uova d’oro. Macinava utili (259 milioni nel 2005) e i piccoli risparmiatori facevano la fila agli sportelli in banca per aggiudicarsi un po’ di azioni in occasione del collocamento. Un’operazione chiusa con il tutto esaurito (pari a nove miliardi di ordini, il quadruplo del quantitativo offerto) e con i Moratti pronti a raccogliere le uova d’oro: tradotto in vil denaro, gli 1, 65 miliardi che Massimo e Gian Marco si sono messi in tasca vendendo un po’ della loro quota. L’euforia è durata poco: nel giorno del debutto la Saras ha perso il 13%. E da allora ha continuato la sua lenta caduta, accompagnata da un’inchiesta, poi archiviata, della magistratura per falso in prospetto e aggiotaggio. I margini di raffinazione hanno iniziato a perdere colpi. La recessione ha fatto il resto. Risultato: il rosso di bilancio del 2012, lo stop triennale alle cedole e un titolo sprofondato da 6 euro a quota un euro. Soldi in cassa non ce ne sono quasi più. La Angelo Moratti Sapa, a secco di dividendi, non ha i soldi né per sostenere la Saras né per remunerare gli azionisti (la terza generazione della dinastia). A questo punto non restava che il divorzio.
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Bravi ragazzi… -
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Intanto l'indagine da Napoli si allarga a Spagna e Argentina di CLAUDIO PAPPAIANNI (l'Espresso | 11 luglio 2013) È nata dall'analisi di rischio di alcune operazioni di mercato del Napoli di Aurelio De Laurentiis la nuova inchiesta "Calcio Malato" che oggi fa tremare molti club. Il pool coordinato dal procuratore Giovanni Melillo è partito dal contratto di Ezequiel Lavezzi, attaccante argentino che ha fatto sognare la tifoseria azzurra prima di essere venduto al Paris Saint-Germain. Il suo procuratore, Alejandro Mazzoni, indagato insieme con Alessandro Moggi e Leo Rodriguez, mette lo zampino anche in operazioni di mercato del Napoli che, in apparenza, non lo riguardano. Come gli acquisti dei difensori, sempre argentini, Fideleff e Fernandez. Nell'estate del 2011, porta alla corte di Mazzarri anche Cristian Chavez, un carneade della sua scuderia che andrà in campo solo due volte prima di tornare in patria in prestito. Un milione di euro il costo del suo cartellino di cui metà al San Lorenzo, l'altra metà a investitori privati. Secondo gli investigatori, è stata solo un'operazione per creare provviste all'estero per l'agente e il suo assistito principale. Il meccanismo è utilizzato anche da altri manager coinvolti. Finora sono in tutto 12 tra italiani e argentini, anche se il numero è destinato a crescere. L'indagine si è allargata alle procure di Spagna e Argentina. Sotto la lente d'ingrandimento sono finiti pure i contratti che legano gli agenti dei calciatori alle società che acquistano i loro assistiti. A pagare l'intermediazione non è l'atleta ma il club, attraverso contratti di consulenza per operazioni di scouting spesso inesistenti. Così, alcuni procuratori guadagnano più dei loro atleti. Alla fine, conviene ai calciatori che prendono più soldi senza pagare tasse, agli agenti, alle società che scaricano quei costi. A tutti, tranne che all'Erario che oggi incassa 1,1 miliardi all'anno dal calcio. E oltre all'evasione un mare di nero di STEFANO LIVADIOTTI (l'Espresso | 11 luglio 2013) «È colpa anche dell'evasione fiscale se in Italia la crisi si fa sentire più che altrove: i 180 miliardi nascosti ogni anno al fisco rappresentano un'enormità. Ma non sono tutto: le stime sul sommerso in generale, che non tengono conto del giro d'affari della criminalità organizzata, arrivavano già nel 2008 a quota 255-275 miliardi». Per Luigi Zanda, presidente dei senatori del Pd, la ripresa economica è legata alla sconfitta di evasione, corruzione e mafia. Senatore Zanda, come si sta muovendo questo governo? «Enrico Letta governa con intelligenza. Ma bisogna convincersi di un fatto: non si tratta di una partita privata della Guardia di finanza o dell'Agenzia delle entrate, che peraltro si stanno muovendo bene. È lo Stato nel suo complesso che deve rappresentare un fronte unito in questa vera caccia al tesoro. Le forze dell'ordine devono vigilare e la giustizia, anche e soprattutto penale, seguire il suo corso. In questo momento ogni indulgenza sull'evasione fiscale sarebbe imperdonabile: un tradimento. Ci vuole la massima severità. E se si fanno più controlli i cittadini dovrebbero essere contenti» Finora però i risultati sono stati piuttosto modesti... «Non si può certo sperare di risolvere il problema in due mesi. L'evasione in Italia è un costume. Negli ultimi venti anni il centro-destra ha adottato una politica premiale all'inverso, basata sui condoni. I cittadini sono stati diseducati al rispetto della legge. Per questo ora c'è da fare un lavoro enorme. A partire dall'educazione civica nelle scuole». In concreto? «Bisogna rendere tracciabili tutti i movimenti di denaro e in questo senso l'anagrafe dei conti correnti rappresenta una novità importante. E nel contempo limitare l'utilizzo del contante alle sole piccole spese personali. Gli strumenti ci sono; oggi è più che mai necessario utilizzarli al meglio. L'incrocio tra le banche dati dovrebbe rendere molto difficile l'evasione. Almeno quella non organizzata su base criminale. Ma recuperare gettito, pur se fondamentale, non è sufficiente. È il momento di rendere più trasparente la spesa pubblica. Così si toglierebbe ogni alibi a chi non fa il proprio dovere con il fisco tirando in ballo gli sperperi dello Stato». Ma c'è in questa maggioranza la volontà politica di combattere l'evasione, mettendo così a rischio un consenso misurato in una decina di milioni di voti? «Questa teoria non mi convince. Nel Paese gli evasori sono comunque una minoranza. Sono convinto che chi riuscisse a ottenere risultati significativi nella lotta all'evasione, recuperando quattrini per la crescita, alla fine verrebbe premiato anche dal punto di vista elettorale». -
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Potrebbero anche assegnarla direttamente alla Lazio ed organizzare un concerto per quell'occasione -
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Napalissiano: se non è pronta, è valida quella dello scorso anno -
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