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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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dalla Borsa

II numero 1 bianconero prende 490 mila euro Lotito gratis, e quel milione per Dibenedetto...

CARLO LAUDISA - Gasport -6-10-2012

MILANO Nell'anno-scudetto Andrea Agnelli ha portato a casa 490 mila euro lordi, mentre Claudio Lotito è rimasto a zero. Nel leggere i bilanci della stagione 2011-12 colpisce che il presidente della Juventus abbia percepito uno stipendio, mentre quello della Lazio abbia scelto una linea d'austerity. Il bello è che nessuno dei sette amministratori laziali, a partire dal patron Lotito, può contare su emolumenti.

Il caso-Roma Curiosa, invece, la situazione nell'altro club della Capitale. Il presidente uscente Thomas Dibenedetto aveva uno stipendio di un milione 280 mila euro lordi, ma l'assegnazione è rimasta virtuale perché il cda giallorosso non l'ha mai ratificata. E già in primavera l'uomo di Pallotta era stato esautorato. In compenso l'a.d. Claudio Fenucci, il d.g. Franco Baldini e il d.s. Walter Sabatini sono remunerati con 600 mila euro netti a testa. Tornando alla Juventus, il numero uno Andrea Agnelli percepisce una retribuzione che al netto gli permette di guadagnare circa 250 mila euro netti e dispone di due auto aziendali. Ma è anche vero che questa è la sua principale attività manageriale e la proprietà del club, in definitiva, è della Exor: quindi dell'intera famiglia Agnelli. E comunque il numero uno bianconero guadagna all'incirca quanto il preparatore dei portiere Claudio Filippi, ora a 200 mila euro netti, mentre Massimo Carrera è a quota 140.

Conti bianconeri - Da segnalare anche i cachet dell'amministra-tore delegato Aldo Mazzia (circa 390 mila euro lordi), del consigliere Pavel Nedved (200 mila euro lordi) e soprattutto dell' altro amministratore delegato e direttore generale dell'area sportiva, Beppe Marotta, che nello scorso esercizio ha incassato circa 1,4 milioni netti di euro per entrambi gli incarichi. Nel 2011 il club di corso Galileo Ferraris è ricorso a una ricapitalizzazione da 120 milioni, ma ha dimezzato le perdite, riducendo il rosso di 48,6 milioni di euro. Infine la Lazio ha chiuso il bilancio con un piccolo utile (580 mila euro). La cautela sulle buste-paga del management di Lotito è dovuta anche ai 66 milioni di debiti residui verso il Fisco, oggetto di un richiamo anche dagli stessi revisori.

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RIPARTENZE di LUIGI GARLANDO (SPORTWEEK 06-10-2012)

CONTE, ADESSO

PARLI (DI CALCIO)

CLAUDIO FILIPPI: Antonio ha piacere che ci alterniamo a raccontare

Che il calcio sia soprattutto un gioco, ce lo ricordano gli atteggiamenti infantili dei protagonisti. Per esempio, quello di colpire indirettamente un avversario sgradito negando la propria presenza. Espediente caro a José Mourinho, che ama farsi rappresentare in conferenza stampa da un suo collaboratore con l’intento di declassare a distanza l’allenatore nemico, grazie alla proprietà transitiva: tu parli alla conferenza stampa del mio secondo, quindi tu sei un secondo.

L’espediente risale in origine all’incazzatura del bambino che raccoglie il pallone sotto braccio e lascia l’oratorio: «E io non gioco più!». Nella reinterpretazione strategica dello Speciale, l’allenatore tuona: «E io non parlo più!». Anche Antonio Conte, tecnico della Juventus e grande estimatore di Mou, è ricorso allo stratagemma. In occasione del recente Juve-Roma, ha esasperato la proprietà transitiva spedendo a parlare il collaboratore Claudio Filippi e riducendo di fatto l’odiato Zeman a preparatore dei portieri. Neppure secondo: terzo! In genere, Conte si fa rappresentare in conferenza dal suo vice, Massimo Carrera, in segno di rispetto per l’aiutante che lo sostituisce in panchina, ma soprattutto per esprimere attraverso l’assenza e il silenzio tutto il suo dissenso per la squalifica subita. Perché nessun regolamento gli vieterebbe di parlare a Vinovo alla vigilia di una partita. Un consiglio: Antonio, lo faccia. Magari non sempre. Lasci pure un po’ di ribalta al fido Carrera, se crede, ma ogni tanto torni a farsi ascoltare.

Perché la squadra può ricevere impulsi importanti anche dalle parole pubbliche del suo allenatore. Perché il popolo juventino ha diritto di ascoltare la sua guida tecnica. Perché la Juve, che lei ha creato bella e vincente, continua a esserlo e quindi è suo diritto associare la sua immagine a quella della squadra. Perché, a prescindere da responsabilità e sentenze, l’inchiesta scommesse le ha intossicato la vita e tornare a parlare serenamente di pallone potrebbe essere un modo per depurarsi e scaricare stress.

Perché la sua ultima conferenza pubblica, quella contro il “giudice tifoso”, è stata livida di sentimenti e di toni e merita di essere ricoperta da una chiacchierata da vigilia, che magari lasci margini per scherzare, come quella volta sui parrucchini viola. Perché la squalifica prima o poi finirà e parlare ogni tanto a Vinovo, nell’attesa, è un modo, come dire, per conservare il tono muscolare. Perché gliene sarebbe grato il fido Carrera che soffre più davanti al microfono che un tempo davanti a Van Basten. Perché una presenza conta sempre più di un’assenza. E perché farsi rappresentare dalla propria faccia è sempre meglio che farsi rappresentare dalla faccia degli altri.

Modificato da Ghost Dog

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Conte, la Juve: storia di una disonorevole vittoria

Mensurati-Foschini - Lo Zingaro e lo Scarafaggio - 6-10-2012

Facciamo un po’ di chiarezza. La lieve pena inflitta – in barba ad ogni precedente – ad Antonio Conte dal Tnas sta facendo passare la sentenza di venerdì come una mezza assoluzione.

Ovviamente non è così.

A voler prendere sul serio quella decisione – e purtroppo, almeno in teoria, dovremmo essere costretti a farlo – non si può infatti non osservare come Conte e la Juventus escano devastati dalla vicenda calcioscommesse.

Conte da oggi è ufficialmente un omertoso. Definito così da una sentenza passata in giudicato. Incontestabile. Non è un uomo di sport, tanto meno un campione, men che mai un ginnasiarca. Ma soltanto un omertoso: uno sportivo (sportivo?) che, pur sapendo che i suoi ragazzi - del cui comportamento aveva piena responsabilità, sportiva ed etica – si stavano vendendo una partita, pur avendone le prove, non ha detto nulla, non li ha rimproverati, non li ha fermati, non li ha denunciati. Si è messo i propri doveri sotto le scarpe e si è girato dall’altra parte, come farebbe uno di quei complici silenziosi che a Gela o Milano di fronte a un delitto si girano dall’altra parte provocando lo sdegno dei ben pensanti.

Dall’arbitrato di venerdì, Conte è descritto come uno che lascia fare, tacendo. Un soggetto di certo non degno di sedere sulla panchina gloriosa della Juventus, la squadra più amata, più importante d’Italia. Che da oggi è dunque ufficialmente disonorata, trovandosi come allenatore un uomo condannato per un reato sportivo tanto odioso.

Questo e non altro dice la sentenza emessa dal Coni.

Ecco. Forse vale la pena di partire da qui. Da questo esito tanto sciagurato. Qualcuno di voi, lettori tifosi juventini ma anche non juventini, qualcuno di voi persone normali, normalmente istruite e in buona fede, pensa davvero che le prove a carico di Conte – per come sono state sviluppate e analizzate, per come sono state raccolte e discusse durante il processo – legittimino un esito così disastroso? Non vi stiamo chiedendo se ritenete giusta o no la sentenza. Vi stiamo chiedendo se – dopo aver seguito sui vari organi di informazione tute le fasi del processo – pensate onestamente che ci sia qualcuno in Italia che possa dire di avere in mano un quadro sufficientemente chiaro per esprimere un’opinione fondata. Non diciamo una sentenza, ma una semplice, maledetta, opinione fondata.

Noi pensiamo di no. Anzi, ne siamo certi. Spappolato a piacimento dal procuratore (per mancanza di prove) Palazzi, ipocritamente parcellizzato, sminchiato in ogni fase, il processo è stata una vergognosa presa in giro. E il suo esito, tanto doloroso (Conte nel fango e Juve disonorata) quanto infondato, ne è la perfetta conclusione.

Epperò, alla fine del tunnel, stavolta, abbiamo intravisto un filo di luce. Noi abbiamo scritto un libro. Si intitola lo Zingaro e lo scarafaggio. Non ce lo nascondiamo: il nostro scopo sin da quando abbiamo cominciato a scriverne la prima pagina era quello di mandare a casa Abete e tutti i burocrati centenari che stanno devastando il pallone. In questo libro abbiamo parlato – sia pure in chiave romanzesca – delle responsabilità di tutti: della Roma degli anni 2000, dell’allenatore del Milan Allegri e del suo ruolo nella prima grande partita venduta della nuova era, della Lazio, dell’Inter, e di Conte. Ma abbiamo parlato soprattutto delle responsabilità della Federcalcio. Invocando l’intervento forte e alto di chi il calcio lo ama e di chi nel calcio investe.

Bene. La conduzione così sciagurata del delicatissimo processo a Conte ha fatto sì che in molti si siano accorti dell’emergenza in cui versa il calcio italiano (la stessa che abbiamo raccontato nel libro). E ha portato Andrea Agnelli ad assumere una posizione che condividiamo dalla prima all’ultima riga. Potremmo definirlo il primo manifesto per la liberazione del calcio. Nella lettera agli azionisti della Juve, ha indicato le priorità parlando “delle riforme del sistema del calcio professionistico italiano ed europeo”, considerate “assolutamente imprescindibili”. Ha parlato di un problema di “governance a livello di Lega di Serie A e a livello di Federazione Italiana Giuoco Calcio, di tutela rigorosa dei marchi, di costruzione o recupero degli impianti sportivi, di riforma dei campionati e del calcio giovanile, di legge sul professionismo sportivo e, infine, di giustizia sportiva efficace e in grado di tutelare realmente sia chi investe nel calcio sia i valori inderogabili dello sport”. Ecco.

Se la demenziale conduzione (e il demenziale esito) del processo Conte porterà l’intero movimento calcistico a serrare le fila dietro un programma del genere, allora, almeno, a qualcosa tanta vergogna sarà servita.

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E c'era bisogno di arrivare a tanto, colpire Conte e di riflesso la Juve? E tutto ciò pur di salvare le chiappe ad Abete e Palazzi prone alla volontà di qualche mandante? Ormai tutti hanno capito che si è trattato di una farsa, che sono stati coinvolti in tanti, oltre Conte, le cui responsabilità non sono mai state acclarate ma solo affermate da una giustizia sportiva che ci sta rendendo ridicoli agli occhi del mondo, che emana sentenze politiche pur di sopravvivere a se stessa. Questo è decadimento dell'Italia calcistica, si affossa un movimento pur di salvare qualcuno e poco importa chi ci va di mezzo. Questa è la vera vergogna.

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E c'era bisogno di arrivare a tanto, colpire Conte e di riflesso la Juve? E tutto ciò pur di salvare le chiappe ad Abete e Palazzi prone alla volontà di qualche mandante? Ormai tutti hanno capito che si è trattato di una farsa, che sono stati coinvolti in tanti, oltre Conte, le cui responsabilità non sono mai state acclarate ma solo affermate da una giustizia sportiva che ci sta rendendo ridicoli agli occhi del mondo, che emana sentenze politiche pur di sopravvivere a se stessa. Questo è decadimento dell'Italia calcistica, si affossa un movimento pur di salvare qualcuno e poco importa chi ci va di mezzo. Questa è la vera vergogna.

Si, c'era bisogno.

E non solo per salvare le chiappe di abete, petrucci, palazzi e tutta la combriccola.

Ma anche per dare fiato alle trombe, anzi ai tromboni dei cosiddetti giornalisti.

Non ci sono solo la figc, il coni e i suoi relativi presidenti. C'è tutto l'indotto dei media che è arrivato ai livelli minimi e che in questa vicenda Conte e Juve ci hanno guazzato e, molto spesso, delirato.

Per esempio, che cosa avrebbe potuto scrivere questo garlando di sportweek se non avesse avuto la possibilità di sparlare di Conte?

Hai letto, o almeno dato uno sguardo, agli ultimi articoli di questo topic? Quante cazzate? E quante malignità gratuite?

E pensare che si dicono giornalisti sportivi e dovrebbero parlare di sport!

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Joined: 22-Apr-2007
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Fonte:GDS

JUVENTUS / CALCIO Progetto Conte: da Mister a Manager

L’iter della giustizia sportiva ha sfiancato e deluso la Juventus tutta. Ma in corso Galileo Ferraris hanno già metabolizzato la sentenza del Tnas, e guardano avanti. A livello politico, Agnelli e i suoi saranno in

testa al gruppo di chi pretende una rivisitazione totale del sistema (obiettivamente necessaria). Sul piano tecnico-sportivo, ecco poi il Progetto Continassa (straordinario Polo Juventus, adiacente allo stadio, da oltre 41 milioni di investimento) e soprattutto il «Progetto

Conte». Già, perché società e tecnico escono ancora più uniti dopo la bufera estiva e la parola fine messa dal Tribunale nazionale di arbitrato dello sport. Agnelli potrebbe presto spingere sull’acceleratore per dare concretezza a una sua vecchia convinzione: «In Conte vedo il nostro Ferguson». L’idea è quella di «blindare» a lungo il Mou

italiano, coinvolgendolo in un progetto tecnico più ampio, con un ruolo attivo a livello di mercato, in piena collaborazione naturalmente con l’attuale struttura gestita e organizzata da Beppe Marotta, sempre più saldo amministratore delegato dell’era Agnelli. Conte ha oggi un contratto fino al 2015, a gennaio potrebbe essergli proposto

un prolungamento di altri tre anni: unmodo, probabilmente, anche per scoraggiare i più grandi club europei (Real Madrid in primis), che da qualche tempo stanno osservando con grande attenzione il lavoro

del salentino.

La stima di Agnelli All’interno del lungo comunicato che Andrea Agnelli ha affidato venerdì sera al sito ufficiale bianconero, non va sottovalutato il capoverso dedicato al Conte professionista: «La Juventus aspetta il suo allenatore finalmente in panchina, dove il suo talento riesce ad esprimersi pienamente, proseguendo il lavoro che

quotidianamente sta garantendo, con abnegazione e dedizione

alla Squadra». Il presidente è rimasto colpito dacomeAntonio abbia sempre saputo tenere sotto controllo la situazione tecnica: gruppo solido, compatto, vincente, il tutto facendo squadra vera con l’a.d.Marotta e il d.s. Paratici, pure loro pronti fra l’altro a firmare un rinnovo significativo. Non solo, in tutti questi mesi presidente e

tecnico hanno imparato a conoscersi anche umanamente, fuori dal campo, ritrovandosi in molti di quei principi che portano poi alla costruzione di amicizie importanti.

Salto nel futuro Insomma, in casa Juve è allo studio un ulteriore salto nel futuro rispetto all’ormai decrepito pianeta calcio italiano. E dopo lo stadio di proprietà e il progetto di una vera e propria cittadella bianconera, sembra davvero arrivata l’ora di rinfrescare anche la figura del tecnico, avvicinando sempre più il modello inglese.

Comedire: le «bandiere» si spostano dal campo alla panchina e l’allenatore diventa parte integrante del club, rendendolo di conseguenza assolutamente invulnerabile anche di fronte agli eventuali capricci dello spogliatoio.

Stress da squalifica Il rischio più alto della squalifica, tra l’altro, era proprio la gestione di un gruppo che poteva avere dei dubbi sulla stabilità del «palazzo ». Gli spifferi estivi alimentati ad arte anche da qualcuno vicino alla Juve, erano stati vissuti daConte comeuna pugnalata. E allora ha affrontato la questione di petto, pretendendo

chiarezza sulle linee guida della società nei suoi confronti. Le ha avute con le pubbliche dichiarazioni di Andrea Agnelle e, forse ancora più importante, di John Elkann. Da quel momento le acque si sono calmate e il tecnico si è concentrato sulla squadra, curando ogni dettaglio per sopperire alla assenza durante le partite. Un lavoro duro e stressante, ma che ha portato la Juve in testa alla classifica. In Champions la salita è più dura, ma l’allenatore è convinto che la squadra nel momento decisivo saprà accelerare raggiungendo la qualificazione. I prossimi due mesi saranno i più duri: i 90’ vissuti sul campo erano anche una valvola di sfogo, un modo per scaricare le tossine della settimana e far sentire ai giocatori la sua presenza. Ora

invece è costretto a sistemarsi in un box, alimentando la rabbia per quella che considera una grande ingiustizia. La scelta di non parlare fino al 9 dicembre nasce da qui. Nel frattempo le uniche isole in grado

di ridargli serenità sono gli amici e la famiglia.Dopo la sentenza è stato a cena con loro per cercare di stemperare la delusione. Nessun sorriso e un pensiero fisso: «Mi hanno accostato permesi al calcioscommesse quando io non so nemmeno di che cosa si stia parlando. Vabbé, meglio concentrarsi sul Siena ». La Juve anche per questo sta pensando di blindarlo.

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Sport e crimine

Nel libro «Football clan» l’atto d’accusa del

magistrato Cantone e del giornalista Di Feo

I boss e il fascino del calcio

tra affari e scommesse

Da Maradona a Balotelli, un saggio-inchiesta

di MARCO IMARISIO (CorSera 07-10-2012)

Nessuno ha voglia di sentirsi dire che la propria fidanzata è donna di facili costumi. Data la premessa d'obbligo, ne consegue che Football clan è opera coraggiosa in quanto potenzialmente indigesta, soprattutto ai tifosi con il paraocchi incorporato.

La fidanzata in questione è sua maestà il calcio, il Grande monopolizzatore delle nostre serate. Il libro di Raffaele Cantone e Gianluca Di Feo parla in buona sostanza dei rapporti tra mafia e pallone. Ma non è solo un garbato atto d'accusa a un sistema così indulgente con se stesso da chiudere sempre gli occhi davanti a contaminazioni sempre più evidenti. È anche una sorta di breviario, la storia di un fenomeno da non sottovalutare ricostruita con il gusto dell'aneddoto.

Football clan identifica il momento in cui cominciò la fascinazione della malavita per lo sport con gli atroci Mondiali del 1978 nell'Argentina dei generali. Dedica un lungo capitolo alla fenomenologia di Diego Armando Maradona, il campione che ha sdoganato l'abbraccio con la malavita. Si infila nella leggerezza incosciente degli idoli di oggi, dalla visita di Mario Balotelli a Scampia sotto braccio a personaggi che manco a Medellín, passando per le disinvolte amicizie di Fabio Cannavaro fino ad arrivare alla passione collettiva dei nostri eroi per le scommesse sportive. C'è ampio spazio per spregiudicate avventure imprenditoriali con capitali di dubbia provenienza, come quella tentata dal compianto Giorgio Chinaglia per riprendersi la sua Lazio, o l'incredibile scalata alla Roma e al Bologna da parte di fantomatiche cordate che facevano capo a Vinicio Fioranelli. La bozza di accordo per l'acquisto del club rossoblu comportava una clausola che trasudava dirittura morale: «Se il contratto non viene concluso, le pagine devono essere distrutte».

Ma è dalla periferia che si ha la visuale migliore sull'impero. Non ci sono soltanto nomi famosi in queste pagine, ma anche sconosciuti campi di provincia, storie minime che diventano esemplari. Sono i capitoli più belli del libro perché restituiscono la fragilità di un mondo e di chi lo abita, spiegano al meglio il fascino esercitato sulle mafie dal calcio, una terra promessa di ricchezza e potere. Nel nome della quale si può truffare, rubare, uccidere.

L'ultimo ingaggio del «Pampa» Sosa, vecchio attaccante finito in una Sanremese gestita da un clan di 'ndrangheta, comincia con toni surreali alla Osvaldo Soriano per virare all'improvviso in tragedia, e da sola varrebbe il libro. La promozione in serie C del Crotone, comprata dai rivali del Locri in cambio di una fornitura di bazooka e kalashnikov, il sistemone inventato dalla camorra di Castellamare di Stabia: davanti a queste realtà, chi ha bisogno della fantasia?

Football clan ha il grande merito di non essere un libro scritto con il ditino alzato, ma con spirito costruttivo. Cantone e Di Feo, magistrato che tanti arresti addusse ai Casalesi il primo, giornalista nato al Corriere della Sera e attuale caporedattore a L'Espresso il secondo, sono entrambi innamorati della legalità e del calcio. La bella idea iniziale avrebbe potuto condurli nella sociologia e nel moralismo pesante. Loro invece si sono limitati a raccontare storie così vere da sembrare incredibili.

Hanno scelto la via leggera, costruendo un saggio che sembra un romanzo. E in questo modo sono riusciti a lanciare un credibile allarme su un sistema dagli anticorpi deboli, ma ancora in grado di svilupparli.

Il brano

«Un decalogo per salvare lo sport malato»

Ecco un brano del libro «Football clan» che denuncia anche le falle dei sistemi di controllo e di sanzione della giustizia sportiva.

Specchio Mai come adesso il calcio è lo specchio, nemmeno troppo deformante, dell’Italia

Il calcio è uno specchio, nemmeno troppo deformante, della società: mai come nell'Italia di oggi questa metafora appare fondata. Anche nel mondo del pallone si sono accantonati sprechi e follie per inaugurare un'improvvisa stagione di rigore, che ha messo impietosamente a nudo i gravi problemi strutturali del settore. La crisi economica del Paese si riflette pienamente nell'austerity del calciomercato, in cui si compiono scelte al ribasso e si assiste inermi alla fuga di talenti internazionali e di speranze nazionali. La famiglia Moratti, dopo un decennio di spese illimitate, è passata da un allenatore divo come il «number one» Mourinho, che aveva conquistato il triplete e reso l'Europa neroazzurra, alla regia di Andrea Stramaccioni, un coach poco più che trentenne che si è imposto nei trofei giovanili. Persino Silvio Berlusconi si è preoccupato solo di fare cassa: il Milan ha venduto gli atleti migliori, lasciando ai tifosi delusi soltanto il miraggio del ritorno di Kakà, un campione del passato che a Madrid ormai è una riserva. L'unica nota positiva, che forse potrebbe essere di ispirazione per altri ambiti della vita del Paese, è l'inaspettata apertura di spazi per una leva di giovanissimi tenuta finora ai margini delle grandi competizioni. La star dell'estate 2012 è stato il ventenne Mattia Destro, attaccante di sicuro valore acquistato dalla Roma, che un anno prima aveva a stento ottenuto un ingaggio a doppia cifra in provincia. Molti, soprattutto i non appassionati, potrebbero gioire per questa spending review che livella le panchine e falcia stipendi da favola. In realtà quanto sta accadendo nella Serie A non è soltanto frutto della situazione economica internazionale. Lo si deduce, per esempio, dal confronto con nazioni come la Spagna, dove a uno scenario finanziario addirittura peggiore del nostro, con il governo costretto a tagliare le tredicesime dei dipendenti pubblici, non corrisponde un impoverimento dello spettacolo. Il che fa capire quanto il nostro calcio sia impietoso nel mostrare i difetti dell'intero Paese. Il sistema fatica a fare impresa, ha conti disastrati, non ha più risorse da impegnare e non attira gli investimenti stranieri. Mentre il football europeo continua a richiamare i capitali di magnati arabi, russi, asiatici e americani, quello italiano resta tagliato fuori dai vantaggi della globalizzazione. A incombere sul nostro football ci sono innumerevoli problemi e non abbiamo certo la presunzione – né la competenza – di individuarli tutti. Concentreremo pertanto la nostra attenzione, come abbiamo fatto nelle pagine di questo libro, sul ruolo giocato nel calcio dalla criminalità organizzata. Le mafie sono ormai attive nella società civile e in tutta l'imprenditoria italiana, ma bisogna impedire che la crisi economica gli offra l'occasione per consolidare la presenza nello sport. E proveremo a ragionare su possibili soluzioni a una serie di questioni che ci appaiono cruciali, offrendo spunti di riflessione che attingono all'esperienza e vanno letti alla luce del presupposto che una riforma migliorativa della governance del sistema calcio potrebbe avere effetti benefici anche per la prevenzione delle infiltrazioni criminali.

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LE STORIE Un modo nuovo di raccontare lo sport e di fare televisione. Un po’ da artista, un po’ da giornalista, con i tempi del cabaret e con la penna dell’uomo di cultura. A trent’anni dalla morte del cronista della Rai sono molti coloro che tentano di imitarlo senza averne la classe e la scanzonata capacità di non prendersi sul serio.

Beppe Viola e quelli che...

il calcio è come uno sketch

Padre di quattro figlie, amico fraterno di Jannacci, col quale ha scritto film e canzoni. Condivideva con lui la creatività di Cochi e Renato, Boldi, Villaggio e dell’ancora giovane Abatantuono, figlio della guardarobiera del Derby: il locale delle loro imprese, col nome come una partita

di MASSIMILIANO CASTELLANI (Avvenire 07-10-2012)

Quelli che… in una sera grigia di una domenica fine anni ’70 vennero folgorati dal video. Una visione: la faccia simpatica di un fratellone scaltro che parlava di calcio come un Voltaire, invitando l’ironia a sprizzare e l’intelligenza a sorridere. Avvolta in una nuvola di fumo di sigarette, stava lì in primo piano la sagoma solida e scanzonata di Beppe Viola che da stravaccato, nel salotto comodo della Domenica Sportiva, zoommando di ampex, ciondolone nel loden scuro, saliva su un tram di quelli belli e sferraglianti di una Milano non ancora svenduta e bevuta fino all’orlo. Vigilia di un derby meneghino (lontano anni luce da quello odierno degli infidi pseudogiornalisti-ultrà e degli scienziati del pallone), il Beppe passava all’attacco. Intervista esclusiva, mai vista prima su questi schermi, all’abatino Rivera: trattamento come il portiere, sì, ma del condominio di via Lomellina. Il cortile delle prime partite in scarp de tenis con il fratellastro Enzo, Jannacci. Un servizio spiazzante (aperto da: «Nessuno si occupa di quelli che prendono il tram», Jannacci dixit) quanto un rigore del Golden Boy: televisione avanti di vent’anni. Saggi originali, replicati fino all’ultima domenica che Viola rimase su questa terra, perché il più artistico e irregolare dei narratori del calcio in tv non poteva che andarsene, per sempre, nel giorno consacrato al dio pallone. Calcio e spettacolo che si ritrovano anche negli scritti sparsi (in libri ormai introvabili come L’incompiuter), molto corsari. Pigiando tasti di brutto su una Olivetti compose per Il Giorno, per il mitico Linus su convocazione di Oreste del Buono, per l’Uomo Vogue e tutta quell’editoria di serie B che a lui però, padre di quattro figlie, serviva a tirare su la «rebonza» (il malloppo), a fare «markettificio», per non andare a «babbo morto» (a credito) alla fine del mese. Partendo dalla strada e ascoltando la gente di quartiere, aveva rielaborato una grammatica da Romanzo Popolare. Già come Quelli che…, il film con Tognazzi e la Muti l’aveva scritto il Beppe, a quattro mani con Jannacci. E a Monicelli in regia, oltre alla sceneggiatura, gli era piaciuta anche la bella faccia di Viola, volto giusto per il ruolo del bigliettaio del cinema di periferia. Ci avrebbe riprovato, «lupus in sciambola», proprio con Tognazzi in Cattivi pensieri. «Successo di critica, pubblico zero… Transit», come avrebbe detto scippando l’idiomatica al tizio curioso di piazza Adigrat. Viola è stato un impareggiabile registratore di tic e vezzi umani e aveva anticipato, con classe, la dissacrazione del mondo pallonaro, poi ereditata dai nipotini della Gialappa’s e dai cuginetti di Fabio Fazio.

Annotava divertito gli svarioni dei mutandieri della domenica, come quel capitano di una nazionale che a un party gli offrono un bicchiere di champagne e lui risponde serioso: «No grazie, sono analcolico». Se Gianni Brera è stato un Gadda prestato allo sport, Beppe Viola era un Bianciardi olimpico che nei suoi pezzi (televisivi e giornalistici), mischiando storia, musica, costume, cultura alta e bassa, miscelava ferocismi letterari alla Longanesi, umorismo alla Marchesi e colpi di tacco alla Flaiano. Battutista insuperabile certo, anche se la battuta che più invidiava era quella del tennista prediletto: «Sarei disposto ad accettare di avere 37 e 2 di febbre per tutta la vita, in cambio della seconda palla del servizio di Mc Enroe». Con uno così in redazione era facile, era bello lavorare, scrive in Ho dato l’anima, il suo figlioccio Giorgio Terruzzi. E il Beppe ci metteva tutta l’anima nel mestiere.

Prima del derby e dell’ippodromo di San Siro, popolato di «clanda» (bookmaker non ufficiale) alla Oscar e scommettitori incalliti alla Ricky Albertosi, veniva il Derby, il laboratorio teatrale dell’allegra brigata degli artisti e dei soci della ditta fisiognomica “Ufficio Facce” («Quello ha la faccia da milanista! Accettasi scommesse») che aveva la sua succursale al bar Gattullo, in Porta Ludovica. Genius loci, luogo di degustazioni enogastronomiche con il panino-muratore del «Signor Domenico» che è «un’opera d’arte italiana, ma costa ottantamila lire», commentava smozziccando e brindando alla bella vita con i suoi fratelli d’arte: gli eterni «saraffi» (complici) Cochi e Renato, Jannacci, Boldi, Villaggio e il giovane Abatantuono, il figlio della guardarobiera del Derby. Zingarate notturne, schitarrando e buttando giù un’infinità di abbozzi di, gag, programmi e canzoni con l’Enzo. Notti infinite a tirar all’alba in una Milano che era ancora bella. «Quando c’era Beppe, Milano era una città viva», ha detto Gianni Mura. Il Beppe che ammoniva lo snobismo intellettuale e insegnava agli scribi di sport: si può parlare di politica e di sociale, anche se alla domenica devi raccontare di pali o di rigori non dati. Ed è per questo che nella sua stanza in Rai, dove era stato assunto nel 1961: «Rispondendo negativamente alla domanda: lei è comunista?», entrava il mondo intero. Giocatori di biliardo, amici in bolletta, pittori, cantautori e attori come Jean-Louis Trintignant, che di notte girava un film a Bergamo e di giorno faceva girare il formaggio e il vino nella sua stanza. «Chi vuol lavorare faccia pure, altrimenti ci sarebbe da degustare della roba francese, pur non sapendo la lingua». Quelli come Beppe Viola, forse non nascono più, o se nascono adesso corrono il rischio di non essere compresi. Per il Beppe infatti «molti finti complimenti, nessuna promozione, soldi ancora meno», ha scritto Giorgio Porrà, ricordando di quella tragicomica “Lettera al direttore” della «madre, anzi matrigna Rai». Ma nonostante tutto il Beppe resisteva fedele al motto melodico «O vivere o ridere» e senza mai alzare bandiera bianca proclamava: «Tengo duro per battere, modestamente, il record di mancata carriera». Con una battuta seppelliva i nemici e scacciava i dolori, divertendosi a scavalcare continuamente la barriera inesauribile del luogo comune, eretta da «Quelli che... quando perde l’Inter dicono che in fondo è una partita di calcio e poi vanno a casa e picchiano i figli».

Il Beppe era nato per ammazzare il tempo con mille trovate al secondo, ma alla fine è stato il tempo a prendersi gioco di lui, in quella domenica del 17 ottobre 1982, dopo un Inter-Napoli, tre mesi dopo il “suo” Mundial di Spagna. Aveva solo 43 anni e tanto ancora da dire. «È morto Giuseppe Pepinou Viola, era nato per sentire gli angeli e invece doveva, oh porca vita, frequentare i bordelli», scrisse un mai così commosso Gianni Brera. Se ne è andato in una sera d’autunno, spirava un «vento romantico» sulla sua Milano e una pioggerellina dolce si mischiava alle lacrime salate e inconsolabili dell’Ufficio Facce.

IL COLLEGA

«Sempre in cerca d’idee,

e generoso senza limiti»

di BRUNO PIZZUL (Avvenire 07-10-2012)

C’era, alla sede Rai di corso Sempione a Milano, uno stanzino cui non a tutti era consentito l’accesso. Era la tana di Beppe Viola e Adone Carapezzi. Lì regnava un superbo disordine. In buona evidenza per facile reperibilità solo la raccolta di “Trotto Sportman”. Benché i due, Beppe soprattutto, avessero invano cercato di educarmi alla passione per l’ippica, ogni tanto mi consentivano di far loro visita.

Suppongo che l’onore mi fosse concesso perché avevano subito intuito che non ero portato a prendermi troppo sul serio. Viola poi aveva molto apprezzato che non l’avessi messa giù troppo dura in occasione del nostro primo incontro e relative vicissitudini. Io ero appena stato assunto, privo di qualsiasi esperienza, mi mandarono a fare la telecronaca di una partita-spareggio di Coppa Italia, Juventus -Bologna sul neutro di Como. I capi mi avevano messo a disposizione una macchina aziendale, partenza alle 10 del mattino, calcio d’inizio alle 15. Mi presentai puntuale, ma il destino volle che da lì transitasse Beppe. «Tu sei quello nuovo? Dove stai andando?». Saputo il programma sbottò in una risata e mi comunicò che per arrivare allo stadio Sinigaglia di Como bastava partire massimo un’oretta prima.

«Mangiamo un boccone con calma e poi ti porto io».

Naturalmente acconsentii di buon grado e, altrettanto naturalmente, arrivammo che la partita era già cominciata da un buon quarto d’ora. Tutta la Brianza juventina quel giorno si era mobilitata per raggiungere lo stadio di Como. Traffico in tilt. Per fortuna la telecronaca andava in onda in differita e quindi registrai alla fine il commento sul muto iniziale. Non era il massimo per l’esordio, ma i capi quando seppero che di mezzo c’era Viola cassarono la questione con un eloquente: «Ah, allora...». Dopo quell’esperienza cercai di non mollare mai Beppe, con lui non c’era il rischio di annoiarsi, aveva sempre qualcosa da fare, alla perenne ricerca di ispirazione, attentissimo a scrutare gli altri e a trarne stimolo creativo, sempre senza un soldo, ma di una generosità senza limiti. Sarebbe bello recuperare tutto quello che Beppe ha scritto, ci restano solo frammenti e la teca Rai ha alcuni suoi servizi straordinari. Di Beppe bisognerebbe dire anche quanto ha fatto come paroliere, ispiratore di comici, sceneggiatore, giocatore di scopa, scommettitore, gran conoscitore di uomini, fustigatore di costumi (compresi i suoi), milanista convinto, ma capace di pesanti ironie pure sui rossoneri. Che uomo Beppe Viola.

___

IL RICORDO Quando l’ironia fa gol

Beppe Viola, quello che...

lavorava all’Ufficio Facce

Trent’anni fa moriva il grande giornalista sportivo, umorista e paroliere milanese

Un tipico esempio di maestro involontario. Che ha avuto troppi (e cattivi) imitatori

CALCI E PAROLE Esordì in Milan-Benfica nel ’63. I suoi racconti? Pezzi letterari di pregio

DAL BAR ALLA RETE E ora Diego Abatantuono porta su YouTube una sua vecchia idea

di DANIELE ABBIATI (il Giornale 10-08-2012)

In trent’anni ne sono passate di facce,sotto i ponti d’Italia. Molte, purtroppo, anche so­pra i ponti, celebrate cioè in pompa magna (due parole magi­che, se non profetiche) da quelli che il soggetto in questione proba­bilmente avrebbe chiamato «i nuo­vi randa », con accompagnamento di frizzi, lazzi e belle figliole discin­te. E tutte quelle facce oggi potreb­bero mettersi in fila davanti al suo «Ufficio Facce», in attesa di essere collocate al loro posto: chi a pulire i cessi, chi a far di conto, chi a tenere le publicrelescion .

Pensiamo soltan­to ai fatti e misfatti recenti: uno Schet­tino, un Fiorito, un Renzi, un Gabrie­le, quello del Papa, ma non l’arcange­lo, l’altro:gente mi­ca da ridere, nel senso buono e in quello cattivo. Il Nostro e il suo so­dale Enzo Jannac­ci, seduti a un tavo­lino di Gattullo con un bicchiere di bianco davanti, che cosa non po­trebbero ricavar­ne?

Del resto, in trent’anni abbia­mo avuto, nell’or­dine: la Milano la bere che ha ubria­cato l’Italia intera come in un bacca­nale da happy hour; il pre-berlusconismo, quel­lo pre-van Basten, per intenderci; Tangentopoli; il primo berlusconi­smo, quello con van Basten&Co; il post-berlusconismo, cioè il post­van Basten; il titic e titoc prodiano, una melina volta ad addormenta­re il gioco e l’Italia; il secondo berlu­sconismo, incarnato da quello che il predetto soggetto in questione avrebbe potuto definire Basletta II, vale a dire Fabio Capello, dove Basletta I era e resta Giovanni Lo­detti; e adesso abbiamo il «sobrii­smo » tassativo, nel senso dell’ob­bligatorietà istituzionale e della pressione fiscale, che volendo fan­no anche rima.

Il soggetto in questione, che era proprio un bel soggetto, non ha fat­to in tempo a vedere nulla di tutto ciò, essendosene andato il 17 otto­bre 1982, trent’anni fa,appunto.Si chiamava Beppe Viola e anche lui, involontariamente, ha generato un «ismo»: il «violismo», quello di chi vuol fare il Beppe Viola senza esserlo,dei«simpatici»che voglio­no essere simpatici senza esserlo. È il destino dei grandi: lasciarsi die­tro un corteo di piccoli. Viola ap­partiene al gruppo dei maestri pi­gri, dei liberi, liberissimi docenti in Scienze della comunicazione i quali hanno esercitato il proprio ta­lento ben prima che la comunica­zione diventasse, contemporanea­mente, becero talk show e seriosa materia universitaria, degli osser­vatori da bar e da tram.

I Giancarlo Fusco, i Marcello Marchesi, i Lu­ciano Bianciardi, gente che ha trac­ciato sublimi ghirigori mentre al­tri tracciavano pallosissime linee per questa o quella scuola di pen­siero. Vent’anni in Rai e 43,quanti gliene sono toccati in sorte, per le strade del mondo, frequentando i palcoscenici dello sport (calcio, pugilato,ippica,motori),del caba­ret, della musica e del cinema (me­morabile il suo cammeo in Roman­zo popolare , con Tognazzi e la Mu­ti, e significativa la sua sceneggia­tura di Cattivi pensieri , sempre con Tognazzi).

Di lui ricordiamo il fisico da stop­per anni Sessanta sovrappeso e la voce da milanesun , bonaria e cal­da, nei servizi per 90 º minuto o nei cazzeggi alla Domenica Sportiva , magari in compagnia di Gianbre­rafucarlo, il «papa» del folbal di una volta. Esordì, quella voce, co­me ci ricorda l’amico e collega Massimo Bertarelli, in un frangen­te da tremarella, per un milanista doc. È il 22 maggio 1963, allo stadio di Wembley va in scena la finale della Coppa dei Campioni: Milan-Benfica. Dopo il primo gol di Altafi­ni che vale il pareggio, il collega­mento audio con Londra s’inter­rompe, e al posto del commento di Nicolò Carosio, da studio entra a sostituirlo, senza riscaldamento delle corde vocali e del cuore, pre­da di una doppia emozione, un ra­gazzo di belle speranze. Ha 24 an­ni e gli tocca commentare la fuga in contropiede e la seconda rete del suo e nostro Josè. Un battesi­mo di fuoco, gestito però in punta di piedi, una tesi di laurea in cravat­ta rossonera: «Ecco Rivera ha tolto la palla a Raul... ha servito Altafi­ni... solo davanti al portiere... re­spinge Costa Pereira... rete... ha se­gnato in questo momento Altafi­ni... due a uno per il Milan». Niente punti esclamativi, anche se sotto si sente fremere il magone. E fu così che la prima nonna dell’attuale Censcion prese la strada per via Tu­rati al civico numero 3.

Basta andare su Youtube per cat­turare quel frammento. E basta an­dare su Youtube per scoprire che l’ « Ufficio Facce» esiste ancora. Il vol­pone Diego Abatantuono, che ave­va otto anni ai tempi del mitico Mi­lan- Benfica e che nella temperie cabarettistica del «Derby» giocò le sue prime partite, ha voluto titola­re così una sorta di X Factor targata Colorado Film per barzellettieri, intrattenitori, sbevazzatori, tiratar­di e, ovviamente, facce da pirla. Senza andare al bar, allo stadio, in officina o all’oratorio, la gente manda i propri video per sottopor­li­al giudizio insindacabile del pub­blico. La vis comica è una cosa se­ria, e per questo non può essere se­rial­izzata nel tormento del tormen­tone, deve rinnovarsi di continuo.

Lui,Beppe Viola,non l’aveva im­parato a scuola, lo sapeva per natu­ra. Il mantra della canzone Quelli che... recitato come un rosario lai­co e irriverente e che dà il titolo alla raccolta di racconti e battute ripub­blicata nel 2009 da Baldini Castol­di Dalai lo dimostra alla grande.

Pardis ,Il bambino Massimo e Don Alessandro sono lì a dimostrarci quanta buona letteratura abbia­mo perso per colpa di una corsa tris o di un Milan-Catanzaro qual­siasi.

Modificato da Ghost Dog

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SETTE GIORNI DI CATTIVI PENSIERI di GIANNI MURA (la Repubblica 07-10-2012)

DALLE SCOMMESSE A MACCHI

NON CHIAMATELA GIUSTIZIA

Conte, conti, acconti e sconti. Chi ci capisce è bravo. Non ho capito e non sono bravo (4). La sensazione è quella d’una gigantesca pantomima che non so quanta gente convincerà (4). Se Conte è colpevole, quattro mesi sono pochi. Se è innocente, sono troppi. Conviene togliere dal discorso Conte e di riflesso la Juve. Non è solo questa sentenza che fa invocare una riscrittura della giustizia sportiva, questa sentenza si somma ad altre che già avevano fatto invocare una riscrittura della giustizia sportiva. Non s’è mossa una foglia. Abete ha riconfermato Palazzi, iniziativa discutibile, ma non è Palazzi a fare la legge, suo compito è applicarla. Che i diritti della difesa siano molto limitati è arcinoto. Che non si possa cambiare la giustizia se non a bocce ferme è un’ovvietà, ma sarebbe opportuno se la federcalcio mettesse dei paletti temporali per la riscrittura, e lo annunciasse. Se è una faccenda lunga, e lo è, si può cominciare anche domani o tra una settimana. Ma andare avanti così, no grazie. Giocatori che si sono venduti le partite, che hanno fatto autogol apposta, sono sanzionati meno severamente di altri che forse, e sottolineo forse, non avevano nulla da confessare.

Peschiamo solo da episodi recenti, in cui non c’entra Palazzi ma c’entra, e molto, la fretta di giudicare. Criscito è stato tagliato dal gruppo per gli europei, Bonucci no. Disparità di trattamento. Poi Criscito è stato scagionato, ma gli europei non glieli restituisce nessuno. Fabrizio Macchi, campione del ciclismo paralimpico, poco prima di partire per Londra è stato bloccato perché indagato in una vicenda di doping legata al dottor Ferrari e deferito dal Coni, che chiede otto mesi di squalifica. Nulla di scritto a carico di Macchi (pagamenti, programmi), solo una frequentazione saltuaria dal febbraio al maggio del 2007, quando Macchi non era tesserato con la federciclismo che aveva inibito Ferrari. Macchi dice: Sara, la figlia di Ferrari, stava facendo una tesi su di me per la facoltà di Scienze motorie. In alto loco non gli crede nessuno. Di venerdì la notizia che il Tna (Tribunale nazionale antidoping) ha prosciolto Macchi da ogni accusa. Ora, non ci voleva molto a controllare se Macchi fosse o no tesserato nel 2007, perché questo è il dettaglio determinante. Era già capitato con Baldini, pure scagionato, che si vietasse di andare alle Olimpiadi a un atleta sospettato di doping. Ma i sospetti non sono prove. Tra sponsor spariti e spese legali Macchi ci ha rimesso 200mila euro. Il suo legale, che di cognome fa Napoleone, vedrà come recuperarne un po’. Ci si allena quattro anni, per i cinque cerchi. Gli euro si possono recuperare, i sogni no.

Nello stadio della Juve, larghi vuoti con lo Shaktar, per le proteste dai tifosi. Se è per la limitazione sulle bandiere, ha ragione la Juve. Non si può negare la visibilità del campo a chi sta sotto, e non è dai metri quadri di stoffa che si misura l’attaccamento alla squadra. Se è per il costo dei biglietti, hanno ragione i tifosi. Per un posto in curva 40 euro sono tanti. Molti giocatori hanno notato, dal campo, un calo di calore. Tutti i club, però, dovrebbero accorgersi che la crisi non è un’invenzione. C’è e si fa sentire. Quanto dovrebbe investire mensilmente un singolo tifoso, tra campionato e coppe? E quanto questo tifoso se avesse un paio di figli? Invece si continua a parlare di riportare le famiglie allo stadio, ma nulla si fa per riportarcele, e molto per convincerle a starsene davanti alla tv.

A me, stando davanti alla tv, è capitato di vedere un servizio sul programma “Restart, Italia !”. Raccapricciante combinazione, al di là del punto esclamativo: voto all’innocente combinazione 3, ma se sapessi il nome del responsabile umano gli darei 2. Allora, tanto valeva varare “Restart, Italy!”. Ho cercato, non so bene perché, di documentarmi meglio. Sul Sole 24 ore ho letto che avverrà il lancio di una startup, con un instant e-book che conterrà l’how to. Negli allegati un glossario animato in forma di tag cloud e un video che illustra come si conduce un pitch, e il rapporto “Restart” viene fatto risalire alla task force (ah, ecco) del ministro Passera. Passerà un po’ di tempo prima che mi rimetta. Anche alla clemenza degli anglofoni. Una volta ogni tanto la parola straniera non dà fastidio. Anzi. Ieri mattina a Udine circa 300 ragazzi hanno gareggiato nel gioco ludico-didattico che si chiama Ecorienteering. Lo inventò Gianmario Missaglia, presidente dell’Uisp, per collegare le varie facce dello sport per tutti. Questo giocare è un modo per dire che gli uomini illuminati possono pure morire, ma le loro idee restano, e servono.

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John Terry and Ashley Cole have

shamed Chelsea and England

Most major private or public institutions would sack a leading figure who was found guilty of saying what John Terry said

Editorial (The Observer 07-10-2012)

We defy anyone to watch John Terry on YouTube very clearly mouthing the words "You fucking black cunt … fucking knobhead" at Anton Ferdinand and not agree with the independent commission set up by the FA to investigate the October 2011 incident. They concluded that Terry's defence (that he was repeating words which Ferdinand had alleged he had used) was "improbable, implausible and contrived". They said there was "no credible evidence" for Terry's defence.

"We are quite satisfied that the offending words were said by way of insult," the commission concluded. The independent commission alleges that John Terry's defence – which he advanced in court – was untrue.

He was acquitted in a criminal trial at Westminster magistrates court in July, although the chief magistrate, Howard Riddle, had said Terry's defence was "unlikely" even if there were insufficient grounds for a conviction. How will Chelsea FC react? How would most major private or public institutions react if one of their leading figures – say, the chief executive – was found guilty by an independent commission of saying, in public to a competitor, "You fucking black cunt … fucking knobhead"?

They would sack them.

If Chelsea – who have said they will wait to see if Terry appeals before making clear their intentions and on Saturday confirmed there will be a "disciplinary process" with Ashley Cole – choose not to do that, what reasons will they – and their owner, Roman Abramovich – give for not taking this course of action? Are they happy their captain has been found guilty of lying? Are they happy that he uses the phrase "You fucking black cunt … fucking knobhead" in public? Are they happy for this man to be their captain?

To be their leader? Really?

Are Chelsea fans happy to have their team led by a man who uses a racist insult? Will Chelsea fans – and with social media there are many opportunities for them to find their voice, how about #sackjohnterrynow? – signal their disapproval of their "leader"? Because if they don't, then how can they take a credible stand on racism in public life ever again? They can't. There is no reason for being equivocal about racism.

And what of Chelsea's commercial partners and sponsors such as Samsung? Are they happy that their brand is represented by a team leader who says to an opponent "You fucking black cunt"? They shouldn't be and they should use their considerable influence to demand that he plays no further part in any association with their brand.

Chelsea have other questions to answer. And answer them they must if the shame that this incident has heaped on British football is to be erased. The independent commission detailed how Ashley Cole's evidence "evolved" over time in order to further support Terry's defence. The FA are accusing Cole – Terry's principal supporting witness – of lying. In his first statement to the FA Cole made no mention of having heard Ferdinand use the word "black". In a revised statement he asked for the word be inserted into his statement to strengthen Terry's defence.

The commission concluded: "Mr Cole did not hear, and could not have believed, understood or misunderstood Mr Ferdinand to have used the word 'black'."

It was the Chelsea club secretary, David Barnard, who facilitated Ashley Cole's change of evidence. The commission concluded that there were "very real concerns" over Bernard's evidence and said it was "materially defective". This is a damning indictment of their club secretary. How will Chelsea react? What would other major public or private companies do?

What will Chelsea's considered response to the FA report be once they have had time to digest how comprehensively it has eviscerated their captain, their club secretary and their left-back? We've already had Ashley Cole's response when he tweeted "Hahahahaa, well done, #fa. I lied did I, #BUNCHOFTWATS". He later "unreservedly" apologised. Of course he did. And is that it, Chelsea? Is it OK for Cole to react in that way to a charge this serious?

Chelsea have been shamed by this incident. They have been shamed by John Terry and Ashley Cole. For those of us who love football it is dispiriting, depressing and disgusting to see how football (including the FA who were also criticised by the independent commission) has dealt so ineptly with this Terry affair. And not just this incident. Who can forget Liverpool's lamentable response to the Luis Suárez incident last year?

And the FA, even now, seem to have some difficulty learning lessons from this fiasco. In a briefing to journalists from the Sunday media on Thursday – before the publication of the independent commission's report – the England manager, Roy Hodgson, responding to persistent questions, said he might consider giving the captaincy to Ashley Cole for the World Cup game against Poland to coincide with the defender's 100th cap.

On Saturday the FA made it clear to those same journalists that they should not refer to that section of the press conference lest it reflect badly on Hodgson or the FA, or that not giving the captaincy would be seen as revenge for the Cole tweet. Perish the thought.

The fact that the request from the FA came with an implicit threat that anyone who ignored this advisory might suffer in terms of future cooperation from the FA is both abysmal and shocking.

Racism is vile and malevolent and has blighted many people's lives. It continues to do so, although great strides have been taken to reduce its incidence. Only racists and intellectual Neanderthals would need convincing that society has to adopt a zero tolerance approach to incidences of racism, or racist insults. And that includes football.

As one writer noted on Saturday: "Most footballers get through the day without uttering a racist remark." In fact, most of us get through the day without uttering a racist remark.

Terry and Cole are an embarrassment to football, to Chelsea and to England. The club – and just as importantly, their supporters – need to be seen to understand that clearly. And react accordingly.

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CALCIOSCOMMESSE

Carrera fa largo ad Alessio

Il Tnas può restituire la panchina al vice di Conte il 20

ottobre col Napoli: oggi a Siena l’ultima dell’ex centrale

di ALBERTO ABBATE (CorSport 07-10-2012)

Certi saldi non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano: Conte 4 mesi, Alessio al massimo 2. Come a fine luglio, quando i due tecnici avevano “patteggiato” la loro pena (3 mesi e 200 mila euro l’uno, 2 e 60mila l’altro), prima di schiantarsi l’1 agosto contro il muro della Disciplinare. Angelovicecapitano può tornare subito, sfrutterà la sosta: mercoledì è fissato il dibattimento davanti al Tnas. Al massimo un paio di giorni e il collegio arbitrale gli restituirà la libertà in un lodo: male che vada, Alessio avrà solo due mesi di squalifica (la Corte di giustizia federale li aveva già ridotti a 6) e - dal 10 agosto - sarebbero già decorsi il 20 ottobre. Carrera si scansi allo Juventus Stadium: aggiungi un posto in panca, Alessio c’è. Vede il Napoli. E rinasce.

POSSIBILE ASSOLUZIONE - Sant’Angelo: l’assoluzione da ogni accusa è a portata di sentenza, dopo il maxi-sconto al maestro Conte. La Corte di giustizia federale gli aveva già abbuonato due mesi, cancellando l’ormai famosa riunione tecnica di Novara-Siena, per il suo “ruolo ancillare” di vice. Crollata per Conte l’”aggravante Mastronunzio”, si sgretolerà anche per Alessio: sono quasi certi 4 mesi di sconto. Ma si cercherà di ottenere il completo proscioglimento da ogni addebito: «E’ sempre stato una comparsa di questo processo e non c’entra assolutamente nulla con questa storia» , ripete di continuo l’avvocato Chiappero.

LA RESPONSABILITA’ - Nelle motivazioni della Corte c’è ancora un passaggio che lo tiene in ostaggio: «Per la posizione di vice-allenatore, non poteva che essere pienamente consapevole dell'esistenza di un accordo illecito finalizzato ad alterare il risultato della partita Albinoleffe-Siena del 29.5.2011, avendo preso parte alla riunione tecnica nella quale si discusse sull'opportunità di tenere fede all'impegno assunto con lo spogliatoio dell'Albinoleffe al termine della gara di andata» . Eppure il collegio arbitrale potrebbe convergere verso la non consapevolezza di Alessio e assolverlo. Oppure accertarne un’ omessa denuncia “minore” e comminargli due mesi.

IL RITORNO - Il buio e la luce di riflesso nella grande matrioska della giustizia sportiva. Un po' più innocente o un po' meno colpevole, è la parte di Angelo Alessio in questa pessima tragicommedia. Il suo destino è sempre stato legato al fido Conte. Forse, anche se entro venerdì 12 ottobre dovesse uscire dall'incubo, il vice deciderà di rimanere al fianco di Conte nello Sky box. Sarebbe una scelta aspettarlo sino al suo rientro. Altrimenti, questione di ruoli, Carrera dovrà mettersi da parte col Napoli. In assenza di Antoniocapitano , quella panca appartiene di diritto ad Alessio. E' il secondo e la Juve lo ha sempre riconosciuto, proteggendolo. Le abbuffate di gloria di Carrera, le conferenze di Filippi - preparatore dei portieri - avrebbero dovuto dimostrare come lo staff tecnico bianconero fosse un unico corpo. Eppure Conte rimane l’anima, Alessio lo specchio. Unico, inseparabile, indivisibile.

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PARLA IL LEGALE DEL BOLOGNESE

«Per Portanova la stessa riduzione

fatta a Conte o porto tutti in tribunale»

art.non firmato (CorSport 07-10-2012)

ROMA - Due giorni dopo la sentenza-Conte, Daniele Portanova, difensore del Bologna, aspetta ancora il dispositivo del Tnas, tribunale di terzo grado a cui ha fatto ricorso per chiedere l’annullamento dei sei mesi di squalifica per omessa denuncia. La sentenza è attesa entro il 13, quindi alla fine della prossima settimana. «Siamo sereni - spiega l’avvocato Gabriele Bordoni - bisogna solo avere pazienza perché lo sconto a Conte fa ormai giurisprudenza. Il quadro accusatorio di Palazzi era molto più consistente per il tecnico della Juve che per Portanova e la stessa Federcalcio, con i primi verdetti, aveva dimostrato la diversa gravità dei fatti. Ci attendiamo, adesso, un giudizio per il mio assistito sulla stesso piano di quello di Conte: se non l’annullamento dei sei mesi di squalifica, la riduzione a due mesi o poco più».

Nel caso in cui non ci fosse questo sconto, Portanova sarebbe pronto con il suo legale ad andare alla magistratura ordinaria. «Il Tnas ha sicuramente tenuto conto anche del fatto che le nostre sanzioni riguardavano fatti precedenti all’inasprimento delle pene, quindi ha ridotto la squalifica di Conte e così farà con Portanova. A meno che non ci siano differenze tra un tesserato della Juve e un tesserato del Bologna. Ecco perché in caso di verdetto negativo non ci fermeremo e dovremo passare per altre sedi nella nostra difesa. Non ci possono essere, infatti, disparità».

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PARLA IL LEGALE DEL BOLOGNESE

«Per Portanova la stessa riduzione

fatta a Conte o porto tutti in tribunale»

art.non firmato (CorSport 07-10-2012)

ROMA - Due giorni dopo la sentenza-Conte, Daniele Portanova, difensore del Bologna, aspetta ancora il dispositivo del Tnas, tribunale di terzo grado a cui ha fatto ricorso per chiedere l’annullamento dei sei mesi di squalifica per omessa denuncia. La sentenza è attesa entro il 13, quindi alla fine della prossima settimana. «Siamo sereni - spiega l’avvocato Gabriele Bordoni - bisogna solo avere pazienza perché lo sconto a Conte fa ormai giurisprudenza. Il quadro accusatorio di Palazzi era molto più consistente per il tecnico della Juve che per Portanova e la stessa Federcalcio, con i primi verdetti, aveva dimostrato la diversa gravità dei fatti. Ci attendiamo, adesso, un giudizio per il mio assistito sulla stesso piano di quello di Conte: se non l’annullamento dei sei mesi di squalifica, la riduzione a due mesi o poco più».

Nel caso in cui non ci fosse questo sconto, Portanova sarebbe pronto con il suo legale ad andare alla magistratura ordinaria. «Il Tnas ha sicuramente tenuto conto anche del fatto che le nostre sanzioni riguardavano fatti precedenti all’inasprimento delle pene, quindi ha ridotto la squalifica di Conte e così farà con Portanova. A meno che non ci siano differenze tra un tesserato della Juve e un tesserato del Bologna. Ecco perché in caso di verdetto negativo non ci fermeremo e dovremo passare per altre sedi nella nostra difesa. Non ci possono essere, infatti, disparità».

Fossi in Conte, rinuncerei alla riduzione della squalifica. Tanto gliel'hanno data senza mai averla chiesta. Lui voleva essere assolto.

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ULTIM’ORA

Roma, 18:26

CALCIO, ABETE: RICORSO CAGLIARI? SPAZIO E AUTONOMIA A GIUSTIZIA

Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio, sceglie di non esprimersi sul ricorso del Cagliari contro lo 0-3 a tavolino inflitto ai sardi per il rinvio della gara con la Roma: "C'è un ricorso in atto, dobbiamo lasciare spazio e autonomia agli organi di giustizia sportiva - le parole di Abete - E' un evento particolare, in qualche modo innovativo rispetto a situazioni precedenti, è legittimo il ricorso del Cagliari, la Corte di giustizia farà la sua valutazione. La riforma della giustizia sportiva? 'E' un argomento lungo e delicato. Il primo problema è che la giustizia sportiva si è trovata di fronte a decine di situazioni che riguardavano tesserati, con situazioni presso diverse Procure. C'è sempre la disponibilità a cogliere la possibilità, come ha detto anche il presidente del Coni Petrucci, a fare innovazioni e miglioramenti. Ma non dimentichiamo che abbiamo una giustizia sportiva che ha operato in tempi brevi, ad esempio come nel caso di Conte la cui sentenza del Tnas - terzo grado di giudizio - è arrivata in tempi stretti". [repubblica.it]

Ormai questo stuzzica ogni giorno

Modificato da totojuve

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Stadi, prezzi troppo alti

i tifosi hanno ragione

Fulvio Bianchi - Spy calcio - la repubblica.it

E' arrivato il momento che i presidenti dei club prendano in seria considerazione i loro tifosi. Invece di lamentarsi sempre degli arbitraggi o spendere i soldi nel mercato, devono investire nel miglioramento degli stadi e soprattutto devono abbassare i prezzi dei biglietti. Venire incontro alle famiglie non a parole, come sinora: ma coi fatti. Preparare una vera, seria riforma dei campionati. In serie A quest'anno gli spettatori sono ulteriormente diminuiti: in qualche caso (vedi Milan) ha pesato il pessimo inizio di campionato ma i motivi principali sono i prezzi alti dei biglietti (oltre che della benzina), la concorrenza della tv e la percezione di insicurezza che si ha ancora nell'andare allo stadio. Un problema che la Lega di serie A sottovaluta da sempre: l'importante per i presidenti sono i soldi delle tv e gli abbonamenti (in calo, tranne eccezioni). Il resto non interessa. Ha fatto qualche iniziativa la Roma made in Usa, è vero, ma adesso deve studiare il sistema, con l'Osservatorio, in modo che chi ha riempito dopo anni la curva Sud, rispettando i criteri di legge (vedi controlli su questura on line), possa anche andare in trasferta. Fuori casa ormai sono pochissimi i tifosi: si è perso il gusto della trasferta. Della gita con gli amici. Situazione stadi: la legge adesso sta andando avanti alla settima commissione (istruzione pubblica e sport) del Senato: domani, martedì 9 ottobre, seguito della discussione altri emendamenti presentati da ben sei commissioni e della commissione parlamentare per le questioni regionali. Bisogna chiudere in fretta, prima della fine della legislatura: altrimenti rischia di saltare tutto. Ma i club non devono considerare un alibi questo disegno di legge fermo ormai da tre anni. Si diano da fare da soli. La Juventus insegna: anche se i tifosi della curva si lamentano dei prezzi troppo alti (di Coppa). Ma la scelta del club bianconero è quella di fare "selezione" come è successo in Inghilterra, dove il problema della violenza degli hooligans è stato risolto, almeno in parte, anche alzando il prezzo dei biglietti. Così una fascia meno abbiente non ha più potuto andare allo stadio. Giusto? In un momento di crisi è molto discutibile. La Juve ha tantissimi abbonamenti in campionato (27.378) ma in Champions non ha fatto mini-abbonamenti. Sbagliando. E se contro lo Shaktar le curve costavano 40 euro, chissà che prezzo metteranno quando arriverà il Chelsea?

Vola la Domenica Sportiva e Varriale cerca vie nuove

Enrico Varriale cerca di vivacizzare sempre più Stadio Sprint, sicuramente penalizzato dal calcio-spezzatino: ogni settimana un ospite in studio, ieri aveva Abete che ha promesso la riforma della giustizia sportiva (speriamo presto). Risultato: 9,36% di share, 1.182.000 spettatori per Stadio Sprint. Novantesimo Minuti tiene sempre la concorrenza di Cielo: 2.121.000, 14,65% di share per Franco Lauro. La Domenica Sportiva, condotta da Paola Ferrari, sta andando molto bene quest'anno: 13,73%, quasi dure milioni di spettatori (1.940.000). Non particolarmente efficace l'intervista di Carlo Paris a Gazzoni Frascara in "5 minuti di recupero": 16,50% e 4.238.000 (la trasmissione arriva dopo il traino del Tg1).

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Le foto di Diego e Felipe Melo nella prima pagina sono inquietanti :S :S :S

non capivo

poi sono andato

ed ho visto anche

camo adp e treze in panca

oallllora

checivofa

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Pregano, ma il commentatore: "Mangiano l'erba"

Gaffe di Gary Lineker dopo un'eusltanza in ginocchio che simula la preghiera musulmana. Lui poi su Twitter si scusa: "Non posso conoscere le religioni di tutti i giocatori"

Eurosport

A volte durante le telecronache se ne sentono di tutti i colori. In Italia spesso i commentatori sono molto criticati, ma a memoria d'uomo non è mai stata fatta una gaffe così grave come quella di Gary Lineker.

Ex giocatore di Barcellona e Tottenham, Lineker ora si è lanciato nella carriera televisiva come spalla tecnica, ma lui stesso ammette di incontrare delle difficoltà. Probabilmente dopo questa figuraccia sarà ancora più demotivato.

voce di AL Jazeera, era stato chiamato a commentare il match di Champions League tra Schalke 04 e Montpellier; al 13' la squadra francese passa in vantaggio e l'autore del gol, Karim Ait-Fane, esulta insieme al compagno marocchino Younes Belhanda. Entrambi si inginocchiano mimando la posa tipica della preghiera musulmana, ma Lineker travisa completamenteb il significato del gesto e commenta: "Uno sforzo incredibile di Karim Ait-Fane che ha segnato da fuori area e poi ha cominciato a mangiare erba".

Immediata la reazione della comunità di Twitter, che lo ha tacciato d'ignoranza e d'incompetenza. Lui, sempre tramite lo stesso social network, prova a discolparsi.

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Parola d'ordine

'senza parole 'Antonio Conte, allenatore Juventus

Conte nella bolla il magnifico silenzio dell' allenatore puro

di GABRIELE ROMAGNOLI - la Repubblica - 9-10-2012

È molto più vero, molto più sano così. Senza l'orpello della dichiarazione a caldo titillata da Varriale e non gonfiato dal tremendismo panchinaro. Non parla, si chiude nel box, riceve visite E ci ricorda quanto di eccessivo e polemico ci sia nel calcio urlato

Guardando "L'Artista" l'abbiamo rimpianto tutti, il cinemamuto. Sullo schermo importano le immagini, poche decisive parole che possono anche essere scritte su una lavagna invece che dette. Il resto, alla fine, sai che c'è, è rumore di fondo, son chiacchiere e distintivo. Così rimpiangeremo tutti, lui per primo, i giorni di Antonio Conte nella bolla. È molto più vero, molto più sano così. Èl'allenatore puro, senza l'orpello delladichiarazione acaldo titillata da Varriale, asciutto e non gonfiato dal tremendismo panchinaro dove fa le sue veci una infinitamente più compassata controfigura. Un fumetto in bianco. L'esprit de l'e-scalier che sale i gradini della tribuna, si accomoda in cabina e pensa: «Avrei voluto dire, ma non ho potuto». E meno male. Può sembrare paradossale, in una rubrica che prende spunto dalle parole pronunciate in una domenica di calcio, eleggere a simbolo della giornata il silenzio forzato di Conte. Ma è l'immagine più bella. Lui confinato in una pseudocella trasparente, la sua squadra che vince, gli altri che passano in pellegrinaggio a visitare l'escluso esibendo fattezze e tatuaggi al cui cospetto funge da grazia l'assenza non soltanto dell'audio, ma finanche della didascalia. Valentina Mezzaroma, corleone surbicipite, ma che je dovevi di' aConte? Nun se sa. E meno male. Allegri si lamenta, Stramaccioni si fomenta, Zeman redarguisce, Cosmi ribadisce. Conte, non un fiato. Che pace.Anche per lui.Anche per noi. «Quando tornerà a parlare?», domanda sopraffatto dall'angoscia del vuoto mediatico un cronista di Sky nel pre partita di Siena. E l'amministratore delegato juventino, Giuseppe Marotta, sornione e vendicativo, s'invola sulle ali della sintassi: «Queste norme restrittive dal punto di vista della sua presenza coincidono anche con la sua direi conseguente indisponibilità a comunicare. Queste sono situazioni che penalizzano chi come voi investe dei soldi e porta nelle case quella che è la comunicazione e ciò che un allenatore di. esternare».... ' finito. Scusi. Termina: «Tutto sommato la squalifica di un allenatore in prima porta anche un leggero danno». ,Oddio.Vediamounpo'che cosa ci siamo persi. Quali fondamentali comunicazioni Conte aveva esternato fin qui. Le magnifiche sette, in un conto alla rovescia:

7. «Per vincere ci vuole testa, cuore e gambe. Non in quest'ordine preciso» (dimenticando una parte del corpo solitamente abbinata a Sacchi).

6. «Più vai in vetta e più sono forti le folate di vento» (benché gli arbitri, verso alcuni, fischino il giusto).

5. «Oggi è capitato a me, domani a un altro. Ma con lo stesso nome mio, sennò non lo caga nessuno» (la storia sono io).

4. «La storia è bella, ti giri e non te la tocca nessuno» (è una strofa di De Gregori?).

3. «Chi vede Pirlo ha solo voglia di darci dentro» (un momento di ambiguità capita a tutti).

2. «Ale, perché chiamarlo Del Pieroamevienestrano, trasmette qualcosa di speciale anche quando respira» (ilriscattodelromanticismo).

1. «I se perdo muoio» (spiegazione, vagamente estrema, dell'imbattibilità juventina nella sua gestione e delle responsabilità che gravano sui giocatori).

Detto questo, perché dire ancora? Perché non accontentarsi del lascito già consegnato ai posteri e assecondare il monito "il bel tacer non fu mai scritto"? Conte nella bolla è una meravigliosa autonemesi, ma anche una gloriosa smentita di se stesso. La squadra va anche senza il suo perpetuo delirio a bordo campo, anche se dà riposo alla giugulare, non frusta verbalmente De Ceglie e Giaccherini, non gli tocca presentarsi afono alle interviste. Non ce n'è bisogno. Ed è merito suo. Questa Juventus la sospinge un soffio, non c'è bisogno di un urlo. E allora, perché tanto rumore quando basta nulla? L'Artista Conte ci ricorda quanto di superfluo esiste nel calcio (e nella vita pubblica): l'invettiva, la polemica, l'eccesso. Vengono raccolti, alimentati, postati, twittati e ritwittati. Quella è la vera bolla, non la custodia dove hanno riposto l'allenatore in castigo e le sue esternazioni. Un leggero danno, Marotta? Un favore, una lezione di vita. Tutto quel che ci auguriamo è che l'Artista ne esca in punta di piedi, attraversi il campo, sieda sulla panchina che la giustizia gli avrà restituito e al primo microfono che lo solletica dica con un sorriso: «Silenzio, si gioca».

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gasport -9-10-2012

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Gasport- 9-10-2012

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Una volta la repubblica era un giornale serio ......

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(ANSA) – ROMA, 9 OTT – ‘‘La mia squalifica? Altri allenatorihanno avuto lo stesso atteggiamento domenica e non hannoricevuto nessuna sanzione. Si usano due pesi e due misure equesto dispiace’‘. Serse Cosmi commenta cosi’ a ‘‘MattinaSport’‘ la squalifica si una giornata inflittagli ieri. Quantoalla partita di domenica, nega di aver visto una Juve stanca e sostiene che le favorite per lo scudetto sono ‘sicuramente i bianconeri e il Napoli. L’Inter sta migliorando, ma attualmente non ha ancora la giusta solidita’‘.

Modificato da totojuve

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INCHIESTA DELLA PROCURA DI FERMO - UN FUNZIONARIO RIMOSSO E 34 INDAGATI

Carte d'identità falsificate: sudamericani di A coinvolti

Centinaia di giocatori avrebbero così conseguito la cittadinanza italiana

Un funzionario dell’Ufficio anagrafe di Fermo rimosso e 34 indagati dalla Procura per false cittadinanze e poi il sospetto che centinaia di stranieri, quasi tutti brasiliani e argentini, nell’arco degli ultimi sette anni abbiano conseguito in questo modo la cittadinanza italiana. Dalla Procura e dagli inquirenti non escono i nomi degli indagati, nè quelli dei giocatori sudamericani, anche di serie A sussurra qualcuno, che sarebbero diventati cittadini italiani grazie ad un traffico gestito da dirigenti e amministratori comunali e procuratori sportivi. Tra gli indagati ex e attuali amministratori locali, dirigenti comunali, procuratori di calciatori, quasi tutti residenti tra Fermo e Porto San Giorgio. Pesanti le ipotesi di reato: soppressione e distruzione di atti, produzione di atti falsi, abuso di ufficio, falso ideologico, associazione per delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

L’inchiesta Tutto nasce da un altro troncone di indagine condotta dai carabinieri della Compagnia di Fermo nel 2011: la Polizia municipale di Fermo aveva scoperto che un imprenditore italiano era in possesso di un documento intestato a un rumeno: una carta d’identità stampata su carta originale, che proveniva dall’Ufficio anagrafe del Comune di Fermo. Un dirigente del Servizio anagrafe ha fatto alcune rivelazioni agli investigatori, e così è stato scoperchiato un giro di documentazione non regolare attraverso la quale lo stato di straniero veniva artatamente modificato in quello di cittadino italiano.

Il sistema Alcuni procuratori sportivi provvedevano a richiedere la cittadinanza italiana per i loro atleti, facendoli militare per qualche tempo in squadre locali, per poi cederli a club di serie superiori. La posizione di alcuni giocatori di serie A sarebbe attualmente al vaglio della procura fermana.

__________________________---------------

CALCIO

09/10/2012 - IL CASO

False cittadinanze, trema la serie A

La procura di Fermo: «Calcio, ma non solo: così i sudamericani sono diventati italiani»

GUGLIELMO BUCCHERI - La Stampa

Un codice sospetto e una stanza piena di documenti da formare una montagna. Il codice è quello che ha dato il via all’inchiesta - un anno fa - della procura della Repubblica di Fermo: 34 sono gli indagati, fra questi ex ed attuali amministratori locali, dirigenti comunali, procuratori di calciatori. L’accusa è produzione di atti falsi, abuso d’ufficio, falso ideologico, associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina il tutto per consentire ad alcuni calciatori sudamericani - brasiliani ed argentini soprattutto - di diventare cittadini italiani. Fermo, racconta un inquirente, «sembra diventata improvvisamente la città dello sport...».

Sport perché oltre al calcio, c’è di mezzo il calcio a 5 e la pallavolo. L’inchiesta condotta dai carabinieri ha come obiettivo quello di capire se anche la cittadinanza italiana acquisita da giocatori che attualmente sono tesserati per società di serie A (sarebbero almeno tre o quattro) sia frutto dell’intervento di un funzionario dell’anagrafe del comune che, fin dal 2004, si sia prestato ad agevolarne l’acquisizione attraverso atti falsi. Uno dei dirigenti del servizio anagrafe avrebbe già rivelato ai carabinieri che alcuni procuratori sportivi provvedevano a richiedere i documenti per i propri assistiti facendoli militare per qualche tempo in squadre locali, per poi cederli a squadre di serie superiori. Il sistema avrebbe funzionato così: agenti di giovani e non noti giocatori bussavano alla porta di un addetto al servizio residenza del comune il quale, in cambio di offerte di promozioni o regali, concedeva la cittadinanza italiana. Fra coloro che avrebbero seguito questa strada, molti calciatori professionisti che, adesso, giocano in campionati stranieri. Al momento i carabinieri del capitano Pasquale Zacheo hanno accertato quarantacinque identità «fittizie», già sospese con provvedimento cautelare dal sindaco di Fermo. «La dimensione del fenomeno potrebbe essere di dimensioni enormi...», così un inquirente che è entrato nella stanza del funzionario rimosso dall’incarico dalla nuova amministrazione.

http://www.lastampa.it/2012/10/09/sport/calcio/false-cittadinanze-trema-la-serie-a-MFSDqVkcQq1buimQuLZIrI/pagina.html

______________________________

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Tuttosport - S.C. -09-10 - 2012

Non è la prima volta e probabilmente non sarà nemmeno l'ultima. Alcuni calciatori sudamericani, anche di serie A, oltre ad atleti di calcio a cinque e giocatori di volley, sarebbero diventati cittadini italiani grazie a un traffico di false cittadinanze gestito da dirigenti e amministratori comunali e procuratori sportivi, scoperto dalla procura di Fermo.

INIZIO INCHIESTA E' questa l'inchiesta condotta dai carabinieri della Compagnia del comune marchigiano e coordinata dal procuratore della Repubblica Vardaro, nata nel 2011 ma da un altro troncone d'indagine. Tutto risale a un controllo di routine effettuato dalla Polizia municipale di Fermo nel quale era stato scoperto che un imprenditore italiano era in possesso di un documento intestato a un romeno. Si trattava di una carta d'identità stampata su carta originale, che proveniva direttamente dall'Ufficio anagrafe del comune marchigiano. Da qui sono iniziate in gran segreto le indagini.

CONFESSIONE Serviva però qualcuno che parlasse. E le forze dell'ordine hanno trovato la gola profonda in un dirigente del Servizio Anagrafe che, messo alle strette, ha fatto alcune rivelazioni agli investigatori. Da quel momento in poi è stato tutto pia semplice. I carabinieri hanno scoperchiato un giro di documentazione non regolare attraverso la quale, con il ricorso alla formula dello iure sanguini, - che consente ai figli di italiani all'estero di vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana e il relativo diritto di voto - lo stato di straniero veniva artatamente modificato in quello di cittadino italiano. Al momento sono 34 gli indagati, tra ex e attuali amministratori locali, dirigenti comunali, procuratori di calciatori, quasi tutti residenti tra Fermo e Porto San Giorgio. Le accuse sono gravi: soppressione e distruzione di atti, produzione di atti falsi, abuso di ufficio, falso ideologico, associazione per delinquere e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina le ipotesi di reato.

SOSPETTI Il sospetto ora va a toccare centinaia di stranieri, quasi tutti brasiliani e argentini, fra cui vari calciatori di serie A e serie minori, che nell'arco degli ultimi sette anni hanno conseguito in questo modo la cittadinanza italiana. Al momento i carabinieri hanno accertato 45 identità fittizie, già sospese con provvedimento di autotutela (e l'interessamento della Prefettura) dal sindaco di Fermo. Quella nel comune marchigiano era divenuta una sorta di prassi: i procuratori sportivi provvedevano a richiedere la cittadinanza italiana per i loro atleti, facendoli militare per qualche tempo in squadre locali, per poi cederli a club di serie superiori. La posizione di alcuni giocatori di serie A sarebbe attualmente al vaglio della procura fermana. I militari del capitano Pasquale Zacheo stanno monitorando anche una ventina gli atleti residenti in appartamenti di proprietà di procuratori sportivi, anche se in realtà vivono altrove.

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Un match delicato che

impone un arbitro straniero

L'innovazione Interpellare una federazione europea potrebbe essere la via maestra, unitamente allo strumento elettronico che sostituisca gli inutili sei arbitri in campo

di RAFFAELE AURIEMMA (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 09-10-2012)

Al fin giunse la sfida delle sfide. Come si voleva, è successo. Come era prevedibile, così sarà. Juventus e Napoli padrone di un campionato nel quale hanno già seminato le avversarie, visibilmente in affanno nella rincorsa a chi guida il gruppo con passo spedito e senza intoppi. Questo sì che è un testa a testa stellare, tra la Vecchia Signora che il 20 ottobre se la vedrà con il calcio moderno di un club che ha saputo rinnovarsi «grazie» alla sciagura di un fallimento annunciato dieci anni prima che venisse ufficialmente sancito dalla Fallimentare del Foro partenopeo. Mancano altri undici giorni eppure Juve-Napoli è come se fosse già cominciata, nei commenti a corredo di una stagione che li vede rivali incontrastati nella corsa al tricolore, ma anche nelle valutazioni preliminari di una sfida che dovrà essere l'emblema del meglio che esprime il calcio italiano. E non solo. L'auspicio, ma non c'è motivo che si verifichi il contrario, è che il «derby del tricolore» venga vissuto con goliardia e competenza, col sorriso sulle labbra e i giusti sfottò prima, durante e dopo il match programmato alle ore 18 di sabato 20 ottobre. Guarda caso, stesso giorno della settimana ed identico orario dell'ultima vittoria azzurra in casa Savoia. Sarà uno spettacolo, dovrà esserlo ed a nessun elemento di contorno, oppure partecipe diretto della gara, sarà permesso di mortificarlo o di inquinarlo, di condizionarlo o di macchiarlo. Sì, a Pechino in Supercoppa si sono create delle ruggini che hanno prodotto frizioni tra società e tifoserie, anche se di recente un incontro tra De Laurentiis ed Elkann ha ricondotto i rapporti nell'alveo della cordialità, come sempre dovrebbe esistere all'interno del calcio. Forse qualcuno lo dimentica, magari lo interpreta alla stregua di un ambiente all'interno del quale scaricare frustrazioni e carenze, ma è pur sempre un gioco che attira milioni di spettatori, molti dei quali bambini al di sotto dei 18 anni. Vinca il migliore, allora, nell'auspicio che prevalga lo spettacolo del calcio, quello che venne a mancare in Giappone soprattutto per le decisioni non corrette e le espulsioni in serie decretate dall'arbitro Mazzoleni. Qual è la figura che sarà presente sul terreno di gioco dello Juventus Stadium e che potrebbe condizionare o rovinare lo spettacolo di un match seguito da mezzo mondo? Indubbiamente l'arbitro. Ma non per incapacità oppure malafede, Dio ci guardi dal pensarlo, unicamente perché trattasi di essere umano e in quanto tale incline alle debolezze che si accentuano quando c'è da prendere decisioni avverse ai potenti. La scelta del designatore Braschi è di quelle che non permette di dormire sereni la notte: chi mandare a Torino per dirigere nel pomeriggio del 20 ottobre? Si vocifera possa essere Orsato e potrebbe andar bene, come non potrebbe. È un rischio comunque, perché nessuno può esser certo che di fronte ad una difficoltà improvvisa, Orsato o chicchessia riesca a mantenere la necessaria serenità interpretativa e che sia scevro dal sentimento comprensibile della «sudditanza psicologica». Si potrebbe ovviare, superando a piè pari il problema, con una scelta forte, ancorchè legittima: chiedere ad un'altra federazione europea di designare un loro arbitro per dirigere una sfida così importante per il prosieguo della stagione agonistica. Impossibile? Certo, ma solo per chi pensa al calcio come qualcosa di statico e da difendere strenuamente per non perdere qualche privilegio. Invece questa potrebbe essere la via maestra, unitamente allo strumento elettronico che sostituisca gli inutili sei arbitri in campo, per rendere il calcio ancora più avvincente, ma soprattutto regolare e rispettoso di quelli che sono i veri valori espressi sul campo di gioco.

Modificato da Ghost Dog

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