Gimli 0 Joined: 10-Dec-2011 122 messaggi Inviato December 28, 2011 L’INTERVISTA Carlo Petrini “Soldi, truffe e doping è il calcio di sempre” di MALCOM PAGANI & ANDREA SCANZI (il Fatto Quotidiano 28-12-2011) Gli è rimasto qualche desiderio. “Mi piacerebbe bere un caffettino”. Ottiene una brodaglia nerastra allungata con l’acqua. Un fondo in cui leggere e diluire passato e presente. Il campo adesso è un divano, la mobilità un’illusione e l’orizzonte un muro di nebbia. “Ho tumori al cervello, al rene e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e dovrei essere già morto da anni. Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di vita. È stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare dalle labbra una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni. Ci sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche”. Ieri, abbattuto dalla leucemia se n’è andato anche Sergio Buso. Saltava da portiere nella Serie A degli anni 70. Quella raccontata da Carlo Petrini, centravanti di Genoa, Milan, Roma, Bologna e di altre stazioni passeggere: “Da mercenario che pensava solo a drogarsi, scopare, incassare assegni e alterare risultati”. Vinse, perse, barò. Scrisse libri su doping e calcioscommesse. Fece nomi e cognomi. Rimase solo. Il Carlo Petrini di ieri non c’è più. Il corpo che un tempo gli serviva per conquistare amori di contrabbando e tribune esigenti tra San Siro e il Paradiso, è un quotidiano inferno che gli presenta conti con gli interessi e cambiali da scontare. A 63 anni, con il vento che scuote Lucca e non lo accarezza più, non c’è Natale o epifania possibile. A metà conversazione, mentre lamenta l’abbandono di chi un tempo gli fu amico: “Ciccio Cordova, Morini, non mi chiama più nessuno”, un segno. Squilla il telefono. La voce di Franco Baldini (San Prezzemolo - ndt). Il dirigente della Roma. Il nemico di Luciano Moggi. Petrini gli parla: “Ho fatto molta chemio. Sto cercando di superare il male. Io spero, Franco. Spero ancora”. Poi lacrima. In silenzio. Rumore di rimpianto. E di irreversibile. Petrini, come si racconterebbe a chi non la conosce? Un presuntuoso. Un ċoglione. Uno che credeva di essere un semidio e morirà come un disgraziato. Ero bello, forte, ricco, invidiato. Avevo tutto e ora non ho niente. Perché? I miei errori iniziarono a metà dei ’60, al Genoa. Siringhe. Sostanze. La chiamavano la bumba. Avevo 20 anni. Non smisi più. Il nostro allenatore, Giorgio Giorgio Ghezzi, ex portiere dell’Inter, ci faceva fare strane punture prima della gara. Un liquido rossastro. Se vincevamo, si continuava. Altrimenti, nuovo preparato. Cosa c’era dentro? Mai saputo. L’anno dopo, disputammo a Bergamo lo spareggio per non retrocedere in C. Il tecnico Campatelli scelse cinque di noi come cavie. Stesso intruglio per tutti. Eravamo indemoniati. La punta, Petroni, sembrava Pelé. Vincemmo 2-0 e, in premio, ebbi il trasferimento al Milan. Perché non vi ribellavate? Venivamo da famiglie poverissime. Mio padre era morto a 40 anni, di Tetano. Rifiutare le punture, le pastiglie di Micoren o le terapie selvagge ai raggi X, significava essere eliminati. Fuori dal circo. Indietro, in cantina, senza ragazze o macchine di lusso. Nei nostri miserabili tinelli, con la puzza di aringa che mia madre metteva in tavola un giorno sì e l’altro anche. Quindi continuò ad assumere sostanze proibite? Ovunque andassi. A Roma il massaggiatore ce lo diceva ridendo: ‘A ragà, forza, fa parte der contratto’. A Milano, dove mi allenava Rocco, feci invece i raggi Roengten per guarire da uno strappo muscolare. Non so se Nereo sapesse. Con me aveva un rapporto particolare: ‘Testa de casso, se avessi il cervello saresti un campiòn’. Di radiazioni Roengten, secondo la famiglia, morì anche Bruno Beatrice. Fu mio compagno a Cesena, Bruno. Se ne andò a 39 anni, a causa di una rara forma di leucemia, tra agonie e sofferenze atroci. Come tanti, troppi altri. Si muore di pallone? Hanno sperimentato su di noi. Non ci curavano, ci uccidevano. Vorrei sapere con quali ausili gli eroi contemporanei disputano 70 incontri l’anno. Lei insinua. Affermo, ma non ho le prove. Nonostante l’impegno di Guariniello, hanno nascosto tutto. Ai nostri tempi le punture le faceva chiunque e un minuto dopo, sentivi un mostro che ti sollevava e ti faceva volare . Chi ha nascosto tutto? Allenatori, calciatori, presidenti. Il sistema che ancora foraggia con le elemosine quelli capaci di non tradire. Gente che ogni mattina si alza con la paura e che continua a tacere anche se oggi, grazie agli ‘aiutini’ farmacologici o è una lapide con un’incisione o recita da vegetale. Di chi parla Petrini? Di quel piccolo uomo di Sandro Mazzola, che ha smesso di parlare al fratello Ferruccio. Di Picchio De Sisti, che nega l’evidenza nonostante la malattia. O del commovente Stefano Borgonovo. Uno che sta molto male, aggredito dalla Sla e che continua a sostenere che il pallone non c’entri nulla. Se non mi facesse piangere, verrebbe da ridere. E invece? Sono triste. Vedendo come sei e come potresti essere, persino peggio di ora, ti vengono mille domande senza risposte. Parliamo di gente che non ha respirato amianto o fumi in miniera. Ha inseguito una sfera e muore nell’indifferenza in una guerra non dichiarata. Non sono un dottore, ma non può non esserci una relazione tra le mie malattie e quelle di altri calciatori. Prova rancore? A volte li sogno. Con i loro sorrisi falsi. Le loro bugie. Vorrei cancellarli. Non ci riesco. Lei fu tra i protagonisti del primo calcioscommesse, quello della primavera 1980. E oggi succede la stessa cosa. Partite combinate, risultati compromessi, soldi gestiti dalla camorra, dalla mafia, dalla ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta forse uccise Bergamini. Lei ci scrisse un libro. Che è servito per riaprire l’inchiesta, dopo più di 20 anni. Bergamini era l’ingenuo, il ragazzo pulito, smarrito in una vicenda più grande di lui. La scoprì, provò a uscirne e lo fecero fuori. Dentro la sua squadra, il Cosenza, c’era chi organizzava traffici di droga. Bergamini era l’anello debole e fu suicidato. Nel suo libro lei ha intervistato anche il compagno di stanza di Bergamini, Michele Padovano, appena condannato per traffico di stupefacenti. Il padre del calciatore Mark Iuliano lo ha chiamato in causa. La sua condanna non mi stupisce. A fine intervista, Padovano si alzò di scatto, mi mandò a fare in ċulo e provò a distruggere la registrazione. Sono sicuro che lui sappia tutto della morte di Denis. Tutto. Bergamini ne subiva l’ascendente. Del padre di Iuliano non so cosa dire, su Mark si raccontavano tante cose, non solo sulla sua presunta tossicodipendenza. Si raccontava che mandasse baci alla panchina rivolti a Montero, un’ipotetica‘ p rova ’ della sua omosessualità. Dica la verità. Lei ce l’ha con la Juve, fin dal 1980. Al contrario. La salvai. Nell’80 giocavo con il Bologna. Bettega chiamò a casa di Savoldi e ci propose l’accordo. Tutto lo spogliatoio del Bologna, tranne Sali e Castronaro, scommise 50 milioni sul pareggio. Prima della partita, nel sottopassaggio, chiesi a Trapattoni e Causio di rispettare i patti: ‘Stai tranquillo, Pedro, calmati’, mi risposero. Tutta la Juve sapeva? Certo. Rivedetevi le immagini, sono su Youtube . Finì 1-1. Errore del nostro portiere, Zinetti e autogol di Brio. Bettega ce lo diceva, durante la partita: ‘State calmi, vi faccio pareggiare io’. La gente ci fischiava e tirava le palle di neve. Una farsa. Quando lo scandalo esplose, Boniperti e Chiusano mi dissero di scovare Cruciani e convincerlo a non testimoniare contro la Juve: se li avessi aiutati, loro avrebbero aiutato me. Fui di parola, incontrai Cruciani al cancello 5 di San Siro, ero mascherato. Una scena surreale. Lui accettò e la Juve si salvò dalla retrocessione. Ma alla fine pagai soltanto io. Le è rimasta la possibilità di raccontare. Neanche quella. Ho dato fastidio a gente potente. Mi hanno minacciato di morte e poi coperto con gli insulti. Per i Savoldi e i Dossena ero un bugiardo, per Rivera un pornografo. Se l’era presa perché lo descrivevo per quello che era, una fighetta. I miserabili sono loro. Mi impedirono di andare persino a parlare nelle scuole. Zitto dovevo stare, ma non ci sono riusciti. E la scrittura? Mi è rimasta solo quella. Il nuovo libro, Lucianone da Monticiano, è ancora su Moggi. Il mio compaesano. Uno che pur squalificato continua a ricattare e a fare il mercato di mezza Serie A. Ma non sarà l’ultimo. Perché? Mi dedicherò a ricordare mio figlio Diego. Morì a 19 anni di tumore, mentre chiedeva di vedermi e io ero in Francia, in fuga dai creditori. Non me lo sono mai perdonato. Gli farò un regalo. Proverò a sentirmi vivo. Sono distrutto e sofferente, ma non mollo. Vivere, ancora, mi piace. Ci sarà tempo? Non è detto. Penso sempre al giorno in cui ci sarà giustizia. Aspetto ma non viene mai. ma non è querelabile? Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
AleGOBBO 0 Joined: 23-Jun-2006 1495 messaggi Inviato December 28, 2011 ma non è querelabile? o almeno eco-compatibile ?? Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
karel 101 Joined: 01-Feb-2007 2391 messaggi Inviato December 28, 2011 (modificato) E' veramente inqualificabile. Da anni, per evitare querele, dice di essere malato terminale. Ormai non ci crede più nessuno: il più longevo terminale di tutti i tempi. E già ha in programma altri 2 libri di cui uno, quello su Moggi evidentemente dettato da Franco Baldini. Sottolineo la porcata scritta a proposito di Iuliano e Montero : 1)quando mai questi è stato in panchina 2) ma ve l'immaginate la scena che descrive Petrini in uno stadio con la telecamera addosso? 3) ma non sono loro che in altri tempi furono addirittura accusati di frequentare prostitute donne in un centro benessere di Torino? Comunque è uno che parla per sentito dire in almeno il 90% delle cose che dice. Sulla partita con il Bologna, che è poi l'unico motivo che ha indotto il milanista Andrea Scanzi e il romanista Malcom Pagani, figlio di Barbara Alberti, ad intervistarlo, dovrebbero partire le querele degli interessati fregandosene altamente che sia o no terminale... da almeno 6 anni. Petrini a (s)parlare nelle scuole. Una cosa rivoltante. Modificato December 28, 2011 da karel Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 28, 2011 Meno male che la settimana scorsa non ho postato l'intervista allo stesso Petrini de l'Unità. Petrini non è querelato anche perché gli si darebbe troppa importanza. Ma nel caso della famigerata combine con il Bologna e delle dettagliate informazioni sulle somministrazioni mediche dell'epoca non credo che le spari grosse. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 28, 2011 E' veramente inqualificabile. Da anni, per evitare querele, dice di essere malato terminale. Ormai non ci crede più nessuno: il più longevo terminale di tutti i tempi. E già ha in programma altri 2 libri di cui uno, quello su Moggi evidentemente dettato da Franco Baldini. Sottolineo la porcata scritta a proposito di Iuliano e Montero : 1)quando mai questi è stato in panchina 2) ma ve l'immaginate la scena che descrive Petrini in uno stadio con la telecamera addosso? 3) ma non sono loro che in altri tempi furono addirittura accusati di frequentare prostitute donne in un centro benessere di Torino? Comunque è uno che parla per sentito dire in almeno il 90% delle cose che dice. Sulla partita con il Bologna, che è poi l'unico motivo che ha indotto il milanista Andrea Scanzi e il romanista Malcom Pagani, figlio di Barbara Alberti, ad intervistarlo, dovrebbero partire le querele degli interessati fregandosene altamente che sia o no terminale... da almeno 6 anni. Petrini a (s)parlare nelle scuole. Una cosa rivoltante. karel, va bene tutto ma non mi toccare(-te) il "canaro" Scanzi, cinofilo ed affettuoso papà di due femmine nere di labrador. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
totojuve 356 Joined: 10-Sep-2006 5257 messaggi Inviato December 28, 2011 Mi ricordo della presunta combine tra Juve e Bologna. L'ufficio inchieste della Figc indagò e parecchio. E voi pensate che con tutto l'odio antijuventino non avrebbero agito nei confronti della Juve? Allora si discusse molto non sull'autogol di Brio, ma su una frase che Causio disse a Trapattoni dopo il gol della Juve: "e ora che facciamo?" Certo che questo Petrini spara a destra e a sinistra. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
totojuve 356 Joined: 10-Sep-2006 5257 messaggi Inviato December 28, 2011 Roma, 28 dic. (Adnkronos) - ''Questo e' un processo mediatico, non e' un processo normale. Nel nostro Paese gli interrogatori sembrano basati sulle indiscrezioni e poi finiscono in televisione. I calciatori coinvolti? Sono quattro sfigati e quando mi hanno detto del match Palermo Bari mi sono messo a ridere, non era certo una partita in cui si poteva modificare. Lasciamo finire le indagini, perche' da quando le scommesse ci sono i giocatori hanno sempre scommesso''. E' quanto affermato in diretta telefonica a Tgcom24 dal presidente del Palermo Calcio, Maurizio Zamparini. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 28, 2011 (modificato) Un Teppista che si fa leggere di MATTEO MARANI dal blog "IL CORSIVO" (Guerin Sportivo.it 28-12-2011) Nino Ciccarelli, storico capo dei Viking interisti, non è un nome qualsiasi nell’universo delle curve. È un cattivo, un duro, un capo, uno che si è fatto dodici anni di galera, tra risse nei parcheggi e successive rapine a mano armata. La decisione di raccontare la sua vita, le sue imprese di ras, a un giornalista della Ģazzetta dello Sport, Giorgio Specchia, fondatore dello stesso gruppo della Nord e amico da sempre, ha permesso di svelare uno spaccato interessante. Ecco: dico interessante. Così ho trovato “Il teppista” (Indiscreto editore), che mi sono letto di un fiato nel pomeriggio di Santo Stefano. So che a Milano, tra i ragazzi della metropoli, il libro sta avendo un grande successo. E non potrebbe essere altrimenti, perché è un testo generazionale, che racconta – partendo dal calcio – i ragazzi nati negli Anni 60. La droga, la politica, le catture ai primini al liceo, la Milano dei paninari e dei punk. Per età, ho vissuto anch’io quella stagione, più nella seconda parte degli Anni 80 che non nella prima. E ricordo, in un’altra curva, con altri colori e con diverso orientamento, personaggi assurdi, stravaganti, violenti. C’era di tutto. L’Occhiolino di cui scrive Ciccarelli, pardon Specchia, drop-out che vive alla Stazione di Milano, è appartenuto a tantissime curve. E così i Lamieroni, che altrove si chiamavano carro-bestiame. I treni, le notti in viaggio per andare a vedere la propria squadra perdere, Ascoli dove si finiva sempre sotto la sassaiola dei tifosi di casa e che nell’89 vide la tragedia di Nazzareno Filippini. È stato un tempo, un’esperienza comune per molti. Nelle curve c’era di tutto. Forse più di oggi, anche se non ci metto piede da troppi tempo per fare dichiarazioni. Disperati e universitari, tossici e futuri architetti. Un collage sociale che i giornali non hanno mai capito, nemmeno le generazioni più giovani. E su questo la penso esattamente come Specchia, pardon Ciccarelli. Luoghi comuni, ghettizzazione, semplificazioni che finiscono sempre per fare il gioco dei violenti, di chi vuole estremizzare lo scontro con il resto del mondo. Nino Ciccarelli confessa anche di giocatori interisti trovati nei privèe strafatti e strabevuti, con mignotte al loro fianco. Brasiliani che festeggiano fino all’alba, prima di una partita di campionato, con tanto di trans. Se lo avesse scritto un qualunque altro personaggio, per esempio un giornalista, si sarebbe beccato la reazione stizzita della società. Magari una querela. Invece tutti tacciono. Non possono certo accusare Ciccarelli di avercela con l’Inter. Modificato December 28, 2011 da Ghost Dog Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 28, 2011 Un Teppista che si fa leggere di MATTEO MARANI dal blog "IL CORSIVO" (Guerin Sportivo.it 28-12-2011) Nino Ciccarelli, storico capo dei Viking interisti, non è un nome qualsiasi nell’universo delle curve. È un cattivo, un duro, un capo, uno che si è fatto dodici anni di galera, tra risse nei parcheggi e successive rapine a mano armata. La decisione di raccontare la sua vita, le sue imprese di ras, a un giornalista della Ģazzetta dello Sport, Giorgio Specchia, fondatore dello stesso gruppo della Nord e amico da sempre, ha permesso di svelare uno spaccato interessante. Dopo quest'ulteriore perla di affiliati con la Gazza io non ho più parole. Solo Moggi e Giraudo restano marci a prescindere per i candidi. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Gimli 0 Joined: 10-Dec-2011 122 messaggi Inviato December 28, 2011 Dopo quest'ulteriore perla di affiliati con la Gazza io non ho più parole. Solo Moggi e Giraudo restano marci a prescindere per i candidi. già in questo caso uno che ha fatto 12 anno è un dio.pazzesco Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Gimli 0 Joined: 10-Dec-2011 122 messaggi Inviato December 29, 2011 moggi farebbe il mercato di mezza serie a??ci devo credere?e come? Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
huskylover 0 Joined: 30-Aug-2006 776 messaggi Inviato December 29, 2011 NAZIONE INFETTA, CALCIO CORROTTO – DUE LE PARTITE DELLA LAZIO PRESUNTE TAROCCATE - GERVASONI, EX DIFENSORE DEL PIACENZA, HA RACCONTATO LA STRATEGIA DEGLI “ZINGARI” DELL'EST EUROPEO CHE ERANO CONSIDERATI IL BRACCIO ARMATO DEL GRUPPO DI SINGAPORE: “VOLEVANO COMPRARE INTERE SQUADRE” - SPUNTA UNA TALPA NELLA LEGA CALCIO CHE AVREBBE INFORMATO DELLO STATO DELL’INCHIESTA DONI E BETTARINI. È PROPRIO L’EX GANZO DELLA VENTURA A PARLARNE IN UNA INTERCETTAZIONE TELEFONICA REGISTRATA DALLA POLIZIA… 1- GARE SOSPETTE, C'E' ANCHE LA LAZIO di Cristiana Mangani e Massimo Martinelli per Il Messaggero L'onda lunga dello scandalo era gonfia di fango fino a pochi mesi fa, a maggio 2011. E avrebbe sporcato anche la Capitale, almeno a sentire il più loquace degli indagati interrogati finora, Carlo Gervasoni, ex difensore del Piacenza. E' stato lui a consegnare nelle mani del gip Guido Salvini e del pm Roberto Di Martino, il tabellino di due partite della Lazio, all'Olimpico con il Genoa e con il Lecce in trasferta, (entrambe vinte dai biancoazzurri per 4 a 2) indicandole come truccate. E poi un'altra, Palermo-Bari, finita 2 a 1, anch'essa - a suo dire - taroccata. E poi i nomi, circa una ventina. Tre dei quali di rilievo, inediti, sui quali la procura di Cremona deve ancora terminare le verifiche: due di loro hanno addirittura vestito la maglia azzurra nel recente passato. Il più in vista è un centrocampista della Lazio Calcio e anche della Nazionale, che ha superato da poco la trentina. Secondo Gervasoni sarebbe l'infiltrato degli Zingari nello spogliatoio di Formello, quello che di volta in volta valutava la disponibilità di compagni di squadra e avversari per addomesticare i risultati. Per gli inquirenti, invece, è proprio l'uomo sul quale occorre essere il più cauti possibile, perché la sua posizione deve essere ancora verificata. Secca la smentita della società, a parlare è Stefano De Martino il portavoce: «La Lazio è totalmente estranea a qualsiasi indagine sul calcioscommesse. Come sono estranei i suoi dirigenti e i suoi calciatori». Tuttavia un primo riscontro ai tentativi di «combine» sulle partite della Lazio è arrivato nella serata di ieri anche dal difensore Alessandro Zamperini (l'uomo che provò a offrire duecentomila euro a Simone Farina del Gubbio), che è stato ascoltato dagli inquirenti subito dopo Gervasoni. Zamperini, già squalificato da mesi e poi arrestato nella maxi retata del 19 dicembre scorso, avrebbe confermato di aver provato a influenzare il risultato di quel Lecce-Lazio del 22 maggio scorso, senza però riuscirci. I magistrati gli hanno contestato che nei giorni del match, in un albergo pugliese era alloggiato uno dei sodali dell'organizzazione, Hristian Ilievski, che difficilmente si sarebbe mosso per una partita sulla quale non c'era un accordo sicuro. Ma il suo legale, Roberto Ruggiero, avrebbe fatto presente che tutti gli accertamenti bancari sul suo cliente avrebbero escluso passaggi di denaro sospetti, che invece sarebbero risultati nel caso di una sua partecipazione attiva al sodalizio criminale. Ci sono poi altri due giocatori di serie A, citati da Gervasoni. Il primo è un ex attaccante che ha militato in nazionale under 21 e nella nazionale maggiore dopo aver esordito in serie A a soli 15 anni: secondo Gervasoni avrebbe contribuito a truccare almeno un Chievo-Novara di Coppa Italia finito tre a zero. L'altro è un difensore che oggi è in forza al Bologna, ma che avrebbe avuto contatti con l'organizzazione criminale quando era suo compagno di squadra nelle file del Piacenza. Secondo Gervasoni avrebbe contribuito a influenzare il risultato di Atalanta-Piacenza del 19 marzo scorso, quando un rigore fu provocato proprio da plateale colpo d'anca dello stesso Gervasoni. Nel suo verbale ci sono poi le conferme al lavoro degli inquirenti, con l'indicazione dei calciatori che gravitavano nell'ambiente del Grosseto Calcio e che avrebbero contribuito in maniera diversa alla realizzazione di combine: da Paolo Acerbis a Matteo Gritti, da Josè Ignacio Joelson a Kawelly Conteh, a Riccardo Fissore, Marco Turati, Mario Cassano, Alessandro Pellicori fino a Cristian Bertani. Per ognuno di loro, Gervasoni avrebbe raccontato un dettaglio imbarazzante, che gli investigatori si stanno preoccupando di verificare. Ma oltre a nomi, date, incontri, Gervasoni ha raccontato anche la strategia dei predoni del calcio italiani, cioè del vertice del gruppo degli «zingari» dell'Est europeo, che erano considerati il braccio armato del gruppo di Singapore, al quale fa capo il sistema delle scommesse messo a fuoco dall'inchiesta della procura di Cremona: «Volevano comprare intere squadre», avrebbe rivelato il calciatore agli inquirenti. Sarebbe stato questo il perfezionamento di un sistema che già lo scorso anno consentiva di scommettere anche sei milioni e mezzo sulle partite di serie B. Non ci riuscirono, ha precisato Gervasoni. Se ce l'avessero fatta, se avessero avuto la certezza matematica di scommettere sul sicuro, probabilmente, il volume delle giocate sarebbe diventato elevatissimo. Tale da imporre alla banda l'organizzazione di un sistema di raccolta delle scommesse alternativo a quello ufficiale per evitare ogni controllo 2- LA SEGRETARIA DEL GIUDICE SPORTIVO LA TALPA CHE INFORMAVA I GIOCATORI C.Man. e M.Mart. per Il Messaggero Spunta una talpa nella Lega Calcio che avrebbe informato dello stato dell'inchiesta Cristiano Doni e Stefano Bettarini. È proprio Bettarini a parlarne in una intercettazione telefonica registrata dalla polizia nello stesso giorno in cui l'ex calciatore è stato sentito dalla giustizia sportiva. Subito dopo l'incontro, l'ex marito di Simona Ventura ha chiamato Stefania Ginesio, segretaria del Giudice sportivo, dalla quale, secondo le indagini, lui e altri calciatori raccoglievano informazioni sulle inchieste, e le ha detto: «Li ho spiazzati», ammettendo di scommettere ogni tanto e ammettendo di essere stato tesserato dal Chievo «per pubblicità». La telefonata viene fatta il 7 luglio. Bettarini dice: «Sono andato, mi hanno chiesto: "Ma lei scommette?" E io: "Certo! Ogni tanto scommettevo". Una volta che ho letto le intercettazioni ho capito che nascondere era una cagata micidiale». E Ginesio risponde: «Esatto. Quindi li hai spiazzati». «E li ho spiazzati - insiste l'ex calciatore - però, quello che ti voglio dire è che loro... Io volevo evitare di dirlo, perché per non andare incontro alla sanzione, capito? Che però, secondo me, se capiscono che io non ero un atleta tesserato, ma solo tesserato per pubblicità, eh». «No - replica la donna - sei fuori comunque... ma sicuramente non possono farti niente, se non giocavi, non hai mai scommesso sul Chievo, cioè non c'entri un c... col Chievo, quindi. Non possono darti la squalifica per te che non giocavi più, capito? Perché tu non stavi più giocando». Bettarini: «No, a me più che la squalifica, mi preoccupa la multa». Ginesio: «Beh chiaro... Ma no, secondo me tu... non ti daranno neanche la multa vedrai». La presenza di una talpa viene confermata anche dall'ex idolo dei tifosi atalantini Cristiano Doni che, in fibrillazione prima di comparire davanti al procuratore sportivo Stefano Palazzi, non ha esitato a cercare l'aggancio in Lega calcio a Milano, con il suo collega Thomas Manfredini e con Bettarini. Nelle migliaia di atti depositati nell'inchiesta, infatti, si legge che da Stefania Ginesio i calciatori ricevevano «particolari dell'inchiesta diversamente a loro sconosciuti» e ricevevano «preziosi consigli sulla strategia da riferire ai propri legali per contrastare le accuse del procuratore federale». In alcune conversazioni, annotano gli agenti della polizia di Stato, la donna «non nasconde di poter arrivare facilmente a raggiungere gli appartenenti alla Commissione per indirizzare la sentenza in favore dei calciatori, anche se poi non emerge alcun elemento che possa avvalorare questa sua possibilità». «È comunque indubbio - concludono gli investigatori - che la stessa, appartenendo comunque all'organo federale della Lega Calcio, possa di conseguenza facilmente riconoscere alcuni membri della Commissione giudicante». Stando a quanto raccontato da Doni nell'interrogatorio, poi, la manipolazione della partita che più l'ha inguaiato, Atalanta-Piacenza, del 19 marzo 2001, serviva proprio a far ottenere alla squadra la serie A. «Io per l'Atalanta ho sempre giocato con il massimo impegno - ha spiegato al Gip Guido Salvini e al procuratore della Repubblica Roberto Di Martino nell'interrogatorio di garanzia - e non ho guadagnato nulla dai fatti che ho raccontato». Fu avvicinato per Ascoli-Atalanta, sempre dello scorso campionato, ma ha raccontato di non avere voluto incontrare l'ascolano Micolucci, coinvolto nella combine, e ha aggiunto di non avere avuto la sensazione di una particolare arrendevolezza da parte dell'Ascoli nel corso della partita durante la quale, tra l'altro, era in panchina». Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 29, 2011 I MAGISTRATI E L’ICEBERG CALCIOPOLI È LONTANA di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 29-12-2011) Guardare gli iceberg dal di sotto è uno dei compiti, anzi dei doveri della magistratura. Ed è giusto, giustissimo indagare in modo prudente ma fermo sul nuovo versante delle scommesse: perché tutti vogliamo sapere quanto ghiaccio ci sia sotto la superficie dell’immane vergogna, un ghiaccio capace purtroppo di gelare passioni e illusioni. Però è altrettanto giusto sapere, meglio presto che tardi, se una parte di quel ghiaccio non sia soltanto un riflesso nell’acqua, insomma una specie di illusione ottica. Perché, a cominciare dal battesimo scelto dagli inquirenti, “Calciopoli bis”, i toni di questa vicenda appaiono un po’ eccessivi, forse sovradimensionati. Infatti Calciopoli, la prima e ineguagliabile (diffidare dalle imitazioni), mise in luce un apparato delinquenziale parallelo, capace di controllare le designazioni arbitrali e falsare l’esito sportivo dei campionati. Al momento, questa viscida evoluzione della specie rimane semmai un bieco sottobosco di millantatori, truccatori da strapazzo e mezze tacche. Personaggi da commedia all’italiana si muovono come in un film di terz’ordine, parlano come mangiano, cioè male e impiastricciandosi tutti col sugo. Se da un lato l’inchiesta mostrerebbe scenari internazionali e un modello deviante globalizzato, dall’altro siamo rimasti ai rubagalline, a quelli che assicurano di conoscere Tizio e Caio senza averli magari mai visti. Per dirla tutta, una massa di sfigati, però pericolosi. I protagonisti delle intercettazioni, a parte il fantozziano Doni i cui gesti si commentano da soli, fanno rabbia e mettono tristezza. Raffigurano il calciatore che non è mai stato nessuno. Non accettano la fine di una carriera in fondo mai davvero esistita, trovano gloria malata e luce tardiva, sinistra, giocando la partita del malaffare. Quanti altri rappresentano? Quanto marciume esiste, a parte quello ascoltato nei telefonini? (E c’è ancora qualcuno, in questo bizzarro Paese, che se la prende con le intercettazioni). E’ una faccenda tutta da svelare, e saranno grossi problemi anche per la giustizia sportiva che promette tempi rapidi man mano che arrivano le carte, ma per forza di cose sarà giustizia sommaria a processo penale in corso: un film già visto, di nuovo. Infine, si deve capire se nel ghiaccio sotto l’iceberg ci sono anche i campioni, i nomi grossi tirati in ballo e già smentiti da legali e magistrati. Il calcio marcio ci ha abituati a tutto, però attenzione alle sentenze prima del tempo, alle false testimonianze e ai bugiardi. Perché con la giustizia non si scherza, ma con le persone ancora meno. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
ampeg 5826 Joined: 17-Apr-2007 31030 messaggi Inviato December 29, 2011 I MAGISTRATI E L’ICEBERG CALCIOPOLI È LONTANA di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 29-12-2011) quante cavolate che scrivono questi prezzolati da 4 soldi (spesi male) una partita falsata è certamente falsata se si accerta che ad indirizzare il risultato siano i giocatori stessi, più falsata di così... cosa vuoi di più... in calciopoli c'erano solo chiacchere e distintivo (cit.) Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 29, 2011 ANSA) - ROMA, 28 DIC - Cinque giocatori, sette presidenti e dieci club deferiti alla Disciplinare dal procuratore federale Stefano Palazzi per l'inchiesta 'Premiopoli', sull'attivita' di intermediazione svolta da Fabrizio Ferrari in favore di societa' dilettantistiche e professionistiche per il pagamento dei premi di preparazione e alla carriera. Tra i giocatori deferiti, Simone Pesce e Francesco Millesi. Tra i club, per responsabilita' oggettiva, Ascoli, Catania, Frosinone e Paganese. TRA I GIOCATORI PESCE E MILLESI Premiopoli, ecco i deferimenti Ci sono anche Catania e Ascoli di SIMONE DI STEFANO (Tuttosport 29-12-2011) ROMA. Sembrava quasi esser diventata l’inchiesta di Pulcinella, una specie di Odissea senza fine. Con due proroghe, altrettante dimissioni sospette e faldoni spariti all’improvviso dagli uffici della Procura federale la scorsa estate. Ieri, dopo mille peripezie, il procuratore federale Stefano Palazzi ha emesso i deferimenti di “Premiopoli”, l’indagine incentrata sull’attività di «intermediazione e consulenza svolta da Fabrizio Ferrari in favore di società dilettantistiche e professionistiche, in ordine al pagamento di premi di preparazione ed alla carriera», un sistema che però veniva spesso raggirato con false autocertificazioni. Per questo (e altri per non essersi presentati a deporre in procura) sono stati deferiti alla Disciplinare cinque giocatori, sette presidenti e dieci club. Palazzi ha deferito tutti per violazione dell’articolo 1 (lealtà e probità sportiva), oltre a Ferrari cinque calciatori tra cui Simone Pesce, al tempo dei fatti tesserato per l’Ascoli e ora al Novara; e Francesco Millesi, ai tempi del Catania e ora all’Avellino; per responsabilità oggettiva, tra gli altri, il Frosinone, l’Ascoli, la Paganese e il Catania. In una nota separata inoltre, Palazzi comunica che «è stata sottoposta al presidente federale, per quanto di sua eventuale competenza ai sensi degli art. 10 e 36 Noif, la posizione di una persona che, all’epoca dei fatti, era collaboratore della Federazione». Si tratterebbe di Amerigo Pichi, ex professore di matematica in ottimi rapporti personali con Abete e considerato l’uomo chiave di questa storia, quello che in Figc avevano soprannominato «semaforo» in quanto era lui a decidere se accogliere o meno le richieste, e che nell’agosto 2010 si dimisse all’improvviso dopo alcune deposizioni sul suo conto. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Tokio96 4 Joined: 15-Apr-2007 711 messaggi Inviato December 29, 2011 I MAGISTRATI E L’ICEBERG CALCIOPOLI È LONTANA di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 29-12-2011) .... stanno scoperchiando un'organizzazione malavitosa ramificata e questo ha il coraggio di fare paragoni con calciopoli. il magistrato riceve lettere minatorie con proiettili e questo parla di paparesta chiuso negli spogliatoi e del processo di biscardi Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 29, 2011 (modificato) Il destino di Enke di JUAN VILLORO* (Internazionale 930 | 30 dicembre 2011) Il 10 novembre 2009 Robert Enke, il portiere della nazionale tedesca, è sceso in campo per l’ultima volta. Ha detto a sua moglie che andava ad allenarsi, è salito sulla sua Mercedes 4x4 e si è diretto verso un piccolo paese con un nome che forse gli sarà sembrato significativo: Himmelreich, regno del cielo. Lì vicino c’è un campo dove passa la ferrovia. Il portiere ha lasciato il portafoglio e le chiavi sul sedile della macchina, e non si è neanche preso la briga di chiudere lo sportello. Ha camminato sotto la pioggia, come aveva fatto molte altre volte per difendere la porta del Carl Zeiss Jena, del Borussia Mönchengladbach, del Benica, del Barcellona, del Fenerbahçe, del Tenerife o dell’Hannover 96. A duecento metri, cioè a circa due campi da calcio di distanza, era seppellita sua figlia Lara, morta all’età di due anni. Un portiere esemplare, Albert Camus, lasciò i campi polverosi dell’Algeria per dedicarsi alla letteratura. Abituato a essere fucilato ai rigori, scrisse un saggio acceso contro la pena di morte. La sua prima lezione morale la imparò giocando a calcio. Anni dopo avrebbe scritto: “Non c’è che un problema filosofico realmente serio: il suicidio”. Morire a rate è la specialità del portiere. Eppure in pochi passano dalla morte simbolica di un gol all’annientamento della loro stessa vita. Enke si è spinto oltre la maggior parte dei suoi colleghi. La sua morte, di per sé dolorosa, si trascina un altro enigma: era all’apice della carriera e avrebbe potuto difendere la porta del suo paese ai Mondiali del Sudafrica. Di solito il numero 1 della Germania esercita una leadership inflessibile. Sepp Maier, Toni Schumacher, Oliver Kahn e Jens Lehmann si piazzavano tra i pali con la sicurezza dei custodi veterani. I portieri tedeschi invecchiano come se la pensione non esistesse e gli anni dessero più energie. Enke aveva 32 anni, attraversava un buon momento sportivo, ma gli mancava un tratto fondamentale dei grandi portieri tedeschi: era un uomo della retroguardia che non amava la notorietà, parlava poco di se stesso e serbava segreti di cui quasi nessuno era a conoscenza. Forse il successo ha contribuito alla sua tensione nervosa. Il ruolo da titolare in nazionale sembrava essere a portata di mano e avrebbe comportato nuove sfide. Nella strana roulette interna che Enke s’imponeva sarebbe stato meglio un fallimento. Odiava la pressione, ma dall’età di 8 anni, quando entrò nei pulcini del Carl Zeiss Jena, pensava solo a intercettare palloni. I bambini vogliono fare quasi sempre gli attaccanti. Solo i grassi, quelli molto alti, i lenti o gli strani si rassegnano a ricoprire il ruolo che li obbliga a lanciarsi per terra e a sporcare i vestiti nel cortile della scuola. Il numero 1 è l’ultimo della squadra. È l’ultima risorsa. Solo dove si dà molto valore alla resistenza il portiere diventa un beniamino. In Germania anche gli intellettuali hanno le loro ferite. Max Weber sfoggiava con orgoglio la cicatrice che gli aveva lasciato un duello con un componente di una (con)fraternita studentesca nemica. Il bambino che sceglie di fare il portiere ha le ginocchia sbucciate e si sporca con il fango del sacrificio. Nel paese dove Sepp Maier fabbricava guanti bianchi per affrontare un destino oscuro, Enke scelse di fare il portiere. Il calcio professionistico può invadere un organismo e prenderne possesso. Per chi cresce in quest’ambiente, la realtà è fatta di tragitti in pullman tra una partita e l’altra. Nella sua mente ci sono solo il prato, il pallone e i passaggi veloci. C’è un aspetto decisivo a cui si dà poco peso: il modo in cui una persona si svuota di tutto il resto per diventare un calciatore al 100 per cento. Il paradosso è che i giocatori più completi sono quelli che conservano altre passioni, che siano le tagliatelle della mamma, i numeri privati delle top model o l’amore per il rock o la samba. Enke era un fondamentalista del calcio, un puritano che non pensava a nient’altro e che preferiva vestirsi di nero come i portieri di un tempo, che ogni domenica emulavano i sacerdoti. Difendere il destino della Germania ai Mondiali del 2010 poteva portarlo alla gloria. Senza quell’opportunità decisiva, Enke sarebbe stato più sereno. I suoi veri problemi professionali risalivano a un po’ di tempo prima. Enke debuttò con il Carl Zeiss Jena nel 1995, ma rimase nella squadra solo una stagione. Dopo vari anni passati nel Borussia Mönchengladbach riuscì a fare il salto in una grande squadra europea, la squadra portoghese del Benfica. I tifosi lo amavano, ma la squadra attraversava un periodo difficile. In un anno si erano alternati tre allenatori e allora Enke decise di accettare un posto più allettante, senza sapere che sarebbe stato il peggiore della sua vita. “Nessun ruolo nel calcio ti mette alla prova come essere il portiere del Barcellona”, disse in seguito. Nella sofferta era del dispotico Louis van Gaal, Enke è stato il fragile difensore della porta del Barcellona. Gli danno ancora la colpa dell’eliminazione dalla Coppa del Re contro una squadra di terza divisione. Il Barcellona ti consacra o ti annienta. Al Barcellona Maradona si è dato alla cocaina e Ronaldinho ha trionfato e ha provato a superare la pressione del successo con la variante brasiliana della psicoanalisi: le discoteche. E al Barcellona Enke ha sofferto i suoi momenti di depressione più forte. Con rassegnazione, l’emigrato tedesco ha accettato di difendere la porta del Fenerbahçe, in Turchia, e da lì è passato a una piccola isola europea: è stato portiere del Tenerife, in seconda divisione. Quando nella sua biograia abbozzata si profilava un fallimento, ha avuto l’opportunità di tornare in Germania con l’Hannover 96. L’esperienza è la grande alleata dei portieri e Robert Enke ha dimostrato di meritare una seconda opportunità. La rivista Kicker l’ha nominato miglior portiere tedesco. Alcuni giocatori non sono fatti per uscire dal proprio paese, ma se ne rendono conto solo quando si ritrovano sotto i piedi un campo da calcio straniero. Enke aveva bisogno della terra tedesca. Tornato nel suo ambiente, ha recuperato la regolarità e la forza. A quel punto la vita privata lo ha messo davanti a delle sfide terribili: sua figlia di due anni, Lara, è morta per un’insufficienza cardiaca. Lui e la moglie hanno adottato un’altra bambina, Leila. Il portiere si sentiva più sicuro di sé, ma la sua paranoia ha trovato un’altra via di fuga: temeva che si scoprisse la sua depressione e aveva paura di perdere la custodia della figlia. Ovviamente era una fantasia di autodistruzione. Il numero 1 soffriva spesso di depressione, anche se il sostegno non gli mancava. Sua moglie era diventata un misto tra un’infermiera e una consulente sentimentale, e suo padre, Dirk Enke, fa lo psicoterapeuta. Il dottor Enke ha cercato di sminuire l’importanza che il figlio dava al calcio. Gli mandava dei messaggi per chiedergli come stava, ripetendogli che il benessere personale è più importante dei trionfi sportivi. Ma ormai era tardi per la pedagogia: Robert Enke aveva ricevuto la sua vera educazione in campo. Il calcio di alto livello richiede prestazioni estreme. In quell’ambiente, quando qualcuno si sente male, si dice che non potrà giocare perché è stato colpito da un “virus”. Non c’è spazio per i problemi personali: solo i deboli ne hanno. Forse la Germania ha inventato l’aspirina come un paradosso per ricordare che niente è più importante della sopportazione del dolore. Nella mia scuola tedesca avevo un maestro che dal dentista si faceva curare senza anestesia. Ce lo raccontava come se fosse un trionfo morale. A sette partite dal ritiro Toni Schumacher, ex portiere della nazionale tedesca con un’aria da moschettiere, diventato tristemente famoso per aver privato di alcuni denti il francese Battiston ai Mondiali di Spagna, concesse un’intervista ad André Müller per il settimanale Die Zeit. Il risultato fu una confessione degna di un monologo teatrale. In quel momento il portiere giocava in Turchia ed era stato espulso dalla nazionale per le sue dichiarazioni sulla corruzione e sull’uso di droghe nella Bundesliga. Nel suo ultimo lamento da portiere disse: “La gente crede che io sia freddo perché sopporto il dolore. Una volta ho chiesto a mia moglie di spegnermi una sigaretta sul braccio e ho sofferto come avrebbe fatto chiunque. Ho ancora la cicatrice. Volevo dimostrare che è possibile sopportare quello che si vuole. Non sono un pezzo di ghiaccio. Sono vulnerabile come chiunque altro. Sono solo brutale con me stesso. Non sono un genio come Beckenbauer. Non ho ereditato niente. Siamo nel purgatorio. Quando non sentirò più dolore, sarò morto”. L’area piccola della Germania è un purgatorio all’aria aperta. Nel 1897 Émile Durkheim pubblicò la sua monumentale ricerca sociologica Il suicidio. In quell’opera associò la tendenza di alcune persone a volersi togliere la vita all’anomia sofferta da tutta la società. Il malessere collettivo influisce in modo diffuso, ma decisivo, nella ripetizione delle tragedie dei singoli. In altre parole: le cause del suicidio sono sempre individuali, ma alla fine dell’anno la quota stabilita dalla società è inevitabilmente raggiunta. Quale paese manifesta le tendenze suicide più forti? “Di tutti i popoli germanici ce n’è uno particolarmente incline al suicidio: i tedeschi”, sostiene Durkheim. Sarebbe semplicistico pensare a Enke come l’espressione di una tendenza nazionale, ma senza dubbio ha vissuto in un ambiente estremamente esigente dove non c’era spazio per le scuse. Non ha rispettato un codice di onore samurai riconoscibile dai suoi pari. Nella cerimonia di addio che si è tenuta nello stadio dell’Hannover 96, la sofferenza ha investito tutto il calcio tedesco e probabilmente è diventata uno stimolo per futuri trionfi. Trasformare il calvario in un successo è stata una specialità tedesca ai Mondiali. Portento di dedizione e disciplina, la nazione che ha conquistato tre volte la coppa del mondo ed è stata quattro volte vicecampione, è composta per lo più da nevrotici che non si parlano negli spogliatoi, ma in campo diventano alleati indistruttibili. “Il portiere della nazionale è un simbolo di forza fisica”, ha scritto Der Spiegel su Enke. “Dev’essere irreprensibile. Controllato. Sicuro di sé. Non c’è ruolo più difficile nel calcio, ed Enke l’aveva ottenuto”. Gli amici e i familiari che gli erano più vicini conoscevano la severità con cui si giudicava e la sua fragilità. “Non si godeva niente”, ha detto il padre, il terapeuta Enke. Non è possibile curare l’anima di un portiere. Non basta sapere di star bene: la sconfitta decisiva può arrivare la domenica successiva. Quando l’ultimo uomo della squadra perde la concentrazione, il suo destino è segnato. Moacir Barbosa fu il primo portiere nero della nazionale brasiliana ed ebbe una carriera di tutto rispetto, ma molti lo ricorderanno per l’errore nella finale al Maracanã, nel 1950, che impedì al Brasile di vincere i mondiali. La responsabilità del portiere è assoluta. Ci sono attaccanti che hanno bisogno di dieci opportunità per fare centro ed escono orgogliosi dal campo. Invece l’uomo dei guanti non può distrarsi. Il suo ruolo è definito sulla base dei possibili sbagli. “Vorrei essere una macchina”, ha detto una volta Schumacher. “Mi odio quando commetto degli errori. Come potrei combattere se non m’importasse niente del risultato? La nostra è un’enorme fabbrica. Quando non funzioni, sei rimpiazzato dal primo che aspetta in fila. Forse solo la morte cura la depressione”. Era un presagio dell’esigente destino che, quasi vent’anni dopo, è toccato in sorte a uno dei suoi successori. Il portiere è il giocatore che ha più tempo per riflettere. Non per niente è una persona molto preoccupata. Alcuni portieri cercano di tenere a bada i nervi con la superstizione (sputano sulla linea di porta, sistemano una mascotte portafortuna accanto alla rete, pregano in ginocchio, indossano i guanti logori regalati da una fidanzata che non hanno voluto sposare ma gli ha portato bene). Altri cercano di vincere la preoccupazione con la superbia, considerando che un gol contro non vale nulla. Ma è raro che non abbiano un’anima tormentata. Schumacher trasformava questa tensione in drammaturgia: “A volte mi concentro con l’odio e provoco il pubblico. Non gioco solo contro gli altri undici uomini. Sono più forte quando sono circondato dai nemici. Quando la mėrda mi ricopre so che posso comunque resistere. Un atleta non diventa creativo con l’amore, ma con l’odio”. Enke non ha mai avuto la lucidità di trasformare in forza le emozioni negative, ma aveva ereditato la porta di Schumacher e le sue reti tese dalla furia. Nel calcio ogni ruolo corrisponde a un profilo psicologico. Il portiere è un uomo minacciato. In nessun altro mestiere la paranoia torna così utile. Il numero 1 è un professionista del sospetto e della sfiducia: in qualsiasi momento la palla può avanzare contro di lui. Il grande paradosso di quest’atleta, che vive in continua tensione, è che deve tranquillizzare gli altri. Nel libro Una vida entre tres palos y tres líneas Andoni Zubizarreta ha scritto: “Quando mi domandano qual è la virtù più importante del portiere, rispondo senza esitare che è quella di dare fiducia agli altri giocatori”. La squadra deve lanciarsi in avanti senza pensare a chi le copre le spalle. “È chiaro che per non trasmettere dubbi è fondamentale non averne”, aggiunge Zubizarreta. “Il portiere non può essere insicuro”. Il portiere, inquilino dello sconcerto, vive per mascherare il suo stato d’animo. È il parafulmini, il fusibile che salta per impedire danni più gravi. Peter Handke ha raccontato la trama di un’esistenza con un titolo che allude all’uomo fucilato: Prima del calcio di rigore. Il romanzo non parla del calcio, ma delle vicissitudini di un uomo che è stato in porta. La situazione limite del portiere è il rigore. In questo senso la paura del rigore di cui parla Handke è vera. Ma la vera angoscia dell’ultimo uomo non è quella. Il tiro da undici metri di distanza è una fucilazione che offre scarse probabilità di sopravvivenza. Il portiere che impedisce un gol fa un miracolo. Schumacher è d’accordo: “Da un rigore posso solo uscire vincente. È chi tira ad avere paura. Ogni rigore è un gol al cento per cento. Matematicamente il portiere non ha nessuna possibilità. Se il pallone entra in rete non ho niente da rimproverarmi. Se lo paro, sono il re”. Alcuni portieri sono stati meravigliosamente irresponsabili, buffoni in grado di trasformare il pericolo in uno strano piacere. L’argentino Hugo Orlando Gatti e il colombiano René Higuita hanno trasformato la loro imprudenza in divertimento. A entrambi piaceva uscire dall’area e affrontare gli avversari in un confronto solitario. Gatti non era mai così felice come quando faceva “il Cristo” davanti a un attaccante che cercava di schivarlo. Higuita ebbe il coraggio di rinviare la palla sulla linea di porta usando i suoi piedi come il pungiglione di uno scorpione. Quella piroetta della fantasia non avvenne in allenamento ma a Wembley, il santuario del calcio. I portieri tedeschi non sono così. Sono uomini che si concedono di essere eccentrici solo quando sono completamente pazzi, ma analizzano il campo come la Critica della ragion pura. Questo non li porta alla sobrietà, ma al sacrificio. Il romanticismo tedesco non consiste in una dichiarazione d’amore ma nell’avvelenarsi con l’arsenico per amore. Ancora Schumacher: “Quando mi lancio ai piedi di chi corre nella mia direzione non penso che potrebbe darmi un calcio in un occhio. Ho giocato con le dita rotte, il naso rotto, le costole rotte e le reni a pezzi. Ho i legamenti strappati. Mi hanno tolto i menischi. Ho un’artrosi terribile. Vado a dormire pieno di dolori e mi sveglio pieno di dolori”. È una lamentela? Ovviamente no. Con la stessa felicità con cui Heinrich von Kleist condivise il patto suicida con la sua amata e si fece saltare il cervello dopo averle sparato al cuore, Schumacher spiega che ne è valsa la pena: “Per arrivare in cima bisogna essere fanatici. La tortura forse serve a distrarmi. Per non preoccuparmi vado in palestra e tiro pugni contro un sacco di sabbia fino a quando non mi sanguinano le mani”. Robert Enke aveva una strana sete di serenità. Non voleva essere un artista del dolore come l’inimitabile Schumacher. Ma come spiega lucidamente suo padre, Enke “non è stato abbastanza forte per accettare le sue debolezze”. Ha preferito nascondersi e negare la sua sofferenza, come uno studente che ha paura di essere punito. Durante i suoi anni a Cambridge, Vladimir Nabokov si conquistò una certa fama come portiere. Oltre al piacere d’intercettare la palla, approfittava del prestigio da don Giovanni che il ruolo da portiere garantisce tra i latini e gli slavi. In alcuni paesi il numero 1 è un simbolo dell’estetica sul campo e ha più fortuna in amore dei centrocampisti o degli attaccanti. Lev Jašin, il Ragno nero, era l’emblema perfetto del portiere russo: elegante, con una sicurezza quasi mistica, insondabile come un agente segreto o un pope della chiesa ortodossa. I suoi equivalenti latini potrebbero essere Dino Zoff o Gianluigi Buffon, atleti che si muovono poco ma esercitano una vigilanza efficace da boss mafiosi, controllando il duro lavoro degli altri e limitandosi a proteggere quel varco fondamentale. All’archetipo latino appartiene anche il portiere che appare splendido quando subisce un gol. Il portoghese Vítor Baía ha perfezionato l’arte della caduta carismatica. Il portiere tedesco è un comandante in capo della difesa. “Grido senza mai fermarmi”, ha detto Schumacher. “Gridare è il mio modo per dare il cento per cento in una partita. Devo mantenermi in tensione. All’inizio me lo imponevo. Pensavo: ‘Devo gridare, devo fare qualcosa per non addormentarmi’. Ora mi è entrato nel sangue. Per farlo ti puoi allenare come ti alleni per un tiro difficile”. Il controllato Sepp Maier aveva l’abitudine di fissarsi le mani durante le chiacchiere negli spogliatoi, come se volesse perfezionare i guanti che vendeva in tutto il mondo. Ma nei rari momenti in cui alzava gli occhi era l’unico in grado di opporsi al leader Franz Beckenbauer. La tendenza all’isolamento dei portieri ha reso Jens Lehmann un eremita. Il portiere tedesco vive in un paesino e ogni giorno, per andare ad allenarsi, prendeva l’elicottero. Era più facile che si facesse male per una turbolenza in volo che per un fallo subìto in campo. Oliver Kahn apriva la bocca solo per parlare bene di se stesso e usava le orecchie solo per ascoltare musica hard rock. Toni Schumacher è stato “l’eroe della ritirata”, la definizione che Hans Magnus Enzensberger dà dei leader che esitano e disfano tutto quello che hanno fatto: nel suo libro Anpfiff (fischio d’inizio), Schumacher ha denunciato una serie di problemi del calcio ed è stato espulso dalla nazionale. Non ci sono persone comuni nella porta della Germania. Eppure questi strani personaggi condividono un credo: non possono sbagliare. Sono stati allenati per una resistenza che non ammette scuse. “Se mi ricoverassi in una clinica psichiatrica dovrei abbandonare il calcio”, disse Enke pochi giorni prima di togliersi la vita. La tristezza non può dire il suo nome in uno stadio. In La gabbia della malinconia Roger Bartra spiega che per secoli la malinconia è stata considerata un dolore ebraico, “un male di frontiera, di popoli sfollati, di migranti, associata alla vita fragile di persone che hanno subìto conversioni forzate e hanno affrontato la minaccia di grandi riforme e cambiamenti dei loro princìpi guida religiosi e morali”. In termini calcistici, il portiere è l’uomo alla frontiera, condannato a una situazione ai limiti, che non deve abbandonare l’area. È quel personaggio strano che usa le mani. Se il dio del calcio è il pallone, il portiere è l’apostata che cerca di fermarlo. Il quadro più famoso dell’arte tedesca è il ritratto segreto di un portiere sconfitto. In Melencolia I Dürer disegna un angelo che medita sotto l’influsso nefasto di Saturno. Dopo un gol, ogni portiere è un angelo della melanconia. Seduto sul prato, con le mani sulle ginocchia o la testa appoggiata sui pugni chiusi, il cerbero vinto rappresenta la fine dei tempi, l’irragionevolezza, il puro niente. Cosa fanno i tedeschi davanti alla depressione? “Le donne cercano aiuto, gli uomini muoiono”, risponde Georg Fiedler, che dirige il Centro terapeutico per le tendenze suicide della clinica universitaria di Eppendorf, ad Amburgo. Secondo lui Enke è l’esempio di una chiara tendenza sociale. Anche se la diagnosi di depressione è due volte più alta per le donne, il tasso di suicidi è tre volte più alto negli uomini. La prova più difficile che Enke affrontò fu la morte della figlia Lara. Il portiere dormiva accanto a lei in ospedale. Dopo l’allenamento era così stanco che mentre le infermiere lottavano per mantenere in vita la bambina lui continuò a dormire. Enke non si perdonò mai che la figlia fosse morta mentre lui dormiva. Non avrebbe potuto fare niente, ma da portiere era nato per la responsabilità e la colpa. Sei giorni dopo, Enke ha difeso la porta della sua squadra. “La Germania ha ammirato quel Robert Enke”, ha scritto Der Spiegel. “Ha ammirato la sua calma. La chiarezza delle sue parole e ancora di più la chiarezza dei suoi atti. Era infallibile”. L’obbligo di agire senza sbagliare è stato la croce e la delizia del bizzarro Enke. Non poteva abbandonare quella cosa che esercitava una tirannia su di lui. Indubbiamente questo ha a che vedere con una disciplina che privilegia il raggiungimento dei risultati sul piacere di ottenerli, e che è incapace di offrire una formazione integrale, al di là dei doveri in campo. Il mondo del calcio sembra essere troppo importante e potente per lasciare spazio ai destini individuali. Il giovane Werther si uccise per una delusione d’amore così come il poeta Kleist si uccise per il compimento del suo amore. Enke ha offerto un’altra morte esemplare nella tormentata Germania. Se ogni portiere è un suicida timido che affronta i colpi di mitraglia lanciandosi in aria, lui ha fatto un passo in più. Il 10 novembre 2009 Robert Enke ha camminato nell’erba alta, sotto un cielo cupo. Nella sua classificazione dei suicidi Durkheim dimenticò di annoverare quelli che si lanciavano sotto un treno. È stata la fine riservata ad Anna Karenina e al portiere tedesco. Alle sei e diciassette minuti del pomeriggio l’espresso 4427, che copriva il tragitto Hannover-Brema, è passato puntuale come sempre. Il tormentato Enke si è lanciato davanti alla locomotiva con la certezza di chi, per la prima volta, non avrebbe dovuto fermare niente. *JUAN VILLORO è uno scrittore messicano nato nel 1956. Ha diretto il supplemento letterario del quotidiano La Jornada. Collabora con il quotidiano Reforma. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Il libro selvaggio (Salani 2010). Quest’articolo è uscito sul mensile peruviano Etiqueta Negra con il titolo Enke. El último hombre muere primero. La traduzione dallo spagnolo è di Sara Bani. Modificato December 29, 2011 da Ghost Dog Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
huskylover 0 Joined: 30-Aug-2006 776 messaggi Inviato December 29, 2011 (modificato) ESCLUSIVA TJ - CHRISTIAN ROCCA: "1° posto inatteso, bravo Conte. Mercato? Ecco cosa serve. Calciopoli? Da quando c'è Andrea Agnelli mi sono potuto permettere di andare in pensione" 29.12.2011 09:30 di Redazione TuttoJuve La redazione di Tuttojuve.com ha interpellato in esclusiva Christian Rocca, inviato per il Il Sole 24 Ore e una delle firme del giornalismo italiano maggiormente apprezzate dai tifosi bianconeri e non solo, autore del seguitissimo blog "Camillo". Buongiorno Christian e grazie per aver accettato il nostro invito per una chiaccherata in questi giorni di festa. Partiamo dal primo posto alla pari del Milan, te lo saresti aspettato dopo la campagna acquisti estiva? "No, non me lo sarei aspettato dopo due settimi posti consecutivi. Mi aspettavo un campionato-passeggiata per il Milan, però. Chi ha Ibra vince facile". Di chi i meriti? Conte, Dirigenti, Giocatori? "Di Conte, soprattutto. Ha dato gioca, forza, convinzione alla squadra. Ha cambiato idea, ha sperimentato, si è inventato una squadra dal nulla, costruita con le ali e poi messa in campo intorno agli interni. Davvero bravo. Bene anche i giocatori, naturalmente. I dirigenti hanno fatto bene in entrata, anche se non sono riusciti a prendere un campione vero davanti. Non capisco alcune operazioni come quella di Motta e non essere riusciti a vendere i tre esuberi in attacco". Cosa ti aspetti dal mercato: meglio un difensore o un attaccante? "Forse più di tutti serve un centrocampista. Abbiamo tre titolari in una squadra che avrebbe dovuto giocare con due interni. Pazienza e Marrone sono buoni, ma non sono all'altezza di Marchisio, Vidal e Pirlo. Serve un centrocampista capace di fare sia la fase difensiva che gli inserimenti in quella offensiva. Non ci sono alternative a Vidal e Marchisio, se non con un cambio di modulo o con l'adattamento degli ottimi Pepe (come a Napoli) e Giaccherini (come col Cesena). Le poche volte che ho visto Guarin del Porto mi è sembrato eccezionale, ma qui mi fido di Conte. Caceres mi piace, è uno giovane, corre, lotta. Può giocare a destra e al centro, e si adatta anche a sinistra. Ottimo rincalzo, di pari livello dei titolari. Io però penso che per fare il salto di qualità serva un campione davanti". Cosa pensi del possibile arrivo di Borriello in bianconero? Non sarebbe più utile e forse decisivo uno come Tevez? "Preferisco Alessandro Matri, ma probabilmente nel modulo a una sola punta (come a Udine o con la Roma), Borriello è più adatto di Matri. Va bene, se lo vuole Conte. Anche se spero che torni all'unica punta in casi rarissimi. Tevez non l'ho mai capito bene, però è certo che il giocatore che ci potrebbe fare vincere lo scudetto è o una seconda o terza punta alla Del Piero con dieci anni in meno o una prima punta devastante alla Ibra. Spero che uno dei due arrivi il prossimo anno, rinsaldare l'attacco con calciatori dello stesso livello di quelli che abbiamo già non è detto che migliori la squadra e tra un po' ci ritroveremo con altri casi Amauri, Iaquinta, Toni". Con Tevez al Milan, possiamo scordarci lo scudetto? O credi che Conte possa riuscire comunque nell'impresa di riportare il tricolore a Torino? "Chissà magari Tevez porta maretta in casa Milan, si prende a botte con Ibra e rovina una squadra che altrimenti andrebbe dritta verso lo scudetto. Conte intanto ha fatto vedere il miglior gioco del campionato e ha costruito la più divertente Juve dai tempi di Zidane. Se non arrivano infortuni e azzecchiamo qualcosa a gennaio non è detto Ibra vinca anche quest'anno". Sta per chiudersi l'avventura bianconera di Milos Krasic. E' proprio irrecuperabile? "Non è in grado di giocare come chiede Conte, non è disciplinato, non difende, non sa attaccare a difesa schierata. È un otitmo contropiedista in un 4-4-2, non ce ne facciamo niente. La Juve di Conte tiene palla. Lui non è in grado". Un altro esterno che sta profondamente deludendo è Eljero Elia. Che idea ti sei fatto su questo giocatore? "Nessuna, in realtà. Se non lo fanno giocare, una ragione ci sarà, ma a questo punto perché lo teniamo? A Roma ha fatto un paio di cose non male, compreso un assist a Quagliarella. Temo che con il nuovo modulo senza ali non vedrà il campo nemmeno lui, se non nei finali di partita per dare una scossa finale (cosa che Conte prova sempre). Forse potrebbe essere utile come terzo avanti, come vice Vucinic, con Pepe e il centravanti. Ma lì non è mai stato messo, quindi probabilmente mi sbaglio". Passiamo a cose più serie. Avrai certamente letto l'intervista pubblicata dal Corriere dello Sport in questi giorni a un investigatore che racconta la sua versione sull'indagine di Calciopoli. Come pensi sia possibile che fino ad ora sia stato tutto nascosto? "Non l'ho letta, ma ne ho sentito parlare. Non l'ho letta perché a me non svela nulla. Calciopoli è la più grande s******a mai orchestrata dai giornali. Una porcata, anzi". Credi che queste rivelazioni possano pesare nel processo d'appello? "Guarda, ero certo che il processo di Napoli si concludesse con l'assoluzione. La tesi accusatoria è stata disintegrata in dibattimento e i pm dopo aver sperato nella prescrizione sono scappati per evitare la figuraccia. È finita diversamente e dobbiamo ancora leggere le motivazioni". Un giudizio sul tavolo della pace mancata.... "Sanno tutti che abbiamo ragione noi, lo sa anche il presidente petroliere, prima o poi lo riconosceranno anche le istituzioni. Il tavolo della pace sarebbe stato ottimo e avrebbe potuto sortire qualcosa se fossimo arrivati lì con la sentenza di Napoli di assoluzione". Della Valle è pronto a denunciare l'ex commissario Figc Guido Rossi. Il presidente Agnelli ha trovato un forte alleato? "Della Valle fa i suoi interessi, ovviamente. Ma certo, sì. Della Valle poi conta nei giornali che contano. Il 2011 sta volgendo al termine ed è tempo di bilanci. Calcio e Calciopoli: come valuti complessivamente la gestione Agnelli? "Da quando c'è Andrea Agnelli alla Juventus mi sono potuto permettere di andare in pensione sul fronte calciopoli. Ormai c'è lui a occuparsene, non più Cobolli Gigli. Sta facendo tutto bene, con determinazione ed eleganza. Non credevo avesse la forza di arrivare a chiedere il risarcimento, invece l'ha fatto. Chapeau. Bravo. Gli scudetti sono 29 e non ce li toglie nessuno. Il prossimo sarà quello della terza stella, l'unica cosa che davvero possiamo avere a parziale risarcimento è il pagamento dei danni. Forza Andrea e forza Juve". Modificato December 29, 2011 da huskylover Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 29, 2011 IL PREZZO DELLA VITTORIA di EMILIO RONCORONI (la Voce 29-12-2011) Le squadre di calcio sono imprese e perciò dovrebbero ispirarsi ai generali principi di sana gestione economica. Ma osservando un campione di società di calcio, i principi generali che guidano le scelte economiche sembrano altri. Se misuriamo il costo di ciascun punto in classifica negli ultimi campionati, scopriamo che per vincere lo scudetto Inter ha speso cinque milioni, mentre alla Roma il secondo posto è costato solo due milioni. Come i modelli di business influenzano le performance economiche. Le squadre di calcio sono imprese e, in quanto tali, dovrebbero seguire condotte ispirate ai generali principi di sana gestione economica, con controllo sulle dinamiche dei costi e crescita dei ricavi. Ma analizzando un campione di società di calcio italiano, i principi generali che guidano le scelte economiche sembrano altri. I BILANCI DI SEI SQUADRE Sono state analizzate sei società, quattro appartenenti al gruppo dei grandi club e due a quello dei medi: Inter, Milan, Juventus, Roma, Udinese e Atalanta. (1) I bilanci analizzati hanno riguardato il triennio 2008–2010, con chiusura dell’esercizio al 30 giugno in corrispondenza con il termine della stagione calcistica, salvo per Milan che ha adottato come data di chiusura il 31 dicembre. I grandi club hanno accumulato nel triennio perdite di dimensione assai variabile: Inter 371 milioni di euro, Milan 150, Juventus 25, Roma solo 5 milioni di euro, mentre Udinese e Atalanta sono riuscite a ottenere, come somma algebrica, un risultato positivo. Udinese di quasi 8 milioni e Atalanta di soli 250mila euro. Forti perdite d’esercizio hanno richiesto ripianamenti e talvolta contestuali nuovi versamenti per ricostituire il capitale sociale. Gli azionisti di Inter hanno versato nel triennio nuove risorse finanziarie per 196 milioni, mentre l’azionista Fininvest ha versato nelle casse del Milan 161 milioni. Le altre squadre invece avevano creato riserve in grado di coprire le perdite future. Per Roma provengono da una cessione realizzata nel 2007 riguardante il ramo d’azienda dedicato alle attività di marketing e merchandising, per un importo di 125 milioni, che è confluito in una speciale riserva di patrimonio per 123 milioni (al netto delle passività di tale ramo). Nel caso di Juventus il patrimonio netto della società è stato rafforzato in sede di aumento di capitale con sovrapprezzo, dando luogo a una riserva utile a coprire le perdite future. Udinese, grazie ai risultati sovente positivi, dispone di un patrimonio netto robusto (38 milioni al 30 giugno 2010) e inoltre ha distribuito un dividendo di 4 milioni nel 2008 a fronte di un utile di esercizio di 7,7 milioni di euro. Atalanta ha riaggiustato il patrimonio con un nuovo aumento di 17 milioni effettuato nel 2010, un esercizio contraddistinto da perdite per oltre 6 milioni di euro, dalla retrocessione in serie B e dal cambio di proprietà effettuato nel gennaio 2010. UN CONFRONTO FRA COSTI E RICAVI Il business delle squadre di calcio si articola sostanzialmente su due macro aree: la prima e più importante è quella sportiva alimentata da diverse tipologie di ricavi (biglietti, diritti televisivi, eccetera) e che genera costi operativi formati soprattutto da quelli del personale; la seconda è rappresentata da eventi straordinari, ancorché ripetuti, ed è formata dalla cessione dei diritti di alcuni calciatori. È importante separare le due attività in quanto la prima si fonda sul core business mentre la seconda ha parecchi elementi di variabilità, a partire dai valori attribuibili in sede di cessione ai diversi calciatori. Nei bilanci di parecchie società i ricavi d’esercizio comprendono anche le plusvalenze da cessione, generando un artificioso incremento dei ricavi. Per evidenziare l’importanza delle due aree sono stati calcolati il margine operativo lordo (Mol) e il reddito operativo, per poi confrontarli con le plusvalenze da cessione dei diritti. I dati riportati nella tabella sono medie semplici dei valori triennali delle diverse grandezze economiche analizzate. La lettura dei dati riportati nella tabella 1 suggerisce alcune valutazioni: - la gestione operativa comprensiva degli ammortamenti è costantemente in perdita; - le plusvalenze sono sempre determinanti e in alcuni casi, come Udinese, garantiscono un reddito positivo; - le perdite operative sono indotte da alti costi del personale. Secondo il fair play finanziario, ovvero l’insieme di regole contabili il cui rispetto aprirebbe l’accesso ai campionati internazionali, una delle voci da rispettare riguarda il rapporto costo personale su fatturato che non dovrebbe superare il 70 per cento. Il costo del personale è composto quasi esclusivamente dal costo del lavoro dei tesserati (calciatori e tecnici) il cui numero è in aumento, soprattutto per quanto concerne i tecnici. Nel 2010 il numero dei calciatori si collocava tra un minimo di 35 di Atalanta a un massimo di 58 di Milan, seguito da Inter con 55. L’occupazione totale dei tesserati varia da 57 (Udinese) a 139 per le due squadre milanesi. MODELLI DI BUSINESS E PERFORMANCE ECONOMICHE Udinese ha un modello di business incentrato sulla valorizzazione di calciatori acquistati a prezzi contenuti e rivenduti a quotazione alte. Ed è riscontrato da un importo delle plusvalenze non lontano da quelle registrate da grandi club come Milan e Inter. Il “modello Udinese” richiede uno staff tecnico con una presenza capillare in diverse parti del mondo calcistico per individuare i futuri campioni. Per garantirsi questa presenza Udinese ha speso, nel 2010, 13 milioni di euro, più di Milan e Inter, che vi hanno dedicato circa 9 milioni a testa. Tre delle quattro squadre appartenenti ai grandi club hanno assunto modelli di business più tradizionali con forti investimenti per costruire squadre con talenti. Juventus ha perseguito almeno fino al campionato 2009–2010 una strategia di controllo dei costi dei calciatori con incidenze sui ricavi abbastanza in linea con Atalanta e Udinese. SI VINCE SOLO SE SI SPENDE TANTO? Nella tabella 2 si è voluto creare un indice rozzo che misuri il rapporto tra costi e risultati sportivi. Il primo fattore sono i costi operativi, che indicano il complesso di risorse messe a disposizione della singola squadra; il secondo, espresso dal punteggio nella classifica finale di ciascun campionato, misura le performance sportive. Il rapporto costi operativi per punto di classifica (espresso in migliaia di euro) sintetizza i due contributi. È interessante porre a confronto i due campionati (2007–2008 e 2009–2010) dove in entrambi Inter ha vinto lo scudetto e Roma è arrivata seconda a pochi punti (3 nel primo e 2 nel secondo), tuttavia per vincere il campionato 2009–2010 Inter ha speso circa 5 milioni di euro per ogni punto di classifica, mentre Roma solo 2 milioni. (1) Delle quattro grandi squadre due (Juventus e Roma) sono società quotate alla borsa di Milano. Per i confronti adottati in questa sede la quotazione è neutra in quanto i criteri contabili sono i medesimi sia per le imprese quotate sia per quelle non quotate. Udinese è stata inserita nel campione perché ha un modello di business proprio, le cui caratteristiche saranno precisate nel proseguo dell’articolo, mentre Atalanta è entrata nel gruppo per due ragioni: da un lato quale rappresentante delle altre società calcistiche con storie sportive altalenanti e dall’altro perché dotata di un vivaio che rappresenta un fattore distintivo. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 29, 2011 Te Deum laudamus «AUGURI ANCHE A CHI MI HA FATTO DEL MALE» «Perché neanche le ingiustizie mi fanno paura se Tu sei con me». di LUCIANO MOGGI (Tempi | 11 GENNAIO 2012) Se fossimo alla fine del 2005 ringrazierei per: 7 scudetti, 1 Coppa Italia, 4 Supercoppe italiane, 1 Champions League, 1 Coppa intercontinentale, 1 Supercoppa Uefa ed 1 Coppa Intertoto vinti negli ultimi anni con la Juventus. Ma siamo nel 2011 e, ahimé, ho sei anni di più. Non posso lamentarmi della condizione fisica: mi mantengo ancora bene e lo spirito battagliero è sempre lo stesso. Purtroppo non posso far finta che non sia accaduto niente da quell’11 maggio 2006, giorno in cui mi dimisi da direttore generale della Juventus. Da quel momento la mia vita è cambiata, non è più la stessa e ogni mio sforzo è volto alla difesa della mia dignità contro i continui tentativi di mettermi al centro di una “cupola” che nei fatti non è mai esistita. Siamo ancora nel mezzo della battaglia, attendo il processo d’appello nella speranza che la corte prenda piena conoscenza dei fatti. Ma non è questo il punto. La legge seguirà il suo percorso, la difesa farà il suo lavoro; nel contempo sono cosciente che la giustizia umana è parziale e quindi limitata come lo è il soggetto che la esercita: l’uomo. C’è un unico punto che nessuno può toccare, un valore che è contemporaneamente dentro e al di sopra del contesto umano, un qualcosa che vale per me come per tutti coloro che calpestano il suolo di questo pianeta: nessuno può permettersi di togliermi la dignità, il mio vissuto, il mio essere padre e marito, nessuno può cancellare ciò che di buono ho fatto nella vita. È un dato inesauribile e inalienabile dell’esperienza, non è cancellabile da nessuno, forse perché, per me che sono credente, l’origine di questo dato è divina. Ci ha fatto «a Sua immagine e somiglianza», mi hanno insegnato da piccolo. In questo turbine di fatti, paradossalmente ciò che mi fa sobbalzare in modo più prepotente è tutto il positivo che ho ricevuto. 31 dicembre 2011. Rendo grazie per: la forza che Dio mi ha dato per superare i momenti critici a protezione della mia famiglia, dei miei figli e le loro famiglie, degli amici che mi sono sempre stati vicini anche nei momenti più bui. Ho pregato tanto per tutti. Una sacra canzone che cantavo fin da bambino mi ha accompagnato sempre lungo tutti questi anni: «Io non ho paura se Tu sei con me». Sono state proprio le parole di questo inno religioso che mi hanno dato la forza di reagire, certo che Dio non mi ha abbandonato né mai mi abbandonerà. Buon anno a tutti, anche a quelli che mi hanno fatto del male. E Signore, se ti avanza del tempo, apri il fascicolo Moggi depositato nella procura di Napoli e dacci un’occhiata. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Gimli 0 Joined: 10-Dec-2011 122 messaggi Inviato December 29, 2011 Te Deum laudamus «AUGURI ANCHE A CHI MI HA FATTO DEL MALE» «Perché neanche le ingiustizie mi fanno paura se Tu sei con me». di LUCIANO MOGGI (Tempi | 11 GENNAIO 2012) Se fossimo alla fine del 2005 ringrazierei per: 7 scudetti, 1 Coppa Italia, 4 Supercoppe italiane, 1 Champions League, 1 Coppa intercontinentale, 1 Supercoppa Uefa ed 1 Coppa Intertoto vinti negli ultimi anni con la Juventus. Ma siamo nel 2011 e, ahimé, ho sei anni di più. Non posso lamentarmi della condizione fisica: mi mantengo ancora bene e lo spirito battagliero è sempre lo stesso. Purtroppo non posso far finta che non sia accaduto niente da quell’11 maggio 2006, giorno in cui mi dimisi da direttore generale della Juventus. Da quel momento la mia vita è cambiata, non è più la stessa e ogni mio sforzo è volto alla difesa della mia dignità contro i continui tentativi di mettermi al centro di una “cupola” che nei fatti non è mai esistita. Siamo ancora nel mezzo della battaglia, attendo il processo d’appello nella speranza che la corte prenda piena conoscenza dei fatti. Ma non è questo il punto. La legge seguirà il suo percorso, la difesa farà il suo lavoro; nel contempo sono cosciente che la giustizia umana è parziale e quindi limitata come lo è il soggetto che la esercita: l’uomo. C’è un unico punto che nessuno può toccare, un valore che è contemporaneamente dentro e al di sopra del contesto umano, un qualcosa che vale per me come per tutti coloro che calpestano il suolo di questo pianeta: nessuno può permettersi di togliermi la dignità, il mio vissuto, il mio essere padre e marito, nessuno può cancellare ciò che di buono ho fatto nella vita. È un dato inesauribile e inalienabile dell’esperienza, non è cancellabile da nessuno, forse perché, per me che sono credente, l’origine di questo dato è divina. Ci ha fatto «a Sua immagine e somiglianza», mi hanno insegnato da piccolo. In questo turbine di fatti, paradossalmente ciò che mi fa sobbalzare in modo più prepotente è tutto il positivo che ho ricevuto. 31 dicembre 2011. Rendo grazie per: la forza che Dio mi ha dato per superare i momenti critici a protezione della mia famiglia, dei miei figli e le loro famiglie, degli amici che mi sono sempre stati vicini anche nei momenti più bui. Ho pregato tanto per tutti. Una sacra canzone che cantavo fin da bambino mi ha accompagnato sempre lungo tutti questi anni: «Io non ho paura se Tu sei con me». Sono state proprio le parole di questo inno religioso che mi hanno dato la forza di reagire, certo che Dio non mi ha abbandonato né mai mi abbandonerà. Buon anno a tutti, anche a quelli che mi hanno fatto del male. E Signore, se ti avanza del tempo, apri il fascicolo Moggi depositato nella procura di Napoli e dacci un’occhiata. bello ma la data???? 11 gennaio 2012??? Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 29, 2011 Ginevra, 21:44 CALCIO, SION DEPOSITA DENUNCIA PENALE CONTRO LA FIFA della redazione (Repubblica Sport NEWS 29-12-2011) Il Sion, escluso dall'Europa League per non aver rispettato il divieto di acquistare giocatori, ha depositato una denuncia penale a Zurigo contro la Fifa che a sua volta minaccia di sospendere la federcalcio svizzera (Asf) dal 14 gennaio, se quest'ultima non sanzionerà il club in questione. Il Sion fa sapere dalle pagine del suo sito internet d'aver depositato una denuncia penale al tribunale di Zurigo contro i membri della Fifa in seguito alle minacce dell'organo che governa il calcio mondiale di escludere l'Asf e i suoi club, se il Sion non sarà sanzionato entro il 13 gennaio 2012. Per il club svizzero la Fifa esercita "un ricatto inaccettabile" volendo obbligare l'Asf ad agire contro i suoi stessi regolamenti e contro il diritto svizzero. Il comitato esecutivo della Fifa riunitosi a metà dicembre a Tokyo, ha ordinato all'Asf di fare applicare da qui al 13 gennaio 2012 le decisioni relative al non rispetto da parte del Sion del divieto di operare sul mercato, pena la sospensione della federazione stessa. L'altro ieri il Sion ha scritto all'Asf per chiedere di "ricorrere contro la decisione della Fifa" considerando che "questo ultimatum non rispetta nè gli statuti nè i regolamenti Fifa, nè la legge svizzera". Il 17 dicembre l'Asf aveva annunciato la sua intenzione di contestare davanti al Tribunale arbitrale dello sport (Tas) la minaccia di sospensione da parte della Fifa se non avesse sanzionato il Sion. E si è riunita a porte chiuse, il 22 dicembre, con i rappresentanti della Fifa. La Fifa aveva intimato l'ordine all'Asf d'agire contro il Sion dopo la decisione del Tas di dare ragione all'UEFA per aver escluso il Sion dalla Europa League. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Ghost Dog 620 Joined: 14-Jun-2008 11014 messaggi Inviato December 29, 2011 ma la data???? 11 gennaio 2012??? E' proprio l'edizione del settimanale: in questo caso copre un arco di tempo di due settimane. Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
Gimli 0 Joined: 10-Dec-2011 122 messaggi Inviato December 29, 2011 Ginevra, 21:44 CALCIO, SION DEPOSITA DENUNCIA PENALE CONTRO LA FIFA della redazione (Repubblica Sport NEWS 29-12-2011) Il Sion, escluso dall'Europa League per non aver rispettato il divieto di acquistare giocatori, ha depositato una denuncia penale a Zurigo contro la Fifa che a sua volta minaccia di sospendere la federcalcio svizzera (Asf) dal 14 gennaio, se quest'ultima non sanzionerà il club in questione. Il Sion fa sapere dalle pagine del suo sito internet d'aver depositato una denuncia penale al tribunale di Zurigo contro i membri della Fifa in seguito alle minacce dell'organo che governa il calcio mondiale di escludere l'Asf e i suoi club, se il Sion non sarà sanzionato entro il 13 gennaio 2012. Per il club svizzero la Fifa esercita "un ricatto inaccettabile" volendo obbligare l'Asf ad agire contro i suoi stessi regolamenti e contro il diritto svizzero. Il comitato esecutivo della Fifa riunitosi a metà dicembre a Tokyo, ha ordinato all'Asf di fare applicare da qui al 13 gennaio 2012 le decisioni relative al non rispetto da parte del Sion del divieto di operare sul mercato, pena la sospensione della federazione stessa. L'altro ieri il Sion ha scritto all'Asf per chiedere di "ricorrere contro la decisione della Fifa" considerando che "questo ultimatum non rispetta nè gli statuti nè i regolamenti Fifa, nè la legge svizzera". Il 17 dicembre l'Asf aveva annunciato la sua intenzione di contestare davanti al Tribunale arbitrale dello sport (Tas) la minaccia di sospensione da parte della Fifa se non avesse sanzionato il Sion. E si è riunita a porte chiuse, il 22 dicembre, con i rappresentanti della Fifa. La Fifa aveva intimato l'ordine all'Asf d'agire contro il Sion dopo la decisione del Tas di dare ragione all'UEFA per aver escluso il Sion dalla Europa League. più o meno quello che ha fatto verso di noi nel 2006 Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti
CRAZEOLOGY 5893 Joined: 24-Oct-2006 12944 messaggi Inviato December 30, 2011 (modificato) Confermo che Moggi è parecchio credente. Da molti anni, molto prima di calciopoli, va a Lourdes una volta all'anno. Questo vuol dire tutto e vuol dire niente, ovvio, ma era giusto per precisare... Modificato December 30, 2011 da CRAZEOLOGY Condividi questo messaggio Link di questo messaggio Condividi su altri siti