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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Finalmente un articolo scritto da uno juventino ma son tutti fatti veri. Qualcuno ha la memoria corta.

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non ho capito

era su panorama o su ju29ro

qusto articolo ?

o forse l'ho letto troppo in fretta e mi è sfuggito qualche particolare

su panorama

Ma Laterzastella sono juventini veri, dentro, che è la cosa più importante

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Agnelli e Moratti, una farsa che ha stancato

Aligi Pontani - Tempo scaduto - repubblica.it - 19-11-2012

Reagiscono così: col sangue agli occhi (l'Inter) o a sangue freddo (la Juventus). Ma non ha nulla di interessante questa marcata diversità di stile di due club, i due più vincenti della storia calcistica italiana, che sembrano per il resto accomunati dalla stessa ossessione, diventata ormai rovinosa. Non si sa chi ne esca peggio, da questa giornata in cui entrambi hanno affondato le mani nel loro repertorio preferito: Calciopoli, Calciopoli, Calciopoli. Il "passato che non vorrei rivedere" dell'ossessionato Moratti di fronte al rigore non dato; il "clicca qui" dell'ossessionata Juventus, col link sul sito per rimandare alla relazione di Palazzi sui segreti dell'Inter negli anni dello scandalo.

Se qualcuno all'estero continuasse davvero a seguire il calcio italiano, proverebbe tristezza o forse compassione per questa schermaglia continua e angosciante: più che di provincia decaduta sa ormai di bega di quartiere. Un calcio che da quel 2006 in poi, guidato con illuminata saggezza da gente che infatti è pronta a ricandidarsi per finire l'opera, ha saputo vincere pochissimo e perdere tantissimo: spettatori, abbonati, appeal, credibilità, passione, soldi, campioni, allenatori, faccia. La colpa, dicono i presidenti, sarebbe degli stadi vecchi e inospitali, da rinnovare approvando in fretta e furia una legge, scritta, però, per fare dello stadio il centro di un quartiere, da costruire in deroga alle regole e alle tutele ambientali. Sarebbe questa la riforma da fare per salvarci dal declino e dalla povertà sportiva? Nessuno che dica che forse per salvarci servirebbe gente capace di avere un progetto per il futuro, invece di scannarsi sui rifiuti tossici del passato. Servirebbero presidenti - di federazioni, di leghe, di club, di Coni - in grado di evitare la farsa di ridicoli tavoli della pace che durano due ore e pensare a una sorta di conferenza permanente per cambiare quello che va cambiato, che è tanto: la struttura arbitrale, certo, gli stadi, come no, la giustizia sportiva, è evidente. Ma anche il rapporto ormai patologico con le televisioni, peraltro sinistramente legato a una data di scadenza (il 2015), quella dei contratti, oltre la quale la malattia potrebbe decretare la morte del paziente, o la struttura abnorme e drogata dei tornei professionistici, il crac di quelli semiprofessionistici, l'abbandono del settore giovanile e scolastico, lo strapotere dei procuratori, i limiti ai contratti, eccetera eccetera eccetera.

Di fronte a questa opera immane, che pure il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, deve avere ben chiara, se del ruolo di riformista ha voluto investirsi davanti a suoi azionisti, i due club più titolati in Italia sono sembrati come i duellanti di Conrad, o ancora peggio: due soldati rimasti soli a menarsi sciabolate mentre il loro mondo si sfascia. Quello che forse né Moratti né Agnelli sembrano aver percepito, troppo sensibili agli applausi delle rispettive e certo numerosissime claque di tifosi, è che questa faida ha stancato tutti gli altri, che sono anche loro numerosissimi: diciamo pure il resto degli italiani ancora ostinatamente appassionati al loro sport preferito, che resterebbe pur sempre un bene comune da difendere. Inutile contare su chi lo gestisce, rigorosamente chiuso in un penoso silenzio, accentuato dalle scadenze elettorali: vuoi tenerti la poltrona? Stai fermo e zitto. E a guardare la tv, non c'è tanto da sperare neppure nei politici, vecchi o nuovi, che sullo sport dicono cose che non si sentono neppure al bar. Coraggio, allora, aspettiamo il 2015, quando andando avanti così le tv staccheranno la spina. Sulle rovine di ciò che resta, a sangue caldo o a sangue freddo, qualcuno troverà il modo di dire che è stata tutta colpa di Calciopoli.

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Braschi: "Il rigore ci stava". La lite Juve-Inter-Figc

Fulvio Bianco -Spy calcio - repubblica.it 19-11-2012

Sì, il rigore, dopo aver visto la tv, ci poteva stare": Stefano Braschi, al terzo anno come designatore e confermatissimo da Marcello Nicchi, ammette che Massimo Moratti ha ragione. "Ma è stato-spiega ancora l'ex arbitro di Barberino del Mugello-un fatto di gioco e niente più. In campo si vede una cosa, a velocità naturale. In tv, a volte, un'altra. E rivisto in tv, lo ripeto, quel fallo poteva essere da rigore". Non lo considera però un errore clamoroso. "Gli errori gravi, quando ci sono stati, noi li abbiamo sempre ammessi". Si riferisce allo scorso anno, quel gol negato a Muntari in Milan-Juve (ora, coi due arbitri di area, non dovrebbe succede più: almeno si spera) e quest'anno gli sbagli, anche questi clamorosi, degli assistenti Maggiani e Preti (esperto ed internazionale il primo, giovane ex rampante il secondo).

L'episodio di San Siro, il rigore negato all'Inter, viene giudicato però dai capi arbitrali come un peccato veniale, roba che purtroppo succede e succederà. Non certo come qualcosa di eclatante. Fatto sta che l'arbitro Piero Giacomelli, 35 anni, di Trieste, uno sbaglio vero l'ha fatto: quello di non decidere nulla. Poteva dare il fallo dal limite, se non era tanto sicuro (né assistente, né arbitro di area Palazzino lo hanno aiutato). Ci voleva coraggio, e Giacomelli non lo ha avuto. Si tratta di un arbitro "ripescato" in serie A, quando si è reso necessario rimpolpare l'organico in seguito delle decisione di provare (unico campionato europeo) il test dei due arbitri "aggiuntivi". Cosa che ha fatto molto piacere a Michel Platini ma che ha scombussolato la squadra arbitrale, creando anche problemi di affiatamento: l'ideale era fare una Can unica, A e B insieme come una volta. Invece, Braschi è costretto a mandare a San Siro Giacomelli che ha solo 9 presenze in A. Uno sbaglio? Forse sì, ci voleva una squadra più "esperta". Ma, attenzione: il coraggio non lo ha avuto Giacomelli così come non lo aveva avuto in precedenza Tagliavento, che pure è navigato. E allora? Allora, è il caso che Braschi convochi i suoi a Coverciano e faccia un discorso chiaro, a tutti: non devono illudersi che adesso anche quando sbagliano tornano quasi subito ad arbitrare (e quindi a guadagnare). Una volta stavano fermi parecchi turni, rimettendoci parecchi soldi. Ora con un organico corto non è più possibile e forse qualche arbitro e qualche assistenti si è adagiato su questo. Magari inconsciamente, sapendo che tanto presto torna in campo. No, a questo punto è arrivato il momento che Braschi alzi la voce e dica come ha suggerito Platini:"Chi non ha coraggio, stia a casa". Ma nel mondo arbitrale non piacciano affatto le polemiche continue e soprattutto i riferimenti al passato, a Calciopoli, ad un periodo che il presidente Nicchi e il designatore Braschi hanno cercato di cancellare.

Nessuna squadra è favorita, assicurano, ricordando come sabato la Juve (nel mirino di Moratti) non era certo stata favorita dall'arbitraggio. Anche lì Orsato aveva sbagliato: c'era un netto fallo dal limite a favore dei bianconeri. "Non esiste sudditanza psicologica, a San Siro poi si giocava Inter-Cagliari". Gli arbitri si sentono anche un po' indifesi da questi attacchi continui: vorrebbero che qualcuno (Abete? Beretta?) intervenisse per spegnare queste dietrologie pericolose. Ma il presidente Giancarlo Abete non può essere certo accusato di non aver difeso gli arbitri: li ha spalleggiati in consiglio federale quando le quattro Leghe, compatte più che mai, chiedevano la loro esclusione dal governo del calcio. E' intervenuto più volte a richiamare presidenti e addetti ai lavori alla moderazione. Era presente alle votazioni Aia, applaudendo ed elogiando la rielezione di Marcello Nicchi. Che deve fare di più? Se c'è qualche frase che va oltre l'articolo 1 (codice di lealtà) deve intervenire Palazzi.

A proposito: la Juve ha pubblicato sul suo sito la durissima requisitoria del procuratore federale contro l'Inter, e non solo. Settantadue pagine: ma, ricordiamo, c'è la prescrizione, e l'Inter, a differenza della Juve, non è andata sotto processo. La Juve però non ha dimenticato, e ieri ha voluto ricordarlo. Questo non contribuisce certamente a rasserenare gli animi, anche se la vicenda Calciopoli ha lasciato- va detto-troppe ombre e una gestione non sempre limpida e tempestiva: la Juve rivendica ancora lo scudetto 2006 assegnato dai "saggi" (si fa per dire...) di Guido Rossi al club nerazzurro e ha intentato una causa alla Figc, chiedendo 440 milioni di danni (deciderà il Tar del Lazio). Tanto che molti consiglieri federali si augurano di non trovare presto Andrea Agnelli come rappresentante della Lega di A nel governo del pallone (e qualcuno sostiene che le norme lo vieterebbero). Quindi, la "guerra santa" continua. Purtroppo. La Juve contro l'Inter e la Figc, l'Inter contro la Juve. "E noi in mezzo...", sostengono gli arbitri. D'accordo, sono un vaso di coccio: ma almeno abbiano il coraggio di fischiare.

Duello Renzi-Bersani, 1.400.000 spettatori

Il faccia a faccia Renzi-Bersani su Stadio Sprint (Rai 2) ieri è stato visto da 1.405.000 telespettatori con il 10,50 per cento di share. Oggi pomeriggio Enrico Varriale replica nella trasmissione "Novanta Minuti" su Rai Sport 1: ma ci saranno i pareri politico-sportivi anche degli altri tre candidati (Vendola, Tabacci e la Puppato) alle primarie di domenica del Pd dopo la protesta degli esclusi, soprattutto Vendola, nei confronti della Rai. In trasmissione anche Giovanni Petrucci, presidente del Coni. Bene ieri Novantesimo Minuto (14,69% di share e 2.253.000 spettatori) e la Domenica Sportiva (11,38%, 1.901.000). Ottimi ascolti, come sempre, per Carlo Paris con "5' di recupero" su Rai 1 (16,23%, 4.345.000).

Le multe saranno destinate al calcio negli oratori

Complimenti al presidente Maurizio Beretta: oggi la Lega di serie A ha deciso infatti che "il fondo alimentato dalle multe ai tesserati delle squadre sarà in parte destinato a progetti di stampo sociale per aiutare la crescita del calcio negli oratori. Il progetto sarà realizzato in collaborazione con Tim e con il Csi, centro sportivo sociale". Ottima iniziativa: speriamo che fra Palazzi e la Disciplinare "fiocchino" un sacco di multe.

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La memoria corta di Moratti (e gli altri)

Di Alberto Catalano - Tgcom24 - 18-11-2012

Il calcio è di nuovo nella bufera. Tra poche ore sarà tempo di Champions League eppure a tenere banco sono le polemiche che hanno fatto seguito all’ultima giornata di campionato. Polemiche che hanno dimostrato come, ancora una volta, a dare il cattivo esempio siano (quasi) sempre i vertici, i presidenti, i “boss”.

Un giorno vittime, il giorno dopo professori, tanto sono vogliosi di impartire lezioni dall’alto di quella moralità in realtà persa da anni. Hanno costanti vuoti di memoria che impediscono loro una seria autocritica; ai protagonisti in questione manca quel minimo senso del pudore che eviterebbe loro figuracce di dimensioni bibliche. Inter-Cagliari (bella partita, ma chissenefrega) era finita da venti minuti quando Massimo Moratti, ai microfoni di Mediaset Premium, rievocava Calciopoli “dimenticandosi” che il suo club, l’Inter, di Calciopoli è stata una grande protagonista.

L’Inter fu salvata dall’accusa di illecito sportivo (“Molteplici tentativi di utilizzare i rapporti con i designatori per condizionare il settore arbitrale”) solo grazie alla prescrizione; prescrizione alla quale l’Inter, chissà perché?, non ha mai rinunciato. A mettere una pezza alla “dimenticanza” nerazzurra ci ha pensato la Juventus pubblicando la relazione del procuratore Stefano Palazzi sul proprio sito internet. Evviva, champagne, finalmente qualcuno che ricorda a qualcun altro chi è e da dove viene. Tutto giusto, quindi? Macchè.

A ricordare a Moratti che tacere, a volte, è un dovere, ci ha pensato proprio la vincitrice dell’oscar come miglior attrice protagonista del kolossal Calciopoli, non il Chievo o la Sampdoria. Ma come, eviti la serie C per grazia di Dio e poi vai a ricordare agli altri che, in passato, sono stati un po’ troppo discoli? Anche a Torino, evidentemente, hanno la memoria sotto i livelli di guardia e il pudore sotto i tacchi delle scarpe.

Per fortuna c’è il Milan, direte voi. Macchè. Il Milan, dalla vicenda Calcioscommesse di trent’anni fa, a Calciopoli, passando per lo scandalo passaporti, non ha voluto mancare nemmeno un appuntamento con la giustizia sportiva. Manco uno per sbaglio. Eppure ama mettersi in cattedra con la lavagna alle proprie spalle e il gessetto rosso tra le mani per evidenziare le malefatte altrui. “Moratti parla, ma un mese fa nel derby l’Inter è stata avvantaggiata, il Milan svantaggiato, e noi non abbiamo protestato” ha dichiarato Adriano Galliani.

Moratti ha ribattuto con un bel “chissenefrega”, ma noi non possiamo non ricordare i piagnistei dell’ad rossonero per il gol annullato a Montolivo e, soprattutto, ricordiamo bene Massimiliano Allegri ai microfoni di Sky nel dopo partita: “Scusate, sono dieci minuti che parlo, mi avete fatto cinquanta domande, ma dell’arbitro non mi dite niente? Avete visto cos’è successo stasera?”. Da quel momento in poi, cinque minuti di fazzoletti e lacrime amare. Il vittimismo sopra di tutto, l’onestà intellettuale sotto il tappeto.

Bene bene, direbbe Stramaccioni. E adesso, una volta evidenziato come nessuno (o quasi) abbia il diritto di protestare, che fare? Visto che la libertà di espressione non si può toccare, non resta che una elegante censura. Lasciamo che Moratti (stra)parli di complotti, che Agnelli (stra)parli di giustizia sportiva da riformare e che Galliani (stra)parli di… Muntari. Registriamo le loro parole, mandiamole anche in onda e pubblichiamole sui giornali, ma per favore non diamo loro troppa importanza. Recitano una parte. E la recitano pure bene…

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LA 7ª È PER I 72

ULTRÀ DELL'AL AHLY

Il capo dei tifosi racconta i 9 mesi dalla strage di Port Said alla 7ª coppa

«Niente calcio in Egitto finché non avremo giustizia. O faremo da noi»

Non giocavano in campionato da febbraio, poi la guerra in Mali e i nigeriani «liberati»

di ANDREA LUCHETTA (EXTRATIME 20-11-2012)

La settima Champions dell'Al Ahly è un dribbling al destino. Uno slalom fra le pieghe della storia, che mai come in quest'occasione si è divertita a nascondersi dentro una finale. Nove mesi fa, la notte del 1° febbraio, i diavoli del Cairo hanno sfiorato la morte nello stadio di Port Said. Sono riusciti a fuggire negli spogliatoi, mentre la furia degli hooligan locali e l'inerzia della polizia lasciavano sul terreno 72 tifosi ospiti. Da allora in Egitto non si è più giocato a pallone, e ogni tentativo di riprendere il campionato è abortito sotto la pressione degli Ahlawy, gli ultrà dell'Al Ahly. «Non possiamo permettere che si giochi finché non verranno condannati i responsabili», spiega a Extra Time Essam, 30 anni, uno dei fondatori del gruppo. Da febbraio alla finale, i neocampioni d'Africa hanno giocato solo le partite di Champions (14), una manciata di amichevoli e una finale di Supercoppa contestata dai loro stessi tifosi. E sabato sul campo dell'Espérance di Tunisi - campione in carica alla terza finale consecutiva - hanno dominato (2-1 il finale), rovesciando l'1-1 dell'andata. «Eravamo contenti, certo - prosegue Essam -. Ma negli anni passati quando vincevamo diventavamo pazzi. In questo caso no, Port Said viene prima».

«Memoria corta»

Tutto impallidisce di fronte al massacro di febbraio. Ma nel cammino verso la finale l'Al Ahly ha incontrato una miriade di altri ostacoli. A fine aprile la squadra è rimasta intrappolata per giorni in Mali, mentre intorno infuriava la guerra civile. Poche settimane fa il presidente del club, Hassan Hamdy, ha subìto il congelamento dei beni e il divieto d'espatrio, perché accusato di arricchimento illegale. E a fine estate - per 3 volte in 5 settimane - gli Ahlawy hanno assalito il campo d'allenamento della squadra, contestando la possibile ripresa del campionato. «Dovevamo ricordare ai giocatori che Port Said viene prima di tutto, alcuni lo hanno dimenticato in fretta. In pochi hanno visitato le famiglie delle vittime. All'inizio credevamo che i dirigenti sarebbero stati al nostro fianco, invece vogliono solo che riprendano gli affari».

«Federcalcio corrotta»

Strana relazione, quella con gli ultrà: perché se i diavoli sono tornati sul tetto d'Africa, molto lo devono ai loro tifosi. Il 21 ottobre, giorno della semifinale col Sunshine Stars, decine di giocatori egiziani hanno bloccato l'uscita dell'hotel in cui alloggiavano i nigeriani: protestavano per chiedere la ripresa del campionato, e speravano così di far squalificare l'Al Ahly dalla Champions. Gli Ahlawy si sono presentati in fretta e, dopo qualche tafferuglio, hanno scortato i nigeriani allo stadio. «Vero, contestiamo la dirigenza e molti giocatori. Ma per il club combatteremo sempre. La Champions è diversa dal campionato, diversi gli organizzatori. La Federcalcio egiziana è corrotta, e con questa corruzione abbiamo pianto 72 fratelli». Al termine della finale, i giocatori dell'Al Ahly hanno indossato una maglia col n. 72. Ma nemmeno qui c'è accordo con gli ultrà: «Per noi sono 74. Uno dei nostri è morto all'inizio della rivoluzione, un altro negli scontri di dicembre coi soldati».

La notte del massacro

Essam a Port Said era allo stadio. Per lui, come per milioni di egiziani, quella notte di febbraio si è consumata la vendetta dell'esercito per la partecipazione degli ultrà al movimento rivoluzionario anti-Mubarak. «Dopo la fine della partita sono saltati i riflettori. C'era solo la luce della luna e delle case lì intorno. Abbiamo intravisto dei tifosi dell'Al Masry in campo, pensavamo volessero colpire i nostri giocatori. Poi si sono diretti verso di noi. Il cancello della curva era aperto e la polizia non ha nemmeno tentato di difenderlo. Erano centinaia, armati di coltelli, mazze, fumogeni. Colpivano all'impazzata, rubavano, ci strappavano le maglie. Abbiamo cercato di fuggire, ma il varco d'uscita era chiuso. E così ci siamo trovati intrappolati in un tunnel, schiacciati uno sull'altro. Ne sono uscito, non so come, e sono iniziate le telefonate: 5 morti, 10, 30, 40… Non ci credevamo. Non ho fiducia nella legge, ma in questo Paese ci sono già troppi regolamenti di conti. Se però il processo non farà giustizia, saremo noi a pensarci».

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«Atalanta, io denuncio»

Ruggeri: «Costretto a cedere

da ultrà violenti e finti amici»

L'ex presidente Alessandro: «Troppe minacce, così ho venduto a Percassi

Ora a Bergamo ci sarà un processo e qualcuno dovrà pagare tutti i danni»

di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 20-11-2012)

«Senza le intimidazioni degli ultrà, mai e poi mai avrei venduto l'Atalanta. Sarei rimasto e avrei portato la famiglia lontano da Bergamo, una città che non merita niente. Se il processo confermerà le tesi dei magistrati, qualcuno dovrà risarcire tutti i danni». E' il passo più importante del duro sfogo di Alessandro Ruggeri, ex presidente dell'Atalanta, dopo anni di silenzio.

Ruggeri, l'inchiesta sugli ultrà si è chiusa e le carte descrivono una rete di complicità inquietante. Che idea si è fatto?

«Ho letto di ultrà, politici e persino componenti del CdA che si confrontavano su come costringerci a vendere. In tutti i modi, picchiando o non picchiando. Addirittura a prezzo modico, come se spettasse a loro stabilire il valore di un club».

Perché ha venduto?

«Bisogna fare un passo indietro. Mio papà Ivan ha comprato l'Atalanta nel 1994 ed è rimasto presidente fino al 2008, quando ha avuto il malore. In 14 anni ha subìto pressioni di ogni tipo, nonostante i risultati fossero in linea con quelli di una squadra di provincia».

Come spiega questa ostilità?

«Papà non scendeva a compromessi. Non è mai andato alla festa della Dea, come fa qualcuno adesso...».

Che cosa ricorda dei primi anni di contestazione?

«Ricordo le scritte sui muri, "Ruggeri vattene" ovunque. Andavo a scuola con la scorta e avevamo gli agenti davanti a casa 24 ore su 24».

Il punto più basso ci fu in occasione di Atalanta-Milan, l'11 novembre 2007, il giorno della morte del tifoso laziale Gabriele Sandri.

«Alcuni ultrà abbatterono una vetrata della curva nord con un tombino e la partita fu sospesa. Il giorno dopo papà, col d.g. Giacobazzi, fece firmare ai giocatori una presa di distanza netta da certa gente. In gennaio venne distribuito un volantino violentissimo e tre giorni dopo papà ebbe il malore dal quale non si è più ripreso».

Però, poi, ci fu una tregua.

«Ma noi eravamo tutti più deboli. Io mi sono ritrovato a fare il presidente a 21 anni. Quando non ci sono più stati i risultati, le pressioni sono diventate insostenibili».

Nelle intercettazioni compaiono sue telefonate e sms con il capo ultrà Bocia. Era il caso?

«Tenere rapporti con certi personaggi è stato un grave errore, lo riconosco. L'ho fatto per alleviare le tensioni a mia mamma e a mia sorella. Ma da me non hanno avuto favori, non ho mai regalato biglietti o creato "corsie preferenziali". Gli ultrà fanno anche iniziative positive, e questo è lodevole, ma non è che se uno fa beneficenza poi è bravo a prescindere».

Anche Conte chiamava il Bocia, attaccando giocatori e società.

«Ha sbagliato, come me, a tenere quei rapporti, ma quelle cose me le aveva già dette. Riteneva che la squadra gli fosse ostile, soprattutto i senatori, soprattutto dopo che lui e Doni si erano messi le mani addosso a Livorno. Conte ha un carattere forte, ma persino lui ha dovuto dimettersi, e questo dice molto... Sono legato ad Antonio, mi ha sempre detto le cose prima che succedessero».

Anche su Cristiano Doni?

«Se tornassi indietro non gli farei il contratto, soprattutto dopo avere saputo del calcioscommesse. Ma all'epoca era intoccabile, era troppo influente in uno spogliatoio senza personalità. E pensare che qualcuno ha detto che sarebbe stato il presidente ideale (Percassi al raduno del 2011, ndr)».

Arriviamo ad aprile-maggio 2010, nei giorni della retrocessione.

«Ci furono il raid a Zingonia, i volantini, la bomba carta davanti a casa. L'ultima partita dell'epoca, Atalanta-Palermo, non l'ho potuta vedere su consiglio delle forze dell'ordine. Non era mai capitato in dieci anni, neppure quando papà era in fin di vita. Adesso dall'inchiesta scopro che si tramava per fare pressioni sull'anello debole della mia famiglia, su mia mamma e mia sorella. Questo mi fa stare male. A fare il doppio gioco erano anche persone che stavano nel consiglio d'amministrazione. C'erano presunti amici che, con la scusa di venire a trovare papà, monitoravano la situazione, davano consigli "disinteressati" alla mamma. Roberto Spagnolo era l'uomo di fiducia della mia famiglia. Un secondo dopo che abbiamo venduto è diventato direttore generale con Percassi. Non si è mai visto in nessuna azienda al mondo».

Nell'inchiesta è finito anche un politico, il leghista Belotti.

«Dice che faceva il mediatore tra ultrà e istituzioni. Mediava tanto bene che scriveva volantini contro il questore Turillo e contro il club. Questa persona fino a poco tempo fa era assessore regionale, pagato con i soldi dei cittadini. E poi ci chiediamo perché l'Italia è ridotta così...».

Avete venduto per paura?

«Sì, per paura. E non abbiamo venduto a prezzo di mercato. Ma il bilancio era sano. Oltre a Percassi c'erano degli stranieri che volevano l'Atalanta, ma non li conoscevo. I tifosi, i politici, persino il giornale cittadino, che non ci ha mai amato, spingevano per Percassi. Ho pensato al bene dell'Atalanta. Guarda caso, dopo la vendita si sono ritrovati tutti uniti. Senza quel clima insostenibile, non avrei mai venduto».

Il suo futuro quale sarà?

«Alcuni presidenti mi hanno chiesto di lavorare per loro, qualcuno mi ha proposto di rilevare società in difficoltà: in futuro, forse succederà. Ma mai più in Italia».

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LA REPLICA DEL PRESIDENTE AL PRECEDENTE PROPRIETARIO

SU DONI: «SAREMO PARTE CIVILE NEL PROCEDIMENTO PENALE A SUO CARICO»

Percassi: «50 milioni per l'Atalanta

A Ruggeri ho solo fatto un favore...»

di FILIPPO DI CHIARA (GaSport 21-11-2012)

«L'Atalanta non è stata acquistata sottocosto, anzi. E' stato un investimento folle, da 50 milioni! Io alla famiglia Ruggeri ho solo fatto un favore e non mi aspettavo tanta irriconoscenza: stiamo valutando se querelare Alessandro Ruggeri, c'è un limite a tutto». E' questo il momento in cui Antonio Percassi rivela in modo palese la sua irritazione per le parole di Ruggeri jr che dopo oltre due anni di silenzio ha raccontato alla giornalaccio rosa il clima di ostilità e le pressioni avute per cedere («non a prezzo di mercato») l'Atalanta al gruppo Percassi. E ieri Percassi, in un ristretto incontro con la stampa, ha voluto fare le sue precisazioni.

L'acquisto «Non siamo stati noi a cercare i Ruggeri. E' stato Miro Radici per conto della famiglia a chiederci se eravamo interessati all'acquisto — ha detto Percassi —. Ho chiamato la signora Ruggeri e mi ha confermato che volevano vendere: ho detto no alla loro prima richiesta ma dopo 3-4 giorni Francesca Ruggeri mi ha pregato di riallacciare la trattativa, così poi abbiamo chiuso. C'erano 12 milioni di crediti e 41 milioni di debiti passivi di cui 4,5 verso l'erario per imposte inevase, il bilancio chiuso al 30 giugno 2010 presentava 7 milioni di perdite, abbiamo sostituito le loro fideiussioni personali per 11,5 milioni e abbiamo fatto un aumento di capitale da 10 milioni. Ah, la squadra era in B e in cassa c'erano 2 mila euro di liquidità. Se questo è un affare... Pressioni dagli ultrà per acquistare? No, mai. Ho preso l'Atalanta solo perché la nostra famiglia è innamorata di questa squadra. A Ruggeri dico che se vuole gliela ridò alla stesse condizioni». E sulle accuse di «doppio gioco» tenuto nel passaggio di proprietà da Spagnolo («Accuse infamanti» replica l'ex d.g.) uomo di fiducia della famiglia Ruggeri e poi nella nuova società, Percassi sottolinea come sia «un fatto normale e poi ci conoscevamo: nell'anno della retrocessione mi ero rivolto a lui per comunicare ai Ruggeri la mia disponibilità a prendere una piccola quota per dare una mano».

L'Atalanta e gli ultrà Altro tema «spinoso» l'atteggiamento considerato troppo accondiscendente da Ruggeri verso la frangia più violenta degli ultrà. Ruggeri jr: «Papà non è mai andato alla festa della Dea, come fa qualcuno adesso». Così Percassi: «La festa della Dea è dedicata ai tifosi dell'Atalanta, è per le famiglie e ci andavo anche prima di diventare presidente. E come club siamo sempre stati autorizzati dalle autorità. Il «Bocia»? Io sono per il dialogo con tutti, in due anni e mezzo non è mai successo niente di particolare (e il d.g. Marino telefonicamente rafforza la tesi: «E' una festa pubblica, autorizzata: nulla di cui vergognarsi»). Tocca alla magistratura stabilire se esistono delle responsabilità: se dovesse accadere qualcosa di grave nei confronti dei violenti tireremmo su un muro. Biglietti agevolati alla Nord? Per me siamo in regola, se abbiamo sbagliato chiederemo scusa».

Doni Infine, Cristiano Doni. Per l'ex bandiera Percassi aveva prefigurato un ruolo da presidente: «Nessuno immaginava quello che è venuto fuori. Ci costituiremo parte civile nell'ambito del procedimento penale contro di lui per il calcioscommesse». L'ultima arringa di Percassi è sul tema che più gli sta a cuore: «Mi aspettavo un grazie o quantomeno rispetto, ai Ruggeri ho risolto un gran problema...».

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L'ECO DI BERGAMO 21-11-2012

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Modificato da Ghost Dog

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Lega

Diritti tv spartiti, ira Zamparini

dalle multe soldi per gli oratori

di STEFANO SCACCHI (la Repubblica 18-11-2012)

MILANO — I ragazzi torneranno a giocare sui prati degli stadi prima delle partite di campionato, come succedeva una volta. Merito di un torneo Under 14, che si concluderà a Roma nella settimana della finale di Coppa Italia, organizzato con parte dei proventi delle multe del giudice sportivo. E’ l’inizio di una campagna a favore del calcio negli oratori, voluta dalla Lega Serie A e che sarà finanziata con parte dei proventi delle multe comminate a giocatori e società.

Nell’assemblea di ieri è stata anche approvata la delibera per la distribuzione delle risorse economiche fino al 2015: «Passaggio di straordinaria importanza», dice il presidente Beretta. Furente la reazione di Zamparini, numero uno del Palermo che ha votato no insieme col Chievo, mentre Fiorentina e Napoli si sono astenute (tranne i viola, tutti minacciano di fare ricorso): «Li lascio da soli a dividersi il malloppo. Questa è la schifezza del calcio italiano. La Lega non esiste. Ce l'ho con le città che hanno due squadre ». Il nodo è il 5% dei diritti tv assegnato conteggiando due volte gli abitanti di Roma, Milano, Torino e Genova. Le provinciali volevano abrogare la norma, ma Roma e Lazio, seguite dalle altre “grandi”, sono riuscite a tenerla in vita. Ora bisogna completare la riforma dello Statuto con la nuova “governance” dalla quale dipenderà l’elezione del prossimo presidente (in lizza Beretta, Abodi, Campoccia e Simonelli). Una proposta, caldeggiata da Lotito, suggerisce di reintrodurre la possibilità di avere un dirigente di club al vertice della Lega, come era prima di Calciopoli. Ma difficilmente passerà. Poi si potrà cominciare finalmente a parlare dei problemi del nostro calcio.

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GLI INTERROGATORI PER IL CALCIO SCOMMESSE

Oggi Mauri ancora da Palazzi

Arrivano pure Sculli e Milanetto

di VALERIO PICCIONI (GaSport 20-11-2012)

Riparte l'inchiesta su Lazio-Genoa, una delle partite sotto accusa del calcio scommesse, l'ormai famoso 4-2 del 14 maggio 2011 finito all'attenzione degli investigatori di Cremona. Oggi la procura diretta da Stefano Palazzi ascolterà Giuseppe Sculli, Massimo Papola (massaggiatore della Lazio), Stefano Mauri e Omar Milanetto (svincolato). Al centro delle audizioni proprio la partita giocata all'Olimpico. Sarà il momento decisivo di un'istruttoria faticosa, fatta di grandi accelerazioni e altrettante frenate. In particolare da approfondire c'è la posizione di Mauri. Il laziale aveva già parlato con i collaboratori di Palazzi negando le accuse provenienti da Cremona, ma alla fine di maggio era addirittura finito in carcere. Quindi, l'interrogatorio a Berna in cui il calciatore ha risposto ai magistrati svizzeri sulle accuse di riciclaggio relative a un conto corrente a lui riconducibile.

Quanto alla vicenda dell'istruttoria sportiva, era stata «congelata» in attesa di nuove carte da Cremona che chiarissero la posizione del laziale. E della posizione di Mauri ha sicuramente parlato Palazzi con il pm Roberto Di Martino nella sua missione di un mese fa a Cremona, visionando probabilmente anche i documenti della rogatoria svizzera.

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IL SECOLO XIX 20-11-2012

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Scommesse Oggi nuovo interrogatorio del giocatore che si dichiara innocente

La partita più dura di Stefano Mauri

Audizioni Sarà sentito Sculli e il massaggiatore biancoceleste Papola

di DANIELE PALIZZOTTO (IL TEMPO 20-11-2012)

Stefano Mauri riparte da via Po. Sette mesi dopo la prima convocazione, all'ora di pranzo il centrocampista della Lazio torna negli uffici della Procura federale per il secondo tempo della partita più importante della stagione, l'inchiesta sul calcioscommesse. L'obiettivo è chiaro: dimostrare le propria estraneità alle presunte combine delle partite Lazio-Genoa e Lecce-Lazio, disputate nel maggio 2011 e da tempo sotto i riflettori degli investigatori federali edella Procura di Cremona.

Le indiscrezioni, l'interrogatorio davanti al procuratore Stefano Palazzi, poi l'arresto e addirittura il carcere, infine la rogatoria svizzera: per Mauri il peggio sembra ormai alle spalle. Di sicuro gli investigatori federali sono ancora convinti dell'irregolarità delle gare in questione, ma la posizione del vicecapitano biancoceleste è cambiata con il passare dei mesi. Per questo Mauri è stato nuovamente convocato in Procura insieme all'ex genoano Milanetto – anch'egli tirato in ballo da Gervasoni e già ascoltato da Palazzi lo scorso aprile – al compagno di squadra Sculli e al massaggiatore della Lazio Papola. Palazzi vuole vederci chiaro prima di scrivere i deferimenti. Il procuratore vuole capire bene il presunto ruolo giocato dai diversi protagonisti della storia e per questo chiederà nuove spiegazioni a Mauri sulla scheda telefonica intestata a Samanta Romano e utilizzata dal vicepitano biancoceleste in quel maggio 2011, «ma solo per effettuare scommesse su Nba e tennis», come hanno sempre sostenuto gli avvocati Buceti e Melandri. Di sicuro Palazzi vorrà conoscere anche i rapporti tra Mauri e il massaggiatore Papola, convocato per spiegare l'incontro avvenuto lo scorso marzo con Sculli e alcuni rappresentanti della criminalità organizzata e ripreso dalla polizia. La Procura non vuole ricadere negli errori della scorsa estate e per questo sta indagando a fondo: per il processo bisognerà attendere il 2013.

Modificato da Ghost Dog

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LA SENTENZA

Cagliari-Roma, si decide

La Corte di Giustizia Federale deve decidere sul ricorso dei sardi contro lo 0-3

Nella sua relazione gli 007 della Figc hanno condiviso la linea della giudice della Lega

di DANIELE GALLI (IL ROMANISTA 20-11-2012)

The end. Oggi, la Corte di Giustizia Federale metterà la parola fine al giallo di Cagliari-Roma. Valuterà il ricorso della società sarda contro lo 0-3 assegnato alla Roma dal giudice della Lega di Serie A. La Corte dovrà decidere se il rinvio della partita da parte del Prefetto di Cagliari è dipeso o no dal comportamento del presidente del club rossoblù, dall’invito di Cellino ai tifosi a presentarsi lo stesso allo stadio Is Arenas nonostante il Prefetto avesse imposto di giocare a porte chiuse.

Le parti - il Cagliari e la Roma - dovrebbero ritrovarsi davanti alla Corte verso l’ora di pranzo. Esattamente come il 25 ottobre, quando la Corte optò per il non giudizio: palla rispedita agli 007 di Stefano Palazzi per, scrissero i magistrati federali, «acquisire ulteriori elementi cognitivi e di valutazione in punto di fatto in ordine alla riconducibilità, anche a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 17, comma 1 C.G.S., della mancata disputa della gara Cagliari/Roma del 23.9.2012 al Cagliari Calcio S.p.A».

Come anticipato domenica da Il Romanista, nella sua relazione la Procura federale avrebbe descritto i fatti esattamente come stabilito dal giudice della Lega, Gianpaolo Tosel. A Cagliari, però, dicono di sentirsi sicuri. Fonti vicine al club di Cellino, che oggi si presenterà davanti alla Corte con l’avvocato Grassani (la Roma sarà rappresentata dal suo legale Sticchi Damiani e da uno tra Baldini e Fenucci), parlano di un asso nella manica, di una carta che non è stata calata in occasione della prima audizione, quella del 25 ottobre. Si tratterebbe, dicono, di un elemento nuovo che renderebbe invalida l’ordinanza prefettizia di rinvio dell’incontro. Sarà.

Eppure i fatti sembrano di una solare evidenza. La settimana che precedette la partita fu caratterizzata da un estenuante braccio di ferro tra il Cagliari e le istituzioni. Prima la Commissione provinciale di vigilanza dichiarò inagibile Is Arenas, l’impianto di Quartu Sant’Elena che ospita dalla scorsa primavera le gare interne del Cagliari e che tutto sembra tranne che uno stadio di Serie A, poi intervenne l’Osservatorio sulle manifestazioni sportive "suggerendo" al Prefetto del capoluogo sardo di giocare a porte chiuse, indicazioni copiate e incollate dalla Lega. L’unico a opporsi fu Cellino, che sul sito della società aprì lo stadio ai tifosi rossoblù. Balsamo, il Prefetto, fu quindi costretto a rinviare Cagliari-Roma, tra lo sconcerto più assoluto della dirigenza giallorossa. Il giudice della Lega punì il comportamento di Cellino con lo 0-3 a tavolino. Oggi si consumerà l’ultimo atto di questa tragicommedia sportiva all’italiana. L’ultimo atto. Forse.

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Il caso Giovedì la Disciplinare potrebbe decidere di far giocare a porte chiuse il match con il Psv del 6 dicembre

Il Napoli pronto alla battaglia

legale con l’Uefa per lo stadio

Rilevate irregolarità sugli spalti, ma i legali sono fiduciosi

Grassani Già presentato il ricorso contro il primo provvedimento

di GIANLUCA VIGLIOTTI (IL MATTINO 20-11-2012)

Il Napoli si prepara a giocare in Europa un altro importante confronto. Giovedi prossimo, in concomitanza con la partita di Europa League contro l’Aik Solna, è atteso anche il provvedimento della Commissione disciplinare di controllo dell’Uefa in merito al procedimento avviato nei confronti della società azzurra dopo la partita con il Dnipro dell’8 novembre. In quell’occasione gli intransigenti delegati Uefa, al termine della gara, hanno evidenziato nei loro referti la reiterata introduzione e accensione di fumogeni all’interno dello stadio, l’occupazione indebita delle scale di fuga da parte dei tifosi e ancora l’esistenza di altri intonaci pericolanti in alcuni settori del San Paolo. Nel precedente provvedimento del 26 ottobre l’Uefa, oltre ad una multa di 150mila euro, aveva imposto al Napoli anche di giocare una gara a porte chiuse. Questo provvedimento è stato però impugnato dall’avvocato Mattia Grassani e sarà discusso dalla Commissione d’appello nella prossima settimana. Inoltre la squalifica era stata sospesa e sottoposta ad un periodo di prova di 5 anni grazie all’immediato intervento del Napoli, che alla vigilia della gara con il Dnipro riuscì ad ottenere l’autorizzazione dell’Uefa ad aprire tutti i settori dello stadio, per i lavori eseguiti, a propria cura e spese, eliminando in pochi giorni tutti i pericoli derivanti dagli intonaci fatiscenti.

È molto probabile dunque che giovedì l’Uefa condanni il Napoli a giocare a porte chiuse la prossima e probabilmente decisiva gara di Europa League in programma al San Paolo il prossimo 6 dicembre contro il Psv Eindhoven. Ma in questo caso, entro tre giorni, il legale di fiducia della società azzurra potrà proporre all’Uefa un ulteriore appello per chiedere di conoscere e attendere l’esito del ricorso già presentato per il provvedimento di squalifica di una gara a porte chiuse in relazione alla partita disputata al San Paolo con l’Aik Solna il 20 settembre.

Solo successivamente, in caso di rigetto di questo giudizio d’appello, il provvedimento di giocare contro il Psv Eindhoven a porte chiuse potrebbe avere effetto. Insomma il Napoli si prepara a disputare con l’Uefa una vera e propria battaglia giuridica.

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Il pallone di Luciano

Il vittimismo dei nerazzurri

fa a pugni con la realtà

di LUCIANO MOGGI (Libero 20-11-2012)

Rieccolo, l’Immacolato per prescrizione. Un rigore non concesso, come ce ne sono tanti, ha scatenato la reazione di Moratti, con un prologo antipatico che non si confà ad uomini di eleganza, come lui si ritiene. Quel vaffa all’arbitro non sta bene sulla bocca e nei gesti del presidente dell’Inter, non ci furono (mai) nella storia del primo Moratti, ci vien da dire quello vero. Per il successore è già (almeno) lasecondavolta esiccomeci sono flash e video che lo documentano vogliamo proprio vedere se qualcuno della procura federale se ne accorgerà. Il patron interista ha dato la stura a trite e ritrite lamentele, poteva rimanere negli ambiti di un errore arbitrale ed invece haesondato sulle litanie di sempre, a partire dal massimo dei suoi ragionamenti, «non vorrei ritrovarmi in situazioni del passato», salvo poi fare anche una grande furbata,daun lato l’attacco, con tanto di allusioni e insinuazioni, dall’altro a dire che «un complotto no, sarebbe troppo stupido, è solo incapacità».

E gli errori a favore?

E se è solo incapacità (degli arbitri) cosa c’entrano tutte le frasi pregresse? Un po’ di coerenza non guasterebbe, e serietà imporrebbe che Moratti si ricordasse anche del rigore negato al Catania sullo 0-0 (1-0, ndt) oppure quando la sua squadra ha battuto la Samp con il gol risolutivo segnato in fuorigioco, e ancora, il gol del Milan annullato inspiegabilmente e il rigore non concesso per fallo di Samuel su Robinho, tutto ciò verificatosi durante l’ultimo derby. La sua tiritera è però a senso unico, vede i presunti torti subiti dall’Inter, sorvola puntualmente sui favori. La tecnica è sempre la stessa, il marcio è degli altri, mai suo, ed allora è utile dargli una ripassata per ricordargli lo scudetto che tiene in bacheca e non gli appartiene, le spiate e i dossieraggi illegali da lui ordinati a danno di chi gli dava fastidio, avendo pensato che fosse l’unico mezzo perfar fuori chi sapeva costruire squadre più forti e lo batteva puntualmente sul campo, le accuse agli altri di maneggi, frequentazioni e telefonate, salvo poi a scoprire, scoperta di Palazzi, che sul punto lui, i suoi e l’Inter non erano secondi a nessuno e meritavano un processo per illecito sportivo, quello vero, non quello strutturale inventato per Calciopoli. Nel caso giunse puntuale la improcedibilità per prescrizione, prova provata di un angelo protettore sempre presente a favore dell’Inter, fin dall’epoca in cui, taroccato il passaporto di Recoba, uno dei suoi dirigenti dovette patteggiare personalmente una condanna davanti alla Magistratura, ma l’Inter non subì, come doveva subire, la perditaatavolino di tutte le gare in cui aveva giocato il Chino. Storie curiose come se ogni qualvolta c’entri l’Inter la giustizia sportiva va in collasso e i tempi d’indagine s’allungano. Un fatto è certo, se la guerra tra Juve e Inter si è riaccesa, la miccia è di Moratti, e siamo perfettamente d’accordo con il “no comment” della Juve e la pubblicazione sul sito della relazione di Palazzi, per ricordare a chi soffre di smemoratezza che ci sono carte che cantano. In quanto poi all’estensore del servizio Rai su Inter-Cagliari, troviamo indecente che durante il collegamento si sia perso in questa considerazione, «le polemiche tra Juve e Inter non hanno giovato alla serenità dell’arbitro», come se la querelle avesse influito sulla decisione di non fischiare il rigore.

Illusioni svanite

Il pari con il Cagliari ha fatto svanire le nuove illusioni dell’Inter, nate dal pareggio inatteso della Juve con la Lazio. Era grande l’occasione di portarsi a due punti dai bianconeri, ma le speranze sono svanite in fretta. Tutto come prima, quattro punti erano, quattro punti sono, un altro turno è andato via come se non fosse nemmeno venuto, sospiro di sollievo della Juve che può indirizzare tutti i suoi sforzi nella gara con il Chelsea, fondamentale per la qualificazione in Champions. Blues non in grande condizione ma sempre da temere. Conte spera di recuperare Vucinic e medita di affidarsi a Quagliarella al posto di Giovinco, sotto osservazione (e fischi) della tifoseria.

Nella giornata si è impantanato anche il Napoli, dal 2-0 facile dell’inizio al 2-2 finale contro il Milan, gli errori di Abbiati hanno fatto perdere la trebisonda a Galliani (non molto carina l’espressione «portiere di m..») ma il momento era drammatico e siamo fatti di carne. L’ad, soddisfattissimo per la doppietta di El Shaarawy, ha chiarito con il portiere ed ha fatto bene. Mercoledì rossoneri a Bruxelles contro l’Anderlecht per la Champions. Berlusconi ha spinto anche in quella direzione, «il turno va superato».

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‘You don’t ever expect to find

yourself in the middle of a war’

by RORY SMITH (THE TIMES 20-11-2012)

First the deafening blare of the air-raid sirens, then the shouts to take cover. As he huddled behind the dressing room, he heard the searing shriek of two missiles shooting into the sky. A moment of silence, a moment of dread. And finally the resounding, thunderous boom of two rockets being shot out of the air echoed across Maccabi Tel Aviv’s training ground.

Welcome to Robert Earnshaw’s war.

This time last week, Earnshaw was simply an npower Championship player, a Wales striker on loan in Israel, hoping to help Maccabi, the club he joined from Cardiff this summer, into the Champions League. Then Hamas and the Israeli Defence Force (IDF) began trading blows. Rockets were fired deep into Israeli territory; airstrikes rained down on Gaza. Suddenly, Earnshaw found himself in a city at war.

“The first one was last Thursday,” he says. “We were in the middle of training, out on the pitch, everything was normal. Then the sirens went off. There are five foreigners here, including me, and none of us had a clue what was going on. The Israeli boys knew straightaway. They have all done three years’ mandatory military service, so it’s second nature. They started shouting to take cover. That’s what they’re told to do; it’s drummed into them.

“Then, on Sunday morning, we were just coming out of the dressing room when it happened again. The sirens, and the shouts to find shelter. We heard the sound of two missiles being launched. We watched them go up — really high — and then they sort of disappeared. Then all you heard was this enormous boom, when they took the rockets out. It’s not something you ever think will happen to you. It’s not something I expected to find myself in, in the middle of a war.”

What Earnshaw witnessed in action is Iron Dome, the state-of-the-art missile defence system designed to protect Israel from short-range rockets. The conflict with Hamas has been its first test; the IDF claims it has been an unqualified success, taking out 300 missiles sent into Israeli territory from the group’s bases in Gaza. Given that, as of yesterday, more than 1,000 had been fired, it is no surprise Earnshaw does not feel quite as confident in its capabilities as his hosts.

“They are certain the interceptors protect them,” he says. “They’ve got faith in Iron Dome and the army; they know they have one of the best defence systems in the world. The rockets are fired from so far away that they’ve got time to pick them up.

“But it’s different if you’re not used to it. It has been really difficult, and you can’t help but be a little shaken up. This is the first time in 21 years that the sirens have been heard in Tel Aviv. Stuff like that doesn’t happen here.

“The war is 75 kilometres away, near Gaza. But they have all been brought up, I guess, to get used to at least the threat of war. This is a beautiful city, really family-orientated. Loads of people are on the beach, and the restaurants are full, everyone’s out shopping. When the sirens go off, people take cover, but as soon as it’s over, they get on with things as normal.”

Earnshaw is less comfortable. When the sirens first sounded last week, his sister and his young son, Silva, were visiting. “That’s your first thought, to let them know that Iron Dome will take care of it and they shouldn’t panic,” he says. “It was hard at first because you’re trying to call them but the networks are jammed. But I got through, and told them it would be OK.” That is the approach Earnshaw is taking with himself, too. “I’ve really enjoyed the experience up until now,” he says. “This is a great city and it’s been really good on the football side.”

The political situation, he admits, formed part of his thinking when he was considering whether to move to Tel Aviv. “But speaking to people who had been here, they reassured me. I was worried, obviously, about whether I would like the place, but the idea of war was not at the forefront of my mind.” It is now, of course, although he has not yet decided to request from Maccabi a period of leave until the conflict subsides.

“They have given us lots of information,” he says. “And told us what to do in certain situations. I will wait to see if it escalates.” In the meantime, he will continue to post updates on his Twitter feed. “We watched two intercepting rockets blow up a missile in the sky when we were about to start training,” he wrote yesterday, the little Welsh striker who left a footballer and became a war correspondent.

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LA CULTURA DEL SOSPETTO

di ANTONIO MAGLIE - Corsport - 20-11-2012

II calcio è come il Paese. Soprattutto dal punto di vista dei vizi. Immobile nella contemplazione del suo passato. Masochista nell'affermazione dell'ineluttabilità del suo destino, Sei anni sono passati da Calciopoll eppure rimaniamo immersi nei soliti sospetti: non un passo avanti abbiamo fatto, al contrario ne abbiamo fatti molti indietro (anche nei ranking internazionali che sono la spia dei nostri malesseri e dei nostri insoluti problemi).

Ci crogioliamo nella filosofia dell'Altrismo: la colpa di ciò che avviene è sempre del nostro dirimpettaio; ci lamentiamo di una classe politica corrotta dimenticandoci che invariabilmente la votiamo da decenni e che forse qualcuno (più dl qualcuno) da questa corruzione trae piccoli o grandi vantaggi, anche fra i nostri migliori amici. Per noi risulta insopportabile quello che disse Kennedy nel discorso della Nuova Frontiera e che Obama ha ripreso recentemente: non chiedetevi cosa l'America possa fare per voi, ma cosa voi potete fare per l'America. Noi l'unica cosa che sappiamo fare è smentire Gesù Cristo guardando la pagliuzza nell'occhio del vicino.

Moratti ha ragione a lamentarsi per l'arbitraggio dl domenica e per quelli delle due giornate precedenti. Ma ciò non toglie che il Cagliari abbia giocato una gran partita e che la Juventus non può essere come la prima guerra del Golfo, la madre di tutte le battaglie e di tutti i problemi del calcio italiano. Il fatto è che i conti con il passato noi tendiamo a lasciarli in sospeso: è accaduto spesso nella nostra storia. Ci fermiano a metà strada, anche perché manca chi dovrebbe guidarci sull'altro marciapiede. Un ruolo che spetterebbe a una classe dirigente sportiva che in Italia ha ormai le caratteristiche dl un Cimitero degli Elefanti, un po' come la vecchia Cassa per il Mezzogiorno. Il presidente del Coni, Petrucci si illuse che una colazione pacificatoria a base dl pessimi tramezzini ci avrebbe trionfalmente proiettato oltre-Calciopoli. Vecchi riti, archeologia politica, buona per la visibilità, inutile per i risultati. Lo sport sta rinnovando le sue cariche. Ci vorrebbe gente giovane, capace di costruire il futuro regolando senza condizionamenti i conti con il passato. Ci vorrebbero dei leader. Ma anche in questo lo sport e il calcio sono specchio del Paese e dei suoi resistenti difetti.

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l'opinione

ERRORI E DOSSIER: PERCHE' IL GIOCHINO NON FUNZIONA PIU'

di Edmondo Pinna

C'è sempre un dossier, una lista dei torti subiti, un brogliaccio da sventolare quando il vento comincia a tirare contro. Ci sono, devono esserci, alacri amanuensi pronti ad annotare ogni fischio sbagliato da parte dei direttori di gara di casa nostra. Più cresce la casella degli errori (o presunti tali), più forte sarà la protesta. Per mettere, questa sarebbe l'intenzione, pressione a questo o quell'arbitro, questa o quella scelta da parte dei vertici dell'Aia, in vista della prossima partita. Un giochino vecchio come il calcio, in voga anche negli anni che poi - lo abbiamo drammaticamente scoperto - erano governati da Calciopoli. La lista degli errori, da conservare ed esibire alla bisogna, però, sta diventando un malcostume al quale soprattutto chi governa il mondo del pallone dovrebbe mettere fine. Per tre motivi. A lamentarsi, a presentare il dossier di turno, più o meno copioso, potrebbero ormai essere tutte le società di serie A, comprese (e questa, se volete, è quasi una notizia) le cosidette grandi, un tempo al riparo da simili sventure. Chiunque può dire di aver subito un torto arbitrale (grande o piccolo che sia dipende dagli obiettivi prefissati e dal risultato raggiunto) e questo perché il livello degli arbitri è molto standardizzato, troppo spesso verso il basso. Ma a questo ci siamo arrivati anche a causa di Calciopoli. E poi - secondo punto - siamo sicuri che lamentarsi per creare pressione ed indurre a favori sia un atteggiamento utile? Prendiamo l'Inter, tanto per rimanere sul pezzo: dopo la Juve, dove onestamente stava subendo uno scippo clamoroso e vergognoso, s'è lamentata facendo finta di non lamentarsi, agevolata dal risultato (avrebbe fatto altrettanto se avesse vinto la Juve?); dopo l'Atalanta, s'è comportata allo stesso modo (quel rigore che non c'è e che ha deciso, di fatto, il risultato, le dà comunque ragione). Sarebbe stato facile, se il giochino avesse funzionato, condizionare un giovane arbitro (Giacomelli), in casa propria (San Siro) in una situazione comunque chiara (rigore su Ranocchia). La realtà, e qui arriviamo al terzo punto, è che il giochino non funziona più (se mai ha funzionato). Perché l'arbitro non si preoccupa più di favorire quella o questa squadra, sfavorendo questo o quel club. L'arbitro si preoccupa del prestigio, della credibilità che la sua prestazione può dargli. Più prosaicamente, della pagnotta, visto che adesso in Italia è la stessa per tutti (3800 euro lordi a partita) e che abbiamo dieci internazionali (la metà degli arbitri della nostra serie A), le cui fortune italiche significano fortune anche in ambito Uefa.

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II caso Duro intervento del presidente Figc: «Veleni che ci rovinano»

Abete censura Inter e Juve

Gli arbitri pensano ai soldi

Braschi: il rigore ci poteva stare, ma è un errore veniale

6 gli arbitri internazionali assegnati finora all'Inter: sono stati 10 al Napoli, 9 a Juventus e Lazio, 8 alla Fiorentina

Moratti (quasi) zitto

Il presidente ha risposto stizzito alle osservazioni di Galliani, ma non ha gradito certi accostamenti

MILANO — Febbre alta. La tempesta arbitrale non è passata, dopo la domenica dei veleni, sull'asse Inter-Juve: il rigore non fischiato a Ranocchia contro il Cagliari ha riaperto le ferite di Cal-ciopoli. Si è passati dal «non vorrei rivivere certe situazioni» (Mo-ratti), alla relazione di Palazzi del i luglio 2011 sulle telefonate fra l'Inter e i designatori arbitrali di allora pubblicata su www.juventus.com. Così sono intervenute tutte le più alte cariche dello sport italiano, a cominciare dal presidente del Coni, Petrucci: «Capisco l'amarezza di Moratti, ma tornerà il sereno. La polemica con la Juve? C'era un riavvicinamento e non credo che quanto è accaduto allontani due persone intelligenti come Moratti e Agnelli». Meno conciliante d presidente della Figc, Abete, che non ha gradito le due posizioni e che ha usato toni duri (a Gr-Parlamento): «Prima di Juve-Inter avevo letto di una tregua tra le società. Non mi ero illuso, conoscendo le posizioni strutturalmente diverse dei club. Da quella ipotetica tregua, siamo tornati ad una situazione spiacevole. Il clima si è fatto avvelenato e non ce n'era assolutamente bisogno. E comprensibile che l'evento crei emozioni, ma questo non contribuisce alla creazione di un clima positivo in un campionato che è ancora nel girone d'andata. Non vedo attacchi alla Figc: una società ha richiamato situazioni passate in giudicato nella giustizia sportiva; l'altra una relazione a cui non è stato dato seguito per prescrizione. Ognuno cerca di ritagliarsi una verità che appartiene alla sua sensibilità e non è bello; a livello internazionale occorre offrire un'immagine migliore .

Della questione ha parlato anche l'ad. del Milan, Galliani, giusto per completare il triangolo: «Ognuno si lamenta quando ha dei danni e non quando ha vantaggi, io per primo. Non voglio commentare i fatti di Inter e Juve. Per quanto ci riguarda, nel derby siamo stati certamente sfavoriti noi e non ho sentito lamentele: ci è stato annullato un gol regolare e non ci è stato dato un rigore. Gli arbitri sbagliano. L'anno scorso abbiamo avuto contro il più eclatante errore arbitrale e abbiamo fatto un po' di casino». Moratti ha evitato di tornare sull'argomento, manifestando comunque un umore nero, anche per certi accostamenti, che l'hanno ferito. Ha commentato le parole di Galliani con un «E chi se ne frega. Non ha detto niente di strano». Di certo l'Inter ha valutato se e come muoversi, una strategia da rendere operativa nelle prossime ore, se si creeranno le condizioni per farlo.

Nella bufera resiste impavida la coppia Nicchi-Braschi. Il designatore ha parlato di rigore che poteva starci, ma non di un errore clamoroso. Un peccato veniale. Una spiegazione che rivela il lassismo tecnico che ha portato la classe arbitrale ad offrire un servizio mediocre, mai all'altezza di un campionato non bello, ma sempre incerto. Il fallo non fischiato a San Siro è soltanto l'ultimo di una serie di errori clamorosi in più direzioni. D'altronde quando si passa da Gussoni (troppo signore) e Collina (troppo preparato e ingombrante, meglio all'Uefa) a Nicchi (presidente appena rieletto in un quadro di bassa qualità) e Braschi (designa-tore) non si può che regredire. L'Inter ha avuto appena sei arbitri internazionali in 13 partite: meglio d Napoli (io), la Juve e la Lazio (9) e la Fiorentina (8), ma, visto Tagliavento, questa diventa una semplice curiosità, mentre oggi si aspetta d verdetto del giudice sportivo su Stramaccioni (espulso) e (forse) Cassano.

Le prospettive, per la regolarità del campionato, sono inquietanti, visto il livello dei raduni (l'ultimo, venerdì scorso). Ci sono arbitri (21 nella Can di A) e assistenti (una squadra di 41) mediocri, preparati in modo superficiale, impermeabili alle critiche, arroganti in campo, preoccupati di difendere la propria posizione, per continuare a guadagnare bene. Del resto i soldi sono sempre stati una componente importante anche nella carriera di Braschi: nel 1999, aveva cambiato residenza per arbitrare anche la Fiorentina; nel 2oo3 era stato squalificato per i8 mesi, per aver sottoscritto un contratto come d.g. del Siena, senza aver ricevuto nessuna autorizzazione. Poi ha ottenuto di rientrare nell'Aia. Sono tempi in cui si guadagna di più a fare d designatore.

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Calciopoli, ferita aperta con un problema irrisolto

Non c'è pace senza giustizia. E la giustizia del 2006, vista dal 2012, sembra quanto meno manchevole di un grosso pezzo di verità, nascosto, dimenticato, forse addirittura deliberatamente ignorato

TORINO - Quando un problema non lo risolvi, si ripropone come la peggiore delle peperonate. E il calcio italiano, che negli ultimi sei anni ha cercato di seppellire le imbarazzanti scorie di Calciopoli, continua ad avere un problema irrisolto. E' inutile scandalizzarsi, lanciandosi nei triti inviti ad abbassare i toni o, peggio, a dimenticare il passato in nome di un futuro da costruire. Il futuro si costruisce sempre sul passato e se il passato traballa non offre fondamenta solide.

Calciopoli è una ferita aperta che, oltretutto, continua a spurgare pezzi di verità ignorati nel 2006, quando la giustizia funzionò a due (se non tre) velocità. La relazione di Palazzi del 1° luglio 2011, tornata di moda con il malizioso link del sito juventino, non l'ha scritta un invasato tifoso bianconero, ma il procuratore federale che aveva inchiodato la Juventus cinque anni prima. Quella relazione parla delle gravi violazioni dell'Inter, anche quella del famigerato Articolo 6, "illecito sportivo", di cui la società di Massimo Moratti era accusabile, almeno secondo il pm (il giudice non si è potuto esprimere proprio per quella storia delle velocità diverse). Non si può chiedere a quattordici milioni di tifosi, a partire da Andrea Agnelli, di dimenticare ciò che è stato cristallizzato in un documento ufficiale della Figc.

Nessuno è mai riuscito a rispondere ai tanti "perché" sorti in chi, e non solo fra i tifosi juventini, si è avventurato nella lettura delle settantadue pagine di Palazzi. Ci ha provato con grandissima buona volontà il presidente del Coni Gianni Petrucci che, qualche mese dopo la relazione, allestì il cosiddetto "Tavolo della pace", iniziativa della quale si può pensare ciò che si vuole ma ebbe il grande merito di affrontare il problema e non spazzarlo sotto il tappetto delle dichiarazioni di "incompetenza". Da quel tavolo stava per uscire un documento il cui passaggio fondamentale recitava: "...Convinti che il fenomeno chiamato Calciopoli - contraddistinto da comportamenti deliberati o solo indotti dal clima di quel periodo e a prescindere dalle sentenze e dalle decisioni sin qui assunte dagli organi competenti - rappresenta nel suo insieme il periodo più oscuro nella storia del calcio italiano considerato che gli stessi organi federali di allora seguirono le logiche condizionate dal momento, adottando in qualche caso provvedimenti che in circostanze diverse e con analisi più complete e approfondite, avrebbero potuto avere forme e contenuti differenti". Qualcuno non volle firmarlo e, quindi, accettarlo.

Oggi resta, quindi, possibile fare riferimenti al passato da una parte e dall'altra della barricata, con la possibilità di ferire e offendere, la certezza di non capirsi e la garanzia di non chiudere quella ferita. Superare Calciopoli, che non significa cancellare i veleni del calcio ma certamente diminuirne la tossicità, significa avere il coraggio di affrontare la storia nella sua completezza e non nella parzialità, riconosciuta implicitamente da Palazzi ed esplicitamente dal documento del tavolo. Non c'è pace senza giustizia. E la giustizia del 2006, vista dal 2012, sembra quanto meno manchevole di un grosso pezzo di verità, nascosto, dimenticato, forse addirittura deliberatamente ignorato. O il calcio italiano trova il coraggio di ripercorrere quella strada, oppure ogni errore arbitrale riporterà indietro l'orologio, in una perversa e nauseante macchina del tempo.

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Il pallone di Luciano

Il vittimismo dei nerazzurri

fa a pugni con la realtà

di LUCIANO MOGGI (Libero 20-11-2012)

Rieccolo, l’Immacolato per prescrizione. Un rigore non concesso, come ce ne sono tanti, ha scatenato la reazione di Moratti, con un prologo antipatico che non si confà ad uomini di eleganza, come lui si ritiene. Quel vaffa all’arbitro non sta bene sulla bocca e nei gesti del presidente dell’Inter, non ci furono (mai) nella storia del primo Moratti, ci vien da dire quello vero. Per il successore è già (almeno) lasecondavolta esiccomeci sono flash e video che lo documentano vogliamo proprio vedere se qualcuno della procura federale se ne accorgerà. Il patron interista ha dato la stura a trite e ritrite lamentele, poteva rimanere negli ambiti di un errore arbitrale ed invece haesondato sulle litanie di sempre, a partire dal massimo dei suoi ragionamenti, «non vorrei ritrovarmi in situazioni del passato», salvo poi fare anche una grande furbata,daun lato l’attacco, con tanto di allusioni e insinuazioni, dall’altro a dire che «un complotto no, sarebbe troppo stupido, è solo incapacità».

E gli errori a favore?

E se è solo incapacità (degli arbitri) cosa c’entrano tutte le frasi pregresse? Un po’ di coerenza non guasterebbe, e serietà imporrebbe che Moratti si ricordasse anche del rigore negato al Catania sullo 0-0 (1-0, ndt) oppure quando la sua squadra ha battuto la Samp con il gol risolutivo segnato in fuorigioco, e ancora, il gol del Milan annullato inspiegabilmente e il rigore non concesso per fallo di Samuel su Robinho, tutto ciò verificatosi durante l’ultimo derby. La sua tiritera è però a senso unico, vede i presunti torti subiti dall’Inter, sorvola puntualmente sui favori. La tecnica è sempre la stessa, il marcio è degli altri, mai suo, ed allora è utile dargli una ripassata per ricordargli lo scudetto che tiene in bacheca e non gli appartiene, le spiate e i dossieraggi illegali da lui ordinati a danno di chi gli dava fastidio, avendo pensato che fosse l’unico mezzo perfar fuori chi sapeva costruire squadre più forti e lo batteva puntualmente sul campo, le accuse agli altri di maneggi, frequentazioni e telefonate, salvo poi a scoprire, scoperta di Palazzi, che sul punto lui, i suoi e l’Inter non erano secondi a nessuno e meritavano un processo per illecito sportivo, quello vero, non quello strutturale inventato per Calciopoli. Nel caso giunse puntuale la improcedibilità per prescrizione, prova provata di un angelo protettore sempre presente a favore dell’Inter, fin dall’epoca in cui, taroccato il passaporto di Recoba, uno dei suoi dirigenti dovette patteggiare personalmente una condanna davanti alla Magistratura, ma l’Inter non subì, come doveva subire, la perditaatavolino di tutte le gare in cui aveva giocato il Chino. Storie curiose come se ogni qualvolta c’entri l’Inter la giustizia sportiva va in collasso e i tempi d’indagine s’allungano. Un fatto è certo, se la guerra tra Juve e Inter si è riaccesa, la miccia è di Moratti, e siamo perfettamente d’accordo con il “no comment” della Juve e la pubblicazione sul sito della relazione di Palazzi, per ricordare a chi soffre di smemoratezza che ci sono carte che cantano. In quanto poi all’estensore del servizio Rai su Inter-Cagliari, troviamo indecente che durante il collegamento si sia perso in questa considerazione, «le polemiche tra Juve e Inter non hanno giovato alla serenità dell’arbitro», come se la querelle avesse influito sulla decisione di non fischiare il rigore.

Illusioni svanite

Il pari con il Cagliari ha fatto svanire le nuove illusioni dell’Inter, nate dal pareggio inatteso della Juve con la Lazio. Era grande l’occasione di portarsi a due punti dai bianconeri, ma le speranze sono svanite in fretta. Tutto come prima, quattro punti erano, quattro punti sono, un altro turno è andato via come se non fosse nemmeno venuto, sospiro di sollievo della Juve che può indirizzare tutti i suoi sforzi nella gara con il Chelsea, fondamentale per la qualificazione in Champions. Blues non in grande condizione ma sempre da temere. Conte spera di recuperare Vucinic e medita di affidarsi a Quagliarella al posto di Giovinco, sotto osservazione (e fischi) della tifoseria.

Nella giornata si è impantanato anche il Napoli, dal 2-0 facile dell’inizio al 2-2 finale contro il Milan, gli errori di Abbiati hanno fatto perdere la trebisonda a Galliani (non molto carina l’espressione «portiere di m..») ma il momento era drammatico e siamo fatti di carne. L’ad, soddisfattissimo per la doppietta di El Shaarawy, ha chiarito con il portiere ed ha fatto bene. Mercoledì rossoneri a Bruxelles contro l’Anderlecht per la Champions. Berlusconi ha spinto anche in quella direzione, «il turno va superato».

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FRANCE football | MARDI 20 NOVEMBRE 2012

L'ARG€NT DU FOOT FRANÇAIS

LA CRUELLE VÉRITÉ

PSG mis à part, la situation financière de notre football

professionnel balance selon les clubs entre le mauvais

et l'inquiétant. Du coup, l'indispensable et salvatrice

cure d'amaigrissement va se prolonger et s'intensifier

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"sarebbe meglio metterci una pietra sopra..."

ma che catzo dice sto ansaldo?

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Il Manchester United si avvia a diventare la squadra con la divisa di gara più ricca nel calcio

Red Devils, 100 mln dalla maglia

Accordo con Chevrolet per 63 mln annui. Ora rinnovo con Nike

di MARCEL VULPIS (ItaliaOggi 20-11-2012)

Manchester United sul tetto del mondo grazie al volano delle sponsorizzazioni di maglia. Dopo l’accordo «monstre» con Chevrolet per 441 milioni di euro, spalmati a partire dalla stagione 2014/15 su sette anni, adesso l’attenzione del club di Malcom Glazer (magnate con interessi anche nel football americano) è sul rinnovo del contratto con la Nike, da 13 anni sponsor tecnico.

Fino ad oggi la società britannica ha incassato più di 360 milioni di euro dalla fornitura tecnica della casa di abbigliamento. Le intenzioni dei Red Devils sono quelle di superare stabilmente i 35 milioni di euro a stagione, che si andrebbero ad aggiungere ai 63 mln pagati appunto dal marchio di proprietà di General Motors, per un budget, su base annua, vicino ai 100 milioni di euro. La chiusura di queste due operazioni trasformerebbe la maglia del Manchester United nella divisa di gara più ricca nella storia del calcio mondiale.

Il Manchester United ha chiuso il bilancio 2012, precedente alla quotazione borsistica sul Nyse, con 29 milioni di euro di ricavi (nella stagione precedente erano stati 16 mln). Il club che ha tra i suoi campioni Robin van Persie ha incrementato il giro d’affari del 3,3% arrivando quasi a superare il «tetto» dei 400 milioni di euro. In un prossimo futuro il binomio Chevrolet-Nike, considerando anche l’aumento dei ricavi commerciali del 13,7% (sempre nel 2012), pari a 145 milioni di euro, potrà valere circa i 2/3 delle entrate del club. Sponsorizzazioni e merchandising rappresentano la voce principale ricavi (ogni anno vengono vendute più di 3 milioni di maglie-replica in ogni angolo del pianeta), subito dietro i diritti tv (129 milioni nel contro i 145 mln del 2011). Dalla biglietteria arrivano invece più di 123 milioni di euro.

Tra tante vittorie in casa Manchester United c’è anche una cocente sconfitta, sempre sul terreno delle sponsorizzazioni. È finita infatti con una penale molto salata la sponsorizzazione di Dhl. Nel febbraio 2011 la multinazionale della logistica aveva stretto un accordo triennale con la squadra britannica per essere presente con il suo marchio su tutto il materiale di gioco allenamento. novità assoluta il mercato delle sport-sponsorship. Poi, pochi mesi l’annuncio di Chevrolet. La casa automobilistica ha preteso tutti gli spazi sponsorizzativi disponibili, inclusi quelli assegnati Dhl (che rimarrà dei Red Devils). Il problema alla fine è stato risolto con il pagamento di una multa da 40 milioni di euro direttamente a Dhl, di fatto sedotto e abbandonato sull’altare di contratti sempre più faraonici. Per gli addetti ai lavori questi aumenti record, pur in presenza di una crisi economica internazionale, potrebbero servire a eludere le ferree regole imposte dal fair play finanziario stabilite di recente dalla Uefa.

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LA CONFESSIONE

VAN DER MEYDE

«ROVINATO DA SESSO,

CAMMELLI, COCA E RUM»

È uscita l'autobiografia dell'olandese ex Inter, che racconta

«senza nessuna pietà» il proprio declino tra mogli zoofile,

spogliarelliste, sbronze, polvere bianca, pillole, folli corse in

automobile con Ibra e Mido, figli negati o malati e troppi soldi

Dopo ogni vittoria Moratti ci allungava 50 mila euro a testa

Con le donne il mio motto era: sempre e ovunque...

di ALEC CORDOLCINI (EXTRATIME 20-11-2012)

Geen genade - Nessuna pietà. Così Andy van der Meyde ha deciso di giudicarsi nella sua autobiografia. Più che un libro, una confessione a cuore aperto di un talento bruciato da una vita sempre oltre il limite. Di rado un giocatore si è raccontato in questo modo, senza filtri né autocommiserazione. Ma soprattutto senza pietà. «Mio padre era un alcolizzato e un giocatore incallito - scrive -. Con lui ho rotto ogni rapporto, tanto che quando entrai nelle giovanili dell'Ajax chiesi di giocare con il cognome di mia madre. Mi dissero di no». Ma il sogno di giocare all'Amsterdam Arena si concretizza lo stesso. «L'Ajax è stata l'unica squadra in cui mi sono divertito. Legai con Ibrahimovic e Mido: si sfidavano in folli corse notturne sull'anello della A10 attorno ad Amsterdam. Zlatan aveva una Mercedes SL AMG, Mido alternava Ferrari e BMW Z8. Tomas Galasek invece mi iniziò alle sigarette». L'ascesa è rapida: Champions , nazionale. «Poi un giorno arriva l'offerta dell'Inter: 8 milioni. Accettai, nonostante l'allenatore, Ronald Koeman, non mi ritenesse ancora pronto per l'estero. Dopo una settimana a Milano, telefonai a David Endt (team manager dell'Ajax, ndr) implorandolo di riportarmi a casa. I soldi possono anche tenerseli, gli dissi. Mi consumava la nostalgia». Che spesso Andy combatte con l'alcol; una volta, visibilmente sbronzo, perde i sensi durante una conferenza stampa.

Lo zoo in giardino

Passare dall'Ajax all'Inter è come «lasciare un negozio di paese per una multinazionale. Tutto estremamente professionale, un giro di soldi pazzesco, il presidente che dopo ogni vittoria allungava ai giocatori 50 mila euro a testa». All'Inter Andy disputa due stagioni in tono minore, dove ai rari guizzi in campo («la rete ad Highbury contro l'Arsenal è stato il mio miglior momento in nerazzurro») si accompagnano eccentricità private. «Avevo uno zoo nel giardino di casa: cavalli, cani, zebre, pappagalli, tartarughe. Dyana, la mia prima moglie era la vera malata. Per lei rifiutai un trasferimento al Monaco: a Montecarlo ci sono solo appartamenti, mi disse, dove li mettiamo i nostri animali? Una sera scesi in garage, al buio, intravidi una sagoma imponente e udii suoni strani. Aveva comprato un cammello».

"Cuba libre" a Liverpool

Poi arriva la Premier League nel 2005. «All'Everton mi proposero uno stipendio di 37mila euro a settimana, più del doppio di quello che percepivo all'Inter. Ci andai di corsa. La prima cosa che feci fu comprare una Ferrari e andare a sbronzarmi al News Bar, uno dei locali più in voga di Liverpool. La mia giornata terminò in uno strip-club. Andavo pazzo per le spogliarelliste. Lì conobbi Lisa e me ne innamorai subito. Nel suo mondo bere e sniffare cocaina era una cosa all'ordine del giorno». Dyana mangia la foglia, lo fa pedinare da un detective e non gli fa più vedere le due figlie: «Mi sarei preso a pugni in faccia quando mi elencò tutte le prove che aveva raccolto». Alle donne («il mio motto era: sempre e ovunque, fosse un'igienista dentale, una segretaria dell'Ajax, una ragazza conosciuta a un semaforo»), VDM aggiunge altri vizi. «Una volta passai una serata a gozzovigliare a Manchester, mi scolai un'intera bottiglia di rum e andai direttamente agli allenamenti. Ai test registrai il mio miglior tempo di sempre, ma non riuscii a nascondere la sbronza». All'Everton Andy si allena sempre meno. «Il tecnico Moyes pensava fossi un viziato, in realtà stavo accanto a Dolce, la bambina che avevo avuto da Lisa. Soffriva di una rara malattia all'intestino, è stata operata otto volte in due anni. Non volevo lasciarla sola. Ma ero fuori controllo; non riuscivo a dormire se non prendendo pillole. Era roba pesante, di quella da prendere con la prescrizione del medico. Quindi le rubavo dallo studio del medico del club. L'ho fatto per più di due anni. Poi è arrivata la cocaina, insieme a Bacardi, vino e feste in quantità. Capii che dovevo andarmene da Liverpool, o sarei morto».

«Affidatemi i ragazzi»

Ridotto a un rottame, Van der Meyde trova un insperato aiuto dall'allora tecnico del Psv Eindhoven Fred Rutten, che lo ingaggia con un contratto annuale. «Ma è stato come tentare di mettere in moto un'auto ferma da troppo tempo: i ritmi del calcio pro non facevano più per me». Dopo un annetto con i dilettanti del WKE, Van der Meyde lascia il calcio e inizia a scrivere. «Sono in attesa del quinto figlio, il secondo dalla mia attuale compagna, Melissa. Non sono milionario ma vivo meglio di prima. Col libro ho voluto chiudere un capitolo della mia vita. Adesso voglio allenare nelle giovanili. Dopo tutti gli errori che ho commesso, chi meglio di me può insegnare ai ragazzi come non sprecare il proprio talento?».

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Football's addiction to gambling

by The Secret Footballer, for CNN

November 13, 2012

(CNN) -- To my mind, gambling is the son of avarice and the father of despair. I have never got in over my head where gaming is concerned but I have witnessed some horror stories that have made the front page of the national press and, away from the blackjack table, I have experienced the sharp decline of the floor beneath my feet when I have invested more than I could afford to lose.

In one walk of life, you are a victim of the times and, therefore, a blight on acceptable living. And a candidate for somebody like Harvard to throw shit loads of money into some groundbreaking research so that they can determine whether or not you have similar brain activity to that seen in cocaine addicts.

Which would mean you can be categorized as suffering from "impulse control disorder" and which would ultimately mean that you can pay for and be treated acceptably.

In another life, a merchant bank will throw serious money at you, start you off on utilities and call you "a trader".

I tend only to bet on the things that are easy to get caught up in. That said, I never really get a buzz from betting, even if I win, which isn't often.

Having grown up on Mike Tyson knocking the heads off anyone who was stupid enough to get in a ring with him, I found myself getting carried away with the pre-fight bravado just like everybody else -- to the point that I wagered £200 on "Iron Mike" to beat Lennox Lewis in 2002.

Tyson wasn't the only man down and out when Lewis connected with a big right hand towards the end of the eighth round and, if the truth were told, William Hill (the English bookmaker), was never in any danger where my bet was concerned.

And in that brief remembrance of fights past can be found my saving grace where would-be gambling addiction is concerned. When it comes to staking my life on the outcome of any given sporting event, I haven't got a f***ing clue what I'm doing.

I recognize that fact and I am not ashamed to admit it.

Whether confessing that important piece of information to either my colleagues urging me to join in a game of high-stakes poker or to my father in a best-of-three pool match down the pub, I can honestly say that I have saved both a fair amount of embarrassment and incalculable amounts of money by putting my cards on the table at the outset.

Despite that, it is probably fair to say that I have been exposed to gambling and its downfalls slightly more often than the average person.

When you are trapped on a coach or in a plane or in sunny climes with 20 millionaires, one of two things will happen: the conversation turns to women -- and, by extension, wives -- or, as if by magic, somebody produces a pack of cards. Either way, somebody always takes a pasting.

From that moment on, anything can happen. And in my time as a footballer, I have seen it all -- from players losing tens of thousands of pounds on the turn of a card, and their families staging interventions, to their more fortunate contemporaries winning $250,000 in a Las Vegas casino after popping down to the lobby to buy a phonecard.

"Card schools" are not as prolific among professional football ranks as you might think.

In fact, I'd go so far to say that, with each crop of new players which comes through, another few card schools fall by the wayside. These days, it seems there are more important vices to spend one's money on, like prostitutes and fast cars.

But I did play at one Premier League club which had developed a fairly serious card school.

I judge the level of seriousness by the fact that, as the team bus pulled in to our London opposition's stadium, several of the team were missing from the pre-match walk on the pitch -- historically used to check what stud is needed for the turf but, instead, is now used as a chance to upload pictures of empty stadiums on to Twitter.

Those players had remained on the bus, wrapping up their last hand and making sure that the bus driver didn't clear anything away. We went into that match very confident and I am convinced we would have won, save for two individuals who produced less than average performances.

Back on the bus, the card school reassembled while I made the rest of the players' cups of coffee.

Walking back and forth along the bus, delivering their caffeine fix for the long journey home, I began to notice that the two players who had played so badly were also the two players who had between them lost tens of thousands of pounds since we had set off from home the day before.

The running total was being kept by another player and he flashed me a sheet of paper as I walked past, only because he wanted to show me he was significantly up.

I resented having to give the coffees out, let alone my wages. The experience gave me an added incentive not to get involved; it was clear a player could not function on the pitch with such a heavy financial burden hanging over him.

But it didn't stop there.

With no money left to gamble one of the players threw an expensive piece of jewelery onto the table. The bet was several thousand, all in. The other players looked at him and, without the expertise of a certified gemologist, it was decided a second piece should also be thrown in. He lost the lot.

Around six weeks later, the defeated player still hadn't paid his debt. Worse, his car was spotted every day outside a betting shop that was close to our training ground.

One day, a member of the same card school came in looking a little shell shocked and proceeded to tell the players assembled for breakfast in the canteen what he had witnessed at the same betting shop after training the previous day.

I'll let him tell the story because I can remember it almost word for word, it has become a bit of a cult tale in football circles (I have changed all the names, including any business names etc):

"We finished training and thought we'd get a takeaway. "'Nobby' said: "Let's just stop in at the betting shop and see what's on'. So he put on an accumulator. He picks five horses and we go to get the food. We come back and three of the horses have won so we hang about.

"Then the next one wins and the other one wins. Nobby cleaned up, thousands and thousands! So I say: 'Nobby, class, mate. You can pay off the lads, get your stuff back and give that money to your missus'. She'd been badgering him about a new runaround, as I recall. But he says: 'Na, mate. I'm on a roll, ain't I?'

"So he puts a bit on the next one. Doesn't win. And the next one. Doesn't win again. I can't get him out of the place, so I drive to his house and tell his missus what's happening. She grabs the kids and makes me drive her back. By the time we get there, he doesn't have anything left, mate. Not a f***ing thing."

It's worth bringing this story up because a lot of people don't know when to stop.

The trick is in never getting started. Yet that last sentence is easy for me to type from the comfort of my office and with the kids safely tucked up in bed.

I have never experienced a gambling addiction ... but I know a man who has. On a pre-season tour, I once roomed with a guy who had a genuine gambling addiction.

We had never spoken to each other in the whole time I had been at the club, simply because we were very different people, and that wasn't about to change off the back of one trip in the sun, despite the manager's best efforts.

We were away for a week and, I promise you, the only thing we said to each other was: "Have you got the room key?" But there was another reason as to why we couldn't strike up a meaningful conversation.

He had an extraordinary inability to detach himself from one of two laptop screens, which were open on two separate online bookmakers' sites, or -- if we were coming back from training -- his iPhone, on which he had the mobile app versions running continuously.

One night, I woke up to go to the bathroom and saw him feverishly placing bets on college basketball. It must have been about 3am and quite what he knew about college basketball is anyone's guess.

I have thought many times as to whether I should have said something but I have concluded anything I could had said would have fallen on deaf ears.

Shortly after our return, his family stepped in and he began to go to meetings for his gambling problems. As far as I know, he has never relapsed.

I have thought about him a lot in the intervening years because, for a long time, I didn't have much sympathy for those who frittered away their money at the "bookies".

I couldn't understand how a person could continue on the path to ruin while their kids needed food, clothes and education.

But one man's gambling is another man's harmless flutter and the level of the stakes are, of course, extremely circumstantial.

Betting on a game is against the rules for professional footballers, even when they are betting on their own team to win.

Anyway, a football team can't legislate for somebody being sent off or an opposing striker having the game of his life or a freak spate of injuries in the first 10 minutes -- unless they take action to account for such things and I have certainly never seen how that could be the case.

That said, I do know players have manipulated the system to their advantage.

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How English football

cashed in on the rise of betting

by The Secret Footballer, for CNN

November 20, 2012

(CNN) -- When I first started playing, I was simply too young and too naive to realize what was going on. I just thought that the full back who was clipping the ball down the line and out of play was shit and there was no helping him. It was only years later that I found out what had been going on.

"In play" betting was a relatively new thing in those days. The internet was just taking off and the algorithms used to detect fraudulent gambling were nowhere near as sophisticated as they are now. Let me give you an indication of just how easy it was to manipulate the system back then ...

Let's say that you are the captain of the team. At the start of every game, you are involved in the toss of a coin to determine which team has the kick off and which end you are going to kick towards. No team wants to win the toss so that they can have the kick off; an away team only wants to win the toss so that they can choose which end to kick towards -- so the home team does not have the advantage of kicking towards their home fans in the second half.

So, we know no team is interested in winning the toss to get the kick off. Now, imagine what would happen if, as the captain, you went in to each of these tosses with the sole intention of making sure that your team got the kick off. You could, in theory, kick-off every time and, if that happens, it becomes ridiculously easy to bet on which team will win the first throw in.

I want to go on record as saying I had nothing to do with this.

As I say, I was a young man who could barely find my way to the training ground. I also had aspirations of playing at the very highest level so anything that seemed even remotely "iffy" just wasn't for me.

Even so, regularly kick-offs that started a game led to the ball being played to a full-back who in turn would shank it out of play. I have no idea how much money was made but it would probably have been the equivalent to a player's full weekly wage.

It didn't take the bookies long to catch on and, these days, the levels of detection are as scary as they are effective. In the research I did for this article, I consulted a friend of mine who works for a leading online betting site to see what measures have been put in place since the early days of internet gambling.

It turns out that they do not have anything specific to track irregular betting patterns but, instead, rely on a combination of tools that help their "operator traders" decide whether a bet is fraudulent or not.

The main tool is recognizing the repeat customers and their betting patterns.

There are reports that show the customers who repeatedly bet on the same outcome -- win, lose, draw, etc. These customers are then pooled together into "liability groups" that are monitored closely so that any betting pattern that changes is immediately flagged up on the system.

The operator traders monitor such behavior through "live alerts" that are set up to detect irregular bets in real time.

The traders look for sudden upshifts in betting and on particular selections.

A tell-tale sign that a bet may have sinister undertones is when a user places the maximum amount allowed in one bet. Again, this is all exposed through real-time alerts and reports.

Interestingly, almost every online bookmaker is extending the capabilities of these reports and alerts in order to make their software and, by extension their operators, more "clever".

But it is not because they are falling victim to increasing numbers of betting rings and scams, it is because their users are mushrooming at an alarming rate.

Gambling has been big business since Moses wore short trousers and, in these times of austerity and economic hardship, it is no great surprise that many people are once again turning to the vices that give them a modicum of pleasure at the minimum of cost.

Yet, as with all vices, there will be those who are unable to recognize and control the pitfalls.

There is a gambler in all of us, like it or not.

Very often, the biggest gamble in life comes in the working environment -- deciding when to stick and when to twist, when to realise that our own contentedness is determined not by the material things that we surround ourselves with but by the things that money can't buy, such as family.

Sometimes, however, like me, the wood is very much masked by the trees and what seems like the right career move ends up having terrible consequences for the people that you love the most.

My biggest gamble was to move my family hundreds of miles from their support network and, with hardly any warning, plunge them into a totally alien environment.

The impact that decision had on us as a family was immediate and only resolved itself a few years later after a gargantuan effort on our part to get things back to the way they had once been.

I gambled all the good things that I had in my life for a little bit more of the things that I had always been taught to strive for but which, in reality, mattered least of all. There is no prize on earth that would have ever made that gamble worthwhile, especially in football.

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L'intervista - I casi di Bari, Siena, parla il vice dell'allenatore bianconero

Ecco la verità di Stellini «Scommesse, accordi: vi racconto com'è andata»

Conte non l'ho inguaiato io.

Macché baci alla scatola con i soldi. Ho detto a Tommasi: non c'è un giocatore che non si sia trovato nella mia situazione

Andrea Arzilli e Arianna Ravelli - CorSera -21-11-2012

Il suo difensore più affidabile a Bari, quindi suo collaboratore a Siena e alla Juve. Ora Cristian Stellini è per tutti l'uomo che ha inguaiato Antonio Conte. E da quando il Tnas ha pubblicato le motivazioni dei 4 mesi di squalifica al tecnico bianconero, lo è ancora di più: è la confessione pro-patteggiamento di Stellini a dare forza alle parole del pentito Carobbio.

Stellini, è stato Lei a togliere Conte dalla panchina.

«Ma non è vero: anche lui stava patteggiando, poi il suo accordo è saltato e sono rimasto io. Che, in tutto, ho preso due anni e sei mesi: troppi. Con i legali della Juventus avevamo concordato di non collaborare e chiuderla entrambi con il patteggiamento. Invece alla fine ho patteggiato solo io, e con ammissione di colpa».

Quale?

«L'aver discusso di AlbinoLeffe-Siena del 29 maggio 2011 (1-0). Tutto nasce nella partita di andata: stiamo vincendo 2-1 e alla fine scoppia una lite. Poi mi pento e dico a Carobbio, che aveva amici nell'AlbinoLeffe, di andare a chiedere scusa e di dire che, alla fine del campionato, non ci saremmo fatti del male. Era una mossa strategica. Prima della partita di ritorno Carobbio mi dice di aver preso accordi con quelli dell'AlbinoLeffe. Io pensavo a un pareggio, però, non volevo perdere».

E Conte?

«Conte voleva arrivare primo, davanti all'Atalanta che l'aveva esonerato. Spronò la squadra come sempre. Poi se ti basta un punto per essere promosso, è chiaro che l'allenatore dica che l'importante è non perdere».

Passiamo all'inchiesta di Bari, dove Lei è indagato. Cosa è successo in Bari-Treviso dell'11 maggio 2008?

«Alcuni giocatori del Treviso ci hanno chiesto di perdere. Io, Gazzi e Masiello eravamo contrari. Masiello ha sentito alcune voci prima della partita precedente e si è fatto squalificare apposta per non giocare col Treviso».

E Lei cosa fece?

«Sono andato a parlare col capitano Gillet, che mi ha rassicurato: "Noi giochiamo per vincere''. Ma poi un altro compagno mi ha detto di farmi gli affari miei. E così ho fatto. In campo, dopo cinque minuti, commetto un errore madornale e mi viene l'ansia: penso possano credere che faccio parte della combine. Faccio una scenata nello spogliatoio, ma comunque perdiamo».

Poi, fino alla partita con la Salernitana dell'anno successivo, non succede più nulla?

«No. L'anno dopo Ganci, un ex del Bari, è alla Salernitana. Noi siamo già promossi, loro si devono salvare. Le tifoserie sono gemellate e sappiamo che vincere a Salerno significa far scoppiare un casino. C'era già una mezza idea di non infierire. Poi però Ganci ci chiama. Io, che non avrei giocato quella partita per problemi familiari, mi ricordo le liti dell'anno prima e vado a parlarci, assieme a qualche compagno. È stato un grave errore. Ci siamo detti che non ci saremmo fatti del male, ma era una cosa sportiva, i soldi non ci interessavano».

Ma i soldi li avete presi alla fine.

«Abbiamo cominciato a parlarne nello spogliatoio, io non volevo nascessero liti. Per questo ho proposto la riunione in palestra: lì ho fatto un discorso di cui mi pento: "Decidiamo assieme. Se la vogliamo fare facciamola, se qualcuno non vuole, lasciamo perdere"».

Nessuno si ribellò?

«No. Ma se non avessi fatto l'appello all'unità forse qualche giovane che era contrario come Ranocchia e Gazzi avrebbe trovato il coraggio di parlare. Gazzi se n'è andato a metà riunione».

Tutti gli altri hanno preso soldi?

«Non so, non c'ero nei giorni della distribuzione dei soldi, i miei li ho trovati nello spogliatoio. Li ho dati un po' in beneficenza, un po' al fattorino Iacovelli e un po' li ho messi nel fondo per il premio promozione per lo staff. A Gazzi e Barreto è stato dato un computer. Ma non gli è stato detto che era per la partita. A Barreto hanno detto che era perché era capocannoniere, con Gazzi si sarà trovato un altro motivo».

E Ranocchia?

«Ripeto: non c'ero. Ma penso abbia detto di dare a Iacovelli i suoi soldi».

È vero che avete baciato la scatola con i soldi?

«Mai visto una scatola nello spogliatoio».

Possibile che un allenatore così attento ai dettagli come Conte non si sia accorto di niente, neanche a Bari?

«È possibile, non può sapere cosa si dice nello spogliatoio. E poi quell'anno a Bari non c'era neanche un grande rapporto tra lui e la squadra. Lui era sempre molto critico».

Lei è rimasto amico di Conte?

«Io e Conte non siamo amici, avevamo un ottimo rapporto professionale. È un super-allenatore ed è l'unico per il quale farei il collaboratore. Spero sia ancora possibile».

Non crede sia grave non denunciare una combine?

«Le rispondo con un episodio. Gioco nel Bari e incontriamo il Modena. Noi vinciamo e loro rischiano di retrocedere. Nell'intervallo uno di loro mi chiede: "Cosa vi importa?, dateci una mano". Mi giro e vedo l'ispettore federale. Gli dico: ''Ha sentito?''. E lui: "Poverini, stanno retrocedendo"».

Morale?

«I giocatori sono la parte debole del sistema. A Bari i tifosi arrivavano fino alle porte degli spogliatoi: chi ce li faceva venire? C'è una marea di gente che vuole scommettere e ti chiede informazioni. Io con questi non ho mai avuto a che fare».

I giocatori, però, hanno delle responsabilità.

«Certo, l'ho detto a Damiano Tommasi. Fermiamo il campionato per sei mesi, che è la punizione per omessa denuncia. Perché non c'è un giocatore che non si sia trovato nella mia situazione».

Condannato

Cristian Stellini viene deferito alla Disciplinare dal procuratore Figc Palazzi il 26 luglio 2012. Le accuse riguardano due filoni d'inchiesta, Cremona e Bari: due illeciti sportivi, Albinoleffe-Siena e Palermo-Bari, più due omesse denunce, Novara-Siena e Bari-Sampdoria.

Patteggiamenti

Stellini decide di collaborare e di chiedere il patteggiamento (artt. 23 e 24j:1'1 agosto la Disciplinare accoglie la richiesta di 2 anni e 50 mila euro per il filone cremonese. 113 agosto viene accolto anche un secondo patteggiamento sul filone di Bari: 6 mesi di squalifica in continuazione. Sempre in agosto Stellini si dimette dall'incarico alla Juve e viene iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Bari.

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Petrucci: «Torino, città di Sport».

II presidente uscente dei Coni e il segretario Pagnozzi ieri in visita a Tuttosport

NOSTRA INTERVISTA ESCLUSIVA

«Una città per giocare»

«Ritornare allo stadio olimpico è un tuffo al cuore C'è passione, cultura sportiva. Il Museo è l'esempio»

Juve, Toro, una squadra emergente di basket, l'Open d'Italia del golf che ha sede naturale a I Roveri, poi gli impianti: Torino ha enorme potenziale .

Spero di lasciare nelle mani della persona più indicata uno sport rimasto a grandi livelli, nonostante siano stati anni difficilissimi

Nel calcio è impossibile la pace totale, ma i rapporti si sono rinsaldati La riforma della giustizia è già in atto: la completerà chi verrà dopo di me

PIERO GUERRINI - Tuttosport -21-11-2012

TORINO. Metti un pomeriggio a Tuttosport con il presidente del Coni Gianni Petrucci, giunto al termine del suo lungo mandato di successo e pronto a rientrare al comando della Federbasket (non a caso è accompagnato dal vicepresidente Fip Gaetano Laguardia). Un pomeriggio per fare il punto sullo stato dell'arte, con la partecipazione del Segretario e candidato alla successione Raffaele Pagnozzi. Emerge l'immagine di un movimento vitale, a fronte dei problemi noti e della crisi economica. E ne esce ingigantita la figura di Torino, capitale a pieno titolo dello sport, a prescindere dalla fresca nomina per il 2015.

Presidente Petrucci, in quali condizioni lascia il Coni?

Intanto mi auguro di lasciarlo nelle mani della persona più indicata, che ha esperienza ed è all'altezza della situazione. Si pensa sempre a un successore più capace del predecessore. Il mio bilancio personale e positivo, tocca ad altri giudicare. Ma ritengo importante che si sia confermato ai grandi livelli del passato, seppur in anni di enormi problemi, i più difficili, non foss'altro che per i cambiamenti avvenuti nel Paese e gli avvicendamenti nella politica,

Non è riuscito, però, a riportare la pace nel calcio. -

Invece ritengo di aver risolto il problema, perlomeno in parte. Prima dell'incontro c'erano presidenti che non si rivolgevano la parola da anni. Adesso si ripartano, si confrontano. Il meeting peraltro si è protratto per cinque ore. Di solito, se non si trova una via comune per il dialogo, ci si ferma subito.

Pagnozzi aggiunge una curiosità. -

C'è un'atmosfera più rilassata, tanto che all'incontro un presidente aveva finito le sigarette e le ha chieste a un altro, come si fa tra amici.

Conclude Petrucci: Una pace vera e definitiva nel calcio, comunque, non ci sarà mai-.

E' l'eredità di Calciopoli, che ha lasciato tracce notevoli macchiando l'immagine della Juve, quando di recente è emerso che pure altri avevano qualche scheletro.

Io penso che da nessun processo emerga un chiarimento totale. Ma nello sport, perlomeno, abbiamo processi celeri, con sentenze puntuali e pene che vengono scontate.

A quando la riforma della giustizia sportiva?

E' già in atto, il mio successore la completerà nei dettagli. Una magistratura sportiva? Si può avere anche oggi, ma ci sono regole da rispettare.

I momenti più difficili della sua presidenza?

II primo, quando non avevamo i soldi per campare, quando non avevamo più il Totocalcio. Con il dottor Pagnozzi dovemmo decidere se tagliare dal 20 al 50% i contributi alle federazioni o se non pagare gli stipendi. Il secondo è stato risolto con il felice intuito della Coni Servizi e con l'a.d. Pagnozzi. Siamo riusciti a salvare e rilanciare con un taglio di 1000 persone in prepensionamento senza un'ora di sciopero.

E i momenti più belli?

Le vittorie olimpiche.

II calcio è passato attraverso il fallimento di dub storici, alcuni come Torino, Napoli, Fiorentina, alcuni rilanciati attraverso il Lodo a suo nome. Altri in difficoltà sono stati salvati La situazione attuale può produrre altre situazioni simili?

No, lo scenario è migliorato, non dobbiamo aspettare altre sorprese. Si trattava semplicemente di una soluzione di buon senso. Ora abbiamo un campionato ancora interessante, ma con dub che badano di più alle spese e possono controllarle. Che entri o meno il fair play finanziario di Platini le nostre società sono pronte per il futuro.

Gli impianti italiani sono anacronistici. Ma la soluzione può essere solo nella politica dell'impiantistica?

Anni fa si diceva che dovevano nascere stadi da vivere 7 giorni su 7. Ma non è credibile. Passeranno diversi anni prima che il rinnovamento sia completato. Nel frattempo bisogna fare qualcosa per rendere gli impianti più vivibili

Come attirare grandi imprenditori nel professionismo? E perché qui non arrivano stranieri?

Il momento è difficile, forse il più difficile. Ma per quanto riguarda gli stranieri, ebbene bisogna anche prestare attenzione. Guardate cosa sta succedendo a Malaga. E non mi sembra che ci siano tanti investitori stranieri negli altri campionati, fatte salve 4-5 eccellenti eccezioni-.

I club, con budget ridotti, pagano in competitività.

No, anzi, la competitività è questione di cicli. La Juventus è già adesso al massimo livello europeo. Eppoi guardate i risultati delle nazionali, che sono il termometro del movimento. Siamo secondi in Europa, tornati sesti nel mondo.

Doping e scommesse.

Interviene Pagnozzi, reduce dall'Esecutivo dei comitati olimpici mondiali a Macao. -

Ecco, sul doping l'Italia e il Coni si muovono sempre in prima fila. Per quanto riguarda le scommesse, è forse il problema che ora preoccupa di più i governi sportivi mondiali. Bisogna migliorare i controlli, con un coordinamento internazionale. Magari non è necessario arrivare alla pena di 10 anni per frode sportiva come nel Nuovo Galles del Sud, però è questo il problema forse più sentito nello sport mondiale. Anche perché se uno compra Epo sul web, lascia qualche traccia, mentre per le scommesse è più difficile

E' il momento di incentivare investimenti sui vivai.

Nello sport in generale sì, nel caldo però c'è già stata un'inversione di tendenza. E io ringrazio l'attività del ct Prandelli e di quelli nell'Under 21, prima Ferrara e ora Mangia. Poi ci vorrebbe un coordinamento tra i club di A: ma anche in questo caso i progressi sono evidenti, la Governance è quasi completata

.Le sensazioni del ritorno a Torino?

Tornare allo stadio olimpico è un tuffo al cuore. Lì ho visitato il nuovo Museo dello Sport e consiglio a tutti di passare, perché si ha proprio la percezione della storia del nostro Paese. I ricordi per chi ha vissuto s'intrecciano e i giovani possono apprendere. Torino ha impianti d'avanguardia, la Juventus e il Torino, una squadra emergente nel basket. Sono stato a un incontro con il basket piemontese e devo dire che i numeri sono eccellenti e le realtà di riguardo sono in aumento. Poi c'è l'Open d'Italia del golf che ha sede naturale a I Roveri.Torino è una città dal potenziale enorme, che va alimentato e sfruttato. Con passione e cultura sportiva.

E Pagnozzi:

Capitale per definizione

Ma l'eredità post olimpica?

Certi impianti hanno costi di gestione esorbitanti e la società subentrata non può sobbarcarsi simile onere. Ma si può intervenire in qualche modo

Sull'argomento, ancora, l'esperto in materia Pagnozzi.

Si può fare un ragionamento globale come già nel caso del Foro Italico, che un tempo aveva Roma, Lazio, gli Internazionali di tennis in calo. Ora produce 40 milioni di euro, il torneo di tennis è tornato molto importante e avete visto con il rugby.. Vedremo, la federghiaccio in vista di Sochi ha chiesto di tornare all'Oval...».

L'Impegno per il futuro?

Il principale è nel basket, sport bellissimo. I presidenti regionali mi hanno chiamato, hanno voluto il mio ritorno. Io sono pronto. Il basket ha bisogno di recuperare il proprio patrimonio di innovazione, ma ha numeri molto importanti. Ecco, servono le grandi città come Torino, oltre a Milano rilanciata da Armani, e Roma

E per lo sport nella scuola, il Coni come può aiutare?

Aspettiamo la riforma - replica Pagnozzi - ma intanto ci siamo mossi. Dopo l'accordo con il Ministro Gelmini per la scuola primaria e l'intervento da 5 milioni di euro, siamo saliti a 7,5. Se riusciamo a portarlo avanti è un successo

Di sicuro - conclude Petrucci - i 7 Paesi che ci precedono nelle classifiche mondiali hanno lo sport come valore e come materia obbligatoria nella scuola.

Si può evitare che la Nba catturi tutto l'interesse dei ragazzi del basket?

La Nba si mangerebbe anche il calcio, guardate l'Olimpiade. Bisognerà avere più giocatori di talento italiani, in cui i ragazzini possano identificarsi»

Come si può fare per diminuire l'influenza dei procuratori nel professionismo. E perché non accade come nello sport anglosassone, che il procuratore sia pagato dall'atleta?

Ora toccherà ad entrambe le parti. Ma non fatemi dire altro sui procuratori, per favore

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Lo scandalo: Convegno di Azzurra Lex a Napoli

«Ora i calciatori hanno paura di scommettere»

Il procuratore Palazzi: siamo un deterrente, quante critiche ingiuste

la polemica. Il presidente del tribunale Alemi : "Assurdo che Conte alleni anche sospeso"

Pino Taormina - Il Mattino- 21-11-2012

Il Grande inquisitore del calcio italiano, Stefano Palazzi, magistrato presso la Corte militare d’appello e da anni a capo degli 007 della Figc rompe il silenzio imposto dalle norme e dalla consuetudini. Non cita mai Conte, la Juve e la bufera che si è scatenata sull’ultimo scandalo delle scommesse. Ma nel suo lungo intervento al convegno «Il calcio tra regole, lealtà sportiva e interessi (criminali?)» che prende spunto dal libro «Football clan» scritto dal magistrato Raffaele Cantone, sono tanti i riferimenti. È chiaro, infatti, che ce l’ha con il club bianconero quando parla di «critiche ingenerose subite dalla procura federale» e si riferisca al pool difensivo messo in campo dalla famiglia Agnelli quando, con un briciolo di legittimo orgoglio, spiega che il suo lavoro «ha retto l’urto dei migliori professionisti italiani».

Palazzi è l’ospite d’onore dell’associazione Azzurra Lex: ad ascoltarlo, nella sala dell’Unione italiana forense del Palazzo di giustizia, ci sono i vertici del tribunale di Napoli, da Carlo Alemi a Bruno D’Urso e decine di avvocati e magistrati. Tra gli altri, ci sono i relatori Lucio Giacomardo, Arturo Frojo, Marino Iannone, Bruno Piacci, Francesco Caia, don Luigi Merola, il presidente del comitato regionale campano Salvatore Colonna.

Palazzi è di casa al Tribunale di Napoli, dove è stato magistrato fino al 1996 ed è per questo che ha scelto la sede del Centro direzionale per rompere il tabù del silenzio: «La nostra è un’attività che ha come primo obiettivo quello di essere deterrente. E il nostro lavoro sta producendo ottimi risultati: ascoltando le intercettazioni della procura di Cremona, dalle telefonate si evince come molti illeciti naufraghino proprio per il timore dei tesserati di finire nel nostro mirino».Il capo della procura federale spiega il feeling con le procure di Cremona, Bari e Napoli: «Devo dire grazie per la collaborazione offerta dai procuratori Di Martino, Laudadio e Colangelo: la magistratura ordinaria ha sempre riconosciuto la fondatezza del lavoro degli organi sportivi». Non solo scommesse: nel mirino dei federali anche i rapporti tra i tesserati e il tifo violento: «Ci sono rapporti impropri che vanno debellati: ai tesserati spieghiamo che non devono mai farsi vedere a braccetto con gli esponenti del tifo violento. E sotto questo aspetto, è encomiabile l’attività che svolge qui a Napoli il procuratore aggiunto Giovanni Melillo». Ma è chiaro che anche per Palazzi qualcosa non va nel sistema accusatorio che, secondo lui, andrebbe rifondato: «Sono per noi spuntate le armi fornite dalla legge 401: così come nell’80 e nell’86 i magistrati facevano fatica a trovare i reati, ora servono pene più severe e nuovi interventi del legislatore».

La platea poi si infiamma quando si parla di Antonio Conte. Il presidente Alemi è il più duro: «È squalificato, eppure fa anche la formazione, una cosa inaccettabile». Palazzi non si smuove neppure di un millimetro. Impossibile capire se condivida oppure no.

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La rivelazione di Juliano: «Così nel 1978 io e Rivera ci accordammo per il pareggio»

L'ex azzurro: Albertosi mi disse: mi sposto dai pali ma i tuoi non tirano Alla fine fece gol Vinazzani con un incredibile colpo di testa»

L'ex rossonero: Non ricordo questo specifico episodio. Posso dire che prima delle gare si parlava ma poi si giocava

pi-tao - Il Mattino - 21-11-2012

Morti, feriti e biscotti. Antonio Juliano gioca a fare l'Adriano Celentano della situazione. "Sono il più ignorante di tutti qui, ma qualcosa posso raccontarvela anche io". Davanti al presidente del Tribunale di Napoli, Carlo Alemi, al capo della Procura federale, Stefano Palazzi, a decine di avvocati e magistrati (Bruno D'Urso, presidente aggiunto dei gip è appena andato via) lo storico capitano azzurro si lascia andare a un vero e proprio outing su come si taroccavano i match negli anni '60 e '70. "I due capitani erano anche i leader: parlavano tra di loro prima di una gara e capivano se si poteva fare. Ma mai per soldi, mai perchè c'era qualcuno al di fuori dello spogliatoio che ci dicesse cosa fare. E mai per un tornaconto personale".

L'aula dove è in corso il convegno organizzato dall'associazione Azzurra Lex ascolta incuriosita. Totonno è un fiume in piena. È stato il capitano, il leader, l'anima del Napoli per più di 16 anni. Ed è rimasto sincero, diretto, schietto. A volte anche troppo. Come stavolta, forse. Racconta: "Prima di un Napoli-Milan ultima giornata di campionato, mi misi d'accordo con Rivera perchè finisse in parità. Andai dai miei compagni e glielo comunicai. A un certo punto perdevamo (rete di Bigon al 74' ndr) e gli altri mi dicevano: "Ma come? Ci hai detto che avremmo pareggiato...". Allora io andai da Albertosi e gli ricordai che avevamo fatto un patto e che non capivo perchè non lo stessero rispettando. E lui replicò: "Capitano, ma che devo fare se io mi sposto a destra e i tuoi mi tirano la palla addosso?" Questo mi disse...". Poi arriva la svolta. "Angolo al 90', Vinazzani che è uno che di gol di testa in carriera non ne ha mai fatti, va in mischia e firma il pareggio. E tutti eravamo felici: più di tutti i tifosi".

La partita in oggetto è Napoli-Milan del 7 maggio 1978, ultima di campionato. Con quel pari il Napoli, insieme con il Milan, andarono in Coppa Uefa. Gianni Rivera al telefono nel pomeriggio non ricorda l'episodio specifico: "Però capitava che si parlava tra di noi prima di una gara, poi però ognuno giocava la propria partita", spiega l'ex bandiera rossonera. L'inarrestabile Juliano dribbla da fenomeno anche le critiche dei presenti. Come quelle di Carlo Alemi. "Non c'erano soldi in ballo, ma non per questo è un comportamento accettabile". Palazzi resta immobile ma ogni tanto gli scappa via una smorfia. Forse gli vengono in mente le parole di Gianluigi Buffon alla vigilia dell'Europeo: "Chi conosce il calcio e lo vive giorno dopo giorno sa cosa succede. In alcuni casi si dice meglio due feriti che un morto". Juliano si toglie anche qualche altro sassolino, come lo sgarbo fatto alla Lazio nel '73: "Chinaglia mi chiese di vincere al San Paolo l'ultima gara: io dissi di no. Ma non perchè mi ero messo d'accordo con la Juve, ma perchè i dirigenti laziali avevano trattato male Vavassori che era stato a Roma a fare il militare".

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Il Sole 24 ORE 21-11-2012

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scienza&Calcio

ARBITRI, LA TECNOLOGIA NON RISOLVE

PERÒ AIUTA A RIDURRE GLI ERRORI

di MASSIMO TURATTO (GaSport 21-11-2012)

Professore del Centro interdipartimentale mente e cervello (Cimec) dell'università di Trento

L'arbitro deve continuamente prendere decisioni in merito ad eventi percettivi cruciali come rigori, fuorigioco e gol. Cosa ci può dire la scienza circa il comportamento dell'essere umano in queste situazioni? Come il cervello decide quello che vede è stato spiegato e dimostrato (già nel 1960!) dalla Signal Detection Theory (SDT). La SDT ci dice che siccome l'attività neurale varia in modo probabilistico, gli errori nelle decisioni non possono mai essere eliminati. Inoltre, la capacità di vedere dipende da due fattori distinti, la «sensibilità» ed il «criterio» o stile decisionale.

La sensibilità del sistema percettivo dell'individuo è per certi aspetti un'abilità innata. E' come avere un'antenna più o meno potente per ricevere un segnale. Ma non basta, perché il segnale è sempre immerso nel «rumore», in parte prodotto dai neuroni, cioè dall'antenna stessa. In certe situazioni critiche, segnale (palla oltre la linea) e rumore (palla sulla linea) sono simili, e per risolvere l'incertezza il cervello setta un criterio, superato il quale preferisce l'attività dei neuroni che dicono «gol», rispetto a quelli che dicono «non è gol». Sensibilità e criterio sono indipendenti, ma determinano assieme la decisione finale. Due arbitri con la stessa sensibilità possono avere criteri diversi: uno dà il rigore al minimo indizio, l'altro invece deve vedere falli eclatanti. Oppure, due arbitri hanno lo stesso stile, ma uno è molto più bravo dell'altro perché ha un sistema più sensibile.

Un arbitro potrebbe essere più propenso a dare un rigore ad una certa squadra. Informazioni a priori e conseguenze delle decisioni determinano il criterio. Sapere che una squadra commette pochi falli porta a «vedere» pochi falli. Se fischiare un rigore contro una squadra ha conseguenze sgradevoli, come punizioni e gogna mediatica, quella decisione diverrà in futuro meno probabile. E' importante notare che il criterio può essere regolato in modo inconsapevole. La sudditanza psicologica esiste perché le persone tendono a conformare le loro decisioni ai voleri dell'autorità riconosciuta. Possono persino infliggere dolore ad altre persone se sono invitate a farlo da una figura eminente. Così si comportano gli essere umani. Si possono prendere delle contromisure, ma solo se non neghiamo il problema.

A questo punto viene da chiedersi se la tecnologia potrebbe essere utile. Il punto importante è capire bene che la tecnologia non elimina l'errore, ma può però ridurlo drasticamente. Ci sono strumenti più sensibili del cervello nel registrare differenze di centimetri o millimetri. Poi però se ci si affida all'uomo per interpretare i dati della tecnologia siamo al punto di partenza. Se invece ci si affida ad un sistema totalmente automatico abbiamo il problema dell'errore dello strumento, anch'esso ineliminabile.

E' comunque possibile allenare gli arbitri a vedere meglio sfruttando dei protocolli di allenamento percettivo. Potrebbero essere adottati dagli arbitri per diventare giudici di gioco sempre più precisi.

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