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FRANCE football | MARDI 27 NOVEMBRE 2012

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Victoria 2000, la spunta Gazzoni

«Nessuna bancarotta». Assolto

Il pm aveva chiesto due anni. Cadute le accuse anche per gli altri imputati

Soddisfatto l'avvocato Sacchi Morsiani: «Ci auguriamo che

questa sentenza metta a tacere anche le insinuazioni di questi anni»

di ALESSANDRO MANTOVANI (CORRIERE DI BOLOGNA 28-11-2012)

Finisce con l'assoluzione il processo a Giuseppe Gazzoni Frascara per il crac di Victoria 2000, la finanziaria che controllava il Bologna Calcio prima del fallimento e della retrocessione in serie B del 2005. Esce pulito l'uomo che sfidò il blocco di potere allora guidato dalla Juventus di Luciano Moggi, travolto un anno dopo dall'inchiesta e dalla vergogna di Calciopoli. Ieri Gazzoni, accusato di bancarotta fraudolenta, è stato assolto dal tribunale presieduto dal giudice Michele Leoni perché «il fatto non sussiste», sia pure con la formula dubitativa che equivale all'insufficienza di prove.

Assolti con la stessa formula anche i suoi coimputati, l'ex socio e titolare del marchio Les Copains Mario Bandiera e i commercialisti Massimo Garuti e Matteo Tamburini dello Studio Gnudi, per i quali il pm Enrico Cieri aveva chiesto la derubricazione del reato in bancarotta semplice e una condanna a sei mesi destinata a una rapida prescrizione. Due anni di reclusione, invece, era stata la richiesta per Gazzoni, arrivata il 15 ottobre proprio nel giorno del suo 77esimo compleanno.

L'ex presidente rossoblù non è mai stato accusato di aver fatto sparire i soldi. L'accusa, all'inizio la stessa per tutti, era di aver nascosto il dissesto finanziario di Victoria 2000, un «buco» valutato nell'ordine dei 35 milioni di euro, in modo da consentire al Bologna l'iscrizione al campionato di serie A. Bancarotta documentale. Tra le operazioni contestate dalla Procura c'erano la cessione a caro prezzo del marchio Bfc che sarebbe servita a finanziare un investimento immobiliare chiamato Mondobologna, mai realizzato a Borgo Panigale, e l'alienazione dei diritti televisivi e di immagine del Bologna a una holding costituita per l'occasione per accedere a un finanziamento di 20 milioni presso Meliorbanca. Il pm Cieri, al termine del dibattimento, ha differenziato le posizioni di Gazzoni e Bandiera sulla base della considerazione che il secondo, successivamente, aveva pagato i debiti di Victoria 2000, mentre il primo no. La circostanza, secondo la Procura, consentiva di escludere il dolo specifico per Bandiera. E lo stesso per i due commercialisti che avevano tecnicamente preparato le operazioni finite all'esame del giudice penale. Ora bisognerà attendere le motivazioni per conoscere il ragionamento del tribunale, ma l'impiego delle stesse formule assolutorie fa pensare che la differenziazione delle posizioni sia stata accolta fino a un certo punto dal collegio giudicante.

L'assoluzione di Gazzoni è una grande soddisfazione per l'avvocato Giovanni Sacchi Morsiani che ha difeso l'ex numero uno del Bologna. «È stato un lavoro lungo, complesso, nel quale abbiamo dovuto affrontare molte difficoltà — ha sottolineato il legale pochi minuti dopo la lettura del verdetto —. Si è lavorato tanto perché il processo era complicato e le indagini della Guardia di Finanza molto approfondite. Questa sentenza rende pieno merito all'attività svolta e alle linee difensive che non si sono ostacolate», ha detto ancora Sacchi Morsiani senza entrare nel merito dei rapporti non più idilliaci tra Gazzoni e il suo ex socio Bandiera. «Ci auguriamo — ha concluso l'avvocato che la sentenza metta anche a tacere le continue insinuazioni che il dottor Gazzoni Frascara ha dovuto digerire in questi anni».

«Sono soddisfatto — ha commentato il professor Nicola Mazzacuva, difensore dei due commercialisti —. Il tribunale ha riconosciuto l'assoluta correttezza di tutte le operazioni e dell'operato dei dottori Tamburini e Garuti».

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L’intervista Dopo la sentenza: «Non pensavo a un’assoluzione. Fu un danno diretto da 25 milioni»

L'ex patron: «Colpa di Calciopoli

Adesso risarcite me e il Bologna»

All'attacco: «Fiorentina, Juve, Reggina e Figc rideranno meno»

di FERNANDO PELLERANO (CORRIERE DI BOLOGNA 28-11-2012)

Gazzoni Frascara, finalmente una buona notizia. Dove era quando è arrivata l'assoluzione?

«Ero qui, in casa, angosciato. Poi è arrivata la telefonata del mio avvocato, Giovanni Sacchi Morsiani. "Tutti assolti" mi ha detto. Non ci credevo, il pm aveva sparato in alto, due anni, esponendosi con una certa violenza nei miei riguardi. Non pensavo a un'assoluzione, ma a una derubricazione da bancarotta fraudolenta a semplice. Festeggerò questa sera (ieri, ndr) con la mia famiglia davanti a due spaghetti alle vongole».

È una vittoria tutta da godere.

«Sono contento per i miei familiari, per la memoria di mio padre e di mio nonno: i Gazzoni fanno industria dal 1907 con i vari Majani, Maccaferri, Buton e finire con un'accusa di fraudolenza sarebbe stato pesante. Quando uno ha dei debiti deve fare fronte sono il primo a dirlo, è vero, ma a un certo punto io non avevo più liquidità, a un imprenditore può capitare, ma non è una frode. E poi sono felice per la città, il Bologna, i tifosi (i cori contro fanno parte del passato, lasciamo stare). Con il club lavorammo bene, in quegli anni stavamo rimettendo in ordine i conti, solo che dopo siamo incappati in una squadra particolare: Giraudo centravanti, Bettega sull'ala e Moggi regista. La retrocessione in serie B ci azzerò».

Calciopoli. In tanti, e mi riferisco a quelli che dovranno risarcirla, prima di questa sentenza ridevano.

«Adesso ridono meno. Ma cosa ci vieni a chiedere i soldi che sei fallito, dicevano. Ora lo scenario del risarcimento è tutto ribaltato e noi affileremo le spade. Victoria ha avuto un danno diretto, quantificabile in 25 milioni di euro più gli interessi, visto che sono passati quasi dieci anni».

A chi chiederà quei soldi?

«Ci sono tre fronti su cui agire. Il primo è la Fiorentina, già condannata in primo grado. Mi piacerebbe andare avanti d'accordo con gli avvocati del Bologna attuale, azzerando le schermaglie (diversi punti di vista sul danno diretto e indiretto) che ci sono state con i miei legali nell'udienza d'appello: sarebbe bello per la città combattere insieme, incassare e poi spartirsi il risarcimento. Poi c'è la causa contro Figc e Reggina per la mancata esclusione a nostro favore del club calabrese che aveva presentato fidejussioni false per l'iscrizione al torneo 2005-2006: il processo in corso durerà ancora un paio d'anni. Infine la Juventus (che non risponde per Moggi, ndr) una volta concluso il processo d'appello a Giraudo. In questi ultimi due casi il Bologna ora rappresentato da Guaraldi non è presente (Cazzola da neo presidente non agì contro la Figc e Menarini preferì non mettersi contro Giraudo, ndr) mentre nel primo c'è, anche se per un refuso non è citata nella sentenza».

Non sarà semplice recuperare quei milioni.

«Ci avremmo provato anche senza assoluzione, ora più che mai. Vedremo, anche per quel che riguarda la spartizione col Bologna, a cui riconosco un danno subìto, e in ogni caso è possibile anche transare».

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Gazzoni, lacrime e sorrisi

“Assolto con formula piena”

Victoria, nessuna bancarotta: “E ora Calciopoli”

Prosciolto anche Bandiera: “Ero ancora al lavoro, per i miei operai. Me lo meritavo”

di PAOLA CASCELLA (la Repubblica - Bologna 28-11-2012)

L’emozione scavalca i pensieri in una confusione appena controllata. E si capisce. «Il fatto non sussiste», sentenzia il Tribunale. Nessuna bancarotta fraudolenta, dunque, per il fallimento sei anni fa di Victoria 2000, la finanziaria che controllava la società rossoblù, prima del tonfo in B nel giugno del 2005. Il Cavaliere bianco torna immacolato, ma non solo. Tra i motivi di soddisfazione c’è qualcos’altro, c’è Calciopoli, il processo di Napoli in cui la fallita Victoria è parte civile. Dice Gazzoni: «Tutti gli avvocati di controparte in quel processo dicevano: ‘Ma Gazzoni cosa viene a chiedere a noi dei soldi quando lui ha bancarottato con frode? Abbiamo stabilito che non ho frodato e ora affiliamo le spade». E forse la sentenza di ieri darà materiale per affilarle meglio. «Vedremo — dice l’avvocato difensore Giovanni Sacchi Morsiani — se nelle sue motivazioni il Tribunale affronterà le cause vere di quel fallimento che per noi stanno nella retrocessione del Bologna in B. Di certo non lo furono le condotte degli amministratori, come ha stabilito la sentenza di assoluzione ». Sacchi Morsiani è evidentemente soddisfatto per la decisione dei giudici, «un collegio attento, che si è attenuto alle accuse formulate, senza farsi condizionare da altri scenari dipinti dalla Procura, ma mai contestati nel capo di imputazione». Insieme a Gazzoni, con la stessa formula piena è stato assolto anche Mario Bandiera (e un paio di commercialisti) che avendo fatto fronte alle fideiussioni, secondo il pm Enrico Cieri avrebbe meritato sei mesi di reclusione per bancarotta semplice, reato colposo e prossimo alla prescrizione, contro i due anni chiesti per Gazzoni che quelle fideiussioni invece non pagò. Circostanza che fra i due ex soci creò una frattura insanabile («io pur di pagare al suo posto mi sarei venduto gli organi », disse a suo tempo Bandiera). «Davvero sono stato assolto? — domanda ora mister Les Copains alla cronista — Mi coglie impreparato, ancora non lo sapevo. Malgrado l’età, passo ancora la vita a lavorare, cerco di darmi da fare per i miei operai e per questo Paese che ne ha un gran bisogno. Le posso dire soltanto una cosa: quell’assoluzione io me la meritavo». Conferma il suo legale, Luigi Stortoni: «Il cavalier Bandiera si è sempre comportato da galantuomo. Spiegammo subito alla Procura che aveva onorato i suoi impegni con le banche pagando fino all’ultimo centesimo. Non così l’altro socio (Gazzoni ndr) che dopo aver negato che ci fossero problemi invece non pagò». L’inchiesta, partita con una dozzina di indagati per una miriade di reati formulati sulla base di un rapporto della Guardia di Finanza, che perquisì case e uffici di Gazzoni, ha subìto due archiviazioni (di reati e di indagati) chieste dalla stessa Procura, prima di approdare in aula. Moltissime le intercettazioni e le autorevoli consulenze.

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«Gegic contattato

per parlare di lui?

Conte è furioso»

L'avvocato del tecnico della Juve: «Se vere,

frasi gravissime. Bisogna andare sino in fondo»

di FABIO BIANCHI & FRANCESCO CENITI (GaSport 28-11-2012)

L'intervista esclusiva della Ġazzetta ad Almir Gegic non è passata inosservata. Specie dalle parti di Vinovo. Tanto da spingere l'avvocato Antonio De Rensis a rilasciare una dichiarazione molto decisa a Sky. Questa: «Parole gravi quelle di Gegic. Al di là di tutto, lasciano un segno profondo. Antonio Conte ha provato paura, rabbia, sconcerto. Soprattutto voglia di approfondire la questione. Non sappiamo se siano vere, ma ci sono state condanne basate solo su parole di persone che non sono esattamente stinchi di santi. Quindi anche quelle di Gegic vanno valutate attentamente».

Caffè amaro per Conte Un passo indietro, per capire come mai si è arrivati alla reazione di De Rensis. Mattina presto, prima dell'allenamento. Caffè e uno sguardo veloce ai giornali. Come sempre Conte è arrivato in netto anticipo rispetto all'ora prevista per l'allenamento: la settimana che porta al derby non è mai come le altre, ma questa è ancora più particolare. Al tecnico non è andata giù la prova molle di San Siro. Dopo la sfuriata di lunedì ha subito avvisato la squadra: «E adesso si lavora duro... Voglio la fame della scorsa stagione». Gegic e il suo rientro volontario dalla latitanza sono distanti anni luce. Poi accade qualcosa. «Guarda l'intervista sulla Ġazzetta...». Conte sobbalza quando vede la frase sotto il titolo. La frase dell'ex calciatore del Chiasso, considerato dalla Procura di Cremona come uno dei protagonisti dell'inchiesta sul calcioscommesse, è inequivocabile: «Una tv mi ha offerto soldi per parlare di Conte. Ma io ho rifiutato e tra l'altro non avevo nulla da dire: mai visto, mai incontrato, mai cercato di contattarlo». La rivelazione del serbo lascia allibito l'allenatore. «Ma allora c'era qualcuno che voleva farmi fuori... Se questa estate avesse detto qualcosa su di me come sarebbe andato a finire il processo... Voglio sapere se ha detto la verità, chi c'era dietro. Non si può far nulla?», Conte si sarebbe sfogato così con lo staff prima di consultarsi con gli avvocati. A Sky De Rensis ha precisato il pensiero: «Ipotizziamo che Gegic abbia detto la verità. Se si fosse comportato diversamente, cosa sarebbe successo?».

Ipotesi Conte ha anche pensato di rompere il silenzio sulla vicenda. Esprimere il suo sdegno su un fatto che corrobora i cattivi pensieri che lo hanno accompagnato in tutti questi mesi: «Non può essere casuale il mio coinvolgimento». Apertamente non è stata mai pronunciata la parola «complotto» neppure di fronte alle accuse sempre nuove che il tecnico ha dovuto fronteggiare. Molte si sono sfarinate durante il dibattimento, ma l'asticella è stata sempre spostata. Alla fine la squalifica di 4 mesi giustificata da alcuni passaggi contenuti nelle motivazioni del Tnas e contestati apertamente dai legali: «Conte non ha mai detto di essere a conoscenza di alcun illecito. E men che mai dall'8 marzo 2012». E comunque le accuse del pentito Carobbio (giudicato dai giudici contraddittorio, ma allo stesso tempo «credibile») e il patteggiamento di Stellini sono nulla rispetto alle parole pronunciate da Gegic. «Ma allora...», ha sospirato Conte. Alla fine l'avvocato De Rensis ha chiuso il cerchio: «La frase è gravissima, abbiamo fiducia nel pm di Martino e siamo sicuri che durante il prossimo interrogatorio di Gegic sarà approfondito il discorso. I magistrati andranno fino in fondo. Poi noi acquisiremo l'interrogatorio, quando sarà possibile, e a quel punto vedremo se ci saranno margini per tutelare la persona di Antonio Conte». Non solo Conte, comunque. Saranno molte le domande che i magistrati faranno al serbo. Molte le cose da chiarire: chi era il mister X che in cambio di 600 mila euro forniva gare sicure in A? E gli altri giri di scommesse? Insomma, a Cremona si preannuncia un dicembre caldo.

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DETENUTO A CREMONA

Il serbo in cella:

la prima notte nell'infermeria

Lo «zingaro» ha avuto le carte dell'inchiesta.

Domani ci sarà l'interrogatorio davanti al Gip

di DAVIDE ROMANI (GaSport 28-11-2012)

Dall'aeroporto di Malpensa (già snodo fondamentale dell'inchiesta «Last Bet» per la presenza dei singaporiani) alla notte cremonese. Lunedì, intorno alle 20, con un volo della Jat Airways in arrivo da Belgrado, Almir Gegic, latitante dal 1° giugno 2011, si è costituito agli uomini dello Sco (Servizio centrale operativo) e della squadra mobile di Cremona: l'ex giocatore serbo, una delle figure più importanti dell'inchiesta sul calcioscommesse, è stato preso in consegna allo scalo milanese e dopo le operazioni di riconoscimento al posto di polizia è stato portato in carcere a Cremona. A Ca' del Ferro il 33enne di Novi Pazar, che ha giocato anche a Vicenza (3 gare in Serie B e una panchina in Serie A), è arrivato alle 22.15. Gegic era con uno dei suoi avvocati, Kresmir Krsnic (l'altro difensore è il pesarese Roberto Brunelli), che gli ha consegnato, su richiesta di uno degli «zingari», i faldoni dell'inchiesta, per permettergli nei due giorni che separavano l'ex giocatore dall'interrogatorio di garanzia di rileggersi le carte con i particolari dell'inchiesta che lo riguardano. Il serbo, che dai magistrati cremonesi viene definito un membro del clan degli «zingari», ha chiesto informazioni sul carcere di Ca' del Ferro, e avrebbe detto che in Italia si aspettava un clima ben più rigido e quindi di avere sbagliato abbigliamento.

L'incontro L'interrogatorio di garanzia è stato fissato per domani dal Gip Guido Salvini. E proprio domani, prima dell'arrivo al Tribunale di Cremona, ci dovrebbe essere l'incontro con gli avvocati per concordare una linea da seguire davanti al giudice. Gegic ha presumibilmente passato la sua prima notte e visto la sua prima alba cremonese nell'infermeria della casa circondariale diretta da Ornella Bellezza (dove nello scorso dicembre è stato anche Cristiano Doni). Resta ancora latitante, invece, Hristiyan Ilievski, considerato il capo della banda degli «zingari»: potrebbe, però, seguire Gegic e arrivare in Italia nelle prossime settimane.

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ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO «FOOTBALL CLAN»

L’APPELLO ALLE SOCIETÀ: «SERVE UNA MAGGIORE PRESA DI COSCIENZA»

La Cancellieri:

«Basta scommesse minori»

L'idea del ministro dell'Interno: «Sono da abolire le giocate su angoli e falli, le più controllabili»

di VALERIO PICCIONI (GaSport 28-11-2012)

«Società di calcio, ci vuole una presa di coscienza molto più forte». Il ministro dell'interno Anna Maria Cancellieri parla di pallone e mafie e chiede ai presidenti e ai club di «fare attenzione» individuando il momento più critico, «i capitali che si trasferiscono per l'acquisto di una società. Qui dobbiamo fare il salto di qualità, ottenere informazioni, una sorta di certificazione antimafia come per la vendita di grandi imprese e l'assegnazione di grandi appalti».

Divieto di scommesse Il Ministro apre anche all'ipotesi di una legislazione che limiti le cosiddette scommesse «criminogene» come le definisce Raffaele Cantone, il magistrato che presenta con la responsabile del Viminale il suo libro scritto con Gianluca di Feo, Football clan: «Le scommesse minori, quelle su chi batte il primo calcio d'angolo o il primo fallo laterale, io le abolirei: sono le più controllabili». E Walter Veltroni la incita: «Ministro, chiami il Coni, si può fare un provvedimento a breve. Se all'estero non ci seguono? Intanto diamoci delle nuove regole noi». La Cancellieri non chiude, anzi: «Per ora è un'idea. La studieremo con il Coni».

Pallone e riciclaggio Di Feo parla di «tentativi di infiltrazione delle mafie nel calcio molto più profondi di quanto si immagini». La Cancellieri cita i «rischi derivati dalle vergognose quantità di denaro generate dal calcio». Cantone ricorda il caso «Sanremo calibro nove», il titolo di un capitolo del libro, «i giocatori della Sanremese, fra cui il Pampa Sosa, costretti a rescindere il contratto con la pistola». Come dire: altro che fenomeno ristretto a Sud. E c'è una parola che fa paura: riciclaggio. Il calcio e le scommesse come cavallo di ƫroia per «pulire» il denaro sporco. Per Veltroni c'è un «buco» nelle nostre norme su questo aspetto.

Finale su Conte Arriva l'argomento giustizia sportiva. Attacca il napoletano Cantone: «Prendete la vicenda Conte. In Appello lo assolvono per un capo di incolpazione e mantengono la stessa sanzione: com'è possibile? Poi arriva un patteggiamento di terzo grado. E questo la dice lunga sulla credibilità della giustizia sportiva». Ma lo juventino Veltroni difende il tecnico: «È uno dei pochi che ha pagato. Abbiamo visto cose decisamente peggiori».

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Almir lo zingaro

Ecco l’uomo che fa tremare la Serie A

In carcere una delle menti della truffa

Calcioscommesse Domani l’interrogatorio a Cremona di Gegic

L’ex giocatore ha le chiavi per spiegare come venivano truccate

le partite del campionato: «Sono pronto a dire tutto quello che so»

di GIUSEPPE VESPO (l'Unità 28-11-2012)

È LA CHIAVE CHE PUÒ APRIRE AI MAGISTRATI DI CREMONA LE PORTE DELLA SERIE A: SE TRA LE STELLE DEL CALCIO SI NASCONDE DEL MARCIO, LUI PUÒ AIUTARE A FARLO VENIRE FUORI. SEMPRE CHE ALMIR GEGIC ABBIA VOGLIA DI PARLARE. Domani sapremo se uno dei due super latitanti (europei) dell’inchiesta sul calcioscommesse, l’altro è Hristyan Ilievski, si è costituito per raccontare quello che gli atti e gli arresti del procuratore Roberto Di Martino non hanno ancora svelato.

Domani il gip di Cremona, Guido Salvini, interrogherà Almir Gegic: serbo (o slovacco, a seconda dei passaporti usati), ex calciatore del Vicenza, risiedeva a Chiasso fino a un anno fa. Fino all’inizio della sua latitanza. È ritenuto il capo del gruppo degli «Zingari», che sarebbe il braccio slavo della piovra delle scommesse illecite, un polpo enorme che ha tentacoli ben saldi in Italia. Il suo nome emerge timidamente con i primi arresti del giugno del 2011, quando la procura cremonese riapre dopo oltre trent’anni una ferita mai del tutto sanata nel cuore dei tifosi, e le sirene tornano a illuminare le maglie dei calciatori. Come in quella domenica dell’83: campioni e manette, a sgonfiare il sogno di tanti bambini.

Ma quando scoccano i primi arresti, Gegic è ancora sui prati di Chiasso ad allenarsi e a giocare nella serie B elvetica: anche perché in Svizzera la frode sportiva non prevede l’arresto. Nella prima ordinanza emessa dal gip Salvini, è l’ultimo dei 16 destinatari della misura cautelare. Nel capitoletto a lui dedicato si diceva: «Appare l’uomo guida del gruppo degli “Zingari”, la cui composizione interna non è del tutto nota. Veniva messo in contatto da Bressan Mauro con Bellavista Antonio ed assumeva il ruolo di portavoce del gruppo denominato degli “Zingari”, che hanno finanziato numerose partite truccate proponendosi, comunque, per finanziarne altre».

Inizialmente Gegic viene accostato a presunte combine minori: Taranto-Benevento, Atalanta-Piacenza, Benevento-Pisa, tutti match del 2011. Ma quell’estate sono altri i nomi grossi che riempiono le pagine dei giornali: ci sono giocatori e grandi ex, come Beppe Signori, da seguire. Le cose cambiano quando gli uomini della squadra mobile di Cremona chiudono la seconda tornata di arresti, che coinvolge tra gli altri anche l’ex capitano atalantino Cristiano Doni. Con lui c’è un giocatore, Carlo Gervasoni, ex Piacenza. Sarà il primo a collaborare con i magistrati e a svelare con le sue dichiarazioni nuovi fronti d’indagine, all’interno dei quali si cristallizza il (presunto) ruolo di Almir Gegic. Addirittura le parole di Gervasoni permettono al giudice di in quadrare la «genesi del fenomeno del calcio scommesse». Ecco cosa scriveva in quella circostanza il gip Salvini: «La nascita del fenomeno è collocabile alla fine della stagione calcistica 2008-2009, quando il gruppo degli “Zingari”, facente capo a Gegic Almir, per il tramite del portiere del Bellinzona, Matteo Gritti, entra in contatto con Filippo Carobbio e Carlo Gervasoni, in quel periodo entrambi in forza all’Albinoleffe, formazione della serie B italiana».

È sempre Gervasoni a raccontare l’evoluzione della storia, quando «delinea per la prima volta l’incidenza dell’organizzazione criminale internazionale anche in ordine alle partite del campionato di serie A 2010-2011». L’ex calciatore cita presunte combine (Palermo-Bari, Lazio-Genoa e Lecce-Lazio) come «notizie che mi ha riferito Gegic». Per esempio, a proposito di Lazio-Genoa, terminata 4-2, «ho appreso da Gegic - mette a verbale Gervasoni - che gli slavi si incontrarono, lo stesso giorno della partita, che venne disputata alle 18 con Zamperini (Alessandro, indagato, secondo il pm avrebbe cercato di reclutare giocatori per le combine, ndr) che poi li mise in contatto con Mauri, della Lazio. Successivamente so, sempre da Gegic, che gli slavi si incontrarono anche con Milanetto del Genoa, il quale a sua volta interessò altri giocatori della sua squadra».

Parole che si ripetono più o meno allo stesso modo per le altre presunte combine finite sotto la lente, ma che vanno prese con le molle poiché restano da verificare. Lo stesso Gegic avrebbe già smentito di aver incontrato Mauri, Milanetto o Zamperini, ma non ha escluso che possa averlo fatto Ilievski. Di Gegic parla poi Masiello, giocatore del Bari, e via via altri calciatori coinvolti nello scandalo lo indicano come uno che conta. Ecco perché c’è molta attesa per le parole dello “zingaro” - che poi zingaro non è. Perché alle testimonianze, ai tabulati delle celle telefoniche che mostrano lo slovacco o Ilievski nei pressi degli alberghi poco prima delle partite, potranno aggiungersi le dichiarazioni di uno dei due latitanti più importanti di questa storia. L’altro, Ilievski, pare voglia costituirsi anche lui. Gegic, arrivato a Malpensa, ha detto che non riusciva più a vivere da fuggitivo. Che si è costituito per la moglie e la figlia, che voleva farlo da tempo e che allontanarsi dalle sue responsabilità è stato l’errore più grande della vita. Ma ha anche aggiunto di non avere tutti quei soldi da pilotare i match della A. Ad ogni modo, «sono pronto a pagare. A dire tutto quello che so. Le scommesse sono una brutta malattia, ho smesso».

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CALCIOSCOMMESSE DOPO LE RIVELAZIONI DELLO «ZINGARO»

SOLDI PER TIRARE IN BALLO CONTE

Secondo Gegic li avrebbe offerti una tv. L’avvocato De Rensis: «Ora la magistratura vada a fondo»

di PAOLO FRANCI (Quotidiano Sportivo 28-11-2012)

Non c’è pace per Antonio Conte. Non bastassero i problemi della Juve, incappata nel ko con il Milan con coda polemica per il rigore assegnato ai rossoneri; i botta e risposta al veleno con Antonio Cassano e la squalifica per l’omessa denuncia che il tecnico sta finendo di scontare. Ora Conte è tirato in ballo, suo malgrado, nelle dichiarazioni rilasciate a un quotidiano di Almir Gegic, figura cardine dell’inchiesta della procura di Cremona sullo scandalo delle scommesse, che lunedì scorso si è costituito ai magistrati lombardi e ora è sottoposto a custodia cautelare in attesa di essere interrogato.

Gegic ha raccontato: «Una tv mi ha persino offerto 5mila euro per un’intervista, se parlavo anche di Conte, come se lo conoscessi..». La cifra non altisonante, la tv per ora misteriosa, la proposta a Gegic respinta al mittente perchè, spiega il latitante: «Ho rifiutato. Non ho nulla da dire su di lui: mai visto, mai sentito, mai provato a contattarlo, ma soprattutto — è il rigurgito di orgoglio di Gegic — non ho bisogno di soldi per parlare di quello che so...».

All’ennesima tirata in ballo del tecnico juventino ha replicato l’avvocato Antonio De Rensis, legale di fiducia di Conte e protagonista della cavalcata difensiva nei tre gradi di giudizio sportivo dello stesso tecnico juventino: «Siamo sicuri che la magistratura andrà in fondo a questa vicenda. Penso a Conte nel momento in qui ha letto quelle parole (di Gegic), mi metto nei suoi panni e immagino che non lo facciano stare bene. E credo che i motivi siano comprensibili per tutti. Sono parole che devono fare riflettere in ogni caso». Il legale di Conte vuole andare fino in fondo e spiega: «Noi attendiamo l’interrogatorio di Gegic. Lo acquisiremo quando sarà possibile e verificheremo cosa avrà detto: a quel punto si capirà se vi sono elementi sui quali intervenire per tutelare la persona di Antonio Conte».

Sul fronte calcioscommesse, arriva l’idea del ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri: «Abolirei quelle minori e cioè su calci d’angolo, corner e altre, le più a rischio di imbroglio».

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Scommessopoli, il nome di

Conte fa salire l'audience

Gegic ha rivelato: «Una tv mi ha offerto cinquemila euro, se parlavo anche del tecnico della

Juve». La sensazione è che se si parla dell'allenatore bianconero, si hanno dei vantaggi

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT.com 27-11-2012)

TORINO - "Una tv mi ha offerto cinquemila euro, se parlavo anche di Conte. Ma ho rifiutato, Conte non l'ho mai conosciuto". Questa dichiarazione ha mandato di traverso la colazione all'allenatore della Juventus. Le ha rilasciate alla Ġazzetta dello Sport, Almir Gegig, da ieri "ex" grande latitante di Scommessopoli (era ai vertici del clan degli zingari) dopo essersi consegnato alla giustizia. E prima di farlo, raccontando un episodio per lui in fondo marginale ha involontariamente tormentato la ferita di Antonio Conte.

REAZIONI E VANTAGGI - Perché se Gegic ha raccontato la verità (premessa imprescindibile), non ha svelato chissà quale segreto o denunciato un reato (le tv possono pagare le interviste e gli ospiti, a volte lo fanno pure i giornali), ma ha in qualche modo illuminato con un esempio pratico il clima che lo stesso Conte ha percepito e denunciato da quando lo scandalo lo ha coinvolto. Ovvero quella sensazione che, all'interno dello squallido scenario di Scommessopoli, se si parla di Conte si hanno dei vantaggi. Soldi se si tratta di mass media, sconti di pena se si tratta di giustizia sportiva. Questo perché il nome dell'allenatore della Juventus fa salire l'audience e dà importanza all'inchiesta. Ormai l'ha capiscono anche i bamini: associare il nome di Conte allo scandalo, riporta lo scandalo in alto nelle titolazioni dei giornali, risveglia l'attenzione assopitasi nel frattempo, riaccende qualche telecamera. Non è detto che la redazione della tv citata da Gegic volesse per forza dichiarazioni "contro" Conte, probabilmente sarebbe bastato loro che parlasse "di" Conte nel contesto di Scommessopoli, anche per scagionarlo, tanto l'audience schizzava lo stesso in alto perché spesso basta la parola Juve o il nome di uno dei suoi personaggi per farlo.

TRATTAMENTI DIVERSI - In fondo, Gegic, in modo casuale, ha dato uno spunto in più per tornare a ragionare su uno dei piccoli grandi misteri di Scommessopoli, ovvero il perché Emiliano Mondonico e Antonio Conte siano stati trattati in modo diverso, pur avendo posizioni specularmente identiche nella maledetta Albinoleffe-Siena (e - chiariamolo subito - pensiamo che il trattamento giusto sia stato quello riservato a Mondonico). Forse perché Conte aveva un nome più goloso? Mettendola in un altro modo: se invece di allenare la Juventus fosse stato disoccupato o su una panchina di Serie B sarebbe stato coinvolto nello stesso modo? Non ci sarà mai la controprova, quindi ognuno può dare la sua risposta. Ma avvisiamo subito: non abbiamo cinquemila euro da dare a chi, per caso, avesse quella giusta.

Modificato da Ghost Dog

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La svolta Mapei:

addio alla Lampre

Ma c'è la Juventus

Pecci: «Scarponi? S'è visto soltanto due volte?

Cunego? Lui va a sensazioni...». Via anche Basso

di CLAUDIO GHISALBERTI (GaSport 28-11-2012)

È uno dei centri che rappresenta l'eccellenza della preparazione atletica, non solo in Italia, ma nel mondo. Nato nel 1996 per supportare con razionalità scientifica e approccio etico gli atleti dell'omonimo team, il Mapei Sport Service negli anni ha aperto le sue porte prima a campioni di varie squadre ciclistiche, poi ha ampliato il proprio raggio d'azione ad atletica, calcio e, novità, golf. Aldo Sassi era l'emblema di questo centro, dopo la sua morte il direttore generale è Claudio Pecci, da sempre al fianco del «Prof» e per molti anni medico della Nazionale di ciclismo.

Dottor Pecci, fino a ottobre avete seguito Basso, Evans, la Lampre. Ora la situazione è cambiata ed è rimasto solo Cadel. Coma mai?

«Sono casi differenti. Evans è nato con noi e prosegue con noi. Anzi, la Bmc ci vorrebbe affidare anche qualche corridore europeo. La Cannondale di Basso ha fatto una scelta, condivisibile e fatta anche a suo tempo dalla Mapei, di creare una struttura interna per la programmazione degli allenamenti. Poi, allenare un atleta "in deroga" è sempre un problema, anche nella gestione pratica».

Come mai avete chiuso con la Lampre?

«Primo anno, cioè 2011, bene. Nel 2012 molto meno bene. C'è stata confusione. Scarponi l'abbiamo visto due volte. È stato uno degli elementi per cui l'accordo non ha funzionato. Per colpa di chi? Non lo so».

Dal punto di vista etico il Centro Mapei è un marchio di garanzia. A qualcuno potrebbe fare gola appuntarsi la medaglia.

«Vero, ma non siamo così sprovveduti da non pensare che qualcuno venga solo per facciata. È capitato, ce ne siamo accorti e la collaborazione non è partita. Quando qualcuno chiede il nostro aiuto noi spieghiamo subito che deve essere a tutto campo, altrimenti nulla. Non ha senso fare programmi e non poterli seguire, esempio con test di controllo. Siamo chiari da subito. Il nostro discorso alla dirigenza delle squadre è questo: "Noi ci siamo, ma con questi paletti. Voi li comunicate ai vostri atleti e li fate rispettare. Se per questioni culturali, ambientali, di abitudini strane, vedi Cunego che dice che va a sensazioni, questi paletti non vengono rispettati, non si fa nulla". Se l'atleta si accorge che non c'è il manico, se ne approfitta».

Dal suo osservatorio, a che punto è la lotta al doping?

«La lotta al doping è un fatto culturale, la paura di essere beccati non è un deterrente sufficiente. In Italia si sta facendo molto, ma il ciclismo è internazionale e in altre parti del mondo credo che le cose siano differenti. Contro il doping corriamo con una gamba zoppa. È un problema di vertici, di dirigenti, quindi di Uci. Il caso Armstrong è emblematico: o i controlli non funzionavano o c'era la gabola».

Dal calcio vi stanno arrivando grandi soddisfazioni.

«Sì, seguiamo Juventus, Sassuolo e Monaco. Abbiamo detto no ad altre squadre in Italia. La direttiva di patron Squinzi è quella di seguire una sola squadra per campionato. C'è una parziale eccezione, l'Udinese, con la quale avevamo iniziato il rapporto prima che con la Juventus. Però i rapporti sono differenti».

Cioè?

«Alla Juve seguiamo la programmazione dell'allenamento. Facciamo test sul campo, la fotografia della situazione, incrociamo con i dati ematici. Alla fine diamo le nostre indicazioni e loro si regolano di conseguenza. Non facciamo intervento sanitario e neppure consulenza nutrizionale. Con l'Udinese, invece, con Luca Mondazzi seguiamo l'aspetto alimentare, con particolare attenzione al recupero dopo le partite, e quello sanitario per quanto riguarda la prevenzione del sovrallenamento».

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AUTOCOSCIENZA IL CASO RIZZOLI

Arbitro, dunque sono

L’identità da ribadire

di PIPPO RUSSO (Pubblico 28-11-2012)

Quando un’ovvietà smette d’essere tale, convertendosi in una verità da rimarcare, significa che nel frattempo si è registrato un mutamento delle cose di cui non ci si era resi conto. Riflettevamo su questo mentre ieri leggevamo la verità consegnata dall’arbitro bolognese Nicola Rizzoli ai suoi superiori, riguardo al rigore concesso in modo errato che domenica sera ha determinato il risultato di Milan-Juventus. Il solito insider ha riportato l’indiscrezione, e ieri tutti i siti dedicati al calcio l’hanno ripresa fermandosi alla superficie della notizia. Quando invece c’è un suo aspetto profondo che andrebbe rimarcato. E per farlo bisogna partire da quanto l’arbitro ha detto ai suoi vertici, assumendosi in prima persona la paternità della decisione. Il che fino a soltanto qualche anno fa sarebbe stata cosa tautologica. Certo che ha deciso lui, e chi altri se no?

L’arbitro sta in campo per prendere decisioni, il che è compito diverso rispetto alla mera amministrazione del regolamento. E ciò nel calcio è caratteristica più spiccata che in altre discipline, tanto da spingere Alessandro Dal Lago nel suo ormai classico libro «Descrizione di una battaglia. I rituali del calcio» a etichettare l’arbitro come un super-giocatore, il «terzo che decide». Laddove per «decidere» s’intende non soltanto «prendere decisioni », ma anche «influire sul corso della situazione». E dunque, cosa è cambiato se al giorno d’oggi un arbitro di vertice deve rimarcare qualcosa che fino all’altro ieri apparteneva alla sfera dell’ovvio? È successo che il ruolo dell’arbitro è stato snaturato. Da molti fattori, il principale dei quali è dato dall’invadenza della tecnologia televisiva e della sua ambizione panottica che ingigantisce l’errore. Ma soprattutto c’è il deleterio moltiplicarsi delle figure di supporto. A cominciare dai giudici di porta, che smettendo di limitarsi a essere degli ausiliari per entrare nella dinamica decisionale finiscono per complicare ulteriormente il lavoro dell’arbitro centrale. Aggiungendo errore a errore, anziché contribuire a ammortizzare la fallacia d’intervento. Dodici occhi vedono peggio di due, e compongono un mosaico deturpato della circostanza accaduta la cui prima vittima è proprio lui. L’ex super-giocatore, il terzo che tentenna. E che quando decide si sente costretto a precisarlo.

___

Considera il fischietto

Perché sparare sull’arbitro è più o meno sempre sbagliato:

analisi ed elogio di un ruolo controverso, elegante e, sì, anche rompicoglioni.

di DAVIDE COPPO (RivistaStudio.com 28-11-2012)

Domenica sera, a 30 minuti dal fischio d’inizio di Milan – Juventus, quando Rizzoli, dopo un lunghissimo secondo di attesa, ha indicato il dischetto del rigore per un fallo di mano di Isla in area (che si rivelerà poi non dubbio, come si ostinano a scrivere quotidiani e affini, ma completamente inesistente), ho pensato, per la prima volta in maniera lucida e compassata, a quel fischio, a quella mano che va a puntare con il dito il cerchio di gesso nell’area di rigore, al cervello che ha preso quella decisione, al ragionamento nato, sviluppatosi e partorito in quel secondo leggermente troppo abbondante per non far presupporre un dubbio. A fine partita, quando l’implacabilità asettica del replay, e poi del replay ingrandito, e poi del replay al ralenti, e poi ancora del replay con inquadratura che mostra le diverse angolazioni – a fine partita ci ho pensato ancora di più, a quel fischio, e alla sua portata non sportiva, ma umana, singolare, e psicologica.

Sparare sull’arbitro è facile, è utile, è così moralmente accettato che non ci si pensa mai due volte. È pure singolare che si spari sempre sul singolo, il cui nome rimane impresso nella memoria collettiva, marchiato a fuoco, in caso di sciagurata decisione, ma mai sulla terna, anzi quaterna se contiamo il quarto uomo, o addirittura sestina dacché esistono i giudici di linea. Sebbene assistito, è uomo solitario. Triste y solitario, pure, perché irrazionale sembra la scelta di indossare la casacca nera (o gialla fluorescente, a seconda delle mode) anziché una qualsiasi a righe orizzontali o verticali, e correre dietro al pallone sperando di buttarlo in rete in tutti i modi, anziché selezionare, burocraticamente, quella ristretta cerchia di modi per cui il pallone possa essere validamente buttato in quella stessa rete.

Non può esserci empatia, tra spettatori e arbitro, semplicemente perché non stanno giocando allo stesso gioco. Quell’uomo in nero è un intruso, un male necessario testimone inevitabile della fallacia dell’auto-governo calcistico, è la polizia del rettangolo verde, che arresta – le azioni – e punisce il contravventore.

Prima dell’errore di Nicola Rizzoli in Milan – Juventus ho avuto modo di vedere due documentari (uno del 2009, uno del 2010) incentrati sul ruolo dell’arbitro. “Ho pensato”, come dicevo prima, grazie agli strumenti che questi due documentari mi hanno dato, a poche ore dall’inizio della partita. Si chiamano Kill the referee (Yves Hinant, Delphine Lechericey, Eric Cardot, 77 min) e The Referee (Mattias Löw, 29 min). Il primo segue, con telecamere e microfoni, l’italiano Rosetti, l’inglese Webb, lo svedese Frojdfeldt, lo svizzero Busacca e lo spagnolo Mejuto Gonzalez durante svariate direzioni di gara negli Europei del 2008, disputati in Austria e Svizzera. Il secondo accompagna lo svedese Martin Hansson nel suo percorso di avvicinamento al Mondiale sudafricano del 2010, culminato nella disgraziata Francia – Irlanda, la partita che qualificò i bleus grazie a un clamoroso fallo di mano di Henry.

The Referee racconta una storia estremamente umana, a volte struggente, più volte angosciante, su un uomo e la sua ossessione – “bizzarra ossessione”, si dirà, “fare l’arbitro di calcio” – di partecipare alla fase finale della Coppa del Mondo. Hansson è uomo schivo, francamente poco carismatico e decisamente poco divertente, per nulla empatico, che dalla bella-ma-triste provincia svedese sogna di arrivare al palcoscenico più importante che un uomo di calcio – giocatore o arbitro – possa sognare. Per fare ciò sacrifica la famiglia, immola moglie e figli sull’altare del divorzio in nome di un tormento che non appare mai come altro che patologico. Fino alla tragedia finale, lo spareggio del secondo fallo di mano più clamoroso della storia pallonara, che comunque –ecco l’happy ending – non pregiudica la realizzazione della fisima.

Kill The Referee smentisce il cliché che, volontariamente o no, il precedente titolo crea nello spettatore. I direttori di gara protagonisti – tutti seguiti in campo, loro e i loro assistenti, con telecamere dedicate e registratori vocali – sono esperti internazionali, sembrano avere una vita più che felice e più che normale fuori dal campo verde. Sono persone “ordinarie”, perfetti protagonisti per una narrazione in cui ci si possa identificare, verso cui si possa guardare con curiosità ma non sgomento. È quello che accade in campo, e non fuori, la cifra fondamentale di questo documentario. È la parentesi esclusivamente calcistica che racchiude l’importanza e l’originalità di Kill The Referee. Ci sono alcune scene fondamentali, a loro modo tutte illuminanti, in cui arbitri e collaboratori parlano attraverso i microfoni in dotazione.

[Minuto 2’ 21’’] Svezia – Grecia.

4° uomo: «C’è un temporale in città. Patrick mi ha detto che c’è un grosso temporale in città. Forse arriverà qui».

Busacca: «Non capisco, che c**** stai dicendo?»

4° uomo: «Sta piovendo forte in città. Può darsi che arrivi anche qua. Arriverà a momenti perché…»

Busacca: «Non è un mio problema. Stai zitto».

4° uomo: «Ok. Era solo per essere preparati».

Busacca: «Concentrazione, concentrazione, Ivan, per piacere».

4° uomo: «Sì».

Busacca: «Non parlare per niente. Non facciamo cazzate alla fine».

[Minuto 10’ 30’’] Austria – Polonia, prima rete polacca.

Guardalinee: «Non sono sicuro fosse regolare».

(Aufhauser, attaccante austriaco, protesta con Webb)

Webb: «Aufhauser, il goal non era in fuorigioco. Era in linea con il portiere. L’ho visto».

[Minuto 11’ 29’’] Spogliatoio degli arbitri, fine primo tempo.

Webb: «Tutto bene?»

Guardalinee: «
mh
-
mh
».

Guardalinee: «Era fuorigioco».

Webb: «Cosa?»

Guardalinee: «Penso che il goal fosse in fuorigioco».

Webb: «Davvero?»

Guardalinee: «Era davanti al portiere. Non sembrava da dove ero posizionato, ma l’ho rivisto in tv e l’ho notato».

Webb: «Beh, di poco, di poco».

Guardalinee: «Non volevo segnalarlo pur sbagliando. Preferisco non segnalarlo e sbagliare. Tu mi capisci?»

Webb: «…»

Quello che emerge, sopra a ogni giudizio o impressione, è la sensazione che la partita di calcio osservata dall’arbitro sia enormemente differente da quella osservata dai giocatori, o dagli spettatori. Meglio: uguale la partita, diverso il piano. È come se il match nascondesse un secondo livello, che è poi quello a cui operano gli arbitri. Non è davvero calcio: è invisibile a chi non arbitro non è, ed è costituito dalla perenne osservazione della palla, del movimento del singolo giocatore, dalla concentrazione non sulla costruzione del gioco ma sulla sua distruzione – ché in fondo è questo ciò che deve fare l’arbitro, in poche parole: distruggere. Potremmo chiamarlo deep-football, allo stesso modo in cui chiamiamo deep-web ciò che si nasconde sotto lo strato universalmente conosciuto del www.

È strano l’arbitro, è silenzioso, lontano, distaccato. È all’apparenza imperturbabile eppure, invece, comunica. Eccome se comunica. Oltre il cliché dello “sbagliare è umano”, i dialoghi tra assistenti e arbitri che si possono ascoltare in Kill the referee comunicano l’idea di un uomo quasi troppo umano. Incertezza e complimenti, dubbi reiterati fino allo sfinimento, il dialogo con i suoi assistenti è fittissimo. Non tesse ma sfila. Ancora: distrugge. E nell’atto della sua distruzione (del gioco) è così esteticamente freddo e – qui sì – anti-umano che è impossibile persino accordargli il fascino – così propria della natura umana – che si accorda ai distruttori violenti e folli della storia e della letteratura.

Il suo senso dell’onore nel “non indietreggiare” è diktat morale che trascende il campo da calcio, è esercitazione di vita che spalanca le porte dello stadio per entrare prepotente nell’esistenza quella vera, di tutti i giorni. Se sa di non dover indietreggiare è perché sa che non può indietreggiare. È a rischio il suo ruolo, verrebbe travolto – figuratamente – dall’orda di inseguitori-giocatori. Allora si arresta, petto in fuori, corpo rigido, e con gesto dartagnanesco indica un punto. E si arrestano anche loro, gli inseguitori, di nuovo intimiditi dalla fermezza e da quell’eleganza tutta particolare.

Particolare sì, ma spesso facile oggetto del più bieco scherno: le gambe tese sui tacchi uniti; lo sguardo altero; il mento sforzato in fuori; la gestualità netta ma musicale; la corsa all’indietro, a piccoli passi; perfino quel modo cadenzato di contare i metri, falcata per falcata, che intercorrono tra un calcio di punizione e la barriera. L’arbitro è, esteticamente, un corpo estraneo a ciò che lo circonda, di un’estraneità estrema e quindi significativa. Grace under pressure, diceva Hemingway dei toreri. Nulla di più simile. La forzata raffinatezza espressiva si contrappone alla foga istintiva del giocatore, che carica a testa bassa salvo poi arrestarsi impotente davanti a un braccio che deciso indica la lunetta della metà campo. È un codice a cui l’irruente calciatore difficilmente sa relazionarsi, e la sua carica di rabbia finisce per mancare il bersaglio, quando l’arbitro-matador gira sui tacchi, e in una mezza veronica effettivamente mata il colpevole – il cartellino che lo punisce, guarda caso, rosso come una muleta.

Dall’altro lato, quello più da caffetteria, la percezione dell’arbitro è quella del burocrate del pallone, il rompicoglioni con diritto di veto. Prima di esultare, attaccante, dovrai sempre guardare verso di lui, verso il suo guardalinee, e lui deciderà, in un lunghissimo attimo di sospensione a cavallo tra trionfo e sconfitta.

Ma se nella corrida è necessario il torero, nel calcio è certo necessario il giudice di fischietto armato, di nero o giallo vestito non conta. È anche grazie a lui che possiamo godere di spettacoli come il meraviglioso fair play di un Di Canio, o l’appassionante rabbia esete di vendetta

. E il bello del calcio sta anche qui.

___

What do footballers and managers really think of the man in the middle?

FFT's mole reveals all

Players like refs who call you by your first name.

It shows them to be human - refs should not be the stars

by THE PLAYER [secret columnist] (FourFourTwo | January 2013)

The Player has spent 15 years across all four divisions. He’s played in the Premier League and for his country.

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Football is an enduring

soap we love to hate

by MATTHEW SYED (THE TIMES 28-11-2012)

Let’s be honest. If football was squeaky clean and uniformly virtuous, we wouldn’t have much to talk about. The back pages would be bereft, radio phone-ins would be silent and the moralists in the pubs and clubs would have nobody to berate.

In that sense, football plays a huge service to the country by being everyone’s favourite scapegoat. Over the years, I have read solemn condemnations blaming the national sport for everything from youth delinquency to rampant commercialism. A game between two groups of 11 chaps has become a proxy for the ills of society and a convenient vehicle for a nation’s moral navel-gazing.

In many ways, football benefits from this curious asymmetry. A recent thesis on the power of soap opera argued that long-term serial television is constructed upon plotlines that dish up controversy, intrigue and vicarious moral affront in roughly equal proportions.

Well then, the Barclays Premier League is the of sport, but with one crucial difference. The top flight commands viewing figures in Doha and Damascus as well as in Dagenham and Dorchester.

Players diving, owners firing, fans jeering and radio pundits screaming: all these things spice up the sense of vaudeville. If football was reduced, like most other sports, to what happened on the field of play (such things as formation, tactics, passing and shots), its contemporary meaning would vanish. To be a football fan in the modern world is to be more than an aficionado of the game. It is, for the majority of supporters, to be a devotee of the most successful soap opera in the history of mass media.

That is why I have always been pretty sanguine about many refereeing controversies. Was it offside, did he fall or was he pushed, should that have been a yellow card or possibly a red? These debates are intertwined with what might be called the 6-0-6 escapism of a Saturday evening, and are part and parcel of the bittersweet joy of being a supporter. We enjoy our relief when a 50-50 decision goes our way, but probably a little less than we revel in our sense of outrage when it does not.

And we also know that none of it is particularly real. When we argue about simulation, the precise meaning of sufficient contact and the complexities of partisanship, we are conducting an investigation into our own moral intuitions, but without any lives being at stake.

Football is not fictional in the way Albert Square is fictional. But it is not quite real life, either. A football match is a stage production, with its own internal set of rules, but with an uncertain outcome.

Yet this all poses a rather obvious question: are there occasions when football pushes the boundaries too far? Is it possible for the football soap opera to create controversy to such an extent that it begins to threaten its own credibility? Are there times when, instead of adding fuel to a marvellous bonfire, football risks self-immolation? These questions are particularly pertinent today. The litany of shame writes itself, from Suárezgate, to Terrygate and from the Clattenburg affair to the sickening chants at White Hart Lane on Sunday afternoon.

It is true that every football season has a period where various incidents are welded together to invite moral panic — this is also a part of the soap opera. But this time, the sheer distaste is, in my experience, unprecedented.

Right-minded opinion is wavering. Among supporters — and not just those who have always defined themselves as football-bashers — these latest controversies do not add up to anything except contempt.

It is said that football is a reflection of society, an assertion conventionally trotted out as mitigation rather than description, but I can’t think of any other forum where many hundreds (perhaps thousands) of people would taunt opposition fans with reminiscences about the Holocaust.

Or where a plane crash that shattered the lives of a generation of Manchester United players is wielded as a playground slur. Or where grown-ups call each other c***s and insult each other with gestures that apparently denote bad breath? Or where a manager who wins the most coveted prize in the industry is sacked, ostensibly for incompetence. Or where someone is found guilty of racist abuse but is kept on as de facto leader by his employer. Or where traditional supporters are treated, all too often, with contempt.

How often in recent weeks and months have you heard a friend or fellow supporter say something along the lines of: “I love the game, but I have had it up to here with the excesses”? I have heard it so often I can no longer endorse the notion that football always benefits from its flirtations with controversy. Sometimes, when a controversy is distasteful and alienating, football suffers. The game loses a sliver more goodwill. And good people are distanced farther from an otherwise great sport.

The bubble is not about to burst anytime soon. The BBC Sports Personality of the Year nominations reveal that we have just been ravished by the greatest year in sport in living memory. Mo, Jess, Wiggo, Murray: all have given us unforgettable memories. But when I think of the most pulsating, dramatic and mind-bending moment of 2012, I am inexorably drawn to the Etihad Stadium on the afternoon of May 13. Even as a neutral, I experienced a gamut of emotions that left me struggling for breath.

It is no wonder that the foreign rights income for the Premier League is spiralling ever-upwards. The deal for 2013-2016 is likely to surge beyond £2 billion, more than £500 million above the previous deal. The Premier League product remains among the most attractive media propositions in the world, even in poor nations such as Burma, for a simple reason: it provides an unrivalled, season-long (lifelong?) narrative.

Many controversies are part of this glorious chaos. Only a fool could deny that. And much about football has improved: as one fan reminded me yesterday, there was a time in the 1970s when many stadiums were crumbling death traps and it was not untypical to be threatened by an opposition fan after the final whistle. “We don’t want to go back to that,” he said.

But while we should acknowledge areas of progress, we should not allow them to contextualise out of existence the many instances of regress. Many of the most recent controversies have had no redeeming aspect whatsoever. They have given us black clouds without a silver lining.

Football’s cheerleaders will say that these are quibbles set against the continued growth of the game. But that is what people said when the Roman Empire was approaching collapse, creaking under the weight of its own contradictions.

Football — its administrators, owners and players — should be mindful of the distaste that many right-minded people feel. It should take greater heed of its traditional fanbase. And it should realise that having a conscience is not such a terrible thing.

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L’inchiesta ultrà

Ecco i verbali

di Doni e Ruggeri

L’ex capitano al pm: «Non valuto i comportamenti del Bocia»

L’ex presidente: «Tutti da Galimberti, pure i politici per i voti

Raid a Zingonia, c’era anche Belotti: forse scavalcò la recinzione»

di VITTORIO ATTANÀ (L'ECO DI BERGAMO 28-11-2012)

È farcito di «non so», «mi pare» e «può darsi» il verbale dell’interrogatorio che Cristiano Doni rese in procura il 14 febbraio 2011, davanti al pm Carmen Pugliese, che lo aveva convocato come «persona informata sui fatti» nell’ambito dell’inchiesta sugli ultrà (in cui non è indagato). I corridoi della procura raccontano di un atteggiamento non troppo collaborativo dell’allora capitano dell’Atalanta, tanto da indispettire il magistrato. «Andare a trovare i due tifosi agli arresti domiciliari per gli scontri, accompagnato dal Bocia? Non ci ho visto nulla di male », disse Doni. E poi: «Il comportamento della tifoseria? Non lo valuto, non mi compete».

«Un favore al Bocia»

Il capitano risponde alle domande degli inquirenti sul suo rapporto con il capo ultrà Claudio «Bocia» Galimberti, indagato con l’ipotesi di associazione per delinquere. «In qualità di capitano – illustra Doni – avevo normali rapporti con Galimberti e la tifoseria». Nel verbale d’interrogatorio di Doni trova spazio l’ormai famosa visita di cortesia che il capitano, insieme a Bellini, Tiribocchi e Acquafresca, fece insieme al Bocia a casa di due ultrà agli arresti domiciliari dopo gli scontri di Atalanta-Catania: Gianmaria Vanini e Aronne Mazzoleni. «Accettai la richiesta senza problemi», ammette Doni di fronte al pm. «Fu il Galimberti – precisa poi – a chiedermelo, visto che la tifoseria aveva subito con gli arresti e i Daspo un brutto colpo, di fargli il favore di andare a trovare questi due ragazzi. Non ricordo se furono portate delle magliette in omaggio, può darsi ma non me lo ricordo». Il riscontro sul «dono» delle magliette agli arrestati emerge invece dalle intercettazioni.

«Che male c’è?»

Doni non commise reati. Ma per il pm si trattò di un episodio significativo per dimostrare la soggezione della squadra agli ultrà. «Prendo atto – si legge nel verbale di Doni – che il pm mi fa rilevare che motivi di opportunità avrebbero suggerito di non andare a rendere una visita dal significato consolatorio ai due tifosi. Ma io non ci ho visto nulla di male, anche perché non li conoscevo».

«Il Bocia non è un santo»

«È vero – prosegue Doni – che dopo la sconfitta con il Lumezzane ho chiesto scusa a nome mio e di tutta la squadra a Galimberti perché ritenevo che fosse dovuto ai tifosi che ci sostengono. Prendo atto che il pm mi fa rilevare che sembra strano questo atteggiamento di fronte a una tifoseria che si era resa responsabile di fatti violenti. Io le ripeto che non valuto il comportamento della tifoseria in quanto non mi compete. Sono a conoscenza che Galimberti non è un santo e ha avuto una serie di Daspo, nonostante ciò è il leader della nostra tifoseria. Posso non essere d’accordo su quanto la tifoseria fa fuori dallo stadio, ma non devo avere riserve per questo. Del resto lui non è la tifoseria, anche se la rappresenta».

«Ti lascio i giornalini»

I rapporti con il Bocia erano talmente frequenti, che il capitano veniva ingaggiato dal Bocia anche come «pony» per distribuire nello spogliatoio nerazzurro i giornalini della Curva, «la parola della Nord», come la definisce il capo ultrà: «Ho lasciato una decina di giornalini al bar Savoy – è un sms del Bocia per lui – è la parola della Nord. Uno va a te, gli altri portali ai compagni di squadra, che capiscano che noi viviamo di Atalanta. Società vergogna, l’Atalanta al suo popolo. Fango e tacchetti il profumo del calcio, lode a te mio capitano!». «Ok Claudio – risposta di Doni – li porto io negli spogliatoi... sempre a testa alta!».

Il verbale di Ruggeri

Anche Alessandro Ruggeri fu sentito (l’11 febbraio 2011) come testimone dal pm Pugliese. «Il rapporto con la tifoseria – si legge nel verbale – in particolare con gli ultrà capeggiati da Galimberti, non è mai stato eccezionale. La presidenza di mio padre è stata in diverse occasioni contestata, più di una volta ricordo che avevamo fatto ritorno a casa scortati. Abbiamo subito danneggiamenti al centro sportivo di Zingonia, ancor prima di quello del maggio 2010. Il danneggiamento più grave era stato circa sei anni fa, quando erano entrati spaventando il personale, danneggiando la struttura, facendo scritte sui muri».

Belotti e il raid a Zingonia

«Ricordo – prosegue – che quella volta era presente Belotti (Daniele Belotti, ex assessore regionale, nell’inchiesta ultrà indagato per concorso esterno in associazione per delinquere, ndr) e ritengo che in quell’occasione sia entrato scavalcando la recinzione».

La «pandorata» con gli ultrà

Nel corso dell’inchiesta, però, gli inquirenti registrano parecchi scambi di sms e telefonate tra Alessandro Ruggeri e il Bocia, che testimoniano frequenti e amichevoli contatti. «Mi scuso per la prestazione della squadra», scrive il presidente al capo ultrà dopo Atalanta- Lumezzane. «Dichiara qualcosa di forte», gli risponde lui. «Dichiarazioni fatte oggi», assicura Ruggeri. Il 28 novembre 2009 i due concordano di andare a far visita al Gianmaria Vanini, agli arresti domiciliari. «Non ci sono problemi», risponde il presidente. Quando si avvicina il Natale 2009 il Bocia invita Ruggeri a una «pandorata». «Volentieri, verrò sicuramente».

La pizza alla vigilia degli scontri

La sera prima di Atalanta-Inter del 13 dicembre 2009, partita ricordata nell’inchiesta per gli scontri diretti «sul campo» proprio dal Bocia, i due concordano un appuntamento a mezzanotte in una pizzeria nei pressi del Palazzetto. Il 14 dicembre il capo ultrà invita «il presidente e il mister al «covo» per gli auguri (ma alla fine ci va solo Antonio Conte). Infine, i giornalini della Curva: il Bocia li consegna anche tramite il presidente, oltre che il capitano. «Che venga dato ai giocatori », dice perentorio. Quanto alla visita a casa dell’ultrà Gianmaria Vanini, allora ai domiciliari: «Ricordo di essere andato a casa di un ragazzo nella zona di via Broseta, però non ricordo se fosse ai domiciliari ». Ma poi i collaboratori del pm gli leggono le intercettazioni in cui lui e il Bocia si accordavano per la visita al Vanini sottoposto ai domiciliari: «Ammetto di essere andato perché me lo ha chiesto Galimberti (...). Prendo atto che il pm mi invita a spiegare il motivo: l’ho fatto per tenere rapporti di un certo tipo con la persona più rappresentativa della tifoseria, anche perché per qualunque cosa riguardasse la tifoseria si passava attraverso il Galimberti».

«I voti della curva»

«Del resto – aggiunge l’ex presidente – a lui si rivolgevano tutti, compresi i politici, per acquisire i voti della curva o quantomeno per dare un indirizzo, tra questi c’era il politico coinvolto in questa indagine». Infine, la vendita della società: «Mi sono determinato a vendere – spiega Ruggeri al pm – per l’ostilità della piazza, in particolare della tifoseria, in quanto non veniva più garantita la tranquillità della mia famiglia». Il pm chiede se il cattivo andamento in campionato della squadra non fosse stato preordinato. «Non sono in grado di dare una risposta precisa – ammette Ruggeri – probabilmente qualcosa più di me la sa l’allenatore Conte».

Il verbale di Randazzo

Anche Giacomo Randazzo, ex dirigente dell’Atalanta, fu sentito a febbraio 2011 dal pm, in particolare riguardo a una telefonata con il Bocia, dopo che a quest’ultimo era stato inflitto un Daspo per essere stato al «Baretto» mentre allo stadio giocava l’AlbinoLeffe. «La legge qualcuno la applica alla sua maniera», aveva detto Randazzo. «Ma ero convinto - si è giustificato con il pm - che il Daspo riguardasse solo le partite dell’Atalanta. Ma certamente nella telefonata non volevo consolare il Bocia o condividere i suoi comportamenti: la legge anche se può non essere condivisa, va rispettata».

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IL COMMENTO di STEFANO SERPELLINI (L'ECO DI BERGAMO 28-11-2012)

Benaltrismo da curva

Così gli ultrà si assolvono

« Politici ladri, corruzione e disoccupazione, questo è il vero tumore ». C’è ben altro che le violenze ultrà, stando a uno degli striscioni esposti domenica nella Nord. È indubbio e sarebbe persino condivisibile, se lo slogan, oltre che di populismo, non puzzasse di autoassoluzione e non fosse stato confezionato da una tifoseria diventata maestra di «benaltrismo», che è poi la variante algebrica del vittimismo.

C’è sempre qualcosa di più grave su cui puntare l’attenzione, secondo questa matematica a rimbalzo. L’evasore fiscale potrebbe recriminare: punite me, ma perché non andate a prendere i ladri che sono più pericolosi? I ladri: arrestate noi, ma perché non vi preoccupate dei rapinatori che creano più allarme? I rapinatori: e gli assassini, che sono il terrore di tutti? E così via. Se si seguisse questa logica, la somma di tre crimini (evasione+furto+rapina) non farebbe tre, bensì zero.

Il problema è che qualcuno nella Nord si dimentica che i reati, anche quelli minori, sono perseguibili per legge (e sanzionati con pene proporzionate). Probabilmente è più comodo spacciare la retorica romantica dei perseguitati, dei soli contro tutti, accerchiati da benpensanti corrotti che tramano contro la purezza ribellistica degli ultrà. Polizia che reprime, stampa che denigra, magistrati che s’inventano accuse. La sindrome da complotto nel microcosmo di curva porta a credere che la presunta macchina del fango sia impegnata a schizzare in una sola direzione. Anche in questo caso ci si dimentica che ogni giorno Procura e forze dell’ordine indagano su altri fronti, ci si dimentica che un politico locale coinvolto in un’inchiesta ha per esempio avuto l’«onore» delle prime pagine per settimane (che dovrebbe dire allora lui?). Le notizie possono piacere o no, ma quello che la tifoseria organizzata definisce sciacallaggio giornalistico, non è altro che dovere di informazione.

Certo, la Curva ha anche molti meriti, che non esita – giustamente – a sbandierare: la Festa della dea che richiama migliaia di persone, tra cui molte famiglie, le coreografie e il tifo, la beneficenza. Iniziative encomiabili, organizzate senza secondi fini, e che però qualcuno, nei ragionamenti, tende a usare come paravento alle malefatte della minoranza facinorosa. Noi violenti? Ma se aiutiamo i terremotati? Se sotto i nostri palchi ci stanno pure i bimbi? E, si perdoni il paragone, ma è come se un rapinatore pretendesse di scampare alla condanna solo perché la metà del bottino l’ha devoluta a fin di bene.

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Conte in procura

«Le mie dimissioni?

Per quieto vivere»

L’ex tecnico: «Volevo lasciare, la società disse no

Ma ebbi un incontro burrascoso con i tifosi

e il giorno dopo i dirigenti cambiarono idea»

di VITTORIO ATTANÀ (L'ECO DI BERGAMO 28-11-2012)

«L’Atalanta inizialmente respinse le mie dimissioni, poi venni contestato. Il giorno dopo le accettarono. Non so da cosa dipese il cambiamento, mi viene da dire che accettarono per quieto vivere». È un passaggio delle dichiarazioni rese da Antonio Conte al pm Carmen Pugliese il 24 febbraio 2011, nel corso di un interrogatorio come persona informata sui fatti nell’ambito dell’inchiesta sugli ultrà.

«Le dimissioni respinte»

«Dopo la partita del 6 gennaio 2010 contro il Napoli – ricostruisce l’allenatore – mi dimisi come allenatore in quanto ero deluso dalle aspettative della società. Ricordo che al termine di questa partita uscii dagli spogliatoi e parlai con i tifosi. Parlai anche con il presidente e il direttore Osti, ai quali feci presente che per salvarci avremmo dovuto intervenire sul mercato sia negli acquisti, sia nelle vendite, anche perdendo qualche giocatore che da anni militava nella squadra. Il presidente mi ribadì che ci saremmo salvati in ogni caso e al termine della partita respinse le mie dimissioni, invitandomi a tornare a casa e riflettere».

«La leggerezza di Osti»

«Nel frattempo il direttore Osti, che era presente alla parte iniziale del mio discorso con il presidente, uscì perché chiamato all’esterno dai tifosi e poi tornò per portare anche me ad incontrarli. Io ero convinto di incontrare una delegazione di loro, uscii non sapendo che Osti aveva avuto la leggerezza di farmi trovare 500 persone che all’inizio ascoltarono quanto dicevo (con 6-7 più rappresentativi ebbi un discorso normale), poi la situazione degenerò perché il gruppo dei 500 iniziò con insulti vari legati anche al mio passato juventino».

«Il sì per quieto vivere»

«In quella circostanza non vidi il Bocia. Il giorno seguente – prosegue l’ex allenatore dell’Atalanta, ora alla Juve – incontrai il presidente e la dirigenza al centro Bortolotti. Capii da subito che loro avevano cambiato posizione nei miei confronti, ovvero non erano più così contrari alle mie dimissioni, anzi le accettarono subito. Non so da cosa dipese questo cambiamento di posizione, ma mi viene da dire – sostiene il mister – che accettarono "il quieto vivere", anche se poi venne attaccata mediaticamente anche la dirigenza, confermando quanto io avevo previsto, cioè che dopo l’attacco all’allenatore sarebbe arrivato quello alla società».

«Ripresi Doni davanti a tutti»

«Al mio arrivo trovai un ambiente deluso, in quanto l’Atalanta non aveva ancora vinto una partita di campionato. Il mio lavoro portò buoni risultati: la squadra ebbe cinque risultati utili consecutivi. La sesta partita, giocata a Livorno, fu la prima sconfitta e negli spogliatoi ebbi un diverbio con Doni. Lui tirò un pugno alla porta, poi anche io lo feci per far capire che anche io sapevo tirare un pugno. La reazione di Doni fu determinata probabilmente dal fatto che lo ripresi davanti a tutta la squadra. Il giorno dopo feci ai giocatori un discorso incentrato sulla necessità di pensare al "noi" e non all’"io". In seguito, mi accorsi che qualcosa si era inceppato. Poi iniziò un attacco mediatico molto forte nei miei confronti».

Gli sms al Bocia

Conte sostenne poi davanti al pm che prima di Atalanta-Napoli la tifoseria era con lui: le contestazioni erano per lo scarso impegno dei calciatori. Del resto anche Conte intrattenne frequenti e amichevoli rapporti con il capo ultrà Claudio «Bocia» Galimberti, principale indagato nell’inchiesta, mandandogli persino un sms dopo una condanna penale: «Ho letto che ti hanno dato 5 mesi, mi dispiace».

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Don’t sack the manager.

Think of Ken Clarke

After ten years of poring over football statistics,

I have learnt five essential lessons about politics and life

by DANIEL FINKELSTEIN (THE TIMES 28-11-2012)

At the moment when the news came through that British and American forces had begun the invasion of Iraq I was sitting at my desk trying to work out how to classify derby games.

Should Manchester City versus Bolton Wanderers be considered one? (Yes.) What about Manchester United versus Blackburn Rovers? (No.) And does the formbook really fly out of the window in derby games? (Yes, but not that far.)

I did wonder whether this absorbing task was a bit of a distraction. Perhaps, I thought, I should be embedded with the advanced tank regiment, wearing a chemical suit and sending back breathless reports that something was happening although I couldn’t quite be sure what. Or maybe, at the very least, standing in Parliament Square reporting as members of the 6th Form helpfully shouted “Bliar, Bliar, Bliar, Out! Out! Out!” at the Prime Minister.

It’s almost a decade later and I feel more confident. Writing that derby match column, it turns out, was exactly what I should have been doing.

You see, ten years ago I began working on a series of articles about football called the Fink Tank. It was inspired by a statistician called Henry Stott, who persuaded me that many of the things people said about the game (the worst time to concede a goal is just before half time, for instance) were not merely nonsense, but nonsense that could be exposed quite quickly by using statistical modelling.

He turned out to be right. But not just about football. Because writing about things like whether Thierry Henry was really Player of the Year has taught me much about politics that I didn’t know. And since this week is the Fink Tank’s tenth anniversary, I thought I might share it with you.

First, don’t trust experts. Experts have invested a great deal of time and effort gaining expertise. As a result they put too much weight on the knowledge they have obtained. Who, after all, wants to be the fool who spent ages learning things that weren’t useful?

A study of American predictions of the outcome of the World Cup showed that the less you knew about football, the better your prediction. Only someone who follows the game would make an assertion as obviously ridiculous as: “The worst time to concede a goal is just before half time.” Someone who knows nothing would realise in a second this wasn’t right. Why should it be?

And the same is true about politics. Experts follow polls up and down, learn about individual members of the Cabinet and their foibles and proceed to attach far too much importance to all this information.

This is because, second, simple models are often better than complicated ones. In football, experts think almost everything is correlated to outcomes. In fact very little is. Keep your modelling very frugal — look at the club’s wage bill and at its goals and shots on target — and you will do far better than adding in, I don’t know, figures on your possession of the ball and hunches about injuries.

In politics most of what you see on the news makes very little impact on voters and doesn’t change how they vote. A simple model — one that looks at party leaders, basic positioning and personal disposable income — will tell you far more about what is likely to happen in an election than adding in lots of irrelevant details about who “won” last week’s Prime Minister’s Questions.

Third, don’t be fooled by randomness. Chelsea keep sacking their manager. It’s happened so often that a friend suggested to me that they should copy Have I Got News for You when they removed Angus Deayton — by having a different celebrity manager each week.

Why are Chelsea doing this? Because they don’t understand randomness. Wins cluster. If a team has the class that enables it to win half its games, it will not do this in a neat pattern: win, lose, win, lose. So Chelsea’s manager wins every game for a month and becomes Barclays Manager of the Month, then they lose every game for a month and the manager gets sacked.

Political coverage is very similar. Three things go well for Theresa May and articles appear saying she might well be the next Prime Minister. Then three things go wrong and Ladbrokes send round a press release saying that she is the punter’s favourite to be first to be removed from the Cabinet.

Fourth, remember reversion to the mean. This is a feature of random fluctuation that is also illustrated by a manager being sacked.

It is frequently observed that after a manager is replaced, the new man in charge achieves better results. Indeed some clubs fire their manager precisely to achieve this uplift. But what they are actually seeing is a statistical illusion.

The board removes its coach because they have had a run of bad games. But the law of statistics shows that after observing extreme results, the next results will tend to be closer to the average. Political reputations adhere to the same law. Wait long enough and they will revert to the mean. Look at Ken Clarke. There are plenty of downs with the ups, but his reputation always reverts to a reasonably high mean.

Political form, like footballing form, doesn’t really exist. It’s a trick of the light. What matters is long-term class.

Finally, understand that good decisions can have bad outcomes, and bad decisions can have good outcomes. Premier League Arsenal are overwhelmingly likely to defeat Barnsley, from football’s second tier. But just once in a while, Barnsley will win. This doesn’t mean you made a mistake believing Arsenal would win. Your decision was correct, but it had a bad outcome.

Most political coverage proceeds on the basis that if something goes wrong that means it was certainly a mistake, and if it went right it certainly wasn’t. The reason for this error of thinking is that events are considered in isolation. Writing about football has made me realise that they shouldn’t be.

In one game Barnsley might beat Arsenal; over ten games that wouldn’t happen. Now take wars. Vietnam is considered a terrible error, the Cuban Missile Crisis a great triumph. But shouldn’t they properly be considered as two iterations of the same decision (to deter communist expansion) with different outcomes?

Which is why writing about derby games might just have been the ideal way to cover the Iraq war.

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Entretien exclusif. Platini: « Je ne crois

pas au dopage organisé dans le foot »

Un bâtiment oblong sur les bords du Lac Léman, avec vue sur le Mont-Blanc quand le ciel est dégagé, un hall d’entrée où trônent fièrement trois trophées (Ligue des champions, Ligue Europa, Euro), nous sommes au siège de l’UEFA à Nyon, en Suisse. Michel Platini y accueille Ouest-France pour un entretien exclusif, où il prend une heure pour passer en revue les sujets d’actualité du ballon rond.

Prudent sur les thèmes franco-français (« en tant que président de l’UEFA, comprenez que j’ai un devoir de réserve »), l’ancien numéro 10 des Bleus est nettement plus loquace quand on aborde les sujets plus généraux : fair play financier, arbitrage vidéo, tricheries dans le sport. Passionné et politique, chambreur ou sérieux, c’est avec la palette d’un vrai meneur de jeu qu’il a répondu à nos questions. Du Michel Platini dans le texte, en somme

par ARNAUD HUCHET (Ouest France.fr 28-11-2012)

intervista scoperta grazie a RivistaStudio

L’équipe de France va de mieux en mieux. Comment jugez-vous le travail de Deschamps?

Sa vie de footballeur a été formidable, sa vie d’entraîneur est formidable. Didier a toute la légitimité pour être sélectionneur. Ce sera évidemment plus facile de gagner avec des bons joueurs.

En a-t-il, des bons joueurs?

On me demande souvent si l’équipe de France actuelle compte de « grands » joueurs. Ce sont eux qui nous le diront ! Là, ils sont jeunes. On ne peut pas les juger maintenant. Henri Michel, quand on lui demandait si Michel Platini était un grand joueur, il répondait : « On verra à la fin de sa carrière ». Il avait raison.

« Zidane a l’aura pour être sélectionneur »

En parlant d’ancien grand joueur, Zidane a récemment déclaré qu’il se verrait bien un jour à la tête des Bleus. Qu’en pensez-vous?

Quelqu’un qui a l’aura de Zinedine peut être sélectionneur. J’en discute parfois avec lui, c’est à lui de trouver sa voie. Par expérience, je sais que devenir sélectionneur, sans passer par un club auparavant, ce n’est pas facile. C’est ce qui m’était arrivé (1990-92). Je rentrais d’Italie, la Fédération française m’avait demandé de prendre le poste, alors que ça ne m’intéressait pas. Je l’avais fait pour rendre service. C’était un gros risque, je ne connaissais pas les joueurs, ni même la tête de certains ! Pour revenir à Zidane, si le président de la Fédération juge un jour que c’est la bonne personne, qu’il y aille. Et puis s’il a des bons joueurs, il fera un bon entraîneur (sourire)

L’affaire de la sortie des Bleuets en boîte de nuit a beaucoup fait parler, récemment. Pensez-vous que les sanctions sont trop lourdes envers les cinq joueurs concernés (1)?

En tant que président de l’UEFA, je ne peux pas me prononcer sur la sévérité des sanctions. Ce que je peux simplement vous dire, c’est que la Fédération a bien fait de les passer en commission de discipline. Je ne peux pas en dire plus.

(1) M’Vila privé de sélection jusqu’en juillet 2014, Mavinga, Ben Yedder, Niang et Griezmann jusqu’en janvier 2014.

Les cinq Bleuets étaient sortis sans autorisation en boîte de nuit, alors qu’ils disputaient un match décisif trois jours après.

Les écarts de conduite des joueurs ont existé à toutes les époques…

Aujourd’hui, les footballeurs ont un problème d’image. C’est dû à l’accumulation de bêtises que font quelques-uns. D’un autre côté, si les Espoirs avaient gagné ce match en Norvège, pensez-vous que cette affaire aurait tant fait parler ? On a tous fait des conneries dans notre vie, mais il vaut mieux gagner. Si on a des résultats, on peut accepter qu’un joueur ne serre pas la main du coach ou qu’il sorte en boîte trois jours avant un match. Moralité, il ne faut jamais perdre en football (sourire). Si tu gagnes, quelles que soient les bêtises que tu fais, on te pardonne.

« Ce serait bien d’apprendre aux jeunes à respecter certaines choses »

Doit-on renforcer l’éducation dans les centres de formation?

Oui. Ce serait bien d’apprendre aux jeunes à respecter certaines choses, à leur expliquer la vie, à s’ouvrir. Il ne faut pas que les centres de formation ne soient que des usines à faire des footballeurs, en se fichant du reste.

Pour rester dans l’actualité du foot français, nos équipes souffrent en Ligue des champions. Que vous inspire ce manque de compétitivité?

Montpellier manque peut-être d’expérience et a perdu son meilleur joueur (Giroud), Lille a aussi perdu le sien (Hazard). Si on n’a pas les meilleurs joueurs, c’est difficile d’être compétitif dans une telle épreuve ! Le PSG, lui, se qualifie plutôt facilement.

Pourtant, en Ligue 1, le club parisien a du mal à établir son règne. Êtes-vous surpris?

C’est trop difficile d’être à la fois bon au mois d’août et au mois de juin. Ancelotti est plus malin qu’on ne le pense, il sait très bien qu’il y aura des échéances importantes à gérer plus tard. On ne pardonne rien au PSG, on lui demande de gagner toutes les compétitions. Il doit gérer ça et ce n’est pas facile.

« Je ne suis pas partisan de la mondialisation »

Sur le terrain économique, le PSG chercherait à contourner le fair-play financier en acquérant un sponsor maillot très lucratif. Cela ne pose-t-il pas un problème?

Les règlements qu’on met en place vont obliger les clubs à ne pas dépenser plus d’argent qu’ils en génèrent. Les dirigeants parisiens discuteront avec ceux qui ont fait les règles en temps voulu. On verra…

Ne craignez-vous pas qu’un jour, les clubs les plus puissants souhaitent s’affranchir des règlements de l’UEFA et créent leur propre ligue?

C’est une question qui revient régulièrement sur le tapis. Cela ne m’inquiète pas. Je ne vois pas comment ça pourrait marcher en dehors d’un cadre UEFA. Qui les arbitrerait ? Dans quels stades joueraient-ils ? Et beaucoup de gens le veulent-ils ? Je ne le crois pas.

Le PSG, Manchester City… L’arrivée de capitaux extérieurs dans le foot européen vous chagrine-t-il?

Je ne peux pas me permettre, dans un monde libéral, de remettre en cause la provenance des propriétaires, même si je déplore que des clubs tombent aux mains de capitaux étrangers. Car pour moi, l’identité d’un club, c’est sa région, ses supporters. Je ne suis pas partisan de la mondialisation, mais juridiquement, je ne peux rien faire.

Il est régulièrement question d’un projet d’abolir la C3, et de faire à terme une Ligue des champions à 64 clubs. Est-ce envisageable?

Il y a une réflexion en cours pour déterminer quelle forme auront les compétitions européennes entre 2015 et 2018. On en discute, on prendra une décision en 2014. Il n’y a rien de décidé pour le moment.

« Il faut créer une police européenne du sport »

Crise financière, matches truqués, racisme… Où se situent les priorités de l’UEFA aujourd’hui?

Les paris truqués sont un phénomène très dangereux. Avant, on misait sur les investigations, mais dans ce monde-là, c’est périlleux. Désormais, on a mis des alarmes dans tous les championnats européens. Ce système nous dit s’il y a eu des anomalies, des suspicions de manipulations de certains matches. On fonctionne ensuite en accord avec les justices locales. Je suis pour la tolérance zéro dans ce domaine.

C’est votre principal chantier?

Il y en a d’autres. Le racisme et le nationalisme sont aussi des vrais problèmes de société qui s’expriment dans les stades. Depuis quelques années, j’observe une montée du nationalisme dans certains endroits. C’est inquiétant. Ce que je préconise, et François Hollande l’avait évoqué avant son élection, c’est la création d’une police européenne du sport, comme existent déjà la police des mœurs ou celle des douanes. Elle travaillerait efficacement sur les fléaux comme le racisme, les paris truqués, le dopage…

« Je ne crois pas au dopage organisé dans le foot »

En parlant de dopage, le président de l’AMA, John Fahey, vous a récemment recadré parce que vous disiez qu’il n’y en avait pas dans le football…

(Il coupe) Il doit apprendre le Français, ou plutôt écouter ce que je dis. J’ai déclaré que je ne pensais pas qu’il y avait du dopage organisé dans le foot. Or-ga-ni-sé. Il y a peut-être quelques cas isolés. Mais je ne vois plus les clubs de football organiser leur dopage.

Il y a pourtant des différences de rythme flagrantes entre certaines équipes, certains championnats…

Ce sont les angles des caméras de télévision, les façons de filmer qui ne sont pas les mêmes partout, qui donnent cette impression. Je dis cela de façon tout à fait sérieuse.

Prochainement aura lieu l’élection du Ballon d’Or. Messi va peut-être battre votre record (trois consécutifs). Cela vous chagrinerait-il?

Pas du tout. Les records sont faits pour être battus. Thierry Henry a marqué plus de buts que moi en sélection… Si Messi gagne un quatrième Ballon d’or, c’est qu’il l’aura mérité. Et puis… à 25 ans, je pense qu’il a de toute façon toutes les chances de faire tomber un jour le record.

Joseph Blatter, le président de la FIFA, fait de vous son successeur légitime pour 2015. Est-ce votre ambition?

On n’est qu’en 2012, on aura le temps d’en reparler (sourire)…

« La chose la plus dure à juger pour un arbitre, c’est le hors-jeu »

Vous avez des divergences avec Blatter, notamment en ce qui concerne l’arbitrage vidéo sur la ligne de but…

(Il coupe et sort des papiers de sa poche) Tenez, je vais vous donner quelques chiffres ! Monsieur Blatter dit que cinq arbitres, c’est cher. Dans nos compétitions UEFA, on a 78 stades. Si on veut mettre la technologie sur la ligne de but, rien que ça, ça nous coûte 32 millions d’Euros la première année et 54 millions sur cinq ans. Les arbitres, ça nous coûte 2,3 millions. Le calcul est vite fait… Ce sont les télévisions qui poussent à l’arbitrage vidéo pour qu’on paye. Par ailleurs, comme je l’ai déjà dit, ça va à l’encontre du jeu. Et puis mettre ça sur la ligne de but, c’est la porte d’entrée à la vidéo dans le football d’une façon plus générale. Je suis contre tout ça.

Les cinq arbitres sont donc suffisants?

Écoutez, j’ai fait de bonnes choses pour le football dans ma vie. La faute du dernier défenseur, c’est moi ; la passe en retrait au gardien, c’est moi. Le système à cinq arbitres, qui était un de mes objectifs de président de l’UEFA, fait ses preuves. On l’a adopté en Coupe d’Europe, les Italiens l’ont aussi adopté et en sont très contents. La France n’a qu’à faire de même. Quatre yeux supplémentaires, c’est mieux pour voir. Après, si les arbitres se trompent, ce n’est pas de ma faute ! Ceux qui font des erreurs, il faut les enlever.

Malgré votre opposition, pensez-vous qu’on arrivera un jour à la vidéo?

Il n’y a qu’une chose de compliquée, pour laquelle on aurait peut-être besoin de la vidéo, je dis bien peut-être, c’est le hors-jeu. Car c’est très difficile à juger pour les arbitres. Et encore, il faudrait mettre une caméra sur le gars qui appuie sur le bouton, pour savoir quand part le ballon ! Donc je n’y crois pas. Le reste, c’est de l’interprétation : faute ou pas faute, ligne de but, ce n’est pas difficile…

Une règle est très contestée, c’est la triple peine (penalty + carton rouge + suspension). Êtes-vous contre?

Oui, je suis totalement contre. Et toutes les commissions du foot, FIFA et UEFA, le sont aussi. Dans la surface, carton jaune + penalty suffiraient. C’est l’international board qui ne veut pas changer. Mais cela devrait évoluer. On va vers l’abolition de cette règle.

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L'ÉQUIPE 28-11-2012

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Omertà: il tifo che non sappiamo fare

di FLAVIO TRANQUILLO (ilFattoQuotidiano.it 28-11-2012)

Leggo che un calciatore dice che «Ciò che succede nello spogliatoio deve restare lì. Io non faccio il delatore, ma non mi volto. In silenzio, lo ammazzo di botte». Facciamo lo sforzo di ignorare il suo nome, il suo datore di lavoro e la sua persona in quanto tale. Non è certo mettendolo in croce o (peggio) difendendolo per questioni di appartenenza che possiamo discutere costruttivamente del concetto espresso. Ci interessa solo il fatto che, in quanto calciatore, tutto quello che dice viene amplificato a dismisura. Questo, en passant, non significa che abbia responsabilità maggiori delle nostre. Come dice Charles Barkley, ex-stella NBA, “non voglio essere un modello per gli altri perché gioco bene a basket. Conosco decine di spacciatori che schiacciano”. Siccome però non sono assolutamente d’accordo con lui provo a contro-argomentare, nella speranza che tutti si interroghino su un tema fondamentale. Senza la pretesa di insegnare alcunché a chicchessia.

Il vocabolario, alla voce “omertà”, riporta queste due definizioni: 1) Regola della malavita organizzata e consuetudine culturale dei luoghi da essa dominati, che obbligano al silenzio sull’autore di un delitto e sulle circostanze di esso e 2) estens. Solidarietà interessata fra membri di uno stesso gruppo o ceto sociale che coprono le colpe altrui per salvaguardare i propri interessi o evitare di essere coinvolti in indagini spiacevoli e pericolose. Se la definizione sub 1) sembra (sembra …) lontana, la seconda ci riguarda tutti i giorni più volte al giorno. L’etimologia della parola viene dai più ricondotta allo spagnolo «hombredàd» (“virilità”), da “hombre” (“uomo”). In questo caso la voce sarebbe da interpretare come “comportamento, atteggiamento da ‘vero’ uomo”, rispettoso della “legge del silenzio”. Ora, immaginando che il calciatore in questione di tutte queste cose non abbia tenuto conto, rimane fortissimo il contenuto fortemente omertoso del comportamento che suggerisce.

E’ ovvio che il calciatore crede che un “vero uomo” si comporti così. Ma il vero coraggio sta invece nel denunciare, nell’esercitare quelle regole che possono rappresentare l’unico patto di convivenza vera e l’unica idea di società davvero civile. Perché denunciare un fatto singolo in modo che abbia una valenza generale è la vera misura del non voltare la testa dall’altra parte. La legge del branco e della jungla è sempre perdente, e in un paese che ha una presenza così pervasiva della criminalità organizzata, solo calibrare con maggiore consapevolezza i nostri comportamenti quotidiani può aiutare a vincere la partita più importante. Che con buona pace di tutti non si gioca in uno stadio, e se è per quello neppure in un palazzetto.

Il calciatore auspica il silenzio, ma non si ricorda che “si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno” , come disse profeticamente Giovanni Falcone. Quelle alleanze, quei sostegni, sono esattamente

il tifo che non sappiamo fare. Guardiamoci dentro come ha fatto Rita Atria quando, prima di suicidarsi, ha scritto che “prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi”. Discutiamo senza paura e pregiudizi di tutte quelle arretratezze culturali che ci hanno trasmesso ed abbiamo supinamente e colpevolmente accettato. E, forse, concluderemo che non si può risolvere tutto con una manica di botte. E che la legge della jungla, come l’omertà, fa proprio schifo.

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I calciatori dovrebbero dire quello che succede nello spogliatoio, altrimenti sono omertosi.

I giornalisti (?) dicono mai quello che succede nelle redazioni dei loro giornali?

Loro cosa sono?

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STREAMING

BROADBAND FC

Why pay when you can it for free, right? FFT

investigates whether online streaming is the future,

or a major threat to the game's financial structure

by HUW DAVIES & ROB CLYNE (FourFourTwo | January 2013)

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Dalla Russia senza amore

il Pelè turco fugge in patria

di NICOLA LOMBARDOZZI (la Repubblica SERA 28-11-2012)

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CALCIOSCOMMESSE L’EX PORTIERE DEL NOVARA

IL TNAS ASSOLVE IL GIOCATORE CON FORMULA PIENA DALL’ACCUSA

DI PRESUNTA COMBINE DURANTE NOVARA-CHIEVO DI COPPA ITALIA

Fontana, il sollievo di due mani pulite

«Io innocente, squalifica revocata»

A testa alta «Sono felice, ma ho sempre avuto la coscienza a posto»

di CRISTIANA MARIANI (Quotidiano Sportivo 29-11-2012)

INNOCENTE senza se e senza ma. Alberto Fontana, l’inossidabile Jimmy che per tre stagioni ha difeso la porta del Novara, è stato assolto dal Collegio arbitrale del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport dall’accusa di aver partecipato alla presunta combine di Novara-Chievo in Coppa Italia. Il Tnas ha così spazzato via la squalifica di tre anni e sei mesi che gli era stata inflitta nei precedenti gradi di giudizio.

Fontana, si aspettava l’assoluzione piena?

«Sono sempre stato innocente e quindi mi aspettavo la notizia, ma è impossibile avere la certezza matematica in situazioni del genere. Io sarei andato avanti comunque nella mia attività nel mondo dello sport in veste diversa rispetto a quella attuale, ma pensavo soprattutto alla mia famiglia, a mia madre, a mia nonna, a mia moglie e ai nostri figli che hanno dovuto soffrire durante questi mesi».

A questo punto, cosa pensa della giustizia sportiva?

«Non posso di certo dire che non funzioni, anzi. Ringrazio gli arbitri del Tnas che hanno esaminato ogni documento badando ai fatti».

Saputa la notizia dell’annullamento della squalifica, a chi è andato il suo primo pensiero?

«Alla mia famiglia e soprattutto all’avvocato Gatti. Con lui si è instaurato un rapporto quasi fraterno. Mi ha aiutato sia tramite la sua competenza professionale sia standomi vicino dal punto di vista umano. Spero di non averne più bisogno come avvocato, ma di condividere con lui tanti momenti piacevoli e finalmente di gioia».

Lunedì si è svolta a Novarello una serata benefica organizzata anche dall’associazione “Salta con noi Jimmy Fontana” in favore dell’associazione Neo-N. Insieme a lei, hanno partecipato supporter e calciatori del Novara, segno che i colleghi e i tifosi la considerano parte di un gruppo. Come definisce il suo rapporto con la città?

«Quelli a Novara sono stati tre anni davvero fantastici. Ho sempre guardato in faccia la gente e non mi sono mai nascosto. Sapevo di avere la coscienza pulita e la gente mi è stata vicino anche per questo La serata benefica è stata un bel momento di condivisione».

Cosa le ha insegnato la vicenda di cui è stato protagonista negli ultimi mesi?

«Ho imparato che non si può considerare colpevole qualcuno fino a prova contraria. Purtroppo è un vizio tutto italiano quello di dare sentenze prima dell’ultimo grado di giudizio. Ho chiesto molte volte a Christian Bertani (attaccante ex Novara ritenuto implicato nel calcioscommesse, ndr) se fosse colpevole e, guardandomi negli occhi, ha sempre negato».

E ora che farà Alberto Fontana?

«A 38 anni mi piacerebbe smettere di giocare a calcio perché lo decido io e non perché me lo impone qualcuno».

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A BRUXELLES IL DOCUMENTO DEL CONSIGLIO UE

Europa: cooperazione tra governi,

calcio e agenzie di bookmaker

di FABIO LICARI (GaSport 29-11-2012)

Non si sopravvive alle partite truccate e alle scommesse clandestine senza la collaborazione tra governi, sport e agenzie di scommesse. Il calcio — lo sport in genere — rischia di morire. E la battaglia è appena cominciata, a giudicare almeno dall'importante documento adottato lunedì dal Consiglio dell'Unione europea (relatrice l'eurodeputata olandese Bozkurt): perché si parla di leggi comuni e sanzioni finalmente efficaci, di aiuto ai «pentiti» e addirittura di una definizione di «match-fixing» che ancora non esiste. Ma è chiaro che, senza l'impegno dei governi e la pressione della Commissione Ue, queste rischiano di restare parole.

«Minaccia» Per il Consiglio, le partite truccate sono «una delle più significative minacce allo sport» e quindi serve una collaborazione tra i soggetti interessati. Occorre intanto definire bene l'espressione «match-fixing» per identificare con esattezza i comportamenti da punire, soprattutto quelli con forte impatto economico e sociale. Gli Stati membri devono introdurre sanzioni penali, civili e amministrative che siano deterrenti, effettive e proporzionate; rafforzare le investigazioni promuovendo la cooperazione tra forze di polizia e autorità penali; tenere conto del fatto che le scommesse clandestine sono spesso connesse alla criminalità organizzata (frode, riciclaggio, corruzione); chiedere alle agenzie di scommesse di fornire subito informazioni su scommesse sospette; limitare le scommesse sui minori

Manuali Anche lo sport deve fare la sua parte, con la previsione di codici di condotta, con clausole contrattuali che prevedano il divieto di scommesse, con manuali (per i duri di comprendonio, viene da pensare) su come comportarsi e come denunciare situazioni sospette), facilitando le rivelazioni delle «gole profonde». Il Consiglio invita ad agire anche la Commissione Ue. Ma la lotta sarà lunga.

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LA REPLICA AL MINISTRO RISPONDONO GLI OPERATORI

«Vietare le scommesse favorirebbe

solo il gioco clandestino»

di VALERIO PICCIONI (GaSport 29-11-2012)

S'erano tutti trovati d'accordo martedì a Roma. Il magistrato, il politico, il Ministro. Anna Maria Cancellieri, la numero uno del Viminale, aveva promesso di studiare l'«idea» di un provvedimento che riducesse lo spettro delle scommesse sul pallone, un suggerimento firmato dal giudice Raffaele Cantone, autore di «Football clan», e dell'ex ministro vigilante sullo sport, Walter Veltroni. Sotto accusa erano finite quelle giocate «criminogene», la prima rimessa laterale, il primo calcio d'angolo e via andare, le situazioni più esposte e meno «difendibili» rispetto alle giocate sul risultato finale. Insomma, proibiamole ed evitiamo il riciclaggio di denaro sporco in modo legale: questo il senso del pomeriggio.

Favore alla criminalità Contro l'«idea», però, come l'ha chiamata il ministro dell'Interno, si è subito schierata la Confindustria Sistema Gioco Italia, l'associazione di alcuni degli operatori del settore. Il suo presidente Massimo Passamonti spiega che ridurre gli eventi in palinsesto «sarebbe un grosso favore per la criminalità organizzata». Perché il sistema legale di scommesse italiano è «un punto di forza» e «proprio il sistema legale di raccolta delle scommesse ha funzionato non solo da argine, ma anche come sentinella di possibili frodi». Per Passamonti il problema è che «tutte le indagini svolte su giocate e puntate anomale hanno condotto sempre a sconfinamenti verso paesi e siti non controllati e non controllabili». Il presidente di Sistema Gioco Italia auspica «che tutte le istituzioni a cominciare dal Ministro Cancellieri, si sentano impegnate e facciano perno sulla rete dei concessionari legali». Infine Passamonti ricorda che «Sistema Gioco Italia ha chiesto di essere ammessa come parte lesa alla procura di Cremona per i procedimenti in corso».

Monopoli, non Coni In ogni caso l'interlocutore della proposta saranno i Monopoli di Stato, visto che il ruolo del Coni su tutto il sistema scommesse è ormai marginale.

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SNEIJDER, IL CASO ORA È MONDIALE

OCCHIO INTER, FORZARE NON SI PUÒ

di CARLO LAUDISA (GaSport 29-11-2012)

Caro Moratti, lei dice che non c'è mobbing per Sneijder? La prendiamo in parola. Vorrà dire che il suo d.t. Marco Branca e l'allenatore Andrea Stramaccioni sono stati precipitosi nell'esporre la linea societaria. «La scelta tecnica» di non utilizzare l'olandese in attesa «che ci si sieda attorno a un tavolo» si presta a valutazioni ben più gravi. Come già sottolineato ieri dalla giornalaccio rosa questa vicenda è molto delicata. Ora è in una sorta di limbo perché siamo solo alle enunciazioni, si attendono i fatti. Ma il clamore ha subito alzato la temperatura.

Non a caso ieri il sindacato mondiale dei calciatori ha prospettato il concetto del «ricatto» e ha chiesto l'intervento di Fifa, Uefa e Unione Europea. In parallelo anche l'Aic ha preso contatto con Wes, auspicando una rapida soluzione del caso.

Del resto i regolamenti sono chiari: ogni calciatore può far valere i propri diritti contrattuali davanti ad un collegio arbitrale se il datore di lavoro non adempie agli impegni pattuiti. E la prassi della spalmatura non è prevista nelle norme. Quella di ridursi lo stipendio resta una scelta e può avvenire solo in base ad intese private. Mai e poi mai può essere imposta. È vero, Sneijder è in questo momento uno dei tre giocatori più pagati in Italia insieme a Buffon e De Rossi. E il suo rendimento (forse anche l'impegno) è scemato. Il caso, in effetti, è spinoso. C'è modo e modo, però, per uscire dalle secche della crisi interna. In estate il club nerazzurro s'è liberato di molti ingaggi pesanti e non è stata un'opera semplice. In quei frangenti, però, il mercato è stato uno sfogo importante. Alla fine Pazzini, Julio Cesar e Maicon hanno cambiato maglia e la rottura è passata quasi sotto silenzio.

Stavolta, però, tutto sta accadendo nel pieno del campionato. La rinuncia a schierare Sneijder non solo comporta un rischio tecnico, espone il club alla lente d'ingrandimento delle ripercussioni legali. I precedenti più simili in materia riguardano Pandev (quand'era alla Lazio) e Marchetti (Cagliari). Addirittura nel primo caso il macedone ottenne la risoluzione contrattuale perché provò di essere stato escluso anche dagli allenamenti. Ma è da escludere che alla Pinetina arrivino a tanto. Il prestigio dell'Inter va di pari passo con il rispetto di Massimo Moratti per i propri calciatori; spesso anche oltre la stessa sfera professionale. E in questa storia conta molto anche l'immagine. Proprio il club nerazzurro da sempre acquista calciatori stranieri e li fa sentire a casa. Così su Sneijder bisogna anche guardare in prospettiva. Evitiamo che all'estero pensino che in Italia il mobbing sia abituale. Altrimenti in futuro qualche stella potrebbe guardarci con sospetto prima di dirci sì. Non è il caso.

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IL SINDACATO DICE «RICATTO»

MA CHI RICATTA DAVVERO?

di RICCARDO SIGNORI (il Giornale 29-11-2012)

Come ogni sindacato che si rispetti, anche quello dei calciatori, addirittura il sindacato mondiale (FifPro), mette nel mirino i padroni brutti e cattivi. E annuncia-denuncia una sorta di ricatto dell’Inter nei confronti di Wesley Snejder. Aggiunge che anche Llorente è nella stessa condizione. Furbamente nessuno parla di mobbing esplicito, perchè nel calcio non può esistere. Sennò dovrebbero lamentarsi pure Lucio e tanti, come lui, che giocano con il contagocce. Invece basta ripararsi dietro alle scelte tecniche per chiudere i discorsi. L’Inter, per bocca di Marco Branca, ribatte che non si tratta di ricatto. «Piuttosto di una richiesta di collaborazione». L’Inter sostiene che il giocatore non ha nemmeno voluto sedersi al tavolo per discutere, quindi non ha cognizione di qual sia la proposta, e che Sneijder non gioca per scelta tecnica (vedi sopra) perché non è in condizioni di serenità. Dunque, finché non la ritroverà inutile impiegarlo.

Il sindacato fa sapere, invece, che l’olandese ha ricevuto richiesta «di prolungare il contratto fino al 2016 per lo stesso ingaggio complessivo. In altre parole la società gli ha chiesto di lavorare un anno in più senza esser pagato. Sneijder ha rifiutato e il tecnico lo ha tenuto fuori ».

Come vedete qualcuno non la racconta giusta: l’Inter, nella persona di Branca, che dice di non aver avuto da parte del giocatore neppure la disponibilità ad ascoltare l’offerta? O il sindacato, evidentemente informato dall’olandese, che racconta i particolari dell’offerta e che si preoccupa perché il poveretto (sei milioni all’anno) rischia di restare una stagione senza essere pagato? E qui sta la prima chiara bugia: semmai pagato meno, non «senza essere pagato». Certo, è un bel tormento passare da un ingaggio di sei milioni ad uno di quattro. Ma non è questo il punto. Il caso Sneijder accende il solito contenzioso e i soliti interrogativi: chi gli ha fatto il contratto? Il presidente aveva una pistola alla tempia quando gli ha aumentato l’ingaggio? I contratti vanno rispettati e semmai abbassati alla scadenza, recita il decalogo del sindacato e del qualunquismo in voga nel mondo del pallone.

Almeno in Italia il mondo è cambiato. Ma anche altrove non stanno meglio. Ci sono buone ragioni per chiedere quella che Branca definisce una «collaborazione». Soprattutto a un tipo come l’olandesino col vezzo della primadonna che, però, da almeno due anni non sa esserlo sul campo. Se fosse possibile quantificare l’ingaggio su numero di partite, gol segnati, numero di infortuni, quello di Sneijder sfiorerebbe i seicentomila euro, non i sei milioni. Come raccontano all’Inter c’è modo e modo di essere partecipi a vita e problemi della squadra. Visto da fuori, Sneijder si limita(va) a cinguettare su Twitter. E ogni tanto abbozzava l’idea di andarsene. In campo pensava (pensa) solo a se stesso, raramente a trovare una soluzione al gioco, meno ancora a lavorare per gli altri. Parlano i fatti, poi suonano i trombettieri ed è altra musica.

L’Inter da almeno due anni vorrebbe venderlo, ma non ci riesce: poche proposte eppoi fuggono tutti appena leggono le cifre dell’ingaggio. Il valore di mercato si è dimezzato e forse più. Quest’anno all’Inter c’è stato un vai e vieni di 21 operazioni tra entrate e uscite. Se è rimasto solo Sneijder non è certo per la reciproca mozione degli affetti.

In questa diatriba non ci perde certo la squadra, che ha dato il meglio in assenza della primadonna. Se tutte le accuse di ricatto si riducono al non giocare per scelta tecnica, come sostenuto dall’allenatore e anche dai discorsi corrosivi di Branca, la battaglia è perduta. Il sindacato dimostri il contrario. Il discorso è molto semplice: l’Inter sta ricattando Sneijder esattamente come Sneijder ricatta l’Inter alla quale fa intendere: o mi pagate come voglio io o mi vendete. Sapendo che non è facile, quasi impossibile con il suo contratto. Dunque, ci perde l’Inter a perdere Sneijder o viceversa? Risposta facile per decidere chi abbia ragione.

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ALLA CORTE DEI CONTI

Condannò gli arbitri

Il giudice si astiene

De Musso era presidente del collegio che decise il pagamento

di 4 milioni per i coinvolti in Calciopoli in favore della Figc

Ma lavora alla Corte federale...

di EDMONDO PINNA (CorSport 29-11-2012)

ROMA - «Sconcertante, chi ha deciso lavora in Figc» disse più di un mese fa Paolo Bertini, l’ex arbitro internazionale al quale la Corte dei Conti, all’epoca, aveva appena chiesto di pagare 50mila euro di risarcimento alla Federcalcio per Calciopoli. Chi lavora in Figc si chiama Ivan De Musso, è giudice contabile presso la Corte dei Conti, è (meglio, era fino a ieri) presidente del collegio che ha condannato 14 fra designatori e arbitri e vice presidente federale al pagamento di quasi 4 milioni di risarcimento. Ma soprattutto, ed è questo che interessa nella vicenda, è membro della IV sezione giudicante della Corte di giustizia federale. Ebbene, ieri il presidente De Musso, «considerata l’opportunità di dover decidere sulla questione con differente collegio» ha cambiato tutti i giudici che il 29 novembre si esprimeranno sulla «correzione e integrazione» (risarcimento anche a Coni e Ministero delle politiche giovanili).

In realtà, lunedì mattina gli avvocati di Massimo De Santis, Paolo Bertini (entrambi ex arbitri internazionali) e di Gennaro Mazzei (ex designatore dei guardalinee) avevano presentato istanza di ricusazione nei confronti di De Musso. «Dissi che era sconcertante. Resta sconcertante che si sia astenuto nel momento in cui qualcuno ha chiesto la sua ricusazione» ha commentato Bertini. «Una decisione che ritengo opportuna - ha invece commentato l’avvocato Gallinelli, legale di Massimo De Santis, che fortemente ha voluto questo passo - ma che dimostra che il precedente provvedimento è stato preso in situazione di incompatibilità. Il giudice De Musso ha stabilito il risarcimento per la Figc pur essendo giudice della Corte federale. Avrebbe dovuto astenersi prima» . E questo potrebbe essere un asso nella manica in vista del ricorso che ex arbitri e ex designatori presenteranno.

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La Ġazzetta dello Sport 29-11-2012

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LA DECISIONE DEL GIUDICE

Insultare Pessotto costa meno

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 29-11-2012)

Il giudice Tosel ha multato il Milan di 4000 euro per «avere i suoi sostenitori, nel corso del primo tempo, esposto due striscioni dal tenore ingiurioso nei confronti di un dirigente della squadra avversaria». Gli striscioni in questione erano: «Felix, 36 km di volo e muro del suono rotto, ma mai spettacolare come il volo di Pessotto» e «Baumgartner 1 Pessotto 0». Non c’è niente di sbagliato, in teoria. In pratica, la burocratica applicazione del tariffario suona male come gli striscioni in questione. L’imbarbarimento degli stadi dilaga e il giudice applica le tabelle, incasellando gli insulti come un commercialista farebbe con le fatture. E così, magari, un “vaffa” si equipara alla becera speculazione su un dramma umano. Nello stesso comunicato ci sono pure 10.000 euro di multa alla Juve per cori razzisti e 3000 al Torino per insulti all’arbitro che contribuiscono al tono vagamente surreale della classficazione degli insulti secondo la giustizia sportiva. Come dire: insultare un arbitro di colore con uno striscione dal tenore ingiurioso quanto fa? 17.000 euro o c’è uno sconto tipo 3 per 2?

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INSULTARE PESSOTTO COSTA MENO

di MARCO ANSALDO (LA STAMPA 29-11-2012)

Non è simpatico cercare una differenza tra un comportamento stupido e uno idiota. Ma poiché a tracciarla è stato addirittura il giudice sportivo ci chiediamo se l’ululato di un gruppo di razzisti verso un calciatore di colore sia davvero molto più grave di infamare una persona che sei anni fa tentò a un gesto tragico. Per Gianpaolo Tosel lo è. Ieri il giudice della serie A ha comminato alla Juve 10 mila euro di multa per i «buu» dei suoi tifosi, immaginiamo nei confronti di Constant, di Boateng o di Robinho, mentre il lungo striscione della curva rossonera che ironizzava sul «volo» di Pessotto vale meno della metà: 4 mila. Premesso che non esiste una tariffa adeguata per la vergogna, quale messaggio arriva da una simile decisione che Tosel saprà sicuramente giustificare con qualche tecnicismo giuridico? Forse che la dignità si può estendere o contrarre come se fosse gomma, e quindi punire diversamente chi la lede? Il dolore di Pessotto e il suo stato d’animo nel leggere quella frase che riapre una ferita meritavano lo stesso rispetto della rabbia che prova chi si sente sbeffeggiato per il colore della pelle a meno di non credere che la colpa di Pessotto sia di non essere nero.

Quanto al razzismo, nutriamo il dubbio che la soluzione efficace sia multare le società, del cui danno economico a quei tifosi non importa nulla, ma è comunque un modo per non accettare in silenzio questa piaga purché sia adottato con uniformità. Ad esempio non sono stati multati i tifosi della Lazio dopo il match con l’Udinese: evidentemente l’acustica dell’Olimpico romano è peggiore di San Siro e dell’Olimpico di Torino, dove sono stati messi a referto e multati i cori dei granata contro l’arbitro, cosa che ormai ascoltiamo ovunque senza che si producano le stesse conseguenze. C’è, nel calcio, un’incertezza del diritto formidabile. Altro esempio: a Milano e a Parma sono stati esposti striscioni di solidarietà con Arcidiacono, il calciatore del Cosenza che esibì la maglietta pro Speziale, l’ultrà in galera per l’omicidio Raciti. Tosel (evidentemente non informato da chi doveva farlo) non li ha puniti mentre il giudice di Lega Pro ha condannato il Lecce a pagare 10 mila euro per la stessa fattispecie. E poi si dice che la legge è uguale per tutti.

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la Repubblica 29-11-2012

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S'è scomodato addirittura Aligi Pontani,

boss della redazione sportiva

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CALCIOSCOMMESSE Oggi l’interrogatorio di Gegic

Lo «zingaro» dal gip

Ma che avrà da dire?

A Cremona si saprà quanto valgono le parole dell’ex latitante

Dovrà anche chiarire chi gli offrì denaro per parlare di Conte

di MARCELLO DI DIO (il Giornale 29-11-2012)

Quanto valgono le parole di un latitante? Lo scopriremo oggi quando lo «zingaro» Almir Gegic, ex calciatore serbo indagato dal 1° giugno 2011 (giorno dell’avvio dell’inchiesta cremonese Last Bet ) si troverà di fronte al gip Guido Salvini. I «de relato» di uno dei pentiti eccellenti dell’inchiesta Carlo Gervasoni («Gegic mi disse...») potrebbero trovare delle conferme dirette. Ma quali? Cosa può dire di più l’ex giocatore del Chiasso rispetto a quanto già emerso nell’inchiesta giudiziaria? I giocatori finora coinvolti attendono di conoscere il loro destino penale e sportivo (tra questi Mauri e Milanetto in primis). Anche se molti hanno già ricevuto sconti di pena importanti o addirittura assoluzioni al Tribunale arbitrale dello sport presso il Coni. L’ultimo caso è quello dell’ex portiere del Novara Alberto Fontana, la cui condanna a 3 anni e 6 mesi di squalifica per il suo presunto coinvolgimento per Chievo-Novara del 2010 è stata cancellata ieri dal Tnas (come era già accaduto per Shala e Bertani, quest’ultimo condannato per altre partite, e come potrebbe accadere per Ventola, tutti calciatori tirati in ballo dal solito Gervasoni).

«C’è un mister X a manovrare, è un signore sulla sessantina di cui non ricordo il nome, voleva venderci gare combinate in serie A dove erano coinvolte squadre del Sud», la rivelazione principale di Gegic nell’intervista alla Ġazzetta dello Sport prima di costituirsi a Cremona. Davanti al gip della Procura lombarda questo mister X dovrà ora diventare un nome per aprire un nuovo fronte dell’inchiesta. E ancora: «I magistrati sono stati bravi, hanno scovato tutte le gare combinate, almeno quelle su cui ho scommesso io». Infine le frasi su Conte che hanno fatto arrabbiare l’ambiente Juve e lo stesso tecnico leccese: «Una tv mi ha offerto 5 mila euro per un’intervista se parlavo anche di Conte, come se lo conoscessi. Ho rifiutato, non ho nulla da dire su di lui: mai visto, mai sentito, mai provato a contattarlo».

«Quella di Gegic è una vicenda di grande amarezza ­ ha commentato il dg bianconero Marotta -. Conte ha già patito tantissimo l’essere rimasto coinvolto in una vicenda che non ha nulla a che fare con la sua morale, col suo modo di essere allenatore e professionista. Un conto poi è parlare di calcioscommesse, un altro parlare di Conte condannato per omessa denuncia riconducibile solo alle dichiarazioni di un pentito (Carobbio, ndr)». In tanti ora aspettano con curiosità le «succose» rivelazioni del latitante principe di Scommessopoli. Ma saranno tali?

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Caccia al mister X

delle gare truccate

Gegic sotto torchio

Oggi l'interrogatorio: il gip crede che l'ex latitante possa

aiutare a trovare l'uomo misterioso e aprire nuovi filoni

di FABIO BIANCHI & FRANCESCO CENITI (GaSport 29-11-2012)

Caccia al mister X. Almir Gegic oggi pomeriggio a Cremona si troverà di fronte al Gip Guido Salvini. Sono passati quasi 18 mesi da quando il giudice aveva firmato la misura di custodia cautelare nei confronti del serbo. Il primo giugno 2011 l'inchiesta sul calcioscommesse era agli albori, nata per caso dopo la denuncia della Cremonese a causa dell'avvelenamento di alcuni giocatori. Per uno strano gioco del destino, da allora le indagini hanno fatto passi in avanti consistenti, ma l'episodio iniziale legato al tranquillante Minias è ancora avvolto nel mistero. Ma non è questo che interessa gli inquirenti. Gegic allora era un perfetto sconosciuto, ora le sue parole potrebbero permettere il salto di qualità a chi indaga. C'è un passaggio della sua intervista alla Ġazzetta, prima di costituirsi, che ha fatto sobbalzare chi sta scavando nel marcio del calcio italiano. «Con Ilievski ho incontrato due volte all'hotel Tocqueville di Milano un tipo sulla sessantina che sembrava ben addentro ai meccanismi. È stato Bellavista a presentarcelo. Voleva venderci informazioni sicure sulle gare di A, partite truccate. In cambio voleva 600 mila euro. Troppi». È il passaggio cruciale, quello che porterebbe l'inchiesta al cuore della Serie A. Ma la cosa più importante è questa: le dichiarazioni di Gegic s'incastrano alla perfezione con altri dati già in possesso della Procura di Cremona. Nelle scorse settimane il pm Roberto di Martino ha sentito per due volte Massimo Erodiani. L'ex titolare di una ricevitoria di scommesse a Pescara ha raccontato molte cose. Il verbale, proprio per l'importanza delle notizie contenute, è stato secretato. Ma qualcosa è trapelato. Ci sarebbe l'indicazione di un mister X molto simile, se non identico, a quello descritto da Gegic. Un uomo tra 60 e 70 anni con radi capelli che aveva come ufficio proprio lo stesso albergo di Milano e chiedeva cifre sui 600 mila euro per le sfide di A. Insomma, il cerchio si stringe. Ma ci sono altri fronti importanti.

Segreti Chi indaga è convinto che il serbo può chiarire tante cose. E' presumibile che tenti di ridimensionare la sua posizione, dando più risalto a quella di Ilievski (ancora libero) che tra l'altro aveva parlato anche lui di un mister X in un'intervista a «Repubblica». Ci sta, ma il materiale immenso in mano agli inquirenti non può essere eluso. Ci sono intercettazioni, riscontri su movimenti e soldi pagati. Ma al di là di nomi nuovi, del fatto che Gegic secondo la Procura era a conoscenza degli spostamenti e degli affari compiuti da Ilievski (compresi quelli che riguardano la Lazio e il filone barese), molta attenzione sarà posta verso nuovi fronti. A Cremona sono convinti che nel giro delle scommesse ci fossero molti gruppi. Interessa molto l'accenno ai fratelli Cossato (già nel mirino a Napoli) e i possibili calciatori coinvolti. Le parole del serbo, poi, «misureranno» anche i pentiti Gervasoni e Carobbio: potrebbero aver altro da raccontare. Sul fronte Siena, ad esempio. Quel «Carobbio mi ha detto che quasi tutti scommettevano» più che una pista è un'autostrada. Non è un caso che il pm di Martino aveva già pensato di chiamare diversi giocatori dei toscani. Dirigenti compresi. A proposito di Siena: l'ex tecnico Antonio Conte attraverso i suoi legali è stato chiaro. Vuole sapere se davvero c'era qualcuno disposto a pagare Gegic purché parlasse di lui. Da oggi Salvini cercherà di dare le prime risposte.

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Gegic e i segreti di “Salvatore”

l’uomo che vendeva la serie A

Oggi il serbo interrogato dal gip di Cremona

La sua esistenza è stata confermata da Erodiani. L’hotel Toq a Milano era il centro degli affari

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 29-11-2012)

L’inchiesta sul calcioscommesse riparte da un hotel di Milano, l’hotel Toq di corso Como. E, in particolare, da uno dei suoi frequentatori, un signore di una sessantina d’anni, capelli radi, abiti eleganti e troppi telefonini per non dare nell’occhio. Potrebbe essere quest’uomo, secondo gli investigatori che da un anno e mezzo stanno lavorando sull’inchiesta, la chiave di volta per entrare ancora più in profondità nei meccanismi del “gioco grosso”, quello della Serie A, dei suoi dirigenti, dei suoi network, delle sue infiltrazioni.

La sua identità, per il momento nascosta dietro il profilo piuttosto generico di tre identikit, sarà l’oggetto dell’attesissimo interrogatorio di Almir Gegic, il numero due della banda degli zingari (il boss è Hristian Hilievski), che si è costituito lunedì sera nelle mani della squadra mobile di Cremona e del Servizio centrale operativo di Roma, all’aeroporto di Malpensa. Il testimone è considerato decisivo, tanto che il giudice per le indagini preliminari Guido Salvini ha messo in calendario ben due giorni di faccia a faccia, oggi e domani.

La prima domanda sarà proprio quella relativa all’identità di quest’uomo misterioso di cui Gegic ha parlato in una intervista pubblicata proprio lunedì dalla Ġazzetta dello Sport. «Abbiamo incontrato un paio di volte un signore sulla sessantina, alto meno di 1,80, un po’ in sovrappeso. Ce l’ha presentato Bellavista (ndr, l’ex giocatore del Bari, già arrestato per il calcioscommesse). Non ricordo il suo nome. Voleva venderci gare combinate di Serie A. Dove erano coinvolte squadre del Sud: Catania, Palermo, Lecce, Napoli, eccetera. Ci diceva: “Andate sul sicuro con me”. Ma voleva 600 mila euro per le informazioni. Troppi». Di quest’uomo però aveva già parlato, nel marzo del 2012, a Repubblica, direttamente Ilievski, fornendo altri dettagli. «Di lui so soltanto che ha una serie di cellulari, fa un paio di telefonate, apre un computer e poco prima del calcio di inizio dice se la partita si può giocare oppure no. Se sì, si scommette. Altrimenti si va tutti a casa». «La procedura notano gli inquirenti- è quella di un professionista». Nel suo racconto, Ilievski spiegò che “Salvatore” (così lo Zingaro chiamava questo mister X) accetta solo pagamenti in contanti, e soprattutto soltanto cifre molto alte. Da trentamila in su.

Ma, a sorpresa - ed è questa la novità - c’è anche un altro testimone che nei giorni scorsi ha parlato alla procura di Cremona dell’importanza di Salvatore. Si tratta di Massimo Erodiani, il proprietario di una ricevitoria di Pescara che sta collaborando all’indagine. Il suo verbale - ritenuto molto interessante - è stato secretato dagli inquirenti che nelle sue parole avrebbero trovato molti elementi utili all’identificazione di “Salvatore”. In teoria esiste anche la possibilità che si tratti di una persona diversa da quella indicata dai due “zingari”, ma questo non farebbe che aggravare il quadro: anche l’uomo di Erodiani vendeva le partite di serie A e lavorava all’hotel Toq. La cui hall si trasformerebbe dunque in una sorta di suk della Serie A. Come del resto dimostrerebbe anche “il summit” - così lo chiamano gli inquirenti - che si tenne in quell’edificio la notte del 15 maggio, dopo la partita Lazio- Genoa (partita combinata, secondo la procura). C’erano tutti al Toq, quella sera: Ilievski e Gegic, Milanetto e Bellavista, e, appunto, Salvatore.

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Esaltante rimpallo di citazioni tra repubblichini e gazzettari

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L’INCHIESTA

La French Connection

tra Beveren e Arsenal

Un ’operazione finanziaria rivela l’attività di Guillou

l’uomo che scopre ivoriani e li smista a mezza Europa

I Gunners sborsarono un milione di sterline a fondo perduto alla società belga

Lo scandalo fu sollevato nel 2006, ma la federcalcio inglese lo mise a tacere

di PIPPO RUSSO (Pubblico 29-11-2012)

Nomi che al lettore italiano dicono poco o nulla. Quello di Christian du Four. O quello di Jean-Marc Guillou. Per non dire dell’ASEC Mimosa Abidjan. Un po’ meno ignoto è quello del KSK Beveren, il club belga vincitore di due campionati nazionali nel quale giocò il mitico portiere Jean-Marie Pfaff. E certamente più noti sono quelli di Arsene Wenger e della squadra da lui allenata in Premier League dal 1996, l’Arsenal. Sta in un complicato intreccio fra nomi famosi e meno famosi il senso di questa storia di calcio globale. E dunque partiamo dal meno conosciuto: quello di Christian du Four, magistrato belga presso la cittadina fiamminga di Dendermonde. Costui nel 2001 s’imbatte in un’operazione finanziaria sospetta. Un fondo di oscura composizione e dal nome per niente originale (Goal) decide d’investire un milione di sterline nel Beveren. Al cambio di allora fanno un milione e 570 mila euro, e il magistrato si chiede come mai Goal decida di fare quell’investimento. Il sospetto immediato è che vi sia alle spalle un’operazione di riciclaggio, ma poi indagando emerge una realtà diversa. Intanto dopo quell’investimento il Beveren intraprende una politica di reclutamento quantomeno bizzarra. Comincia a liberarsi dei calciatori belgi e di ogni altra nazionalità per importarne in massa dalla Costa d’Avorio. A orchestrare questa svolta in sede di calciomercato è Jean-Marc Guillou, il personaggio-chiave dell’intera storia, nominato allenatore dal club belga giusto in quelle settimane.

Allora 56enne, Guillou appartiene alla schiera di allenatori francesi giramondo che popolano il calcio africano. Da calciatore è stato nazionale, disputando l’ultima partita con la maglia dei Bleus il 2 giugno 1978 a Mar del Plata contro l’Italia ai mondiali d’Argentina. Lì inizia il mito dell’Italia di Bearzot e Paolo Rossi, lì finisce la sua carriera internazionale da calciatore. Guillou smette di giocare cinque anni dopo e immediatamente intraprende la carriera d’allenatore che nel giro di pochi anni lo porta in Africa. Nel 1993 arriva in Costa d’Avorio, dove prende a lavorare per uno dei due club più gloriosi del paese: l’ASEC Mimosas, che contende alla concittadina Africa Sport la supremazia del calcio nazionale. Guillou approda all’ASEC non per fare l’allenatore; ha altro per la testa. Entra nel club come finanziatore, assume (compra?) il ruolo di direttore e soprattutto apre la prima accademia attraverso la quale avvia un massiccio reclutamento di giovani calciatori. Negli anni successivi Guillou aprirà altre accademie in paesi nei quali la struttura dei club calcistici è embrionale con nessuno spazio per i settori giovanili: Algeria, Madagascar, Vietnam. Ma quella dell’ASEC rimane il riferimento principale, e proprio da lì giunge il flusso di calciatori ivoriani che dal 2001 riempiono i ranghi del Beveren. Arrivano a essere 14 in rosa, e quando nel 2004 la squadra gialloblù giunge a giocarsi la finale di Coppa del Belgio contro il Club Bruges (sconfitta 4-2) l’unico non ivoriano a scendere in campo nella formazione iniziale è il lettone Igor Stepanovs.

Intanto il magistrato Christian du Four continua a indagare, e non gli sfugge una coincidenza sospetta: subito dopo che la Goal investe nel KSK Beveren il club belga stringe un’alleanza con l’Arsenal. Anello di congiunzione, manco a dirlo, la French Connection tra Guillou e Arsene Wenger; i due sono sodali dai tempi in cui, a metà anni Ottanta, il primo allenava il Cannes e il secondo gli faceva da vice. Fra i due club s’intavola uno scambio di giocatori. I giovani arsenalisti Steve Sedwell e Graham Stack vengono mandati in Belgio a fare esperienza, mentre nella direzione opposta viaggia Emanuel Eboue. L’Arsenal si lascia pure sfuggire Yaya Touré (che assieme al fratello Kolo e a Emmanuel Kalou è cresciuto nell’accademia di Guillou) dopo averlo avuto in prova, e acquista Gervinho soltanto dopo averlo visto transitare quattro anni in Francia. Questa girandola di calciatori di buona o ottima quotazione internazionale significa due cose: che quantomeno come scout e formatore di talenti Guillou ci sa fare; e che fra Arsenal e Beveren c’è qualcosa di più che un mero rapporto di scambi sul mercato. Quel milione di sterline investito dalla Goal nel Beveren proveniva dalle casse dei Gunners. Il che è fuori dalle regole di Uefa e Fifa. E poi c’è il mega-conflitto d’interessi di Guillou: che forma giocatori in Africa, li porta in Europa facendoli giocare nel club da lui allenato e poi li spedisce presso altri club europei.

Quanto per il disturbo? Di questo si convince infine il magistrato Christian du Four, e ai primi di giugno 2006 racconta la vicenda ai giornalisti della BBC. I quali denunciano il fatto, spingendo la Fifa e la Football Association inglese a aprire un’inchiesta e l’Arsenal a dare spiegazioni. Il club londinese rischia l’esclusione dalle coppe europee, anche perché salta fuori un documento imbarazzante firmato dall’amministratore delegato David Dean, vicepresidente del club nonché presidente della potente lobby del G-14 composta dai più ricchi club europei. I Gunners sono costretti a ammettere di avere concesso il prestito, ma precisano di non aver mai controllato il club belga. La FA accetta questa penosa versione, fra le proteste della redazione BBC. E tutto si risolve lì, ma non senza conseguenze. Guillou lascia frettolosamente il Beveren, che poi nel 2010 rinuncerà alla serie A per sopraggiunti problemi finanziari. L’esatto contrario della JMG (Jean-Marc Guillou) Academy, alla quale nello scorso agosto il Financial Times ha dedicato un articolo magnificandone la capacità di macinare profitti a beneficio degli investitori. Chi sono costoro? La scorsa estate Guillou ha acquistato una quota (15%) del Paris FC, club che milita nella terza divisione francese. Naturalmente ha portato con sé il solito stuolo di calciatori africani, e persino il nipote Olivier piazzandolo in panchina. Ma almeno riguardo a questa mossa gli dice male, perché a ottobre Olivier viene esonerato a causa dei pessimi risultati. Poco male. Allo zio interessano risultati d’altro tipo, e quelli sono garantiti.

(5/continua)

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Net profits:

Abidjan football

academy branches out

by PETER VANHAM (FINANCIAL TIMES 07-08-2012)

In a sport where making profits has taken a back seat to on-pitch results, former French football international Jean-Marc Guillou is bucking the trend.

Players trained at his JMG Academy have contracts at top clubs like Manchester City and Arsenal. And his investors are averaging nominal returns of over €15m – over 200 per cent over a ten year period. And Guillou himself, of course, does well too. But it’s a model that is not without critics.

As early as the nineties, Guillou noticed many European football teams were doing a bad job at managing their finances – which is still true today. “The business model based on selling and buying contracted players failed,” he said in a recent interview with beyondbrics. “Almost all clubs were losing money.”

Guillou instead chose a different investment approach: he put his money solely in a youth formation centre. A smart choice, he figured: by the very nature of these centres, players didn’t have expensive professional contracts yet, and an upside potential existed through possible outbound transfers.

As location for his pilot project, Guillou chose Ivory Coast. The country was politically unstable, but also cheap and free from regulation. It meant “JMG”, as he is known, could start from scratch and do things his way. Guillou’s academy in Abidjan was the only one in a country of 15m people, meaning no competition. And talented players were selected at the age of 11 or 12. Those three elements gave Guillou’s academy an undeniable advantage over the existing academies in France, with its 33 academies and player selection at the age of 15.

A couple of years into the project, Jean-Marc Guillou and his partners realised they had an excellent business model. Players of the first graduating class like Emmanuel Eboue, Gervinho and Yaya and Kole Toure played and won the African Super Cup final with ASEC Abidjan, moved to Europe, and ended up in teams including FC Barcelona, Arsenal and Chelsea.

The business worked as follows: investors put in €7m-8m to set up an academy; this investment covered two to three generations-worth of tuition and boarding fees, professional trainers and educators, and an initial two-year contract for graduated players. Each graduating class brought in player transfer fees of around €25m over ten years. The resulting nominal return was as high as €17-18m, or over 200 per cent of the invested funds.

Following the success of the Abidjan academy, Jean-Marc Guillou is now setting up other academies around the world: in Egypt, Morocco, Madagascar, Mali, Algeria and Ghana; Thailand and Vietnam; and even one in Europe, based in Belgium. Approximately two-thirds of the graduated players remain professional players and bring in transfer fees.

And it doesn’t stop there: Guillou recently bought 15 per cent of the shares of Parisian 3rd division team Paris FC. He wants to get to the team into France’s top league and make the club profitable with players of his academies. They imply low salary costs, no transfer fees and a stream of high quality players: Guillou’s football model of the future.

Yet, for all its successes, the JMG Academies hasn’t been able to escape its share of criticism. According to French daily Le Parisien, the Malian support association Diasma denounced the recruiting methods of the JMG Academy as “contrary to human and sporting ethics” – without specifying further what that meant. Several journalists, including those from Le Parisien and online football magazine When Saturday Comes also questioned whether the lion’s share of transfer fees of academy players should go to Jean-Marc Guillou – and not to the European clubs who gave them their first professional experience.

But the criticism doesn’t hold Jean-Marc Guillou back. “It is the criticism of those who are jealous because they haven’t been able to repeat our success,” he says. “Yes, I make money from selling players. I am not ashamed of saying that. I’m an entrepreneur and I make investments. But the profits I make are the result of nothing else than my hard work.”

Modificato da Ghost Dog

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L’ELEZIONE DEL NUOVO PRESIDENTE: DATA ANCORA DA FISSARE

Lega A: lotta senza lottatori (ufficiali)

Non ci sono candidature, però i favoriti restano Beretta e Abodi. Simonelli e Campoccia gli outsider

di STEFANO SCACCHI (TUTTOSPORT 29-11-2012)

MILANO. Inizia la volata per l’elezione del presidente della Lega Serie A. E’ un ultimo chilometro molto curioso perché, per varie ragioni, non ci sono candidature ufficiali a poco più di due settimane dal traguardo. Nessuno dei contendenti ha la sicurezza di ottenere l’ampia maggioranza prevista: 14 voti favorevoli su 20. E i concorrenti non possono uscire ufficialmente allo scoperto. I favoriti al momento sono l’attuale presidente Maurizio Beretta e il numero uno della Lega Serie B, Andrea Abodi . Il primo viaggia a fari spenti anche perché ha un incarico in Unicredit come responsabile delle relazioni esterne del gruppo bancario che detiene anche una partecipazione nella Roma. Il secondo invece non ha concorrenti per la rielezione alla guida delle 22 società cadette. E così è obbligatoria una certa prudenza che si rispecchia anche nella tempistica delle convocazioni delle due assemblee elettive. A e B sono le uniche a non aver ancora fissato la data: Lega Pro e Lnd hanno ufficializzato il 17 dicembre. La B si vedrà oggi, ma senza il punto elettorale all’ordine del giorno. La A (lanciato ieri un nuovo servizio a favore dei tifosi sul sito con previsioni meteo per le città dove si gioca) invece si riunirà il 3 dicembre con lo scopo principale di approvare il nuovo regolamento-Statuto. Molto dipenderà anche dalla “governance” che sarà scelta in quell’occasione.

LE POSIZIONI Alcuni club vorrebbero un presidente a tempo pieno, senza altri incarichi esterni. Ma, secondo altre società, non sarebbe necessario in caso di conferma del sistema attuale nel quale quasi tutto il potere è affidato all’assemblea. «I giochi si fanno a partire dai punti programmatici che verranno privilegiati», spiegano in Via Rosellini. Nacque in questo modo anche la candidatura Cardinaletti a inizio anno perché in quel momento era prevalente la necessità di fatturare le entrate da diritti tv con le banche e quindi sembrava ideale l’ex presidente del Credito Sportivo. A favore di Abodi ci sono molte provinciali che vedono con favore il suo attivismo alla guida della B. In questo fronte hanno simpatizzanti anche il presidente del collegio dei revisori di entrambe le Leghe, Ezio Maria Simonelli (piace anche al Milan) e l’avvocato dell’Udinese, Stefano Campoccia , protagonista della battaglia tra medio-piccole e grandi sul bacino di utenza. Beretta, sostenuto in particolare da Lazio, Napoli e Fiorentina, spenderà il fatto di aver raggiunto alcuni obiettivi prefissati: la gestione della separazione tra A e B, il complicato rinnovo del contratto collettivo con l’Aic e il raggiungimento dell’accordo sui diritti tv. Manca la legge sugli stadi, ancora incagliata in Parlamento. Il verdetto dovrebbe arrivare il 17 o il 20 dicembre, date utili per l’assemblea elettiva della Serie A, più la prima della seconda considerata troppo vicina a Natale.

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Uefa discussing plan for European union

Champions League could devour second-tier competition

by OLIVER KAY (THE TIMES 29-11-2012)

It says much about the scrambled thinking at the top of European football that options under discussion at Uefa HQ include, on the one hand, an attempt to “beef up” the Europa League and, on the other, the idea of the competition being devoured by a gluttonous Champions League.

Michel Platini acknowledged yesterday that the expansion of the Champions League, from 32 to 64 clubs, is an option that is under discussion as Uefa looks to restructure its club competitions.

“There is an ongoing debate to determine what form the European competitions will have between 2015 and 2018,” the Uefa president said when asked about the possibility of an expanded Champions League usurping the Europa League. “We’re discussing it. We will make a decision in 2014. There is nothing decided yet.”

This much is a relief, because if there is a case for expanding the Champions League — and it would be nice to think that there would be more than finance and greed at the heart of any such discussions — it has to be thought out in a way that does not always seem to come naturally to this Uefa regime.

There is certainly a case for looking at the Europa League and reflecting that it has faded in prestige since the halcyon days of the Uefa Cup. The European governing body’s dilemma, it seems, is whether to disband the competition altogether, integrating it into a revamped Champions League, or whether to invest more time and effort in trying to increase its appeal.

The Europa League desperately needs something. There has been interest in recent years in the emergence of Atlético Madrid and Athletic Bilbao, last season’s finalists, and in Porto the season before, but the competition holds far too little appeal to those English, German and Italian teams who feel that the Champions League is their natural habitat. Liverpool and Tottenham Hotspur have fielded reasonably strong teams through most of this season’s competition, but without giving the impression that elimination would be too sickening.

Liverpool, who qualified for the competition by winning the Carling Cup last season, began their Europa League campaign in the third qualifying round on August 2 with a two-leg tie against Gomel, of Belarus, before a play-off round against Heart of Midlothian. After nine matches in the competition, they must play Udinese next Thursday to determine whether they progress to the knockout phase, at which point they would have to play another eight matches to reach the final in Amsterdam on May 15.

The fixture congestion that comes from the Europa League leaves many clubs deciding that it is not worth the effort if they have to juggle it against the pursuit of the more lucrative Champions League. Whereas Chelsea earned £48.4 million in broadcast revenue and prize money from winning last season’s Champions League — and Manchester United £28.4 million from a tournament they departed limply at the group stage — Stoke City made only £2.85 million from their 12 games that culminated in defeat by Valencia at the Europa League round of 32.

Uefa is considering the possibility of introducing a Champions League place for the Europa League winners. It is remarkable that this is not already in place, but at least it means there is room to streamline and improve a laborious competition whose organisers felt compelled to send a memo to clubs this season, pleading with managers and press officers to use key phrases about drama and excitement in their pre-match press conferences.

The most likely outcome of the latest round of talks at Uefa is that one last effort is made to re-energise the Europa League. The idea of expanding the Champions League is regarded as the logical conclusion of any future disbandment of the competition, but there is still a will, among the Uefa hierarchy, to make the Europa League work, even if it proves that the best way to heighten its appeal is to offer its winner a place in the premier competition.

With the European Club Association (ECA) growing in influence within Uefa, any such moves will have to meet with the consent of the clubs. The possibility of a 64-club Champions League, which would involve up to eight English clubs involved in the qualifying stage, would no doubt appeal to some owners in the Barclays Premier League, but that is perhaps seen less as the next logical step for Uefa but the next option if the bid to beef up the Europa League does not go to plan.

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Calcioscommesse

II Tnas snobba i pentiti

Assolto ieri Fontana (3 anni e mezzo): lo accusava Gervasoni

di Edmondo Pinna - Corsport -29-11-2012

ROMA - II Tnas ha restituito ieri la libertà (sportiva) ad Alberto Maria Fontana. Un calvario durato cinque mesi, tre anni e mezzo di squalifica aveva chiesto il Procuratore federale, Stefano Palazzi, tre anni e mezzo erano stati confermati dalla giustizia sportiva. L'accusa, aver organizzato la combine di Chievo-Novara 3-0, essere stato fra i promotori del taroccamento. Disse Gervasoni: «Ho appreso da Gegic che gli slavi offrirono 150.000 euro ai giocatori del Novara perché perdessero con il Chievo con un Over, risultato che venne effettivamente conseguito. Ricordo gli slavi si incontrarono con Ventola nell'albergo e consegnarono ad un albanese che giocava nel Novara (ora che me ne fate il nome dovrebbe trattarsi dell'albanese Shala) la somma di circa 150.000 euro che gli stessi divisero anche con altri giocatori, tra i quali il portiere Fontana.. Il Tnas ha ribaltato totalmente le sentenze di Disciplinare e Corte federale. Annullandole. Un colpo anche al «pentitismo a pioggia., che ha fatto da filo conduttore all'inchiesta sul Calcioscommesse. Visto che lo dice lui, che è credibile su dieci fatti, allora è credibile su tutto. I giudici presso il Coni stanno dimostrando il contrario. II pentito deve essere credibile caso per caso.

BRIVIDI DI FELICITA' - Ieri il collegio del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport ha annullato la squalifica di Fontana. Il presidente Armando Pozzi e i due arbitri, prof. avv. Domenico La Medica e Cons. Silvestro Maria Russo, hanno deciso: lui non c'entra con quella partita. Così come era già uscito di scena (in primo grado) Rijat Shala, uno degli imputati per quel match, mentre Cristian Bertani (Palazzi aveva chiesto la radiazione, è stato squalificato per le gare contro Ascoli e Siena) aveva ottenuto davanti alla Corte federale il proscioglimento proprio per Chievo-Novara (in primo grado aveva preso sei mesi). .A pensarci mi vengono i brividi Sono stato tirato in mezzo senza saperne il perché, c'e solo un pentito che parla senza riscontro. Oggi posso dire che, seppure con i suoi tempi, la giustizia sportiva funziona. Sono stato scagionato dall'accusa e oggi sono finalmente un calciatore libero. La mia è una storia come quella di tanti altri che hanno vissuto questa vicenda che a pensarci mi vengono i brividi - ha detto Fontana a Sky Sport - Io non penso che il calcioscommesse sia nato dal nulla o che si siano inventati tutto ma si è fatta molta confusione nel maxi processo, molti sono finiti nel tritacarne e io sono uno di questi, pagando con cinque mesi di squalifica.

PROSELITI - E se, con Fontana, fa festa anche il Novara (che vede sempre più alleggerita la sua posizione, soprattutto dopo il proscioglimento di Conte per Novara-Siena), altri sperano che il Tnas continui su questa strada. Nessun ricorso ai giudici presso il Coni è stato, fmo ad oggi, rigettato. Ci sono stati, anzi, forti sconti se non, come nel caso di Fontana (ma anche di Mavillo Gheller, cui sono stati annullati i sei mesi di squalifica per Novara-Siena) addirittura assoluzioni piene. Messo sperano anche Nicola Ventola, Drascek e Vitiello (dopodomani l'avvocato Rodella sarà davanti al Tnas). Fontana torna "libero'. Vedrete, non sarà l'ultimo..

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SCOMMESSOPOLI

Fontana può esultare Squalifica annullata

SIMONE DI STEFANO - Tuttosport - 29-11-2012

ROMA Le sentenze Scommessopoli continuano a fare acqua da tutte le parti. Dopo le parziali riduzioni di squalifica a Antonio Conte e Angelo Alessio, Daniele Portanova, Nicola Belmonte e Ferdinando Coppola, e il proscioglimento di Mavillo Gheller, anche Alberto Fontana può tornare a parare. Ieri il collegio arbitrale del Tnas (Armando Pozzi, presidente; Domenico La Medica e Silvestro Maria Russo gli arbitri) ha infatti annullato la squalifica di 3 anni e 6 mesi inflitta dalla Disciplinare e confermata in secondo grado dalla Corte di Giustizia per la combine Chievo-Novara 3-0, gara di coppa Italia del 2010. "È stracontento - ha detto il suo legale Gatti - una cosa del genere lo rimette in condizione di tornare a svolgere subito la sua professione.. Fontana era considerato dai giudici uno degli organizzatori della combine assieme a Cristian Bertani e Rijat Shala". Secondo la tesi di Carlo Gervasoni, furono loro a spartirsi in una camera d'albergo il denaro provente del risultato illecito. «Siamo immensamente felici - ha proseguito il legale del portiere ex Novara - abbiamo dovuto aspettare il terzo grado ma sapevamo che non aveva commesso nulla e non poteva che esserci questo risultato finale. E andata bene così. Sin dal deferimento, sono stati 5 mesi molto intensi a livello emotivo perché non riuscivamo a convincere i giudici della nostra innocenza. Alberto merita questo risultato tecnico professionale perché è una persona veramente speciale.

RICORSI Secondo gli accordi la combine sarebbe dovuta essere un over, risultato che realmente avvenne. Eppure prima di Fontana anche Shala fu prosciolto, addirittura in secondo-grado, e lo stesso Bertani ottenne l'assoluzione per quella gara. "Sono stati scagionati chi avrebbe ritirato i soldi (Shala ndr) e il referente dell'accordo (Bertani ndr), allora la combine chi l'ha fatta?", tuonò Gatti allora. Alla fine l'unico che sta ancora pagando per quella combine resta Nicola Ventola, la cui udienza al Tnas si è svolta il 20 novembre e ora spera in un'analoga assoluzione. Il Tnas pullula di tanti ricorsi, domani verranno ascoltate le ragioni di Terzi (3 anni e mezzo) e Vitiello (4 anni), ieri è stata la volta di Catinali mentre oggi tocca a Emanuele Pesoli, l'ex senese squalificato a 3 anni per Siena-Varese che si era reso protagonista di un disperato sciopero della fame davanti alla Figc in estate. Oggi alle 15.30 (con possibile coda a domani) è in programma l'interrogatorio di garanzia dell'ex latitante Almir Gegic con il gip di Cremona, Guido Salvini. Dal lungo colloquio potrebbero arrivare importanti rivelazioni per aprire un nuovo fronte nell'inchiesta Last Bet.

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IL CASO

Calcioscommesse, sconfessati i pentiti

Il Tnas riabilita anche Fontana

Guglielmo Buccheri - La Stampa - 29-11-2012

Condanne cancellate o riscritte in favore degli imputati. Ora che il calcioscommesse è alla prova del Tnas, la Cassazione dello sport, il pentitismo comincia a vacillare e in alcuni casi esce sconfitto. Prima Filippo Carobbio, poi Carlo Gervasoni: le sentenze, o meglio lodi arbitrali, dell’ultimo grado di giustizia sportiva sembrano dare ragione a chi non ha mai messo in discussione le verità dei pentiti in quanto tali, ma ha sempre sostenuto che i loro racconti agli inquirenti andassero valutati caso per caso. Così accade che il collegio dei tre arbitri del Tnas designato per il ricorso contro i 3 anni e 6 mesi di squalifica inflitti sia in primo che in secondo grado all’ex portiere granata e del Novara Alberto «Jimmy» Fontana cancelli d’un colpo la sanzione e liberi il giocatore dal peso dell’accuse di Gervasoni. Per uno dei due pentiti dell’inchiesta, Fontana aveva partecipato alla distribuzione di 150 mila euro dopo la combine, riuscita, di Chievo-Novara, partita di Coppa Italia del 2010, 3 a 0 per i veneti. Per il Tnas, Fontana non ha preso parte a nessuno accordo, tantomeno alla divisione dei soldi.

«Gettato nel tritacarne per le dichiarazioni di un pentito, senza riscontro: se devo smettere di giocare, dovrò essere io a deciderlo, non altri per me. Ho combattuto per mia moglie, mia mamma, mia nonna, le donne della mia vita. E per i miei figli...», così Fontana. Gervasoni è considerato un pentito credibile dall’accusa, ma non sempre e comunque dai giudici. Identico appare il destino dell’altro grande collaboratore, Carobbio. Venti giorni fa l’ex difensore del Novara Mavillo Gheller è stato prosciolto da ogni addebito davanti al Tnas dove si era rivolto dopo i sei mesi di squalifica in appello: Carobbio lo aveva indicato come uno dei promotori dell’accordo per Novara-Siena del primo maggio 2011, il Tnas lo ha riabilitato.

«Ho vissuto settimane terribili, ho perso due anni di contratto con il Pavia e ho dovuto sostenere le spese per difendermi come gli 850 euro per ottenere otto cd con gli atti processuali dalla procura federale...», così Gheller. Il pentitismo va alla prova del Tnas: dopo le assoluzioni di Fontana e Gheller, adesso, sono in molti a sperare (fra questi, Ventola, Vitiello, Italiano e gli altri imputati) perché collegati alle posizioni dei prosciolti. Intanto, oggi a Cremona, è il giorno di Gegic, il pentito ex latitante che vuole raccontare tutto.

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