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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Il caso

No dall’Uefa al ricorso

rischio 16esimi a porte chiuse

di GIANLUCA VIGLIOTTI (IL MATTINO 04-12-2012)

La Commissione d’Appello dell’Uefa ha rigettato il ricorso proposto dal Napoli avverso il provvedimento della Disciplinare dello scorso 26 ottobre. In quella occasione, dopo la gara con l’Aik Solna, l’organismo di controllo internazionale, oltre a comminare una multa di 150.000 euro, aveva condannato il Napoli a giocare una gara a porte chiuse. Questa sanzione accessoria, soggetta ad un periodo di prova di cinque anni, era stata però sospesa grazie al decisivo intervento della società azzurra, che era riuscita ad eliminare i rischi derivanti dagli intonaci pericolanti dell’impianto di Fuorigrotta, ed ottenere dall’Uefa l’autorizzazione ad aprire tutti i varchi d’ingresso del San Paolo per giocare contro il Dnipro.

Alla discussione del ricorso, tenutasi ieri mattina a Nyon, era presente l’avvocato Mattia Grassani. Intransigenti i giudici della Commissione d’Appello dell’Uefa che hanno respinto le tesi difensive formulate dal legale di fiducia del Napoli dopo oltre due ore di dibattimento. La squadra di Mazzarri a questo punto corre il serio rischio di dover giocare a porte chiuse la gara di andata dei sedicesimi di finale di Europa League in programma il 14 febbraio 2013 al San Paolo. Pende infatti come un macigno il procedimento già avviato dalla Commissione Disciplinare e di Controllo dell’Uefa nei confronti del Napoli a seguito del comportamento tenuto dai suoi tifosi anche in occasione della gara di Europa League disputata contro il Dnipro lo scorso 8 novembre (reiterata introduzione ed accensione di fumogeni, ed occupazione indebita delle scale di fuga), e per aver nuovamente rilevato, i puntigliosi delegati dell’Uefa nello stilare i rapporti dopo la gara con gli ucraini, la presenza di altri intonaci pericolanti in alcuni settori del San Paolo.

In considerazione dell’esito negativo dell’appello proposto dal Napoli, sarebbe stato opportuno che il provvedimento della Disciplinare dell’Uefa fosse già stato reso pubblico. In questo caso, se ulteriormente punito, il Napoli avrebbe potuto scontare con il Psv Eindhoven la condanna a giocare una partita a porte chiuse. Invece dopodomani, nella ininfluente ultima gara del girone di qualificazione di Europa League contro gli olandesi, si giocherà al San Paolo (ore 19) regolarmente con la presenza del pubblico, mentre c’è seria preoccupazione in casa azzurra per quello che potrà accadere in vista dell’importante sfida di andata dei sedicesimi di Europa League.

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OTTO ORE DI RIUNIONE RESTA UNA RISERVA SULLA DATA: QUEL GIORNO C’È IL SORTEGGIO UEFA. IL 19 L’ALTERNATIVA

Lega di A: le elezioni saranno il 20

E si voterà con il vecchio statuto

Salta la riforma della governance. Il paracadute per chi retrocede da 5 a 15 milioni

di MARCO IARIA (GaSport 04-12-2012)

I candidati ufficiali ancora non si sono fatti avanti, ma finalmente è stata fissata la data delle elezioni del prossimo presidente della Lega di A: il 20 dicembre. Con un piccolo punto interrogativo, legato al contemporaneo sorteggio di Champions, e una data di riserva, il 19, che però non convince affatto visto che si giocheranno tre partite di Coppa Italia. Al rinnovo degli organi si arriverà tuttavia senza la riforma dello statuto. E questa è una novità che la dice lunga sulla (scarsissima) volontà innovatrice dei club del massimo campionato. Neanche ieri l'argomento della governance — cruciale per lo sviluppo di un sistema perennemente ingessato — è stato dibattuto, pur essendo all'ordine del giorno dell'assemblea. Così le dichiarazioni d'intenti che risalgono addirittura a marzo sono rimaste tali.

Delibere L'ennesima riunione-fiume (8 ore) è servita per stabilire come dividere i soldi del paracadute per le retrocesse: 15 milioni se si è rimasti in A per almeno tre stagioni di fila, 10 milioni nel caso di due stagioni e 5 milioni per una sola. Con un occhio di riguardo (nel senso di un maggiore indennizzo) per i club di una certa tradizione, e con un'avvertenza: complessivamente non potranno essere elargiti più di 30 milioni a stagione, ragion per cui si procederà a una decurtazione graduale dei premi se, per esempio, dovessero scendere in B contemporaneamente tre squadre con tre anni di militanza in A. L'eventuale tesoretto rimasto verrà distribuito tra le squadre classificatesi dall'11° al 17° posto (le prime dieci, in base ai nuovi criteri di ripartizione, beneficeranno dei ricavi incrementali della A). L'assemblea, con una maggioranza di 15 a 5, ha anche sanato il contenzioso relativo ai contributi da Europa League per la stagione scorsa: si è deciso di assegnare un milione a testa a Palermo e Roma, eliminate nei preliminari, e 2,75 milioni ciascuno a Lazio e Udinese. Nel triennio 2012-15 premi assegnati in base ai punti Uefa conquistati nella stagione.

Futuro Grande incertezza sul toto-presidente: l'uscente Maurizio Beretta continua a essere sponsorizzato dalla Lazio e da altri club. C'è chi, come pure Juventus e Inter, vorrebbe cambiare e ammicca ad Andrea Abodi. Il quorum di 14 voti rappresenta un duro ostacolo per tutti. Al Milan non dispiace la soluzione Ezio Maria Simonelli.

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Guardalinee ucciso da baby calciatori

Olanda Tragedia della follia: calci e pugni su un dirigente del Buitenboys durante una partita

In una delle squadre giocava il figlio della vittima che ha assistito al pestaggio

Tre giocatori tra i 15 e i 16 anni arrestati per il presunto coinvolgimento

di ALESSANDRA BOCCI (GaSport 04-12-2012)

Un posto normale, abitato da gente normale. Nieuw Sloten. Case di legno, pannelli solari, uno di quei quartieri satellite che si costruiscono con vaghe pretese di modernità. Un posto di gente mescolata, bianchi, asiatici, africani, un cocktail che si trova ovunque in Europa e più spesso in Olanda. Solo che da questo cocktail di normalità è uscito un branco selvaggio. Sono usciti i colpevoli di un episodio che ieri ha scioccato l'Olanda. Perché è difficile non restare scioccati quando si gioca una partita fra ragazzi e alla fine sul campo resta un morto.

Pestaggio Il fatto è successo domenica ad Almere, vicino ad Amsterdam. La squadra di Nieuw Sloten era andata a giocare contro il Buitenboys. Un dirigente del club stava facendo il guardalinee, capita spesso e nessuno ci fa caso. Si chiamava Richard Nieuwenhuizen, aveva 41 anni, è morto di botte. Massacrato da alcuni ragazzini della Nieuw Sloten. Alla fine della partita lo hanno assalito. «È fuggito, ma lo hanno inseguito e pestato», ha detto un portavoce della polizia. Lo hanno preso a pugni in faccia, poi a calci in testa, e ancora a calci mentre era a terra già tramortito. È stato ricoverato in gravi condizioni in ospedale ed è morto qualche ora dopo per lesioni cerebrali. Fra i ragazzini che giocavano nel Buitenboys c'era anche uno dei suoi figli. Tre della Nieuw Sloten sono stati arrestati. Hanno fra i 15 e i 16 anni.

Indignati Il ministro dello Sport, Edith Schippers, ha detto che quello che è successo è «assolutamente orribile. La federcalcio olandese e la giustizia reagiranno in maniera molto dura». Allenatori e calciatori hanno commentato la tragedia e il tecnico dell'Ajax Frank de Boer ha detto che in quanto genitore è assai preoccupato. «Non riesco a credere che sia accaduta una cosa del genere, che ragazzi di 15-16 anni possano avere un momento di follia così. Qualcosa deve essere fatto, perché non ci sono parole».

Precedente Le parole invece si trovano sempre ma raramente servono. E l'Olanda si scopre meno tollerante e più violenta. «Se scrivo su Twitter che l'Ajax ha segnato un bel gol tempo cinque minuti mi arrivano quaranta insulti», si è lamentato un commentatore sportivo durante un talk show. «La verità è che la mentalità dell'olandese sta cambiando. In peggio». Il paese degli esteti del calcio conta la seconda morte assurda in un anno. Mesi fa, alla periferia di Amsterdam, un sessantenne era morto durante un match fra dilettanti per un calcio al petto ricevuto da un suo giocatore permaloso. Si era fatto espellere, e lui lo aveva criticato. Proprio in questi giorni era stato condannato per omicidio preterintenzionale. Aveva passato il segno, come i ragazzini normali del normale quartiere di Nieuw Sloten.

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BILANCIO Petrucci

«Fiero del boom

degli altri sport

Il calcio si calmi»

I 14 anni a capo del Coni: «Oggi c'è un po'

meno monocultura. Pagnozzi? È l'usato sicuro»

di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 04-12-2012)

Il 12 gennaio 2013, con la scontata nomina alla guida della Federbasket, Gianni Petrucci decadrà, con trentanove giorni d'anticipo sulla data (19 febbraio) delle elezioni Coni, dalla carica di presidente, ruolo che ha rivestito per quasi quattordici anni, dal 29 gennaio 1999. Ad oggi, quattromilaottocentocinquantanove giorni da numero uno dello sport italiano. Che qui ci racconta, senza fare sconti a nessuno e soprattutto a se stesso.

Presidente Petrucci, le tre cose di questi quattordici anni di cui va più orgoglioso.

«Primo: insieme al segretario generale Pagnozzi siamo riusciti a mantenere sia l'autonomia che il finanziamento del Coni ai livelli di oggi, obiettivo importante e molto difficile da realizzare. Secondo: in un Paese dalla forte monocultura calcistica essere riusciti a far crescere per attenzione, diffusione e risultati tante altre discipline: penso soprattutto, ma non solo, a nuoto, tennis, ginnastica, rugby, scherma, pugilato. Terzo: i risultati olimpici conseguiti da Sydney 2000 a Londra 2012 in un costante crescendo e insieme a quelli l'aver potuto vivere in diretta le emozioni forti del Mondiale di calcio 2006».

Quella di cui va meno orgoglioso.

«Il doping e i suoi casi. Per cui anche avendolo combattuto, e questo ci viene riconosciuto, era e resta un fenomeno in cui si è sempre costretti a rincorrere. Voglio però chiarire che quando si parla di doping non si possono porre le opinioni personali avanti a tutto il resto. Bisogna agire per documenti, come quello di una sentenza del Tas di Losanna del 2 agosto 2011, che riconosce al Coni "la serietà e l'impegno con i quali la lotta in questione viene condotta"».

Ogni allusione al libro di Sandro Donati di recentissima pubblicazione non è evidentemente casuale. Lei in quel Coni pieno di zone d'ombra c'era, sia pure in una posizione di minore responsabilità. Rivisitando quegli anni, e dunque non solo i suoi 14 da presidente, c'è qualcosa che potendo tornare indietro non andrebbe rifatto?

«Non mi piace fare la morale a periodi e cose che non ho vissuto direttamente. Ho sempre avuto paura dei "fenomeni" e degli "eroi". Bisogna ricondurre certi episodi ai momenti e alle leggi che c'erano allora».

C'è qualcosa che voleva fare e non ci è riuscito?

«Avrei voluto assicurare una maggiore serenità e tranquillità al mondo del calcio. Mi mandano in bestia i presidenti che dicono "i soldi sono i nostri e decidiamo noi". Io rispondo: i soldi saranno i vostri ma le regole e le leggi le fanno la Federcalcio e il Coni».

I tre atleti uomini e le tre donne a cui la legano questi 14 anni.

«Antonio Rossi, Massimiliano Rosolino, Armin Zoeggeler, Valentina Vezzali, Federica Pellegrini e Stefania Belmondo».

Il sistema Coni è ancora valido o comincia a profumare un po' troppo di «casta»? Non le fanno effetto presidenti che son lì da 31 anni con vista sui 35 (Pellicone) o che lo saranno per 20 (Purromuto)?

«La domanda è logica e legittima, ma occorre tenere presente che le leggi le fa il Parlamento. Io non amo i politici che dicono "bisogna fare". A loro rispondo: fate e noi ci adegueremo a tutti gli eventuali cambiamenti. Questo non è un Paese incline alle novità. Auspico che il nuovo Governo faccia delle leggi che prevedano non solo nello sport un ricambio generazionale epocale».

Tradotto: lei è favorevole al limite dei due mandati anche per i presidenti federali e non solo per quello del Coni?

«Oggi si parla tanto di stadi, legge 91 e altro. Il modello dello sport italiano va rivisitato in tante cose. Perché no, anche sulla questione dei mandati».

Scuola e sport. Parole, parole, e ultimamente da parte del Coni anche soldi, ma la sensazione continua ad essere quella di una sconfitta.

«Non può essere definita una sconfitta un mondo come quello della scuola nel quale il Coni si è finalmente inserito anche grazie ai ministri Gnudi, Gelmini e Profumo. Sul "quanto" entrare nella scuola non dipende da noi, ma dalla scuola. L'alfabetizzazione motoria è un successo, sia pure parziale. Certo, di strada da percorrere ce ne è ancora tanta. In un momento di crescita economica, che di sicuro non è quello attuale, tutto sarà più facile».

Basket. Lasciò la presidenza quando divenne numero uno del Coni. Da allora, una caduta più o meno libera. Di che medicina ha bisogno?

«Occorre pensare in positivo e ricreare entusiasmo. I numeri dei tesserati danno ragione alla federazione, per il minibasket siamo saliti a 170mila unità. E poi c'è bisogno di una Nazionale vincente, qualche segnale in questo senso c'è. Vedo con piacere sempre più giocatori italiani in campo, fare bene: uno su tutti, Datome».

Calcio. Il terzo mondiale ma anche il più grosso scandalo, calciopoli, che forse poteva essere gestito meglio viste le scorie che sei anni dopo ancora si porta dietro.

«A posteriori tutto può essere gestito meglio. Anche il Paese. Ma una certezza il calcio l'ha data, con i suoi processi rapidi, sia pure imperfetti. Anche per questo Coni e Figc stanno studiando il modo di mettere mano alla riforma della giustizia sportiva. Per migliorarla».

Intanto il codice etico, sbandierato e «normato» a febbraio, ve lo siete rimangiato in estate. Così da permettere a presidenti, di club o di federazione, di stare sempre lì nonostante condanne penali o imbarazzanti processi in corso. Che cos'è, il bello della politica?

«È la prova della correttezza del Coni. Quando si capisce che ci sono norme che magari si prestano a essere vulnerabili sul piano giuridico e devono essere migliorate, anche per sottrarsi ad eventuali eccezioni del Consiglio di Stato, ci si ferma per correggerle. Il principio relativo al codice etico non è venuto meno, è stato solo necessario mettere a punto una normativa che ora sembra inattaccabile e che presto andrà a regime. Sulla retroattività, tuttavia, sarà impossibile intervenire».

Elezioni. Perché Pagnozzi sì e Malagò no?

«L'esperienza mi ha insegnato a prediligere quello che volgarmente si chiama "usato sicuro". Pagnozzi ha dimostrato in tutta la sua storia sportiva capacità manageriali che sono sotto gli occhi di tutti. Aggiungo inoltre che di Pagnozzi conosco anche la formazione della squadra. E con Pancalli segretario generale il tandem mi sembra perfetto. Mi auguro infine non ci siano intromissioni politico-partitiche, perché deve prevalere sempre la capacità e non l'appartenenza».

Le tre cose che vorrebbe vedere realizzate dal Coni che verrà.

«Un calcio sereno, e la capacità di intervenire sempre di più nei confronti di chi non ne rispetta le regole. Che tutte le federazioni riescano ad avere risalto e visibilità su media e tv. Che il Coni del futuro prosegua e intensifichi sempre di più la lotta al doping».

Con quale frase amerebbe essere ricordato?

«Una persona normale che ha agito sempre in buona fede».

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Parola d’ordine di GABRIELE ROMAGNOLI (la Repubblica 04-12-2012)

Lo strano caso di Mister Wesley sposato per sbaglio

Come già al Real, fu grande all’inizio:

poi gli sfugge sempre la trama e getta via il finale

Metti che stanotte, all’uscita di un bar nel mezzo di niente, qualcuno assalga alle spalle Myke Tyson, lo stordisca con una mazza e poi lo riempia di botte. È probabile che la reazione generale sia: «Vabbé. Ne ha date tante, per una volta che le prende, che sarà mai?». «Con tutto quel che devono patire i mingherlini e piccoletti. Tyson? Non è aggressione». Sarà. Ma un pugno è un pugno, chiunque lo riceva e chiunque lo dia. Però, è vero, su Tyson fa un diverso effetto: quello mozzicava orecchi e qualunque cosa accada dopo, pazienza. Così se qualcuno colpisce nel portafoglio un calciatore. E che sarà mai, con tutto quel che ha guadagnato e ancora guadagna?

Prendi il caso di Wesley Sneijder, trequartista o poco meno, prepensionato a forza dall’Inter di Moratti. La sua colpa è: non accetta di farsi spalmare. Ora, ognuno ha le proprie passioni e/o perversioni, anche l’olandese, ma questa non gli appartiene. Ha firmato un contratto con una durata temporale e una cifra economica, aumentare la prima lasciando invariata la seconda non gli va. Come dargli torto?

Così.

«Anche i calciatori debbono fare sacrifici», sostiene il presidente della Lazio Lotito, che sta pensando di rinunciare a uno dei suoi sette cellulari.

«Sneijder? Non è mobbing», sostengono in sintonia il suo allenatore Andrea Stramaccioni e il suo presunto difensore d’ufficio Damiano Tommasi, presidente dell’associazione italiana calciatori. Il primo spiegando a Ilaria D’Amico che lui lo sa, perché è laureato in giurisprudenza. Facoltà dove si insegna che la legge è uguale per tutti e un pugno è aggressione, lo si dia a Tyson o al nano Mammolo. Ma un calciatore fa eccezione.

Ora, Sneijder è uno strano caso. Se consideriamo i frutti del suo talento e li dividiamo per il numero di stagioni in cui ha giocato viene fuori un rendimento assolutamente normale. È stato grande nella prima stagione al Real Madrid, in cui vinse la Liga, grandissimo nella prima all’Inter, quella del triplete. Scrive meravigliosi incipit di romanzo, poi gli sfugge la trama e butta via il finale. Dopodiché, uno lo sa e si regola. Volendo. Se invece al mattino si sveglia e propone il matrimonio alla protagonista della miglior storia di una notte, il problema è principalmente suo e, in seguito, dei suoi avvocati. Sneijder ha giocato la sua partita, ma poi non è passato all’incasso con la carabina, sono andati da lui con la pergamena e il pennino dorato: «Firmi, prego!».

E adesso dovrebbe rinunciare, farsi spalmare, altrimenti a casa, o via da qui. «Ma questo non è mobbing ». La questione è più generale, non riguarda soltanto l’Inter e il suo giocatore. Al bar ragionano tutti come Lotito: i calciatori sono viziati, che cosa vogliono ancora? Vogliono quello che è stato loro promesso e garantito, dall’adorazione dei tifosi, dal bisogno di novità della stampa e dalla disponibilità dei presidenti. Per il tramite dell’esosità degli agenti. Non hanno creato loro il sistema, ci hanno soltanto giocato. Come sanno, quindi e necessariamente meglio degli altri. Se un ragazzetto segna due gol, alla prima conferenza stampa chiedono al ct se pensa di convocarlo, il suo presidente gli quintuplica l’ingaggio e non è che quello possa dire: «Ehi, calma, mi state montando la testa». Firma e porta a casa. L’obbligazione contrattuale impone a lui di giocare e alla società di pagarlo perché lo faccia, non a lui di farsi spalmare e a quella di tenerlo a casa. Ma questo è un punto di vista estremo e laterale, di qualcuno che ancora ama il calcio e il diritto, pur non vivendo né dell’uno né dell’altro. Chi lo fa, sembra ormai averli in spregio. È vero che la maggior parte dei calciatori si comporta come ragazzini insostenibili, ma li hanno disegnati così. Poi guardano il ritratto ed esprimono disgusto. La curva, la tribuna stampa e quella d’onore aspettano al varco. Pensano di averti creato e non vedono l’ora di poterti distruggere. Non ci vuole molto per intuire il senso di colpa dietro questo atteggiamento. È lo spauramento di chi si trova in viaggio di nozze con la stripper e chiama casa urlando: «Ci deve pur essere un modo di annullare questa sciocchezza!». Certo che c’è. Ma è lo stesso che dovresti usare se avessi sposato l’amore della vita tua (probabilità di successo: identiche). Ossia: sangue, stupore e lacrime. Più folate di denari al vento. Perché il diritto, nel suo essere sacrosanto, batte anche i vangeli: sta dalla parte dei forti come da quella dei deboli. Anche se, ai più, Sneijder all’Ilva può sembrare una bestemmia.

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BISOGNA SAPER VINCERE di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 04-12-2012)

Basta con i ventriloqui

Conte riparlerà da solo

Ma c'è qualcuno che ha capito una mazza di tutte le s********e che vi sono scritte?

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Detto dopo

CALCIO-NAUSEA DALLA CURVA ALLA TRIBUNA

di Tony Damascelli - 4-12-2012

Vedo, leggo, ascolto che lo striscione ignobile che insultava i caduti granata di Superga ha sollevato le reazioni, tardive, lente, di alcuni uomini di football e il giusto intervento del presidente della Juventus Andrea Agnelli. Non accadde lo stesso una settima fa, a Milano, dopo il lenzuolo che derideva il tentato suicidio di Pessotto, così come per altri stracci che appaiono nei nostri stadie sono anche oggetto di una rubrica televisiva che li rende ancora più illustri. C'è una corsa a farsi riconoscere, la beffa goliardica esiste da sempre ma da un po' di tempo, seguendo abusi e scostumanze contemporanee, si gioca con la morte e l'esistenza disgraziata altrui. Non bastava il «devi morire», un coro che accompagnava puntualmente l'avversario che giaceva a terra dopo uno scontro di gioco, adesso il nostro meraviglioso pubblico si è organizza-to, si porta il lavoro da casa, studia aforismi, crea slogan, confeziona rime. Tutto questo accade negli stadi dove si gioca apallone, non si ha uguale notizia nei campi di rugby, quello sport rude dove, pensate un po', è proibita dal regolamento la protesta nei confronti dell'arbitro. Mailcalcio èun'altra cosa, i suoi tifosi poi sono l'espressione migliore, curve, distinti, tribune centrali, d'onore, autorità formano la cloaca che ci meritiamo. Il Daspo è una sanzione che provoca risate tra i condannati. La ciurma prosegue le sue bravate senza timori e tremori, le istituzioni non hanno il coraggio di intervenire, le forze dell'ordine arrestano i miserabili e i giudici li liberano un minuto dopo, forse se scovassero tra questi qualche giornalista o direttore di giornale scatterebbe il carcere immediato. Unasoluzionepratica, gratuita, semplice ci sarebbe: una volta individuati i gentiluomini invece di mandarli al gab-bio, a costi nostri, andrebbero dirottati, come si usa fare in Inghilterra, ai servizi socialmente utili. Esempio: pulizia delle latrine degli stadi e degli altri locali degli stessi impianti, devastati o dati alle fiamme, uguale misura per autobus, treni messi a ferro e fuoco, visita quotidiana, in presenza di parenti e affini, ai feriti delle aggressioni, pellegrinaggio a Superga, con riflessione della durata di novanta minuti, in silenzio, per gli estensori del lenzuolo dello Juventus stadium, incontro e scuse ufficiali con Pessotto per i miserabili di San Siro, a seguire per i coristi contro Morosini e gli altri ragazzi che hanno perduto la vita. Non sono provocazioni goliardiche, è quello che un Paese normale dovrebbe applicare per logica a chi su questo Paese, sulle sue leggi, sul rispetto, minge ogni giorno, sapendo di farla franca, coperto da un passamontagna, da un casco, da chi li fiancheggia per motivi politici. Non accadrà nulla di quello che ho proposto, arriveranno multe sciocche ai club e da do mani si ricomincia con il taglia e cuci, viva lo striscione, abbasso i morti e i suicidi. E la vita, è il calcio. O no

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rabbia e dolore

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La Liga se aleja de los estadios

La asistencia a partidos de Primera se ve mermada por la crisis y los horarios

La superioridad de Barça y Madrid desincentiva al resto de la afición

La afluencia media a los campos en la campaña pasada rozaba el 70%

“O la Liga se torna más competitiva o se muere”, dice un economista

Las fechas de los encuentros se fijan con un mes de antelación

“Incomprensible: gradas vacías y 40 euros por entrada”, dice un aficionado

“Viernes y lunes son días hábiles para jugar partidos”, comenta la LFP

Los clubes cedieron a las televisiones el derecho a proponer los horarios

por NÉSTOR CENIZO & JAVIER GALÁN (EL PAÍS 04-12-2012)

De un artíċulo de Gabriel García Márquez, Jorge Valdano tomó prestada la idea del miedo escénico y la aplicó al fútbol y al Santiago Bernabéu. Los estadios llenos, se dice, ganan partidos. La gente que paga lo hace. Pero el Sevilla-Betis de hace tres semanas registró una entrada aproximada del 87%, cuando la temporada pasada el Sánchez Pizjuán se llenó para acoger el derbi sevillano; el estadio del Getafe tiene capacidad para algo menos de 16.500 espectadores, pero ante el Barcelona apenas acudieron unos 13.000 y ante el Real Madrid, 8.000. Al Mallorca le ocurrió algo parecido cuando ha recibido a los dos grandes.

Si el Sánchez Pizjuán no se llena para el encuentro más intenso, si los equipos de Primera ya no cuelgan el cartel de “no hay billetes” con cada visita de Real Madrid y Barcelona, y si las gradas de muchos estadios están medio vacías, algo se pierde, razonan muchos aficionados. La Liga de Fútbol Profesional (LFP),la asociación que integra a los 42 equipos de Primera y Segunda y que organiza las competiciones, no facilita los datos oficiales de asistencia a los estadios hasta el final de la primera vuelta, pues no los considera comparables con anteriores temporadas hasta el momento en el que todos los equipos se han enfrentado entre sí. Pero las estimaciones que cada fin de semana realizan los medios y los datos que manejan los clubes muestran un descenso. La afluencia media a los estadios de la primera categoría española durante la temporada pasada rozaba el 70%, mientras que las cifras que maneja la UEFA muestran que Alemania e Inglaterra superan en los últimos años el 90% de ocupación.

Los aficionados que acuden al estadio en España son un ejército en retirada. “Nos están echando de los campos”, exclama Pepe Hidalgo, secretario general de Aficiones Unidas, la asociación que agrupa a las federaciones de peñas de los 42 clubes de Primera y Segunda División.

Los aficionados apuntan dos razones: la política de precios de los clubes y los horarios de los partidos, más dispersos que nunca, impredecibles y anunciados con una antelación aproximada de un mes. José María Gay de Liébana, un economista especializado en deporte que lleva años publicando informes sobre la salud financiera del fútbol español, alerta de que el paciente agoniza: “O se torna más competitiva o se muere. Es una Liga tan bipolar que se sabe que ningún otro va a ganarla, e ir a ver al Madrid o al Barça al estadio de tu equipo es contemplar cómo te meten cinco goles. Hace poco dije que a la Liga le quedaban cinco años; ahora creo que no llegaremos”.

El pasado abril se conoció que los clubes de Primera División debían cerca de 752 millones de euros a Hacienda y unos 3.500 millones al conjunto de acreedores. Siempre está la crisis, que ahora casi todo lo explica. “El fútbol es un artíc**o de lujo”, soltó hace unas semanas Ángel Torres, presidente del Getafe. “Con la que está cayendo, algunos clubes no muestran mucha sensibilidad”, lamenta José Manuel Mateos, presidente de la Federación de Peñas del club azulón, que no está de acuerdo con la apreciación de Torres: “Un equipo de fútbol debe tratarse como un activo de una ciudad. No es el opio del pueblo. Es un escaparate internacional importante y un patrimonio”. La ocupación media del Coliseum es, aproximadamente, del 50%.

“Es incomprensible que haya estadios vacíos y entradas a 40 euros”, protesta Hidalgo, de Aficiones Unidas. “El precio lo marca la oferta y la demanda. Es una cuestión de parámetros económicos: nos interesa más tener 19.000 espectadores a los precios que manejamos que llenar con 22.000 a otros más baratos”, razona Pedro González, secretario del consejo de administración del Granada. “Te debes a los abonados y no puedes depreciar el valor del abono disminuyendo el precio de las entradas”, argumentan en el Valladolid. Pero Gay de Liébana cree que “quienes dejan de ir al estadio no volverán, no llenar un estadio significa que hay ingresos que nunca se percibirán”.

También hay ejemplos, cada vez más, de clubes que capean el temporal con fórmulas alternativas para atraer al aficionado. Osasuna ha establecido 10 rutas de autobuses para facilitar el acceso desde varios puntos de Navarra. Los socios suben gratis y quien no es abonado debe pagar 10 euros. Según Ángel Vizcay, gerente del club, unas 700 personas utilizan el servicio en cada partido. Los desempleados pueden acogerse a un descuento del 20% en el abono. Con todo, la asistencia media es “ligeramente inferior” a la temporada pasada y suele rondar los 15.000 espectadores en un estadio con capacidad para 19.800. Otros clubes disponen de localidades a precio reducido para acompañantes. Y el Atlético, para el partido contra el Getafe, ofreció asientos a ocho euros para aquellos colombianos que se inscribieran en la embajada. 3.000 compatriotas se acercaron al Manzanares para ver jugar a Falcao.

Las ofertas son más y mejores cuando el partido se juega fuera del fin de semana porque la otra pata del problema, según denuncian los aficionados, son los horarios. Se acabaron las tardes de fútbol y de carrusel. La última jornada de Liga empezó el pasado viernes a las 21.00, con el duelo entre Osasuna y Rayo Vallecano, y terminó ayer, cerca de las 23.30, tras el Sevilla-Valladolid. Entre uno y otro encuentro pasaron 72 horas, cuatro días y diez horarios diferentes. “El fútbol a todas horas devalúa el producto y cansa a la gente”, señala el azulón Mateos. En esto hay acuerdo con los clubes. “Los horarios han retraído a los espectadores. Sobre todo, no saber de antemano qué día y a qué hora se va a jugar”, comenta Vizcay. La misma opinión tienen en el Athletic y en el Deportivo.

Los horarios de la Liga, explica la LFP, se fijan actualmente con un mes de antelación; hace años el margen era de diez días. En Alemania se conocen todos los horarios a principio de temporada: los aficionados del Augsburgo y del Fürth ya saben que los dos últimos clasificados de la Bundesliga se enfrentarán el 18 de mayo a las 15.30. En Inglaterra se fijan con unos tres meses de anticipo, aunque pueden modificarse. España es un caso único, pues existe la obligación de emitir un partido en abierto que no puede ser del Real Madrid ni del Barcelona. Los clubes españoles se quejan de que conocer con poca antelación las fechas aumenta los gastos de vuelos y hoteles.

Los equipos ceden a los operadores televisivos el derecho a proponer los horarios. PRISA TV (sociedad participada por PRISA, editora de EL PAÍS) y Mediapro suscribieron a finales de agosto un convenio para explotar conjuntamente los derechos de retransmisión de las competiciones nacionales. Los horarios de Primera División los propone PRISA TV, como operador dominante esta temporada, y los establece la LFP, después de una negociación que tiene mucho de puzle. Álex Martínez Roig, director general de contenidos de Canal +, explica que el modelo es el resultado de una negociación entre Mediapro y Prisa TV, y que fue esta última quien defendió las diez franjas horarias por la imposibilidad de emitir simultáneamente más de un partido en el canal de la TDT de pago Gol T. “Nuestro modelo era otro, con carruseles el sábado y el domingo, pero creo que actualmente el problema se concentra mucho más en el precio de las entradas y la crisis”, explica Martínez Roig. Jaume Roures, presidente de Mediapro, niega que la fragmentación en diez horarios diferentes obedezca a su interés particular: “Todos los clubes quieren tener su espacio televisivo y no estar siempre pisados por otros equipos; y a los operadores televisivos les interesa que se retransmitan todos los encuentros”. También, según Roures, el problema está en el precio de las entradas y los abonos, que no se ajustan a la situación de crisis: “El hecho de disputar un partido un lunes no te vacía el estadio; lo hacen los precios y el interés deportivo del encuentro. La animación que hay en otros sitios forma parte del espectáċulo, y es un problema que la televisión muestre gradas semivacías”.

Fuentes de la LFP reconocen que “el panorama no es alentador”, pero se remiten al acuerdo entre los operadores, que establecen los horarios “por consenso” y que ha llevado a que se juegue un partido el viernes y otro el lunes, “la manera más adecuada que tenemos ahora para explotar la competición como debe ser explotada”. Y “esos días son hábiles para jugar partidos”, zanjan.

Hace dos semanas, la LFP y la Real Federación Española de Fútbol cambiaron la fecha de la vuelta de los octavos de final de la Copa del Rey, prevista para el miércoles 19 de diciembre, y que ahora se jugará el 9 de enero. Los partidos se agolpaban: la 17ª jornada se jugará ese jueves, viernes y sábado, ya que el domingo 23 hay descanso navideño. Por acuerdo debe haber diez horarios diferentes en cada jornada de Liga, y dos días no son suficientes.

PRISA TV y Mediapro reivindican su derecho a fijar los horarios porque son quienes pagan. “Entendemos que la televisión pone mucho dinero, pero si se juega un partido el lunes no puedes vender la entrada más barata a 40 euros”, resume el peñista getafense Mateos. La LFP alude a un nuevo equilibrio entre lo que “los clubes y televisiones desearían”. Pero mientras no se alcanza el nuevo equilibrio, el fútbol se degrada y muchos aficionados desesperan. Para el partido de Liga de Campeones entre el Borussia Dortmund y el Real Madrid, campeones de las ligas española y alemana, se podían encontrar entradas por entre 12,5 y 60 euros. El día anterior se disputó el Getafe-Betis, para el que la entrada más barata costaba 30. “Los que vamos al campo nos sentimos un poco tontos”, sentencia el getafense Mateos; “el fútbol no se entiende sin la pasión de la grada”.

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LE SENTENZE IN ARRIVO

Appello su Calciopoli:

Giraudo rischia 4 anni

di VALERIO PICCIONI (GaSport 05-12-2012)

Potrebbe arrivare oggi la sentenza d'appello di Calciopoli. Nell'udienza di questa mattina troveranno spazio la replica del procuratore generale e le controrepliche degli avvocati difensori. Poi dovrebbe esserci la camera di consiglio e quindi il verdetto. Si tratta del processo di secondo grado per tutti gli imputati che scelsero il rito abbreviato. La posizione piu conosciuta è quella dell'ex a.d. della Juventus, Antonio Giraudo, condannato in primo grado a 3 anni (l'arbitro Pieri era stato ritenuto colpevole con una pena di 2 anni e 4 mesi, il suo collega Dondarini a 2 anni, come Lanese, il presidente dell'Associazione Arbitri di allora) e per cui l'accusa ha chiesto una pena più dura, 4 anni, ritenendolo non solo membro dell'associazione finalizzata alla frode sportiva, ma «promotore» insieme con Luciano Moggi. Nell'ultima udienza erano stati gli avvocati di Giraudo ad andare all'attacco contro il teorema accusatorio. Intanto ieri, intervenendo a Rai Sport, l'arbitro Paolo Bertini, condannato a un anno e 5 mesi nel secondo filone del processo, ha smentito di aver posseduto utenze telefoniche svizzere, la prova regina secondo l'accusa, auspicando un giudizio «più sereno» rispetto al primo grado.

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In primo grado condannato a 3 anni

Calciopoli, oggi il verdetto

d’appello per Giraudo

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 05-12-2012)

La storia di Calciopoli, questo pomeriggio, si arricchirà di un nuovo capitolo. Condannato a tre anni in primo grado, l’ex amministratore delegato della Juve Antonio Giraudo conoscerà il verdetto d’appello nel processo con rito abbreviato (procedimento dove è prevista la riduzione di un terzo delle sanzioni). Per Giraudo, la procura ha chiesto l’aumento della pena di un anno perchè l’ex ad bianconero, secondo l’accusa, non era soltanto un associato, ma uno dei promotori della stessa associazione per delinquere. In primo grado, l’ex dirigente della Juve fu condannato per i continui contatti con gli allora designatori arbitrali, la sua presenza a numerose cene e il ruolo svolto nel salvataggio della Fiorentina dalla serie B. Il verdetto d’appello, fra gli altri, riguarderà anche l’arbitro Rocchi, assolto in primo grado, ma per il quale il procuratore generale ha chiesto la pena di 16 mesi.

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Calciopoli

Oggi Giraudo in appello,

un’assoluzione riaprirebbe la partita

di MARCO MENSURATI (la Repubblica 05-12-2012)

ROMA — È prevista per questa sera (salvo ritardi) la prima sentenza d’appello del processo Calciopoli. A Napoli, la corte si esprimerà su Antonio Giraudo, ex amministratore delegato della Juventus (condannato a tre anni in primo grado) e su gli altri imputati che, a suo tempo, scelsero di essere processati con il rito abbreviato. Pesanti le richieste del procuratore generale Carmine Esposito. A partire dai quattro anni di carcere chiesti proprio per Giraudo che, secondo il magistrato, non era un semplice partecipe della «associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva», ma uno dei promotori. Esposito ha chiesto inoltre condanne, sia pure inferiori, per tutti gli altri dieci imputati, tutti arbitri ed ex arbitri tra i quali l’ex presidente dell’Aia Tullio Lanese.

Al processo d’appello guarda con molta attenzione, da Torino, la Juventus, che starebbe valutando, nel caso di una sentenza assolutoria, la possibilità di percorrere nuove strade anche nell’ambito del diritto sportivo.

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Giraudo e Lanese sperano

Calciopoli atto II: la sentenza

che può ribaltare il processo

art.non firmato (Libero 05-12-2012)

È in arrivo oggi la sentenza del processo di appello di Calciopoli per Antonio Giraudo e tutti gli imputati che scelsero il rito abbreviato. Verranno inoltre giudicati anche gli assolti al processo di primo grado, come gli arbitri Gianluca Rocchi, Marco Gabriele, Stefano Cassarà, Domenico Messina e gli assistenti Duccio Baglioni, Foschetti e Griselli.

Le richieste, per quanto riguarda l’accusa, sono già state formulate: per Antonio Giraudo ad esempio sono stati chiesti 4 anni e 30mila euro di ammenda. Per gli altri, il sostituto procuratore generale Carmine Esposito ha chiesto 3 anni per l’ex arbitro Tiziano Pieri (2 anni e 4 mesi la condanna in primo grado), mentre ha chiesto la conferma delle condanne a 2 anni per l’ex presidente dell'Aia Tullio Lanese e l’ex arbitro Paolo Dondarini. Il pg ha chiesto altresì la condanna per gli imputati che erano stati assolti in primo grado: 2 per l’ex assistente Duccio Baglioni, un anno e 4 mesi per l’arbitro Gianluca Rocchi, unico direttore di gara in attività, un anno e 6 mesi per l’ex arbitro Stefano Cassarà, un anno e 4 mesi per l’ex assistente Giuseppe Foschetti, un anno e 6 mesi per l’ex arbitro Marco Gabriele, un anno e 4 mesi per l’ex assistente Alessandro Griselli, un anno e 4 mesi per l’ex arbitro Domenico Messina. Ma la speranza per Giraudo e tutti gli altri imputati è che le sentenze del processo di primo possano venire capovolte oggi in appello.

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CALCIOPOLI, L’APPELLO

Giraudo, oggi sentenza

che può cambiare tutto

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 05-12-2012)

TORINO. I capi d’imputazione hanno traballato a lungo durante il breve dibattimento. Quelli che sembrano capisaldi in primo grado, si sono trasformati in puntelli per tenere in piedi un’accusa, quella di associazione a delinquere, che alla luce delle udienze di appello appare più fragile. Ma il Tribunale di Napoli, finora, ha sempre respinto le tesi contrarie a quelle di Narducci e Beatrice, i pm dell’indagine Calciopoli. Così Antonio Girando, che oggi pomeriggio intorno alle 17 conoscerà la sentenza d’appello del giudice Stanziola, affronta l’ultima giornata del processo con ottimismo, ma cauto.

Insieme a lui Tullio Lanese, Tiziano Pieri e Paolo Dondarini, che durante l’appello hanno prodotto le ormai celebri intercettazioni oscurate durante le indagini e che riascoltate in aula hanno dato una luce completamente diversa alla sentenza di condanna avvenuta in primo grado dopo il rito abbreviato. Si è così scoperto che la presunta cupola, al cui vertice dovevano esserci Moggi, Girando e i designatori Bergamo e Pairetto, non funzionava poi così bene. Così, per esempio, dopo le partite andate teoricamente bene per l’associazione a delinquere (chessò una sconfitta del Milan) arrivavano sonori cazziatoni agli arbitri che avevano sbagliato. Un controsenso che, infatti, pur essendo stato registrato è stato “dimenticato” dall’accusa. Questo e tanti altri esempi hanno mostrato gli evidenti limiti dell’indagine e, quindi, dei capi d’imputazione. In definitiva, a Giraudo non venne attribuita nessuna scheda svizzera, non vi è nessuna telefonata di Giraudo con i designatori né tanto meno con arbitri.

Oggi il procuratore generale Carmine Esposito inizierà a parlare intorno a mezzogiorno, seguirà un’eventuale replica delle difese, poi camera di consiglio fino alla sentenza. Se fosse anche solo parzialmente assolutoria (se cadesse, per esempio, l’associazione a delinquere), si aprirebbero scenari interessanti.

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laQuestione

LA LEGA CALCIO NON VUOLE RIFORMARSI

COSÌ PERDE IL TRENO DELLA CRESCITA

di MARCO IARIA (GaSport 05-12-2012)

Prima erano solo sospetti, adesso possiamo dirlo con certezza: i presidenti di Serie A (con le dovute eccezioni) non hanno alcuna intenzione di rimettere in discussione il sistema e di avviare, sul serio, il rilancio del movimento. La conferma è arrivata l'altro ieri, quando l'assemblea di Lega non ha nemmeno sfiorato la discussione sullo statuto affossandola, in via definitiva, almeno per il quadriennio olimpico in scadenza: il 20 (o il 19) si andrà a votare col vecchio regolamento. Quella della governance non è solo una dissertazione accademica: è la chiave di volta per lo sviluppo del calcio italiano.

Laddove le strutture organizzative e i processi decisionali sono più snelli e maggiormente orientati al bene collettivo, sul campo e fuori la differenza si vede. I modelli di riferimento sono la Premier e la Bundesliga, cui i club hanno accettato di cedere una quota di sovranità perché consapevoli che se migliora il prodotto-campionato ne traggono beneficio anche le singole società, big comprese. I numeri ne sono testimoni. Dal 1996-97 al 2010-11 le leghe inglese e tedesca sono cresciute a un ritmo molto più sostenuto di quella italiana: in termini di fatturato, +293% per la Bundesliga (da 444 a 1746 milioni), +267% per la Premier (da 685 a 2515 milioni), +182% per la Serie A (da 551 a 1553). Ma conta soprattutto la «qualità» di quegli incrementi: da noi sono schizzati i proventi tv, altrove si è lavorato su tutti i fronti, con politiche commerciali aggressive e il mantra degli stadi. Date un'occhiata agli spettatori medi: la Premier è passata dalle 28.400 presenze del 1996-97 alle 35.400 del 2010-11, la Bundesliga addirittura da 30.900 a 42.100, la A è scesa da 29.500 a 23.500.

Il guaio è che in via Rosellini, la sede della Lega, non si parla quasi mai di come sviluppare e migliorare il sistema. Tutto deve passare dall'assemblea dei 20, non esiste un comitato esecutivo degno di un agglomerato che è pur sempre nella top 100 dei gruppi industriali italiani. Rientra nell'ordine delle cose la pantomima di lunedì: otto ore per stabilire come assegnare il paracadute per le retrocesse, con tabelline su tabelline e teste fumanti. Vista l'attuale governance rischiano di essere inutili le elezioni per il presidente. Anche se sta maturando un convincimento che parte da Juventus e Inter e abbraccia molte medio-piccole, in un'ottica trasversale: votare per la discontinuità, archiviando l'esperienza di Maurizio Beretta e promuovendo dalla B l'intraprendente Andrea Abodi. Al di là dei nomi, quel che serve al calcio italiano è il coraggio di cambiare.

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Llorente acusa a la prensa

El punta del Athletic culpa a los medios de comunicación de su

desafecto con la grada y dice que abandonará el club en verano

por GORKA PÉREZ (EL PAÍS 05-12-2012)

Le rondaban a Fernando Llorente diversos pensamientos por la cabeza mientras comparecía ayer por la mañana en Lezama, dos días antes de enfrentarse al Sparta de Praga, en el último partido europeo que acogerá el actual estadio de San Mamés. A medida que se le recordaban las últimas informaciones acerca de su situación en el equipo, como que el sindicato internacional de futbolistas denunciara su habitual suplencia como una medida de extorsión por parte del Athletic para que renovase su contrato —“no me siento chantajeado”, respondió el delantero—, se iba gestando la reacción más directa hasta el momento hacia una de las partes que considera fundamentales en todo el caso: “Sois vosotros los que habéis conseguido poner a parte de la afición en mi contra. Con lo que se ha escrito hay sectores que quieren que me vaya”.

En el triángulo negociador que lleva tratando la renovación de Llorente durante todo el año, club, jugador y entorno, uno de los vértices que en su opinión más ha influido en que se hayan atascado ha sido el que corresponde al de la prensa. “No habéis ayudado a generar el buen ambiente que debía haber. Las cosas que han salido en los medios, la mayoría falsas, son las que han ayudado a la gente a inclinar la balanza en mi contra”, dijo el delantero, que añadió: “Y por supuesto han tenido que ver en mi decisión final”. De esa decisión, la de abandonar el club, quedaba aún por conocer cuándo: si se produciría en el mercado de invierno, lo que reportaría al Athletic la cuantía de su salida, o a final de la temporada, a coste cero. “No pienso en otra cosa que no sea en estar lo mejor posible de aquí hasta el 30 de junio”, reconoció.

A pesar de que Josu Urrutia, presidente del Athletic, no ha dejado de repetir en todas sus intervenciones que desde el club se trabajaría para cambiar la opinión del punta, Llorente ha dado por zanjadas las especulaciones: “Que no renueve no es por una cuestión económica, ya que la oferta del Athletic ha sido irrechazable. Llevo cuatro o cinco años con números muy buenos, a partir de ahí he podido ver otras cosas, he sido campeón de Europa y del mundo con la selección, y al final uno quiere crecer deportivamente e intentar otras cosas que no he tenido la suerte de que aquí salieran bien”, aseguró.

Pero, de momento, no tiene sitio en el equipo de Bielsa; ha disputado 16 duelos este año y solo en dos fue titular. “Aduriz está haciendo un gran comienzo. Yo he demostrado en cinco años los números que puedo llegar a dar”, resolvió Llorente.

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Irate reaction to Liam

Ridgewell prank is bum rap

by MATTHEW SYED (THE TIMES 05-12-2012)

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I giggled a bit. I have to admit it. A picture of a footballer pretending to wipe his behind with a wad of £20 notes. As a joke, it would have been funnier if they had been fifties, but let’s not quibble. Liam Ridgewell, of West Bromwich Albion, take a bow. But put your pants back on first.

It was, the defender said, a private joke. He took the photo to wind up a friend about a bet they’d had (presumably the money corresponded to the amount he had won). He never intended the mickey-take to be seen outside a close coterie of trusted friends.

But it found its way into The Sun and, from there, on to websites around the world.

Ridgewell has been admonished by his club, who said: “We will be dealing with the issue internally.” But that was only the beginning of the feeding frenzy. On forums and on Twitter, Ridgewell has been condemned as the archetypal rich, amoral, chavy, uncouth, beyond-the-pale Premier League footballer.

“This just proves how much they think of us fans! They really don’t care,” was one comment on a newspaper website. Others were equally censorious. “This is just one reason why fans should stop going to watch football at the highest level and stop buying Sky Sports. Sick obscenely wealthy idiots who don’t deserve the riches they get.” And my personal favourite: “Nothing like angering the fans who save all week just to go to see their football on a Saturday afternoon.”

It is curious, but most of the commentary has suggested that Ridgewell was deliberately rubbing people’s noses in it, conveniently ignoring the fact that it was intended as a joke between friends. For all we know, he was satirising the behaviour of the rich and famous rather than celebrating it. But let’s not allow the facts to get in the way of a good story.

Besides, the Ridgewell incident is not just about the way in which a private joke has become public property. Far more importantly, it is about how footballers are demonised, almost regardless of the circumstances, and all too often because of their working-class origins.

Take the way in which footballers are characterised as thick, lazy and pig ignorant. This despite the fact that many players are bright, hard-working and articulate. Like any group of youngsters, footballers are a diverse bunch, so why the stereotype? Could it be that we are conflating their working-class origins with their supposed lack of intelligence? Does it say more about us than them?

When it comes to money, it gets even more troubling. The general idea is that footballers earn more than they deserve; £200,000 per week is surely too much for any person for kicking a football around. But it raises the question: what would be the right amount, and who should decide? A left-wing think-tank, perhaps? Or maybe we should have a vote to determine the weekly pay cheques of Wayne Rooney, Jermain Defoe et al?

The latter at least has the attraction of democratic legitimacy. But, then, footballers are already paid via a form of democracy: free individuals voting on where they would like to spend their money. Rooney does not coerce anyone through the gates of Old Trafford, or hold a gun to the heads of Sky subscribers. His salary is a consequence of voluntary exchange.

Many (and not just on the Left) have a problem with free-market outcomes, of course, and sometimes for good reason. They argue that markets are often rigged. Bankers benefit from an implicit bailout guarantee, for example, and many at the top of professions have benefited from nepotism, cosy internships and covert networking. Put simply, some people have a head start they have neither earned nor acknowledged.

But football represents the polar opposite. The game is transparent and fiercely meritocratic. You do not play for Manchester United because your dad is in with the Glazers, or because you have a mate who knows a mate. You are in the team because of a lifetime of hard work and because of world-class ability. And because football has such low entry costs (a decent pair of boots and a bit of open space) almost everyone has a shot at the top. If there was ever an environment where a high salary should be applauded rather than resented, it is football.

Of course, there is a valid argument about how much high earners should pay in tax (and how to clamp down on tax avoidance), but this is a debate about net salary and it goes way beyond football. The problem for footballers is that many seem to object to their gross salaries, too. We abhor the fact that they earn so much, independently of our opinions about appropriate levels of taxation.

And this is perplexing. We don’t feel this way about movie actors or artists. We rarely see Ian McEwan getting it in the neck for earning millions from his huge-selling novels, or George Clooney for his movies. Could it be that part of the vocal (often vicious) resentment of footballers’ salaries is that they are often working class? Are we more comfortable with money being in the hands of those who are from the right background and, by implication, know what to do with it?

Is there something distasteful to us Brits about people spending money on Mock Tudor mansions in Wilmslow rather than lateral conversions in Belgravia? In other words, is our fixation on footballers’ salaries about our traditional obsession with social class?

There is an extensive body of opinion that footballers are despised, not for their class, but for their crassness. But are they significantly more crass than, say, rugby players or cricketers (or MPs or journalists)? Certainly, we should not mistake the fact that there are more front-page headlines about, say, adultery among footballers than among rugby players as the basis for a statistical comparison. Tabloid journalists almost always look for evidence of the former.

Commentators (particularly on the Left) make much of how high salaries alienate football supporters. “How can someone on the minimum wage relate to someone earning £100,000 a week?” As an assertion, it is breathtakingly patronising, insinuating that only highly paid spectators can relate to highly paid entertainers. But it also reveals the regressive tendencies of many of those who claim to be on the side of the working classes.

Dozens of left-leaning journalists have made careers sniping at the big pay cheques in football. They argue that they are an affront to decent values, without explaining who has been wronged by a footballer making his way to the top from a council estate. But these tedious arguments have more to do with inverted snobbery than progressive values. The truth is that if the rest of society was as free and meritocratic as football, the Left would have little to worry about.

When footballers make a financial success of their lives through free and fair competition, they should be celebrated, not chastised. And when they make a harmless, private joke with friends, we should cut them some slack rather than inciting a synthetic and entirely reactionary moral panic.

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Football journalist’s tax shame

by STEFAN SZYMANSKI (SOCCERNOMICS 04-12-2012)

I was gob-smacked by an article in this weekend’s Independent on Sunday about the Premier League and corporation tax entitled “football’s tax shame”. The article claimed that last clubs paid only £3 million in corporation tax, despite being “awash with money”. On the back of this worthies such as Gerry Sutcliffe, former sports minister, and Simon Hughes, deputy leader of the Liberal Democrats (part of the present UK coalition government), came forward to declare the situation a disgrace and in need of urgent reform.

Journalists who write about the business of football usually know about one or the other, seldom both, which means they often struggle with the part they don’t understand. In this case the writer, Paul Gallagher, appears particularly challenged in relation to both accounting, economics, and just the basic facts.

In the financial year 2010/11 the combined pre-tax losses of clubs in the Premier League was £308 million, largely because 68% of their £2.3 billion turnover was paid out in player wages. At some level, pretty much everyone knows this- football clubs lose money because of the prune-juice effect. Manchester City on their own reported a loss of £169 million. Football clubs are awash with money in the way that the Titanic was awash with the Atlantic Ocean- sinking into it rather than floating on it.

Corporation tax is a tax on profits, so if you don’t make profits you don’t pay corporation tax. More than anything else, this is main reason that clubs don’t pay corporation tax. Omitting this basic fact seems eccentric to say the least. As a matter of fact, clubs do pay substantial taxes to the government through PAYE, national insurance and VAT – amounting to £924 million last year according to Deloitte, the accountants.

Most people also know that UEFA’s Financial Fair Play is designed to force clubs to spend within their means, precisely because most clubs are loss-making, not profit-making and therefore do not have any profits on which to pay tax.

Gallagher seemed particularly overwrought about deferred tax allowances. As a matter of fact he rang me up last week to ask about these, without telling me the main thrust of his argument. The problem here is that he doesn’t seem to understand what is going on. He seems to have looked at the tax figures specified in the profit and loss account, and is wound up about tax losses from the past being used to offset current tax liabilities, in those very few cases where there are any profits to report. However, if he’s concerned about taxes actually paid rather taxes rather taxes accrued, he should be looking at the cashflow statement.

More likely he didn’t look at any accounts, but relied on the word of others, because he doesn’t know how accounts work. I might be wrong, but judging from what is written, it certainly looks that way. I emailed him after I read the article asking if he could explain his bizarre conclusions, but he didn’t reply.

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A real tax scandal: is the UK to

become a football player tax haven?

by STEFAN SZYMANSKI (SOCCERNOMICS 05-12-2012)

While we’re on the subject of tax, the UK government tax collector, HMRC, announced today that it would appeal against the Tribunal decision in the Rangers tax case.

The tax case was instrumental in bankrupting the company that owned Rangers football club, which as a result led the football club being reformed under the ownership of a new company, and obliged to enter the Third Division of the Scottish Football League (see an earlier blog on the rights and wrongs of this).

The case concerned Employee Benefit Trusts (EBT). These have been used as a legal means of tax avoidance by many companies in the UK, much to the annoyance of HMRC. The basic point is that you pay income tax (PAYE) on earnings, but not on loan. So clever tax experts figured out that if you ran/owned a company a set up a trust for your own benefit, and arranged for the company to pay loans to the trust, which you could then use as income, you wouldn’t have to pay PAYE. The catch is that in principle the loans would be repayable if the company asked for the money back, whereas obviously salaries are not. But then if you controlled the company, you could be sure that the loans would never have to be repaid. As I say, clever. Of course, HMRC is apoplectic about these schemes, and wants them made illegal, but right now they are legal.

Rangers used EBT schemes to “give money to players” throughout the 2000s, in effect meaning they got their players tax free. HMRC’s case was that in reality these were not real loans, so it is inconceivable that a player would ever agree to pay them back- it just makes no sense. But apparently this didn’t impress a majority of the Tribunal, which held that since the EBT was drawn up legally, that was enough: “the loans were recoverable”.

The decision is 145 pages long, and lightened only by the decision to follow Pulp Fiction in the anonymisation of the beneficiaries of the trusts: “Mr Blue, Mr Yellow, and Mr Green, Mr Black, Mr Magenta, and Mr Red”.

Disappointingly there is no Mr Pink, though “Mrs Crimson” may or may not be flattered by the choice of colour.

This is one of those cases where legal formalism comes up against economic reality. It surely makes no sense to say that players from ten years ago are going to repay what they were paid just because under the strict letter of the law the payment was dressed up as a loan.

But if HMRC loses the appeal, this does raise the interesting, albeit hypothetical, question of what would have happened if the case had never been brought. Maybe they would never gone under. But more practically, maybe other clubs will adopt this practice-turning the UK into a football player tax haven.

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The Sports Corruption Industry

and the Great Cover-Up II

10,000 Hours and the Enigma of Chris Eaton

by DECLAN HILL (Blog 04-12-2012)

To review – there is a now an anti-match-fixing industry. It is like the post 9/11 anti-terrorist-complex in the United States, a self-generating, commercially motivated phenomenon. So in the same way it did not benefit the anti-terrorist industry for Osama bin Laden to be captured (rather they want terrorists to be out there, uncaptured – something vague and ill-defined to allow the industry to continue) – so too is it with the anti-match-fixing industry. As an industry it does not benefit if the fixers are captured or stopped, rather it benefits the industry for the fixers to carry on while they plan various activities.

Part of the reason for this situation is described by the Canadian writer and commentator Malcolm Gladwell in his book Outliers. Gladwell writes of the need for ‘10,000 hours’ of practice before a person becomes proficient in their field. So too is it in the sports anti-corruption industry. In the first article in this series, I wrote of the generations of experts and consultants who had arisen in this field purportedly to fight against corruption in sports. I wrote about the first generation in ‘The Fix’. But now the generation that came up after the release of the book is being gradually supplanted by new arrivals.

The problem is that often just as these ‘experts’ become useful – just as they accumulate enough information and knowledge to understand the true nature of the fight, then they are pushed out of the field or marginalized. This is not accidental. The status quo does not want real change. They are helping cover-up one of the worst corruption scandals in sports, and as people begin to appreciate what is going on, they are often given the boot. The best example of this phenomenon is the career of Chris Eaton, the former head of integrity at FIFA.

In my opinion, Chris Eaton entered FIFA like a jerk and left like a lion. He made two early mistakes. The first was that he showed an inclination to downplay the work of earlier anti-corruption fighters, while touting the benefits of FIFA leading the fight against corruption in sports.

Second, Eaton gathered around him a stable of tame sports journalists. Their relationship was close, but informal. The unspoken and mostly unrealized quid pro quo between them was that Eaton would give them information and they would write articles praising Eaton as the best, and often only, fighter against sports corruption.

The problem about these paeans was that they were not true. Much of the work they ascribed to Eaton was actually the work of other people. Eaton would go visit various police match-fixing investigations to provide law enforcement with FIFA’s perspective. Then what actually happened (and I have been told the same story by a number of different police investigators) was that the press would give Eaton the credit for the police investigations. The investigators were furious. For them it was the worst of worlds, their investigations were potentially being hindered and they were not getting the proper credit for their fight against match-fixing.

However, gradually something started to happen with Eaton. As he began to acquire knowledge, he began to be aware of the true situation with match-fixing. He began to do genuinely brilliant work. Some of his team of investigators are superb. The plans and programs Eaton tried to put in place at FIFA for fighting corruption in international football are textbook examples of good preventative anti-corruption work. But it was too late. FIFA is not an organization where second-tier executives are supposed to take the media limelight from Sepp Blatter and Eaton had received far too much praise and column inches. More importantly, FIFA is not an organization that has a culture that welcomed Eaton’s excellent plans for fighting corruption. A genuine program of anti-corruption at FIFA was about as welcome as a drunk Uncle at a Mennonite wedding. So Eaton and many of his investigators were gradually shown the door at FIFA.

Now Eaton continues to fight against corruption in sports. He usually says interesting and truthful things. He should be listened to. The problem is that he is working for what many people perceive as a walking oxymoron – a Qatari anti-corruption agency. Few sports commentators, after the problems in awarding the 2022 World Cup, believe that the Qataris are disinterested in their pursuit of sports corruption. They may be, but few people believe it.

Overall, though Chris Eaton’s anti-match-fixing career mirrors what happens to many sports consultants and experts in the anti-match-fixing field – once they become aware of what is actually going on they are marginalized. This is done, in part, to protect the status quo and continue the great cover-up. More soon…

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IL SECOLO XIX 05-12-2012

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Missing Eritrean Soccer Players

Seek Asylum in Uganda: Official

By REUTERS (The New York Times | December 6, 2012 at 4:29 AM ET)

(Editing by DRAZEN JORGIC & PATRICK JOHNSTON)

KAMPALA (Reuters) - Eritrean soccer players who disappeared from their hotel in Uganda over the weekend have sought asylum in the east African country, a senior Ugandan government official said on Thursday.

Mass defections by Eritrean soccer players are becoming common as the country is one of the world's most secretive states ruled by a reclusive president.

This year United Nations human rights chief Navi Pillay accused the Asmara government of meting out summary executions, torture and detaining thousands of political prisoners.

"It's true 17 players and a doctor from Eritrea have come to us claiming that they feel unsafe at home and that they want asylum in Uganda," Musa Ecweru, junior minister for disaster preparedness and refugees, told Reuters.

"So we have told police to stop hunting for them and we have also given them asylum seekers' forms."

The Eritreans had disappeared from their hotel over the weekend after losing 2-0 to Rwanda on Friday during the Council for East and Central Africa Football Associations (CECAFA) competition.

In July last year 13 members of an Eritrean soccer club sought asylum in Tanzania while 12 members of the national squad disappeared in Kenya in 2009 after competing in a regional tournament.

Ecweru said the Eritreans would have to undergo the normal verification process that all asylum seekers are subjected to before their asylum bid is processed.

"They will be interviewed by a committee and they will be subjected to rigorous questioning to determine whether their reasons for fleeing their country are genuine."

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Calciopoli

Appello, a Giraudo 1 anno e 8 mesi

di FULVIO BUFI (CorSera 06-12-2012)

NAPOLI — Si è concluso ieri a Napoli il primo processo d'appello — nei confronti degli imputati che avevano scelto il rito abbreviato — per la vicenda Calciopoli. L'ex amministratore delegato della Juventus, Antonio Giraudo (foto), è stato condannato a un anno e otto mesi per associazione per delinquere e frode sportiva. In primo grado il manager era stato condannato a tre anni, perché considerato tra i promotori dell'associazione per delinquere che avrebbe pilotato in favore della Juventus l'andamento del campionato 2004-2005, e responsabile di tre episodi di frode sportiva. I giudici d'appello hanno ritenuto invece che la sua responsabilità sia relativa a un solo episodio (per gli altri due è stato quindi assolto), e che il suo ruolo nell'associazione non sia stato quello di promotore ma solo di partecipante. Una sentenza, quindi, che ridimensiona le responsabilità di Giraudo, ma nello stesso tempo conferma le tesi sostenute dall'accusa. Assolti, invece, l'ex presidente dell'Aia Tullio Lanese, e gli ex arbitri Tiziano Pieri e Paolo Dondarini.

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APPELLO DEL RITO ABBREVIATO

Calciopoli, un anno

e 8 mesi a Giraudo

Condannato per associazione e una sola frode (Udinese-Juve).

Assolti Lanese, Pieri e Dondarini

di ANTONIO GIORDANO (CorSport 06-12-2012)

NAPOLI - Calciopoli c'era, eccome se c'era, come sostenuto dai processi: ma quando la quarta sezione della Corte di Appello di Napoli, presieduta da Maurzio Stanziola, emette la sentenza, ciò che resta di quegli anni è l'espressione vaga, assai stranita, parecchio sconcertata di Massimo Krogh e Michele Galasso, i legali di Antonio Giraudo, in sintesi l'unico colpevole di questa tranche del processo che per il prossimo 24 maggio prevede il rientro in campo (per l'appello) di Luciano Moggi. «Al di là delle due assoluzione ottenute, siamo molto delusi e sorpresi dalla decisione e non ci aspettavamo questo epilogo. Aspettiamo le motivazione, ricorreremo in Cassazione» .

In principio, furono tre anni; e stavolta, invece, restano venti mesi: ma Antonio Giraudo, l'ex ad della Juventus, pur senza essere più ritenuto «promotore» rimane responsabile d'associazione per delinquere e di un solo episodio di frode sportiva (il 2-1 sull'Udinese, nel 2004-2005). Poi, c'è una raffica di assoluzioni per l'intero corpo abitrale, che tira un sospirone di sollievo dopo le richieste del pg Esposito sono state respinte: passa dunque la linea del gup, Eduardo De Gregorio, che nel 2009, al termine del rito abbreviato, assolse gli ex arbitri Cassarà ( «E’ una vittoria della giustizia, con la G maiuscola, e non dei surrogati che sono stati usati in altre situazioni» ) e Gabriele, Gianluca Rocchi - tuttora in servizio permanente - e Messina, e gli assistenti Baglioni, Griselli e Foschetti. Ma ad uscire dal tunnel sono soprattutto Tullio Lanese (aveva avuto due anni), Tiziano Pieri (due anni e quattro mesi) e Paolo Dondarini (ventiquattro mesi pure per lui), assolti per insufficienza di prove e dunque liberati da quel macigno.

Per Lanese - nell'attesa di studiare una eventuale azione risarcitoria - è arrivato il momento della vacanza ( «ho vissuto momenti difficili, ora mi riposerò fino a gennaio e poi penserò a cosa fare per quello che ho subito» ). Per Gabriele «tutti noi siamo persone perbene e lo dimostrano i fatti» . Mentre a Dondarini - che si è commosso con il proprio legale, Bordoni, quando ha saputo della sentenza - resta un fondo d'amarezza, «perché nessuno mio potrà restituire quella parte di vita professionale ad alto livello che ho perso» . Pieri è emozionato, quasi stordito, e sfoga il dolore di anni: «E la vittoria dell'Aia, gli arbitri sono la parte sana di questo mondo. Io ho perso nel giorno in cui mi hanno tolo la possibilità di fare ciò che amavo. Qui si è giocato con il fuoco, con la vita di gente» .

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Diffamò Auricchio

Moggi, altro processo

art.non firmato (CorSport 06-12-2012)

ROMA - Altro processo in vista per Luciano Moggi, nell'ambito della vicenda Calciopoli. Lo ha disposto il gup di Roma, Cinzia Parasporo, accogliendo le richieste del pm Antonio Calaresu. Diffamazione (nel corso di Porta a Porta del 14 gennaio) nei confronti dell'allora tenente colonnello dei carabinieri Attilio Auricchio, uno degli investigatori sulla cosiddetta Calciopoli, il reato contestato. Il processo si svolgerà il 17 luglio prossimo davanti il giudice monocratico Aurora Cantillo. E’ stato chiesto un risarcimento danni di 100 mila euro.

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il Fatto Quotidiano 06-12-2012

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APPELLO CALCIOPOLI

Venti mesi a Giraudo

Assoluzione per gli arbitri

di CARMINE SPADAFORA (il Giornale 06-12-2012)

L’ex amministratore delegato della Juventus, Antonio Giraudo è stato condannato dalla Corte di Appello di Napoli a un anno e otto mesi di reclusione. L’ex ad juventino non andrà in carcere: la Corte ha infatti sospeso la pena. Giraudo, giudicato nell’ambito del cosiddetto processo Calciopoli, è stato condannato per associazione per delinquere e frode sportiva. Una vittoria dunque per la Procura generale che aveva chiesto la condanna dell’ex dirigente juventino. In primo grado Giraudo era stato condannato a 3 anni di carcere, in appello il pg aveva chiesto 4 anni. Nonostante la differenza delle pene comminate tra primo e secondo grado, per il pg Carmine Esposito la sostanza non cambia: «È stata confermata l’associazione a delinquere, questo implica la conferma dell'impianto accusatorio generale. Per ulteriori ragionamenti attendiamo le motivazioni». Giraudo è stato assolto per insufficienza di prove da due capi di imputazione relativi entrambi a presunte frodi sportive. La nuova sconfitta in aula ha provocato delusione nei legali di Giraudo. Gli avvocati Massimo Krogh e Michele Galasso hanno detto che «al di là delle due assoluzioni ottenute, siamo molto delusi e sorpresi dalla decisione odierna. Non ci aspettavamo questo epilogo. Aspettiamo il deposito delle motivazioni della sentenza e certamente ricorreremo in Cassazione». «O l’associazione a delinquere la facevamo solo in due, io e Giraudo, oppure è difficile continuare a crederci.. . », il commento di Luciano Moggi.

La Corte di Appello ha invece assolto per insufficienza di prove l'ex presidente dell'Aia Tullio Lanese e gli ex arbitri Tiziano Pieri e Paolo Dondarini che erano stati condanni in primo grado dal giudice dell’udienza preliminare con rito abbreviato.

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Calciopoli Pena ridotta rispetto ai tre anni dell primo grado. Il verdetto:

responsabile di associazione a delinquere e di un episodio di frode sportiva

A Giraudo un anno e 8

mesi, assolti gli arbitri

La sentenza a Napoli: l’ex ad della Juventus condannato in appello

Delusione I legali: sarà ricorso. Per Lanese, Pieri e Dondarini commozione e gioia

di LEANDRO DEL GAUDIO (IL MATTINO 06-12-2012)

Regge anche in appello l’ipotesi battuta dalla Procura di Napoli alla base del processo calciopoli: c’è stata, tra il 2004 e il 2005, un’associazione per delinquere che avrebbe condizionato lo svolgimento del campionato di calcio di serie A. È il punto chiave della sentenza pronunciata ieri dai giudici di Corte d’appello (presidente Maurizio Stanziola) a carico di Antonio Giraudo, ex ad della Juventus, che aveva scelto di essere giudicato in primo grado con il rito abbreviato: per lui una condanna a un anno e otto mesi, in quanto riconosciuto responsabile di associazione per delinquere e di un solo episodio di frode sportiva (Juventus-Lecce 2-1, campionato 2004-2005), rispetto ai tre anni di reclusione disposti nel 2009 dal gup Eduardo De Gregorio. Giraudo è stato invece assolto ad altre due presunte frodi sportive, relative a Udinese-Brescia e Juventus-Lazio. Arriva a caldo il commento dei legali di Giraudo, i penalisti Massimo Krogh e Michele Galasso: «Al di là delle due assoluzioni ottenute, siamo molto delusi e sorpresi dalla decisione odierna. Non ci aspettavamo questo epilogo. Aspettiamo il deposito delle motivazioni della sentenza e certamente ricorreremo in Cassazione». Aula 314, c’è spazio anche per le lacrime di gioia di chi viene assolto, vale a dire degli altri tre imputati per i quali il sostituto procuratore generale Carmine Esposito aveva chiesto la condanna ai giudici d’appello: sono stati così assolti, in base al secondo comma dell’articolo 530 (insufficienza di prove) l’ex presidente dell’Aia Tullio Lanese, e gli arbitri Tiziano Pieri e Paolo Dondarini (che in primo grado erano stati condannati rispettivamente a due anni, due anni e quattro mesi, e due anni di reclusione).

Ma non è tutto. La Corte ha infine respinto l’impugnazione del sostituto pg nei confronti di una serie di imputati che erano stati assolti in primo grado: Stefano Cassarà, Marco Gabriele, Duccio Baglioni, Gianluca Rocchi, Giuseppe Foschetti, Alessandro Griselli e Domenico Messina (per loro proposte condanne oscillati dai due a un anno e 4 mesi di reclusione, erano difesi dai penalisti Antonio Cirillo, Eugenio Cricrì, Paolo Gallitelli, Gaetano Laghi, Luigi Tuccillo). Resta centrale il verdetto a carico dell’ex ad della Juventus: a voler interpretare il dispositivo, non passa la tesi sostenuta in secondo grado di indicare Giraudo come un promotore della presunta associazione per delinquere, dal momento che la condanna vibrata ieri pomeriggio tiene in considerazione del ruolo del manager come partecipe di una organizzazione retta, tra gli altri, da Luciano Moggi. Giraudo è stato inoltre condannato alle spese sostenute dalle parti civili, ovvero la Figc, dal Bologna Football club, dall’Atalanta bergamasca calcio spa, liquidate in complessivi 5000 euro e La Casa del Consumatore per complessivi 3000 euro, mentre per le ulteriori sanzioni civili viene confermata la sentenza di primo grado emessa nel 2009 dal gup De Gregorio.

Una sentenza destinata a pesare anche nel processo d’appello del filone ordinario in cui sono imputati, tra gli altri, Moggi, Bergamo e l’arbitro De Santis, in un dibattimento che punta a definire l’esistenza della presunta cupola del calcio, ma anche lo spessore del suo ipotizzato potere di influenza.

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Le reazioni

Il pg Esposito: accuse confermate

Moggi: solo noi? Una barzelletta

art.non firmato (IL MATTINO 06-12-2012)

«Non so se questa sentenza sia la fine di Calciopoli. Certo che avendo assolto tutti mi viene da chiedere: o l'associazione a delinquere la facevamo solo in due, io e Giraudo, oppure è difficile continuare a crederci...». Così Luciano Moggi commenta su panorama.it la sentenza d'appello su calciopoli.

Poi Moggi continua: «Mi fa piacere in particolare l'assoluzione dell'arbitro Pieri, due figli, incriminato senza aver mai commesso nulla. È per lui e per quelli come lui che ho lottato. Per qualche tempo ha anche fatto il commesso in un supermercato per tirare avanti. E poi penso all’altro arbitro Dondarini, una brava persona. Sono contento per gli arbitri perché sono brave persone che non avevano nulla a che fare con me - prosegue Moggi - se non per i contatti sul campo». Moggi è soddisfatto: «Basti pensare che il procuratore generale aveva chiesto 4 anni per Giraudo. Ma quando vengono a cadere i capi di imputazione vuol dire che non è stato fatto nulla. Cosa rimane?». Rimane Juventus-Udinese. «È una barzelletta...».

«Ci speravo, ora mi rilasso per un mese e a gennaio penserò a eventuali azioni da intraprendere dopo quanto passato finora», la prima reazione di Tullio Lanese, ex presidente dell'Aia, dopo l'assoluzione. Il sostituto procuratore generale, Carmine Esposito, è apparso soddisfatto: «È stata confermata l'associazione a delinquere per Giraudo, questo implica la conferma dell'impianto accusatorio».

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Il filone

E adesso l’appello ordinario

art.non firmato (IL MATTINO 06-12-2012)

Sarà assegnato a una sezione della corte d’appello di Napoli il filone ordinario del processo calciopoli. Non c’è ancora una data per la prima udienza a carico - tra gli altri - di Luciano Moggi. Decisive nel corso dell’istruttoria la gestione di schede riservate, ritenute riconducibili a Luciano Moggi, schede «dedicate» e usate per il traffico di informazioni riservate tra addetti ai lavori. Un elemento ritenuto centrale dai giudici di primo grado.

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IL ROMANISTA 06-12-2012

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Il Sole 24ORE 06-12-2012

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IL TEMPO 06-12-2012

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Maxisconto

Venti mesi a Giraudo

Gli arbitri sono assolti

Pena quasi dimezzata per l'ex a.d. Juve: ridotta l'associazione

Esultano Lanese, Pieri e Dondarini: «Ne usciamo a testa alta»

di VALERIO PICCIONI (GaSport 06-12-2012)

Un anno e otto mesi ad Antonio Giraudo. Assoluzione per Tiziano Pieri, Tullio Lanese e Paolo Dondarini. Traduzione: l'associazione a delinquere di calciopoli viene confermata, ma è sempre più piccola. Dice più o meno questo, aspettando le motivazioni, il dispositivo della sentenza letta ieri dal presidente della quarta sezione della Corte di Appello di Napoli, Maurizio Stanziola. Il processo del rito abbreviato finisce con la sola condanna dell'ex dirigente juventino, che fra i tre anni del primo grado e i quattro della richiesta dell'accusa, ottiene un significativo sconto: Udinese-Brescia e Roma-Juventus vengono infatti «assolte». Resta, invece, in piedi la sua responsabilità per Juventus-Udinese (2-1) e come membro, ma non promotore, dell'associazione. Da dove escono, però, Tiziano Pieri e Tullio Lanese, arbitro e presidente dell'Aia nel 2004-2005.

Gli arbitri esultano Sono gli arbitri assolti in base al secondo comma dell'articolo 530 (l'insufficienza di prove di una volta, l'attuale codice di procedura penale ha però attenuato il valore della specifica), dopo la condanna in primo grado (Pieri aveva avuto 2 anni e 4 mesi, Lanese e Dondarini 2 anni), con i loro colleghi assolti nel 2009 su cui la Procura si era appellata (Cassarà, Gabriele, Baglioni, Foschetti, Griselli, Messina e Rocchi), a esultare. Pieri aveva rinunciato alla prescrizione, dopo la sentenza spiega ciò che dirà al figlio: «Chi nasce quadrato non può diventare tondo». E poi: «Questa è la vittoria della classe arbitrale». Lanese si commuove e annuncia di volersi rivalere «su quelli che mi hanno fatto del male in questi anni».

Giraudo ricorrerà Giraudo era in aula con il figlio. I suoi avvocati Massimo Krogh e Andrea Galasso si dichiarano «delusi e sorpresi, attendiamo le motivazioni d'una sentenza avverso alla quale ricorreremo». Secondo il procuratore generale Carmine Esposito, «c'è la conferma implicita dell'impianto accusatorio». Per il primo pm dell'inchiesta, Giuseppe Narducci, la sentenza dice che «passano gli anni, cambiano gradi di giudizio e magistrati, ma continua a essere affermata la stessa verità: c'era un'associazione per delinquere».

Lettura differente Il verdetto di ieri però si allontana dal primo grado «ordinario», che condannò fra gli altri Moggi, Pairetto e Bergamo (che non scelsero il rito abbreviato). La stessa accusa di possesso di schede riservate non è stata ritenuta credibile per Pieri. Uno dei difensori, Gallinelli (ha difeso Baglioni, assolto), parla di associazione «zoppa» e spera nell'appello del rito ordinario, dove difenderà De Santis. Come dire: non è finita.

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LO SFOGO

Moggi: «È la fine di Calciopoli»

A luglio a giudizio per diffamazione

art.non firmato (GaSport 06-12-2012)

Il prossimo 24 maggio toccherà a lui, Luciano Moggi. Presso la Sesta Sezione della Corte di Appello di Napoli si aprirà il processo di secondo grado per gli imputati che non avevano chiesto il rito abbreviato. L'ex d.g. della Juve ieri, su Panorama.it, ha rilasciato le prime dichiarazioni sulla sentenza che ha condannato Antonio Giraudo ma assolto gli arbitri: «Non so se questa sentenza sia la fine di Calciopoli — ha rivelato Moggi — Certo che avendo assolto tutti mi viene da chiedere: o l'associazione a delinquere la facevamo solo in due, e cioè io e Giraudo, oppure è difficile continuare a crederci...». Moggi ha poi aggiunto: «Quando vengono a cadere i capi di imputazione su quasi tutte le partite vuol dire che non è stato fatto nulla. Lo aveva già detto la sentenza della Casoria e ora vengono assolti gli arbitri. Cosa rimane?». E proprio sui direttori di gara ha ammesso: «Mi fa piacere in particolare l'assoluzione di Pieri, padre di due figli, incriminato senza aver mai commesso nulla e che qualche tempo ha anche fatto il commesso in un supermercato per tirare avanti. E poi penso a Dondarini, una brava persona. Sono contento per gli arbitri perché sono brave persone che non avevano nulla a che fare con me se non per i contatti sul campo».

Moggi è stato intanto rinviato a giudizio per diffamazione dall'ufficiale dei Carabinieri Attilio Auricchio: quest'altro processo partirà il 17 luglio.

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Calciopoli

Sentenza a Napoli, condannato l’ex ad bianconero

Venti mesi a Giraudo

associazione a delinquere

ma è sconto in appello

Assolti Lanese e gli arbitri Pieri e Dondarini

di MARCO MENSURATI (la Repubblica 06-12-2012)

La «Cupola di Calciopoli» c’era. Era meno estesa di quanto inizialmente sostenuto dall’accusa ma è esistita e ha manipolato la serie A. È questo il verdetto emesso ieri dalla quarta corte d’appello di Napoli che ha condannato l’ex ad della Juventus Antonio Giraudo a un anno e otto mesi di carcere (con sospensione della pena) per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, e in particolare per una frode sportiva, quella di Juventus-Udinese 2-1 del 13 febbraio 2005. Respinta l’aggravante (“essere promotore e capo dell’associazione”); e diminuita di un anno e quattro mesi la pena inflitta in primo grado (cadute le accuse relative a due frodi sportive).

Assolti gli altri 10 imputati. In particolare, i tre esponenti del mondo arbitrale che erano stati condannati in primo grado (gli altri sette che erano stati già assolti): il capo dell’Aia Lanese (accusato di far parte della cupola) e i due arbitri Pieri e Dondarini, commossi alla lettura della sentenza. Ma anche queste assoluzioni, indirettamente, confermano l’impianto dell’accusa: «Perché — spiega soddisfatto il pg Carmine Esposito — i giudici hanno usato la formula “per non aver commesso il fatto” e non la formula “perché il fatto non sussiste”. Vale a dire, ad esempio, che per Juve-Lazio e Chievo-Fiorentina, è stato sì assolto Dondarini, ma è stato anche riconosciuto che “il fatto” c’è stato: un particolare che potrebbe pesare nel corso del processo d’appello ai restanti imputati (al via il prossimo 24 maggio, ndr), perché conferma una delle finalità di quell’associazione a delinquere, il salvataggio di Lazio e Fiorentina».

Dopo tre gradi del giudizio sportivo, dopo una sentenza della corte dei conti, dopo due diversi processi penali di primo grado, quella di ieri è la settima sentenza (emessa da un settimo diverso giudice) su Calciopoli: e per la settima volta l’impianto accusatorio costruito dai pm Fillippo Beatrice e Giuseppe Narducci ha retto agli assalti delle pur agguerritissime difese. Soddisfatto Narducci: «Mi auguro che da oggi, dopo sei anni, tutti vogliano cominciare a fare i conti con questo dato, con serenità, senza più invocare il complotto della spectre mondiale ». Più freddo Beatrice: «Aspettiamo le motivazioni (pronte in 90 giorni, ndr).

I giudici d’appello dovranno motivare l’associazione e questo magari aiuterà nell’altro processo». Molto meno soddisfatti («sorpresi e delusi») gli avvocati di Giraudo. «Faremo appello in cassazione», annuncia l’avvocato Massimo Krogh. Lo stesso farà l’accusa che vuole vedere riconosciuta contro Giraudo anche l’aggravante di essere stato uno dei promotori dell’associazione, anche per evitare sorprese con la prescrizione (il reato aggravato si prescrive più tardi).

Sia pure con cautela, Paolo Gallinelli l’avvocato dell’arbitro Duccio Baglioni (ieri assolto) intravede nella sentenza qualche spiraglio per l’altro suo assistito, l’arbitro Massimo De Santis, condannato per associazione a delinquere: «Con tutte queste assoluzioni, l’associazione perde il suo esercito e diventa più fragile», dice insieme a Luciano Moggi che irrompe nel merito della decisione: «Non so se questa sentenza sia la fine di Calciopoli. Certo che avendo assolto tutti mi viene da chiedere: o l’associazione a delinquere la facevamo solo in due, io e Giraudo? ». La risposta alla domanda di Moggi è però contenuta nella sentenza di primo grado, quella celebrata con rito ordinario: insieme con Moggi e Giraudo sono stati condannati come membri dell’associazione anche Pairetto e Bergamo (designatori), Mazzini (vice presidente Figc), De Santis, Racalbuto, Bertini e Dattilo (arbitri). Erano loro, secondo i giudici, la «Cupola di Calciopoli»

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Calciopoli

Sconto per Giraudo:

da tre anni a venti mesi

Resta l’associazione a delinquere.

Arbitri: assolti Lanese, Pieri e Dondarini

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 06-12-2012)

Un’associazione per delinquere con meno peso specifico. I verdetti d’appello di Calciopoli del rito abbreviato condannano l’ex amministratore delegato della Juve Antonio Giraudo a un anno ed otto mesi (di tre la pena in primo grado) perchè partecipe all’associazione, ma non promotore come lo aveva indicato il sostituto procuratore generale Carmine Esposito sostenendo l’accusa e chiedendo per l’ex ad quattro anni di pena. Giraudo vede cadere due dei tre capi di imputazione per frode sportiva e rimanere in piedi solo la condanna per la partita Juve-Udinese del 13 febbraio del 2005, sfida per la quale sono stati assolti l’arbitro Rodomonti e gli assistenti Foschetti e Gemignani.

L’associazione a delinquere esce con meno peso specifico dall’appello del rito abbreviato perchè, ieri, il collegio presieduto da Maurizio Stanziola ha cancellato i due anni di pena per Tullio Lanese, all’epoca dei fatti presidente dell’Aia, e i ventotto mesi di condanna per Tiziano Pieri, entrambi usciti dal primo grado come associati e il secondo, secondo il teorema accusatorio, in possesso della sim straniera. Assolto anche Dondarini che per la frode sportiva era stato condannato in primo grado a a 2 anni.

Calciopoli conosce, così, una nuova tappa all’infinito capitolo. Giraudo, accompagnato in aula al tribunale di Napoli dal figlio, ha già annunciato ricorso in Cassazione («Siamo delusi e stupiti da questo epilogo, ma non finisce qua...», hanno precisato i legali dell’ex ad bianconero Krogh e Galasso), mentre il sostituto procuratore generale Esposito spiega come «l’associazione sia rimasta in piedi...». Chi esce dal processo definitivamente è, fra gli altri, l’ex numero uno dei fischietti Lanese (di undici imputati a processo con il rito abbreviato, solo Giraudo è stato condannato). «Mi sono sentito liberato fisicamente da un tremendo peso dopo sei anni di sofferenza: adesso - così Lanese - mi prenderò tutto il tempo per fare qualcosa a chi mi ha fatto tanto male». Il prossimo 24 maggio comincerà l’appello per tutti coloro, come Luciano Moggi, hanno scelto di farsi giudicare con il rito ordinario: la sentenza di ieri ha detto che la presenza degli arbitri nell’associazione si è sensibilmente ridotta, compresa quella di chi, come Pieri, veniva indicato dall’accusa in possesso delle famose carte telefoniche straniere.

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Calciopoli resiste ancora

Un anno e otto mesi a Giraudo

in appello. Assolti gli arbitri

I giudici riconoscono l’associazione per delinquere,

ma l’ex ad della Juve non ne fu il promotore

di SIMONE DI STEFANO (l'Unità 06-12-2012)

«SERVIREBBE UN ATTO DI GIUSTIZIA CORAGGIOSO AFFINCHÉ LA VERITÀ TRIONFI. C'È TUTTO QUESTO CORAGGIO?», SI DOMANDAVA QUALCUNO ALL'ESTERNO DEL TRIBUNALE DI NAPOLI, MENTRE I GIUDICI DELLA IV SEZIONE DELLA CORTE D'APPELLO ERANO ANCORA RITIRATI IN CAMERA DI CONSIGLIO PER DELIBERARE SUI RICORSI DI CALCIOPOLI. In appello, la costola del processo svolto secondo rito abbreviato davanti al giudice Stanziola ha confermato la condanna soltanto per l’ex ad della Juventus, Antonio Giraudo, a un anno e 8 mesi di reclusione. Uno sconto rispetto ai tre anni del primo grado, perché viene tolto il ruolo di «promotore» come richiesto dalla sua difesa. «La Corte ha riconosciuto la sussistenza del reato associativo », precisa a margine il procuratore generale Carmine Esposito, sottolineando come Giraudo sia stato comunque condannato per associazione per delinquere, anche se per un unico episodio di frode sportiva relativo alla partita Juve-Udinese (2-1), mentre decadono le accuse su Udinese-Brescia e Roma-Juve. La Corte ha invece rigettato l’impugnazione nei confronti di altri imputati che erano stati assolti in primo grado. Prosciolti l’ex presidente dell’Aia Tullio Lanese e gli ex arbitri Tiziano Pieri e Paolo Dondarini, confermate anche diverse assoluzioni in primo grado, come quella dell’arbitro Gianluca Rocchi, l’unico ancora in attività.

Un’appendice che segue il verdetto di primo grado del processo principale, con la sentenza della giudice Teresa Casoria che sembrava aver posto un caposaldo per le accuse quando – pur condannando Moggi proprio per associazione – spiegò che non vi erano «evidenze» sulle manipolazioni dei sorteggi arbitrali, né sulle ammonizioni pilotate. Per chi lo avesse dimenticato (o forse rimosso), il nocciolo di Calciopoli. L’altro sono le diverse intercettazioni «nuove» che per la difesa l’ex pm Giuseppe Narducci non avrebbe preso in considerazione. «Dopo le tante polemiche sulla nostra indagine, prendo atto – ha sentenziato ieri l’ex pubblico ministero - che il giudice di appello ha confermato che in Italia in quegli anni è esistita un’associazione per delinquere che ha deformato il campionato di calcio. E che il dottor Antonio Giraudo ne è stato sicuramente partecipe. Prendendo atto di questo, spero che nel mese di dicembre dell’anno di grazia 2012, si ponga fine ad ogni ulteriore tentativo di sostenere che qualcuno ha cercato di costruire prove, di occultarle, o di perseguitare qualcuno con indagini a senso unico. Perché ora c’è un dato incontestabile: passano gli anni, cambiano i gradi di giudizio e i magistrati chiamati a decidere, eppure continua ad essere affermata sempre la stessa verità: c’era un’associazione per delinquere».

Dopo un mese e mezzo di udienze ieri il pg ha riassunto l’opera delle difese come un «effetto teatrale», riferendosi all’ascolto in aula di quelle telefonate dimenticate. «In realtà – sentenzia il pg prima del verdetto - le intercettazioni nel suo complesso mostrano che le modalità erano molto più efficaci e che esse intendevano alterare l’andamento del campionato anche attraverso l’intervento in partite di altre squadre con le ammonizioni mirate anche magari collocando a riposo un arbitro non gradito. Illuminante è la telefonata del 9 febbraio 2005 tra Bergamo e Moggi. In questa telefonata Bergamo è asservito a Moggi nella formazione delle griglie, Moggi gliele detta proprio». L’avvocato Gallinelli auspicava altro quando ha citato un detto di Cicerone: «Nella medesima situazione non deve accadere che alcuni vengano duramente colpiti ed altri nemmeno chiamati in causa», riferendosi al fatto che molte di queste intercettazioni non siano state mai prodotte nemmeno alla giustizia sportiva. «Io un’associazione come questa non l’ho mai vista, e sono 40 anni che la tratto. C’è una circostanza ed è quella che se fosse stata forte, Pairetto e Bergamo sarebbero stati reincaricati e ciò non è successo», ha concluso Tullio Lanese prima di guadagnare il proscioglimento.

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Libero 06-12-2012

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CALCIOPOLI

Giraudo, 1 anno e 8 mesi

in appello. Arbitri assolti

Pena ridotta per l’ex amministratore delegato della Juve

Resta l’associazione a delinquere, prosciolti Pieri &co

In primo grado era stato condannato a tre anni ma la difesa non esulta

di NICOLA SELLITTI (Pubblico 06-12-2012)

Tutti assolti, tranne uno. Antonio Giraudo, ex amministratore delegato della Juventus, condannato a un anno e otto mesi di reclusione nel secondo atto del processo di Calciopoli. La decisione di ieri della IV Corte d’Appello del Tribunale di Napoli rivede la pena comminata in primo grado (tre anni) all’ex dirigente bianconero caro a Umberto Agnelli. Uno dei protagonisti del processo-scandalo che ha coinvolto anche l’ex direttore generale della società torinese, Luciano Moggi, oltre a dirigenti, arbitri e giornalisti. Si trattava del secondo grado di giudizio per i condannati che avevano scelto il rito abbreviato. Oltre alla decurtazione della pena di Giraudo, il tribunale napoletano ha deciso di assolvere dieci imputati, tra cui l’ex presidente dell’Associazione italiana arbitri Tullio Lanese (due anni per frode sportiva), gli ex arbitri Tiziano Pieri (due anni e quattro mesi) e Paolo Dondarini (due anni), condannati in primo grado. Per loro, assoluzione piena, il fatto non sussiste. E confermate anche le assoluzioni già pronunciate in primo grado, fra cui quella a Gianluca Rocchi, l’unico direttore di gara ancora in attività che figurava fra gli imputati.

Per Giraudo resta invece la condanna più pesante, associazione per delinquere mentre cade l’aggravante di esserne promotore per la quale il Procuratore generale Carmine Esposito aveva chiesto un inasprimento della pena fino a 4 anni. A carico di Giraudo, un unico episodio di frode sportiva, per Juventus-Udinese (2-1) del 3 dicembre 2005. Assoluzione per altre due presunte frodi sportive (Udinese-Brescia e Roma-Juve). Il Tribunale di Napoli ha pure stabilito la sospensione della pena. «Al di là delle due assoluzioni ottenute, siamo molto delusi e sorpresi dalla decisione odierna. Non ci aspettavamo questo epilogo. Aspettiamo il deposito delle motivazioni della sentenza e certamente ricorreremo in Cassazione», il commento a caldo dei legali di Giraudo mentre sollievo e soddisfazione hanno espresso gli ex fischietti Lanese, Pieri e Dondarini.

Soddisfazione piena anche da parte di Giuseppe Narducci, il pm che ha condotto le indagini di Calciopoli insieme ai Carabinieri. «Prendo atto che il giudice di appello ha confermato che in Italia, nel periodo oggetto delle nostre indagini è esistita un’associazione per delinquere che ha deformato il campionato di calcio. E che il dottor Antonio Giraudo ne è stato sicuramente partecipe. Spero che nel mese di dicembre dell’anno di grazia 2012, si ponga fine ad ogni ulteriore tentativo di sostenere che qualcuno ha cercato di costruire prove, di occultarle, o di perseguitare qualcuno con indagini a senso unico. Perché, come dire, ora c’è un dato incontestabile: passano gli anni, cambiano i gradi di giudizio e i magistrati chiamati a decidere, eppure continua ad essere affermata sempre la stessa verità: c’era un’associazione per delinquere». Più stringato il suo ex collega di indagine, Beatrice. «Prendo atto della sentenza, aspetto di leggerne le motivazioni. Dovendo spiegare la decisione di condannare il dottor Giraudo per associazione per delinquere, i giudici potrebbero produrre elementi utili per l’altro processo di appello». Dunque, per Giraudo pena alleggerita. Con una conferma: la Cupola esisteva. Ed è stata certificata oltre che dalle sentenze di tutti i gradi della giustizia sportiva, anche da altre tre sentenze tre (due di primo grado e una di secondo) della giustizia penale. Confermando l’impianto che il 14 dicembre 2009 condannava Giraudo per frode sportiva e associazione per delinquere.

Solo in parte i legali di Giraudo hanno smontato le tesi dell’accusa, la scorsa settimana. Secondo la difesa, l’ex a. d. bianconero era stato condannato per tre gare della Juventus e quindi non sarebbe stato promotore di frodi calcistiche insieme a Moggi e ad altri. Una teoria che non teneva conto della sentenza Casoria, presidente della IX sezione del Tribunale di Napoli: anche solo l’intenzione di reato vale di fatto come illecito. I riflessi della sentenza a carico di Giraudo potrebbero aver effetto anche sull’Appello, celebrato con rito ordinario, che riguarderà Luciano Moggi (assieme agli ex designatori arbitrali Pairetto e Bergamo) dal 24 maggio 2013. Lucianone è stato condannato nel processo a cinque anni e quattro mesi di reclusione. Intanto, l’ex direttore generale juventino è stato accusato di diffamazione nei confronti dell’allora tenente colonnello dei Carabinieri, Attilio Auricchio, uno degli investigatori dell’inchiesta Calciopoli. Moggi, ospite di Porta a Porta il 14 gennaio 2009, avrebbe offeso la reputazione e l’onore di Auricchio, «un ufficiale dei Carabinieri che ha mentito sapendo di mentire». Processo al via il 17 luglio, con Auricchio che chiede un risarcimento da 100mila euro.

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CALCIOPOLI

Una verità processuale

confermata tre volte

di MATTEO PATRONO (Pubblico 06-12-2012)

A sei anni di distanza dallo scoperchiamento di Calciopoli, c’è una nuova sentenza, l’ennesima, che inchioda alle loro responsabilità i protagonisti del più grave scandalo della storia del calcio italiano. Seppur ridotta da tre anni a un anno e otto mesi, la condanna in secondo grado con rito abbreviato dell’ex amministratore delegato della Juventus, Antonio Giraudo, conferma che è esistita eccome un’associazione a delinquere che attraverso la frode sportiva condizionava e inquinava il campionato di serie A. Altro che Farsopoli e complotti interisti-leninisti-plutotelecomici-massonici. Altro che così facevan tutti, cioè: telefonare ai capi degli arbitri, fare un po’ di lobbying sotto traccia, autodifesa in un mondo di lupi e suvvia, un po’ di sano e necessario controspionaggio. Eh no. Luciano Moggi e la sua banda, di cui Giraudo era parte attiva anche se non capo e promotore al pari di Lucky Luciano, strozzavano il pallone e l’intero calcio italiano coi metodi di una cupola che il pubblico ministero Giuseppe Narducci aveva paragonato a quelli di Gomorra e Cosa Nostra. Tre diversi giudici penali, quelli di primo e secondo grado del rito abbreviato e quelli di primo grado del rito ordinario, l’hanno riconosciuto e ribadito dopo che già tutti i contraddittori processi sportivi della lontanissima estate 2006 erano giunti alla stessa conclusione: Moggi e Giraudo erano colpevoli di aver tradito le leggi dello spor e infatti sono stati radiati a vita.

Qualcuno può credere che lo sconto concesso ieri a Giraudo sia una mezza vittoria per le teorie dei dietrologisti di mezza Italia, quelli di fede bianconera soprattutto. Ma basta vedere le reazioni dei legali dell’ex ad juventino per capire che non è così. Il cardine dell’impianto accusatorio, l’associazione a delinquere, ha retto ancora una volta e anzi ha aggiunto un altro mattone alla verità processuale di Calciopoli. Quella che le difese di Moggi e Giraudo hanno provato a smontare sostenendo l’ardita tesi che una cupola sì esistesse ma col solo scopo di insidiare le virtù sinceramente sportive e meritatamente vincenti della vecchia signora. Roba da ridere o da piangere, come l’idea di dare lo stesso valore e tenore alle telefonate di Moggi e a quelle di Facchetti.

Vabbè. Il futuro dirà come questo processo d’appello influirà su quello che aspetta Lucianone e gli altri accusati eccellenti nella primavera 2013. Per ora c’è che ogni giudizio su quella brutta storia che è stata Calciopoli ha confermato che trattavasi proprio di una storiaccia.

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CALCIOPOLI LE SENTENZE DELLA CORTE D’APPELLO

GIRAUDO PIANGE,

GLI ARBITRI RIDONO

Condanna a un anno e otto mesi per l’ex dirigente

della Juventus. Cadono le accuse contro i fischietti

di PAOLO FRANCI (Quotidiano Sportivo 06-12-2012)

CALCIOPOLI è ancora lì. Scolpita nella condanna a un anno e otto mesi comminata ad Antonio Giraudo dalla Corte d’Appello di Napoli, che in primo grado aveva incassato tre anni di reclusione. Per lui, in appello, sono cadute due imputazioni per frode sportiva (Udinese-Brescia e Roma-Juve) ed è rimasta in piedi Juve-Udinese (2-1) oltre all’accusa più pesante: associazione per delinquere.

Poi, le assoluzioni, piene, rumorose, dal punto di vista dell’impianto accusatorio. Perché escono di scena, assolti, gli arbitri con il loro ex presidente Tullio Lanese (2 anni in primo grado). Sulle sentenze di primo grado che avevano scagionato gran parte dei fischietti, il procuratore generale Carmine Esposito s’è appellato chiedendone la condanna, sbattendo però contro il muro dell’assoluzione. Per l’ex fischietto Tiziano Pieri (2 anni e 4 mesi in primo grado) che, secondo le accusa, era uno di quelli delle sim svizzere e imputato anche per associazione per delinquere (come Lanese) è arrivata l’assoluzione dopo sette anni di tribolazioni. Stesso felice destino per l’altro fischietto Paolo Dondarini (2 anni in primo grado). Escono di scena gli arbitri, dunque e la sentenza indica una via facilmente leggibile: Calciopoli è ancora lì, ma con un’associazione per delinquere svuotata del mondo arbitrale. Sollievo per molti, anche per Gianluca Rocchi, uno dei migliori arbitri in circolazione: «Ero tranquillo — spiega Antonio D’Avirro, legale di Rocchi — , perché Gianluca era già uscito pulito sia dai procedimenti sportivi e penali». E se Giraudo ricorrerà in Cassazione contro la sentenza, gli altri avvocati guardano al secondo round (il 24 maggio prossimo) del processo penale, con Moggi imputato, con rinnovata fiducia. Perché su queste sentenze hanno pesato (anche) le tante crepe del processo penale di primo grado, che ha inflitto pene pesanti, ma anche riconosciuto che il campionato 2004-05 non fu alterato. E ha avuto il suo peso (le motivazioni stabiliranno quale) il lavoro degli avvocati sulle intercettazioni ‘dimenticate’ (alcune ascoltate in aula, ieri) che hanno trovato un netto contrasto con l’ormai famosa frase dell’ex pm Narducci: «Piaccia o non piaccia non ci sono telefonate tra designatori e altri dirigenti» che, invece, c’erano eccome.

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L’avvocato di Dondarini: «Sospiro di sollievo»

Il prossimo round con Moggi è a maggio

art.non firmato (Quotidiano Sportivo 06-12-2012)

PAOLO DONDARINI, appena ha appreso dell’assoluzione, ha «tirato un sospiro di sollievo», ma «nessuno gli potrà mai ridare quella parte di vita professionale ad alto livello internazionale che ha perso» ha spiegato il legale dell’ex arbitro, avvocato Gabriele Bordoni.

Il prossimo round è fissato per il 24 maggio 2013 quando comincerà, davanti alla sesta sezione della Corte di Appello, il processo di secondo grado con il rito ordinario relativo al filone principale, quello che vede imputato, tra gli altri, l’ex dg della Juventus Luciano Moggi.

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CALCIOPOLI RITO ABBREVIATO: SENTENZA D'APPELLO

Giraudo, mezza condanna

Rimane l’associazione a delinquere, ma la pena si dimezza e resta una sola frode

Assolti 10 imputati su 11, tra cui Lanese. I legali dell’ex ad Juve: «Daremo battaglia in Cassazione»

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 06-12-2012)

TORINO. Resta l’associazione a delinquere che, pure appesa al sottile filo di un’unica e fragile frode (Juventus-Udinese del 13 maggio 2005), rappresenta il confine oltre il quale ci sarebbe stato il trionfo da parte di Antonio Giraudo . L’ex ad della Juventus si è visto scontare la pena di oltre il 50% rispetto a quanto chiesto dal Procuratore Generale Carmine Esposito (da 4 anni a 20 mesi), ma non il «reato associativo», la cui cancellazione non solo avrebbe portato alla sua piena assoluzione, ma anche aperto scenari rivoluzionari in ambito sportivo, dove la Juventus si sarebbe trovata nella condizione di agire, ex articolo 39, per la revisione dei processi del 2006. Da ieri è un po’ più difficile, anche se l’inchiesta di Beatrice e Narducci perde i pezzi, erodendosi di giudizio in giudizio.

CUPOLINA Perché se l’associazione rimane, la cupola si restringe sempre di più. Da ieri, per esempio, ci sono dieci associati in meno: sei arbitri ( Pieri , Dondarini condannati in primo grado e ora assolti per insufficienza di prove; Cassarà , Gabriele , Rocchi , Messina , assolti anche in primo grado), tre assistenti ( Baglioni , Foschetti e Griselli assolti anche in primo grado) e il capo dell’Aia Tullio Lanese (per insufficienza di prove). Insomma dieci assoluzioni su undici (Giraudo è l’unico condannato) sono il segnale che il lavoro delle difese ha avuto successo e che il giudice Maurizio Stanziola ha sostanzialmente recepito il modo con cui hanno smontato l’accusa, attraverso l’ascolto delle nuove telefonate (quelle cassate dagli inquirenti) e con la sua sentenza indebolisce il teorema della cupola. Ma per Giraudo rimane la condanna.

MOTIVI Per capire il perché di quei venti mesi, con la sospensione della pena, è quanto mai necessario attendere le motivazioni della sentenza (il collegio si è preso 90 giorni), perché tante incongruenze si concentrano su quella Juventus-Udinese per la quale sono stati assolti tutti e tre i membri della terna arbitrale: Rodomonti e Geminiani nel rito ordinario, Foschetti ieri. Come è stata commessa la frode senza neppure un “complice” in campo? Senza considerare che dietro a quella partita c’è una delle più grandi topiche di Calciopoli, visto che nelle informative si parlava dell’annullamento di un gol regolare all’Udinese, gol che - per la cronaca - non è mai stato segnato, né sfiorato.

DENTRO Insomma, mentre gli altri avvocati (da Paolo Gallinelli a Gabriele Bordoni ) si godono giustamente la vittoria, i legali di Giraudo, Andrea e Michele Galasso insieme con Massimo Krogh affilano le armi per la Cassazione, dove i meccanismi con i quali è stata costruita l’associazione a delinquere potrebbero incepparsi in modo definitivo. «Dopo aver letto le motivazioni ricorreremo sicuramente in Cassazione, che riteniamo la strada per affermare l’innocenza di Giraudo. Siamo sorpresi da questa sentenza: è un’ingiustizia, ma siamo predisposti alla battaglia per il trionfo della verità», dice Andrea Galasso che intanto porta a casa questo strano sconto che depenna due frodi su tre (Udinese-Brescia e Juve-Lazio) e respingendo le impugnazioni del PG esclude l’aggravante contestata a Giraudo di essere uno dei promotori della presunta associazione per delinquere. L’ex ad della Juve è riconosciuto dunque partecipe del sodalizio e non promotore, ma per la Corte ci rimane dentro. Per un pelo, ma ci rimane.

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Il 24 maggio l’appello Moggi

art.non firmato (TUTTOSPORT 06-12-2012)

TORINO. Nel giorno in cui si esaurisce l’appello di Antonio Giraudo viene fissata la data per quello di Moggi. Ieri il Tribunale di Napoli ha ultimato il rito abbreviato (anche se Giraudo andrà in Cassazione), mentre il 24 maggio inizierà l’appello per il rito ordinario, che in primo grado aveva visto la condanna dell’ex dg bianconero per associazione a delinquere. Le tante assoluzioni di ieri rappresentano un motivo di ottimismo per gli avvocati che stanno preparando la controffensiva, anche se la conferma (anche se solo per Giraudo) dell’associazione a delinquere resta un punto a favore dell’accusa.

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IL COMMENTO

Un pezzo per volta

l’impianto si sgretola

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 06-12-2012)

DOPO l’appello del rito abbreviato e in attesa dell’appello di quello ordinario, gli arbitri coinvolti in Calciopoli si sono ridotti a quattro (De Santis, Racabulto, Bertini, Dattilo) e dai vertici della cupola è uscito Lanese, l’ex presidente dell’Aia. Non solo, le frodi si assottigliano nel numero, i capi di imputazione evaporano e le certezze dell’accusa svaniscono (a proposito qualcuno ha notizie del mitico video, prova inequivocabile del sorteggio truccato?). L’inchiesta, che nel 2006 pareva un granitico monolite, continua a perdere pezzi, che siano persone o prove, finendo per sgretolarsi almeno agli occhi della logica. Perché tutto l’impianto accusatorio e il teorema della Cupola visti alla luce delle nuove prove e delle difficoltà a dimostrare la colpevolezza degli imputati (i dieci assolti di ieri sono un segnale), appaiono fragili. In diritto, tuttavia, è possibile puntellare questa fragilità, tenendo in vita l’associazione a delinquere almeno fino alla Cassazione, che entro il 2013 potrebbe anche erodere gli ultimi mattoni che tengono in piedi il castello, ormai diroccato, sul quale continua ad appoggiarsi la sentenza sportiva del 2006.

Un’assoluzione, ieri, avrebbe rilanciato vecchi progetti di revisione di quei processi. Quel filo che tiene insieme Giraudo alla frode sportiva di Juventus-Udinese rischia di legare l’azione bianconera. Non il resto delle battaglie che la Juventus continua a portare avanti (dal Tar in giù). Forse oggi è troppo presto per capire il senso di questa sentenza. E non solo perché è indispensabile leggerne le motivazioni, ma anche perché solo con il necessario distacco che ragala il tempo si potrà analizzare questa vicenda provando a interpretarla. Nel 2006, quando lo scandalo Calciopoli venne alla luce, circolavano solo certezze: Moggi e Giraudo (insieme ai sodali) sembravano i cattivi di una favola, colpevoli senza ombra di dubbio. Sei anni dopo la realtà è cambiata e al di là delle sentenze, la storia viene continuamente riscritta. Solo tra qualche anno potremmo leggere la versione definitiva, magari soprendendoci per come è diversa da quella del 2006.

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LE VERITÀ NASCOSTE di GIOVANNI ARMILLOTTA (limes 05-12-2012)

L’odio contro la Juve

e la storia d’Italia

Nessuna squadra è tanto odiata quanto la Juventus. Non dipende dalle vittorie ma da quello che i bianconeri rappresentano: "l'emblema dello sfruttamento dei ricchi sul proletariato operaio". Quelle 5 Coppe Campioni perse...

Chi scrive premette che non è juventino bensì tifoso del Napoli, ma a principiare dagli anni Sessanta: passando per Girardo, Ronzon, “Totonno” Juliano, Altafini, Sivori, Bandoni, Zoff, Bruscolotti, Krol, Ferrara e Maradona; e precisa che non è né piemontese né campano, ma toscano di origini pugliesi.

Da sempre si dice non solo che gli italiani si auto-commiserano, ma pure che si criticano ferocemente all’estero. Per non dire poi in quelle occasioni in cui tifano contro il proprio paese... attraverso l’invio della malasorte a terzi.

Il 29 maggio 2003 lessi con grande interesse sulla stampa italiana le varie analisi sulla sconfitta juventina, e ne convengo, però notai che in quegli articoli mancava il riferimento all’odio.

La Juventus, com’è noto, ha perso cinque finali di Coppe dei Campioni - a me la dizione “cembion ligs” è cordialmente antipatica, per cui mi esprimo, per così dire, alla Carosio e alla Martellini, chiamando le cose con il loro nome.

Nelle predette edizioni, per tre volte era favorita (1983, 1997, 2003); nella prima s’incontrò con una nobile sul sunset boulevard (1973); in un’altra occasione vigeva un giusto equilibrio (1998): eppure le ha perse tutte. Quelle vinte hanno il sapore una della morte (1985), l'altra della roulette russa (1996, per giunta giocata in Italia). Alle altre due jellate per eccellenza, è vero, ne sono sfuggite altrettante: in nessuna il Benfica era favorito mentre il Bayern ha da recriminare ma meno dei bianconeri [1].

Non solo. La Juventus si è vista portar via due Coppe in partita unica sul nostro suolo nazionale: la Fiere del 1965 a Torino e l’Intercontinentale 1973 a Roma: per ironia della sorte contro l’Independiente che nei tre tentativi precedenti, giocando anche a Buenos Aires, non ce la fece contro Inter (1964 e 1965) e Ajax (1972). La squadra argentina ha dovuto lasciare Avellaneda per trionfare, e proprio al cospetto della Juventus. Almeno i club di Lisbona e Monaco di Baviera nella Coppa del Mondo per società non hanno ancora toccato simile fondo.

A ottobre sono cinquant’anni esatti che seguo il calcio in ogni sua manifestazione sia nazionale che estera e conosco due uniche squadre: l’odiata (Juventus) e l’amata (Inter). Il resto sono “solo” allegria (Lazio e Roma), passione (Milan e Fiorentina), dolore (Torino e Napoli) e rivalità (Genoa e Sampdoria). Mi soffermo sulla Juventus.

Dagli anni Sessanta ad oggi la Juventus ha conquistato ben 17 (19) dei suoi 27 (29) titoli. Si può dire che la nostra vita di tifosi e appassionati sia stata segnata da quei due colori, che in realtà non sono nemmeno tali: uno rappresenta la luce (ossia tutti), l’altro il buio (ovvero nessuno). In pratica il giorno e la notte, la vita e la dipartita, lo Yin e lo Yang - altro simbolo di origine per giunta coreana...

Erano gli anni in cui i fumi del boom economico, diradandosi, lasciavano intravedere la lotta di classe, l’autunno caldo, la contestazione studentesca, il grande gioco nel Mediterraneo, lo stragismo, il terrorismo (le Br nacquero nel 1970, nell’estate di Brasile-Italia 4-1...). L’epoca in cui la Fiat rappresentava l’acme del potere padronale che si esprimeva suo malgrado, attraverso la famiglia Agnelli e la sua emanazione: la Juventus stessa, «emblema dello sfruttamento dei ricchi sul proletariato operaio», come usava gridare allora.

Tutti odiano la Juventus: gli interisti con la puzza al naso, le brigate rosso-nere, l’acredine fiorentina, la guerra dichiaratale da Roma e Lazio... per non dire del cupio dissolvi dei melanconici torinisti, una specie di «muoia Sansone con tutti i filistei». ‘Rectius’: abbraccio in un comune e collettivo suicidio “guyanese”...

I napoletani, che per loro costume hanno sempre amato troppo e odiato troppo poco, sono gli unici a non aver portato maledizioni a questa squadra che quando gioca in competizioni internazionali sente dalla sua i propri sostenitori e contro la carica negativa del quasi-intero paese-Italia...

Chi dimenticherà i vari «Grazie Hamburger», «Real Madrid facci sognare», oppure il macabro «10, 100, 1000 Heysel»? O il distinto signor X che affermò a una tv locale toscana alla vigilia della semifinale-derby della predetta Coppa Campioni: «Se si qualificasse l’Inter o il Milan, perdinci, ma vorrei lo stesso che battesse la Juve, se domani superasse il Real». Io me li ricorderò. Per non dire di alcuni telecronisti che, “per contratto”, fingono di esultare stentatamente alle reti delle zebre; o peggio: «Continuando con questo simpatico elenco non posso tralasciare l’inequivocabile esultanza di [Enne Enne] al terzo goal del Manchester United, subito dalla Juventus un mese fa [1° ottobre 1997] in Champions League; senza dubbio Giggs realizzò un bellissimo goal, però un Bruno Pizzul o un Carlo Nesti non si sarebbero mai entusiasmati in quel modo per una rete subita da una squadra italiana in una coppa Europea» [2]. E basta, una volta per tutte, col buonismo ipocrita di coloro che urlano: «Non è vero!».

Nella storia non esistono coincidenze: non si perdono per caso cinque finali, non riuscendone a vincere, fra le due conquistate, almeno una nettamente. Questa squadra porta sulla pelle il marchio d’odio e frustrazione di terzi, del fio che ha dovuto pagare salato per essersi lasciata alle spalle i profeti di sventura distanti scudetti-luce.

O forse ha ragione un grande torinese che in un momento di sconforto mi ha detto: «La Torino del calcio è una città maledetta, e chissà se il fatto di essere al centro del cosiddetto ‘triangolo della magia nera’ non c’entri qualcosa... Il Torino con Superga, Meroni, Ferrini, i tre pali di Amsterdam, la sfiga come condizione di vita; la Juventus con l’Heysel, Scirea, Fortunato, e appunto, la Coppa dei Campioni»... ed entrambe un titolo revocato.

Gustavo Adolfo Rol che avrebbe pensato?

Note:

1. Sconfitte della Juventus: 1973 (Ajax 1-0), 1983 (Hamburger SV 1-0), 1997 (Borussia Dortmund 3-1), 1998 (Real Madrid 1-0), 2003 (Milan 0-0 rig). Sconfitte del Benfica: 1963 (Milan 2-1), 1965 (Inter 1-0), 1968 (Manchester Utd 4-1 ts), 1988 (PSV Eindhoven 0-0 rig), 1990 (Milan 1-0). Sconfitte del Bayern: 1982 (Aston Villa Birmingham 1-0), 1987 (Porto 2-1), 1999 (Manchester Utd 2-1), 2010 (Inter 2-0), 2012 (in casa: Chelsea Londra 1-1 rig).

2. «Mediaset, Milan e l’eterna Malafede» in www.tifonet.it/juve/news/nov97/ed031197.htm; preso dalla rete il 17 giugno 2003, non più in linea, però conservo la stampa nel mio archivio.

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Spunti di riflessione sul caso Sneijder

di CRISTIANO NOVAZIO (SPORT&LEGGE 06-12-2012)

In questi ultimi giorni si è molto parlato delle vicende legate al rapporto tra Wesley Sneijder e l’Inter. La società vorrebbe rinnovare il contratto con il giocatore prolungandolo di un anno e mantenendo però l’attuale ingaggio complessivo: in pratica “spalmerebbe” i costi per lo stipendio dell’atleta in un lasso di tempo più lungo; viceversa, l’atleta lamenta il fatto di non essere impiegato ed anzi di essere sistematicamente escluso dalle convocazioni per le partite.

Il frastuono mediatico, e non solo, legato alla vicenda ha trovato origine dalle dichiarazioni del Direttore dell’Area Tecnica dell’Inter Marco Branca, che sembravano legare il mancato impiego dell’atleta al suo rifiuto di rinnovare il contratto alle condizioni sottopostegli dalla dirigenza.

Lunedi 3 dicembre 2012, durante il meeting del Consiglio Strategico Calcio Professionistico UEFA (PFSC) tenutosi a Nyon ed al quale hanno preso parte anche i rappresentati dei club (ECA) e delle Leghe (EPFL), il Segretario Generale della FIFPro (Federazione Internazionale dei Calciatori Professionisti che riunisce su scala mondiale 46 sindacati dei calciatori), Theo Van Seggelen, probabilmente traendo spunto anche dal caso Sneijer, ha auspicato il raggiungimento di un intesa da parte dei rappresentanti delle categorie interessate, volta ad evitare che un calciatore possa essere messo sotto pressione per modificare il suo contratto.Ma tornando in particolare al casoSneijder, possiamo dire che quanto sta accadendo configuri un illecito da parte della società datrice lavoro? Siamo davvero davanti ad un caso di mobbing come qualcuno ha “strillato” in questi ultimi giorni?

Andiamo per gradi. Va premesso che il rapporto tra il calciatore professionista e il club è un rapporto di lavoro subordinato, seppur speciale, regolato dalla legge 91/1981. Alla luce di questo la società datrice di lavoro è obbligata nei confronti del proprio dipendente a rispettare tutte quelle norme imperative di diritto del lavoro, salvo espressa deroga o disapplicazione predisposta da una norma di origine statale: pertanto, in astratto, anche nell’ambito del rapporto di lavoro sportivo è configurabile la fattispecie di “mobbing”.

Ma cosa si intende per mobbing? I giudici sono ormai concordi nel definirlo come una condotta mantenuta nel tempo dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, che consiste nel compiere reiterati atti ostili di natura discriminatoria o psicologicamente persecutoria. Da tali comportamenti consegue la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente nell’ambiente di lavoro, con effetti lesivi dell’equilibrio fisiopsichico e della personalità del dipendente.

In breve, e senza alcuna pretesa di esaustività, si possono individuare come requisiti essenziali per poter parlare di mobbing, da un lato la sussistenza di una molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente e volti a vessarlo e persino a farlo dimettere; dall’altro, in fatto che tali comportamenti abbiano causato un pregiudizio per la salute o la personalità del dipendente.

Alla luce delle informazioni ad oggi in nostro possesso risulta quindi difficile ritenere che l’Inter stia “mobbizzando” l’atleta, il quale, allo stato, non sembrerebbe lamentare un pregiudizio psicofisico legato al comportamento della società e neppure di essere vessato da comportamenti discriminatori e persecutori.

Va precisato che l’allenatore Stramaccioni negli ultimi giorni si è assunto la responsabilità delle mancate convocazioni dell’atleta definendole come sue scelte tecniche. Ma se non fosse così? Se per ipotesi risultasse che l’atleta non viene convocato allo scopo di indurlo a stipulare un nuovo contratto con l’Inter a condizioni più favorevoli per la società?

La vicenda a prima vista sembra ricordare quanto accadde nel noti casi Pandev e Ledesma, controversie che si conclusero nel primo caso con la condanna della Lazio da parte del Collegio Arbitrale alla risoluzione del contratto e al pagamento da parte di un risarcimento del danno in favore dell’atleta e nel secondo con il rigetto delle istanze del calciatore.

Ma in realtà la situazione qui appare diversa. In particolare per quanto riguarda il caso Pandev l’atleta lamentava di essere stato escluso dagli allenamenti della prima squadra oltre che dalle convocazioni, al fine di indurlo a rinnovare il contratto con la Lazio. Tale condotta violava la norma del contratto collettivo allora vigente (norma che vi è anche nel nuovo contratto in vigore siglato il 12 agosto 2012) , che riconosce all’atleta il diritto di partecipare agli allenamenti e alla preparazione precampionato con la prima squadra. Sicché, senza necessità di parlare di mobbing, non rispettare tale norma contrattuale può configurare un inadempimento sanzionabile e risarcibile.

Come puntualmente osservato da Damiano Tommasi, Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori “il fatto che [sneijder - n.d.r.] si alleni con la squadra e parli quotidianamente con l’allenatore fa sì che non rientri” nei casi di mobbing, ma, diremo noi, rende anche difficilmente paragonabili il caso dell’olandese con quello del macedone.

Ad ogni modo, rifiutarsi sistematicamente di convocare un atleta per indurlo a stipulare contratti contro la sua volontà, potrebbe in alcuni casi configurare un’ipotesi di violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro, espressamente prevista dall’art. 1375 c.c. e, quindi, di inadempimento contrattuale che può comportare conseguenze contrattuali e danni suscettibili di risarcimento.

Sembra comunque che l’Inter e Sneijder stiano trattando per trovare un accordo e, secondo taluni, si è fatta una montagna da un sassolino, o forse, visto la collocazione meneghina della vicenda, una seconda “Montagnetta di San Siro”.

Modificato da Ghost Dog

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CALCIOPOLI: L’ASSURDA STORIA DELL’EX PRESIDENTE DELL’AIA

Lanese: «Narducci non volle le carte

che mi hanno scagionato in appello»

«Calciopoli ha esagerato tutto. Hanno condannato sulla base di chiacchiere

telefoniche, senza una sola prova che ci fosse una partita truccata»

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 07-12-2012)

TORINO. Assolto. Da mercoledì, Tullio Lanese si è risvegliato da un incubo durato quasi sette anni. L’ex arbitro e presidente dell’Associazione Italiana Arbitri non ha mai dubitato del lieto fine, ma vivere questo lungo film horror è stato impegnativo. «Ora, devo farmi scivolare di dosso questi anni di sofferenza, poi deciderò le mie prossime mosse. Credo che i margini per chiedere dei danni ci siano, ma ora non sarei lucido, ancora troppo forte è l’emozione per la fine del processo». Aveva scelto il rito abbreviato come Giraudo e, nel 2009, era stato condannato a 2 anni per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Una condanna cancellata in appello dal giudice Stanziola , che ha smontato il castello accusatorio costruito dall’accusa intorno all’ex presidente dell’Aia.

POTERE VIRTUALE «Già, ero presidente dell’Aia. Cioè ricoprivo un ruolo che non aveva nessuna valenza tecnica e né operativa. I pm Beatrice e Narducci mi assegnavano, invece, un potere che non avevo. Pensavano che potessi influire sulle designazioni arbitrali: falso! Oppure che avessi una qualche influenza sugli arbitri: falso! Al massimo parlavo loro alle riunioni collegiali e assai raramente avevo contatti con i singoli. Non erano previsti dal mio incarico che era sostanzialmente di rappresentanza. Ora, tutto questo era scritto sulle carte federali che io ho prodotto ai pm, dicendo loro: leggete queste carte, c’è scritto che il mio ruolo è diverso da quello che mi assegnate. Loro non hanno voluto leggerle, mi hanno detto che non contavano. Ma come? Erano carte ufficiali, si trattava dei regolamenti federali! E’ una storia assurda che, per fortuna, si è conclusa nel momento in cui il giudice d’appello ha voluto prendersi la briga di leggere quelle carte e, anche sulla base di quelle, mi ha assolto», racconta Lanese che, nel frattempo, ha continuato a svolgere il suo lavoro di assicuratore Sara («I vertici dell’azienda si sono sempre fidati di me») mentre combatteva la sua battaglia legale.

DETTAGLIO «All’inizio dello scandalo mi sono autosospeso dal ruolo di presidente dell’Aia con una lettera che inviai alla Figc nel giorno della fine del campionato. E’ un dettaglio importante che molti hanno travisato, scrivendo che mi sarei dimesso. E’ una differenza solo apparentemente formale, perché c’è una differenza sostanziale tra il dimettersi e l’autosospendersi. Io ero sicuro della mia innocenza, ma non volevo che lo scandalo potesse intaccare l’associazione che presiedevo». Un’associazione che, per la cronaca, è finita dentro Calciopoli in modo rumoroso e infamante, ma a distanza di anni ne sta uscendo sostanzialmente pulita. Nel processo d’appello di mercoledì sono stati assolti 6 arbitri, 3 assistenti e il presidente dell’Aia. Nel primo grado del rito ordinario (8 novembre 2011) furono assolti l’arbitro Rodomonti , gli assistenti Ambrosino , Gemignani , Ceniccola , l’ex designatore degli assistenti Mazzei e l’ex segretaria della Can A-B Fazi . Insomma, di tutti quelli che dovevano essere il cuore dello scandalo, i burattini manovrati dalla cupola moggiana per condizionare i campionati, ne sono rimasti quattro: De Santis , Rodomonti , Dattilo e Bertini . Per altro in attesa dell’appello che inizierà il 24 maggio.

LA BOMBA Lanese sospira: «Calciopoli ha distrutto una categoria composta da persone che con molti sacrifici erano arrivati ai vertici. L’inchiesta ha amplificato, esagerato tutto. Si è indagato e si è accusato sulla base del chiacchiericcio telefonico. Ma quante stupidate si dicono al telefono? E sulla base di questo si condanna ad anni di carcere? Non mi sembra giusto. Servirebbero dei fatti, delle partite truccate, delle prove concrete della corruzione e invece ci hanno proposto solo chiacchiere. A me venivano imputate le cene con i presidenti della serie A. Ebbene, ho chiesto: avete delle intercettazioni ambientali di quelle cene? No - mi hanno risposto - bastano le cene. E che ne sanno di cosa parlavamo? Perché non hanno messo dei microfoni visto che sapevano benissimo dove si svolgevano? Avrebbero ascoltato dei grandi discorsi politici. Perché in quel periodo mi battevo perché l’Aia fosse inserita nelle componenti della Figc e, quindi, anche nel Consiglio Federale. Avevo chiesto a Carraro di poter incontrare i presidenti e avevo avviato un giro di incontri per avere i loro voti favorevoli e far passare la riforma. E gli inquirenti ci hanno visto chissà quale attività delinquenziale!».

ESAGERATO A distanza di quasi sette anni dallo scandalo, dopo tre giudizi penali (e tre sportivi), Calciopoli resta una vicenda aperta. Tanti, troppi elementi non tornano e le assoluzioni di mercoledì rendono il nuovo scenario sempre più incongruente con quello che fu fatto passare nel 2006. Resta una costanza, la colpevolezza di Moggi e Giraudo, colonna che resta in piedi nel tempio che crolla. «Moggi era un bravo dirigente. Sfido chiunque a dire il contrario. L’avevo incontrato varie volte e in tutte le occasioni si era parlato di calcio e politica, rimanendo nel lecito. Un delinquente? Non credo lo fosse e comunque non saprei rispondere, in questi anni ho vissuto solo la mia vicenda, isolandomi da tutto, ho seguito poco la sua. Ma Calciopoli è tutta un’esagerazione».

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Mi pare che...

La mia Juve è tornata grande

Ora lo sanno anche oltre confine

di LUCIANO MOGGI (Libero 07-12-2012)

Ormai Galliani deve aggiornare anche le sue sensazioni sulla musichetta della Champions. L’inno Champions fa meglio alla Juve che al Milan e il risultato è anche in termini di euro sonanti. Con il Chelsea che aveva la sua pratica facile (e inutile) da sbrigare, l’obiettivo massimo appariva un bastevole pari contro lo Shakhtar che a Torino aveva fatto paura. Lucescu ci aveva marciato in tutte le salse: gioco prevedibile della Juve, Conte troppo giovane e giù di lì. E siccome la delusione per il ko alla Donbass Arena è stata grande, ecco il rumeno di nuovo sopra le righe a fare le pulci per un fuorigioco presunto di Lichtsteiner sull’autorete di Kucher. Del tutto dimenticato invece il rigore non concesso a favore della Signora.

Comunque la realtà è quella che si è vista:mandata amemoria la lezione e gli errori dell’andata, Conte ha presentato una squadra corretta e perfetta in tutti i reparti. Annichiliti Willian e Fernandinho che avevano impensierito Buffon, lo Shakhtar si è trovato spuntato di artigli e idee. Ed è risibile la giustificazione trovata dal tecnico: i suoi pensavano già alle vacanze. Perdere in casa non piace a nessuno, ma perdere nello stesso tempo il primato nel girone e l’annesso plafond è roba che non è piaciuta alla dirigenza di Donetsk.

Non c’è dubbio che la squadra bianconera abbia compiuto un’impresa. E ha un valore speciale rapportata all’immediata vigilia del ritorno in panchina di Conte e in coincidenza con il compleanno di Andrea Agnelli (auguri Andrea). In termini di comparazione con il campionato, resta l’impressione che la Champions faccia spendere troppe energie. D’altra parte, a questo punto, è quasi un obbligo morale provare ad andare avanti in coppa sino al massimo possibile. Dovrà essere bravo Conte a dosare le forze e guardare bene agli impegni. I turni secchi che d’ora in poi verranno, incideranno molto sullo stress fisico e mentale, ma la squadra sembra essere cresciuta al punto giusto.

Non saranno in molti a darne notizia, ma è importante riportarlo perché non è giusto che sia sottaciuta. Nella convinzione che la pubblicizzazione di questa condanna possa servire da lezione e da esempio a chi è portato a scrivere senza documentarsi e senza pensare al male che fa agli altri. È da questi travisamenti che prese origine l’obbrobrio di Calciopoli. Veniamo alla notizia. La vicenda risale alla gara Sampdoria-Juventus (0-3) del 26 settembre 2004, arbitro Dondarini. L’osservatore arbitrale, sig. De Marchi di Novara, in una telefonata al designatore Pairetto del giorno successivo alla gara, commentando l’ottima prestazione disse: «Ho incrociato Moggi nel corridoio degli spogliatoi che mi ha detto: “Sai, quando vieni tu vinciamo sempre 3-0 in trasferta, dirò di mandarti sempre”». Giusto precisare in proposito che l’osservatore arbitrale ha il solo compito di giudicare l’arbitro durante la partita, dargli un voto, positivo o negativo, riferendo infine il tutto al designatore. Così come è giusto precisare che la battuta (scaramantica) era dovuta al fatto che il sig. De Marchi era venuto, sempre come osservatore arbitrale, alla prima di campionato Brescia-Juve finita appunto 0-3. Precisiamo infine che queste furono le sole due gare in trasferta della Juve per l’osservatore De Marchi. Dondarini invece era la prima volta che arbitrava la Juve in trasferta.

Riferendosi quindi alla telefonata intercettata tra il designatore Pairetto e l’osservatore arbitrale Sergio De Marchi, il giornalista Fabio Monti riportava in un articolo sul «Corriere della Sera» invece che Moggi aveva detto all’arbitro Dondarini la frase incriminata. Una colossale falsità, che tendeva ad addebitare a Dondarini inesistenti connivenze e collusioni. L’avv. Gabriele Bordoni, difensore di Dondarini, ha smontato la falsità di quanto pubblicato dimostrando che, dal testo della intercettazione, appariva chiarissimo che Moggi si riferiva allo stesso De Marchi e non a Dondarini (che mai prima aveva diretto la Juve in trasferta). Dunque non c’era neanche il nesso statistico e cronologico. Lo stesso De Marchi, interrogato, aveva confermato che la battuta, peraltro scherzosa e detta nel corridoio degli spogliatoi, era riferita direttamente a lui. Alla fine di un lungo processo, l’ex direttore del Corriere Paolo Mieli e il giornalista Fabio Monti sono stati condannati per diffamazione.

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LA LEGA PRO E’ IN PRIMA LINEA NELLA LOTTA AL RACKET.

SI SCOMMETTE SU TUTTO, ANCHE SU CHI BATTERÀ IL PRIMO FALLO LATERALE

«MAI PIÙ SCOMMETTITORI»

Francesco Ghirelli, direttore della Lega Pro: «E’ allarme rosso ma combattiamo»

I risultati della lotta «Nel campionato 2011-2012 le segnalazione di gare sospette sono calate del 65 per cento»

Il messaggio ai giovani «Chi ha 23 anni e gioca in Lega Pro va detto che deve cercarsi un lavoro»

di ALESSANDRO FIESOLI (Quotidiano Sportivo 07-06-2012)

«IN QUESTO momento, mentre stiamo parlando, almeno quarantacinque paesi sono sotto attacco da parte dell’organizzazione mondiale del calcioscommesse».

Una nuova mafia.

«La centrale è a Singapore, fatturato calcolato in 500 miliardi, come quello del traffico mondiale della droga, ma molto meno rischioso. Un’organizzazione capace di spostare centinaia di milioni con una telefonata».

Ne parliamo con lei, Francesco Ghirelli, direttore generale della Lega Pro, perché la Lega che rappresenta è in prima linea nella lotta al racket.

«L’allarme è totale. Il pericolo delle frodi sportive si è allargato alle amichevoli, e soprattutto al settore giovanile. Si punta su tutto, sul primo fallo laterale, sul primo calcio di punizione. Le bande di scommettitori agganciano i ragazzini, con l’esca di una scommessa da poco, di dieci euro, e al momento del passaggio dei soldi ti fotografano, ti filmano, e a quel punto non scappi più. Sotto ricatto per sempre. Il passaggio successivo, per tenerti al laccio, è quello dell’usura. Un meccanismo violento, micidiale. Per dieci euro, un ragazzo rischia di rovinarsi la vita».

La Lega Pro, dicevamo, come si è mobilitata?

«La nostra esperienza è stata segnalata come ‘esempio da replicare nel mondo’, siamo stati invitati a parlarne anche alla Sorbona».

Ce la spieghi.

«Una strategia in tre punti: la partnership con Sportradar, agenzia leader a livello mondiale nella lotta alle frodi, l’adozione di un codice etico obbligatorio per l’iscrizione al campionato, l’istituzionalizzazione dell’‘Integrity office’, una nostra struttura dedicata al monitoraggio, alla formazione e alla prevenzione, che risponde solo a me».

In pratica, come funziona?

«Ogni partita dei nostri campionati viene monitorata dal momento in cui risulta inserita nel giro delle scommesse, con la segnalazione immediata di flussi anomali di puntate, su partite sospette. A quel punto avvisiamo il ministero, la procura e il presidente della società sotto attacco, che è tenuto ad allertare i suoi giocatori. La conseguenza, se c’è un tentativo di tarocco in corso, è il crollo immediato della quota, perchè la notizia circola subito, con la sconfitta dell’organizzazione».

Quali risultati state ottenendo?

«Molto buoni. Nel campionato 2011-12, le segnalazioni relative a gare sospette sono calate di circa il 65 per cento, delle quali solo una con codice rosso. Senza farsi illusioni, perché l’organizzazione criminale cercherà le contromisure. La lotta resta dura».

E indispensabile, a tutela della credibilità dei campionati.

«Abbiamo anche nostre sentinelle, una per ogni squadra. Organizziamo corsi e incontri, per far capire ai giocatori, soprattutto ai più giovani, la gravità e le conseguenze del rischio, perché spesso non se ne rendono conto. La Lega Pro rappresenta le radici del calcio, e vogliamo salvarle».

Esiste il calcio milionario, e quello dei comuni, dei paesi, non facile da preservare in tempi di mega proposta televisiva.

«Già, ma noi siamo la base sociale di questo sport, siamo il vecchio campo polveroso, la tradizione popolare da salvaguardare e da rafforzare con una cultura da impresa. In questo senso va la riforma, voluta dal presidente Macalli».

Con il passaggio, dal 2014-15, a sessanta squadre. Basterà? Ce la farete?

«La riforma riguarda tutti gli aspetti: bilanci garantiti da fideiussioni, con controlli trimestrali, stadi ammodernati, illuminati per poter giocare in orari diversi dalla serie A e garantire le riprese televisive, impianti senza barriere, per combattere la violenza e riportare alle nostre partite le famiglie».

Per quanto riguarda l’aspetto tecnico?

«Vogliamo diventare il campionato dei giovani, per rappresentare il serbatoio per le nazionali e abbassare i costi di gestione. E’ la nostra risposta, necessaria, alla crisi economica».

In che senso?

«Investire in qualità, competenza, preparazione dei dirigenti, che devono essere più bravi di quelli della serie A. Rappresentiamo, con le nostre squadre, tutte le regioni d’Italia, ad eccezione della Sardegna, dai piccoli centri a città importanti».

Le nuove frontiere?

«L’uso delle tecnologie, per produrre in proprio riprese e highligsts, e le convenzioni con paesi come Omar, Qatar, Kuwait, Dubai, per creare un mercato internazionale per i nostri giocatori e anche per le nostre imprese, un lavoro appena cominciato».

Dicevamo dei giovani. Chiudiamo con loro.

«Qui bisogna essere chiari. A chi ha 23, 24 anni e gioca ancora in Lega Pro, va detto, nel suo interesse, che deve cercarsi un lavoro, magari continuando a giocare per divertimento fra i dilettanti, ma senza sperare di risolversi la vita con il calcio. Un discorso duro, ma va fatto, perché il calcio è bello, ma non deve creare i disadattati di domani».

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Culture of fandom

behind foul chants

in theatres of spite

Appalling recent events have hinted at a deep, underlying hatred between rival football fans.

How could fans be so consumed with hatred as to make a mockery of such an atrocity?

The Munich runway song is just another way for fans to express their loathing

by MATTHEW SYED (THE TIMES 07-12-2012)

The noise sent a chill through the stadium. It was, according to those at White Hart Lane 12 days ago, a high-pitch hissing. Moments later, songs celebrating the Führer (“Adolf Hitler, he’s coming for you”) and the assault on a Tottenham Hotspur supporter in Rome (“Can we stab you every week?”) rent the air.

It is worth noting, if only in passing, what took place at Auschwitz and Majdanek. Solid pellets of Zyklon B, an industrial pesticide, were dropped through vents in the side walls of the death chambers. “Shouting and screaming of the victims could be heard through the opening as they fought for their lives,” Johann Kremer, an SS doctor who oversaw the gassings, later testified.

It raises a question that many within football have been grappling with in recent days: how could fans be so consumed with hatred as to make a mockery of one of the defining atrocities of the 20th century? Coming on the back of other racially charged slurs chanted in various stadiums, it appears to many as if football is regressing to the Dark Ages.

That certainly seems to be the view of the Football Association, which characterised the incident at White Hart Lane as a race crime. In a statement, the governing body of English football said: “There is no place for anti-Semitism or any form of discrimination in football. The FA is committed to working with the clubs, leagues, fans’ groups and the police to play our part in addressing this unacceptable behaviour.”

But are the vitriolic slurs that rain down from football stands really about hatred? Is the White Hart Lane incident the prelude of a return to anti-Semitism? Or is the entire phenomenon of hate-chanting in football based upon something quite different?

In pursuit of an answer, it is worth taking a look at a different kind of hatred, this time in Scotland. Anyone who has been to an Old Firm game will have witnessed the astonishing demonstration of religious and political animosity. It is not just the unveiling of the Union Jack and the Irish tricolour, but the many chants distilled from the influx of Irish Catholic immigrants in the 19th century.

From the vantage point of Ibrox or Celtic Park, anyone might suppose that sectarianism is alive and well in modern-day Scotland. One might assume that everyday life in contemporary Glasgow divides rigidly down religious and nationalist lines, and that prejudice is rife. How else to explain the outpouring of such anger and resentment from the stands during matches between Celtic and Rangers?

But widen the perspective a little and things start to look very different. Anyone who has actually lived in Glasgow in recent decades will tell you that sectarianism has largely disappeared from the social landscape. As Paul Davis, a sociologist at the University of Sunderland, puts it: “The vast majority of modern-day Scots, including a decisive majority in the West, do not care or pretend to care about Catholics and Protestants, or Loyalists and Rebels, any more than they care about the Great Pumpkin.”

So why does sectarianism survive in football? Why do those who would barely think about religion in their daily lives act as if it is a matter of huge significance when they attend the Old Firm derby? Could it have less to do with sectarian hatred, properly conceived, and rather more to do with the culture and assumptions of football itself?

Since its earliest incarnation, football has been tribal. Many clubs were created as expressions of local pride: Liverpool FC was about the pride of Scousers; Newcastle United FC was about Geordies. Players were recruited from the area, fans lived in the shadow of the stadium and clubs were owned by local gentry. There was real meaning in the idea of the club as an extension of the community.

For many, this loyalty had a counterpart. Support was not only about cheering one’s team to the rafters, but also about castigating the opposition. This was often humorous and satirical, but for a minority of those who wanted to demonstrate their vehemence, it became ever more vitriolic. They liked to think of themselves as “Ultras”.

There was also an anthropological basis to this. Roving groups of fans, making forays into “enemy” territory and aggressively chanting their allegiance, were re-enacting rituals that have taken place throughout history.

Predictably, other meanings began to attach themselves to club loyalty. Some of these meanings were hateful, but at least they had the tenuous advantage of coherence. When fans chanted “Yid” at the players of Hakoah Vienna in the 1930s, they could do so in the knowledge that the players and fans were Jewish. And Rangers fans intent on dishing out religious animosity could take dubious comfort in the fact that Celtic fans were almost exclusively Catholic. Football tribalism, however appalling, was grounded in a deeper social reality.

But in the 1980s, at first slowly, then with astonishing pace, things began to change. The forces of globalisation, multiculturalism and commercialism combined to transform the fabric of football, and much else besides. Teams were made up of players not only from a locality (let alone a nation or race), but from all around the world. Owners were global capitalists and oligarchs. Most fan bases began to have more people from beyond national borders than within city limits.

This fragmentation threatened the meaning of fandom. Benign fandom (cheering one’s team while having a good-natured rant at the opposition) was robbed of its community resonance; supporting a club was no longer about celebrating anything local, except the stadium’s location. For Ultras, things were worse. How to sustain aggressive rivalry when the old slurs had lost their social moorings? How to hate rival fans when they were much the same as fellow supporters?

The most obvious solution was the one that ultimately emerged: hardcore fans manufactured new reasons, or resurrected old ones, to justify traditional tribal animosities. In Glasgow, this meant harking back to long-forgotten grievances, reviving religious divisions and creating the pretence that sectarianism mattered in a world where it did not any more. It was not about sectarianism as a social creed, it was about sectarianism as a pretext for a cherished ritual.

Rangers fans knew full well that the club had started recruiting Catholic players in 1989 and were perfectly happy working alongside Catholics or drinking with them at the local pub. Glasgow was, by this time, a postmodern city, largely comfortable with this aspect of its cosmopolitanism. Only at football, the historic vehicle for aggressive tribalism, did this hatred find such a willing constituency.

And this is why the animosity, however heated within the confines of the stadium, was temporary. As Lawrence Macintyre, head of safety for Rangers, put it: “It is called a 90-minute bigot, someone who has got a friend of an opposite religion living next door. But for that 90 minutes they shout foul religious abuse at each other.”

Look at other forms of chanting and they fit this analysis, too. Nobody really thinks that Arsène Wenger is a paedophile, or a danger to children; it is merely another useful vehicle for the expression of spite. If fans were to bump into Wenger outside the stadium, they would probably ask for his autograph. The animosity is manufactured for the purposes of rending the tribal experience more vivid.

Similarly, very few fans are happy about the death of a wonderful generation of Manchester United players, but then the Munich runway song has never been about grave-trampling. It is just another way to sustain the “theatre” of spite. They chant with gusto, faces contorted, but if they were to bump into the families of the deceased, they would doubtless wish sincere condolences. It is about the culture of fandom, not some deeper pathology. That is why I doubt many West Ham United fans believe the gassing of Jews was a good thing. It is just another aspect of contrived loathing.

Most West Ham supporters are perfectly aware that the vast majority of Spurs fans are Gentiles and that a not insignificant proportion of West Ham fans (and directors) are Jewish. That is the way of things in an amorphous, globalised world. But the hissing was not about anti-Semitism, it was about tribalism.

As Davis says: “Fans probably feel disinclined to mete out these insults in any other context. But since fandom desperately seeks reasons to loathe the other, morally regressive sentiments are legitimated and even required. The problem is not Glasgow, Edinburgh, Hibs, Hearts, alcohol or slums, it is fandom.”

The problem with the FA approach is that it assumes that the solution revolves around education and rapprochement. This is a stance that has been taken up by a number of pundits, who castigated the hissing as “ignorant” and have encouraged West Ham fans to “learn about the Holocaust”. But this was not ignorance — the fans who hissed knew perfectly well what they were doing and why it was offensive; that is why they did it.

This is not meant to be complacent about anti-Semitism. You only have to rewind to the 1970s to see the dangers of Far Right groups attempting to politicise the first hint of racial tension in stadiums, or anywhere else.

The psychology of aggressive fandom makes the transition to other forms of internecine hatred all too easy. Vigilance against racism is the only legitimate policy. But we should also be candid.

We should be honest enough to admit that the anti-Semitism displayed by opposition fans at White Hart Lane has more to do with the juvenile slurs directed at Wenger than with an acceptance of the ideological commitments of Combat 18 (by contrast, in Serbia, a country that has not gone through the same process of racial integration as the UK, monkey chanting doubtless reflects a much deeper social tension).

That is why, if anti-Semitic chanting in British stadiums is eradicated while leaving the deeper causes unscathed, the “hatred” will simply re-emerge in another form.

Fans will find other vile ways to sustain the synthetic animosity that is, to many of them, necessary for the experience they crave. In many ways it can be seen less as an expression of ideology than as an act of desperation: clinging to the vestiges of aggressive tribalism in a world where divisions are disappearing. It is the culture of fandom that needs to be confronted, not merely its various manifestations.

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l'Espresso | 13 dicembre 2012

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IL LIBRO

LIBERTÀ VIGILATA

Franco Bernabè

Editori Laterza, pag. 152, 12,00 €

Come evitare nuovi casi Tavaroli

di FRANCO BERNABÈ (il Fatto Quotidiano 07-12-2012)

Negli ultimi anni, gli episodi che hanno evidenziato la pericolosità e le conseguenze legate all’utilizzo improprio di dati personali si sono intensificati, con una diffusione geografica pressoché omogenea a livello mondiale. Purtroppo anche Telecom Italia è stata vittima nel suo recente passato di vicende legate ad un utilizzo non conforme di taluni dati personali in suo possesso – vicende che hanno colpito l’immagine dell’azienda.

IN QUESTO CASO, però, l’utilizzo non conforme dei dati personali non è ascrivibile a strategie o modelli di business “aziendali”, bensì a intromissioni abusive da parte di personale interno all’azienda. [...] Analizzare le modalità con cui Telecom ha reagito alle vicende che l’hanno vista coinvolta, esaminando gli strumenti e le procedure messe in atto per evitare che analoghi episodi possano ripetersi in futuro, rappresenta un utile contributo alla discussione sulla necessità di garantire la tutela dell’enorme mole di dati personali presenti in rete. Le vicende a cui ci riferiamo hanno avuto luogo fra il 2003 e il 2006 e hanno visto coinvolto l’ex manager della sicurezza Giuliano Tavaroli. Di queste vicende Telecom ha rappresentato soprattutto la vittima, per le ingenti somme destinate a copertura delle attività illecite e per il notevole danno di immagine subito. Secondo le ricostruzioni della magistratura, nell’arco di quei tre anni un gruppo di persone operanti nell’ambito della funzione security ha illegittimamente utilizzato alcune informazioni nella disponibilità della Società, compresi, in pochi casi, i cosiddetti dati di traffico, quei dati, cioè, che consentono di attribuire il traffico telefonico (ad esempio numero delle chiamate, numero chiamato, data e ora di una conversazione telefonica). Il carattere paradossale della vicenda – che però ha consentito di compiere con estrema efficacia le azioni volte ad acquisire illegittimamente i dati personali – sta nel fatto che ad accedere illecitamente a tali dati sono state proprio persone ricoprenti cariche all’interno della funzione Security, utilizzando gli strumenti messi a loro disposizione per svolgere il proprio mandato di prevenzione e rilevazione anche di questo tipo di abusi.

LA SOTTRAZIONE di informazioni dettagliate e articolate compiuta eludendo procedure e regole si è infatti potuta verificare in quanto gli artefici degli abusi erano le stesse persone che avevano il compito di realizzare i sistemi di protezione degli archivi informatici e che erano, dunque, nella posizione di poterle artatamente rimuovere e indebolire. In teoria i responsabili di queste azioni non avrebbero dovuto avere la possibilità di avvicinarsi e tantomeno di accedere ai tabulati telefonici per fini diversi da quelli previsti dalla legge e dalle regole aziendali in ragione del ruolo ricoperto e delle attività professionali di propria competenza.

IN REALTÀ, come ha rilevato il garante della privacy, all’epoca dei fatti in Telecom Italia esisteva una debole segmentazione dell’informazione: in altre parole, un numero elevato di persone poteva accedere ad un ampio spettro di informazioni senza che ciò fosse strettamente necessario o funzionale all’attività svolta. Ad un’eccessiva quantità di informazioni disponibili, in alcuni casi si univa una sostanziale carenza di misure di rilevazione, memorizzazione e registrazione delle operazioni eseguite, nonché l’impossibilità di risalire all’identità della persona che aveva interrogato le banche dati. L’incapacità di accorgersi e far emergere quanto stava avvenendo e di porre in essere le adeguate misure di contrasto è risultata imputabile – oltre che all’assenza di specifici controlli e specifiche soluzioni tecnologiche di prevenzione – anche all’eccessiva libertà di manovra e all’ampia sfera di influenza di cui godeva l’allora funzione Security che andavano ben oltre il suo mandato e le sue responsabilità. Poiché tali vicende si erano potute verificare non solo per l’inefficacia di specifici controlli posti in atto, ma anche e soprattutto per una più generale “carenza di sistema”, si è deciso di intervenire in primo luogo sul modello organizzativo.

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