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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Calciopoli: scandalose affermazioni di alcuni dirigenti! dal blog di SIMONA AIUTI 24-11-2011 Andrea Agnelli, con la sua pacatezza, parole ferme, ma soprattutto deciso nelle azioni, sembra proprio che non irriti solo Massimo Moratti, un po’ piccato e infastidito negli ultimi mesi, ma anche molti altri soggetti del calcio italico come Petrucci che invita al buon senso. Abbiamo l’impressione che da più parti, in tanti mandino a dire al presidente della Juventus:” ma perché non la pianti?..Ci stai infastidendo! Ma perché non ti rassegni?” Un detto latino però dice che la legge va in soccorso di chi vigila, e non di chi dorme! E cosa dovrebbe fare Agnelli al pensiero che la Federazione ha mandato tutto in prescrizione senza fare giustizia? Non è stata forse la scandalosa disparità di trattamento, e il ping pong di competenze che hanno costretto la Juve a ricorrere ai tribunali? Sulle reti televisive più importanti, si danno ancora informazioni “false”, dicendo ancora oggi che la Juve ha ricevuto una condanna a Napoli per via delle intercettazioni, invece non solo la Juventus è stata assolta, ma le intercettazioni inchiodano l’Inter che ne è uscita immacolata, per ora. Ci sono fatti tanto evidenti che non è possibile cancellarli. La Juventus chiede un risarcimento milionario perché non c’è una telefonata compromettente intercettata sulla squadra torinese, mentre , “Hai messo in forma Trefoloni?”, “diglielo a Bertini che è determinante domani”, “mettono dentro due preclusi…” e scusate se è poco! E questi illeciti che hanno violato l’articolo 6 del codice sportivo non hanno un peso? Qualcuno è forse autorizzato a violarlo questo articolo e poi per premio riceve scudetti, ricchi premi e cotillon? Petrucci dice che il calcio è malato di doping legale, e c’è da chiedersi se la battuta è sua o abbia degli autori che scrivono cose del genere! Se la FIGC avesse utilizzato le intercettazioni a disposizione, in cui Facchetti parlava con designatori e arbitri, forse non avrebbe bisogno di battute da Cinema anni ottanta, considerando il fatto che è stato lui a scegliere un avvocato per anni membro del CDA dell’Inter, con i nerazzurri chiaramente parte interessata alle decisioni che doveva prendere la giustizia sportiva! C’è da chiedersi a ragion veduta, da quanti anni si era a conoscenza dei rapporti dell’Inter con i designatori, sempre facendo riferimento alle intercettazioni, perché quelle 171 mila telefonate le ha acquistate dopo che tutto era già andato in prescrizione: che tempismo! A pensar male si fa peccato, però ci si indovina, infatti, le telefonate Facchetti-Pairetto/Bergamo, acquisite per conto della Procura di Torino e palesatesi nel maggio 2006, erano e sono prova di illecito. Petrucci è apparso seccato dalla ferma posizione di Agnelli, e clamorosamente ha detto che c’è mancanza di rispetto per le regole e per l’etica, e alla faccia rispondiamo noi! La FIGC di Abete per anni ha dormito tra le braccia di Morfeo su quelle intercettazioni resuscitate, riesumate, riabilitate, rispolverate, rianimate, che, in realtà, erano nella disponibilità della parte civile FIGC, e allora mi ripeto che a pensar male si fa peccato però…..! Oltre al danno, la Juventus dovrebbe accettare supinamente la beffa? Considerando che una società che ha slealmente taciuto le sue telefonate e abboccamenti segreti con un arbitro e con i designatori, frequentato costantemente un arbitro “grimaldello” e poi non basterebbe soltanto il caso di Cristian Vieri per tenere impegnata la giustizia sportiva italiana? Chi ha pedinato Bobo Vieri? Ma soprattutto a qualcuno interessa scoprirlo? Anche l’ex calciatore chiede un risarcimento e anche lui non sembra affatto intimidito. Qui qualcosa non quadra, ma noi il senso di tutto questo l’abbiamo capito e siamo determinati a rovinargli la festa! Agnelli e tutti noi dovremmo fare un passo indietro? Io credo invece che altri debbano farsi un esame di coscienza e rimettere le cose a posto, altrimenti potremmo arrivare addirittura ad una sospensione del campionato di serie A per mezzo della giustizia ordinaria. Non è stata la Juventus a volere questo braccio di ferro e non sarà la Juventus a mollare il colpo. Invece è Moratti che dover fare un passo indietro restituendo quello scudetto, alla luce dell’evidenza di telefonate incontrovertibili. === Juventus, Inter e Petrucci al tavolo delle trattative dal blog di SIMONA AIUTI 03-12-2011 Moratti imperterrito fa lo sdegnoso, sicuro d’averla fatta franca, nonostante la relazione di Palazzi, secondo cui l’Inter avrebbe posto in essere reiterati illeciti sportivi, intrattenendo nel tempo, rapporti illeciti con arbitri in attività e anche con designatori. Il presidente dell’Inter dorme tranquillo, dopotutto il tempo ha lavorato a suo favore. A questo punto non avrebbe più senso parlare di tavolo della pace proposto da Petrucci, in parte perché quest’ultimo è stato uno dei primi ad innescare “l’errore” che ha portato il primo scudetto all’Inter con l’interista Guido Rossi, e nessuna sanzione dal primo momento, ma solo ingiustificati trofei acquisiti. In secondo luogo il presidente dell’Inter non ha la minima intenzione di ammettere gli illeciti; è impossibile quindi sedersi ad un tavolo e spiegare cosa è accaduto davvero cinque anni fa, alla luce delle intercettazioni che riguardano i nerazzurri: utopia allo stato puro. Addirittura, per Moratti Calciopoli non riguarda l’Inter ed è incredibile che lo affermi conoscendo le prove audio. Sappiamo che lo fa solo perché si sente in una botte di ferro nonostante le prove inoppugnabili, ma per ora tant’è. Stizzito Moratti dice anche che ci sono altri che giudicano, che hanno già giudicato o che stanno giudicando; e riguardo allo scudetto che rivorrebbe Agnelli, che invece a noi risulta ne rivoglia indietro due dice: “Va bene che siamo vicino a Natale, ma non credo che pretenda che gli faccia quel regalo… Credo che quello sia qualcosa di cui sinceramente si può parlare come si può parlare in un bar”. Insomma, essere ancora trattati con sufficienza comincia ad essere un po’ troppo. Si nega l’evidenza, e a rinunciare alla prescrizione non ci pensa proprio dicendo: “In merito ha già risposto anche il procuratore di Napoli dicendo quanto poco importante fossero quelle intercettazioni”. Alla faccia della poca importanza, rispondiamo noi! E’ un’affermazione un po’ azzardata dire che quelle intercettazioni non sono rilevanti, considerando il fatto che lo sono molto di più di quelle di Moggi, che nulla ottenne mai, al contrario di Facchetti, che otteneva le griglie il giorno prima e pure gli arbitri desiderati. Non solo Moratti però, ma anche Petrucci secondo noi sottovaluta Andrea Agnelli e forse non ha ben chiaro dove potrebbe portare quello che ha definito un “doping legale”, o forse invece teme che la macchina legale italiana cominci a stritolare il campionato, come è accaduto negli U. S. A. Il vero rischio è che Agnelli a forza di scomodare la giustizia ordinaria, quest’ultima prima o poi potrebbe davvero bloccare il campionato di serie A e visti i tempi della giustizia nostrana, sarebbero dolori per tutti, perché in un tribunale vero mica si può fare gli sdegnosi e voltarsi dall’altra parte davanti alle intercettazioni! In quel caso non sarebbe più possibile ignorare le prove, il ruolo di Guido Rossi, i rapporti con designatori e arbitri, cene occulte, Pier Luigi Collina che chiedeva al cellulare se la sua performance era piaciuta a Galliani, le affermazioni di Baldini che voleva fare il ribaltone, e le indagini di Auricchio senza 170. 000 intercettazioni. Noi non è che siamo appena scesi dal pero, e tanto per essere chiari, non abbiamo potuto non notare la sua presenza accanto a Moratti alla presentazione del libro “I mondiali della vergogna”, con prefazione di Giuseppe Narducci, il PM di Napoli, ma guarda un po’! Ad un tratto una telecamera curiosa, birichina e dispettosa, ha ripreso proprio Auricchio e Moratti parlare fitto, fitto per tutto il tempo della presentazione e chissà che avevano da dirsi!? Il colonnello Auricchio che ha approvato quel: “L’Inter non ci interessa”, riferito da Coppola in dibattimento, proprio lui. Comunque siamo fiduciosi e al contempo curiosi di conoscere le intercettazioni inedite che a Napoli in appello tirerà fuori la difesa di Moggi, fiduciosi che Moratti si piccherà ancora un po’ e che Agnelli andrà avanti com’è giusto che sia. -
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Attendiamo e speriamo nello scrupolo di qualche giornalista -
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Infatti e' strana come procedura. Strano anche come la Gazza sia sulla notizia: non ho letto (o mi sono perso) scoop di altre testate in merito. -
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Pericolo ultras a Cracovia dove, assieme agli azzurri, ci saranno anche l’Inghilterra e l’Olanda di ANDREA SANTONI (CorSport 04-12-2011) KIEV - C'è un'ombra sulla tranquilla Cracovia, scelta con soddisfazione dalla Federazione come sede del quartier generale di Euro 2012: il pericolo ultras. La città capoluogo del Voivodato della Piccola Polonia, 750mila abitanti, ospiterà nella sua area urbana, oltre a quello italiano, i ritiri dell'Inghilterra e dell'Olanda, con al seguito tifoserie molto numerose e un passato di scontri violenti. Vero che l'Inghilterra provvederà in via preventiva a bloccare la partenza dei suoi hooligans più pericolosi, ritirando loro il passaporto (unica nazione europea a prevedre questa normativa), ma è noto che la squadra di Capello è seguita normalmente da almeno 20mila supporter, con evidenti problemi di gestione dell'ordine pubblico. Da considerare poi che la Polonia sta vivendo gravi problemi per le azioni violente dei propri ultras di orientamento nazistoide (nel 2011 ci sono stati 108 arrestati). Recentemente è stata introdotta una normativa sull'esempio di quella italiana, con l'introduzione del daspo nei casi di reati da stadio. Ma il cocktail che può derivare da birra, odio nazionalista e crisi economica sta allarmando gli organizzatori. Il timore di scontri nelle fan zone (gli stadi sono ritenuti sicuri) è alto. A quelle latitudini hanno ben presente quello che accadde ad Amburgo, durante il mondiale 2006, a margine di Germania-Polonia. Il quadro delle tifoserie a rischio è completato da quelle ceche e croate. IL CASO ITALIA - E gli ultras Italia? Al di là della rilevanza mediatica, numericamente il loro numero è esiguo. Nel caso di Germania 2006, le segnalazioni italiane alle autorità di Polizia tedesche furono 150 (mentre i "daspati" sono oltre 4mila). Del resto tradizionalmente la nostra Nazionale, attesa generalmente da grandi comunità di emigrati (quella di Cracovia ne conta alcune migliaia), muove invece in queste circostanze meno mille tifosi dal nostro Paese (furono 800 cinque anni fa). Roberto Massucci, funzionario del Ministero dell'Interno e responsabile della sicurezza azzurra, alla sua sesta grande manifestazione dal 2002, è già al lavoro. Presto verrà allestita la sua squadra, una decina di agenti da lui coordinati, che seguirà la Nazionale a Cracovia. A ridosso dell'evento sarranno inviate in Polonia le segnalazioni dei nostri elementi in partenza da tenere d'occhio. Di sicuro, rispetto al Sud Africa, dove al centro dell'azione di sicurezza c'era soprattutto la squadra, in questo caso è la gestione delle tifoserie il principale obiettivo in agenda. -
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ERRORE ARBITRALE IN MILAN-BARÇA SALTERÀ LA SFIDA COL VIKTORIA La Uefa squalifica Aquilani «a tavolino» art.non firmato (GaSport 04-12-2011) Niente Viktoria Plzen, dopodomani, per Alberto Aquilani. Nessun problema fisico, comunque: il centrocampista rossonero salterà l'ultima giornata del gruppo H di Champions per via di un errore arbitrale durante la sfida con il Barcellona dello scorso 23 novembre. Un errore commesso in occasione del rigore che aveva portato i blaugrana sul 2-1. Ripercorriamo: al 29' del primo tempo Aquilani viene a contatto in area con Xavi, che finisce a terra. Il fischietto tedesco Stark, su segnalazione dell'assistente di porta, fischia un rigore inesistente e poi commette un secondo errore: invece che ad Aquilani mostra il giallo a Nesta, tratto in inganno dal suo assistente e probabilmente dalle fattezze fisiche dei due giocatori. Forse anche dai numeri simili (13 e 18). Aquilani in quel momento era già ammonito e quindi avrebbe dovuto essere espulso. A tavolino Il giorno seguente il fischietto tedesco ha segnalato l'errore all'Uefa, che ha rivisto i filmati e attivato le procedure per intervenire in tempo utile in vista della prossima partita. Risultato: secondo cartellino giallo «a tavolino» ad Aquilani, con conseguente squalifica per un turno in occasione di Viktoria-Milan, e ovviamente ammonizione a Nesta derubricata. -
Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"
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Dinastie Cambio di governance: il fondatore alla presidenza. Roncaglio nuovo amministratore delegato della holding Andrea Agnelli, non solo Juventus Utili e soci per il fondo di famiglia Da Liberty ad assicurazioni ed energia, gli affari di Lamse di MASSIMO SIDERI (CorSera 04-12-2011) TORINO — A pochi passi da piazza San Carlo, a Torino, ci sono degli uffici di Andrea Agnelli dove non entrano la Juventus, il calcio, la Fiat e nemmeno l'accomandita, la Giovanni Agnelli & C. Sapaz. Sulla targa si legge Lamse, fusione di La Mandria e Sestriere, due località che ritornano nella storia della famiglia. Sono i suoi affari personali, suoi e della sorella Anna, l'altra figlia di Allegra e Umberto Agnelli. Lamse è una holding (il 51% è di Andrea, il restante 49 di Anna) con un'anima da private equity sempre alla ricerca di start up. Se ne parla poco perché rispetto al giro di affari a cui il cognome ci ha abituati questi potrebbero essere definiti spiccioli. Solo indirettamente la holding ha fatto notizia, soprattutto per gli investimenti fatti attraverso BlueGem, il fondo di private equity gestito autonomamente dall'ex banchiere di Merrill Lynch, Marco Capello. BlueGem è la società che sta tentando di diventare una sorta di piccola Lvmh inglese, è che si è già aggiudicata dei gioielli come il negozio londinese Liberty e i cappelli amati anche dalla famiglia reale, i Christys' Hats. Ma, BlueGem a parte, Lamse ha operato anche direttamente investendo 4,5 milioni. La tentazione di definirlo il giocattolo dei due fratelli sarebbe forte se non fosse che lo spirito con cui ci lavora Agnelli è diverso: si capisce che è un progetto piccolo su cui punta molto. Nell'ultimo consiglio di amministrazione che si è tenuto il 15 novembre, dopo quasi 5 anni di vita silenziosa ma produttiva, si è deciso di tirare le prime somme. Partita con 20 milioni di euro messi da fratello e sorella la Lamse ne ha investiti in tutto 12. Con quel cognome avrebbero potuto raccogliere capitali ben più consistenti senza problemi e partire subito con un grosso fondo di private equity. Ma Agnelli ha preferito costruirsi prima un pedigree fatto di track record e buoni investimenti. In maniera che il messaggio, quando e se si deciderà di aprire ai soci esterni, sarà chiaro per tutti: nessun salottino tanto per dire di lavorare con lui. Contano i numeri. È nata nel 2007 e con il quinto anno quasi alla conclusione Agnelli considera finita la fase uno. A confermarlo c'è il rinnovo della governance con Andrea che è appena diventato presidente lasciando la poltrona di amministratore delegato a Francesco Roncaglio, nel progetto fin dalle prime battute. Fino a oggi sono stati quattro gli investimenti decisi in questi uffici, rispettando la regola aurea del vedine 100 e scegline una. La prima è stata Katarsis Capital Advisors, una società di advisory finanziaria nel settore delle Insurance Linked Securities, presa nel 2008, praticamente in «culla», e ceduta ai soci fondatori in seguito all'ingresso, nel corso dell'anno, di Azimut Holding. Il 2009 è stata la volta di Lucos Alternative Energies che opera nel segmento del risparmio energetico, già parzialmente ceduta a Terni Energia. «Tra i motivi della scelta di una holding come forma societaria — spiega Roncaglio — oltre alla chiusura iniziale ai soci terzi c'era anche la necessità di non avere i vincoli temporali tipici del private equity. Entriamo nelle società per restarci tutto il tempo necessario senza l'ansia del realizzo. Ma il settore è difficile da prevedere. E così con i primi due investimenti, visto che se ne erano presentate le condizioni e stavano mutando le condizioni iniziali, abbiamo scelto di uscire». Oltre alla quota in Lucos resta l'investimento in Add Editore e quello più grande in Nobis, compagnia di assicurazioni specializzata nel ramo danni e nata dall'idea di Alberto Di Tanno, di Intergea, di unire concessionarie e officine nella vendita delle polizze. Nuovi dossier sono sul tavolo. Ma con il primo bilancio in utile di un milione pre tasse Lamse dovrà ora capire cosa vorrà fare da grande. Aprirsi ad altri azionisti? Tutte le opzioni sono aperte. Ci stiamo ragionando fa capire Andrea Agnelli. Probabilmente con Capello, che sta ingegnerizzando un nuovo fondo sul quale c'è grande attesa nella City, ci potrà essere qualche ulteriore collaborazione. Ma senza sovrapposizioni: Lamse continuerà a cercare in Italia dossier sotto i 10 milioni. BlueGem I e BlueGem II continueranno a scandagliare Londra e dintorni dai 10 milioni in su. -
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“Le belve” reloaded: il calcio messicano usato per riciclare il denaro dei narcos di FRANCESCO CAREMANI dal blog "IL CALCIO DELL'ALTRO MONDO" (LINKIESTA 25-11-2011) Otto delle ultime dieci edizioni della Concacaf Champions League sono state vinte da squadre messicane, le altre due da formazioni costaricensi. All’apparenza niente di strano, visto che il Messico è, senza ombra di dubbio, la massima potenza calcistica dell’area, ma rileggendo le dichiarazioni rilasciate da Fernando Rodriguez Mondragon la cosa assume tutto un altro spessore: «In Colombia è risaputo che i narcotrafficanti messicani stanno riciclando denaro sporco attraverso le squadre, acquistando giocatori con operazioni oscure, tramite conti alle Bahamas e in altri paradisi fiscali». Fernando Rodriguez, figlio di Gilberto Rodriguez Orejuela e nipote di Miguel Rodriguez Orejuela, ‘fondatori’ del cartello di Cali, oggi è in carcere negli Stati Uniti e scrive libri, il più famoso Il figlio dello scacchista, nel quale afferma che un emissario di Bin Laden nel 2000 aveva cercato contatti con i cartelli colombiani per importare negli Usa cocaina all’antrace. Dichiarazione che non possiamo confutare e che sicuramente dentro un libro venduto negli Stati Uniti avrà avuto il suo effetto rebound, ma che in qualche modo abbassa la credibilità della gola profonda colombiana. Che, però, la testa del narcotraffico internazionale si sia spostata dalla Colombia al Messico è un dato di fatto, con una guerra che governo locale e quello a stelle e strisce stanno perdendo giorno dopo giorno: circa il 90 per cento della cocaina che arriva in Canada e Stati Uniti passa attraverso la frontiera messicana. Non hanno inventato niente di nuovo. I narcos utilizzano le plusvalenze, non per barare sui bilanci, come sanno bene alcuni club italiani, ma per riciclare il denaro frutto delle attività malavitose, droga in testa. Si compra un giocatore, secondo Fernando Rodriguez Mondragon soprattutto argentini, lo si valuta 20 milioni di dollari, se ne pagano solo 2 al club di provenienza ed eccone 18 puliti. L’operazione passa attraverso le banche dei paradisi fiscali e il gioco è fatto, senza contare che il calcio latinoamericano è lontano anni luce dai controlli amministrativi e finanziari che vigono attualmente in Europa. Fernando Rodriguez Mondragon cita il paragone con la Colombia degli anni ’80 e ’90, dove il suo cartello controllava l’America di Cali, mentre Pablo Escobar acquistò l’Atletico Nacional. Risultati? L’America di Cali ha vinto 9 dei suoi 13 scudetti nel ventennio ’79-99, 4 (su 11 totali) l’Atletico Nacional. I primi hanno conquistato una Coppa Merconorte e hanno giocato quattro finali di Libertadores, i secondi una Libertadores, due Merconorte e due Interamericana. Gonzalo Rodriguez Gacha detto “il Messicano”, invece, è stato proprietario dei Millonarios. Una rete che arriverebbe fino ai paramilitari, sui cui computer, una volta estradati negli Stati Uniti, sono comparse le squadre che gestivano. «L’America di Cali era quasi invincibile e non solo per i suoi grandi giocatori, ma anche perché il denaro prodotto dal narcotraffico influenzava i risultati quando si cominciarono a pagare gli arbitri», sottolinea Fernando Rodriguez, che indica nell’America e nel Cruz Azul i due club messicani maggiormente legati al narcotraffico; anche se il primo non vince un titolo dal 2005 e il secondo dal ’97. Il Cruz Azul ha conquistato due Concacaf Champions League consecutive (’96 e ’97), l’America nel 2006. Senza trascurare che il suo proprietario è il miliardario Emilio Azcarraga (uno degli uomini più potenti del Messico), il quale con il gruppo Televisa domina il settore, prosciugando il 70% dell’audience, escluso il digitale. Le squadre messicane del momento, risultati alla mano, sono Monterrey (che vedremo al Mondiale per club della Fifa), Pachuca, Atlante, UNAM Pumas e Toluca. La zona costiera che da Monterrey (capitale industriale del Paese) scende fino a Cancun, sul golfo del Messico, è sotto il dominio de Los Zetas, uno dei cartelli più sanguinari: fosse comuni, rapimenti, assassini di politici e gente comune, creando un clima di terrore che sta trasformando questa striscia in terra di nessuno. I cartelli, secondo una cartina dettagliata pubblicata da Le Monde Magazine, si spartiscono il territorio e, ormai, è più quello controllato da loro che dallo stato, incapace (?) di proteggere i cittadini. In odore di narcotraffico sarebbero anche Los Indios di Ciudad Juarez (fondato nel 2005, oggi nella Liga de Ascenso, nostra B) e Los Mapaches di Nueva Italia, retrocessi dalla Federazione in terza divisione (Segunda A) per questo motivo e dentro un’inchiesta che porterebbe al club America. Sui primi i media messicani sono un po’ discordanti. In realtà pare che la squadra sia stata un gran rifugio psicologico per i cittadini di uno dei posti più vicini all’inferno che si conoscano al mondo, con i giocatori che rischiano la propria vita e che hanno subito minacce di morte e di rapimento, tanto che gli stranieri rimasti hanno mandato via le famiglie. Salvador Cabanas, attaccante del Paraguay, è stato colpito a morte nel 2010 dentro un bar, sopravvivendo miracolosamente, secondo i media messicani per un debito legato alla droga. L’America ha rescisso il suo contratto unilateralmente. Carlos Mercedes Vasquez, ex nazionale guatemalteco, è stato fatto a pezzi e nascosto in cinque borse diverse per essere andato con la moglie dell’uomo sbagliato. Los Zetas hanno poi, una volta attraversata la frontiera, assalito il carcere dov’era rinchiuso il sicario accusato di averlo ucciso, liberandolo. Messico e nuvole, la faccia triste dell’America. -
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Genoa-Milan non è una partita come le altre di STEFANO NAZZI (Il Post.it 03-12-2011) Chi ha visto venerdì sera Genoa-Milan in tv sa che è successo qualcosa fuori dallo stadio. Tafferugli, dicono i giornali. La curva genoana ha aspettato l’arrivo dei milanisti e li ha accolti con sassi e bottiglie. È un fatto: Genoa Milan non sarà, ancora per molto tempo, una partita normale. E non per il risultato, ma per una data: 29 gennaio 1995. Quel giorno, fuori dallo stadio di Marassi, dalla parte della curva nord, un ragazzo genoano di 25 anni, Vincenzo Spagnolo, venne accoltellato a morte da un altro ragazzo, uno della curva sud milanista. Quello che accadde quel giorno è ormai storia giudiziaria, ma è anche la storia di una delle curve più antiche e famose d’Italia, quella del Milan. A uccidere con una coltellata al cuore Vincenzo Spagnolo fu Simone Barbaglia, 18 anni. Faceva parte di un gruppo che si era staccato dalle Brigate rossonere anche, e soprattutto, per motivi politici. La curva rossonera aveva allora una forte componente di sinistra, così almeno era per le Brigate rossonere. Chi diede vita alle Brigate 2 aveva invece simpatie per la destra radicale ma, soprattutto, ideologizzava lo scontro sempre e comunque, a tutti i costi. I suoi leader tra l’altro non assomigliavano molto alla classica figura del tifoso della curva: venivano della buona borghesia milanese, studenti di architettura o di lettere. Il loro capo indiscusso (lo chiamavano “il chirurgo”, per l’uso continuo del coltello) è oggi un affermato commercialista milanese. Quel giorno a Genova erano andati per conto loro, non con il treno ufficiale dei tifosi ma su un treno normale, senza sciarpe o altro materiale che potesse distinguerli. Puntarono subito verso la curva nord genoana e dietro i capi c’erano, come sempre, decine di ragazzini. Barbaglia era uno di loro. Fu condannato a 14 anni e otto mesi, oggi è libero. Molti capi delle Brigate 2 patteggiarono pene tra i cinque mesi e un anno, “il chirurgo” venne condannato a due anni. La Procura generale di Genova chiese invano che venisse processato anche lui per omicidio volontario. Dopo l’omicidio di Spagnolo, le varie curve d’Italia cercarono di parlarsi, di discutere su quello che era successo. Venne anche indetta, a Genova, un’assemblea, il titolo era tipico del linguaggio delle curve: “Basta lame, basta infami”. I milanisti non vennero invitati. Si creò anche un coordinamento che prese posizione, negli anni seguenti, contro quello che la “mentalità ultras” definisce il calcio moderno, dettato dall’egemonia televisiva. Il coordinamento durò poco, troppi odi tra una curva e l’altra, anche politici. La destra radicale aveva conquistato ormai l’egemonia in tutte le principali curve d’Italia, aggiungendosi a quelle, come la nord interista, che di destra erano sempre state. Ma c’è stato, nelle curve italiane, un passaggio ulteriore: l’arrivo in forze della criminalità organizzata. A Milano, sponda curva sud, si arrivò nel 2006 a una resa dei conti clamorosa: il gruppo più antico d’Italia, il più famoso, la Fossa dei Leoni, fu costretto a sciogliersi. La FdL era rimasta l’unico gruppo in curva non allineato: di sinistra e spesso in antagonismo pesante con la società. Il pretesto fu una storia di striscioni rubati e scontri con gli juventini, fatto sta che ai capi della Fossa (il direttivo) fu intimato di non mettere più piede allo stadio. Le minacce arrivavano da gente che non si poteva sottovalutare: facce nuove, legate alla ‘ndrangheta, che avevano fiutato l’affare: merchandising, biglietti, trasferte, una curva organizzata vale tanti soldi. Il direttivo convocò un’assemblea, diventata storica, in cui venne votato, pur di non far cadere il nome e l’organizzazione in mano ad altri, lo scioglimento della Fossa. Un solo leader si oppose, fondò un gruppo con un nome evocativo, Leoni della Sud, ma il gruppo egemone gli fece capire, pesantemente, che doveva andarsene anche lui. Ci furono pochi tentativi di resistenza, volarono anche colpi di pistola. Il 25 gennaio del 2007, dopo Milan-Roma, Walter Settembrini, uno dei pochi di sinistra rimasti in curva, venne aggredito con una violenza spaventosa. Una telecamera riprese tutto, il video può dare bene l’idea della violenza con cui vengono gestite le curve italiane. Settembrini rimase due mesi in ospedale, gli avevano sfondato la faccia e la testa. Al processo gli aggressori parlarono di “antipatia per quell’individuo”. Tutto lì, antipatia. Il resto è storia recente: c’è stato un processo a nuovi e vecchi capi della curva sud rossonera: l’accusa era quella di aver ricattato la dirigenza del MIlan. In sostanza: o ci dai un sacco di biglietti per le trasferte (biglietti che poi ovviamente vengono rivenduti) oppure ti facciamo squalificare il campo. Uno dei capi della curva è oggi latitante, ricercato per altre storie, legate alla criminalità organizzata. E dire che un paio di anni fa è anche comparso come attore in un film, L’ultimo ultras. Faceva se stesso. Da due anni i tifosi della curva milanista hanno avuto il permesso di tornare a Genova, in occasione di Genoa-Milan. Sono passati 16 anni dalla morte di Vincenzo Spagnolo, le curve d’Italia sono cambiate. Quella partita, però, non sarà mai come le altre. -
IL CASO Saras, i Moratti trattano nuove alleanze La raffineria di Sarroch - fulcro del gruppo, valore un miliardo - potrebbe passare di mano o vedere l'ingresso di un investitore straniero. "Contatti con gruppi industriali", tra cui la russa Sibur. Escluso il delisting. Nella trattativa potrebbe entrare anche la squadra dell'Inter in trattativa di ANDREA GRECO (la Repubblica.it - ECONOMIA & Finanza 02-12-2011) MILANO - Delisting no. Vendita forse. Alleanza con i russi probabile. Si inizia a capire qualcosa del volo di Saras, che in Borsa ha guadagnato il 50% in una settimana, anche se ieri dopo un +9% in partenza il prezzo è planato a 1,154 euro (-1,03%). La raffineria della famiglia Moratti potrebbe avere presto nuovi soci o finire in mani russe. "Saras e il proprio azionista di controllo Angelo Moratti Sapa precisano che non esiste alcuna iniziativa di delisting da parte dell'azionista di controllo - ha scritto Saras in una nota, emessa su richiesta della Consob dopo l'ennesima fiammata del titolo - . Il gruppo sottolinea, inoltre, che continuano ad esservi rapporti, anche informativi, con controparti industriali, che possono riguardare operazioni sia commerciali che strategico-industriali". In Borsa da qualche giorno si erano diffuse voci su un possibile delisting del titolo, quotato nel 2006 e che ben poche soddisfazioni ha dato agli azionisti. Ma la pista da seguire sarebbe quella delle "operazioni strategico-industriali". Una formula burocratica, ma che secondo fonti attendibili celerebbe un'ipotesi molto più circoscritta: un'alleanza forte di Saras con un operatore straniero. I candidati non mancano e le voci si rincorrono da mesi: si era parlato e scritto di Gazprom, e della compagnia energetica statale dell'Azerbaijan, Socar. Ma il candidato più accreditato lo avrebbe portato Marco Tronchetti Provera, ed è Sibur holding, il partner russo di Pirelli negli pneumatici. Da circa un mese e mezzo la trattativa con Sibur - conglomerato russo che fa capo a Gazprombank, il braccio finanziario del colosso del gas di Mosca - sarebbe in piedi, anche agevolata dai consulenti storici di Saras (si fanno i nomi di Banca Leonardo e Lazard). Il negoziato sarebbe stato inizialmente difficile, anche per la distanza tra le parti. Ma l'impennata dei volumi e dei prezzi di Saras degli ultimi giorni fa presumere gli addetti ai lavori che potremmo essere alla svolta (e anche di questi movimenti borsistici potrà magari occuparsi la Consob). Agli ultimi prezzi, la società vale quasi 1 miliardo di euro a Piazza Affari. È noto che il business della raffinazione è in difficoltà, in Europa: i margini sono molto compressi, specie per chi non è produttore di idrocarburi (è il caso di Saras) e non riesce a scaricarli a monte. Inoltre, alla sovraccapacità produttiva che da anni falcidia il settore si aggiungono le politiche aggressive sui prezzi dei raffinatori asiatici. In questo contesto, la voglia dei raffinatori italiani di passare la mano è crescente. Da tre anni Erg, unica concorrente italiana di Saras, ha stretto un'alleanza strategica con Lukoil, che ha pagato 1, 34 miliardi per il 49% nella raffineria Isab di Priolo. Ora Sibur holding persegue una strategia simile, più volte portata avanti dagli oligarchi russi delle materie prime e teorizzata dal Cremlino. Si tratta di "scendere" nella filiera delle materie prime, passando dalla mera produzione alla raffinazione e poi distribuzione, per accrescere il valore aggiunto. La stessa strategia la sta tentando Gazprom nel mercato del gas italiano. Sibur è leader nel settore petrolchimico in Russia e in Europa dell'Est, e opera in tutti i processi della catena petrolchimica, dal gas alle materie plastiche, poi fertilizzanti, pneumatici e prodotti di gomma per l'industria. Conta su oltre 2mila diversi marchi, nei suoi impianti lavorano oltra 50mila persone. Storicamente era il "braccio chimico" di Gazprom, che poi la girò alla finanziaria Gazprombank, che ne controlla il 95% del capitale. Nelle prossime ore potrebbe esserci l'epilogo della trattativa italo-russa. E chissà che non possano venirne sviluppi clamorosi anche sul fronte calcistico. L'amor fou di Massimo Moratti per la società nerazzurra, si mormora dietro le quinte, sarebbe in ritirata, la rosa dei calciatori da rifondare. Un mestiere e una vetrina perfetti per un oligarca russo. Ci sarebbe il problema che Gazprom era stata affacciata come potenziale compratore del Milan, ma la perfezione non è del mondo, e anche Silvio Berlusconi, secondo la vulgata, si fece le ossa come interista.
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Facchetti Il terzino-campione, il suo mondo di parola, le grandi partite, nel ricordo del figlio Quando il calcio profumava di Giacinto di Marta Morazzoni (LA STAMPA - tuttoLIBRI 03-12-2011) Da un anno pensavo di scrivere sul clima Inter, in cui l'avventura europea al Santiago Bernabeu, artefice lo stregone Mourinho, mi aveva ripiombato, tirando in ballo le emozioni del tempo mitico del mago Herrera. Ora, in tutt’altro stile e con un altro paradigma, nel racconto di un figlio che ricorda suo padre, mi trovo proiettata in quel gioco sincronico, che riporta sulla scena in un valzer a due tempi l’Inter del Prater di Vienna del 1964, per me la prima magia, e quella di Madrid. Le facce si confondono, i nomi delle formazioni si accavallano, e però mi pare che il capitano Zanetti sia il trait d’union, mi pare che la sua faccia, il suo sorriso abbiano qualcosa in comune con quelli di Giacinto Facchetti. Non so se Gianfelice Facchetti avesse già in cantiere il suo tempo ritrovato, prima che per il mondo nerazzurro scattasse il richiamo della memoria involontaria, di fatto il suo la di scrittore è coinciso con il la della memoria e dell’emozione collettiva. Si sa che bisogna diffidare del passato mitizzato, perché la dea Mnemosine si districa con abilità tra quello che le piace di ricordare e quello che non le piace più di avere in mente. Per di più un figlio che parla del padre corre dei rischi, sempre, se poi il padre è protagonista di un epos sportivo oltre il tifo dei club, la penna scivola facilmente verso l’emozione poco controllata da entrambe le parti, lettore e scrittore. Facchetti è stato un pezzo di storia dell’Inter e della nazionale, quella che ha subito lo scacco della Corea nel ‘66, ma ha vinto gli Europei del ‘68 e ha giocato la partita delle partite, quell’Italia-Germania 4 a 3 che ha visto la gente attaccata al televisore in una tensione da cardiopalma, in uno di quei rari momenti in cui l’Italia è un’Italia unita. Lecito quindi domandarsi se quello che stiamo leggendo sia la nostalgia di una stagione idealizzata, o un ragionato ripensamento intorno a uno stile di vita che si è via via fatto estraneo a un oggi un po’ meno coraggioso e pulito. Nostalgia sì, comunque: il libro è dolce e amaro, ci sono ricordi tenerissimi familiari, sportivi, amicali, c’è un presente di affetti solidi; ma ci sono, o meglio ci sono stati rospi fastidiosi da ingoiare, e chi ha almeno sentito dire della vicenda di calciopoli, non ha bisogno che gli si ripassi la parte. Su tutto domina uno sguardo lucido su un oggi svilito non solo nello sport. Il titolo è emblematico di quell’altro mondo che, nel clima sgusciante e parolaio che conosciamo, rischierebbe se non l’irrisione, lo stupore, un titolo sospeso su una domanda a quel tempo retorica: Se no che gente saremmo... che gente saremmo se non avessimo una parola sola? C’è, nell’aneddoto legato a questa frase, il taglio di un’onestà assoluta, che si imbarazza all’idea di venire meno a quel che ha detto. A 64 anni Facchetti ha chiuso i conti con questo mondo sempre meno di parola, li ha lasciati aperti in un dialogo di emozioni con suo figlio che in questo libro ce ne fa parte. E il racconto del dialogo interrotto e ripreso tra loro due ci coinvolge, ciascuno di noi con una sua peculiare memoria, dal rosario laico della formazione dell’Inter alla foto di gruppo del maggio 1964 al Prater di Vienna. Ce l’ho, quella foto, col sorriso di Facchetti in bianco e nero. O nerazzurro. -
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Palazzo di vetro DI RUGGIERO PALOMBO (GaSport 03-12-2011) Calcio e non solo, rinvii e ventriloqui Quasi tutto slitta, a gennaio si rischia l'ingorgo. E Roma 2020 ora traballa E' tempo di rinvii. Prima l'Alta Corte di Giustizia che doveva esaminare il caso delle radiazioni di Moggi, Giraudo e Mazzini. Poi la Corte di Giustizia federale sulla questione dell'articolo 22 delle Noif. Infine il Governo, che di Paralimpici e Roma 2020 non vuole sentire parlare fino all'anno prossimo. Dio non voglia il tavolo della pace e i vari Tnas ancora in azione non dovessero mettere qualche punto fermo, gennaio rischia il gigantesco ingorgo istituzionale, giudiziario e procedurale. Speriamo bene. Soprattutto per Roma 2020 che traballa e per Pancalli che chiude bottega, ma anche per ciò che investe più da vicino il calcio, la cui legge sugli stadi sembra letteralmente sparita. La storia dell'articolo 22, il caso Lotito, è emblematica di come (non) funzionano certe cose. Sabato scorso se ne è occupato Palazzo di vetro, sostenendo, non in punta di diritto ma di buon senso, che il presidente della Lazio nonché consigliere federale, dopo la condanna di Calciopoli non merita l'ergastolo sportivo, non merita di essere escluso dalla partecipazione alla vita associativa della Lega, e non merita (ora) di sedere in C. f. Questa opinione, per la sua terza parte, non è piaciuta a Lotito, secondo il quale Palazzo di vetro è «ventriloquo di Abete» e profetizza pareri già scritti. Per una curiosa successione temporale, a queste valutazioni ha fatto seguito martedì la lettera che il presidente della Lega Beretta ha mandato ad Abete e alla Corte. Nella quale, tra le varie eccezioni sollevate, «corre l'obbligo di rilevare che l'eventuale esclusione del nostro rappresentante dal Consiglio federale in ragione di una disciplina incerta nella sua applicazione apparirebbe come del tutto contraria allo spirito... Ciò rischierebbe poi di minare la specificità e l'autonomia dell'ordinamento sportivo, con il rischio di alimentare quel ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria, che insieme a te (Abete) non vorrei mai vedere esercitato, ma che è stato già da più parti evidenziato...». Conclude Beretta: «... la sospensione di questi (Lotito) per effetto di una pronuncia non definitiva può impedirne la nuova elezione, ma non può comportare la cessazione anticipata dell'incarico». E qui sta il punto: con tutto il rispetto per l'opinione di Beretta, noi, con o senza ventriloqui, continuiamo ad avere la nostra. Ps «Il presidente del Coni può essere solo uno che ha avuto esperienze nel mondo del calcio». Così Petrucci martedì a fine Giunta. L'ex-commissario Figc Pagnozzi sarà contento. Malagò e Barelli un po' meno. -
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Unione calcistica Anche il calcio europeo verserà lacrime e sangue per sopravvivere Il fair play finanziario voluto da Platini ricorda l'entrata in vigore dell'euro. Problemi e vantaggi di FRANCESCO CAREMANI (Il Foglio.it 02-12-2011) Il fair play finanziario ricorda un po’, negli annunci e nei principi, l’entrata in vigore dell’euro. Secondo il presidente dell’Uefa, Michel Platini, e il suo segretario generale, Gianni Infantino, l’obbligo del pareggio di bilancio aiuterà le società a risanare i propri conti, a ripianare i debiti accumulati in questi anni, a rendere più solido e sostenibile il sistema calcio, a investire più e meglio in infrastrutture e settori giovanili. Lacrime e sangue per un futuro migliore, proprio come con l’euro, e visto come sta andando con la moneta unica c’è di che essere preoccupati, soprattutto per l’atteggiamento di chi pensa che le sanzioni alla fine non saranno poi così dure come promesso, sbagliandosi clamorosamente com’è successo ai governi europei con le proprie finanze. Il fair play finanziario entrerà in vigore dal 2013-14 e già da questa stagione si deve guardare più ai conti che al campo, due i parametri principali: pareggio di bilancio e limite di ricapitalizzazione fissato a 45 milioni di euro in tre esercizi consecutivi, che diventeranno 30 per il trimestre 2015-2018. Cosa rischiano i club che non saranno in regola? Molto, a seconda dei casi potrebbero essere sospesi dall’attività, esclusi dalle coppe europee (l’elemento su cui Michel Platini ha insistito di più), perdere punti nei rispettivi campionati, divieto assoluto di acquistare nuovi giocatori. Il presidente dell’Uefa, per adesso, è inflessibile: non ci saranno proroghe, il fair play finanziario è partito e non si torna indietro, chi sgarra pagherà, affrettandosi poi a dichiarare che tutto questo è stato fatto per proteggere i club e non per danneggiarli. Diplomazia a parte, se l’ECA, l’associazione che racchiude i 190 club europei più importanti, presieduta da Karl-Heinz Rummenigge, ha accettato all’unanimità le proposte di Platini, nonostante la refrattarietà di quelli inglesi, evidentemente la preoccupazione di un’implosione economica del calcio continentale (quindi dell’Uefa) è sentire comune. Le cifre sono impietose. Un miliardo e 200 milioni di euro i debiti accumulati dalle squadre di tutti i massimi campionati europei, 53 tornei per 732 club; nel 2010 le spese sono aumentate del 10 per cento, il doppio degli introiti, e in un anno le perdite sono lievitate dell’85 per cento; nel 2008 i costi operativi erano di 12.100.000.000 euro, 578 milioni le perdite con un aumento del costo del lavoro (leggi stipendi calciatori) del 18, 1 per cento, 20 miliardi il valore del patrimonio complessivo e 18,2 quello delle passività (fonte futebolfinance.com). Nelle ultime cinque stagioni (2006-07/2010-11) i cinque massimi campionati del Vecchio Continente hanno speso per le campagne acquisti 10.108.298.000 euro: Premier League 3.612.770.000, Liga 2.170.417. 000, serie A 2.144.483.000, Ligue 1 1.132.103.000, Bundesliga 1. 048. 525. 000. Il campionato francese in tre stagioni su quattro ha registrato un saldo positivo per un totale di 171.185.000 euro, la Bundesliga solo in questa stagione ha registrato un più 1.480.000, gli altri sono tutti negativi con i rispettivi picchi: Premier League meno 448. 120. 000 (’07-08), Liga meno 278. 560. 000 (’07-08), serie A meno 228.237. 833 (’08-09), Bundesliga meno 109. 835. 000 (’09-10), Ligue 1 meno 61.771.000 (’09-10). Il fair play finanziario nasce da uno studio approfondito della situazione del calcio europeo, dove Infantino rappresenta la parte tecnica e Platini quella decisionale: una giornata intera per spiegare alle squadre inglesi il progetto e cinque minuti per approvarlo dopo l’arrivo di Roi Michel, perché nel calcio funziona così e un grande ex difficilmente perde la stima e il rispetto dell’intero movimento. Più curioso semmai che uno come Platini, l’esempio dell’aristocrazia per eccellenza (quasi un alter ego dell’Avvocato ai tempi della Juventus), punti tutto o quasi sulla democratizzazione del football: dalla Champions League ai bilanci. Secondo l’Uefa, infatti, questa situazione ha aumentato il gap tra grandi e piccole, un po’ di numeri: l’88 per cento dei soldi derivanti dai diritti televisivi è generato dai cinque maggiori campionati europei; i primi quattro club di ogni torneo hanno un fatturato superiore a tutti gli altri, in media 3, 9 volte; le prime dieci squadre europee hanno creato un divario con le altre attualmente immodificabile. Per raggiungere l’obiettivo ci vorrà, però, anche l’aiuto della Fifa, perché non sarà più permesso, tra le altre cose, acquistare un giocatore all’estero (Sudamerica, per esempio) senza pagarlo, saldandolo solo una volta ceduto a una terza società. Difficile, anche perché Platini sta iniziando a smarcarsi da Blatter (che è stato uno dei suoi grandi elettori). Un esempio? Michel ha bocciato la proposta del 6+5 (6 indigeni e solo 5 stranieri in campo), anche perché non ha alcuna intenzione di andare alla guerra contro l’Unione europea, che ha salutato di buon grado il fair play finanziario ma che ancora nicchia sulla specificità del calcio. Analogie. Se il fair play finanziario ricorda a larghi tratti l’entrata in vigore dell’euro, alcuni elementi della crisi economica globale e di quella che sta colpendo il calcio si sovrappongono. Uno su tutti il mancato ricambio generazionale e il dato è impressionante: considerando i 732 club dei 53 massimi campionati europei solo il 22 per cento dei giocatori in rosa ha meno di 22 anni, segno evidente che qualcosa a livello di settore giovanile non funziona. E non funziona sia in fase di formazione che di mercato. Più che modelli nazionali, francese a parte (che ha mostrato crepe importanti, sulle quali, però, stanno già intervenendo), esistono quelli legati ai singoli club, Barcellona e Arsenal su tutti e con risultati molto differenti; la realtà degli ultimi anni, inoltre, ci suggerisce che spesso si preferisce acquistare un giovane extracomunitario (africano, più spesso, o sudamericano) già formato che costruirlo in casa, dove per vari motivi (vuoi anche la presenza dei procuratori all’età di 14-15 anni) alla fine costa di più. Senza considerare che, in Italia, c’è un ostruzionismo atavico da parte dei club professionisti a pagare il premio di formazione a quelli dilettanti. In un primo momento il sistema calcio si sentiva al sicuro dalla crisi grazie ai contratti (sponsor e diritti televisivi in testa) spalmati su più anni, c’era addirittura chi aveva previsto la fine della stessa e quindi messo al riparo il movimento da qualsivoglia scossa, ma come abbiamo visto i contratti possono anche essere messi in discussione. In Europa 608 club su 732 non hanno lo stadio di proprietà (83 per cento), di questi il 65 per cento è preso in affitto dallo stato o dalle amministrazioni locali e in più di metà dei campionati gli spettatori sono diminuiti: 196 società europee di serie A hanno una media poco superiore ai 10.000. Il valore immobiliare dei club si aggira intorno a 5,2 miliardi di euro, ma ben il 64 per cento è riconducibile a sole 20 società. Ergo il fair play finanziario potrà anche risolvere i problemi economici del calcio, ma difficilmente metterà in atto un’opera di democratizzazione. I due paesi che guardano a tutto questo dall’alto sono al momento la Francia e la Germania, il perché è semplice: se a fine campionato ci sono dei debiti a Parigi o si saldano subito o si retrocede, a Berlino si retrocede senza nemmeno passare dal via. E non è un caso che proprio i tedeschi, da tempo, abbiano messo mano ai bilanci delle società di calcio trasformando il movimento e riportando tanta gente allo stadio. In fondo il football gode di un grande privilegio: è un vettore quanto mai prezioso e ricercato d’immagine e pubblicità. Per questo il flusso di soldi è continuo, sia in termini di sponsorship che diritti televisivi, senza contare gli incassi da stadio, marketing e merchandising (dove il falso andrebbe combattuto con maggiore severità). Elementi che condannano invece che assolvere le dirigenze, capaci, nonostante tutto, di accumulare milioni di debiti, colpa anche di un costo del lavoro (stipendi dei calciatori e aumento esagerato del numero di addetti) sempre più elevato, ma Platini si è detto contrario a qualsiasi forma di salary cap. Ugualmente alla crisi globale anche in quella calcistica i grandi hanno travolto a domino i piccoli, come? Be’, nel momento in cui le squadre più forti e più ricche sono andate in crisi il mercato dei calciatori è rallentato e movimenti come quello francese e belga, per esempio, che facevano dell’export una voce importante, hanno rischiato il collasso. Per non parlare di quelli sudamericani (con uno spostamento significativo verso l’Est Europa che paga con i petroldollari), africani e asiatici. La globalizzazione ha cancellato qualsiasi utopia autarchica e per un mondo nuovo ci vogliono regole nuove: saprà il calcio, geneticamente conservatore, stare al passo coi tempi? Secondo Michel Platini è obbligato se non vuole chiudere (l’Uefa trema al solo pensiero) e, tra le altre cose, richiama a una maggiore attenzione verso un management avveduto e preparato, nei grandi ma soprattutto nei piccoli club. Intanto il Manchester City ha speso 45 milioni di euro per Aguero e 27,5 per Nasri, il PSG 43 per Pastore, l’Atletico Madrid 40 per Falcao, il Real Madrid 30 per Coentrao e il Barcellona 29 per Fabregas; per fortuna, verrebbe da dire, l’Arsenal ha raggiunto il pareggio di bilancio, ma le altre? Michel Platini crede nel mercato e il fair play finanziario, a occhio e croce, certificherà il neoliberismo che in questi ultimi anni è diventato il motore del calcio patinato, quello da Champions Legue per intendersi, con un pareggio di bilancio in più e qualche debito in meno. Per le Roi chi avrà 10 potrà spendere dieci, chi 5 cinque e chi 1 uno, ecco la democratizzazione, ognuno secondo le proprie possibilità. Con un dato evidente a tutti: un Chievo non potrà mai avere la forza economica dell’Inter, così i nerazzurri saranno sempre tra le prime e i veneti a pelo d’acqua. E il prossimo step? Ovvio, la Superlega. ___ Anche il calcio europeo ha un modello tedesco e vuole i suoi Eurobond di FRANCESCO CAREMANI (Il Foglio 02-12-2011) Roma. Ridurre la Liga, il campionato di calcio spagnolo, dalle attuali 20 a 16 squadre e allargare la Champions League, fino alla realizzazione di una Superlega europea. Sandro Rosell, presidente del Barcellona (489 milioni di euro di debiti) ha posto la questione in Qatar, in una delle ultime riunioni dell’Eca, European Club Association, la potente lobby delle società di calcio presieduta dal tedesco Karl-Heinz Rummenigge. Rosell, in verità, ha auspicato che tutti i campionati nazionali, entro il 2014, arrivino ad avere una serie A a 16: “Con la speranza di poter giocare Barcellona-Manchester United anche di sabato”. L’intento del numero uno blaugrana è abbastanza chiaro. La bolla immobiliare ha messo in ginocchio i club spagnoli, pieni di debiti e morosi nei confronti dei giocatori, otto società su venti rischiano di fallire, il campionato è iniziato con una giornata di sciopero e l’epilogo è scontato: Real o Barça saranno campioni a fine stagione. La Liga perde credibilità e appeal per i diritti televisivi all’estero, niente a che vedere con la Premier League. Perché, quindi, sprecare energie e risorse in casa, quando si possono guadagnare tanti più soldi giocando le supersfide della Champions? O di una Superlega? Insomma anche il calcio, per non implodere, chiede gli Eurobond. Se fosse un gioco da tavolo potremmo definire l’Eca, figlia legittima del G14, il Gruppo di Francoforte del football, l’Uefa prenderebbe il posto dell’Unione europea (l’allargamento della Champions era nel primo programma elettorale di Platini) e il fair play finanziario le misure imposte ai club se vogliono continuare a giocare le coppe. Il pareggio di bilancio è una di queste, proprio ciò che è stato chiesto a Grecia e Italia, che potrebbe addirittura inserirlo nella Costituzione. Guarda caso, anche nello sport più popolare il modello preso ad esempio è quello tedesco: attenzione ai bilanci, stadi di proprietà, marketing, merchandising, valorizzazione dei settori giovanili e media spettatori invidiabile. Un progetto partito da lontano che ha permesso alla Germania di superare l’Italia nel ranking Uefa e soffiarci una squadra in Champions. Restano alcune difficoltà di ordine pubblico, ma il rischio default è scongiurato da un pezzo. Lo stesso che ha spinto Rosell a dire che anche la Premier League dovrebbe avere 16 squadre, dimenticando lo storico anti europeismo degli inglesi. Richard Scudamore, presidente esecutivo del campionato inglese ha subito replicato: “Le nostre squadre non hanno alcuna intenzione di giocare le coppe nel fine settimana. Prendiamo atto della proposta, ma questa esprime una visione blaugrana del football”. Perché la Premier dovrebbe rinunciare alla propria ricchezza? Un’equa ripartizione dei diritti televisivi e un movimento capace di produrre profitti come pochi altri, fino a pensare una giornata extra da giocare in giro per il mondo, tanto è l’appeal del calcio d’oltremanica. Inizialmente gli inglesi erano contrari anche al fair play finanziario, ma visto l’indebitamento crescente hanno chinato la testa di fronte alle pressioni di Platini. Ivan Gazidis, ceo dell’Arsenal, ha addirittura messo in dubbio l’ineluttabilità della Champions per la sostenibilità dei club. La società, nella sua stagione peggiore dal 1953, ha raggiunto il pareggio di bilancio: “Abbiamo un modello finanziario stabile e completo, tale da garantire la nostra sopravvivenza anche se non ci qualificassimo”, ha detto Gazidis. Chi ha un sistema economico solido e capace di reggere la crisi non vuol sentire parlare di sussidiarietà, chi invece annaspa si aggrappa al treno europeo, chiedendo di trasportarlo oltre la recessione. Tra l’Uefa e i club c’è poi un terzo soggetto, le federazioni, che rischiano di perdere sempre più peso e con loro le rappresentative nazionali, costrette già a pagare ai club i giocatori convocati per Europei e Mondiali. In tutto questo diventa sempre più periferica l’Europa League, che nell’eventualità della Superlega potrebbe anche scomparire, come accaduto alla Coppa delle Coppe. In fondo, se De Laurentiis punta molto sul Napoli europeo un motivo ci sarà, ed è esclusivamente economico. Sull’attuale modello l’Inghilterra ha costruito il proprio business calcistico, la Germania un vivaio invidiabile, la Francia la Nazionale campione del Mondo e d’Europa, come la Spagna, ma al catalano Rosell questa suggestione poco interessa. Il fair play finanziario incombe (l’Uefa non tornerà indietro), basterebbe rispettare le regole e tenere a bada gli stipendi dei calciatori, invece si cerca una via di fuga in avanti per evitare di pagare dazio. Saprà il calcio europeo fare meglio della politica? -
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La strana storia del dottor f. di DAVIDE FUMAGALLI (JUVENTINOVERO.COM Venerdì 02 Dicembre 2011 01:46) Un dettaglio del ricorso al TAR presentato dalla Juventus ha colpito l'attenzione dei più solerti interessati. Come rilevato anche da Massimiliano Nerozzi de 'La Stampa', che ha commentato aggiungendo "Cattivi pensieri?" dopo la notizia, un nome presente in quel ricorso attira l'attenzione: Stefano f.. Nelle ultime pagine del ricorso leggiamo: "La Società ricorrente […] ritiene necessario acquisire le seguenti fonti di prova testimoniale volte ad accertare le ragioni e le modalità del comportamento gravemente colposo ed illegittimo della F. I. G. C e dei suoi Organi coinvolti nella fattispecie in esame. In particolare, si richiede di escutere come testimoni o in sede di interrogatorio formale: [...] 10. il Sig. Stefano f., quale responsabile per la sicurezza della Società controinteressata Football Club Internazionale Milano s. p. a. All’uopo, si deducono i seguenti capitoli di prova testimoniali: [...] 9. “Vero che il Sig. s. f. nelle stagioni 2004-2005 e 2005-2006 fu dipendente o collaboratore della Società controinteressata Football Club Internazionale Milano s.p.a., in qualità di responsabile per la sicurezza”; 10. “Vero che il Sig. s. f. nelle stagioni 2004-2005 e 2005-2006 ha percepito un compenso notevolmente superiore a quello percepito nelle stagioni successive”. Oltre alle persone note cui la Juventus chiede di fornire spiegazioni in merito alle ben note vicende dell’assegnazione dello scudetto relativo alla stagione 2005-2006, in quanto ritenute responsabili anche di aver omesso prove e provvedimenti nel corso degli ultimi cinque anni, compare un nome nuovo. Quello di s. f., dipendente Inter che, ricorso alla mano, pare abbia percepito proprio nelle due stagioni “incriminate” 2004-05 e 2005-06 un “compenso notevolmente superiore” rispetto ai successivi. Cerchiamo di capire meglio di chi si tratta, senza voler lanciare accuse infondate, senza costruire castelli - abitudine che non ci appartiene e che lasciamo volentieri ad altri - ma facendo emergere le perplessità che hanno fatto storcere il naso ai legali stessi della società bianconera. Nato a Roma il 18 ottobre 1959, è laureato in Giurisprudenza ed ha iniziato la carriera in polizia: nel 1991 è stato inviato a Londra ad indagare sulla morte di Roberto Calvi. Nel 1992 è entrato nei quadri della Direzione investigativa antimafia. Nel 1995 il suo ritorno in Toscana, dove ha lavorato alla Digos, poi nel pool di poliziotti a disposizione di Pierluigi Vigna e indi alla squadra mobile di Lucca, che ha diretto. Sempre nel 1995, segue un corso in FBI. Nel 2000 è diventato inoltre Security manager del Comune di Firenze, voluto dal sindaco Dominici, e consulente dell'Associazione Nazionale Comuni d'Italia. Quindi è ritornato a Roma, come Portavoce del Capo della Polizia De Gennaro. È docente ai Master di specializzazione presso la facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università Cattolica di Milano, nonché consulente ONU per il programma IPO (organizzazione e sicurezza di grandi eventi) e, dal 30 marzo 2010, è il nuovo vice presidente incaricato per le Relazioni esterne, Comunicazione e Marketing dell' Associazione Industriali province della Sardegna meridionale. A Milano arriva il 26 novembre 2003, in qualità di responsabile sicurezza del gruppo Saras (la holding della famiglia Moratti) e, successivamente, come responsabile delle relazioni esterne. Alla carica di Direttore delle Relazioni Esterne che f. ricopre in Saras si è da subito affiancata quella di responsabile per la sicurezza e i rapporti istituzionali all’Inter, come si evince anche da questo articolo della Gązzetta dello Sport datato 15 aprile 2005. Per l’Inter, dunque, prosegue l’abitudine al riciclo interno di dirigenti nelle varie aziende del gruppo. Il settore comunicazione e sicurezza, inoltre, si conferma strategico per la vecchia sede di via Durini: dopo gli anni di Calciopoli, anni caratterizzati da pedinamenti ai danni di tesserati FIGC e da intercettazioni telefoniche, e dopo la scomparsa di Giacinto Facchetti, arriva la promozione a Vice direttore Generale per il dottor f.. L’ex poliziotto, a partire dal 21 novembre 2006, va infatti ad affiancare il DG Ernesto Paolillo, con delega al coordinamento della Comunicazione Societaria e dell’Ufficio Stampa, alla Sicurezza ed alla Protezione del Brand (da fonte Saras, tuttavia, pare che la carica di Vice DG risalga all’anno stesso dell’assunzione da parte della società milanese). s. f., inoltre, a seguito dello stravolgimento dell’organigramma nerazzurro, si ritroverà persino a far parte del Comitato Strategico dell’Internazionale, organismo centrale che sottostà direttamente al solo CDA dell’Azienda milanese, al fianco dei Moratti (Massimo, Angelomario e Milly), di Ghelfi e di Paolillo. Nessun altro. Le sue competenze e la sua attività possono più facilmente essere prese in considerazione da parte dei quadri aziendali, le sue prestazioni hanno un peso nelle scelte decisionali dell’intera società. Un’ascesa sfavillante per un responsabile alla sicurezza, sebbene dal curriculum invidiabile. Che poi la domanda sorge spontanea: ma che diavolo ci fa un responsabile alla sicurezza in una società di calcio? E perché si occupa contemporaneamente di relazioni esterne? Probabilmente l’Inter voleva capire cosa accadeva intorno a sé, temeva qualche attacco, temeva di essere vittima di un intero sistema. Queste considerazioni sono analoghe a quelle fatte riguardo all’affaire Telecom: a cosa servivano quei dossier (Como, Ladroni, spionaggi di tesserati, ecc…)? La storia, del resto, fornisce un prezioso assist alle nostre deduzioni: attività Telecom dal 2002-2003, insediamento di responsabili alla sicurezza dal 2003 e… promozioni nel 2006! Inoltre: quante società calcistiche hanno analoghe cariche deputate alla sicurezza? Con tutta probabilità, per quello che sappiamo noi, l’Inter non solo era l’unica ad averle, ma è stata la prima società italiana a preoccuparsi di istituire un settore apposito. Ma restiamo alla cronaca, ché ancora molto resta da raccontare di questa faccenda. Sì, perché il dottor f., una volta giunto nel mondo del calcio non si è fermato alla Bicocca, il suo cuore lo ha riportato nella sua città natale: Roma. In data 11 luglio 2007, infatti, è stato nominato dal presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, coordinatore nazionale dei delegati alla sicurezza, grazie al suo notevole background nell’ambito dell’ordine pubblico. In pratica, è l’uomo che coordina l’attività degli stewards, come da accordi tra Ministero degli Interni, CONI e FIGC. Inoltre, f. è indicato nell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive come rappresentante FIGC, insieme ai vertici delle forze dell’ordine, dello sport e della protezione civile. Un ruolo non certo privo di implicazioni “politiche”, grazie ai possibili contatti con il palazzo e le istituzioni calcistiche e non; si può parlare di conflitto di interessi? f. può intervenire nelle decisioni relative alla sicurezza degli stadi, all’organizzazione dei match, e, contemporaneamente, lavora nella security nerazzurra, organo, come abbiamo visto, non defilato e marginale, ma assolutamente centrale nell’organigramma interista. Non è una novità che le "prese di potere" avvengano anche inserendo propri rappresentanti nei posti giusti, quelli che devono esercitare controlli e prendere decisioni. E il tutto all'oscuro di Moggi, che nel frattempo parlava con Baldas e Biscardi. Ma ora, direte voi, cosa c’entra Luciano Moggi con i fatti di quattro anni fa? C’è un episodio curioso, risalente al 2003, che riguarda - manco a farlo apposta - il dottor Stefano f.: per qualche mese è stato un membro dell’Ufficio indagine della Federcalcio. Nessuna prova su un ruolo attivo del signor f. nelle vicende note come “Calciopoli”, anche perché si è dimesso una volta giunto al cospetto di Moratti: questo atto, tuttavia, conferma il ruolo attivo, alle dipendenze del procuratore Stefano Palazzi, di un dirigente che di lì a poco avrebbe fatto parte dell'organigramma interista. Non conosciamo le reali motivazioni di tale provvedimento (celate dietro la necessità di integrazione di personale), ma la cronologia è curiosa: il 28 aprile 2003 è firmato l’accordo f.-FIGC e a novembre viene assunto dall’Inter, nel pieno dell’attività presso la Procura federale. Sembra che la società di Massimo Moratti, tra il 2002 ed il 2003, sia stata particolarmente interessata alla propria sicurezza: dalla fine del 2002 si può collocare l'attività di Giuliano Tavaroli, altro responsabile della sicurezza, sponda Telecom, rivolto ai dossieraggi illegali di tesserati (come emerso dal processo Telecom in corso a Milano); poi, dalla fine 2003, un altro super-poliziotto giunge in società (f., appunto, sponda Saras-Inter). E ci si chiede come mai, non ancora Vice Direttore Generale nerazzurro, percepisse uno stipendio superiore a quello che avrebbe preso dopo la promozione. Questo è il "cattivo pensiero", citando Nerozzi, che potrebbe essere balenato nella testa dello staff legale bianconero? Se i sospetti si fermano qui, i dubbi e le perplessità avvolgono ogni tifoso di calcio che criticamente si interessa anche di quello che non è calcio giocato, ma che assume un’importanza assoluta se visto in un’ottica attuale fatta di poteri e di tavoli. Rivediamo la cronistoria sportiva di f., dopo la sua “scesa in campo”: - aprile 2003: Ufficio Indagini FIGC; - novembre 2003: responsabile sicurezza e relazioni esterne in Saras e Internazionale; - novembre 2006: promozione a Vice DG dell’Internazionale; - luglio 2007: coordinatore nazionale degli stewards. Vi immaginate cosa sarebbe successo se Moggi o il suo uomo di fiducia fossero stati scelti dalle strutture giudicanti della Federcalcio? Di cosa stiamo parlando ancora? Delle tre telefonate in croce che fanno sorgere dubbi sull’integrità morale dei dirigenti juventini? E su queste vicende non una parola che sia una. Un uomo che segue attivamente Saras, Confindustria, settore sportivo e dirigenziale dell’Inter, che ha rapporti con istituzioni, ruoli in FIGC e persino all’interno di organismi ministeriali. Se non è conflitto di interessi, poco ci manca. E pensare che la guida dovrebbe essere proprio la FIGC. Recita, infatti, lo statuto federale (art.3-m): “Al fine di promuovere e disciplinare il giuoco del calcio, la FIGC esercita, in particolare, le seguenti funzioni:[…] la disciplina delle situazioni di conflitto di interessi; ”. E, ancora, l’art. 29 (requisiti e incompatibilità delle cariche federali): “5. Sono altresì incompatibili con la carica che rivestono e devono essere dichiarati decaduti coloro che vengono a trovarsi in permanente conflitto di interesse per ragioni economiche con l’organo nel quale sono eletti o nominati. Qualora il conflitto d’interessi sia limitato a singole deliberazioni o atti, il soggetto interessato non deve prendere parte alle une o agli altri. 6. I regolamenti federali disciplinano gli altri casi di conflitti di interesse e stabiliscono le relative conseguenze o sanzioni.”. Si verifichi il rispetto di queste norme, si verifichi il motivo dello stipendio stranamente elevato tra il 2004 ed il 2006, ma il problema etico rimane: l’etica è il modo di agire secondo coscienza, è il rispetto delle leggi, scritte e non, che dovrebbe essere alla base di ogni ordinamento e istituzione. Ed invece troviamo mani in pasta ovunque, in settori strategici dell’industria, della politica, del calcio, in quel settore, quello della sicurezza, al centro di vicende note, che solo la Federcalcio (si ricordino, a tal proposito, l’archiviazione di Palazzi e la censurabile risposta all’avvocato di Vieri) non ha voluto vedere. Perché, se le vedi, non puoi poi questionare sulle pagliuzze altrui. A proposito, in FIGC l’etica non si prescrive. Anch’essa è stata archiviata da tempo. -
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Accuse La minaccia degli scandali e degli hooligans. Federazione a rischio di azzeramento Corruzione, il calcio polacco nella bufera di FABIO MONTI (CorSera 02-12-2011) KIEV — Secondo l'ultima ispezione dell'Uefa, la situazione in Polonia è così delineata: i quattro stadi sono quasi pronti al 100%; gli aeroporti al 90%; le infrastrutture legate ai trasporti all'80%. «I tempi sono quelli dell'Europeo 2004 in Portogallo, in leggero ritardo rispetto a quanto avevano fatto Svizzera e Austria quattro anni fa». In questo momento, però, il problema per la Polonia è politico, all'interno della Federcalcio nazionale (Pzpn), investita da pesanti accuse di corruzione. Mercoledì è stato licenziato il segretario Zdzislaw Krecina, figura storica, coinvolto in una vicenda (con tanto di intercettazioni, trasmesse da TVN24), che tocca anche il presidente, Gregor Lato, uno dei simboli della nazionale polacca terza al Mondiale '74, dietro a Germania e Polonia. Il ministro dello Sport, la signora Joanna Mucha, vorrebbe azzerare il vertice della Federcalcio, ma c'è il rischio di interferenze statali nell'ordinamento sportivo, mentre in base a un sondaggio, il 52% dei polacchi interpellati chiede addirittura lo scioglimento della federazione. È dal 2005 che gli scandali si succedono: 600 fra giocatori, arbitri e dirigenti sono stati condannati o sono in attesa di processo per episodi di corruzione. Resta poi un problema legato agli hooligans, valutati intorno ai 5.000, che rappresentano una minaccia concreta per Euro 2012. Nel 2011 sono stati protagonisti di tre momenti di scontro con la polizia: a Kaunas, in Lituania, in marzo, per un'amichevole; a Bydgoszcz per la finale di Coppa di Polonia, in maggio; a Varsavia, l'11 novembre, per la sfilata destinata a celebrare l'anniversario dell'indipendenza polacca. Anche l'Uefa è mobilitata, così come le polizie europee, per isolare e smantellare questi gruppi e quelli di altri Paesi europei prima che si cominci a giocare. -
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Il tavolo del Coni Parla la Fiorentina Della Valle a Moratti «Non sei costruttivo» di ALESSANDRO BOCCI (CorSera 02-12-2011) MILANO — Il tavolo della pace perde un protagonista. Andrea Della Valle (foto) , patron e presidente onorario della Fiorentina, declinerà l'invito di Gianni Petrucci. «Non voglio alimentare altre polemiche e, in qualità di sospeso dall'incarico, preferisco non partecipare». In attesa del vertice, previsto nella mattinata del 14 dicembre al Palazzo H del Coni, il clima resta teso. Il giovane Della Valle non ha gradito l'uscita di Massimo Moratti. «Le premesse per ritrovare serenità nel calcio ci sono, ma non dobbiamo stare sulla difensiva. Nelle ultime dichiarazioni del presidente dell'Inter c'è davvero poco di costruttivo. Parlare di ‘‘coltelli sotto il tavolo'' non va bene e non fa bene a nessuno, soprattutto a chi ha subito tanto come la Fiorentina». La posizione di Andrea è anche quella del fratello Diego, che all'incontro di Roma ci sarà. Il Coni aspetta sereno. Anche se le posizioni restano lontane, la riunione sarà seria. In ballo c'è il futuro del calcio italiano. Sette gli invitati. Altri due sono in sospeso: Aurelio De Laurentiis e il presidente della Lega Maurizio Beretta. Petrucci parlerà con entrambi nei prossimi giorni, poi deciderà. Intanto slitta la decisione sulla modifica dell'articolo 22 bis delle Noif (le norme organizzative interne della federazione) che consentirebbe a Lotito, Andrea Della Valle e Mencucci di tornare a occuparsi delle rispettive società (Lazio e Fiorentina). La Corte di giustizia federale, alla quale si era rivolto Abete chiedendo un parere, ha ritenuto di chiedere un approfondimento istruttorio allo stesso presidente federale e al presidente della Lega Beretta, autorizzando la presentazione di memorie e, casomai, la richiesta di un'audizione. Una procedura insolita. La decisione slitta al 9 gennaio e i tempi si allungano. Al prossimo consiglio federale, il 20 dicembre, l'argomento non sarà affrontato. Lotito, però, potrà partecipare da consigliere: visto che la Corte di giustizia non ha fornito il parere, Abete non intende commettere passi falsi. -
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PICCOLE MA TOSTE Cellino guida la rivolta «No al tavolo della pace» Avvertimento a Petrucci: «Se parla del futuro del calcio deve farlo con tutti» di FABIO RUBINI (Libero 02-12-2011) Il prossimo 14 dicembre Juve, Milan, Napoli, Fiorentina e Inter, si apparecchieranno attorno al “tavolo della pace” convocato dal presidente del Coni Gianni Petrucci. L’iniziativa però ha suscitato la reazione delle società escluse dagli inviti, che non hanno gradito né il metodo né gli argomenti che verranno trattati nell’incontro “riservato”. Sono in tanti quelli che protestano, un po’meno quelli che si espongono apertamente. Tra questi ultimi c’è il sanguigno presidente del Cagliari Massimo Cellino. «Ma non chiamatemi frondista. Io sono uno che rispetta le regole. Gli altri no», sbotta il numero uno sardo, furioso con chi lo ha additato come ribelle del calcio e con Petrucci e il Coni per la convocazione del “tavolo della pace” che, parola di Cellino «non si capisce nemmeno a cosa serva ». E non è finita qui perché la compagine delle società che non hanno gradito l’iniziativa del presidente del Coni (su invito di Andrea Agnelli, va ricordato) si allarga ora dopo ora. Quasi tutte le società che non sono state invitate al banchetto sono pronte a firmare una lettera aperta da inviare proprio a Gianni Petrucci. Presidente Cellino, cosa c’è scritto in quel documento? «Me ne hanno letto una bozza al telefono, non sono io l’ideatore di questa iniziativa, ma la trovo giusta e ho dato la mia disponibilità a firmarla». E c’è scritto... «In sostanza si dice che se il presidente del Coni vuol parlare del futuro del calcio, lo deve fare con la Lega che rappresenta tutte le società, non solo con le quattro o cinque che lui ha deciso di invitare. Altrimenti si fa discriminazione. E noi non ci stiamo ». Ma questo tavolo a cosa dovrebbe servire? Agnelli vuol parlare dello scudetto del 2006, Moratti non ci pensa nemmeno e punta lo sguardo al futuro... «Ecco questo è un altro punto importante. Noi non abbiamo capito perché questo tavolo è stato convocato. Se Petrucci avesse la bontà di spiegarcelo... perché sa non è che i precedenti siano incoraggianti...». Si spieghi meglio. «Dall’ultima iniziativa di questo genere (le famose sette sorelle, ndr) venne partorita la scelta del doppio designatore Bergamo- Pairetto e tutti sappiamo come è andata a finire...». Con l’inchiesta di Calciopoli e una brutta figura per il nostro calcio. «E invece proprio noi siamo quelli che devono dare il buon esempio. Io sono uno che rispetta le leggi, sia quelle sportive che quelle civilistiche. Da sempre». Un primo tavolo, proposto da Della Valle venne sdegnosamente respinto da Moratti. Ora invece il presidente dell’Inter si siederà a quello del Coni. «Sono rimasto sorpreso dalla decisione di Moratti che io stimo più di ogni altro. Le dirò di più: lo vorrei come presidente di tutti noi, perché lui è l’unico al di sopra di ogni sospetto. Un galantuomo come lo era Facchetti». Dopo le prime critiche il presidente Petrucci se l’è presa e ha avvisato: «il tavolo è mio e invito chi voglio io». Questa lettera vuole essere una risposta a questo sfogo? «Assolutamente no. Lui può fare quello che vuole e invitare chi ritiene opportuno. Però non mi sono piaciute le sue repliche. Io lo stimo, ma Petrucci deve rispettare chi non la pensa come lui». Chi firmerà il documento? «Dovrebbero firmarlo tutti quello che non sono stati convocati. Dobbiamo dare un segnale forte, altrimenti si rischia la delegittimazione totale della Lega e questo è un prezzo che non possiamo correre il rischio di pagare». Come detto Cellino non è il solo a dire no al tavolo della pace. Anzi, l’iniziativa della lettera aperta non sarebbe partita da lui, ma dal presidente genoano Enrico Preziosi, che spiega così la sua presa di posizione: «Delle beghe tra Juve e Inter ne abbiamo piene le scatole. Non ci frega nulla. Noi vogliamo capire se questo tavolo può essere esteso a tutte le componenti del calcio. Perché se si parla del nostro futuro vogliamo essere presenti. Se invece sarà limitato a pochi intimi allora non ci sta bene. L’iniziativa della lettera aperta - prosegue Preziosi - è nata dal fatto che tutti noi ci siamo sentiti messi da parte». E un risultato, secondo il presidente genoano, questa iniziativa l’ha già raggiunto: «abbiamo trasmesso un messaggio. Speriamo arrivi a destinazione...». Più tranchant un altro “passionale” del nostro calcio, Maurizio Zamparini numero uno del Palermo: «Il tavolo e la lettera aperta? È tutta una vicenda tipicamente italiana». E in serata del tavolo è tornato a parlare anche Andrea Della Valle: «Vogliamo tutti un discorso costruttivo, ma ce ne è ben poco», ha detto commentando le esternazioni di Moratti. «Io al tavolo non ci sarò. Sono sospeso e non voglio dar adito a polemiche. Ci andrà mio fratello Diego. Ma serve serenità, altrimenti non si va da nessuna parte». -
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Mi pare che... Juve prima perché è la più forte Da Auricchio parole stonate... di LUCIANO MOGGI (Libero 02-12-2011) Riflessioni dopo dodici giornate, ce n’è abbastanza per dire che la classifica rispecchia i valori visti in campo. Juve su tutte, a seguire Milan, Udinese e Lazio. Il quadro è più o meno quello che avevamo indicato in estate, la Juve ha fatto di più, di più anche l’ Udinese, dopo aver fatto trasmigrare Sanchez, Inler e Zapata, il Milan un po’ meno. Ma i punti di differenza sono solo due. La lotta sarà dura e lunga. Tra le candidate al titolo c’è chi fa un elenco largo rispetto a chi, come noi, indica quelle che sembrano realmente in corsa (Milan e Juve), a fronte di quelle che potranno dare solo fastidio (Lazio e Udinese). Il Milan è quello più attrezzato. Non crediamo comunque che la Juve si spaventi, non si recupera un secondo doppio svantaggio a poco più di venti minuti dal termine, come accaduto a Napoli,se non si ha consapevolezza della propria forza. La gente si domanda, perché Conte e la Juve si ostinano a giocare a nascondino? Semplicemente perché riconoscono i propri limiti, e tra questi i buchi in difesa verificatisi anche al San Paolo. Nonostante ciò la Juve ha potuto raggiungere il 3-3 sfiorando la vittoria. A questo punto è caduto il velo sulle ambizioni della squadra. L’onore del comando arriva meritato dopo dodici turni intensi, e conta naturalmente l’imbattibilità, unica squadra che può fregiarsene. In quanto alla mancanza delle gare di coppe, era il vantaggio atteso a fronte del rammarico di non esserci. Comunque qualcosa di meglio nella lotta al vertice lo capiremo già stasera, il Milan va a Marassi contro un Genoa in piena bagarre: Preziosi ha smentito le voci di un esonero di Malesani, ma la situazione non è tranquilla. Fulvio Bianchi su “Spy calcio” dice che al famoso tavolo della pace del 14 dicembre non si parlerà dello scudetto 2006. Se così fosse sarebbe giusto chiedersi il perché di questa riunione al Coni. Petrucci dice che Moratti è sereno perché sa quello che lui dirà. Mi chiedo se lo sa anche Agnelli e se Moratti è sereno per quello che Bianchi ha ora rivelato. È vero che Petrucci non lo ha mai chiamato tavolo della pace ma «un incontro per discutere le vicende del calcio di vertice», ma non saranno parole paludate a nascondere la sostanza del problema. Abete disse che l’etica non andava in prescrizione. Chiarisse a quel tavolo perché non ha applicato questo principio per ricavare un minimo di giustizia dalla relazione di Palazzi che accertò l’illecito sportivo a carico dell’Inter e dei suoi dirigenti. Fermo il seguito per prescrizione, l’etica avrebbe dovuto fare giustizia di uno scudetto indebitamente appeso nella bacheca dell’Inter. Se Abete invitò Moratti a rinunciare alla prescrizione ricevendone un no arrogante, significa che il presidente della Federcalcio sa benissimo che l’Inter si attribuisce uno scudetto che non le spetta. Abete spieghi questo al tavolo del “calcio di vertice”. Diversamente e senza che Petrucci si offenda il tavolo della pace sarà il tavolo delle beffe. Ma veniamo adesso ad Auricchio. Dice “Giù le mani dalla Juve”: «l’Italia è forse l’unico Paese in cui è possibile che un ufficiale dei Carabinieri, in aspettativa per espletare un incarico di natura politica, rilasci interviste su indagini da lui stesso svolte ad un periodico il cui titolo, tradotto in italiano, è “la Fiera della vanità”. La libertà di pensiero vale per tutti, ma che senso ha commentare i lusinghieri risultati conseguiti con le provvisorie sentenze di condanna, evidentemente per Auricchio la presunzione di innocenza è solo un dettaglio. Quando poi ipotizza la sussistenza di altri reati, il tutto con un elegante «non escluderei», considerato che le indagini non le facevano altri, ma lui diretto interessato, questa è una vergogna! Auricchio dovrebbe invece spiegare perché migliaia di telefonate con indici di gravità (i “baffi rossi”), siano state messe da parte. E parla ancora di «avanzamenti di carriera» per gli arbitri, mentre sono stati lui e Narducci a raccogliere i frutti derivati dalla notorietà della vicenda e sbarcare in politica. Presto comunque uscirà qualcosa che permetterà a tutti di sentire e capire la differenza che esiste tra un’intercettazione integrale e la stessa taroccata. -
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L´ombra della combine sul gol salvezza di Negro Ancora calcioscommesse: l´ex difensore al centro di una tentata estorsione per 200mila euro di FEDERICA ANGELI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 02-12-2011) A un certo punto della gara, gli investigatori ne sono convinti, Negro fa un visibile cenno verso alcuni giocatori della Lazio. Sui tabelloni del Franchi si legge che a Catania il Chievo sta perdendo: il Siena invece sta pareggiando 1-1, per rimanere in serie A ha bisogno di un gol. È l´86´. Vergassola prende la palla, la difesa della Lazio si blocca all´improvviso, assist proprio per Negro improvvisato centravanti e rete d´anticipo su un goffissimo tentativo di scivolata di un difensore biancoceleste. Due a uno, Chievo condannato, Siena salvo. Almeno fino ad oggi, perché, adesso, quella partita della stagione 2007-2008 è finita in una tempesta il cui esito - giudiziario ma soprattutto sportivo - è ancora tutto da scrivere. Il punto di partenza è l´informativa inviata dagli investigatori della squadra mobile di Roma agli uomini dello Sco, e poi da questi inoltrata agli investigatori della procura di Cremona, capitale - insieme a Napoli - della lotta al Calcioscommesse (nei prossimi giorni riceverà anche gli atti provenienti dalla procura di Bari relativi all´inchiesta, anticipata ieri da Repubblica sulle partite sospette dello scorso anno). Tutto ruota intorno alle sorti dell´Olgiata Sporting Club un centro sportivo del quale sono soci di minoranza Luigi Barelli (fratello di Paolo, senatore di Pdl) e ad altri imprenditori "vicini" al sindaco di Roma Gianni Alemanno, e soci di maggioranza Paolo Negro, il pilota Ferrari Giancarlo Fisichella, e i due ex calciatori Francesco Dell´Anno e Luigi Di Biagio. Il club non va benissimo, è sempre in rosso, alcuni soci vogliono abbandonare la nave, ma prima occorre procedere a un´importante ricapitalizzazione. Nell´ambito della gestione di questa crisi finanziaria matura un tentativo di estorsione ai danni di Negro, denunciata dallo stesso calciatore e poi ricostruita dagli agenti attraverso numerose intercettazioni telefoniche. Per almeno un mese durante l´estate Negro era stato infatti minacciato da una persona che sosteneva (millantando) di essere legata ad alcuni clan calabresi. Voleva 200mila euro: se non li avesse avuti avrebbe scritto una lettera ai giornali raccontando la storia di Siena-Lazio. L´informazione su quella partita l´aveva avuta da una "fonte attendibile". Come detto, Negro denuncia tutto. Così, il 20 ottobre scorso, il giorno fissato per la consegna dei soldi, all´appuntamento con gli estorsori in un bar del centro di Roma, si presentano gli uomini della Mobile. In arresto finiscono il sedicente "amico dei calabresi" (una piccola pedina della malavita romana) e il cognato di Francesco Dell´Anno (subito rilasciato perché incensurato), la cui posizione è ora al vaglio del pm Minisci e dell´aggiunto Saviotti. «Non conosco nemmeno le regole della briscola e del tresette, figuriamoci se gioco per soldi - ha detto Negro qualche settimana fa, quando un articolo del Messaggero aveva anticipato parte del contenuto dell´inchiesta - Ho sempre svolto la mia professione con passione, orgoglio, dignità e attaccamento alle maglie indossate e non tollero in alcun modo che si possa mettere in discussione la mia condotta». Nonostante le parole di Negro, però, qualche dubbio sul corretto svolgimento di quella gara gli investigatori ce l´hanno, eccome. E non solo per il cenno di Negro (autore di un gol all´86´, ma anche del fallo da rigore su Rocchi per il momentaneo pareggio della Lazio), ma anche perché hanno in mano una conversazione telefonica intercettata piuttosto eloquente. Da un capo del telefono, un personaggio misterioso che gli inquirenti identificano come un pezzo grosso. Dall´altra un altro pregiudicato: «Guarda che Negro c´entra eccome, a questo gli togliamo un sacco di soldi se non vuole casini». -
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CALCIO & CALCI Aldo Biscardi: 32 anni sotto “Processo” “LA MIA VITA È TUTTO UNO SGUUB” di MALCOM PAGANI (Il Fatto Quotidiano 02-12-2011) E poi c’è un’altra cosa che non la sa nessuno”. In un’agitata ora e mezza, Aldo Biscardi lo ripete almeno venti volte. A 81 anni: “Ma io non dico mai l’età, solo la data di nascita: 26 novembre 1930” con i capelli ramati e la gamba rapida, riordinare i ricordi è una sbornia. Aldo si ubriaca. E poi beve ancora: “Se me continui a dà del lei, me fai proprio incazzà”. Imita gli interlocutori di mezzo secolo di professione, modula la voce, scatta dalla poltrona. Mostra libri, reliquie e certificati: “Guardi il Guinness dei primati: ‘Al signor Biscardi, l’autore della trasmissione più longeva della storia della tv’”. Poi infila l’illuminata galleria degli accenti che tra “Juvendini”, “Brogessi” “Denghiu” e “Sguub” hanno riscritto la neolingua di un molisano di ventura che dava del tu ai presidenti della Repubblica e all’assurdo: “Dove giocherà Roberto Baggio l’anno scorso?” o anche: “Parlate uno alla volta, massimo due”. Il suo processo al pallone, ora alla trentaduesima curva su La 7 Gold, dura da decenni, indifferente alle migrazioni dell’etere, ai caratteri, alle comparse. In una casa romana circondata dal verde, tra scrivanie, piante e divani rosso fuoco, Aldo innesca le bombe e mente ancora: “Questa, le giuro, la dico solo a lei”. Biscardi, come iniziò? Studiavo a Napoli ma avrei dovuto fare l’avvocato a Larino dove non c’era niente e passavo il tempo rubando i fichi ai contadini. Mi presentai alla redazione di Paese Sera e mi fecero scrivere un pezzo. Assunto subito, il giorno dopo. Mio padre era disperato. Convincerlo fu un’impresa? Andai dal caporedattore e lo implorai. ‘Compà, a papà mio digli che guadagno il triplo’. Addio Giurisprudenza. L’esperienza a Paese Sera? Come al luna park. Ci rimasi 30 anni. Nel ’57 andai con Pasolini in Russia. Con Pasolini? Avevamo la stessa interprete, Tatiana. Giravamo il Paese. Le campagne. Le città. Un giorno da una dacia uscì un bambino. Pier Paolo impazzì. Si intenerì. Lo baciò ovunque, anche sul pisellino. Poi rientrando in macchina virò altrove: ‘Aldo, questi paesaggi sono straordinari’. Però. Poi andammo a cena da Kruscev. Nikita ci venne vicino, ci ingozzò di caviale. ‘Tovarich, hush kush’. Mangiate compagni. E noi mangiammo. Primo Mondiale nel ’58. In Svezia. Con Brera facevamo spesso tardi. Dormivamo nell’albergo del Brasile. Una notte rientrando io e Gianni ascoltiamo le urla in portoghese provenire dalla stanza dell’allenatore, Vicente Feola. Un paisà lucano col quale di solito dialogavamo in italiano. E cosa fate? Non capendo una parola svegliamo un giornalista della Gązzetta di San Paolo. Così scopriamo che Feola sta proponendo a Nilton Santos di cambiare ruolo. Lui ringhia. Insulta il tecnico: ‘Gringo de mierda’. Minaccia. La mattina seguente incontro Feola al bar. Gli racconto tutto. Lui sbianca: ‘L’avete detto al collega vostro? Maronna santa, tra un quarto d’ora o‘ sape tutt ’o Brasile’. Vent’anni dopo, sbarcò in tv. L’idea fu di Biagio Agnes. Il titolo lo presi da un lampo di Gianni Rodari che scrisse che io parlavo di calcio con un tono da processo. Fu un successo. Litigi, gaffe, vallette... Ne ho avute quasi 40. Non mi hanno mai sorpreso con nessuna di loro. Lentezza dei fotografi? Non mi hanno mai beccato. Nel processo dei primi anni c’era anche Carmelo Bene. E la provocazione era la regola. Con Vera Slepoj parlammo dell’opportunità che i calciatori facessero sesso prima della partita. Lei si disse contraria e Carmelo la aggredì: ‘Scusa Slepoj, ma che ne sai? Scopi con loro?’. Con Pertini come andò? Il Presidente rimase tre ore in diretta da Selva di Val Gardena. Ero preoccupato: ‘Oddio mò questo me muore in diretta’. Gli chiesi se fosse del Genoa e lui pronto: ‘Biscardi, tu mi vuoi fregare davanti agli italiani ma io non ci casco, tiè’. Fece il gesto dell’ombrello. Uno sgub. Il ring tra Zico e Mosca? Maurizio pubblicò un colloquio a tutta pagina sulla Gązzetta dello Sport, così quando li ebbi entrambi in trasmissione legai il filo: ‘Zico, qui c’è anche la persona che l’ha intervistata per prima’. Lui iniziò a urlare: ‘Non me lo faccia vedere, è un cialtrone, io con quel signore non ho mai parlato’. Mosca era imbarazzato. Il suo giornale lo licenziò in tronco. A volte è scivolato anche lei. Tante volte. A Piacenza, anni fa, imbastii un collegamento con una pornostar legata a un calciatore. Nella fretta mi lasciai andare: ‘La sequenza non è pronta, la stanno ancora montando’. C’era dolo? Neanche un po’. Era il clima, l’adrenalina, la fretta. Un’altra volta, Mosca sostenne che i ragazzi della Nazionale si dovevano sfogare sessualmente e io domandai la soluzione per quelli che non erano fidanzati. E Mosca? ‘Che trovino un mignottone’. E la sua biografia del Papa? L’unica autorizzata di Woityla. Un miracolo. Non sia blasfemo. È la verità. Ai tempi dell’attentato, il Vaticano mi chiese il moviolone per rivedere la sequenza di Agca e glielo prestai. Poi incontrai il segretario di Giovanni Paolo II, in Piazza Indipendenza. Trovammo un accordo. Un giorno, mentre aspettavo di entrare nelle stanze del Santo Padre, sentii un tonfo. Pensai al peggio. Invece? Erano i cardinali che si gettavano a terra in preghiera, tutti nello stesso istante. Sacro e profano. Lei era amico di Moggi. Lo agevolava... Facevo finta, è diverso. Lui mi chiamava per lamentarsi degli arbitri e io lo assecondavo. Lo facevo sfogare con la segretaria. Chiedeva orologi in regalo. Macché. Mi promise un Rolex per anni fino a quando non persi la pazienza. ‘Lucià, insomma, ‘st’orologio me lo dai o è tutta un’invenzione?’. E con Berlusconi? Lo conosco dal ’92, dai tempi del caso Lentini. Gli chiesi lumi sul passaggio di Gigi tra Milan e Torino e lui, in stile, fu secco: ‘Il Milan non è colpevole di nulla e adesso lo vado a dire anche ai nipotini di Stalin del Tg3’. Altre collisioni? Mi propose di passare a Mediaset, ma rifiutai. Negli ultimi sei anni è intervenuto due volte e solo per telefono. Annunciò ‘in nome dell’antica amicizia’ che Kaká non sarebbe stato ceduto. Uno sgub al contrario. Che ci vuole fare? L’uomo è versatile. Come Achille Lauro. Lei l’ha conosciuto bene. Benissimo. Teatro puro. Una volta a bordo campo eravamo insieme. Napoli-Juve. Segna Bertucco, il Napoli vince 1-0 e Lauro sviene. Dopo un quarto d’ora si riprende. L’avevano ripulito tutto. Derubato. La domenica dopo si votava. Il Roma uscì con un titolo chiaro: ‘Con lui si vince’. E le elezioni? La capopopolo di Forcella, laurina doc, si chiamava Nanninella ‘a chiattona. Voleva che Lauro le regalasse un chiosco per le angurie in pieno centro. Lauro le aveva promesso l’acquisto, ma non poteva mantenere il patto. ‘Ti pago il doppio, ma il chiosco non te lo posso far avere ’. Lei si arrabbiò: ‘Siete uno spergiuro’ e si iscrisse al Pci. Il comizio di chiusura di Lauro era previsto a Forcella. Il commendatore era spaventato e puntualmente ritrovò Nanninella in prima fila. Pronta a contestare. Lauro partì: ‘Il nostro amato sovrano deve tornare da re e non da profugo’, lei aspettò la fine e poi urlò: ‘E certo, come no, torna a cavallo d’o C***O’. (Ride) Altro giro. L’hanno criticata spesso. Mai chiamato un giornalista per rispondere, lamentarmi o ringraziare. Non replicai neanche a Beppe Grillo che diceva che giravo con la lasagna in testa. Aldo Grasso fu duro. Mai parlato con lui. Qualche problema ci fu con Gianni Brera. Gli chiesi di Grasso e lui, feroce: ‘L’unico Aldo Grasso che conosco è un gelataio di Catania’. ‘Ma no Gianni, Aldo Grasso, il grande critico’. E Brera? Ah, ho capito, quello è un pirla. Michele Serra scrisse che lei aveva una passione per il superlativo e per l’enfasi complimentosa. Aveva perfettamente ragione. Se una cosa me piace, me piace. Maradona per esempio. Era spesso da lei. Pazzo di una prosperosa conduttrice, stava sempre col naso tra le tette: ‘Aldo, non sai quanto me la vorrei fa’. Lei era contenta? E vabbè. Maradona è sempre Maradona. Tra dieci anni dove si vede? Ma che ne so? Non me fa toccà. Mai fatto conti su domani. Portano sfiga e accorciano la vita. -
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Tra un po' sbrodola pure assieme agli amichetti dell'ANM -
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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 01-12-2011) Lotito e c. restano sospesi almeno fino a gennaio Continua il braccio di ferro sul famoso articolo 22, quello che ha portato allo sospensione di Lotito, Mencucci, Andrea Della Valle, Foti e Massimo De Santis, tutti condannati in primo grado per Calciopoli dal tribunale di Napoli. Oggi la Cgf (corte giustizia federale) della Figc non ha dato il suo parere sulla materia ma ha preso tempo sino al 9 gennaio: alla Cgf si è rivolta la Figc ma anche, a sorpresa, la Lega di serie A. Ora, entrambe, dovranno produrre documenti in vista della decisione di gennaio: in Figc sono piuttosto seccati perché sembra che sia uno scontro fra loro e la Lega maggiore, mentre Giancarlo Abete ha chiesto solo un parere interpretativo di una norma della Federcalcio. Di conseguenza, comunque, Lotito e c. resteranno sospesi almeno sino al consiglio federale che si terrà (a gennaio ma non si sa quando) solo dopo la decisione della Cgf. Ma non è detto che venga recepito il suo parere. La Figc già disattese ad esempio il parere sulle radiazioni di Moggi e c., che per la corte di giustizia dovevano essere automatiche. Quindi, il prossimo consiglio federale, previsto per il 20 dicembre, non deciderà nulla in merito all'articolo 22 delle Noif, non se ne parlerà nemmeno: Lotito, pur sospeso come presidente della Lazio, potrà comunque partecipare alla riunione del governo del calcio. Non è sicuro affatto comunque che la norma venga modificata: dopo il parere della Figc, l'ultima parola, come noto, spetta al Coni ed eventualmente all'Alta corte di giustizia. C'è davvero il rischio che i dirigenti sospesi lo restino sino a settembre 2012, quando il loro reato, frode sportiva, sarà prescritto. Maurizio Beretta, presidente della Lega di A, aveva scritto una dura lettera ad Abete chiedendo che l'argomento venisse preso in esame nel prossimo consiglio di dicembre e minacciando addirittura di portare la Federcalcio in tribunale. Tutto inutile: se ne parla, come si è visto, a gennaio. Ma dalla Lega di A, a parte l'articolo 22, non una parola sul tavolo della pace mentre gira una lettera, proposta da Massimo Cellino, per una raccolta di firme. Alcuni presidenti (ma quanti non si sa ancora. . . ) protestano perché non sono stati invitati da Giovanni Petrucci alla riunione del 14 dicembre. Il presidente del Coni l'ha detto:"L'agenda la decido io e non me la faccio imporre da nessuno". Nessuna riunione quindi fra le "sette sorelle", come anni fa: ci saranno infatti solo Andrea Agnelli (Juve), Moratti (Inter), Diego Della Valle (Fiorentina), Adriano Galliani (Milan), forse De Laurentiis (Napoli). Quindi, 4-5 società al massimo. Più ovviamente i vertici di Coni (Petrucci e Pagnozzi) e Figc (Abete). Beretta non sarà invitato. Ma alla Lega, d'altronde, Calciopoli interessa poco o nulla. Interessa solo l'articolo... Lo scontro con la Figc è molto pesante, eppure Abete fu sin troppo buono, e disattese anche le norme: quando i consiglieri di Lega (Cellino e Lotito) disertavano le riunioni del consiglio federale, in base alle regole delle Noif dovevano essere dichiarati decaduti. Ma allora vinse il buonismo: ecco i risultati. -
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Un misero accenno, mi pare. Mo' ritrovo l'articoletto. Ecco ___ PRIMA DELLA PARTITA Assalto al bus dei bianconeri Nessun ferito di G.B.OLIVERO (GaSport 30-11-2011) NAPOLI Paura per la Juve prima dell'arrivo allo stadio. Quando ormai mancava poco al San Paolo il pullman della squadra bianconera è stato assalito da tanti tifosi del Napoli che si sono resi protagonisti di un fitto lancio di uova contro la parte anteriore del bus e quel che è peggio di pietre e bastoni contro la parte posteriore. Il pronto intervento delle forze dell'ordine che scortavano il pullman ha evitato il peggio, ma non ha potuto impedire che i teppisti mandassero in frantumi uno dei finestroni sulla sinistra del mezzo. Per fortuna non ci sono stati feriti e i giocatori hanno potuto proseguire la loro marcia verso lo stadio. Appena arrivato al San Paolo e una volta scaricata la squadra, l'autista ha provveduto a eliminare i pezzi di vetro rimasti pericolosamente attaccati ai telai dei finestroni e a pulire l'interno dai detriti. Il bus poi però all'interno del San Paolo è stato oggetto di altri atti vandalici, durante la partita, mentre era incustodito. Bilancio finale: tre vetri rotti. Il pullman con il quale la Juve ha affrontato questa trasferta è quello ufficiale ed iper-tecnologico che non sempre viene utilizzato lontano da Torino e che questa volta aveva accompagnato la squadra da Roma a Napoli. ___ Praticamente, la fredda cronaca, freddissima. -
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Guerra e farsa di ROBERTO BECCANTINI dal blog "Beck is back" 01-12-2011 Per dirla con il Fantozzi della Corazzata Potemkin, questo tavolo della pace ha tutta l’aria di essere una «boiata pazzesca». Gianni Petrucci, il padrone di casa, non sa chi invitare anche se finge di saperlo. Il menù prevede un fritto misto di Calciopoli in salsa esotica e ipocrita. Da un lato, il buffet delle associazioni a delinquere finalizzate alla frode sportiva (Antonio Giraudo, Luciano Moggi, cioè la Juventus Football Club); dall’altro, la relazione Palazzi che, senza prescrizione, avrebbe contemplato l’accusa di illecito sportivo per l’Inter di Massimo Moratti e Giacinto Facchetti. In mezzo, i risarcimenti richiesti in sede civile da Andrea Agnelli dopo la sentenza di primo grado di Napoli (Moggi colpevole, Juventus no: un triplo carpiato) e lo scudetto 2006, che Guido Rossi regalò all’Inter e l’incompetenza delle istituzioni federali, piaccia o non piaccia, vada o non vada in prescrizione l’etica, ma forse era l’edera, all’Inter ha lasciato. Singolare l’ultima uscita di Moratti. A chi gli domandava se avesse pensato di rinunciare alla prescrizione, ha spiegato che al quesito aveva già risposto la procura napoletana, con l’assoluta irrilevanza penale delle «nostre telefonate». Proprio per questo, nei panni di Moratti, avrei rinunciato alla prescrizione e accettato il processo (sportivo): per rispetto di Giacinto e dell’Inter tutta. Cosa avrei mai dovuto temere da banali colloqui o ingenui pissi-pissi? Appunto. A meno che proprio banali o ingenui non fossero. Quattordici dicembre: il sommergibilista Petrucci a capotavola, poi PilatoAbete e CainoAgnelli, monsignor Moratti, Cappuccetto Della Valle, Galliani senza preservativo (Meani). Sempre che, in extremis, qualcuno non oscarwildeggi: desolato non poter onorare vostro invito per impegno preso successivamente. E prenoti un ristorante più serio. -
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Dacci sempre i nostri sconcerti quotidiani... ma anche no! ___ Juve e Inter, quale costo per la pace? di MARIO SCONCERTI dal blog "Lo sconcerto quotidiano" 30-11-2011 Si fa più faticosa la strada per il tavolo della pace. Molti presidenti non lo capiscono, anzi sospettano (“perchè pochi si riuniscono per discutere di calcio? Il calcio è di tutti” dice per esempio Cellino). Altri, anche tra i pochi invitati, vorrebbero capire meglio l’argomento. Cosa faranno i presidenti riuniti? Si daranno la mano e ordineranno un caffè parlando di calcio vario, o attaccheranno i temi duri come lo scudetto del 2006? E che titoli avrebbe un tavolo privato per discutere argomenti che non fossero quelli di una pace vera, quindi strette di mano e foto con brindisi di gruppo? Nessuno sa niente se non che Petrtucci sta lavorando per aprire un dialogo che non faccia fare a tutti cattiva figura. Il punto è cosa c’è dietro l’apertura di Andrea Agnelli, cosa sifnifica cercare “chiarificazioni”. Ha davvero capito l’importanza della pace è o un altro modo per continuare la guerra? Provare a questo punto è necessario, anche se ha ragione Cellino, la prassi è molto singolare e ai limiti della correttezza. Ma il rischio finisca tutto in una volgarità definitiva è altrettanto grande. ___ Tavolo Juve, cosa c’entra l’Inter? di MARIO SCONCERTI dal blog "Lo sconcerto quotidiano" 01-12-2011 Petrucci dice che non sarà un tavolo della pace perchè non ci sono guerre. Non sarà una sede di giudizio perchè i giudizi sono già stati dati. Sappiamo tutto quello che non sarà questo tavolo, ma non il contrario. Forse Petrucci dovrebbe dircelo e soprattutto perchè solo pochi avranno posto a quel tavolo. Calciopoli, nella sua vastità, toglieva a tutti per prendere lei sola, è chiaramente una favola che il danneggiato sia stato solo l’Inter. Non potrebbe essere. Negli undici anni di Moggi e Giraudo alla Juve, l’Inter è arrivata solo tre volte seconda, cioè a distanza di lotta. Le altre è stata persa per strada. Una volta è arrivata ottava, una settima, una sesta, una quinta, due volte quarta, cioè molto lontano. In totale, in unidici campionati, non è mai arrivata davanti alla Juve. Sono stati 132 i punti complessivi di distacco. La Juve certamente brigava, probabilmente truffava sportivamente, ma la distanza tecnica era comunque evidente. Ma se la Juve, come dicono i processi, ha commesso frode sportiva attraveerso un illecito strutturale, sono stati molti i campionati indecifrabili e molti i coinvolti che non hanno potuto mettere bocca. Se agisco su una partita, i danneggiati collaterali sono molti più di uno. Alcuni per la frode si salvano, altri retrocedono, altri perdono qualificazioni, almeno l’Inter ha avuto uno scudetto. Perchè allora chiamare solo pochissime società, le più importanti? Si cerca realtà o un’operazione d’immagine? Petrucci sta facendo qualcosa di profondamente audace, ai limiti del legale. Ha il dovere di dire perchè lo fa. E’ un esperimento? Un errore? Un tentativo ingenuo di fare propaganda? Io credo che il capo dello sport italiano avrebbe fatto meglio a chiedere prima al calcio come abbia potuto definirsi incompetente sulla rilettura di una sentenza emessa dal calcio stesso. Come può accadere? Era il pubblico ministero del governo del calcio che aveva avanzato proposte e conclusioni. E su richiesta della federcalcio. Come si può farlo lavorare fino ai limiti della prescrizione e poi dichiararsi incompetenti? E’ questo che causa la guerra attuale. Prometterà allora il Coni un nuovo giudizio che entri nel merito? -
SPETTACOLARE!!!