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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
CALCIOPOLI NON VA IN ARCHIVIO Tavolo di fiele Fumata nera dopo 4 ore e 36’: il vertice al Coni non porta nemmeno ad una tregua Rottura sul documento: morbido per Della Valle, vuoto per Agnelli, inutile per Moratti di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 15-12-2011) Come ad una partita senza pallone. Così si sono presentati gli invitati al tavolo della pace e, nello stesso modo, sono usciti dopo quattro ore e 36 minuti. Il presidente della Juve Andrea Agnelli, quello dell’Inter Massimo Moratti e, poi, l’azionista di riferimento della Fiorentina, Diego Della Valle, e l’amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani, senza contare Aurelio De Laurentiis, patron del Napoli: ognuno per conto proprio, ognuno con le proprie convinzioni che non sono quelle dell’altro. La regia del gran capo del Coni, Gianni Petrucci, è dunque naufragata intorno a un tavolo dove si è parlato di chiudere con il passato, senza trovare il pur minimo punto di convergenza. La prima riflessione che la giornata di ieri al Foro Italico offre è chiedersi se lo stesso Petrucci, una volta in archivio le consultazioni dei giorni precedenti, non avesse fatto meglio ad aggiornare il vertice a miglior data, se non ad annullarlo del tutto. Perché andare a scoprire le carte a chi le ha mai nascoste, sbandierando a ogni occasione come le ferite di Calciopoli siano ancora troppo vive per non condizionare i riflessi? Petrucci ci ha voluto provare fino a sbattere la testa e a dover ammettere che «il risultato non c’è stato come i tanto attesi passi in avanti» verso la pacificazione del nostro calcio. Naufraga il tavolo e lo fa in un clima di diffidenza e gelo. Nessun insulto, ci mancherebbe, ma momenti di rottura sì. Agnelli e Moratti sono seduti uno di fronte all’altro, al centro c’è Petrucci e il segretario generale del Coni Raffaele Pagnozzi, alla sinistra del gran capo dello sport italiano il presidente della Figc, Giancarlo Abete, e il suo direttore generale, Antonello Valentini. «Ma cosa ci sto a fare io... », si sarebbe lasciato sfuggire De Laurentiis dopo che, con il passare delle ore, il futuro del pallone italiano appariva sempre più annacquato. Calciopoli e solo Calciopoli, il menù. Un programma che, come prevedibile, si sarebbe potuto rivelare la trappola in cui cadere e così è stato. Dopo le rispettose strette di mano («Non è una questione di forma, ma di sostanza... », il punto di vista generale degli invitati), ecco il documento del giallo. «Della Valle lo voleva meno generico e più duro ed è saltato tutto...», è il j’accuse quando cala il sipario alle 13 e 36 minuti. Immediata la ricostruzione dal quartier generale della Fiorentina: quel documento di Coni e Figc, o meglio bozza, avrebbe contenuto un primo, e fondamentale, riconoscimento di come il processo nell’estate del 2006 si fosse svolto anche sull’onda dell’emotività e della frettolosità. Concetti sottoscrivibili da Della Valle, purché ripuliti del lessico politichese. Di sicuro c’è che il patron viola è stato il più fermo ed intransigente nel voler chiarire l’ultimo quinquennio del nostro calcio («Spiegatemi perché siamo finiti dentro allo scandalo», avrebbe detto rivolto a Petrucci) e che, in ogni caso, sia Juve sia Inter la firma sotto un foglio giudicato dai bianconeri inconsistente e dai nerazzurri inaccettabile non l’avrebbero mai messa. Agnelli non l’avrebbe sottoscritto perché per rinunciare al ricorso al Tar (444 i milioni di euro chiesti dal club bianconero alla Figc come risarcimento danni), l’Inter dovrebbe scucirsi di dosso lo scudetto del 2006. E Moratti si sarebbe guardato bene dall’avallare una ricostruzione «sibillina » dello scandalo del quale si sente vittima. Quattro ore e 36 minuti per non fare nemmeno un passo avanti. «Visto come sono andate le cose, ci penserò bene prima di fare altri incontri. Ci ho messo cuore ed entusiasmo, nonmi va di considerarlo un fallimento. . . », così Petrucci. Galliani ammette come «i punti di vista sianomolto diversi: la vicenda di Calciopoli verrà scritta e riscritta nel tempo». Il presidente federale Abete racconta di «aver parlato a lungo con Agnelli», puntualizzando che «i rapporti personali sono di grande trasparenza. Il ricorso al Tar dei bianconeri? Lo contrasteremo in modo civile: non ci sono fondi stanziati in Figc per far fronte alla situazione perché significherebbe fermare la federazione per due o tre anni considerando che i nostri introiti ammontano a circa 180 milioni di euro a stagione». Il tavolo è saltato non senza un pizzico di veleno. «Lo scudetto 2006? Non restituiamo nulla - avrebbe detto Moratti - perché ci hanno truffato per anni... ». «Non dirlo ame - ha ribattuto Galliani - a quei tempi eravamo impegnati a vincere le Champions League». Tutto come prima, senza pace. Il passato non si ricuce A PERDERE È IL FUTURO DEL CALCIO di MARCO ANSALDO (LA STAMPA 15-12-2011) Per ricucire una ferita profonda come Calciopoli più che un tavolo della pace sarebbero serviti un tavolo operatorio e chirurghi dotati di un robusto filo di sutura. Invece Petrucci aveva in mano soltanto l’arma della convizione e della dissuasione: fate i bravi e, per favore, un passo indietro. Come tirare alle aquile con la fionda.Neppure Berlusconi si sarebbe dimesso da primo ministro se fosse dipeso dalla buona volontà e non dallo spread e dal buco del bilancio. Serviva il timore di qualcosa di oggettivo per convincere i litiganti a fare pace. Nè il Coni nè la Federcalcio avevano uno spettro da agitare. Ciascuno seguirà la propria strada. Moratti non mollerà lo scudetto che la Federazione commissariata gli assegnò sbagliando perché se anche quel campionato fosse rimasto senza vincitore, come il precedente, questa bega noiosa e sfibrante non sarebbe mai nata. La Juve andrà avanti nelle cause. Della Valle proseguirà a gridare all’ingiustizia e via via gli altri. Bisogna accettarlo. Se davvero è bastato un aggettivo in più o in meno per far saltare il documento che ammetteva quanto il processo sportivo fosse stato frettoloso significa che in realtà nessuno lo voleva e non soltanto Della Valle, il più barricadero tra i convitati. Petrucci ne esce con una insolita sconfitta. Lui, superstite della vera razza democristiana, è abituato a sedersi al tavolo già sapendo a chi verrà servito il poker. Gli hanno spaiato le carte o non aveva sondato bene gli umori. Su questa questione non ci sarà mai pace. L’unico e timido effetto del lungo incontro è che i vecchi nemici hanno ripreso a parlarsi. Moratti e Della Valle che non si guardavano in faccia si sono scambiati il saluto. Andrea Agnelli ha usato modi e toni meno duri di quanto ci si aspettasse. Forse servirà ai padroni del calcio per trovare la compattezza su questioni enormemente più vitali che uno scudetto dato a tavolino, o una penalizzazione di sei anni fa. Le impuntature su Calciopoli hanno tolto spazio alla discussione sulle strategie da adottare con il nuovo governo per portare a compimento la legge sugli stadi, rimasta a metà strada. O quella sulla tutela dei marchi per arginare la contraffazione che toglie milioni di euro dai bilanci dei club. O la riforma della legge 91, per quanto la vediamo molto dura. Adesso che si è accertato definitivamente che il passato non si ricuce, dei dirigenti illuminati dovrebbero capire che è ben più necessario trovare la pace per il futuro. -
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Calciopoli, fallimento del tavolo della pace Agnelli e Moratti al Coni disponibili a una mediazione, ma Della Valle fa saltare tutto di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 15-12-2011) E dopo oltre quattro ore il tavolo della pace è saltato quando c´è stato da scrivere il comunicato unitario: tutti d´accordo nel parlare di Calciopoli come di un fenomeno "nato e sviluppatosi in un clima particolare" senza entrare nel merito delle sentenze del 2006. L´unico ad opporsi, fieramente, è stato Diego Della Valle: «Non se ne parla nemmeno». Il patron della Fiorentina pretendeva che Coni e Figc disconoscessero la «correttezza dei processi sportivi» (ma poi Petrucci avrebbe dovuto dimettersi…), e così niente comunicato («perché non è accettabile un linguaggio in politichese, bisogna scrivere in modo che capiscano anche i tifosi», sempre Della Valle). Addio tavolo. Addio pace. Nemmeno una tregua. E pensare che sino allora era andato tutto liscio. Agnelli e Moratti si erano scambiati una stretta di mano, qualche battuta sul campionato e anche le sigarette: ma l´opera preventiva di mediazione del Coni li aveva convinti a non litigare sullo scudetto 2006. Giovanni Petrucci ha avuto il merito di averci provato: oltre quattro ore (dalle 9,05 alle 13,27) per cercare di chiudere col passato e ripartire con una stagione di riforme. Nove le persone riunite intorno al tavolo (rotondo) della Giunta Coni: Petrucci e Pagnozzi (Coni), Abete e Valentini (Figc), Andrea Agnelli (Juventus), Moratti (Inter), Diego Della Valle (Fiorentina), Adriano Galliani (Milan) e Aurelio De Laurentiis (Napoli). Nove persone, e tanti, troppi nemici. «Tempo perso…», ha sussurrato Diego Della Valle, prima di andare a Porta a Porta. «Cordialmente, ognuno è rimasto sulle sue posizioni», ha spiegato poi il patron viola. E´ seccato con Petrucci (a sua volta seccatissimo con lui). E ha garantito che «ora la Fiorentina andrà avanti per la sua strada, per noi questa storia si chiuderà solo quando verranno riconosciute le nostre ragioni». Pure la Juve va avanti, anche se c´è stato un momento che durante il tavolo si pensava davvero che Agnelli potesse rinunciare al ricorso al Tar. In cambio, ovviamente, di un passo indietro anche degli altri. Ma adesso la stagione dei veleni non è per niente chiusa. Sono usciti alla spicciolata dal Coni. Niente di niente da sottoporre al governo, sempre che il governo possa interessarsi a loro con tutti i problemi che ha. Moratti è rimasto deluso ma ha glissato («un incontro è sempre costruttivo, può essere utile»): ha partecipato solo per rispetto nei confronti di Petrucci, ma non ha discusso dello scudetto 2006 col giovane Agnelli, ma ha ricordato con toni accesi (rivolto anche a Galliani) che: «In quegli anni ho speso tanti soldi senza vincere mai nulla». L´unico intransigente, come detto, è stato Diego Della Valle. Galliani è stato saggio, De Laurentiis ha spostato addirittura la presentazione del film di Natale per restare sino alla fine. Ma bastava guardare il volto di Petrucci per capire tutto. Tirato. Tiratissimo. Deluso. Delusissimo. Ma onesto: «Sono molto dispiaciuto, non sono stati fatti passi avanti: le scorie sono troppo fresche. Io ci ho provato, non sono pentito e ho la coscienza a posto. Certo, ci penserò bene prima di fare altre riunioni… Ma non sono caduto nel trappolone del mondo del calcio e non giudico i presidenti». Un accenno critico anche alla gestione commissariale di Guido Rossi. Per Abete, inoltre, «la ferita di Calciopoli resta aperta, ma il calcio oggi non ne esce sconfitto: lo è solo quando sono sconfitte le sue regole». Sul ricorso della Juve, ricorda infatti con fermezza come la Figc abbia «la coscienza a posto, ha sempre fatto il suo dovere. Non abbiamo costituito nemmeno un fondo rischi per fare fronte a questo ricorso al Tar, significherebbe bloccare l´attività della Federazione per 2-3 anni, visto che i nostri introiti sono di circa 180 milioni all´anno». Insomma, dal Coni al Tar. Ma quando finirà? «Prima o dopo bisognerà pur chiuderla questa pagina», le ultime parole di Petrucci prima di andare alla Messa di Natale degli sportivi. PRIGIONIERI DEI TIFOSI di FABRIZIO BOCCA (la Repubblica 15-12-2011) La stretta di mano, anche cordiale, tra Andrea Agnelli e Massimo Moratti c´è stata ma non contava nulla. «No, lo scontro non è mai diventato personale tra i due e anzi ognuno ha esposto le sue cose con civiltà» fanno sapere subito dopo. In ogni caso Juve e Inter, e con loro due intere tifoserie, si detesteranno ancora a lungo. Le possibilità di una tregua erano minime e il fallimento alla fine è generale. Non soltanto loro, soprattutto se Della Valle ha sparso, a quanto pare, benzina sul fuoco, interessato evidentemente a una revisione totale della vicenda di Calciopoli e non solo alla questione centrale, lo scontro sullo scudetto 2006. E meno male che era stata di Della Valle l´idea qualche mese fa di un grande summit per trovare una via d´uscita a Calciopoli e porre fine alla guerra Juve-Inter. Ci ritroviamo così due grandi club e due grandi presidenti ancora prigionieri del ruolo e di guerre di principio, schiavi dei tabù del calcio per cui non puoi accusare cedimenti davanti ai tuoi tifosi. Ce lo vedete Andrea Agnelli che dice: "Effettivamente con questa storia dei 29 scudetti - il 29 è il simbolo della ribellione bianconera, ci sono siti di tifosi che così si chiamano, 29 sono gli scudetti appesi nel nuovo stadio - abbiamo stufato". E ce lo vedete Massimo Moratti che ammette: ""E´ vero, con lo scudetto 2006 non c´entriamo nulla". C´e un responsabile di questo epilogo negativo? La Federcalcio aveva avuto la possibilità di mettere la parola fine a tutto ciò ma impiegò più di un anno per rispondere al ricorso Juve (quello sui nuovi dettagli emersi dal processo di Napoli) per poi buttare la palla in fallo. Quello del Coni e del suo presidente Petrucci di mettersi in mezzo come arbitro è stato un fallimento, certo, ma almeno ci ha provato. Formalmente quello che ne guadagna di più è Moratti che si tiene stretto quello scudetto avuto a tavolino. Si è cercato di camuffare il tavolo della pace - definizione infausta - con un sacco di chiacchiere e progetti sul futuro. Ma era ingenuo pensare di girare intorno allo scoglio dello scudetto 2006, fonte ancora di enormi scontri legali. Se dovesse vincere lo scudetto magari la Juve tenterà di cucirsi addosso la terza stella e fra due titoli l´Inter (ora a 18) risponderà certamente con due. Lentamente, faticosamente e purtroppo anche solo parzialmente 5 anni sono serviti almeno a ottenere una ricostruzione storica di Calciopoli. La giustizia non è stata completa, né perfetta ma c´è stata e la gente comunque ha potuto avere una verità che non è né quella della Juve né quella dell´Inter. Forse Juve e Inter potranno incontrarsi di nuovo (qualcuno pensa che il Coni possa riprovarci) e trovare una soluzione testa a testa, di certo é ora che il calcio non ne rimanga più sotto ricatto. -
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Fumata nera: il calcio senza pace Petrucci non ce l'ha fatta: Inter e Juve restano lontane Niente firma sul documento unitario: c'era ottimismo, ma poi vince il passato di MAURIZIO GALDI & VALERIO PICCIONI (GaSport 15-12-2011) La prova del nove non è riuscita. Il tavolo c'è stato, la pace no. Un bel po' di istituzioni e di industria del pallone si è dato appuntamento al Foro Italico come voleva il copione scritto dal presidente del Coni, Gianni Petrucci. Ma è mancato il lieto fine. E sui titoli di coda il massimo che si può leggere è il «non hai vinto, ritenta» che c'era sulle gomme americane di qualche anno (o decennio) fa. Insomma, «le scorie di calciopoli sono ancora scottanti», ha detto alla fine Petrucci in un'amara conferenza stampa. «C'è stato un confronto civile fra posizioni che restano ancora molto distanti», aveva spiegato poco prima Diego Della Valle, il proprietario della Fiorentina, l'unico a concedere qualche parola ai giornalisti dopo le quattro ore e 36 minuti di faccia a faccia fra istituzioni (con Petrucci c'erano Lello Pagnozzi, Giancarlo Abete e Antonello Valentini), duellanti di calciopoli (con Della Valle, Andrea Agnelli e Moratti) e potenziali mediatori (Galliani e De Laurentiis) iscritti al poco popolare partito del «parliamo di futuro». Stoccate? Certo non ci sono state mosse di taekwondo, anche se è passato nella hall del Foro pure Mauro Sarmiento, argento di Pechino. E nonostante la presenza dell'olimpionico Roberto Cammarelle, la Sala Giunta non è mai diventata, a quanto si è saputo, un ring. Ma vedendo circolare anche Valentina Vezzali, Andrea Cassarà ed Aldo Montano (c'era una giornata azzurra al Coni in contemporanea per la prova delle nuove divise firmate Giorgio Armani), c'è venuto da pensare che qualche stoccata a un corridoio di distanza stesse arrivando. «Ma nessuno ha alzato la voce - assicura Petrucci - Agnelli e Moratti si sono parlati pur restando sulle loro posizioni». Niente passi avanti Soprattutto quando dal cilindro petruccian-pagnozziano è venuta fuori la carta della pace. Un documento nero su bianco con la censura della logica emergenziale con cui la Federcalcio e la sua giustizia sportiva di allora affrontò calciopoli nel 2006. Un compromesso svanito, però. Con Petrucci ad ammettere senza bluffare: «Non sono stati fatti passi avanti, la buona volontà non è stata premiata». Detto però stavolta senza frecciate sul «doping legale» e lo strapotere degli avvocati. Era impensabile a quel punto rompere più di quello che s'era già rotto: se sei il padrone di casa non puoi censurare gli invitati. «Certo prima o poi calciopoli è una pagina che dovrà essere chiusa». «Non riuscito» E pensare che qualche buon indizio c'era stato. La puntualità, per esempio: l'ultimo ad arrivare era stato Massimo Moratti, alle 9. 03. Poi l'apertura di un canale Agnelli-Abete, qualche minuto prima e anche dopo la fine, nonostante i 444 milioni di euro di risarcimento chiesti dalla Juve alla Federcalcio. Intanto cineoperatori e fotografi tornano dal minuto di riprese prima del gong dell'inizio. Impressioni: Moratti ha la faccia di chi vorrebbe stare in tutti i posti meno questo, Petrucci è concentrato ma anche un po' preoccupato, Agnelli e Della Valle sembrano solidali e ciarlieri fra loro. Intanto nell'atrio passavano pure le farfalle della ginnastica ritmica, elegantissime. E persino un gruppo di studenti di architettura di Tor Vergata venuti a studiare la zona del Foro Italico ignari degli impegni calcistici del Palazzo. Alle undici e mezzo s'è diffusa una voce: «Sono al panettone». Sicuramente non è stato mai stappato lo spumante. E ora Petrucci fa una grande fatica a immaginare di riprovarci tanto presto. «Ci penserò bene ora prima di fare altri incontri, ma resto ancora fiducioso. Diranno beato te, ma ci credo ancora. Anche se molti erano scettici, sono venuti tutti gli invitati, e nessuno si è alzato dal tavolo per quasi cinque ore». Per questo il presidente del Coni non vuole usare i termini «sconfitta» o «fallimento», piuttosto parla di «tentativo non riuscito». Quanti silenzi Della Valle, ma è arrivata almeno qualche stretta di mano scongelante? «Non è una questione di forma, ma di sostanza. E per esempio noi della Fiorentina, dopo tutti questi anni non abbiamo capito perché ci siamo dentro». Ognuno sulle sue posizioni, questo è il telegramma condiviso della giornata. Pure il riepilogo di Abete ha questo tenore: «C'è stata serenità, ma il conflitto è rimasto». C'era già stato il silenzio eloquente dei pontieri: Galliani e De Laurentiis sono stati i primi ad apparire, in cima alle scale, abbastanza, per non dire molto, imbarazzati. La loro voglia di parlare era vicinissima allo zero. Da Moratti si è riuscito a tirar fuori con le tenaglie un «tutto è sempre costruttivo». Pronunciato senza entusiasmo. «Ferite» Io vulesse truvà pace, diceva una poesia di Eduardo De Filippo. Con tutti i suoi guai, è davvero un proposito obbligato per il calcio italiano l'uscita dal tunnel dei veleni. Ma le «ferite» sono ancora aperte, dice Abete. Insomma, vorrei ma non posso. E calciopoli, nonostante l'ormai ricca collezione di sentenze, non riesce proprio ad andare in soffitta. Con buona pace di Eduardo. E di Petrucci. IlRetroscena di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 15-12-2011) CRONACA DI UN FLOP Fallimento? Sì, fallimento, e per capirlo basta vedere la faccia di Petrucci. Al di là delle parole, dei sottili distinguo, delle recriminazioni su quel che poteva essere e non è stato, di positivo alla fine restano le quasi cinque ore di dialogo, le mancate strette di mano iniziali che si trasformano strada facendo in un «diamoci del tu», tanta buona educazione, un'atmosfera che il presidente del Coni, forse per consolarsi, si spinge a definire «rilassante». Poca cosa guardando alle aspettative. Qualcosina, se uno pensa ai cambiamenti climatici che può provocare lo scioglimento di un ghiacciaio. Come in ogni fallimento che si rispetti, la palla delle responsabilità rimbalza da un angolo all'altro del terreno di gioco o se preferite del tavolo. Ne restano fuori solo Galliani, solido ma sconfitto tessitore, e De Laurentiis, l'unico che abbia cercato magari in modo un po' troppo avveniristico di pensare anche al calcio che verrà. C'è un piccolo «giallo» sul documento che Petrucci & Pagnozzi avevano predisposto, con l'idea di tirarlo fuori solo se le condizioni ambientali lo avessero consentito. Quel documento sul tavolo ci è finito, segno che qualche passo avanti s'era realizzato. Nel chiuso della sala Giunta, c'è chi lo definisce «incomprensibile a mia nonna, a mia nipote e soprattutto ai tifosi» e per qualcun altro è invece «forte, fortissimo», sufficiente, se sottoscritto, a chiudere l'estenuante querelle post-calciopoli tra Juventus e Inter. Un documento segreto ma non del tutto, del quale trapelano, come da un sito archeologico, singoli frammenti. Il più significativo sembrerebbe essere un «. . . adottando in qualche caso provvedimenti che avrebbero pure potuto essere differenti...», che guarda alla famigerata estate del 2006. Una frase e un modo di ripercorrere la storia di calciopoli buoni a tutti gli usi: a togliere scudetti a tavolino, a modificare sentenze, magari anche ad assolvere qualche condannato. Ma senza dirlo esplicitamente. Sul perché questo documento sia diventato carta straccia le versioni divergono: secondo Coni e Federcalcio si era a un passo dallo storico accordo sull'asse Agnelli-Moratti e a far saltare tutto sarebbe stato quel guastafeste di Diego Della Valle che, dicono sempre Coni e Figc, puntava a una radicale riscrittura delle sentenze di calciopoli. Da casa Moratti non smentiscono, ma da casa Agnelli, dove era pregiudiziale mettere in discussione lo scudetto 2006 e le responsabilità della Federcalcio, sì: quel documento non era proprio acqua fresca ma da qui a metterci sotto la firma ce ne passa. Quanto al presunto «reo», la storia sarebbe assai diversa: la frase-chiave del documento era stata apprezzata, ma Della Valle voleva sostituire al politichese una formula più esplicita, che desse conto dell'intera inchiesta, delle intercettazioni ignorate e del ruolo avuto dal commissario Guido Rossi nell'assegnazione dello scudetto 2006. E qui si sarebbe messo di traverso Moratti. Versioni evidentemente inconciliabili. Di sicuro c'è che Della Valle al tavolo ha preso di petto Petrucci senza tanti giri di parole («Ma allora che ci siamo venuti a fare?») ed è stato poi l'unico tra i convitati ad anticiparne ai media, non senza un pizzico di ironia, gli esiti: «Siamo rimasti civilmente ognuno sulle proprie posizioni». Parole che sanciscono il fallimento più di tutte quelle poi spese in conferenza stampa da un Petrucci «dispiaciuto» ed in evidente difficoltà. Proprio lui, il numero uno dello sport italiano che il 16 novembre aveva denunciato il «doping legale» che avvelena il calcio, si vede ora costretto a riconsegnare palla agli avvocati, imminenti protagonisti presso il Tar del Lazio di Juventus-Figc, una partita da nientepopodimenoche 444 milioni di euro. E' una sconfitta. Ventotto giorni per preparare il tavolo non erano pochi. Forse ne servivano di più. Forse bastava qualche invitato in meno. O forse, più semplicemente, calciopoli non finirà mai e qualcuno, tra una legge 91 e una sugli stadi, dovrà prima o poi spiegarlo al nuovo Governo. E la Juve riparte dai tribunali Il Tar del Lazio deve pronunciarsi sul ricorso dei bianconeri, che chiedono 444 milioni alla Figc di MAURIZIO GALDI & VALERIO PICCIONI (GaSport 15-12-2011) Il tavolo di ieri non ha portato la pace, ma in ogni caso sarebbe stato impensabile un colpo di bacchetta magica capace di cancellare le partite legali ancora in sospeso, figlie dell'inchiesta di calciopoli. Non competente Naturalmente la storia più conosciuta è quella della richiesta di revoca dello scudetto 2006 assegnato a tavolino all'Inter. La campagna della Juve era partita con il famoso esposto del 10 maggio 2010. Finora il club bianconero ha incassato la «non competenza» del Consiglio federale contro cui ha fatto ricorso al Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (Tnas) e da cui ha incassato un'altra «non competenza». Avrebbe a questo punto potuto puntare all'Alta corte di giustizia sportiva, ma il ricorso sarebbe stato tardivo. Per questo ha fatto rotta sulla richiesta danni al Tar del Lazio, chiedendo contemporaneamente al Prefetto di Roma di commissariare la Figc. Ma dal Prefetto è arrivata già una lettera con la quale si segnala l'ennesima «non competenza»: dopo la riforma del Coni, l'autorità sportiva è infatti l'unica ad avere il potere di controllo e anche di commissariamento delle federazioni sportive. Pendenti al Tar Sono comunque tre i ricorsi sui quali è chiamato a pronunciarsi il Tar del Lazio. Innanzitutto c'è quello della Juventus che chiede alla Federcalcio 444 milioni per i danni subiti con la sentenza sportiva del 2006. Un ricorso che comunque rischia di essere dichiarato «inammissibile» dalla terza sezione ter del Tar per due motivi: il più volte invocato ne bis in idem, non si può giudicare due volte per la stessa vicenda, ma soprattutto il precedente di una sentenza emessa dal Consiglio di Stato sull'«arbitrato con accordo compromissorio ad hoc» su analogo ricorso dell'Arezzo. Ne bis in idem Nel 2006 la Juventus fece ricorso al Tar contro la sentenza della Corte federale che l'aveva retrocessa in serie B con 17 punti di penalizzazione. In seguito il club bianconero si rivolse alla Camera di conciliazione e arbitrato presso il Coni e in base ad un arbitrato ad hoc ebbe una riduzione della penalizzazione, ritirando contestualmente il ricorso al Tar. Cioè: mi ridai 8 punti e io la chiudo qui. Napoli e Bologna Gli altri due ricorsi sono in qualche modo «imparentati» con calciopoli. Uno è del fallimento Vittoria (ex Bologna) contro la Federcalcio per la vicenda dell'iscrizione della Reggina senza i requisiti; l'altro è del fallimento del Napoli nel quale si sosteneva che il mancato ripescaggio in B avrebbe provocato un danno in quanto De Laurentiis avrebbe pagato di più l'acquisto della società allora in serie C. Corte dei Conti La Juventus ha poi presentato un esposto alla Corte dei Conti per «danno erariale» provocato allo Stato dalla Federcalcio che, retrocedendo i bianconeri, avrebbe fatto maturare meno guadagni e conseguentemente meno tasse allo Stato. Anche questo esposto è «sub judice» in quanto avrebbe una sua validità solo nel momento in cui un tribunale condannasse la Figc a risarcire la Juventus. Altre pendenze In sede penale, resta aperto il fronte calciopoli sia per l'appello alla sentenza del rito abbreviato (Giraudo, Pieri, Lanese e Dondarini) che partirà a Napoli il 21 marzo 2012, sia per l'appello ancora da fissare del primo grado del processo calciopoli (probabile arrivo delle motivazioni a metà febbraio). Ma su tutti pende anche la richiesta delle parti civili (Brescia, Bologna, Atalanta) che già con le sentenze di primo grado possono agire in sede civile contro Fiorentina e Lazio, e per la sentenza di primo grado del rito abbreviato, anche contro Giraudo e la Juventus. -
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I veti In un clima formalmete sereno è stato impossibile stilare un documento che mettesse d'accordo tutti A gambe all'aria Calciopoli è viva e fa fallire il tavolo della pace Della Valle: «Siamo vittime e non colpevoli» Moratti: «Chissà quante volte siamo stati truffati» di ALESSANDRO BOCCI (CorSera 15-12-2011) ROMA — Calciopoli è un mostro che sputa fuoco e ti azzanna alla gola, una guerra di religione che mette all'angolo Gianni Petrucci e rischia di paralizzare il calcio italiano. «Ognuno è rimasto sulle proprie posizioni», ha raccontato con franchezza Diego Della Valle dopo la lunga riunione nella sala Giunta del Palazzo H, la sede del Coni, a due passi dallo stadio Olimpico. Quattro ore e 36 minuti in cui il capo dello sport italiano, nella veste di padrone di casa, ha tentato di cancellare gli attriti e avvicinare le posizioni. Tutto inutile. Chi credeva che Calciopoli fosse morta e sepolta con la sentenza di Napoli (primo grado), vive di illusioni: è più vivo che mai. Un mostro che alimenta la diffidenza, innesca reazioni, divide vecchi amici che adesso quasi non si sopportano. La durata dell'incontro aveva fatto sperare in qualcosa di diverso. Ma non è possibile guardare avanti, se prima non si chiude con il passato. Nessuno ha abdicato o rivisto le proprie posizioni. Diego Della Valle, azionista di riferimento della Fiorentina, è stato il più chiaro e diretto: «Sto ancora aspettando di capire perché la mia famiglia e la mia società sono stati coinvolti in una storia in cui siamo vittime e non colpevoli». Parole sufficienti a far capire agli invitati, soprattutto a Coni e Federcalcio (rappresentati rispettivamente da Petrucci e Pagnozzi, Abete e Valentini), che la mattinata di lavoro non avrebbe prodotto i frutti sperati. Altro che parlare della legge 91 e di quella sugli stadi o delle proposte da presentare al nuovo governo Monti. Ognuno aveva un macigno sullo stomaco. Petrucci ha tentato di far passare un documento che tenesse conto delle posizioni contrapposte. Ma è stato impossibile individuare un testo che mettesse tutti d'accordo: o era troppo duro o troppo morbido, a seconda dei punti di vista. La prima bozza, quella del Coni, è stata considerata «generica e poco chiara» da Della Valle, scritta in un politichese che non avrebbe sgombrato il campo dagli equivoci. E le proposte di modifica avanzate dal proprietario della Fiorentina (il riconoscimento che la giustizia sportiva all'epoca dei fatti si era mossa troppo frettolosamente) sono state bocciate da Moratti. Per il presidente dell'Inter le puntualizzazioni di Della Valle rappresentano un attacco diretto a Ruperto e alla prima sentenza di Calciopoli. Lui non vuole guardare indietro: lo scandalo ha prodotto delle sentenze che non vanno discusse. E parlando del famigerato scudetto dei veleni, tolto alla Juve e assegnato all'Inter, Moratti ha allargato i confini della tensione: «Chissà quante volte, prima del 2006, sarò stato truffato?». Pronta, su questo argomento, è arrivata la replica di Galliani: «Guarda che in quegli anni vinceva il Milan perché aveva la squadra più forte». Difficile trovare un accordo in queste condizioni. Ma la discussione non è mai degenerata e alla fine i partecipanti si sono salutati stringendosi la mano. «La forma tra di noi non è mai mancata, ma i problemi vanno risolti nella sostanza», ha detto ancora Della Valle, appena fuori dal Palazzo H. Il proprietario della Fiorentina resterà in trincea: «Per noi niente è cambiato e non faremo passi indietro. Calciopoli si chiuderà soltanto quando verranno riconosciute le nostre ragioni». Gli altri protagonisti sono andati via silenziosi. Rimanendo fermi sulle proprie posizioni: Andrea Agnelli non ha intenzione di rinunciare alle battaglie legali, andrà avanti con i ricorsi e chiede parità di trattamento con l'Inter. Per Moratti la sua società non c'entra niente e, casomai, si sente economicamente danneggiata. De Laurentiis è stato preso in contropiede: era convinto che si sarebbe parlato del futuro e invece si è trovato nel mezzo di una discussione che non lo riguardava: «Cosa sono venuto a fare?», si è domandato con un filo di ironia. Galliani, abituato al mare in tempesta, non si era fatto illusioni: «Credo che Petrucci abbia fatto tutto il possibile per mettere d'accordo i contendenti. Calciopoli è un caso aperto e ciascuno di noi farà ciò che riterrà opportuno per tutelare il proprio club». Tutto come prima. Le distanze, la rabbia, l'orgoglio. IMPOSSIBILE SEDARE LE GUERRE DI RELIGIONE di MARIO SCONCERTI (CorSera 15-12-2011) Il tavolo della pace è finito nel niente perché non è mai stato altro che niente. Era debole anche come atto di buona volontà. Portato avanti in modo ingenuo da gente non ingenua, quindi destinato a insospettire. Non era un brindisi di Natale tra vecchi nemici, doveva essere l'inizio di una discussione impossibile sulla rivalutazione delle parti e una specie di nuovo inizio per il Tutto. Troppe pretese per essere vere, per essere credibili e perfino per essere legittime. Davvero anni e anni di astio, di energie, di accuse, di vere guerre di religione, si possono cancellare con una riunione dalle 9 alle 13, 36 alla vigilia di Natale? Tanto valeva mettersi in posa per una foto sotto l'albero con un calice in mano, ci sarebbero stati più sorrisi, sarebbe sembrato almeno una tregua. Così i massimi dirigenti del calcio hanno fatto finta di scambiare il calcio per una merce qualunque, sconosciuta e fredda, senz'anima né coinvolgimenti. È invece la sua fedeltà al dolore che rende il calcio diverso, il non saper discutere la propria idea, renderle omaggio e basta, difenderla sempre. E quando la vita dimostra con evidenza la nostra colpa, a quel punto diventare finalmente vittime. Se fosse razionale, a cosa servirebbe il calcio? Ma sono cose, queste, che sanno tutti, figuriamoci se non le sanno al Coni o in Federcalcio. Il calcio non può cercare compromessi, perché non sa accettarli. La differenza con l'avversario deve sempre rimanere netta, costi quel che costi. Siamo stanchi di questa intransigenza, vogliamo provare a cambiarla? Per me è impossibile, ma cosa c'entra un tavolo di quattro ore e mezza con invitati personalizzati, quindi discutibili, pochi giorni dopo la sentenza più dura su Calciopoli e poche ore dopo l'annuncio del ricorso al Tar della Juve? Non solo, ma se si voleva discutere del calcio di domani partendo dagli errori di quello di ieri, perché solo cinque società al tavolo? Il vantaggio di un rapporto, nel calcio diventa sempre lo svantaggio dell'avversario. Anche questo è sorprendente? Presidente amaro Il n. 1 del Coni costretto a gettare la spugna: «Ma prima o poi dovremo pensare al futuro» Petrucci, il giorno più lungo «Ho provato in tutti i modi e volevo un finale diverso» di FABIO MONTI (CorSera 15-12-2011) ROMA—Ci ha provato, ma è andata male. Si è esposto in prima persona, per dovere istituzionale, ma la pace resta lontanissima. Per Gianni Petrucci quella di ieri è stata la giornata più lunga e difficile da quando guida il Coni (29 gennaio ’99). A chi stava seduto con lui intorno al tavolo nella sala della Giunta non chiedeva di rinnegare il passato o di dimenticarlo. Avrebbe voluto che, in qualche modo, si potesse voltare pagina. Non è stato possibile, nonostante la lunghezza del vertice lasciasse immaginare un epilogo sofferto, ma diverso. E ha ammesso che è finita male. «È stato un incontro cordiale e corretto, ma devo dire con grande onestà che le scorie di Calciopoli sono ancora molto ingombranti; la realtà è semplice: ognuno è rimasto sulle proprie posizioni ». Ha provato anche a caricare di responsabilità il professor Guido Rossi, da lui nominato commissario Figc a causa e durante Calciopoli (da maggio a settembre 2006): «Stiamo parlando di un periodo di gestione commissariale, in assenza di un organismo democratico come il consiglio federale. In questo momento non serve a niente parlare del passato e l’ho fatto presente anche durante la discussione. Ma non posso coartare le menti di persone che sono state colpite duramente». Petrucci ha cercato di spiegare così il suo stato d’animo: «È una sconfitta? Non lo voglio dire, è stato un tentativo pieno di buona volontà da parte mia e del presidente della Figc, Abete; ora sarebbe demagogico dire che è una sconfitta per il calcio. Quando gli argomenti sono così pesanti, le conseguenze non possono andare oltre, ma ammetto che mi aspettavo un esito differente. Ho fatto mio un appello di Agnelli che chiedeva di parlare del futuro del calcio, non posso rimproverare nessuno. Io e Abete ci abbiamo messo impegno e quando si è a posto con la coscienza non ci si deve rimproverare nulla. Per me non è stato un fallimento; quando il presidente del Coni riesce a riunire intorno al tavolo persone che, almeno formalmente, non si sono più incontrate da quel famoso periodo, allora vado a dormire sereno, sapendo che di più non si poteva fare. Non me la sento di accusare i presidenti, di certo io ci ho provato. In tutti i modi. Sarà assurdo, ma sono contento; il risultato non c’è stato, ma c’è stata una discussione e un approfondimento e vedrete che nel futuro passi avanti ce ne saranno. Si tratta di chiudere una pagina che prima o poi deve essere chiusa». Di certo un vertice-bis non ci sarà: «Ci penserò molto bene, prima di altre riunioni». Petrucci si è mosso da numero uno dello sport italiano, quasi con spirito olimpico, ma si è trovato di fronte «a interessi divergenti», da parte di chi guida club, con grandi esposizioni finanziarie. Resta il tentativo di guardare oltre la delusione del momento: «Anche senza aver raggiunto un risultato, andrò avanti per la mia strada, presumo e mi auguro con il presidente Abete. Rappresenteremo al governo le esigenze del calcio, non staremo fermi, penseremo alle riforme che servono». A sperare in un esito diverso era anche il presidente della Figc, Abete. «Resta un conflitto su ferite profonde; prendiamo atto che questo sforzo non è riuscito a sanarle. Speravamo in un esito diverso: il confronto è stato civile, il rispetto è cresciuto, ma la situazione di conflittualità è rimasta». E resta anche il ricorso al Tar del Lazio, con la richiesta milionaria di danni della Juventus nei confronti della Figc. «Ho parlato a lungo con Andrea Agnelli; i rapporti personali sono di grande serenità e trasparenza. C’è questo ricorso al Tar, e faremo la nostra parte, contrastandolo in maniera serena e civile sulla base delle nostre argomentazioni. Un eventuale passo indietro della Juve? È una considerazione che farà la società bianconera, se e quando lo riterrà opportuno. Noi siamo un organo super partes; abbiamo fatte le cose in buona fede e con trasparenza. Calciopoli l’ho combattuta prima, e ora mi trovo a combattere gli effetti. Non ci sono fondi stanziati per fare fronte a questo ricorso, perché significherebbe fermare la federazione per due o tre anni, considerando che gli introiti ammontano a circa 180 milioni di euro all’anno. La forza dell’istituzione è nella solidità delle regole; le regole ci sono e noi le rispettiamo». -
14 12 2011 LA TAVOLATA DELLA PACE Falchi, colombe e tanti piccioni: oggi in scena il pasticciaccio di Abete e Petrucci Cinque giorni di grande calcio e soprattutto paracalcio, da sabato a oggi, con il già leggendario “tavolo della pace” per il quale si addobbano la fronte con bandana iridata al Coni Petrucci e Pagnozzi, Agnelli e Moratti, Della Valle e De Laurentiis. E Abete, of course. Sabato Inter-Fiorentina, scontro allo spasimo tra il poco e il niente, che riapre le polemiche appena sopite su una dirigenza gigliata “unfit”, basculante tra il laureato calzaturiero e il Corvino di Vernole. E il gran gol della “canaglia” Mutu, sufficiente al Cesena per vincere a Palermo. Poi arriva la domenica, e Rocchi. Non il centravanti della Lazio, che infatti aveva già fatto il suo a Lecce, ma l’omonimo arbitro, prima coinvolto e poi sconvolto in “Calciopoli”, che commette molti errori ma uno più errore degli altri: Seedorf aggiusta la palla con il braccio nella sua area in un modo che davvero non può sfuggire a nessuno, sia felsineo o milanista, cinese o sudafricano. Il rigore al Bologna non viene dato. Il Milan rischia di vincere, il pareggio tronca e sopisce. Mi pare un caso ultra-clamoroso, da Juventus vecchia maniera per intenderci. E mi chiedo: 1) come è possibile che dopo “Calciopoli” una cosa del genere non freghi quasi niente a quasi nessuno, come se “il lavoro sporco” fosse già stato fatto a suo tempo e la pratica evasa; 2) fino a che punto si può arrivare con la teoria dell’errore, dell’arbitro che sbaglia come i giocatori, non c’è un limite, e nel caso questo rigore non dato da Rocchi non parrebbe da manuale; 3) un errore macroscopico falsa un campionato oppure no, e se no è perché in altre occasioni altri arbitri hanno tacitamente o meno l’ordine di rimediare; 4) e nel caso, a danno di chi. Come capirete, a tirare il capo del filo si sgomitola facilmente un po ’ tutto, tavolo o non tavolo… Il lunedì finalmente delle emozioni in libertà all’Olimpico: errori ma non da parte di arbitro o assistenti, professionisti allo sbaraglio tra la Roma tatticamente bambina e la Juve a misura di Conte, una partita “aperta” che pure tra tante lacune dei fondamentali (si va indietro nella qualità del gioco come un po ’ in tutto, in un Paese in declino…) ci riconsola delle tante partite “chiuse”. MA IL BELLO come sapete è fissato per oggi. Dopo i lai di Andrea Agnelli e le risposte di Petrucci, ecco il “tavolo della pace”. Detto dell’abbigliamento iridato con bandana di falchi, colombe e piccioni nel Palazzo H, veniamo al sodo. Perché Gianni Petrucci, ex discreto terzino agile e furbetto da tre mandati e oltre primo cittadino dello sport italiano, e il suo sodale Lello Pagnozzi, segretario del medesimo Ente, suocero di Nesta e protagonista di una strepitosa telefonata nell’arco di “Calciopoli” dedicata a favori ed esami anti-doping “stranamente” accantonata dagli inquirenti, hanno avuto questa bella pensata? Sapendo benissimo i due, per via interna, esterna e gastroenterica che solo di un’occasione di facciata si può trattare essendo remoto un punto d’accordo tra Agnelli e Moratti, e non avendo quasi voce in capitolo gli altri commensali politico-sportivi? Ma è lapalissiano. Hanno indetto questo tavolo perché è il loro lavoro: sono falegnami e poi “civil servants” (non è da querela) che debbono prefigurarsi il futuro. Petrucci, che dovrà lasciare il Coni, ma lo farà callidamente solo nel settembre 2013, con sei mesi di ritardo sulla tabella post-olimpica della Federazione delle Federazioni, in tempo da sapere se a Roma saranno stati assegnati i Giochi 2020 (hai visto mai), si deve riposizionare. Pagnozzi dovrebbe assicurare la continuità del potere passando sulla poltrona del sodale in un clima da famiglia allargata. Il calcio, gli scudetti, gli avventori sono ghiottissima finestra mediatica, e pretesto prezioso per negoziare il futuro al massimo livello. Troppo realismo di me che scrivo? Casomai perfetto pragmatismo del duo che strumentalizza magistralmente l’incerto Agnelli e il “prescritto da illecito sportivo” bardato di sicumera Moratti (cfr. Palazzi, l’accusa federale), il Della Valle delle vacche magre e il De Laurentiis di quelle grasse, entrambi abitualmente vittime sacrificali di un sistema che di solito non li prevede (cfr. l’Udinese: davvero potrebbe vincere lo scudetto?). Il tutto all’ombra del presidente Figc Abete, quello de “l’etica non va in prescrizione”, una specie di Don Abbondio con un fratello maggiore. Attendo smentite.
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Juve e Inter: o la stretta di mano oppure affari vostri e lasciateci in pace da Bloooog! di FABRIZIO BOCCA (Repubblica.it 13-12-2011) Due parole due sul “Tavolo della Pace” che metterà una davanti all’altra Juventus e Inter, insieme a Coni, Federcalcio e quant’altri. E’ l’ultima occasione non dico per chiudere ma quanto meno per tenere sotto controllo una vicenda che ormai va avanti da oltre cinque anni. Non so quante probabilità di stretta di mano ci siano. Direi che ognuno deve mettere molta disponibilità e anche fare un passo indietro. Sapete come la penso, e lo ripeterò solo in una riga: la Juventus deve smetterla con la storia due scudetti e l’Inter non può vantare meriti su quello scudetto avuto nel 2006 e blindato dalla prescrizione. Non so come si faccia a parlare d’altro, non so come si faccia a girarci intorno al problema dei problemi, facendo finta di occuparsi in generale del calcio italiano e non delle cose che hanno messo Juventus e Inter su fronti opposti, secondo me la questione è quella e quella va affrontata. A meno che non si voglia far finta di nulla anche l’uno davanti all’altro. So in ogni caso che oltre questa occasione non c’è più nulla, che se non ci sarà la stretta di mano, la questione Juventus-Inter diventerà puramente personale, addirittura privata, una di quelle faide che vanno avanti per tempo immemore in cui alla fine non è più importante stabilire chi ha cominciato, devi solo condannare entrambi e basta. Al resto del calcio italiano la questione Juventus-Inter comincia sinceramente a non interessare più nulla perché ormai la giustizia sportiva sta finendo totalmente il suo corso e anche quella penale sta ormai ribadendo le medesime conclusioni. Non si può pretendere che la faida Juventus-Inter trascini l’intero sport italiano in una faida di risentimenti che lasciamo volentieri a loro. Se si vuol capire bene, altrimenti affari vostri e amen. ___ Tavolo della pace: ecco chi non ci sarà dal blog "Calcinfaccia" di GIOVANNI CAPUANO 13-12-2011 Ufficialmente la tavolata sarà a nove posti con Moratti e Agnelli seduti ai due capi e in mezzo tutti gli altri a cercare di fargli fare pace, pronti a scattare se a uno dei due dovessero scappare le due paroline magiche: "scudetto 2006". Tavolo apparecchiato per le nove di mattina così da prendersi tutto il tempo necessario per "chiudere definitivamente discussioni, corsi e ricorsi" come ha fatto sapere il presidente del Coni che è anche padrone di casa e che dovrà districarsi tra veti e minacce perché il tavolo della pace non si trasformi in una Caporetto del calcio italiano. Che le posizioni siano distanti non lo nasconde nessuno. Moratti non accetterà di mettere in gioco le sentenze del 2006 a partire dall'assegnazione dello scudetto. Agnelli vuole partire proprio da lì e subisce le pressioni della piazza che gli chiede di non cambiare strategia. Abete vorrebbe parlarne ma non può per non smentire le decisioni prese in luglio sulla non competenza della Figc. Della Valle ha il dente avvelenato con Moratti ma la sentenza di Napoli lo ha azzoppato non poco nelle motivazioni. Galliani cerca di capire l'aria che tira e De Laurentiis si è praticamente autoinvitato. Pronostico facile facile: o Petrucci, che ha trascorso le ultima settimane al telefono, trova qualche sponda disinteressata o sarà difficile anche se il resto dell'agenda - Calciopoli a parte - è tutt'altro che disprezzabile a partire dalla riforma della legge 91 sul professionismo per proseguire con stadi di proprietà, spartizione dei diritti tv e protezione del merchandising. Proprio per questo a far rumore sono soprattutto quelli che domattina, mentre i magnifici nove si siederanno al tavolo apparecchiato da Petrucci, al massimo scenderanno a far colazione al bar sotto casa. Molti presidenti, Cellino e Zamparini in testa, lo hanno detto apertamente. La Lega Calcio abbozza ma non gradisce. Il timore è che gli equilibri del nuovo calcio possano essere scritti in un circolo ristretto cosa che in passato ha portato più guai che soluzioni come accadde con la scelta del doppio designatore per non scontentare nessuna delle 'sette sorelle' di inizio anni Duemila. Se, invece, si parlasse davvero di Calciopoli e di quanto accaduto nell'estate del 2006, allora Petrucci ha ancora poche ore di tempo per allungare la lista degli invitati. All'elenco mancano infatti alcuni personagi imprescindibili. Ad esempio bisognerebbe sentire anche Cellino, Campedelli, Foschi, Gasparin, Governato, Spinelli e Corsi, finiti insieme a Facchetti e Moratti nelle 72 pagine della requisitoria senza replica del procuratore Palazzi. Oppure Lotito, Gazzoni Frascara, Foti e il Brescia. E un angolino andrebbe riservato, perché no?, anche a Luciano Moggi e al suo consulente Nicola Penta, l'unico a poter dire di aver sentito con le sue orecchie (quasi) tutte le 170mila telefonate contenute negli atti della Procura di Napoli. Cosa contengono che ancora non è stato distillato ai giornali? Oppure si potrebbe invitare Cosimo Maria Ferri, nome sconosciuto ai più e figura chiave dei processi sportivi di cinque anni fa. Era un dirigente della federazione, teste chiave per valutare il presunto illecito tra Della Valle e Lotito, la cui memoria fu azzerata dalla decisione di abbandonare il mondo dello sport. Una sorta di prescrizione di cui si lamentarono anche i giudici della Corte Federale scrivendo che con il suo silenzio "era venuto a mancare al processo un prezioso contributo probatorio". E perché non chiamare anche Guido Rossi, all'epoca commissario straordinario della Figc, per chiedergli del comunicato stampa con cui ufficializzò la consegna dello scudetto all'Inter e che ha recentemente definito con eleganza "s********e" i tentativi di riscrivere il capitolo. O Francesco Saverio Borrelli e lo stesso Palazzi per dirimere una volta per tutte il mistero delle telefonate di Facchetti che c'erano o non c'erano già nel 2006. Il rischio è che più che un tavolo si finisca col dover prenotare un ristorante intero. Davvero troppo anche per Petrucci già condannato a una missione impossibile: far stare seduti Agnelli e Moratti senza che l'incontro della pace si trasformi in un lancio di posate. Difficile. Quasi impossibile. -
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Ronaldo scappa, arriva Zac: ma non si vince mai Dopo Cuper, Verdelli, dopo Verdelli, Zaccheroni, dopo Zaccheroni, Mancini. La giostra "macina allenatori", ben oliata da Moratti, continua a girare allegramente. I risultati non arrivano e i soldi di famiglia se ne vanno, provocando buchi finanziari sempre più difficili da ricompattare. Ma fin quando ci sono di CARLO CANDIANI (Tempi.it 22-09-2011) La ferita dell'Olimpico sanguina ancora e Società e tifosi interisti devono affrontare l'ennesima grana. E come è accaduto nel 1998 c'è un Mondiale di mezzo e il protagonista è sempre lui: Ronaldo! L'abbiamo lasciato piangente sulla panchina nella fatidica partita contro la Lazio, il Fenomeno vola verso il Giappone e intanto vuole volare via dall'Inter. Dal Mondiale in terra nipponica parte uno stillicidio di dichiarazioni e smentite, ma sembra proprio che la decisione di finire di giocare tra le fila nerazzurre sia irrevocabile. I tifosi interisti lo vedono protagonista con il Brasile, segna nella finale contro la Germania, è campione del mondo e lancia un out out a Moratti: o me o Cuper! Moratti è messo alle strette e questa volta non sente ragioni: non vuole darla vinta ad un suo giocatore, neppure se si chiama Ronaldo, e in un caldo pomeriggio milanese d'agosto, apre una porta sul retro della sede interista di via Durini e lascia fuggire il campione brasiliano, come un traditore della patria, verso il Bernabeu, dove lo accoglieranno i "blancos" del Real Madrid. Nelle stesse ore Silvio Berlusconi in qualità di presidente del Milan, annuncia l'acquisto, dalla Lazio, di Alessandro Nesta, dopo che, qualche giorno prima, aveva negato l'esistenza della trattativa con il grande difensore, nei saloni affollati del Meeting di Rimini. Intanto, il popolo interista, saluta piuttosto inviperito Ronaldo; la sua avventura al Real non sarà esaltante: con un inizio promettente, vincerà un paio di coppe internazionali e un campionato spagnolo, ma mai la Champions. Ma torniamo all'estate del 2002. Alla notizia dell'arrivo al Milan di Nesta, Moratti si avventa su Fabio Cannavaro, punto fermo della Nazionale, e per sostituire Ronnie arruola l'argentino Crespo. E' immancabile la girandola di giocatori che arrivano o lasciano il campo di Appiano Gentile: si intensificano gli "affari" con il Milan, all'altra squadra di Milano vengono ceduti Seedorf e Simic per Coco (rifiutato "sdegnosamente" Rui Costa), al Parma vengono ceduti Adriano (in prestito, per farsi le ossa) e Gresko (definitivamente, deo gratias!). Arrivano, inoltre, il centrocampista Almeyda e il trequartista Morfeo. Parte, quindi, la stagione 2002/2003: secondo anno per Cuper, con un ambiente che deve dimostrare di aver superato lo shock dell'abbandono di Ronaldo. Il campionato scivola via senza infamia e senza lode, l'Inter arriva seconda a 7 punti dalla Juve e davanti al Milan di 4 punti. Il percorso di Champions League, vede la squadra di Cuper arrivare alle porte della semifinale e, con sorpresa, accorgersi di dover giocare il derby anche in sede europea. Infatti, l'avversario di turno è il Milan; malgrado molti acciaccati "l'hombre vertical" esce, sì, perdente, ma a testa alta dalla doppia sfida: i derby di Champions finiscono 0-0 all'andata in casa milanista e 1-1 sul terreno interista. Insomma, senza perdere e rischiando addirittura di vincere in casa (Abbiati deve superarsi e compiere un autentico miracolo su Kallon), l'Inter cede la finale al Milan, ma con onore. I rossoneri, poi vinceranno la Coppa a Wembley, in un finale tutto italiano, contro la Juve , ai rigori, dopo una partita noiosissima. Nonostante Cuper abbia condotto la squadra fino alle semifinali di Champions (cosa che non accadeva all'Inter da tempo immemore), non ha più la piena fiducia di Moratti, che nel calciomercato di quell'estate si "regala" lo spagnolo Kily Gonzales, l'olandese Van der Meyde e, dal Chievo, il brasiliano Eriberto (poi scopertosi Luciano), che dopo sei mesi torna al Chievo. Ma non finisce qui: arrivano l'argentino Cruz, dal Bologna, e il terzino danese Helveg; a gennaio, poi arriveranno Adriano, di ritorno dal Parma, dove era in comproprietà (e che l'Inter, per la solita sventatezza organizzativa rischia di perdere) e Dejan Stankovic dalla Lazio. Questa girandola di nomi non basta e dopo un avvio stentato Moratti dà anche a Cuper il benservito. La giostra "macina allenatori", ben oliata dal presidentissimo, è sempre in funzione ed è causa di un buco nero finanziario di difficile ricomposizione. Funziona così: il neo allenatore di turno, assunto da Moratti, strappa nella trattativa di assunzione un contratto pluriennale, ben sapendo che il Massimo dirigente interista si disferà presto del suo operato. Avendo subìto il licenziamento, l'ormai ex allenatore potrà cercarsi un'altra squadra con molta calma, sapendo di potersi godere anni di stipendio a spese della società nerazzurra. Dunque, Cuper viene sbolognato a ottobre e sulla panchina che scotta arriva (con un po' di ritardo) un vecchio pallino di Moratti e Tronchetti Provera: Alberto Zaccheroni, che nel frattempo aveva vinto un avventuroso scudetto con il Milan e sedeva sulla panchina della Lazio, nel tragico 5 Maggio 2002. Zaccheroni accetta, violando il suo credo, quello di non prendere mai le redini di una squadra a campionato iniziato. E infatti il suo campionato da trainer interista si svolgerà fra tanti bassi e pochi alti, in Italia (4° posto) e nelle coppe internazionali, e alla fine della stagione dovrà salire anche lui sulla "giostra" presidenziale, per far posto a un giovane allenatore emergente: Roberto Mancini. ___ Stagione 2004/2005: un altro annus horribilis per il Presidente E' il turno di Roberto Mancini sulla panchina dell'Inter. L'ex bandiera della Sampdoria però non riesce a portare a casa quei risultati tanto attesi dai tifosi e dalla dirigenza che continua a sbagliare tutto sul mercato. E lo scudetto è sempre più lontano di CARLO CANDIANI (Tempi.it 28-09-2011) 16 giugno 2004: aveva rischiato di diventare interista da giocatore (a Moratti sono sempre piaciuti i pedatori estrosi, vedi Baggio e Recoba), ma ora ci arriva in nerazzurro come allenatore: Roberto Mancini allunga così la lista, già molto lunga, dei "mister" chiamati dal Presidente a condurre l'Inter. Ottimo giocatore, una mezzapunta capace di capolavori balistici, dal carattere un po' "fumantino", che gli procurò diverse squalifiche a causa di veri e propri ammutinamenti in campo verso gli arbitri. Dopo essere stato la bandiera calcistica di Bologna, Sampdoria e Lazio e non convincendo mai in Nazionale, Mancini arriva all'Inter avendo alle spalle pochi anni da allenatore di Fiorentina e Lazio, vincendo la concorrenza di Fabio Capello che, in quel momento allenatore della Roma, malgrado avesse ripetuto per mesi che mai avrebbe accettato di allenare la Juventus, viene convinto da un blitz di Moggi, ad approdare alla corte bianconera. Agitata e, come al solito piena di promesse di vittoria, la campagna acquisti estiva: per espresso desiderio del nuovo tecnico arrivano ad Appiano Gentile i laziali Favalli e Mihajlovich, in prestito dal Chelsea l'argentino Veron, ex laziale pure lui, a parametro zero dal Real un altro argentino Esteban Cambiasso, dal Perugia il brasiliano Zè Maria, dal Boca Juniors Burdisso e dal Barcellona l'olandese Edgar Davids. Salutano alcuni dimenticabili della stagione precedente e, in modo un po' clamoroso, Fabio Cannavaro vola verso la Juve. Ennesimo scambio demenziale da parte della dirigenza interista: si vende a una diretta concorrente il capitano della Nazionale italiana per tale Fabìan Carini, terzo portiere della rosa bianconera. Il "caso Cannavaro" è il classico episodio che nel calcio vede protagonisti dirigenti tecnici inadeguati a gestire una squadra di rango (l'Inter) e scaltri manager con un pelo sullo stomaco lungo così! Il buon Fabio viene ceduto dall'Inter per disperazione, dopo una stagione costellata di infortuni e mali oscuri, che si scopriranno poi essere stati "consigliati" al giocatore da alcuni dirigenti juventini al fine di essere venduto alla squadra della famiglia Agnelli per qualche nocciolina. E Moratti, naturalmente, ci casca: puoi considerare l'indiscusso capitano azzurro "rotto", ma non esiste, scambiarlo con il terzo portiere della Juve! La stagione 2004/05 interista inizia con una serie impressionante di pareggi, anche se si scorgono sprazzi di buon calcio, vanificati dalle bizze caratteriali del titolare della panchina, sempre alla polemica contro tutto ciò che è milanista e juventino, e dal giovane fenomeno brasiliano Adriano, per i tifosi, "l'Imperatore". Fisico possente, grande senso del gol. Il ragazzo è purtroppo gestito un po' approssimativamente fuori dal campo, anche a causa di alcuni problemi familiari e si trova spesso a frequentare "cattive compagnie" che ne limitano il rendimento in campo. Inutili saranno i tentativi di recupero fisico e mentale e sotto la gestione Mourinho l'ormai ex Imperatore sarà ceduto, forse meglio dire abbandonato a se stesso. Peccato, Moratti avrebbe potuto venderlo al Chelsea, che lo aveva fortemente richiesto quando ancora stava in piedi per la cifra iperbolica di 90 milioni di euro! Ma onestamente non si può addossare al Presidente, una decisione così impopolare, che solo un pazzo avrebbe affrontato. Nel proseguo della stagione anche a Mancini, come a Cuper, tocca incontrare il Milan in Champions, ai quarti di finale: una debacle! I cugini rossoneri vincono in casa 2 a 0, nell'andata e a tavolino 3 a 0 nella partita di ritorno, a causa di manifestazioni piuttosto "vivaci" della curva interista che contesta la società per una ennesima stagione fallimentare con lanci di bombe carta, facendo sospendere la partita, con relativa squalifica del campo, per la successiva stagione internazionale. Un petardo raggiungerà accidentalmente anche il portiere rossonero Dida che stramazza al suolo e da quel momento perderà riflessi e concentrazione naufragando con tutta la squadra, qualche settimana dopo, nella rocambolesca finale contro il Liverpool di Benitez a Istanbul. In casa Inter, la contestazione è indigesta a Moratti, che questa volta si dimette da presidente, rimanendo patron e lasciando la poltrona "ufficiale" a un simbolo nerazzurro, Giacinto Facchetti, che purtroppo dovrà arrendersi a una fulminante malattia il 4 settembre 2006. Sul finale di stagione, intanto, arriva una vittoria nella finale di Coppa Italia, la quarta nella storia interista, primo trofeo vinto dopo sette anni di astinenza da successi in campo. Purtroppo il popolo interista rimane scettico davanti a Mancini, sempre agitato in panchina, spesso espulso e che non riesce ancora a dare all'Inter un'impronta da grande squadra, specie nelle sfide decisive. E si riparte per una nuova stagione. Estate del 2005, gli arrivi sono importanti: il portoghese Luis Figo, che nelle fila dell'Inter farà il canto del cigno di una celebrata carriera, Walter Samuel, già nella Roma e Santiago Solari. Tutti e tre comprati dal Real Madrid: la squadra spagnola doveva forse ancora pagare Ronaldo? Mah! Dall'Udinese arriva David Pizarro, regista di centrocampo, e per fare il secondo di Toldo, un giovane portiere brasiliano, Julio Cesar. La stagione comincia bene, mettendo in bacheca una Supercoppa Italiana vinta contro la Juve, ma il campionato subirà i soliti alti e bassi, tra facili entusiasmi e profonde delusioni. Si finisce alle spalle della Juve, con diversi punti di distanza e con 14 punti recuperati in volata dal Milan, che conclude in classifica davanti ai nerazzurri. Ma questa classifica sarà destinata a essere stravolta: sul finire del torneo, annunciato con tuoni in lontananza, scoppierà la tempesta di Calciopoli (o Moggiopoli), che rivoluzionerà per sempre il mondo del calcio italiano. Ma tutto questo lo racconteremo nella prossima puntata. ___ E con Calciopoli la vittima Moratti tirò fuori la balla degli "onesti" La Moratteide arriva al 2006, anno caldo dello scandalo Calciopoli, quando Moratti approfitta per dichiarare che le sconfitte degli anni precedenti erano dovute a irregolarità e che l'Inter è la squadra dei "diversi", degli "onesti" di CARLO CANDIANI (Tempi.it 04-10-2011) Maggio 2006: è sul rush finale del campionato che scoppia lo "tsunami" di Calciopoli. Un'inchiesta giornalistica con capofila "La Ģazzetta dello Sport", lievitata poi per settimane fa scattare l'indagine della Federcalcio e deflagra fino a decidere le sorti di "onnipotenti" dirigenti di club (la Triade juventina, su tutti) e a destabilizzare e quindi ribaltare l'ordine di arrivo del campionato. Squalifiche, deferimenti e minacce di radiazioni si sprecano, suscitando grande clamore mediatico, proprio all'inizio dell'avventura azzurra ai mondiali di Germania. Il selezionatore Marcello Lippi, ex allenatore (di ritorno) della Juve, viene messo prepotentemente in discussione: c'è chi non lo vorrebbe vederlo partire con la squadra. Tanto che, punto sul vivo, indice discutibili conferenze stampa, in compagnia di Fabio Cannavaro, capitano degli azzurri e punto fermo della difesa sia in Nazionale, che nella Juventus, per difendersi e dichiararsi estraneo da episodi di corruzione sportiva. Il caos è totale: quotidianamente su giornali e in televisione spuntano sbobinature di intercettazioni telefoniche compromettenti, per diversi dirigenti di squadre di serie A. E se, in questo marasma, la spedizione italiana si ricompatta e con una certa dose di fortuna conquista il quarto titolo mondiale, ai rigori, contro la Francia di Zidane, il mondo dei club della massima serie, ne esce completamente terremotato. Nella confusione e nella fretta di risolvere entro l'estate il processo sportivo, con decisioni molto contestate dalla piazza dei tifosi, gli organi della Federcalcio decidono di assegnare lo scudetto del campionato 2005/06 all'Inter, non prima di aver retrocesso la vincitrice di quella stagione, la Juve, per la prima volta in serie B e aver penalizzato il Milan, arrivato secondo, affibbiandogli anche una partenza sottozero, nel campionato successivo, in compagnia della Lazio. Anche se alla squadra di Berlusconi viene evitata l'onta della terza seria B della sua storia, la sentenza costringe i rossoneri a giocarsi i preliminari di Champions e a realizzare, nell'indecisione della penalizzazione, una problematica campagna acquisti, che, senza lo scoppio della scandalo, aveva già in previsione l'acquisto di Ibrahimovich, in rotta con la Juve. E così, Moratti, uscito "immacolato" dal terremoto Calciopoli, anzi, considerandosi la vittima sacrificale di anni di angherie e truffe dei dirigenti juventini in combutta con gli arbitri, si insinua nella trattativa del Milan, per l'attaccante balcanico-svedese e, con la scusa di aiutare la nuova dirigenza juventina ad affrontare le improvvise difficoltà economiche, gli fa il piacere di acquistare il bomber per 26 milioni di euro, mentre lo stesso Ibra, non sapendo in che modo sarebbe stato penalizzato il Milan aveva raffreddato la pista rossonera. Fu così che il lungagnone che si era preparato il discorso di come già da bambino, nella sua cameretta, avesse appeso il poster del Milan, dovette precipitarsi a staccarlo dalle pareti per affiggervi quello dell'Inter, con "i suoi eroi nerazzurri". Dalle macerie di Calciopoli, dunque, l'Inter di Moratti emerge in tutto il suo splendore di "squadra degli onesti" e si fregerà del famoso "scudetto di cartone" 2005/06. Il capitolo dello "scudetto di cartone", ritenuto da Moratti "risarcitorio" per gli anni nei quali l'Inter non ha vinto nulla, è emblematico dei meccanismi mentali del presidente interista. Al netto dei recenti sviluppi investigativi, dove risulta che anche l'Inter intesseva rapporti con la classe arbitrale, per lo meno sconvenienti, giustificati forse a ragione da un sentimento di legittima difesa; al netto di tutte le perplessità su come sono state condotte le indagini nel frettoloso processo sportivo dell'estate 2006, dove non tutte le telefonate compromettenti sono state valutate, dovrebbe essere pacifico che per chiudere definitivamente l'era di sospetti e recriminazioni che ancora aleggiano e determinano i rapporti tra le società coinvolte, una sola cosa avrebbe dovuto fare Moratti: rinunciare a fregiarsi di un titolo vinto a quel modo, "in segreteria", come direbbe Mourinho. Se Moratti, già nel 2006, uscito indenne dallo scandalo, avesse compiuto l'atto nobile di lasciar perdere uno scudetto non vinto sul campo, avrebbe raggiunto il risultato di far scendere definitivamente il sipario su un brutto capitolo della storia del calcio italiano. Purtroppo si è vantato più volte di tale trofeo, inneggiando alla "diversità interista". Moratti, invece, dovrebbe rendersi conto che se l'Inter non vinceva non era per i rapporti "particolari" di Moggi con la classe arbitrale, ma più semplicemente per la miriade di decisioni scellerate e demenziali, che si sono protratte negli anni e che fino a qui abbiamo voluto illustrare, senza tirare in ballo ipotetici "onesti truffati", quando tutte le squadre, per difendere i propri interessi, bazzicavano i quartieri alti della casta arbitrale. Moratti, inoltre, nel suo delirio, non ha mai ammesso che i successi del post-Calciopoli, sono dovuti in gran parte dalla deflagrazione degli equilibri tra le varie squadre di vertice. Accade, quindi, che nella stagione 2006/07, l'Inter vince il campionato "in carrozza" con un Ibra in più ed un'ennesima campagna acquisti faraonica: arrivano i terzini di fascia Maicon e Maxwell, brasiliani entrambi; ancora dalla Juve, precipitata in B, Patrick Vieira e dal Chelsea, un cavallo di ritorno: Hernan Crespo. I nerazzurri vincono la Supercoppa italiana contro la Roma, dopo un'esaltante rimonta. In Champions si fermano agli ottavi, dopo una deplorevole rissa finale sul campo del Valencia. Lasciano in mano alla Roma la Coppa Italia, dopo un'altra serata "fumantina" del mister Mancini. Pur raggiungendo alcuni successi, però, l'Inter dà sempre l'impressione di essere una grande incompiuta. E qualcosa dice che Moratti sta, per l'ennesima volta, pensando a un cambiamento in panca. Ma questo ve lo racconteremo nella prossima puntata. ___ All'Inter arriva Mourinho, l'unico che tiene a bada Moratti (e così vince) Anche se Mancini vince lo scudetto, Moratti gli dà un benservito dorato per prendere Mourinho. Il portoghese vincerà grazie alla sua capacità di mettere fine all'anarchia del presidentissimo di CARLO CANDIANI (Tempi.it 11-10-2011) Campionato 2007/08: Anno secondo dopo Calciopoli. L'Inter deve vedersela con la Roma fino all'ultima giornata: Ibra a Parma entra dopo settimane di assenza a causa di un serio infortunio e segna la doppietta che mette in bacheca il secondo scudetto vinto sul campo, di fila. La stagione non è iniziata nel migliore dei modi: la squadra di Mancini, ad agosto, ha lasciato la Supercoppa italiana nelle mani della Roma. Incredibilmente la campagna acquisti è stata molto contenuta: è arrivato Chivu, difensore rumeno dalla Roma, e l'attaccante honduregno David Suazo, dopo un braccio di ferro con il Milan, dal Cagliari. Naturalmente Suazo, fortissimamente voluto da Mancini, scomparirà presto dalla squadra titolare: ma è un particolare che non incide su una squadra che dimostra finalmente di avere personalità in campo. Nonostante i successi in campionato, l'ambiente interista è in perenne agitazione: il Presidente constata che a livello internazionale la squadra non fa il desiderato "salto di qualità"; la Champions, anche con la pesante presenza di Ibra, resta un tabù e dopo l'ennesima eliminazione, l'11 marzo, a S. Siro, contro il Liverpool, negli ottavi di finale, Mancini comincia a sospettare che la società, delusa, gli stia facendo terra bruciata intorno: annuncia in conferenza stampa con strani giri di parole che anche se vincerà lo scudetto il suo destino all'Inter è segnato e l'anno successivo non siederà più sulla panchina nerazzurra. Molti tifosi e osservatori accolgono questo messaggio come annuncio di dimissioni da parte del mister, ma i più attenti segnalano che Moratti, dopo essersi attivato inutilmente alla fine della stagione 2006 per accaparrarsi Capello, si era già guardato intorno e aveva sondato il terreno e addirittura fatto firmare un precontratto a un top allenatore, momentaneamente a spasso: Josè Mourinho. Il portoghese aveva lavorato molto bene per più di due anni al Chelsea di Abramovich, ma era stato esonerato per incompatibilità caratteriale dallo stesso petroliere russo. Mancini, probabilmente, aveva notato questi strani movimenti, ma Moratti smentisce tutto in maniera categorica, anzi, com'è nel suo stile tranquillizza lo jesino assicurandogli fiducia eterna. Infatti, se pur con fatica, l'Inter vince lo scudetto e la panchina di Mancini non sembra più tremare. Ma al momento di andare in ferie, quando ancora gli echi dei festeggiamenti per la vittoria nel torneo nazionale non si sono ancora spenti, ecco il colpo di scena: il tecnico, in un pomeriggio di maggio, il 27, invece di essere chiamato in sede per la paga viene esonerato quasi in diretta televisiva, con la scusa delle dichiarazioni del post partita di Champions. Naturalmente non è così, i sospetti di Mancini erano fondati e se l'annuncio dell'esonero risulta di grande effetto, lo è anche la cifra che Mancini chiederà e otterrà per il benservito, in attesa di allenare una nuova squadra. Ricerca che da parte dell'ex allenatore interista sarà condotta con molta calma, sapendo che "Pantalone" Moratti avrebbe pagato ogni mese il lauto stipendio all'allenatore esonerato, nella miglior tradizione dei suoi anni di gestione, continuando imperterrito in questa assurda strategia del lancio dei soldi dalla finestra. Tra l'altro, anche Mourinho, non risulterà pagato con le noccioline. Il portoghese si presenta subito come un grande comunicatore: «Io non sono un pirla», esordisce alla prima conferenza stampa alla Pinetina, raccogliendo subito il favore di stampa e tifosi. Il "padreterno" di Setubal è stato ingaggiato per la sua esperienza internazionale: ha già vinto una Champions League con il Porto dei miracoli e mantenuto il Chelsea nel giro europeo, sfiorando la finale sottrattagli in semifinale dal Barcellona di Guardiola dopo scandalosi errori arbitrali. In poco tempo, Mou si accorge che la priorità in casa Inter è organizzare un sistema di competenze e disciplina nella comunicazione dentro e fuori la squadra, che l'incosciente anarchia morattiana ha reso inesistenti. Il portoghese, prende in mano l'ingarbugliata matassa di rapporti interni ed esterni e da geniale General Manager riordina ruoli e responsabilità. Sotto la sua gestione non usciranno più spifferi polemici dallo spogliatoio; metterà sempre la sua faccia per difendere la tranquillità della squadra nei momenti delicati. Duro con i giocatori che non lo seguono, comprensivo con chi merita la sua fiducia, gestirà con autorità e pazienza le bizze di Adriano e Balotelli, fino a quando non sarà costretto ad abbandonarli al loro destino, lontano dall'Inter. Non smetterà di stuzzicare, facendo nomi e cognomi, gli avversari con verve e spavalderia, ai limiti della maleducazione, ma realizzando in ogni conferenza stampa uno show irresistibile e irrinunciabile, cosa inedita e inusitata per l'ingessata ipocrisia del calcio italiano. Soprattutto, oscura finalmente la presenza di Moratti, ne limita il raggio d'azione, costringendolo per il bene della società ad esternare il meno possibile: sull'Inter, adesso, nessuno più racconta barzellette! Non che Mourinho non sbagli mai: appena arrivato convince Moratti a comprare per una cifra assurda il connazionale Quaresma, una buona ala, ma tutta da scoprire sui nostri campi. Il flop è dietro l'angolo, Moratti abbozza, tanto che nel mercato della stagione successiva glisserà sui nomi proposti dal vate di Setubal (Deco e Carvalho) e con buona dose di fortuna azzecca Lucio e Sneijder a costo di discount. Comunque, il campionato 2007/08 viene vinto in carrozza, con diverse giornate di anticipo, anche se permane il problema della ricerca di un buon piazzamento di Champions, (si esce ancora agli ottavi contro il Liverpool), intanto ne sorge uno nuovo: Ibrahimovic, spremuto fino alla fine dal mister, segnala un certo disagio nei confronti della squadra e dei tifosi, e fa capire con gesti inequivocabili che vorrebbe finire la sua avventura all'Inter. Detto fatto il suo procuratore, l'ex pizzaiolo Mino Raiola, si attiva e gli scalda un posto nel dream team del Barcellona. Lo scambio si farà nelle ultime ore del calciomercato: Ibra, con sua immensa gioia, verrà ceduto alla squadra catalana per un valore di 80 milioni di euro; circa 50 in contanti più un attaccante che nelle fila della formazione guidata da Pep Guardiola (fresca regina d'Europa) stava stretto: il camerunense Samuel Eto'o. Ma l'affare, chi lo fa? Ve lo racconteremo nella prossima puntata, quella che celebrerà l'anno del "triplete". ___ Massimo Moratti riesce a rovinare anche il triplete di Mourinho Una delle puntate chiave della Moratteide: l'anno del mitico triplete, ad opera degli eroi di Madrid e di Mourinho, Ma Moratti è sempre in agguato... di CARLO CANDIANI (Tempi.it 20-10-2011) Stagione 2009/10. Eccoci alla seconda stagione del Mourinho interista: scherzando, ma non troppo, il tifoso nerazzurro associa al portoghese proprietà taumaturgiche e magiche. Esagerazioni, che però hanno una loro ragione: basta la sua presenza negli spogliatoi di Appiano Gentile, a trasformare, come per magia appunto, un ambiente sempre sull'orlo di una crisi di nervi, soffocato dall'eterno tourbillon di allenatori e giocatori, segno distintivo dell'era morattiana. Ormai in società non si muove foglia che Mou non voglia. L'immagine con i media passa attraverso il filtro delle conferenze stampa del vate di Setubal, veri e propri spettacoli di reality calcistico, un fuoco di fila di battute a volte ironiche, a volte preoccupate, nel denunciare complotti ai danni dell'Inter, spesso per dileggiare e sfottere gli avversari, provocando grande ilarità dei tifosi interisti e dei giornalisti presenti agli show, ma tirandosi addosso le contumelie del rimanente circo pallonaro, incapace di replicare adeguatamente, per far fronte ad una situazione inimmaginabile del successo comunicativo che disintegra decenni di buonismo ipocrita e falso. Il portoghese, che, notate bene, plana come un marziano in un mondo ancora sotto choc per Calciopoli, svela e scardina luoghi comuni e meccanismi, aiutato da una innata capacità di presenza scenica e da copioni adeguatamente preparati e recitati con una scioltezza da grande mattatore: "Zero Tituli" e "proxtituzione intellectuale" sono solo alcuni dei neologismi che ridondano attraverso un marketing da far invidia ad una agenzia di creativi pubblicitari. Ma tutto ciò sarebbe stato ridicolo se contemporaneamente la squadra non seguisse il tecnico nell'atteggiamento sfrontato e vincente in campo: quell'atteggiamento che ha permesso di riacciuffare partite già perse, realizzando gol decisivi negli ultimi secondi dei minuti di recupero, oppure imponendo a centrocampo un gioco devastante, asfissiando gli avversari in maniera inusitata: come dimenticare le delizie balistiche di Sneijder, le folate supersoniche di Maicon, la danzante incisività di Eto'o, a precisione chirurgica dei gol di Milito, l'esplosività di Lucio, l'impenetrabilità di Samuel, l'esuberanza dei veterani Zanetti e Cambiasso e i salti felini di Julio Cesar? Ebbene sì, lasciatemi ancora godere di questi magnifici ricordi: per me interista, sconfortato nell'attraversare, in questi anni, un'eterna valle di lacrime (sportive s'intende); la serie di vittorie e i trofei vinti in questa stagione sono un segno indelebile della centenaria storia nerazzurra, che fortunatamente ho vissuto in diretta; potrò mai dimenticare i due derby di campionato, uno più esaltante dell'altro? E il passaggio di turno in Champions nella incredibile rimonta contro la Dinamo Kiev? Il testa a testa finale con la Roma in campionato, che approfitta della nostra flessione ma che sprofonda proprio sul più bello all'Olimpico contro la Sampdoria di Cassano e Pazzini? La conquista dell'ennesima Coppa Italia, ridicolizzando la Roma sul suo campo, facendo saltare il lume della ragione al Pupone Totti, che compie il fallo di reazione (su Balotelli) più disperante e ridicolo della storia del calcio mondiale. E come dimenticare la fortuna sfacciata che ci accompagna in Champions, in una serie di partite che solo pensarle fanno tremare i polsi? Passiamo, sì, con Chelsea e Barcellona, ma è innegabile che la Dea bendata ci protegge verso vittorie insperate, su campi ritenuti impossibili. Ma, come si dice, "la fortuna aiuta gli audaci" e la squadra di Mourinho è un pugno di audaci capaci di sfidare il mondo intero e vincere ben tre titoli nella stessa stagione. Il mitico triplete è realtà. E poi… ecco che la favola si trasforma in un incubo! E proprio nella serata di massima goduria! Quella della finale di Champions, a Madrid, contro il Bayern di Monaco. E' come uno strozzo in gola che non ti fa respirare, è come un film che si riavvolge lasciandoti instupidito e privo di reazione, è come una puntina che sfregia irreparabilmente il vinile più prezioso che possiedi, è come un'unghia che sibila sul vetro, il gessetto sulla lavagna, una nota stonata in un capolavoro musicale, un quattro in condotta in una pagella piena di nove. Insomma, tutto ti riporta alla realtà: ti eri dimenticato che il presidente della tua squadra, che sta vincendo tutto, si chiama Massimo Moratti, e allora è come se qualcuno ti aprisse improvvisamente sotto il naso Il libro di Murphy: "Se tutto sta andando a meraviglia, stai tranquillo e intanto spegni 'sta ċazzo di sveglia!". Le bandiere sventolano ancora per le vie di Milano, ma a Madrid cosa accade? Che il tecnico della squadra vincente saluta la compagnia, sale sull'auto del presidente del Real Madrid e se ne va, come un ladro nella notte. Maicon viene inseguito dai giornalisti per sapere se non gli convenga rimanere lì nello stadio Bernabeu, che, sembra, sarà la sua prossima casa calcistica. Milito annuncia che se non avrà un aumento d'ingaggio, accoglierà proposte di altre squadre, che gli stanno arrivando a fiumi. Una cosa mai vista: ma come, da una squadra che vince ogni cosa scappano tutti? Ancora una volta l'inadeguatezza societaria della gestione Moratti suscita perplessità togliendoci il gusto della vittoria epocale: come si può gioire del presente se i segnali del futuro sono così contradditori? Ora la presidenza è a un bivio: trattenere gli eroi del "triplete" o, ripartendo da questi successi, gettare le basi per un rinnovamento della squadra, cominciando dalla scelta di un erede sulla panchina degno del vate di Setubal? Tutto a tempo debito, ci rispondono, ora bisogna festeggiare. Ma i preparativi per la stagione 2010/11, già incombono e siamo ansiosi di conoscere le iniziative di Moratti. Sarà, la prossima, la stagione della conferma di un ciclo vincente? Lo scopriremo nella prossima puntata. ___ Il problema dell'Inter sono i cortigiani? Moratteide sospende il racconto cronologico delle vicende interiste per capire cosa sta accadendo in questi giorni in casa nerazzurra. Fatti che sembrano confermare ancora una volta l'inadeguatezza della presidenza morattiana. Come farà l'Inter a uscire dalla crisi? di CARLO CANDIANI (Tempi.it 31-10-2011) E' inutile girarci tanto intorno, a Tempi.it abbiamo cominciato a lanciare segnali già dal mese di agosto: l'inizio della pubblicazione a puntate della rubrica Moratteide, comincia proprio in quei giorni. Avevamo già il sospetto che la squadra nerazzurra andasse incontro a una stagione contraddittoria e avara di soddisfazioni. Intanto i soliti soloni interisti, televisivi e della carta stampata, rassicuravano il popolo nerazzurro sconcertato sia dalla (s) vendita di Eto'o a una misconosciuta squadra russa in cerca di visibilità mediatica sia dai tentennamenti sul campo della campagna acquisti e cessioni, tipica di una società indecisa su tutto. Questi illustri soloni erano certi che la decisione di Moratti di vendere il bomber camerunense fosse dovuta alla volontà del patron di regalare un grosso colpo alla squadra, magari all'ultimo minuto come l'anno prima aveva fatto il Milan con Ibrahimovic. Speranze vane! Il mercato non si è mosso e ora gli stessi che avevano scommesso anche la moglie e la casa per uno scatto di reni morattiano, piangono la paura di essere già risucchiati nella lotta per non retrocedere. Ma, nelle loro parole, ancora non viene rivelata una verità lampante: questa situazione è cronica da almeno 17 anni, cioè da quando Massimo Moratti cominciò a baloccarsi con il giocattolo Inter, gentilmente regalatogli con budget quasi illimitato dalla famiglia. E' tutto qui il problema dell'Inter: un presidente inadeguato al ruolo assunto, che si è circondato da diversi incompetenti che negli anni pre - Calciopoli aveva ridotto la squadra nerazzurra a una simpatica (per gli avversari e rispettive tifoserie) barzelletta; che è stato vittima della paranoia del "complotto" ordito da Moggi & co.; che ha affermato che lo scudetto di cartone era un premio per chissà quali torti subiti, con il solo risultato di esacerbare gli animi e far rimanere aperta una brutta pagina del calcio nazionale, che altrimenti si sarebbe già chiusa. Che ha vissuto qualche mese di gloria (qualche mese, non un ciclo!) grazie a un profeta portoghese che aveva capito come muoversi nel marasma anarchico di Appiano Gentile. Purtroppo la lezione di Mourinho, non è servita a nulla: in due stagioni i suoi successori sono già stati quattro, ritornando alla media dell'era Moratti. E potremmo andare avanti, tra errori tecnici (Oriali allontanato, due consecutive campagne acquisti e cessioni fallimentari) e finanziari: Moratti, in 17 anni ha speso un abbondante miliardata di euro, più di Juve e Milan messi insieme e ora piange per il fair play economico, proprio ora che grazie ai proventi delle vittorie avrebbe potuto rinforzare la squadra a dovere. Lo avrebbe potuto fare si, se non avesse in questi anni dilapidato il budget iniziale con una gestione demenziale del parco giocatori e allenatori. Ma di questo, non sentiremo mai nessuno occuparsene, nè dagli schermi televisivi, nè sulla carta stampata. Questa è la condanna dell'Inter, pensare che ogni critica che abbia come obiettivo la dirigenza sia semplicemente un delitto di lesa maestà. Ancora in questi giorni gli esperti di cose nerazzurre mettono sul piatto delle accuse gli allenatori, i giocatori, gli arbitri (tanto per cambiare), ma si guardano bene dall'accennare qualche velata critica anche al responsabile ultimo di questo caos. Forse c'è una ragione per questa latitanza: il dover fare i conti con la suscettibilità del soggetto che potrebbe, ora anche in difficoltà finanziaria, optare per uno sganciamento definitivo dalle responsabilità operative presidenziali e decidere di mettere in vendita la società, con il rischio di creare una situazione ancor più grave e irreversibile. E allora come uscire dal tunnel? Sarebbe opportuno che invece di fare l'offeso il presidente interista rilasciasse una dichiarazione nella quale ammettesse che qualche errore di gestione, in questi anni, è stato compiuto anche da lui e non solo dai suoi collaboratori, spiegare che soldi in cassa non ci sono più (per le ragioni che abbiamo spiegato) e che è ora di rimboccarsi le maniche e magari cercare di capire come mai dai vivai, chiamati in prima squadra, arrivano solo meteore che non incidono nei necessari ricambi. Siamo sicuri che i veri tifosi interisti capirebbero e si stringerebbero con più convinzione in questa sorta di solidarietà sportiva, per risollevare le sorti della loro squadra. Alla faccia dei cortigiani! ___ Dentro Benitez, fuori Benitez: un'altra chicca di Moratti Dopo la vittoria del Triplete, Moratti ne combina delle belle di CARLO CANDIANI (Tempi.it 28-11-2011) Estate 2010. L’Inter ha appena concluso una stagione trionfante: scudetto, Coppa Italia e Champions League, sotto la stella di Josè Mourinho. In una squadra normale, dove la gestione presidenziale ha una logica economica e di programmazione delle risorse umane, con i premi arrivati dalle federazioni organizzatrici dei tornei, si aprirebbe una stagione di conferme e riconferme, di acquisti mirati, di cessioni economicamente redditizie per un rinnovamento oculato. Naturalmente l’Inter di Moratti non segue questi canoni da grande squadra e i tifosi restano attoniti davanti ad una serie di eventi, che partono già dal triplice fischio che decreta la vittoria interista sul Bayern, nella finale europea di Madrid. Che ora elenchiamo: 1) Come già anticipato da settimane di tira e molla l’allenatore portoghese saluta la truppa e annuncia che allenerà il Real Madrid. 2) Pur sapendo già della decisione di Mou di divorziare dall’Inter, la dirigenza nerazzurra sembra presa alla sprovvista e le settimane successive passano a registrare la solita giostra mediatica su nomi possibili e improbabili, giusto per dare un po’ di succo alle pagine sportive dei quotidiani e alle trasmissioni dedicate al calciomercato delle emittenti locali. Alla fine, non si sa se convintamente o per disperazione, la scelta cade su Rafael Benitez, allenatore con discontinui risultati del Liverpool. Un personaggio antitetico alla figura egemonica del vate di Setubal: è lui che dovrà sostituirlo e ridare nuovi stimoli a giocatori plagiati dall’influenza, quasi ipnotizzante del portoghese. Vedremo poi, il fallimento della sua strategia d’approccio alla squadra. 3) Vittima di una guerra intestina per la gestione di spogliatoio e di strategie di calciomercato, Lele Oriali, figura mitica dell’Inter anni ’80 e da qualche anno il trait-union tra la panchina e la dirigenza, viene licenziato, lasciando campo libero a Marco Branca, galvanizzato per qualche botta di… fortuna, riguardante l’acquisto di giocatori risultati fondamentali nella trionfante stagione appena conclusa, arrivati all’Inter con prezzi modici, rispetto alla richiesta originale di Mourinho. L’allenatore chiese il connazionale Deco dal Chelsea? Branca comprò con un blitz riuscitissimo Sneijder, espulso come corpo estraneo dal Real Madrid. Il portoghese chiese il connazionale Carvalho sempre dal Chelsea? Branca, con un costo da liquidazione, gli diede a disposizione Lucio, regista difensivo del Bayern e capitano della Nazionale carioca. A questi acquisti a sorpresa si aggiunsero Milito e Thiago Motta, paghi uno compri due, dal Genoa. Forte del successo di questi investimenti, Branca ottiene l’esclusiva delle prossime novità riguardanti il mercato acquisti – cessioni. 4) Arrivato con squilli di tromba, Benitez, nell’illusione di trovarsi in un ambiente galvanizzato dalle recenti vittorie e quindi pronto ad investire soldi e prestigio, propone subito a Moratti l’acquisto dal Liverpool del centrocampista argentino Mascherano, trave portante della nazionale sudamericana, e dell’ala olandese Kuyt. Per tutta risposta Moratti, improvvisamente terrorizzato di esondare dal fairplay finanziario, curiosa trovata del governo europeo del calcio targato Platini, fa orecchie da mercante e si fa in quattro per dare a disposizione del nuovo titolare della panchina nerazzurra quei “fenomeni” di Biabiany e Mariga, giovani giocatori provenienti dalle fila del Parma. Naturalmente accompagnati da un altro “colpo eccezionale” come il baby brasiliano Coutinho. Non contento, il patron Moratti avalla la cessione, per demeriti caratteriali e per mancanza di rispetto alla maglia, di Mario Balotelli, che raggiunge, così, attraverso l’attivismo del suo procuratore, il “simpatico” Mino Raiola, il suo mentore in casa interista, attualmente coach del Manchester City, Roberto Mancini. Inoltre vengono trattenuti, i mugugnanti Milito, Maicon e Sneijder, praticamente i protagonisti assoluti dell’epica stagione appena trascorsa. 5) E per finire, la ciliegina sulla torta, che vede l’Inter protagonista in maniera indiretta: dopo essere stato assicurato dal patron rossonero Berlusconi, che in nome del fairplay finanziario, il Milan non avrebbe fatto grossi investimenti su grandi nomi, Moratti e il popolo interista assistono ad un colpo mediatico e di sostanza impensabile fino a qualche settimana prima: il Barcellona cede, ad un prezzo misteriosamente irrisorio, Ibrahimovic alla compagine milanista, proprio nelle ultime ore del mercato. Il presidente dell’Inter non nasconde irritazione: non tanto per il personaggio che se ne era andato da Appiano Gentile, anche per il poco feeling prodotto con spogliatoio e tifosi, stanchi per i suoi mal di pancia (cessione che comunque era stata ben gestita: arrivarono nelle casse di via Durini una ingente quantità di milioni di euro, insieme al bomber Eto’o in rotta con la società blaugrana); il disappunto di Moratti parte dal fatto che non c’è più spazio per un acquisto da parte interista di uguale potenza mediatica. Ma ecco, dopo un precampionato molto ridotto a seguito degli impegni dei nazionali ai Mondiali di Sudafrica, la nuova Inter di Benitez, fa i conti con i risultati in campo. Si comincia con la vittoria sulla Roma, per l’ormai tradizionale duello della Supercoppa Italiana ma uno stop ferma gli uomini del triplete contro l’Atletico Madrid, qualche giorno dopo, nella finale di Supercoppa Europea. Primi mugugni: perdere contro una squadra non irresistibile non aiuta all’immagine del nuovo corso, ma è sempre calcio d’agosto e si spera che sia una contingenza dovuta a una preparazione affrettata. L’inizio del campionato ed alcuni risultati non esaltanti nel girone di Champions mettono a nudo le scelte incongruenti dell’era post Mourinho. Nell’ansia di farsi accettare dallo spogliatoio, Benitez, già molto adombrato per i mancati arrivi dei pupilli Mascherano e Kuyt, cerca di demolire il gioco della squadra, che aveva permesso di vincere tanto in Italia ed Europa (pretendendo dai giocatori difesa più alta e meno contropiede dopo fasi di gioco passive). Approccio, questo, che gli aliena lo spogliatoio plagiato da Mourinho. Arrivano le prime inaspettate sconfitte di una squadra che si vede anche costretta ad una preoccupante emergenza: l’infermeria segnala il tutto esaurito e giocatori nella precedente stagione decisivi e continui, sono spesso fermi ai box: Maicon, Milito, Sneijder, Motta; effettivamente il mister spagnolo non riesce mai a presentare un undici decente, data anche l’inconsistenza dei nuovi arrivi e anche per una buona dose di immagine personale sempre più delegittimata, viene messo in discussione dalla società già dai primi mesi. L’umoralità di Moratti, viene solo frenata, dalla partecipazione dell’Inter, a dicembre, del mini torneo con in palio la Coppa intercontinentale per club, che la squadra nerazzurra onora con la vittoria finale. Ma il destino di Benitez è segnato, lui lo sa e nella conferenza stampa pochi minuti dopo la vittoria mondiale, si sfoga e vuota il sacco, parlando al parterre dei giornalisti di come ad Appiano regni l’anarchia, che ormai questa squadra è da considerare bollita nei suoi giocatori fondamentali e che i sospirati rinforzi non sono arrivati per una strategia precisa della dirigenza. È la goccia che fa traboccare il vaso e dà legittimità al licenziamento che arriverà dopo qualche giorno: è superfluo affermare che l’analisi di Benitez, anche col senno di poi, aveva un fondo di verità, ma come abbiamo già stigmatizzato, criticare la gestione societaria, quando c’è di mezzo Moratti è considerato un grave atto di lesa maestà. E così, dopo pochi mesi dai trionfi nazionali e internazionali, l’Inter si trova, per l’ennesima volta nei sedici anni di gestione Moratti, a dover impegnarsi nella ricerca di un titolare della panchina e questa volta il presidente sfila un asso dalla manica, che lascerà l’ambiente calcistico italiano a bocca aperta: la scelta cade su Leonardo, allenatore del Milan nella stagione precedente, ma soprattutto da una vita protagonista in campo nella squadra rossonera degli anni ’90 e serio dirigente e capace osservatore di talenti proprio per la società di Berlusconi. Ma vi racconteremo nella prossima puntata come inciderà nel prosieguo della stagione la decisione di Moratti. ___ Benitez, Leonardo e Gasperini: ultimi tonfi della gestione Moratti Ultima puntata della Moratteide, epopea di un presidente che non capisce niente di calcio. La storia lascia il posto all'attualità e alla cronaca di CARLO CANDIANI (Tempi.it 13-12-2011) 23 dicembre 2010: un comunicato stampa sul sito ufficiale dell’Inter annuncia il divorzio tra la società e l’allenatore Rafael Benitez. Il sodalizio è durato sette mesi, un tempo ridicolo per una grande squadra: l'ennesimo gesto istintivo degno di un presidente di una squadra provinciale per Moratti, che non sorprende neanche più un tifoso interista attento alla storia della gestione morattiana. 24 dicembre 2010: sempre sul sito ufficiale dell’Inter, viene ufficializzato all’universo mondo che il nuovo allenatore nerazzurro sarà il brasiliano Leonardo. Sorpresa e sgomento! Sorpresa da parte dei media: Moratti decide di far allenare la squadra interista ad un uomo targato Milan, cioè ad un ex giocatore milanista, rimasto per anni nell’ambiente rossonero come osservatore, all’interno della struttura societaria (Kakà, Pato e Thiago Silva sono giocatori arrivati in Italia grazie a lui). Inoltre Leonardo, è stato nella stagione precedente allenatore della squadra della famiglia Berlusconi, ottenendo buoni risultati con un team in disarmo, raggiungendo il terzo posto in campionato, ma attirandosi le critiche del padrone di casa, tanto da prendere il cappello e andarsene, senza fare polemica, alla fine della stagione. Anche se ormai da mesi fuori dall’orbita Milan, la decisione di Moratti e la disponibilità finale di Leonardo, viene accolta da quegli “sportivoni” del Milan come un tradimento. Si potrebbe aprire una corposa parentesi per spiegare come mai ingaggiare Ibra sotto il naso dell’Inter è un legittimo atto di professionalità sportiva, mentre l'assunzione di un tuo ex allenatore è un'offesa ai propri colori. Ma andiamo avanti. Con Leonardo alla guida della squadra nerazzurra, Moratti vuole (o vorrebbe) aprirsi ad un nuovo stile di conduzione manageriale e la figura elegante del brasiliano ha tutti i crismi per poterla realizzare. Già profondo conoscitore dei meccanismi del campionato italiano, Leonardo dà una sferzata di autostima alla squadra. Il presidente fa la sua parte, comprando sul mercato di gennaio quei rinforzi tanto desiderati da Benitez e mai accordati all’allenatore stesso. Arrivano il giovane, ma già in nazionale, Ranocchia, difensore centrale dal Genoa, il difensore d’ala giapponese Nagatomo, il centrocampista marocchino Kharja ma soprattutto il centravanti della Sampdoria, Pazzini. L’innesto di questi giocatori dà nuova linfa al gioco interista che partendo dall’iniziale vittoria sul Napoli, dopo la pausa natalizia, recupera punti su punti alla capolista, il Milan, fino ad arrivare ad appena due lunghezze dai cugini proprio alla vigilia del derby di ritorno. L’ambiente interista è esaltato dal nuovo protagonismo della squadra, che si trova in corsa ancora in tutti e tre gli obiettivi di stagione: campionato, Champions, coppa Italia e già prefigura nuovo orizzonti di vittorie. Ma un destino crudele si abbatte sui sogni di gloria interisti. Il derby, che sarà decisivo per la vetta della classifica, parte con brutti segnali che arrivano dalla tifoseria rossonera, che tira di nuovo fuori il presunto tradimento di Leonardo, che verrà accolto dall’inizio di partita con bordate di fischi e striscioni ingiuriosi. Davanti a tanta arroganza e mancanza di etica sportiva, sentimenti dei quali i milanisti, mentendo, pensano di disporre in abbondanza, la risposta dell’allenatore brasiliano è così pacata, che anche i suoi allenati scendono in campo senza grinta e lasciano sul prato i sogni di poter ritornare a condurre il campionato: infatti in una partita senza storia, il Milan ricaccia i nerazzurri a -5, vincendo agevolmente 3-0. Brutti nuvoloni si addensano sulla testa di Leonardo: da una parte lo scherno perfido dei milanisti, dall’altra la delusione dei tifosi nerazzurri. È un dato di fatto che per tre volte consecutive (due sulla panchina rossonera e una su quella interista), viene sconfitto in un derby. Per l’Inter è un ritorno alla cruda realtà: la partenza problematica con Benitez, gli infortuni, le tossine accumulate dalla stagione precedente, la mancata vacanza per i nazionali al ritorno dal Sudafrica, la rincorsa a perdifiato sul Milan, sostenuta più dai nervi che da un gioco ritrovato, si infrange definitivamente qualche giorno dopo nella partita di andata dei quarti di Champions contro lo Schalke 04, una modesta squadra tedesca salutata come avversaria assolutamente comoda per poter proseguire il cammino internazionale. Oltretutto, dopo avere superato nel turno precedente lo scoglio Bayern Monaco, una sorta di revival della finale di Madrid, con un ritorno in terra tedesca esaltante per i nerzzurri, che eliminano i tedeschi con un tiro fulminante all’88’ di un giocatore interista fino ad allora “non pervenuto”: Goran Pandev. Una classica impresa “stile Inter”, che risulterà ingannevole sulle reali condizioni psico-fisiche della squadra: relegato il derby come una serata storta e nulla più, l’Inter scende in campo, forse con un po’ di sufficienza. Atteggiamento che sembra giustificato da un inizio folgorante: Stankovic trova il gol dopo appena un minuto dal fischio d’inizio e la squadra pregusta già le semifinali. Ma i conti sono sbagliati: dopo aver pareggiato al 17’, lo Schalke dilaga e alla fine davanti agli sguardi attoniti e increduli di giocatori, allenatore, presidente, dirigenti e tifosi (allo stadio e a casa), il risultato è inequivocabile: Inter - Schalke 2-5. La batosta è impressionante: c’è chi ricorda che fu proprio lo Schalke a togliere all’Inter, durante la gestione Hodgson, il gusto della vittoria in casa, in una finale di Coppa Uefa. Un particolare statistico che non consola: malgrado tanti proclami di una improbabile impresa, l’Inter sbaglia anche al ritorno, perde 2-1 e abbandona la Champions a testa bassa. È ufficiale: l’Inter di Mourinho non esiste più! A nulla serve il contentino della vittoria nella finale di Coppa Italia contro il Palermo, sconfitto da due gol del bomber che da solo ha tenuto in piedi la baracca interista: Samuel Eto’o, un grande di livello mondiale. Il secondo posto in campionato e quindi l’automatico accesso alla Champions League, però, non riescono a far dimenticare i dieci giorni terribili tra derby e Schalke e quest’ombra graverà sulle decisioni di Moratti, che non vuole rinnovare la fiducia a Leonardo, che improvvisamente all’inizio del rompete le righe vacanziero, quando si decidono le strategie del calcio mercato, dichiara finita la sua avventura all’Inter, dopo una serie di conferme e smentite piuttosto stucchevoli, per diventare Direttore sportivo del Paris St.Germain, società da poco rilevata da una cordata di sceicchi arabi. Una vicenda, ancora avvolta nel mistero, squarciato solo da una conferenza stampa dello stesso Leonardo, qualche settimana dopo. Intanto, l’Inter gestione Moratti ripiomba nella naturale condizione di confusione dirigenziale, che ha abituato i tifosi, ormai da 17 anni, cioè da quando il petroliere si è insediato nell’ufficio di via Durini. È appunto nella nebbia totale che la società, dopo aver scandagliato la disponibilità di una schiera lunghissima di allenatori, più o meno liberi, ricevendo sdegnati dinieghi, ripiega su tal Gasperini, ex allenatore delle giovanili juventine e ultimamente cacciato dal Genoa. Tutti sanno come è andata a finire, dopo non più di un mese dalla partenza della stagione. Si conclude qui, per ora, questa “Moratteide”. Naturalmente, continueremo a monitorare l’avventura morattiana in casa Inter, ora che la storia cederà il passo all’attualità della cronaca. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
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Moratteide: la tragicomica epopea di una grande squadra di calcio La stucchevole vicenda di calciomercato che vede sugli scudi (l'ex) attaccante dell'Inter Samuel Eto'o, riporta sotto i riflettori del calcio nazionale la gestione societaria e tecnica della squadra milanese sotto la presidenza di Massimo Moratti. Quasi 17 anni di decisioni e improvvisazioni, che Tempi. it, da oggi, vi racconta. Puntata per puntata di CARLO CANDIANI (Tempi.it 23-08-2011) Da giorni, sui giornali e in tivù, appare un Samuel Eto'o in tunica nerazzurra (complimenti a Sky per il tempismo!) che fa gridare al miracolo mentre levita nell'aria durante un'acrobatica rovesciata. Il vero miracolo in casa Inter, però, sarebbe un presidente che finalmente dimostri di essere adeguato per condurre la realtà societaria di una grande squadra di calcio. Cosa che negli ultimi 16 anni è accaduto molto raramente. Nonostante, Massimo Moratti, l'attuale patron dell'Inter goda di una speciale immunità da critiche da parte dei commentatori sportivi, non solo di parte interista, con la scusa di avere speso, negli anni palate di soldi per arrivare ai trionfi tanto agognati (vi racconteremo poi in che modo), è giunta l'ora, dopo l'ennesima estate, dove, in casa interista, chi ci capisce qualcosa è bravo, di raccontare con rispetto, ma senza falsi pudori e con un tocco di ironia (autoironia), la storia di questi anni morattiani, giusto per dare un senso alla desolazione (anche durante i periodi vittoriosi) che attanaglia i tifosi interisti. Massimo Moratti rileva l'Inter Football Club il 25 Febbraio 1995; vuole ripercorrere i fasti della presidenza di suo padre Angelo, quelli di Helenio Herrera in panchina e di "SartiBurgnichFacchettiBedinGuarneriPicchiDomenghiniBicicliMazzolaSuarezCorso" in campo. Scudetti e Coppe dei Campioni, ma anche una fine repentina: nel 1967, in pochi giorni la squadra perse l'ennesima finale europea contro il Celtic e uno scudetto già vinto (papera di Sarti contro il Mantova e sorpasso della solita Juve). Chi scrive, undicenne all'epoca, ne fu sgomento testimone. Poi vennero le presidenze Fraizzoli e Pellegrini. Poche furono le soddisfazioni: 1971, un campionato vinto sotto la stella Boninsegna, una rimonta di 9 punti sul Milan (con i 2 punti in palio era ben più difficile ribaltare gli ordini di arrivo), un Herrera (Heriberto) licenziato dai "senatori" e autogestione "coperta" da tal Invernizzi in panca. 1980, un anonimo titolo tricolore con il trainer Bersellini e uno dei record (1989), con il Trap in panca, strappato all'odiata Juve, mentre il Milan vinceva Champions a ritmo seriale sotto la guida di Sacchi. Tra uno scudetto e l'altro, e non per modo di dire, qualche Coppa Uefa ('91 e '94) , il mancato arrivo per ragioni diverse di un paio di fuoriclasse (Platini e Falcao), gestioni presidenziali, certo problematiche, ma condotte con stile, (anche se la deriva conclusiva della gestione Pellegrini, Orrico "docet", fu difficile da digerire), impegnate a tenere alto il blasone dei "bauscia" interisti contro le rivali di sempre Milan e Juve, che pure loro affrontavano problemi non da poco. Un esempio? Il mancato ingaggio da parte dell'Avvocato Agnelli del giovane ma già acclamato Maradona, per non offendere gli operai della Fiat in cassa integrazione e l'onta della "B" (due volte) che il Milan subì, per colpa di alcuni suoi giocatori, scommettitori illegali. Insomma per il tifoso interista gli anni '70, '80 e metà dei '90, poche gioie e diverse delusioni. E' in questo scenario, di un calcio che tra l'altro si sta velocemente trasformando e che è succube dell'invadenza sempre più esplicita degli sponsor e dall'avvento delle tivù locali con il loro monitoraggio quotidiano degli spogliatoi e delle voci di mercato e delle satellitari con le loro promesse di incassi televisivi sempre più appetitosi ma con l'obbligo di regole "mediatiche"via via più assurde, che il giovane Moratti decide perentoriamente di giocarsi immagine e "budget" di famiglia nell'avventura calcistica. ___ Anno 1995: comincia la gestione di Paperon Moratti Seconda puntata della tragicomica epopea dell'Inter sotto la gestione di Massimo Moratti. L'uomo capace di spendere 800 milioni di euro per cento giocatori, tra fondi di magazzino, bluff e (poche) stelle Continua la nostra storia semiseria sugli anni di presidenza di un giovane petroliere prestato al mondo del calcio italiano e stritolato dal medesimo: tutto per adempiere a una missione, tornare a far vincere l'Inter e riportarla ai fasti europei, tanto cari alla nostalgica bacheca di famiglia. di CARLO CANDIANI (Tempi.it 25-08-2011) Anno 1995: giovane per entusiasmo e intraprendente da subito, Massimo Moratti, entra immediatamente nel cuore dei tifosi. Anche se le perplessità per una futura gestione adeguata alle responsabilità dirigenziali di un grande club, avanzano molto presto: nei primi sette anni, da qui al fatidico 2002 (di cui si scriverà abbondantemente nelle prossime puntate), Moratti acquista ben 88 giocatori, scialando dalla cassa di famiglia ben 1. 000 (mille) miliardi di lire (500 milioni di euro!), proseguendo fino al 2007 i milioni di euro diventano 800 (ottocento!) e i giocatori acquistati superano il centinaio; tutto questo bendiddio per un pugno di fuoriclasse, qualche ottimo giocatore, una schiera di buoni pedatori e un battaglione di bluff da incubi notturni. Qualche nome? Eccoli e mettetevi comodi: PORTIERI: Ballotta, Bindi, Carini, Cordaz, Ferron, Fontana, Frey, Frezzolini, Julio Cesar, Mazzantini, Nuzzo, Orlandoni, Pagliuca, Peruzzi, Toldo DIFENSORI: Adani, Andreoli, Anglomà, Barollo, Bia, Blanc, Bonucci, Brechet, Burdisso, Camara, Cannavaro, Centofanti, Carlos, Coco, Cirillo, Colonnese, Conte, Cordoba, Dellafiore, Domoraud, Favalli, Ferrari, Festa, Franchini, Fresi, Galante, Gamarra, Georgatos, Gilberto, Gresko, Grosso, Helveg, Macellari, Maicon, Materazzi, Maxwell, Mezzano, Mihajlovich, Milanese, Padalino, A.Paganin, M.Paganin, Panucci, Pasquale, Pedroni, Pistone, Potenza, Rivas, Samuel, Sartor, M. Serena, Silvestre, Simic, Sorondo, Tarantino, Tramezzani, Vivas, West, Wome, J.Zanetti, Ze Maria CENTROCAMPISTI: Almeyda, Aloe, Beati, Belaid, Biava, Binotto, Brocchi, Cambiasso, Carbone, Cauet, Cinetti, dabo, Dacourt, Dalmat, D'Autilia, Davids, Dell'Anno, Di Biagio, Djorkaeff, Emre, Fadiga, Farinos, Figo, Gonzales, Guglielminpietro, Ince, Jugovich, Karagounis, Kily Gonzales, Lamouchi, Luciano, Boumsong, Mancini, Manicone, Maniche, Marino, Morfeo, Moriero, Nichetti, Okan, Orlandini, Orlando, Paulo Sousa, Pelè, Peralta, Pinto Fraga, Pirlo, Pizarro, Quaresma, Rebecchi, Seedorf, Sergio, Conceiçao, Sforza, Shalimov, Simeone, Solari, Stankovic, Trezzi, Vampeta, Van der Meyde, Veron, Vieira, Winter, Zanchetta, C.Zanetti, Ze Elias ATTACCANTI: Adriano, Baggio, Batistuta, Branca, Caio, Choutos, Colombo, Corradi, Crespo, Cruz, Delvecchio, Di Napoli, Ferrante, Ganz, Germinale, Ibrahimovic, Kallon, R.Keane, Kanu, Martins, Meggiorini, Momentè, Mutu, Obinna, Pacheco, Pancev, Rambert, Recoba, Robbiati, Ronaldo, Russo, Sinigaglia, Slavovsky, Suazo, Hakan Sukur, Ventola, Veronese, Vieri, Zamorano E poi quelli attualmente in rosa e quelli che hanno già salutato o stanno per farlo: Muntari, Santon, Balotelli, Eto'o, Sneijder, Chivu, Arnautovic, Thiago Motta, Milito, Biabiany, Lucio, Samuel, Nagatomo, Pazzini, Coutinho, Jimenez, Pandev, Mariga, Obi, Karjia, Ranocchia, Jonathan, Alvarez e sicuramente dimentichiamo qualcuno… Se avete avuto il tempo e la pazienza di leggere questa fila interminabile di nomi, avrete notato come dall'Inter in questi ultimi sedici anni è passato il mondo calcistico e avrete anche notato della capacità della presidenza morattiana e della dirigenza tecnica di coltivare pseudo giocatori che dopo qualche mese si sono accorti che forse il calciatore non era il loro mestiere, e nello stesso tempo, mandando segnali di grande competenza, sbolognare come fondi di magazzino veri e propri campioni che hanno fatto la fortuna di dirette avversarie, ricevendo in cambio, quelli si, veri e propri flop! Qualche lettore avrà già individuato di chi stiamo parlando, per gli altri scopriremo l'arcano strada facendo, nelle prossime puntate. Se non siete ancora esausti della lettura, siccome non vogliamo passare per cinici e preconcettualmente avversi alla presidenza Moratti, ammettiamo che alcuni giocatori sono stati dei casi umani all'insaputa anche dalla cosidetta "stampa specializzata" e qualche nome importante, trovatosi in gravi situazioni fisiche, dopo essere stati curati e coccolati a spese della società, cioè da Moratti, sono stati dei perfetti ingrati. Fischiano le orecchie a Kanu e Ronaldo? E ad Adriano e Balotelli? ___ Provaci ancora Massimo! Terza puntata per Moratteide, la storia della tragicomica epopea dell'Inter sotto la gestione di Massimo Moratti. Doveva essere il Presidente della nuova Inter, la squadra carica di successi, ma i suoi primi anni da dirigente iniziano all'insegna della confusione strategica. Peccati dovuti all'inesperienza o inclinazione congenita al motto "indecisi a tutto"? di CARLO CANDIANI (Tempi.it 31-08-2011) Siamo giunti al 1995: povero Massimo, bisogna capirlo, ha deciso di iniziare l'avventura della presidenza dell'Inter da pochi mesi, è generoso ma inesperto. E i guai dell'inesperienza vengono subito a galla. Nell'estate del '95, primo calciomercato dell'era morattiana, si parte subito con i fuochi d'artificio: arrivano due giovanissimi che fanno ben sperare: il terzino "d'attacco" Roberto Carlos, brasiliano, e "l'Avioncito" argentino Sebastian Rambert, attaccante; dall'Inghilterra viene acquistato un centrocampista di quelli tosti Paul Ince. Arriva anche qualche nome interessante italiano Maurizio Ganz e "il nuovo Scirea" Salvatore Fresi. Ah, dimenticavo, la società nell'operazione Rambert deve accollarsi anche l'acquisto di un giovanissimo terzino tuttofare, un certo Javier Zanetti (per la cronaca, Rambert venne poi scaricato nel mercato di gennaio della stessa stagione). L'allenatore, ereditato dalla precedente presidenza è Ottavio Bianchi, mister di una certa esperienza, che parte subito male, vedendo la squadra uscire al primo turno di Coppa Uefa, battuta dal… Lugano. Sconfitta che in qualche maniera gli costa il posto: siamo appena alla fine di settembre e già la panchina dell'Inter cambia titolare; vi si siede Roy Hodgson, raffinato trainer inglese, con esperienze in squadre europee di media classifica ma, soprattutto, alla conduzione di una nazionale sempre ai vertici del calcio mondiale: la Svizzera. Qui si potrebbe aprire il tormentato "capitolo allenatori", la girandola dei quali, nell'era morattiana è stata argomento di barzellette in ambiti di Bar Sport, ma ve ne daremo conto mano a mano che si dipanerà la storia. La "Beneamata", comunque, concluderà il campionato in settima posizione a 19 punti dal Milan, campione d'Italia e si assicura, per il rotto della cuffia, una partecipazione in Europa per la stagione seguente. Risultato non esaltante, ma come in tutti i nuovi progetti la pazienza è d'obbligo. Se, però, il progetto avesse un capo e una coda, cosa di cui qualcuno comincia a dubitare. Esempio lampante: Roberto Carlos. Acquistato giovanissimo, ma già nazionale, il brasiliano è indubbiamente un fuoriclasse nel suo ruolo di terzino sinistro: grande corsa, esplosività nel tiro a rete, unico nel battere punizioni; deve però fare i conti con la fase difensiva, dove è un po' carente. Ma è giovane e con ampi margini di miglioramento, non avendo il carattere "farfallone" tipico della filosofia brasiliana già durante la stagione dà segnali di applicazione e alla fine risulta tra i più positivi, una sicurezza per il futuro. Morale: viene venduto al Real Madrid! E' superfluo raccontare la sorpresa dei tifosi davanti a questo "harakiri" tecnico : Moratti (o chi per esso) riesce a distruggere in pochi mesi una coppia di terzini che avrebbe potuto entrare nella leggenda del calcio mondiale (Zanetti – Carlos) e contemporaneamente rinforza i "blancos" di Madrid che con il terzino brasiliano vinceranno Liga e Champions. Naturalmente Moratti in questa operazione scellerata non ci mette la faccia e lascia che per anni su questa cessione si rimpallino responsabilità Hodgson e Sandro Mazzola (in quel momento direttore tecnico dell'Inter): la verità non si saprà mai. Tra l'altro, con la partenza di Carlos, la fascia sinistra difensiva interista risulterà "stregata", come se gli dei del pallone avessero inteso come sacrilega tale decisione. Sono circa una trentina fino a oggi i difensori sinistri che hanno tentato di porvi rimedio, senza apprezzabili risultati, anzi con vere e proprie debacle (i nomi li trovate nella lista della scorsa puntata). Solo Javier Zanetti è stato più forte dell'incantesimo malefico, ma essendo parente di Superman lo fermerebbe solo la Kriptonite. Quasi senza accorgersi il mister inglese, diventato nel frattempo macchietta comica in "Mai dire goal", ospite di Aldo, Giovanni e Giacomo (reti Mediaset), continua a sedersi sulla panca nerazzurra e assiste alla campagna acquisti per la stagione '96 – '97: nome importante per la storia dell'Inter morattiana, il genietto francese Youri Djorkaeff, il generoso ma con il piede un po' "a banana" Ivan Zamorano, il giovanissimo fromboliere nigeriano Nwankwo Kanu, che dopo poche apparizioni in precampionato viene stoppato dai medici per una grave malformazione cardiaca; sarà operato, atteso con impazienza ma deluderà sia in campo che per una certa ingratitudine verso la società che praticamente gli aveva salvato la vita, chiedendo a più riprese e in maniera poco ortodossa di essere ceduto. I tifosi, comunque, non lo rimpiangeranno mai. Oggetto di una fulminante battuta nel primo film di Aldo, Giovanni e Giacomo, fortemente voluto da Roy Hodgson, arriva anche lo svizzero Ciriaco Sforza. I "pallini" dei mister, spesso, sono dei flop, specie nell'Inter (Scifo – Trapattoni, Quaresma - Mourinho, i più eclatanti) il nazionale svizzero conferma la tendenza: la sua presenza in campo sarà spesso impalpabile. Il tecnico inglese pagherà anche per questa scelta, arrivando terzo in campionato a 6 punti dalla Juve, ma l'episodio che decide la sua cacciata dalla panchina (ma farà di nuovo capolino, qualche anno dopo) è la sconfitta nella doppia finale di Uefa dove perde ai rigori, davanti al pubblico di San Siro, venendo quasi alle mani con il mite Zanetti, contro lo Shalke 04 (corsi e ricorsi storici). Ma Moratti, non si rassegna a questi primi risultati negativi della sua gestione e ha in serbo per la stagione '97 – '98, un colpo veramente grosso, anzi, immenso, che sicuramente cambierà le sorti di una squadra alla ricerca di una precisa identità. Ma di questo parleremo nella prossima puntata. ___ E alla fine arrivò Ronaldo Il primo anno di presidenza Moratti comincia a far intravedere ai tifosi ciò che dovranno sopportare nel futuro della squadra: scudetti d'estate e rifondazioni caotiche anno dopo anno. Ma il 1997 è l'anno del sogno Ronaldo di CARLO CANDIANI (Tempi.it 02-09-2011) Mentre mister Hodgson fa le valigie, arriva direttamente dal Napoli il nuovo allenatore: Gigi Simoni. Radici emiliane, uomo pratico, non più giovanissimo, grande stile e capacità di rapporto con i giocatori da vecchio saggio; non un genio di tattica, capace però di costruire formazioni quadrate e solide. Ma la notizia bomba dell'estate interista è l'acquisto più eclatante, dopo quello di Maradona, da parte di una squadra di calcio italiana. Dal Barcellona Moratti, alla modica cifra di 51 miliardi di lire, ingaggia nientepopodimenochè Ronaldo e i tifosi accolgono con entusiasmo "Il Fenomeno" brasiliano, assaporando già le vittorie che attendono la squadra avendo tra le proprie fila colui che viene ritenuto, a ragione, il più forte attaccante del mondo. Attorno al bomber Moratti, assolda un gruppo di tenaci centrocampisti: l'argentino Simeone, il francese Cauet e l'infaticabile Moriero, arrivato dal Milan attraverso complicati giri. In più ci sono un paio di difensori e un giovanissimo fantasista uruguagio, tal Recoba, detto "Il Chino", che nel tempo diventerà croce e delizia (molto più croce, per la verità) dell'Inter targata Moratti. Ma la non chiarezza con la quale il Presidente opera sul mercato crea un piccolo caso: Maurizio Ganz, "el segna semper lù" viene venduto inaspettatamente al Milan nel mercato di riparazione invernale e diventa subito protagonista nel derby di Coppa Italia, estromettendo dal torneo, praticamente da solo, la sua ex squadra. Una piccola ombra che non riesce a oscurare il cammino della Beneamata trascinata da Ronaldo, sia in Campionato che in Coppa Uefa. La vera tempesta che si abbatterà sul cammino tricolore ha i colori bianconeri degli juventini. Dopo aver condotto in testa buona parte del torneo, i nerazzurri, a quattro giornate dalla fine, devono rincorrere la Juve, e proprio ora c'è in programma la sfida diretta di ritorno: Juve punti 66, Inter 65. La partita di Torino non finirà nel migliore dei modi per la squadra milanese: la Juve è in vantaggio con Del Piero quando avviene il patatrac, qualcosa che incrinerà per sempre la storia della concorrenza tra le due grandi compagini e tra i dirigenti delle due società. Quel pomeriggio attecchirà il seme di Calciopoli che germoglierà ben otto anni dopo. All'Inter, in svantaggio, viene negato un clamoroso rigore, per un atterramento di Ronaldo, in piena area juventina da parte del centrale difensivo Mark Juliano. Ma non finisce qui: mentre avvengono le rituali proteste della squadra danneggiata (brutta abitudine, specialmente della cultura calcistica italiana) gli juventini ricevono un rigore a favore, che comunque lo stesso Del Piero si fa parare. Ma ormai in campo regna l'anarchia e la confusione più totale: Gigi Simoni, abitualmente compassato e ligio alle regole, aggredisce verbalmente l'arbitro e entra in campo con palla in movimento al grido di "Vergognatevi!" e si fa espellere. E anche Ronaldo si abbandonerà a dichiarazioni di fuoco davanti ai microfoni di "90° Minuto", che saranno oggetto di provvedimenti disciplinari da parte del giudice sportivo. Ma lo "tsunami" di polemiche non si concluderà in campo. La stampa e le tv nazionali, nelle ore seguenti, saranno palcoscenici mediatici e luoghi di scontri accesi tra le fazioni avversarie e inizieranno a rovistare negli episodi poco chiari nella carriera del direttore tecnico della Juve, Luciano Moggi: cominciano a nascere i primi sospetti sulla correttezza dei suoi rapporti con la classe arbitrale al fine di ricevere favori sul campo. Queste sono le premesse di quello che poi scoppierà nell'estate del 2006, che intanto porteranno all'intensificarsi dell'insistita e ingiustificata deriva vittimista del Presidente Moratti, sempre più convinto che i mancati successi del suo team dipendano da una sorta di complotto anti-Inter e non invece il naturale risultato di strategie isteriche e pressappochiste. Comunque la stagione interista finisce in gloria con la conquista della Coppa Uefa nello stadio "Parco dei Principi" di Parigi contro la Lazio, in una partita convincente e spettacolare. Il risultato finale recita 3 a 0 per i nerazzurri, con due flash "d'autore": un gol (uno dei pochi, in tanti anni di carriera) di Javier Zanetti, una "minella" dal limite dell'area avversaria sotto l'incrocio dei pali, ma soprattutto una magica serie di finte di Ronaldo che fa sedere Marchegiani, il portiere laziale e insacca. Ma nonostante questo limpido successo, non si acquietano le voci di un cambio sulla panchina occupata da Simoni: Tronchetti Provera, guida operativa del Gruppo Pirelli, sponsor dell'Inter e azionista del Consiglio di Amministrazione della stessa, spinge per il suo esonero (voci di corridoio parlano di contatti con Zaccheroni, allenatore emergente della rivelazione Udinese). Insieme a lui, spinge al cambio la solita stampa specializzata che accusa Simoni di proporre un gioco monotono, anzi, un non-gioco (palla lunga a Ronaldo e poi ci pensa lui). Ma la limpida vittoria in Coppa fa tentennare Moratti sul da farsi, rompe le uova nel paniere ai "ribaltonisti" del povero Gigi e nell'impasse si inserisce il Milan che soffia ai nerazzurri Zaccheroni. Evidentemente, una sensata gestione tecnica, non avrebbe dovuto neanche porsi il problema della sostituzione di un allenatore che al suo primo anno in società aveva raggiunto già buoni risultati, avendo anche rispetto e collaborazione dai suoi giocatori, ma forse un suo deficit "mediatico" da uomo di sport "all'antica" e magari qualche parolina di perplessità sussurrata a orecchie interessate da Ronaldo, mettono l'uomo di Crevalcore in precario equilibrio nelle considerazioni presidenziali. Si continua con Simoni dunque, che nell'estate 1998 vede arrivare come giocatori per la prossima stagione: il "Divin Codino" Roberto Baggio, antico pallino morattiano, due giovanissimi, Ventola, centravanti del Bari, e un giovanissimo centrocampista del Brescia, Andrea Pirlo, assieme a un paio d'altri gregari, Cristiano Zanetti e Dabo, e un giovane terzino sinistro francese Silvestre, che venduto a fine stagione diventa protagonista in Premier League nelle fila del Manchester United per un bel po' di anni. Malgrado le solite incongruenze e sviste tecniche un'altra campagna acquisti lussureggiante, giusta per una squadra che ha tra le sue fila il più grande attaccante del mondo. Ma è proprio nell'estate 1998, quella dei mondiali in Francia, che Ronaldo affronta nel suo Brasile una serie di misteriosi infortuni che finiscono per condizionare gravemente la sua resa in campo. Ma di questo parleremo nella prossima puntata. ___ La scelta di Massimo: via il miglior allenatore della stagione Nell'estate del 1998, anno dei Mondiali in Francia, Ronaldo accusa misteriosi problemi di salute. Il Fenomeno ha bisogno di operarsi al ginocchio e la ripresa si annuncia lenta, i tifosi interisti dovranno aspettare ancora un po' prima di vedere il brasiliano in campo assieme a Roberto Baggio. Alla guida della squadra c'è ancora Simoni, ma non per molto. . . di CARLO CANDIANI (Tempi.it 06-09-2011) Estate 1998: i tifosi interisti lo avevano salutato augurandogli "buon viaggio" verso il ritiro del Brasile e un "in bocca al lupo" per l'avventura mondiale in terra francese. Mai avrebbero immaginato di soffrire e di preoccuparsi per le sue sempre più precarie condizioni fisiche. Mano a mano che il torneo si sviluppava, Ronaldo appare sempre più stanco e oggetto di voci incontrollate su fantomatici infortuni. Si parla di cure intensive dopo un pestone ricevuto da Davids nella gara contro l'Olanda: un tallone fuori uso, curato con misteriose cure per non perdere l'appuntamento per la finale contro i padroni di casa. Finale nella quale Ronnie non scende in campo, anche se annunciato come titolare. A ridosso del pre-partita circolano voci di una crisi nervosa durante la notte, addirittura c'è chi ipotizza l'insorgenza di una forma di epilessia dovuta a un'allergia ai farmaci antidolorifici con i quali il fuoriclasse è stato imbottito per combattere i traumi muscolari. Il Brasile perde contro la Francia di Zidane & co. ed è impressionante la scena, qualche giorno dopo, di Ronaldo che scende a fatica la scaletta dell'aereo che riporta sul suolo patrio la squadra carioca. Ma cosa è successo a Ronnie? Che cosa gli hanno fatto? Un mese di riposo non basta al brasiliano per recuperare quella che ai più attenti risulta una tendinopatia rotulea risolvibile con una operazione chirurgica. La società però nicchia. L'attesa di vedere "il Fenomeno" duettare insieme a Roberto Baggio in un reparto d'attacco che si annuncia tra i più forti al mondo è snervante, la stagione parte un po' in sordina anche perché il fantasista italiano non è in perfette condizioni. Il peso di sopperire alle defaillance dei campioni è tutto sulle spalle dei giovanissimi Pirlo e Ventola che, nonostante la fiducia riposta in loro dal tecnico Simoni, non può essere sopportato a lungo. A proposito di Pirlo, cari milanisti, simpaticamente cialtroni, vi ricordate le risate che scoppiavano sonore quando il mister interista paragonava Pirlo a Rivera? L'inizio titubante dell'armata nerazzurra (non poteva essere diversamente mancando due pedine così importanti) è un invito a nozze per i detrattori di Simoni ai quali il Presidente, naturalmente, si accoda. Non basta dimostrare che la squadra sa reagire alla sorte avversa giocando, per esempio, un'epica partita in Champions League contro il Real Madrid a San Siro (si era capitati nel girone dei vincitori dell'edizione precedente nel torneo, che presentava per la prima volta l'attuale formula), dove raccogliendo le ultime risorse fisiche a disposizione Ronaldo nel primo tempo e Baggio entrato a partita iniziata, autore poi della doppietta decisiva, sbaragliano i blancos e si mantengono in corsa. Ma non basta. E' una sera di fine novembre: Simoni, raggiunto il luogo dove verrà premiato quale miglior allenatore della stagione precedente, risponde a una telefonata e dall'altro capo del telefono sente la voce di Moratti che gli comunica, con "dispiacere" l'esonero immediato. Anche se la musichetta del luna park non si sente, è confermato che all'Inter è ripartita "la giostra degli allenatori": la panchina ora appartiene a Mircea Lucescu, rumeno che aveva già un passato di allenatore in Italia dal 1990 al 1997, ben impressionando alla guida del Brescia, dove rimase per 5 anni. Non avendo la bacchetta magica anche Lucescu si trova davanti agli stessi problemi di Simoni: Ronaldo viene finalmente operato, dopo un lungo periodo di riabilitazione, ritornerà in campo, dosando le presenze, aspettando tempi migliori. Lucescu fa appena in tempo a raggiungere i quarti di finale in Champions, perdere contro il Manchester United (che vincerà il torneo) che Moratti aziona ancora una volta la leva della "giostra" lo defenestra e al suo posto arriva Castellini, soluzione provvisoria "casalinga": è il 21 Marzo 1999. Dopo poco più di un mese Moratti si domanda: "Ma perché continuare con Castellini? Quasi, quasi richiamo Hodgson". E infatti, ecco rimaterializzarsi l'inglese ad Appiano Gentile (per la gioia di Zanetti). Risultato: ottavo posto in campionato e manco la possibilità di una coppettina europea nella prossima stagione. Non rivedremo mai più Roy all'Inter. Lo scontento dei tifosi nel frattempo monta, tanto da far minacciare le dimissioni a Moratti, offeso dalle contestazioni, dimissioni che verranno subito ritirate. La misura non è colma, gli interisti sono destinati ancora a soffrire altrimenti, che gusto c'è? Ma c'è un ennesimo colpo di scena, un altro asso nella manica che il presidente presenta ai tifosi: ed è sicuro, la storia dell'Inter cambierà. Arriva Marcello Lippi! ___ 1999: Marcello Lippi è il nuovo allenatore dell'Inter Dopo cinque anni Moratti ha già cambiato altrettanti allenatori. Nell'estate 1999 l'inarrestabile Massimo pesca il nome da applauso: Marcello Lippi, il tecnico che ha vinto tutto, o quasi, con la Juventus. Basterà all'Inter per tornare a vincere? di CARLO CANDIANI (Tempi.it 08-09-2011) Estate 1999: nel tentativo di ripercorrere la stessa strada della presidenza Pellegrini, quando "il ristoratore" strappò alla Juve dopo tanti anni di successi bianconeri mister Trapattoni, Massimo Moratti chiede e ottiene il "si" all'avventura interista, dall'allenatore vincente dell'avversario più odiato: Marcello Lippi. "Allenator giovane" arriva all'Inter forte di un palmares indiscutibile di vittorie in cinque anni alla Juve: 3 scudetti, una Coppa Italia, 2 Supercoppe Italiane, una Supercoppa Europea, una Coppa Intercontinentale, una finale di Coppa Uefa persa contro il Parma, 3 finali di Coppa Campioni (2 perse, una vinta). Fischia! E'proprio l'allenatore giusto per una squadra così affamata di vittorie come l'Inter. D'altra parte il viareggino è ben contento di approdare all'Inter: vuole dimostrare che i suoi successi alla Juve sono in gran parte merito suo e non del trio Moggi-Giraudo-Bettega. Infatti, arriva ad Appiano Gentile con pretese di "General Manager" all'inglese, che in italiano significa "faccio tutto io". Moratti è perplesso e, cinque minuti dopo averlo ingaggiato, comincia già a storcere il naso: forse gli accordi non erano questi, pazienza… Marcello non demorde e da riconosciuto "esternatore" su argomenti religiosi, nella sana tradizione toscana, appena entrato negli spogliatoi chiede la testa del cattolico Bergomi, monumento interista e del calcio nazionale (4 edizioni mondiali giocati, più di 80 presenze in Nazionale). In quel momento il capitano indiscusso della squadra stava vivendo, a 34 anni, una seconda giovinezza, dopo essersi riciclato da terzino fluidificante a classico libero d'area e in attesa del rinnovo di contratto. Un fulmine a ciel sereno, non però per chi scrive Moratteide, che aveva confidando in tempi non sospetti a parenti e amici che il primo provvedimento di Lippi sarebbe stato proprio questo. In modo un po' pusillanime la Società (Moratti) accoglie la richiesta del nuovo tecnico. Che non si ferma qui: chiede e ottiene anche l'allontanamento di Simeone, ricordando antiche polemiche tra il giocatore e il precedente tecnico della Juve, cioè lui stesso. Vengono ceduti anche Taribo West, Winter, Dabo, Paulo Sousa, Kanu, Djorkeff, Ze Elias, Silvestre, e vengono arruolati Michele Serena, un giovane centrale difensivo colombiano Ivan Cordoba, il serbo Jugovic (già alla Juve con Lippi, però abbondantemente spremuto), il portiere Peruzzi al posto di Pagliuca, il centrale Laurent Blanc (34 anni, al posto di Bergomi, 36), Domoraud, Panucci e il giovane promettente centrale Fresi, il nazionale Di Biagio, il greco Georgatos, il talento rumeno Mutu, il rientrante dal Venezia, Recoba. Dal mercato di Gennaio arriverà, dal Real Madrid, anche l'olandese Clarence Seedorf. Più che una squadra, una Babele! Un via vai, una vera rivoluzione, una costosa rivoluzione, alla quale il Presidente e le sue tasche si adeguano per accontentare il nuovo "profeta" titolare della panchina. Ma a Moratti non basta e vuol mettere anche la sua firma a questa dissennata campagna acquisti: per la modica cifra di 45 milioni di euro (circa 90 miliardi del vecchio conio) compra il centravanti della Lazio Christian "Bobone" Vieri. Un girovago del calcio, un furbacchione di sette cotte, che grazie a un "mordi e fuggi" in diverse squadre, ha raggiunto cifre di ingaggio da capogiro. La "mission" è quella di affiancare a Ronaldo, ancora impegnato a recuperare la forma migliore, un altro bomber di sicuro affidamento, e pazienza se bisogna svenarsi economicamente, l'indotto pubblicitario dovrebbe salvare le casse esangui. Non sarà così. Finalmente si parte: ma quella che, sulla carta, doveva essere una stagione memorabile, si trasforma giorno dopo giorno in un "horror movie" o in uno di quei film catastrofici tanto in voga negli anni '70. Tra rapporti personali ridotti ai minimi termini e drammatici infortuni, l'ipotetica stagione delle rivincite viene definitivamente stroncata. Lippi, litiga con Panucci, altro bel caratterino, diatriba che costerà al difensore esclusioni dalla formazione titolare. E poi c'è da aprire il capitolo Baggio. Il fantasista era già stato alle dipendenze di Lippi nella Juve, ma "di striscio": infatti il divin codino fu venduto dalla società bianconera al Milan, proprio con l'arrivo dell'allenatore viareggino, che in accordo con la dirigenza gli preferì il più giovane ed emergente Del Piero. Naturalmente Baggio se l'era legata al dito e si adombrò all'accorgersi che, con grande tempismo, Moratti glielo faceva ritrovare tra i piedi. Il contenzioso tra i due continuò sempre più insistente per tutto il campionato, condizionando i risultati in campo. La tranquillità della squadra fu destabilizzata anche da una serie di incidenti fisici sul campo che ebbero come vittima Ronaldo. Con Vieri, Ronnie rappresentava un progetto di coppia-gol invidiata da tutto il mondo del calcio. Purtroppo il progetto in questa stagione non decollò mai: il 21 Novembre, in Inter-Lecce, si rompe il tendine rotuleo già parzialmente lacerato e operato nella stagione precedente. Nuovo stop, nuova operazione, nuova lunga convalescenza e nuovo rientro. E qui è come raccontare una novella straziante da libro Cuore. Il 12 Aprile 2000, finale di andata di Coppa Italia, Stadio Olimpico in casa Lazio. Lippi fa segno a Ronaldo, portato in panchina, di scaldarsi; dopo mesi potrà ritornare in campo. Ronnie riassapora l'atmosfera della gara, di nuovo protagonista; sono passati appena sette minuti, un battito di ciglia rispetto ai mesi di attesa per dimostrare di essere ancora il più forte. E' dai mondiali del '98 che lo vuol dimostrare. Il pallone tra i piedi, una finta della sue, nessuno gli si fa incontro, ma il "Fenomeno" crolla a terra. E' come un film al rallentatore, i compagni impietriti non vogliono pensare al peggio, così pure gli avversari sbigottiti davanti al destino cattivo di un talento irraggiungibile, la curva laziale non urla più, lo stadio ammutolisce. Tutti trattengono il fiato. Il ginocchio, quello più volte operato, cede completamente: un urlo di dolore e le mani nei capelli dei giocatori più vicini confermano l'entità dell'infortunio e le gole urlano verso la panchina tutta la loro disperazione. Il film, che in questo caso è dura realtà, riprende a velocità normale e accompagnato dagli applausi commossi, di piena solidarietà umana di tutti i presenti, Ronaldo esce in barella, piangendo egli pure. Lo stadio Olimpico lo rivedrà piangere amaramente, esattamente due anni dopo. Lo racconteremo. Stagione segnata, quindi, difficile raddrizzarla. Quando però ci si mette di mezzo anche la testardaggine e la superbia umana non è più giustificabile. 23 Maggio 2000, l'Inter arrivata quarta in campionato insieme al Parma deve giocarsi lo spareggio per un posto nei preliminari di Champions. I nerazzurri vincono 3 a 1, grazie alle magie di Roby Baggio, che però aveva avvertito che se ne sarebbe andato dall'Inter se fosse rimasto Lippi. L'allenatore da parte sua aveva chiesto il raggiungimento di un posto in Champions per la sua conferma nella stagione seguente. Ancora una volta la faccenda è quantomeno bizzarra: Lippi non viene esonerato proprio grazie al giocatore da lui ostracizzato. Un bel grattacapo per Moratti, che, denunciando una incapacità decisionale endemica, lascerà che Baggio dia compimento alla sua minaccia: "Se Lippi rimane, io me ne vado". Sarà il Divin Codino a fare le valigie. ___ Moratti all'Inter compra, vende e ricompra: meglio dei fratelli Panini Continua, tra incomprensibili rivoluzioni tattiche, celebrati scudetti d'agosto, sogni regolarmente infranti, decisioni della presidenza troppo umorali e veri e propri drammi sportivi, (quello di Ronaldo è una ferita difficile da rimarginare), l'epopea della presidenza Moratti all'Inter di CARLO CANDIANI (Tempi.it 12-09-2011) Moratti, malgrado la contraddittoria stagione appena trascorsa, vuole dare ancora fiducia al mister Lippi, e lo fa mettendo mano, ancora una volta, al portafoglio: via tutti e tre i portieri (quindi anche il titolare Peruzzi), via tutta la difesa (Panucci, Fresi, Colonnese, Georgatos, Rivas), alcuni riferimenti a centrocampo (Moriero e Mutu). Arrivano il portierino francese Frey (con l'esperto Ballotta in seconda), Macellari, Cirillo e Ferrari in difesa; Pirlo, sempre impegnato a fare e disfare valigie, l'ala Brocchi, a centrocampo quel genio di Vampeta, lo spagnolo Farinos, in attacco Robbie Keane (voluto fortemente dal figlio del presidente dopo averlo visto giocare in partite trasmesse in tivù) e il turco Hakan Sukur. Insomma, i fratelli Panini, quelli dell'album omonimo, fanno la figura dei pirla al confronto di cotanta parata di nomi. Purtroppo all'Inter si comprano e si vendono giocatori, con la stessa facilità con la quale si staccano le figurine, e non lo stiamo inventando noi: Panucci, Fresi, Georgatos, Mutu e Peruzzi, erano stati comprati soltanto l'estate prima, il "televisivo" Keane e l'inguardabile Vampeta resistono ad Appiano giusto il tempo per ricordarsi qual è il loro armadietto negli spogliatoi, a gennaio lasciano anche Zamorano, Domoraud. Pirlo continua il suo errare, in prestito ad altre squadre, ma è l'ultima volta, nell'estate del 2001, di ritorno dal Brescia, dove ha giocato qualche mese con Roby Baggio, anche lui da pochissimo esule dall'Inter, per una cifra importante (35 miliardi di lire) viene venduto, definitivamente, al Milan. Dal mercato di Gennaio arriva una promessa, centrocampista "dai piedi buoni", il francese Dalmat e comincia a fare la conoscenza dell'ambiente un altro giovanissimo, l'attaccante brasiliano Adriano. Ci scusiamo per la pedanteria con la quale segnaliamo tutti questi movimenti, ma ci serve per capire meglio fino a che punto di confusione tecnico-tattica, alla ricerca della squadra perfetta, la gestione Moratti ha dovuto fare i conti, e non per modo di dire. Movimenti, in entrata e in uscita, che come avete potuto notare, non riguardavano solo i giocatori, ma anche l'allenatore. La panca interista diventa, durante l'epopea morattiana, una costante patata bollente. Le terga bruciano anche all'esperto Lippi: già le ha portate in salvo, grazie a Baggio, che è stato determinante nello spareggio per partecipare al preliminare di Champions conteso al Parma, alla fine della stagione precedente. Preliminare buttato alle ortiche già in agosto contro i "quasi dilettanti" svedesi dell'Helsinborg, (Recoba sbaglia un rigore decisivo al 90° del match di ritorno). Ci può stare. L'Inter perde anche la Supercoppa Italiana contro la Lazio. Ci può stare. L'Inter perde anche nella prima giornata di campionato 2000/01 contro la Reggina: eh no, adesso basta! Dopo pochi minuti del fischio finale, a Reggio Calabria, nella conferenza stampa televisiva, Lippi anticipa tutti ed esplode in una filippica contro i giocatori (che aveva voluto lui in campo): "Questi giocatori dovrebbero essere appesi ad un muro e presi calci in c**o!". E poi, l'ultimo affondo, un harakiri dialettico, o, forse, un modo per far uscire Moratti allo scoperto e costringerlo ad una decisione: "Se fossi il presidente innanzi tutto caccerei l'allenatore!". Infatti a Moratti non par vero cotanto consiglio, che lo mette subito in pratica: approfitta della pausa di campionato per la nazionale, licenzia Lippi e assume Tardelli, in quel momento commissario tecnico della Nazionale Under 21. Resta sempre un enigma come un allenatore, coperto di prestigiosi titoli in una grande squadra come la Juve, abbia perso completamente la trebisonda in ambito interista. E' comunque storia e non leggenda il fatto che, dopo quasi due anni sabbatici, il futuro ct della Nazionale mondiale in Germania ritornerà ad allenare i bianconeri, per restarci tre anni e rimacinare successi: 2 scudetti, 2 Supercoppe Italiane e una finale di Champions persa contro il Milan, ai rigori, in quel di Wembley. A Moratti, quindi, non rimase che leccarsi le ferite per un rapporto professionale che, nonostante le premesse, non decollò mai, ma purtroppo il "progetto" Tardelli si rivelò "la pezza di ripiego peggiore dello strappo": quella stagione sarà forse la più disastrosa degli anni morattiani, già molto problematici. Quella della sconfitta per 6-1 contro il Parma in Coppa Italia, dell'eliminazione in Coppa Uefa ad opera degli spagnoli del Deportivo Alaves (mica Real Madrid!), della sconfitta a Milano per 2-0, dopo una rocambolesca trasferta in terra iberica (dall'1-3 al 3-3). Sarà, soprattutto, l'epocale sconfitta per 6-0, rimediata nel derby di ritorno, in una calda serata di maggio, che, nonostante alla fine l'Inter arrivi nella classifica finale del torneo tricolore al quinto posto, proprio davanti ai cugini, autori della scoppola nella stracittadina, Moratti deciderà di porre fine anche all'avventura di Tardelli, allenatore dell'Inter, facendo accomodare in panchina "l'hombre vertical", l'argentino Hector Cuper, discusso protagonista di un paio di stagioni, che rivivremo nelle prossime puntate. ___ E poi arrivò il 5 maggio 2002 Dopo Bianchi, Hodgson, Simoni, Lucescu e Lippi: ecco Hector Cuper, allenatore preparato che però incapperù nei problemi della gestione morattiana e del fatidico 5 maggio contro la Lazio di Poborsky di CARLO CANDIANI (Tempi.it 16-09-2011) Estate 2001: è il turno dell'"hombre vertical", Hector Cuper. L'allenatore argentino arriva all'Inter dopo più che apprezzabili risultati ottenuti con il Valencia. Con la squadra spagnola disputa due finali consecutive di Champions, perdendole tutt'e due, creandosi la fama di eterno secondo. Particolare che peserà sulla sua esperienza milanese. Cuper arriva in uno spogliatoio rivoluzionato rispetto alla stagione precedente (e ti pareva!). Frey, sul quale pesa la sfuriata nello spogliatoio ai compagni dopo il clamoroso risultato tennistico nell'ultimo derby, viene venduto a favore di Francesco Toldo. La difesa viene rimossa di nuovo quasi in blocco: fuori Macellari, Cirillo, Ferrari e Blanc , dentro Materazzi, Padalino, Vivas (argentino), Sorondo (uruguaiano), Georgatos (di ritorno, in traghetto, dalla Grecia). A centrocampo, via Cauet e Jugovic, si scaldano i muscoli Sergio Conceicao (portoghese, dal Parma) e due turchi, arrivati a parametro zero Okan Buruk ed Emre Belozoglu. In attacco, molto traffico, tra chi esce e chi entra: innanzitutto l'epocale scambio Brocchi–Guglielminpietro, fatto col Milan (a proposito alla squadra di Berlusconi viene anche ceduto in via definitiva Pirlo, bell'affare, eh?), ritornano i prestiti Kallon e Ventola; Adriano è disponibile da subito, ma si preferisce spedirlo a "fare esperienza" a Firenze. A gennaio si dà il benservito anche a Hakan Sukur. Per la cronaca, viene venduto anche l'uruguaiano Pacheco: qualcuno si era accorto che giocava nell'Inter? Il nuovo allenatore ha, però, l'opportunità, da subito, di schierare contemporaneamente l'ombroso Vieri e il redivivo Ronaldo. Un'ordinata tattica e l'utilizzo dei due bomber permettono a Cuper di far accarezzare il sogno scudetto ai tifosi, già al suo primo anno di panchina nerazzurra. Sogno che si infrange contro la Lazio, nell'ultima giornata, quella che doveva consacrare l'Inter campione d'Italia: il fatidico 5 maggio 2002. Qui si apre un altro capitolo dell'era morattiana, complesso e misterioso erede, in qualche misura, degli echi del '98. Ancora una volta Moratti si troverà a gridare al complotto anti-Inter e alla corruzione della classe arbitrale, accusata di essere succube dei maneggi di Moggi e ancora una volta l'alibi non regge. A conferma che le responsabilità sono da ricercare all'interno della stessa società nerazzurra, ripercorreremo la concitata fase finale della stagione. L'Inter veleggia sicura verso la conquista dello scudetto: a cinque giornate dalla fine, ha una imprevista battuta d'arresto, perde in casa contro l'Atalanta, ma il nervosismo aumenta dopo il risultato della terz'ultima. L'Inter gioca a Verona contro il Chievo, sorprendente, di Delneri, il risultato dà ragione ai nerazzurri, si segnala un possibile rigore negato a Ronaldo e uno spreco di occasioni clamorose per mandare in porto la gara positivamente. Arrivano i minuti di recupero e il Chievo sotto di un gol, pareggia: 2-2. Minuti di recupero anche a Piacenza, dove la Juve è inchiodata sullo 0-0: ma, ecco, Nedved, nell'unico tiro della partita, infila il sette nella porta avversaria. L'Inter sente il fiato sul collo. E siamo a domenica 5 Maggio: manca poco alla fine. La Juve, è vero, non è automaticamente costretta al secondo posto, ma per vincere lo scudetto, l'Inter dovrebbe avere un tracollo; l'ambiente interista è fiducioso ed è proprio il presidente ad assicurare che non bisogna avere paura della Lazio, perché, ormai, la squadra di Cragnotti non chiede più nulla alla classifica e poi c'è gemellaggio tra i tifosi laziali e quelli nerazzurri. Argomenti, questi, che così "sapientemente" elencati, fanno sospettare i media di una possibile partita "addomesticata". Non ringrazieremo mai abbastanza Moratti per la tempestività con la quale promuove l'immagine dei sentimenti interisti. Durante la settimana di avvicinamento al traguardo, arrivano notizie da Appiano Gentile di un ambiente euforico e deconcentrato (si spiffera anche di una festa in discoteca). Gli scafati juventini, naturalmente, tacciono e si preparano ad affrontare l'Udinese, il cui vivaio è notoriamente serbatoio di giovani con destinazione Torino. Oltre a una certa atmosfera "festaiola", si segnala dallo spogliatoio una novità tecnica: il ritorno del "Chino". Lasciato ai margini della squadra titolare, che così aveva trovato un giusto equilibrio in campo, ecco ritornare negli "undici" Recoba. Sostenuto dalla solita "stampa specializzata" e dall'inesauribile innamoramento di Moratti che, come dice la famosa battuta, "lo farebbe giocare anche nel suo giardino pur di averlo a disposizione", l'uruguaiano ritrova il suo posto da titolare proprio contro la Lazio, che, alla conferma della notizia, "stappa lo champagne", come racconterà il futuro mister nerazzurro Zaccheroni, in quella stagione allenatore della formazione laziale. E' il 5 maggio: accompagnato dalle solite roboanti dichiarazioni morattiane, siamo al fischio d'inizio. Dopo pochi minuti la Juve va in vantaggio sull'Udinese: Trezeguet si trova "inspiegabilmente" da solo, in mezzo all'area dei friulani, e batte comodamente a rete. L'autore di questa "Moratteide" ricorda perfettamente gli interventi dei radiocronisti a "Tutto il calcio": raccontavano di come stessero scrutando il campo di Roma per vedere con quale atteggiamento la Lazio approcciasse la partita, ipotizzando la possibilità di una gara accomodata, a seguito proprio delle esternazioni presidenziali interiste. Ma stava per andare in scena una tragedia sportiva e umana: nonostante due uscite "a farfalla" del portiere laziale Peruzzi , l'Inter due volte va in vantaggio e due volte si fa raggiungere, anche grazie a una catastrofica esibizione del terzino Gresko, mesta eredità della gestione Tardelli. Il ceco Poborsky, l'autore della doppietta laziale, è l'unico che esulta. L'Inter isterica, che scende in campo nel secondo tempo, alla fine perde partita, scudetto e faccia. L'Olimpico assiste ancora al pianto di Ronaldo (rimandato in panchina da Cuper, per manifesta "svogliatezza" in campo). Il brasiliano è l'immagine di una squadra e di una società allo sbando. Intanto Materazzi strattona avversari urlando a muso duro che era l'Inter che doveva vincere. Il fatto è che giocatori, società e tifosi interisti sono ricacciati nell'incubo di essere gli eterni perdenti del calcio italiano e gli eterni protagonisti delle barzellette sul football nazionale. Solo qualche giorno prima il quotidiano La Repubblica, pubblicava un articolo che ripercorreva i primi sette anni dell'era Moratti con cifre incontestabili: per raggiungere pochissimi successi (solo la Coppa UEFA nel 1998) il petroliere aveva già speso 1000 miliardi di lire (circa 500 milioni di euro), nel 2001 insieme a Tronchetti Provera aveva già ripianato il bilancio della società con 75 milioni di euro. Aveva già cambiato 8 allenatori (la media di uno all'anno), acquistato (con i risultati che sappiamo) 88 giocatori, imbastito demenziali operazioni di mercato. Venduto dopo appena un anno un fuoriclasse come Roberto Carlos, per poi trovarsi a comprare 21 (ventuno) terzini sinistri e non uno che funzionasse. Tra questi, Gresko. Altro che complotto anti-interista! Ora, bisognerebbe raccogliere i cocci e ricostruire: occorrerebbe un po' di serenità, ma un'altra estate "bollente" attende il popolo interista. -
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Il Pallone di Luciano Cari juventini non illudetevi: il vertice produrrà ingiustizie di LUCIANO MOGGI (Libero 13-12-2011) Petrucci non ha reso nota l’agenda, sembra però che tutti sappiano tutto e pontifichino di conseguenza. Tutti a plaudire, nessuno a ricordare come è nata l’iniziativa. Andrea Agnelli aveva chiesto un “tavolo politico”. Petrucci l’ha trasformato e l’impressione è quella di un calderone, nel quale c’è tutto e forse manca il punto di partenza. Annacquati i puntelli, cavalli di battaglia del presidente della Juve: i fatti del 2006, l’impar condicio pagata solo dal club bianconero, lo scudetto di quell’anno trasferito all’Inter per motivi etici inesistenti, e sullo sfondo del tutto dimenticata la relazione di Palazzi, quella che ha accertato la violazione dell’art. 6 tout court a carico dell’Inter, l’illecito sportivo per chi provasse a dimenticarlo, il grido di Abete (chissà quante volte se ne sarà pentito) che l’etica non sarebbe andata in prescrizione, l’invito dello stesso Abete a Moratti di rinunciare alla prescrizione, invito arrogantemente respinto. Troppe chiacchiere C’è anche chi come Carraro, invece di tacere, chiede alla Juve di rimuovere dallo stadio i due ultimi scudetti, il 28 e il 29, senza chiedersi come e perché resta nella bacheca dell’Inter l’ultimo del 2006, che sta lì solo per prescrizione, quindi indebitamente, e perché non si è trovato un organo della Figc che si dichiarasse competente per revocarlo, con l’ultima barzelletta che non essendoci stato un atto specifico, per questo motivo non può essere rimosso. C’è chi sostiene (Spy Calcio) che «Agnelli non calcherà la mano sullo scudetto 2006, per non rischiare di fare alzare Moratti subito dal tavolo». Se le cose stanno così, allora ha ragione chi vede nel tavolo un gioco delle beffe, e non un tavolo di pace. E a questo punto un concetto deve essere chiaro: se la pace vuole intendersi come una genuflessione di fatto ai diktat di Moratti («non ci penso per niente a cedere lo scudetto»), mentre lo stesso patron nerazzurro se ne sta zitto sui fatti e misfatti del club (svelati da Palazzi), allora ha ragione la tifoseria bianconera, Agnelli non dovrebbe nemmeno sedersi, a meno che nelle più alte sfere bianconere non siano stati decisi piani diversi. Lo dice con chiarezza, pari a una stilettata, il blog “aspettandogodot10”: “Dovrebbe essere un tavolo della pace ma forse è una via di fuga”. Insomma c’è puzza di bruciato e di digressione (inutile) su altri problemi. Non si capirebbe altrimenti la presenza di De Laurentiis, un segno di considerazione, certo, e di attenzione sui temi esternati dal patron del Napoli, ma non c’entrano niente con quel tavolo che avrebbe dovuto (lo dico già al passato) pacificare i duellanti. Cari amici tifosi bianconeri, lo scenario è questo, mi dispiace per la vostra battaglia, che è stata anche la mia, e lo è ancora, ma se parlano ancora Carraro e Guido Rossi, se nessuno dice a Petrucci che proteggere Abete non significa cassare a comodo tutti i suoi errori (gli chieda Petrucci perché e come è stata adottata e segretata la radiazione cancellata di Preziosi), se questo è lo scenario e anzi l’andazzo la conclusione può essere una sola, un altro atto di somma ingiustizia. Parla il campo Juve e Milan non sono più sole, l’Udinese è qualcosa in più di un disturbo e probabilmente lo è anche la Lazio. Il quadro aggiornato nasce dal Milan che rallenta pareggiando a Bologna. Il Bologna che fa la voce grossa, Allegri che mostra come si può parlare di errori arbitrali anche quando ti hanno aiutato, ma nessuno evoca complotti o cupole. Si son passati tutti la voce, sono solo errori, hanno messo in mezzo anche la Juve per l’aiuto, peraltro non determinante, che ci sarebbe stato nella gara con il Cesena, stavolta comunque non serviranno a qualche investigatore i tabellini della giornalaccio rosa, è un’altra storia, ora viene vista così. Mazzarri iscrive altri due punti tra quelli pagati per la Champions, ma a Novara il Napoli ha rischiato di più. Tesser ha messo il bavaglio al più titolato avversario, sfiorando anche la vittoria. Azzurri lontani dalla vetta e dai posti Champions, ma è inutile dire che De Laurentiis ha sbagliato a privilegiare la Coppa, intanto agli ottavi è arrivato, e c’è tempo per recuperare. Domenica derby del sud con la Roma al san Paolo. La batosta col Cesena ha lasciato l’amaro in bocca al Palermo, ma la classifica è ancora buona. Cesenati trascinati da Mutu. L’Inter è riemersa scavalcando la Fiorentina, oggi il recupero con il Genoa, che è andato a vincere a Siena, periodo nerissimo per i toscani, attesi stasera a Palermo per la Coppa Italia. -
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CONTO ALLA ROVESCIA Ventiquatt'ore al faccia a faccia per stringersi la mano e mettere la parola fine alle polemiche Moratti: Vado al "tavolo" con curiosità «Non so esattamente quale sarà il significato dell'invito del presidente Petrucci» di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 13-12-2011) APPIANO GENTILE - Il conto alla rovescia è arrivato alla conclusione. Ventiquattr’ore e gli invitati al tavolo della pace si siederanno ai loro posti per discutere. Gli argomenti li sceglierà il numero uno del Coni, Gianni Petrucci, che ieri, intervenuto alla giornalaccio rosa dello Sport per la presentazione del premio “I piedi buoni del calcio”, ha lanciato messaggi improntati alla serenità. I presidenti delle società dovranno adeguarsi. «Non so esattamente quale sarà il significato di questo tavolo - ha commentato il presidente dell’Inter, Massimo Moratti - e quindi vado là con molta curiosità». Il club di corso Vittorio Emanuele non si aspetta che tra gli argomenti in discussione ci sia lo scudetto del 2006. L’Inter è convinta che le sentenze della giustizia sportiva non saranno né toccate né messe in discussione. Moratti a riguardo qualche giorno fa è stato chiaro. Ha deciso di partecipare perché Petrucci, l’ideatore del tavolo, è una garanzia, mentre aveva detto di no a un’iniziativa quasi analoga del patron della Fiorentina, Diego Della Valle, per non interferire in nessun modo con il lavoro svolto dalla giustizia ordinaria. Trattandosi adesso di un invito del numero uno del Coni, rischi del genere non ce ne sono. TRANQUILLI E SERENI - La “garanzia” dell’Inter è Petrucci che ieri è stato chiaro sul clima che si aspetta domani a Roma: «Sarà un incontro all’insegna della serenità - ha iniziato - e, anche se sento un’attesa spasmodica nei confronti di questo evento, si tratterà di una riunione normale, un tavolo in cui si parlerà di calcio e in cui l'attore principale, come è giusto che sia, sarà la Figc. Sono felice che tutte le persone invitate abbiano confermato la loro presenza». Il problema in questo momento sono i... non invitati perché i malumori non mancano. Il presidente del Coni ha provato a spegnerli rivolgendosi in maniera diretta alla Lega e ai club con “il mal di pancia”. «Chi non è stato invitato non si deve offendere perché se avessimo invitato tutti, sarebbe diventata un’assemblea di Lega invece che un tavolo della pace. Spero che questo incontro serva a chiudere definitivamente le pagine di discussioni, di corsi e ricorsi. Ho visto comunque tanta serenità da parte delle persone invitate e spero che questo atteggiamento non sia solo dovuto al periodo natalizio. Se i presidenti fossero più rispettosi delle istituzioni, più uniti e più sereni il calcio ne trarrebbe vantaggio. E a proposito permettetemi di ringraziare un presidente (Zamparini; tono usato decisamente ironico, ndr) che anche ieri, come sempre, è stato molto carino e rispettoso ricordando che il Coni non si comporta bene. Al tavolo c’è Abete, il presidente della Figc, che rappresenta tutte le società di calcio. Chi si offende dimostra di non essere cosciente di quello che dice lo statuto della Federcalcio. La Lega è importante, ma fidatevi della Figc». Inevitabile chiedere a Petrucci del contrasto tra Juventus e Inter, ma il numero uno dello sport italiano ha spento qualsiasi polemica: «La battuta del coltello sotto al tavolo fatta da Moratti è di qualche settimana fa e dopo ha detto altre cose. Con lui ho parlato e sono sicuro che sarà costruttivo. E’ una persona di buon senso, lo stimo ed è sereno come Agnelli. Questo non è il momento di fare polemiche, ma serve tranquillità». ABETE, NO ALLE PRESSIONI - Al tavolo ci sarà anche Giancarlo Abete: «Calciopoli è stata un'esperienza traumatica per tutti - ha osservato il presidente della Figc -, ma se ne parla ancora e spero che questa sia l'occasione giusta per guardare avanti. L'importante è non strattonare la Federazione anche perché non ci faremo mettere pressione da nessuno. Da parte mia ci sarà lo spirito giusto per fare riflessioni e dare chiarimenti. Il clima deve essere positivo per guardare con serenità al passato ma anche al futuro». === IL MALUMORE DEGLI ESCLUSI Cellino: L’incontro era solo per Juve e Inter cosa c’entrano Milan, Fiorentina e Napoli? «Perché non è stata invitata la Lega che per quei fatti è stata parte lesa?» di ANTONIO MAGLIE (CorSport 13-12-2011) Il “Tavolo della Pace” ha avuto un effetto: far scendere sul piede di guerra i club (la maggiornza) che non hanno ricevuto l’invito del presidente del Coni. Il portavoce ufficiale dei “malpancisti” è Massimo Cellino, presidente del Cagliari e Consigliere Federale, ma la sua posizione non è isoltata. Dice un amministratore delegato: «Petrucci non si è reso conto che la sua iniziativa invece di portare serenità all’interno della Lega ha per il momento solo acuito i contrasti e le reciproche diffidenze». Nell’ultima assemblea lo hanno detto chiaro e tondo, i dissidenti, puntando il dito contro il presidente della Lega, Maurizio Beretta, non invitato al tavolo: «Così ti hanno soltanto delegittimato». Non è un caso che ieri Beretta abbia provveduto a sottolineare che «nel momento in cui si dovrà affrontare il progetto del calcio del futuro servirà un coinvolgimento diverso». Giancarlo Abete che conosce bene le dinamiche di via Rosellini, capendo che l’iniziativa pacificatoria rischia, al contrario, di trasformarsi in una sorta di detonatore, ha confermato che non è quella la sede per parlare di riforma. Dunque, l’ordine del giorno ha immediatamente avuto una bella sforbiciata anche perché l’ultima riforma nata da un tavolo con ospiti selezionati fu quella del doppio designatore, cioè la “madre di tutte le ingiustizie”, come ha sottolineato spesso Abete. CELLINO - Allo scoperto ieri è uscito nuovamente Cellino intervenendo ai microfoni della “Politca nel Pallone-Gr Parlamento”: «Questo tavolo non l’ho capito». Ha spiegato: «Se doveva servire per far stringere la mano a due società come Juventus e Inter e dimostrare che i valori dello sport sono superiori a tutto, allora bastava la presenza di Agnelli e Moratti. Ma cosa c’entrano gli altri?» Perché se Galliani e Della Valle (che per primo ha lanciato la proposta) possono avere un motivo per esserci, a parere del presidente del Cagliari non si comprende la presenza di De Laurentiis che all’epoca dei fatti non era nemmeno un “socio” della Lega. E ancora: «Perché mai non si invita la Lega che pure per quei fatti è stata parte lesa?» E qui l’accusa durissima a Petrucci: «Così è solo una iniziativa che si trasforma in un atto arrogante di sopraffazione della Lega. L’idea che ci siano presidenti che si collocano al di sopra delle regole si trasforma di fatto in un sabotaggio del faticosissimo percorso che abbiamo intrapreso per trovare una unione al nostro interno». DANNI - Gli umori in Lega dove non esiste una leadership non sono in questo momento positivi. E se Abete non viene ritenuto rappresentativo del mondo del calcio professionistico, Petrucci viene visto quasi come un alieno. Posizioni abbastanza condivise che alcuni (Cellino, Zamparini) portano all’esterno, ma che molti altri condividono. E se Beretta lancia freddi «auguri» (una volta accompagnati dalla speranza di figli maschi) ai commensali del tavolo, gli altri si chiedono che senso abbia tutta questa mobilitazione per vicende ormai giudicate e condannate tanto dalla giustizia sportiva quanto da quella ordinaria. Tra l’altro la stessa iniziativa risarcitoria portata avanti dalla Juventus ha irritato diversi presidenti visto che il conto presentato alla Federazione nel caso di richiesta di saldo finirebbe per essere presentato sempre alle società professionistiche, cioè alla Lega. Ecco perché Cellino non molla: «Qui ci sono dei magistrati, dei galantuomini, che ci hanno dato una mano perché se non fossero intervenuti la situazione non sarebbe cambiata. E noi che facciamo? Pensiamo di chiudere la partita con un tavolo che giornalisticamente chiamiamo della pace». ___ DOMANI A ROMA IL TAVOLO DELLA PACE Abete apre su Calciopoli «Si potrà parlare pure del 2006, ma nessuno strattoni la Figc» L’ottimismo di Petrucci, presidente del Coni: «Mi aspetto serenità da tutti». Moratti: «Vado al tavolo con molta curiosità» di ALBERTO PASTORELLA (Tuttosport 13-12-2011) MILANO. Domani, finalmente, cadrà il velo sul tavolo della pace. E tutto sarà più chiaro. Ma ieri è stato un momento importante per capire lo stato d’animo con il quale le varie componenti si stanno avvicinando all’evento. Con la Lega che, come si legge a parte, fa sì gli auguri, ma tiene anche a precisare che senza il presidente delle società di calcio non avrebbe senso parlare del futuro del calcio. Con la Federazione che ammonisce con molta chiarezza: «Non ci faremo strattonare». E con il Coni che, nella figura del presidente Petrucci , veste i panni non solo del padrone di casa, non solo di chi detterà l’agenda, ma anche di pompiere preventivo: «L’obiettivo dovrebbe essere semplice, trovare la serenità perché il calcio è sempre uno sport». Ancora poche ore e sapremo se le speranze o le ambizioni dei promotori troveranno o meno riscontro. CURIOSO Massimo Moratti ieri non era presente all’iniziativa della giornalaccio rosa dello Sport , che ha promosso il premio “I piedi buoni del calcio”, al quale invece hanno aderito Abete , Petrucci e Beretta . Ma anche lui ha fatto sentire il suo parere sull’appuntamento di domani a Roma: «Il mio stato d’animo? Non so esattamente quale sarà il significato. Quindi vado là con molta curiosità». E’ una curiosità comune, peraltro: non solo di Moratti, ma di tutti coloro che vorrebbero capire cosa uscirà dalla riunione. CALCIOPOLI Un segnale da un certo punto di vista nuovo, per quanto riguarda il tavolo, sembra però offrirlo il presidente Abete. Che pur ammonendo i presenti, come annunciato, dal “non strattonare” la Figc, ammette tuttavia che Calciopoli, in un modo o nell’altro, sarà comunque un convitato di pietra: «Sarà una opportunità per approfondire tante problematiche riguardanti gli ultimi difficili anni e le criticità collegate a Calciopoli. Sappiamo che nel mondo del calcio ci sono tante tensioni accumulate dagli eventi del 2006 in avanti: tutti possono portare avanti la propria tesi, ma nessuno pensi di strattonare la Figc. Noi da subito abbiamo appoggiato l’iniziativa del Coni: il nostro ruolo è essere garanti delle regole, senza avere figli e figliastri, senza una logica di nemici e guerra». Abete ha quindi detto: «Quando si parlerà della riforma del calcio, la discussione riguarderà tutte le componenti di questo mondo». PAROLA D’ORDINE Per il Coni c’è una sola parola che deve accompagnare tutte le componenti che parteciperanno al tavolo. La serenità, quella serenità che il mondo del calcio deve ritrovare al più presto per chiudere un periodo turbolento: «Io sono sereno e mi auguro che lo siano anche tutti gli altri. Il calcio è uno sport e nessuno deve dimenticarlo. Ecco perché dico che mi aspetto serenità da parte di tutti. Ho letto le opinioni di tante persone che parlavano di questo tavolo, ma non rispondo a nessuno, non faccio polemiche. Il Brescia vorrebbe partecipare? Il Coni ha fatto i suoi inviti per questo tavolo e chi è rimasto fuori non si deve arrabbiare perché questa non è l’assemblea di Lega. Ripeto, chi non è stato pregato di intervenire, non si deve offendere perché io non posso fare un’assemblea di Lega. C’è Abete, il presidente della Figc, che rappresenta tutte le società di calcio. Chi si offende dimostra di non essere cosciente di quello che dice lo statuto della Figc, l’associazione che rappresenta i club. La Lega è importante, ma fidatevi della Figc». Secondo Petrucci, si dovrebbero anche “chiudere definitivamente le pagine di corsi e di ricorsi”. E confessa di non capire “questa attesa spasmodica: si tratta di un incontro normale». SASSOLINI Anche Petrucci, tuttavia, ha un’anima. E quest’anima non gli consente di risparmiarsi una frecciata: «Permettetemi di ringraziare un presidente che anche l’altro giorno, come sempre, è stato molto carino e rispettoso con me e ha ricordato che il Coni non si comporta bene». Il riferimento, ovviamente, è a Zamparini , presidente del Palermo, da sempre uno dei più critici, non essendo stato invitato. Con Moratti, invece, non ci saranno problemi: «La battuta sui coltelli sotto il tavolo è vecchia e dopo ne ha fatte altre. Ho parlato con Moratti ed è sereno, come è sereno anche Agnelli ». LA LEGA OUT Beretta a denti stretti «Auguri a tutti quanti» di ALBERTO PASTORELLA (Tuttosport 13-12-2011) MILANO. L’occasione non è tale da consentire ulteriori polemiche. Ma è chiaro che la Lega Calcio, per non essere stata invitata al tavolo della pace, non è che abbia fatto proprio i salti di gioia. Parlare di calcio senza che ci sia la Lega, che rappresenta tutte le società, viene considerato un mezzo sgarbo. Ma il presidente Maurizio Beretta ha voluto innanzitutto inviare a tutti i partecipanti, seppure un po’ a denti stretti, un messaggio: «Bisogna fare a tutti i partecipanti i migliori auguri, perché ci siano gli elementi di una vera riappacificazione». Poi, nel ricordare quale deve essere il ruolo della Lega Calcio, mette qualche paletto: «Questo non sarà, ovviamente, il tavolo della Lega. E quindi non credo che si potranno affrontare le problematiche del calcio del futuro, perché in questo caso ci vorrebbe un coinvolgimento diverso». -
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CONI.it 12/12/2011 ALTA CORTE DI GIUSTIZIA: Diritti tv, dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Inter, Juventus, Milan, Napoli e Roma contro LNP di Serie A, altri club di A e FIGC L’Alta Corte di Giustizia ha dichiarato inammissibile il ricorso, presentato il 27 maggio 2011 da parte delle società Inter, Juventus, Milan, Napoli e Roma nei confronti della Lega Nazionale Professionisti Serie A, di tutte le altre società di Serie A e della Federazione Italiana Giuoco Calcio, avverso la decisione resa dalla Corte di Giustizia Federale FIGC in materia di definizione dei bacini di utenza ai fini della ripartizione delle risorse audiovisive della stagione 2010/2011 (individuazione delle società di ricerche demoscopiche e delle relative metodologie di indagine). Roma, 12 dicembre 2012 -
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Doping e sport, il pm Guariniello: “Stiamo esaminando anche il caso di Giorgio Mariani” Parla il pm di Torino, titolare delle più importanti inchieste sull'utilizzo di sostanze dopanti nel mondo del professionismo sportivo, tra cui l'indagine sulle morti sospette nella Fiorentina degli anni '70, la squadra in cui militava il calciatore morto la scorsa settimana di DARIO PELIZZARI (Il Fatto Quotidiano.it 12-12-2011) Qualche giorno fa è morto l’ex calciatore Giorgio Mariani. Aveva 63 anni, era malato da tempo. Per molti, la sua scomparsa è un fatto che si spiega da sé. Colpa dell’età che avanza e del fisico che non è più quello di una volta. Per altri, Mariani è soltanto l’ultima vittima di un male che colpisce sempre più atleti in tutto il mondo, il doping. “Stiamo esaminando anche il suo caso, non posso entrare nel merito – dice a ilfattoquotidiano.it il procuratore Raffaele Guariniello, protagonista di numerose inchieste sulle connessioni tra sport e doping e titolare di un’indagine sulle presunti morte sospette nella Fiorentina degli anni Settanta -. Si tratta comunque di patologie multifattoriali, prima di esprimere una valutazione occorre fare un’indagine accurata. In questi casi, acquisiamo la documentazione sanitaria e poi cerchiamo di ricostruire la storia professionale e non solo della singola persona. Vede, non è come il mesotelioma, che colpisce il lavoratore dell’amianto, il collegamento in questi casi è diretto e pressoché certo. Bisogna fare attenzione e indagare a fondo sulle possibili cause della malattia”. “Eravamo una generazione di ignoranti, perché prima delle partite prendevamo il Micoren senza chiederci cosa fosse”, dichiarò qualche tempo fa all’Avvenire l’ex scudettato del Torino nella stagione 1975-76, Salvatore Garritano, malato da tempo di leucemia. E prima ancora si erano espressi nella stessa direzione anche Giovanni Galeone, mister di tantissime squadre di A e B, (“con tutti i prodotti che ho assunto a vent’ anni oggi devo sentirmi contento di essere vivo. Nell’ Udinese mi davano il Micoren per rompere il fiato, il Cortex e il Norden per recuperare, poi il Sustanol, tutte cose oggi vietate. Le prendevo come fosse acqua minerale”) e Aldo Agroppi, altro grandissimo del calcio che fu, oggi alle prese con una lunga riabilitazione dopo aver subìto, storia di metà novembre, un altro infarto (“i giocatori degli anni Sessanta non vivono certo giornate tranquille. In quel periodo la somministrazione della corteccia surrenale era una moda e noi eravamo ignoranti, ci fidavamo”). Al netto delle inchieste sulla diffusione del doping negli anni Sessanta e Settanta, cosa si può dire oggi su quel periodo? “Le generalizzazioni sono un po’ rischiose – spiega Guariniello -. Noi abbiamo visto su alcuni casi che si è evidenziata l’utilizzazione di determinate sostanze. Stiamo ancora indagando in questa direzione per verificare i dati che abbiamo raccolto. Certo è che dagli anni Sessanta c’è stato un crescendo di casi di possibili patologie. Le cause, però, ripeto, vanno accertate caso per caso”. Capitolo Sla, sclerosi laterale amiotrofica, o morbo di Lou Gehrig. E’ la malattia che uccide i neuroni in movimento e purtroppo anche molti atleti. Calciatori, ma non solo. Il morbo prende il nome proprio da un campione del baseball Usa, Lou Gehrig, morto a 38 anni senza aver capito bene perché. Stefano Borgonovo, ex attaccante, tra le altre squadre, di Fiorentina e Milan, dal 2008 è alle prese con questo male maledetto. “Lasciate stare il calcio, non c’entra nulla”, ripete da sempre. Ma Guariniello volle vederci chiaro. La sua inchiesta accertò 43 casi di Sla (ora sono più di 50) fra circa 30 mila calciatori: un malato ogni 700. Il conto delle vittime ha raggiunto quota 39, ma il bilancio è destinato a salire. “C’è un eccesso di mortalità dei calciatori che è epidemiologicamente evidente – dice il pubblico ministero di Torino – . Ancora oggi si cerca di spiegarne la causa specifica. La scienza qui è ancora in difficoltà. In ogni caso, oggi si può dire che la Sla ha una frequenza di accadimento tra i calciatori addirittura crescente col passare del tempo”. “Le prestazioni dei giocatori erano alterate sia con sostanze proibite, sia somministrando farmaci leciti su atleti sani. Le 49 pagine di motivazioni depositate ieri dalla II sezione penale accolgono le richieste del pg Monetti e annullano l’assoluzione d’appello, dichiarando i reti commessi, ma prescritti dal 1° aprile 2007?. E’ l’estate dello stesso anno: Marco Travaglio consegna a Repubblica le righe con cui viene di fatto messa la parola fine sul lungo e vorticoso processo che ha interessato i dirigenti della Juventus e il medico al servizio in quegli anni della società bianconera, Riccardo Agricola. Il pm titolare dell’inchiesta era proprio Guariniello, per molto tempo additato dai tifosi juventini come “il nemico numero uno” della Signora. “Ma no – sorride lui – i processi più difficili sono stati Eternit e Thyssenkrupp, perché hanno comportato grandi difficoltà sul piano probatorio. Quello a cui si riferisce lei è stato uno dei tanti. E poi, le reazioni che si provocano in questo o quel processo hanno motivazioni che sono irrilevanti. No, non mi ha provato assolutamente. E’ stato però molto significativo, questo sì, perché ha portato anche a fare una legge. Il problema dell’uso di farmaci nel mondo del calcio è diventato molto sentito, ma non è ancora del tutto affrontato in maniera adeguata. Bisogna fare molto di più sul piano della vigilanza. Sono stato recentemente all’estero per prendere parte ad un convegno sul doping. Bene, l’Italia era considerata un esempio per via di tutti i processi che si sono celebrati in questo ambito. E questo per me significa che negli altri paesi si fa davvero poco”. Il doping non è mai stata una pratica esclusiva degli sportivi professionisti. La pasticca proibita e pericolosamente nociva, infatti, è spesso assunta da atleti dilettanti che vogliono migliorare le proprie prestazioni in gare di interesse locale. I numeri, in questo ambito, raggiungono cifre da capogiro. Si parla di un mercato che muove ogni anno un giro di affari di 650-700 milioni di euro. L’ultimo caso, lo scorso settembre. Le forze dell’ordine hanno effettuato centinaia di perquisizioni in diverse regioni sequestrando seimila farmaci, per un valore complessivo di circa 300 mila euro. Le sostanze illegali venivano vendute nelle palestre e nelle società di ciclismo. “Il commercio di queste sostanze purtroppo non è facile da regolamentare – spiega Guariniello -. Le vendite vengono fatte in molti casi via Internet. Però non mancano gli strumenti di investigazione. L’importante sarebbe fare interventi molto più sistematici, continuativi. E un po’ ovunque, non soltanto in alcune zone del nostro Paese. La legge ce l’abbiamo ed è una delle più avanzate. Molti paesi ce la invidiano, ma si può fare molto di più”. -
[ Serie A ] Roma - Juventus 1-1
Ghost Dog ha risposto al topic di Pinobianconero in Stagione 2011/2012
Gia' immagino la tipica dietro-logia romana e romanista in caso di... Se il campo fa(ra') ca**re meglio rinviarla, ma che si proceda con lungimiranza e non alla pene di segugio. -
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Quel tavolo senza pace di GUIDO BOFFO (LA STAMPA.it 12-12-2011) Nella settimana del tavolo della pace, la Yalta del calcio italiano, l’arbitro Gianluca Rocchi da Firenze semina zizzania. Quest’uomo ha uno straordinario talento per complicarsi la vita, oltre che le partite. Vede rigori inesistenti (Inter-Napoli), sorvola su clamorosi falli di mani in area (ieri, Bologna-Milan). Smentisce un vecchio luogo comune, e cioé che abbiamo la migliore classe arbitrale del mondo. Se così fosse, non rischieremmo di mandare Rocchi ai prossimi Europei, il meglio fico del nostro povero bigoncio. Eppure i nipotini di Collina, e i loro guardalinee, godono di una condizione invidiabile: la pax moviolistica. Rispetto agli anni passati, in tv si parla molto meno degli errori arbitrali, spesso in orari fuori dalla portata dei minorenni e con il distacco degli argomenti demodé. Ma il calo di pressione non acuisce la vista, nè sviluppa il talento. Agli arbitri italiani siamo portati a riconoscere molte e giustificate attenuanti: la buona fede (soprattutto nel post Calciopoli), l’isteria dei calciatori in campo e dei dirigenti fuori, la difficoltà delle decisioni in tempo reale e in un calcio sempre più veloce, la crisi delle vocazioni che erode il ricambio. Ma il Rocchi horror show è soltanto un pessimo spettacolo, e forse qualcuno dovrebbe assumersi la responsabilità di bloccare le repliche. A Bologna è andata persino bene: il pareggio del Milan ha anestetizzato i cattivi pensieri degli juventini, mercoledì il tavolo della pace può partire. Già, ma con quali gambe? Gianni Petrucci, presidente del Coni, si accinge a una missione che defineremmo impossibile, se non sottovalutassimo le sue risorse democristiane. Non per questo, possiamo definirci ottimisti. Al tavolo si parlerà di Calciopoli, non è chiaro se con l’obiettivo di scrivere la parola fine, operare una lettura revisionistica o tutte e due le cose; e si discetterà di futuro, in vista di un’agenda da sottoporre al nuovo governo: legge sugli stadi, riforma della legge 91 sul professionismo, tutela del merchandising. Per guardare avanti, la Juve esigerà di chiudere i conti con il passato. Tuttavia lo scudetto del 2006 è un argomento che l’Inter non intende nemmeno sfiorare. Qualcuno dovrebbe fare un passo indietro: eppure dubitiamo che Agnelli rinunci al ricorso al Tar da oltre 400 milioni in cambio di un imprecisato riconoscimento morale, o in alternativa Moratti decida di scucirsi il titolo ammettendo implicitamente che non gli spettava. E poi che c’entra De Laurentiis con Calciopoli? E perché non Lotito, che al pari di Diego Della Valle - lui sì invitato - è stato condannato in primo grado dal tribunale di Napoli? Semplice: Petrucci, il padrone di casa, ha lasciato fuori dalla porta gli ospiti indesiderati, compreso il presidente di Lega, Beretta. Un suo diritto, puntualizzano al Coni. Saremo felici di sbagliarci, ma a questo tavolo di pace se ne vede ben poca. -
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Appello del Brescia Oggi ricorso contro Palazzi «Il tavolo della pace si occupi anche di noi» di ARIANNA RAVELLI (CorSera 12-12-2011) MILANO — Aggiungi un posto al tavolo (della pace). O almeno una portata alla lista degli argomenti. Sarà questo il senso del discorso che l'avvocato del Brescia, Bruno Catalanotti, pronuncerà oggi davanti all'Alta Corte di giustizia. Un appello perché mercoledì a Roma, all'incontro organizzato dal presidente del Coni Gianni Petrucci con le società più importanti della A, si allarghino gli orizzonti della discussione e si provino a risanare — al di là delle dispute ormai molto accademiche tra Juventus e Inter sullo scudetto 2006 — «i conflitti veri, ancora in atto nei tribunali della giustizia ordinaria». Ovvero quelli che vedono Atalanta, Bologna e Brescia (retrocesse al termine del campionato 2004/2005) chiedere risarcimenti a Fiorentina, Juventus e Lazio, i cui dirigenti sono stati condannati dal Tribunale di Napoli. Ma andiamo con ordine. Oggi il Brescia si troverà all'Alta Corte a discutere contro la Figc e Luciano Moggi, insolitamente alleati. Si discute, infatti, il ricorso che Catalanotti ha presentato il 15 luglio contro il procuratore federale Stefano Palazzi, o meglio contro le indagini da quest'ultimo avviate (sulla base delle nuove intercettazioni), quando i termini della prescrizione erano già scaduti. È il provvedimento, per capirci, che ha ridato fiato alle richieste della Juventus (ecco perché anche i legali di Moggi lo difendono), e in cui Palazzi afferma sì che i fatti che riguardano Giacinto Facchetti, Massimo Moratti e altri 14 tesserati e 8 società sono archiviati, ma anche che quei fatti configuravano illeciti. Quelle indagini, per il Brescia, non si dovevano neanche cominciare visto che i fatti erano già prescritti e il provvedimento di Palazzi è definito «abnorme» sia per ragioni di «economia processuale» (si è indagato per più di un anno a termini scaduti) sia perché Palazzi si è addentrato in valutazioni che violano il diritto alla difesa. Il Brescia è interessato alla questione perché in quelle pagine si fa cenno a un comportamento illecito di Nello Governato che avrebbe agito per suo conto (però il Brescia non è stata inserita tra le società colpevoli). Ma non si sa mai, i legali vogliono sgombrare ogni ombra, essendo in piedi ancora le richieste di risarcimento danni. E qui si ritorna al punto della questione che ha interesse più generale: è vero che si tratta di tre «piccole» destinate a non mutare gli equilibri di potere del calcio italiano, ma forse finché sono in ballo richieste di risarcimenti milionari sarà dura parlare di pace. -
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IL TAVOLO DELLA PACE SALE L’ATTESA Palazzi, il fantasma al tavolo Mercoledì si parlerà di Calciopoli, ma il nodo resta la relazione che condanna l’Inter Tra i malumori degli assenti (anche in Figc...) e i dubbi dei partecipanti, procedono i preparativi e viene definita la scaletta di ALVARO MORETTI & GUIDO VACIAGO (Tuttosport 12-12-2011) IL TAVOLO logora chi non ce l’ha, ma pure fra gli invitanti un po’ di tensione c’è, perché la scaletta - ufficialmente ancora top secret, ma in via di definizione - innervosisce quelli che saranno presenti mercoledì mattina alle nove. Calciopoli è ovviamente lo scoglio su cui rischia di scontrarsi la buona volontà di Gianni Petrucci , padrone di casa che sta facendo di tutto per avviare il calcio italiano verso una nuova era. PASSATO E FUTURO Ma il futuro non si può costruire senza chiarezza sul passato e il 2006 rischia di essere un mattone traballante nella costruzione che ha in mente il Coni. Tant’è che l’argomento Calciopoli farà sicuramente parte della succitata scaletta. Il problema che si pongono tutti (o quasi) è il come verrà trattato. RELAZIONI Perché mentre anche in Figc c’è chi non nasconde malumori per non essere fra coloro che discuteranno del futuro (la Federcalcio sarà rappresentata dal presidente Abete e dal dg Valentini , mentre in via Allegri resterà, per esempio, il vicepresidente Albertini ), il vero convitato di pietra del tavolo sarà il procuratore federale Stefano Palazzi , l’autore delle settanta pagine di relazione che ha luglio hanno terremotato la Calciopoli del 2006, e aperto la crisi nel calcio. Perché non sono stati gli avvocati, tanto invisi a Petrucci, a scrivere che, ascoltate le telefonate occultate, l’Inter ha violato il fu articolo 6 (illecito sportivo). A dopare le certezze inscalfibili della Figc di Guido Rossi è stata la Figc di Giancarlo Abete al quale Palazzi ha indirizzato la sua relazione, previo dissinesco attraverso la prescrizione naturalmente, ma questa è un’altra storia. DOMANDE INEVASE Palazzi, che mercoledì ovviamente sarà altrove, sentirà fischiare le orecchie quando Petrucci affronterà l’argomento Calciopoli, perché è proprio partendo dalla sua relazione, dribblata dal Consiglio Federale del 18 luglio e scavalcata pure dal Tnas, che Andrea Agnelli formulerà le domande rimaste finora senza risposta. E il tavolo si spaccherà in due: da una parte chi per Calciopoli ha pagato (Juventus e Fiorentina), dall’altra chi con Calciopoli ha guadagnato (l’Inter). Davanti a comportamenti analoghi, certificati dalla procura Figc mica da un avvocato della Juventus, la disparità di trattamento è davvero clamorosa perché nessuno si prenda la briga di giustificarla. Mercoledì l’arduo compito spetterà a Petrucci, che dovrà trovare il modo di far restare seduto Moratti . Perché il presidente interista ha fatto capire in modo relativamente chiaro che di fronte a certi argomenti potrebbe alzarsi e lasciare la compagnia. E, per la cronaca, Moratti derubricò a spazzatura la relazione Palazzi fin dal giorno della sua uscita. SILENZIO STRATEGICO Insomma, un problema assai spinoso. L’unico sereno sembra essere Agnelli che ha strategicamente fatto calare un silenzio totale sull’argomento tavolo, senza lanciare messaggi a mezzo stampa (semmai è intercorsa qualche discreta telefonata con Petrucci), ma senza neppure prendere mai in considerazione l’idea di ritirare i ricorsi contro la Figc (in particolare quelli al Tar e alla Corte dei Conti). Perché tavolo o non tavolo, l’iter prosegue e solo la revoca dello scudetto 2006 potrebbe bloccarlo. E’ da escludere che questo possa avvenire mercoledì, dove tutt’al più si possono porre delle basi sulle quali continuare la discussione e il documento scritto da far approvare ai tavolisti a cui lavorano al Coni sarebbe la prima pietra. Nel frattempo (che tecnicamente si calcola in un annetto scarso, visto che il ricorso a Tar potrebbe essere preso in esame alla fine nel prossimo autunno) la Juventus non ha intenzione di mollare. SPADA DI DAMOCLE E la richiesta di oltre 400 milioni di euro continua a pendere sulla Federcalcio, come una potenziale arma letale. Altro fattore che al tavolo, dove Abete e Agnelli si ritroveranno di fronte per la prima volta dopo la maxi richiesta danni. Telefonate e incontri In arrivo due giorni caldi di GUIDO VACIAGO (Tuttosport 12-12-2011) OGGI a Milano alla presentazione del premio “I piedi buoni del calcio” si incroceranno Giancarlo Abete e Gianni Petrucci, era atteso anche Andrea Agnelli che non ci sarà (assente giustificato dalla partita di questa sera), potrebbero esserci Adriano Galliani e Massimo Moratti, è annunciato anche il presidente della Lega di Serie A Beretta. Quasi un anticipo di 48 ore del tavolo. Quasi, perché oltre a non essere previsto nessun briefing separato, gli stessi protagonisti escludono che la coincidenza possa essere più di una nota di colore. Il tavolo è uno solo ed è quello che inizierà mercoledì nel palazzo del Coni, dove stanno lavorando da settimane alla preparazione di una ponderosa documentazione per la riunione. Perché al di là dello scoglio Calciopoli (e no - se qualcuno se lo chiede -, non ci sarà la relazione Palazzi nei faldoni che si porterà dietro Petrucci), ci sono altri temi da discutere a partire da un riflessione sulla legge 91 e per finire ai diritti tv, sui quali potrebbe esserci un assalto alla distribuzione collettiva voluta dalla legge Melandri. Ed è questo che rende tumultuoso il clima fra i presidenti di A, fra i quali c’è chi mugugna (fermandosi lì, però, visto che le dichiarazioni di guerra di Cellino sono rimaste tali) e si domanda se per il calcio italiano abbia fatto di più un presidente come Pozzo o come De Laurentiis, che al tavolo si siederà e probabilmente non per intervenire su Calciopoli. A rassicurare gli assenti, comunque, ci hanno pensato proprio Petrucci e Abete, spiegando - off the record - che dal tavolo usciranno delle indicazioni, che solo le Leghe potranno trasformare in decisioni. -
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SCOMODA-MENTE Un piatto di "ştronzate" al tavolo 2006 di FABIO MAURO GIAMBÒ (Fantagazzetta.com 08-12-2011) art.scoperto grazie a Luciano Moggi Arrivano certi momenti nella vita in cui ci si accorge che troppe parole sono state sprecate, troppi pettegolezzi hanno trovato pubblico spazio in questo o quell’altro organo di stampa, e soprattutto ci si rende conto che chi dovrebbe spiegarti le cose per come stanno, o per lo meno provarci, non è capace di sedersi a tavolino con tutta la tranquillità di questo mondo per poterti dire “caro amico, oggi è andata così”. Questo accade nella vita di tutti i giorni, e così anche nel calcio dove solitamente basta perdere la pazienza per attirare l’attenzione della gente, per creare notizia, magari per trovare un credito popolare inimmaginabile, a meno che non si scelga l’obiettivo giusto. Il popolo bianconero, e molto più in particolare la Ṿecchia Şignora, è storicamente fra i soggetti più “pettegolati” dal resto del mondo pallonaro italiano: ladri, drogati, perdenti, raccomandati e chi più ne ha, più ne metta. Sino a qualche anno fa era facile creare sentenze ancor prima di un regolare dibattito, i mezzi di comunicazioni erano molti di meno, e bastava che una penna o un microfono d’elitè decidesse qualcosa affinchè tutti, come capre, andassero dietro a quella linea tracciata. Oggi, anche se ancora in maniera non del tutto soddisfacente, non è così: esiste internet, esiste la possibilità di andarla a verificare una notizia, è possibile provare a rendersi conto autonomamente di ciò che accade in giro per il mondo, e personalmente ritengo non sia solo un caso che determinati quotidiani abbiano perso una buona fetta del loro mercato. Ma c’è qualcuno che si ostina a navigare sulla solita rotta, e con tutta la buona volontà di questo mondo non si riesce a capire la motivazione. Fra ieri e oggi due che hanno avuto in mano le chiavi di casa del calcio italiano hanno ennesimamente lanciato bombe verso la Juventus, e prima o poi dovranno spiegarcelo il perchè. Sto parlando di Guido Rossi e Franco Carraro, rispettivamente coloro che hanno consegnato uno scudetto all’Inter che oggi la Federazione dice di non poter toccare perchè non le compete nonostante le numerose ed evidenti novità venute a galla negli anni (le credo, sig. Rossi, lei non ne sapeva nulla: è l’unica spiegazione che le farebbe conservare un briciolo di dignità sportiva), e che, in alcune delle intercettazioni rinvenute grazie alla ricerca degli avvocati di Luciano Moggi, si preoccupavano affinchè la Juve venisse eventualmente penalizzata dall’operato degli arbitri che avrebbero diretto la squadra bianconera in determinate partite. Certo, c’è qualcuno che sostiene che queste telefonate dimostrano ancor più l’esistenza della cupola, seppur non si capisce secondo quale criterio, ma, se così fosse, perchè Carraro non è stato mai giudicato nè dalla giustizia sportiva, nè da quella ordinaria è uno di quei misteri irrisolti che tali resteranno, con buona pace di chi cerca di capirci qualcosa senza partire da posizioni prevenute, nè in un senso, nè nell’altro. E avete capito bene, nè in un senso, nè nell’altro perchè va bene essere juventini, ma qui nessuno è schiavo di nessuno, con buona pace di chi sostiene il contrario. Semplicemente si prova a capire quello che sta succedendo, quello che è successo, e proprio non si capisce ancora oggi come sia possibile uccidere una squadra come la Juve nelle modalità in cui è stata uccisa nel 2006. Qualcuno mi dirà che le sentenze vanno rispettate, e il sottoscritto non vuole di certo organizzare manifestazioni sovversive, ma sino a quando non verranno mostrate le motivazioni di tali sentenze non si potrà non sottolineare l’incongruenza di alcune accuse passate in giudicato. Ma ci sarà modo di parlarne, non è questo, adesso, il tema del discorso. Torniamo alle parole di Rossi e Carraro, e poi metto un punto perchè ad andar per le lunghe si rischia di annoiare la gente. Guido Rossi: “Se fossero state note anche le altre intercettazioni sin dal 2006, non sarebbe cambiato nulla. Sono stufo di queste cose, chi dice ştronzate va fatto tacere. Quanto accaduto nel 2006 non va riscritto perchè è storia”. Franco Carraro: “La Juventus non può, e lo dico chiaro, dire che ha vinto 29 scudetti, e mettere quel numero nel proprio stadio. Capisco le motivazioni psicologiche che portano Andrea Agnelli ad agire ma è su di lui che incombe la responsabilità di dire, ‘ci sto male, ma la chiudo lì’. Vorrei vederlo fermarsi e dire niente altro che ‘aspetto’”. Si prende atto che: è permesso ad un tifoso nerazzurro, oltre che ex rappresentante del mondo del calcio italiano, insultare una società come la Juve; è una ştronzata ritenere per lo meno ambigue le richieste di un dirigente non juventino di scavalcare il sorteggio, chiedere di rompere l’equlibrio di uno score di un arbitro, avere rapporti diretti con un direttore di gara in attività affinchè questi faccia da “cavallo di Ƭroia” in cambio di un lavoro esterno al calcio (tutto ciò in esclusiva), andare a cena con i designatori e tanto altre cose in comune o meno con altri condannati; il lavoro del procuratore federale Palazzi è degno di lode quando accusa la Juve, ma diventa una ştronzata quando etichetta gli atteggiamenti di altre società come qualcosa di sportivamente più grave di quanto posto in essere da altri soggetti già condannati e giudicati; è lecito che il presidente della Federcalcio faccia pressione sugli arbitri affinchè commettano errori non pro-Juve. Su una cosa siamo d’accordo, però, io e Rossi, qualche ştronzata c’è: in attesa delle motivazioni si può dire che è una ştronzata condannare la gente ad anni di carcere perchè si è giustamente agito nel rispetto del regolamento del gioco nel calcio in episodi quali le ammonizioni di alcuni giocatori in alcune partite, ma questo, guarda un po’, nessuno mai si è mai sognato di farlo presente. E per oggi basta così, non vorrei attirare l’attenzione di qualche altro genio incompreso che oggi scalda la poltrona in Figc: dopo tante perle di saggezza, sotto Natale di abeti vogliamo sentirne parlare solo in un certo contesto. -
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TAVOLO DELLA PACE-1 L'attesa è finita, domani il presidente del Coni Petrucci riceverà i vertici del calcio: assieme al presidente federale Abete ci saranno Moratti Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis Un'occasione per provare a superare Calciopoli ma anche per discutere del futuro della Serie A Si conclude la nostra inchiesta in sette puntate che ci ha accompagnato fino al summit, analizzando lo stato di salute del nostro calcio: quali regole riscrivere per tornare competitivi. Dopo legge 91 competitività, art. 22 bis delle Noif, settori giovanili stadi e merchandising, parliamo di diritti televisivi === Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 13-12-2011) === 7 Ecco perché la tv accende il calcio Garantisce il 63% dei ricavi ma crea spaccature tra i club ___ 01 Quale normativa disciplina in Italia il mercato dei diritti televisivi del campionato? Il mercato dei diritti tv è disciplinato dal decreto legislativo n. 9 del 2008, meglio conosciuto come “legge Melandri”, che ha reintrodotto la vendita collettiva dei diritti tv, riconoscendone la contitolarità alle singole società e alla Lega, organizzatrice del campionato (e anche di Coppa Italia e Supercoppa italiana). Alla Lega viene affidato il compito di modulare l’offerta in “pacchetti” e di gestire la procedura d’assegnazione alle varie piattaforme (satellite, digitale terrestre, radio, nuovi media) dei diversi diritti (a pagamento, in chiaro, highlights etc.). La legge fissa i criteri di ripartizione delle risorse fra i club e introduce il principio di “mutualità” a sostegno della Serie B. ___ 02 Cosa accadeva in passato? Per quanto tempo la vendita è stata individuale? In generale il mercato dei diritti tv in Italia è disciplinato dal 1981. Nel senso comune, quando parla di diritti tv si fa riferimento al mercato dei diritti “in criptato”, cioè per le emittenti a pagamento. Dal 1993, quando Telepiù (poi confluita in Sky) ha iniziato a trasmettere anticipi e posticipi, fino al 1999 la commercializzazione dei diritti è stata collettiva. Dal 1999 il precedente governo di centrosinstra (legge n. 78/1999) aveva invece introdotto la contrattazione individuale dei diritti criptati, per evitare posizioni dominanti nel mercato delle pay tv essendo nel frattempo nata l’altra piattaforma satellitare, Stream (poi fusa con Telepiù in Sky). Nessuno dei due operatori poteva acquisire più del 60% dei diritti. ___ 03 Quanto vale oggi il mercato dei diritti tv del nostro campionato? Nella stagione 2010-2011 la A ha incassato dalla vendita dei diritti tv (tutti i pacchetti) 950 milioni di euro, di cui 790 solo dalle due pay-tv, Sky e Mediaset. Per la stagione in corso Sky ha pagato la stessa cifra dell’anno prima (580 milioni), Mediaset qualcosa in più (225). La Lega Serie A ha già commercializzato, poi, i diritti tv cripati per il prossimo triennio: da Sky e Mediaset incasserà complessivamente 2,442 miliardi di euro per le stagioni 2012-2015. Restano ancora da vendere gli altri pacchetti (highlights, in chiaro, radio etc.) da cui la Lega conta di ricavare altri 400-500 milioni di euro spalmati nel prossimo triennio. ___ 04 Quanto sono cresciuti negli ultimi 15 anni i ricavi legati ai diritti tv? La crescita dei ricavi dalla vendita dei diritti tv è stata più o meno costante, nonostante molti analisti abbiano parlato di “saturazione” del mercato pay-tv come numero complessivo di abbonati. E’ ovvio che il grosso dei ricavi è legato alle trasmissioni a pagamento. Non è un caso che il grande balzo si sia registrato nella stagione 1999-2000, quella del passaggio alla vendita individuale dei diritti e dell’ingresso di un secondo competitor nel mercato della pay tv satellitare. La concorrenza fra Stream e Telepiù ha fatto schizzare i ricavi complessivi della A da 231 a 506 milioni di euro. In pochi anni è cresciuto anche il peso dei diritti tv sui ricavi complessivi dei club: nel 1995-96 era solo del 23%. ___ 05 Quali differenze ci sono rispetto ai principali campionati del resto d’Europa? In valore assoluto la Serie A italiana è subito dietro la Premier League per ricavi dai diritti televisivi. Ma il gap è evidente: nella stagione 2010-2011, contro i 950 milioni di euro portati a casa dal nostro campionato, la Premier ha portato a casa 1.446 milioni di euro. La differenza, come evidenzia uno studio dell’Università di Milano-Bicocca, sta nella maggior internazionalità del prodotto: dai diritti dell’estero la Premier ha ricavato 581 milioni di euro. Gli altri tornei: Liga spagnola terza con 710 milioni, Ligue1 francese quarta con 693 milioni, Bundesliga quinta con 457 milioni. Un occhio ai club più “pagati”: in Italia sono Juve (79 milioni), Inter (75) e Milan (73). ___ 06 Quanto incidono i diritti televisivi sul fatturato dei nostri club? Cosa accade all’estero? Nella stagione 2010-2011 la Serie A ha generato i ricavi più alti di sempre dei diritti tv. E anche l’incidenza sul fatturato è diventata record: dalle televisioni entra nelle casse delle società il 63% delle risorse. Un record fatto registrare soltanto nel 2006-07. Fondamentalmente dal 1999 (due pay tv satellitari, vendita individuale) l’incidenza è stata almeno del 40%: quando è calata, è diminuito anche l’incasso da diritti tv. E’ un rapporto squilibrato rispetto agli altri campionati: in Premier League i diritti sono arrivati a incidere sul fatturato per il 55% solo con gli ultimi contratti; in Liga le tv contano al 49%, in Bundseliga solo al 30%. Più dipendente dalle pay-tv è solo la Francia: il 70% dei ricavi arriva dalla vendita dei diritti. ___ 07 Com’è cambiata l’offerta in pay-tv del campionato dalla stagione 1993-94 ad oggi? La crescita dei ricavi dai diritti “in criptato” va di pari passo con l’avvento delle nuove tecnologie e della modulazione dei pacchetti. Tele+ inizia a trasmettere la Serie A a pagamento nel 1993-94 come pay-tv terrestre, sui vecchi canali analogici: per tre stagioni trasmette solo 28 partite, i posticipi della domenica sera. Perché si arrivi alla messa in onda di tutte le gare della Serie A bisogna attendere il passaggio di Tele+ sul satellite. Dal 1999 la copertura della A è sempre totale ma spalmata tra più competitor e più piattaforme: duopolio Tele+-Stream fino alla fusione, breve parentesi di Gioco Calcio che si affianca a Sky nel 2003-2004, poi sfida satellite (Sky)-digitale terrestre (Mediaset-Cartapiù/Dahlia La7) fino al 2010. ___ 08 Vendita collettiva: come funziona la ripartizione dei ricavi tra i club della Serie A? Lo schema attuale rispecchia quello previsto dalla legge Melandri, ma è suscettibile di correzioni da parte della Lega di Serie A che può bilanciare diversamente le voci. I ricavi (al netto dei vari contributi di mutualità) vengono così ripartiti: un 40% viene diviso in parti uguali tra i 20 club di A; un 30% viene ripartito in base a una graduatoria che tiene conto dello storico dei risultati dal 1946-47 in poi; l’altro 30% è ripartito in funzione dei bacini d’utenza. Il 30% destinato ai bacini d’utenza è così composto: 25% ripartito in base al numero dei sostenitori (la legge parla solo di indagini demoscopiche, ma ora entrerà in gioco anche l’Auditel), un 5% ripartito in base alla popolazione dei Comuni di riferimento dei club. ___ 09 Calcolo dei bacini d’utenza: perché le società di A non sono tutte d’accordo? Il calcolo del bacino d’utenza terrà conto alla pari di due voci: indagini demoscopiche e dati Auditel. Sulle indagini demoscopiche (tre società con l’ipotesi di Mannheimer come supervisore), cioè i sondaggi, le grandi società spingevano per la preferenza unica, le altre per una risposta multipla. Alla fine sarà adottata questa soluzione, che tutela i club di provincia: un veronese, per esempio, può dichiararsi sostenitore dell’Inter e del Chievo allo stesso tempo. Lungo dibattito anche sull’impiego dell’Auditel: Milan-Lecce, per esempio, avrà come spettatori più tifosi tra i rossoneri, ma l’indice d’ascolto verrà attribuito in egual misura ad entrambe le società. Roma, Napoli e Cagliari hanno votato no all’accordo per il 2010-11. ___ 10 Indagini di mercato: se il tifoso può indicare due club e non uno, chi perde e chi ci guadagna? Al netto dei contributi di mutualità, in base ai bacini d’utenza nell’ultima stagione è stata divisa una torta da circa 200 milioni di euro. Nel passaggio da indagini di mercato a preferenza unica (la squadra del cuore) a quelle con risposta multipla (si tifa per una squadra, ma si simpatizza per un’altra) a perdere di più sono Juve, Inter e Milan, in ogni caso i tre club con il più ampio bacino d’utenza: le flessioni sono stimabili tra il 20% e il 28%, fino a 10 milioni di euro. Viceversa guadagnano i club di provincia: Il Chievo, per esempio, arriva a quintuplicare i ricavi, perché si porta dietro i voti dei “simpatizzanti” che hanno magari scelto una big come squadra del cuore. ___ l'intervento di... ENRICO BENDONI «Servono altre risorse oltre alle tv o in Lega sarà sempre divisione» Il problema dei diritti televisivi del calcio italiano è strettamente legato alla legge che ha imposto la vendita centralizzata delle immagini del campionato, mettendo in qualche modo nelle mani della Lega più di due terzi del fatturato complessivo del calcio. La perdita del controllo dei propri ricavi, ha avuto l’effetto di far giocare in difesa tutti i presidenti, responsabili delle proprie aziende - alcune quotate - al punto da giustificare le regole statutarie riservate alla nuova “serie A”, finalizzate ad una gestione assembleare, dall’esterno non sempre comprensibile. Il calcio è il motore positivo del nostro sport, una locomotiva in grado di trainare il sistema. Oggi non può farlo. E’ sicuramente litigioso e appare quasi isolato, ma ha le sue ragioni e non solo colpe. Se guardiamo alla politica e alla scarsa attenzione alla situazione degli stadi c’è da chiedersi se servano o meno. Le entrate di quasi tutte le società italiane sono principalmente vincolate ad una sola voce, la tv, quando l’Europa e il mondo occidentale in genere testimoniano che una gestione diretta della propria casa consente di portare il relativo introito almeno ad un terzo dell’incasso stagionale, patrimonializzando l’azienda e rendendo meno volatile l’attività. Questo tema merita spazio in ogni tavolo dedicato al nostro sport. Il presidente del Coni e il presidente della FIGC hanno il ruolo per assumere la guida di una vera rifondazione. Lasciando il calcio a dipendere dai soldi della televisione, col rischio di veder deperire il campionato per le immagini prodotte in ambienti spesso semideserti, poco illuminati e con terreni malridotti, avremo la costante di una Lega di A divisa e macerata dall’interesse di ogni spartizione delle risorse comuni, nel gioco delle maggioranze che un giorno pagano e il giorno dopo tolgono. Chi ha voluto la Lega di serie A sognava un interesse reale di tutti i soci, la partecipazione attiva ed entusiasta delle dieci-dodici società maggiori, quasi sempre escluse dal rischio di turnover con la serie B. Oggi si sente Blatter parlare di un ritorno alle 16 squadre per rendere la stagione ideale, migliore e forse più ricca. Da noi sarà un’impresa improbabile, perché nel gioco delle maggioranze della serie A il quorum per ridurre il numero di chi si siede a spartire il denaro delle tv non sarà raggiunto. E il governo del calcio non sarà mai delle 10-12 principali realtà, ma degli interessi del momento. In un torneo a 16 squadre si giocano 240 partite in 30 giornate, contro le attuali 380 in 38. Non più turni infrasettimanali e spazio perfino per una Coppa di Lega, il terzo torneo. La tv offrirebbe comunque le sue 5 finestre di finesettimana, lasciando alla domenica pomeriggio 4 partite. Per essere uniti nel calcio bisogna cercare il denominatore comune. Costruiamo gli stadi. Non è speculazione, ma vita e lavoro. Agli errori è sempre possibile rimediare. Con l’introduzione della vendita collettiva, ad esempio, una grande retrocessa in B non avrebbe salvezza, il suo valore televisivo finirebbe disperso. Fino al 2010 non era così. Chi non vuole lo “spezzatino” pensi che oggi il vero stadio è virtuale e che giocando senza concorrenza si vince negli ascolti e si fa cassa. La suddivisione delle risorse prevede una percentuale legata al peso dell’auditel: in Lega ci sarà sempre la corsa a giocare in condizioni di esclusiva, quando chi ha pagato l’abbonamento non può scegliere e chi scommette può puntare su un solo evento da seguire in tv, sperando di incassare la vincita. Se poi ci mettiamo le alluvioni e i problemi legati al ranking Uefa, hanno tutti ragione. Enrico Bendoni, giornalista, come manager ha lavorato per Italia ‘90, Uefa, Fifa, Lazio e Roma -
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TAVOLO DELLA PACE-2 Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme al presidente federale Abete ci saranno Moratti Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis Un'occasione per provare a superare Calciopoli ma anche per discutere del futuro della Serie A Prosegue la nostra inchiesta in sette puntate che ci accompagnerà fino al summit. Analizziamo lo stato di salute del nostro calcio: quali regole riscrivere per tornare protagonisti. Dopo legge 91, competitività, art. 22 bis delle Noif, settori giovanili e merchandising, parliamo della legge sugli stadi === Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 12-12-2011) === 6 Una nuova casa per club e tifosi Procedure più snelle e risorse per costruire impianti: cosa cambierà ___ 01 Che cos’è la legge sugli stadi e quali materie disciplina? La cosiddetta “legge sugli stadi” è un testo che nasce dalla sintesi di tre distinti disegni di legge (n. 1193, 1361, 1437). E’ rubricata come “disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi e stadi anche a sostegno della candidatura dell’Italia a manifestazioni sportive di rilevo europeo o internazionale”. Lo scopo della legge è incentivare, anche attraverso la semplificazione dell’iter burocratico, la realizzazione di nuovi impianti o la ristrutturazione di quelli esistenti, in modo da garantire la sicurezza delle strutture sportive ma anche adeguare il parco impianti alle normative internazionali per ospitare eventi come gli Europei di calcio, ad esempio. ___ 02 A che punto è attualmente l’iter parlamentare per l’approvazione della nuova legge? L’iter parlamentare è stato piuttosto complesso. Del resto l’attuale testo è la sintesi di tre proposte distinte. Tra i temi sui quali si è dibattuto di più ci sono le ricadute di impatto ambientale legate alla semplificazione del rilascio delle concessioni edilizie, tenendo conto che la costruzione di nuovi impianti consente anche di realizzare strutture di tipo residenziale. Lo scorso 6 ottobre il testo è stato approvato dalla commissione cultura della Camera in sede referente. E, questa la novità, si è deciso di proseguire l’iter in commissione in sede legislativa senza dover passare così per il voto del Parlamento. Il via libera era previsto per fine novembre, la crisi di governo ha inciso sul calendario. ___ 03 A quali impianti si applica la legge? E’ possibile anche realizzare strutture di tipo residenziale? Il testo fa riferimento ad impianti con una capienza di almeno 15. 000 posti a sedere allo scoperto e di 7.500 posti al coperto, indicando precise direttive da rispettare in sede di progettazione. Si dà anche la possibilità di realizzare “complessi multifunzionali”: assieme allo stadio è possibile realizzare altri impianti sportivi e strutture ricettive e commerciali. Non solo, si dà la possibilità di realizzare accanto agli impianti sportivi in senso stretto, e alle strutture comunque legate alla fruibilità dello stadio, anche degli insediamenti residenziali (cioè per uso abitativo) o direzionali (uffici), il che può essere funzionale pure a progetti di riqualificazione urbana dei quartieri interessati. ___ 04 Oltre alle società chi può proporre la realizzazione (o ristrutturazione) di uno stadio? La possibilità di proporre la realizzazione di un nuovo stadio (o la ristrutturazione di uno esistente) spetta innanzitutto alla società sportiva che fruirà (o fruisce già) prevalentemente dell’impianto. Il “soggetto proponente” può essere anche una società di capitali controllata dallo stesso club. La proposta può anche arrivare da soggetti privati o pubblici, comunque interessati a partecipare all’investimento e che abbiano un accordo con il club. L’accordo può prevedere sia la vendita alla società sportiva sia la concessione dei diritti d’uso per almeno venti anni di tutto il complesso o anche del solo stadio. ___ 05 Come si individua l’area dove costruire i nuovi complessi multifunzionali? Serve un’intesa tra il “soggetto proponente” (il club, una joint-venture tra club e altri soggetti) e il Comune nel cui territorio deve essere realizzato l’impianto: entrambi possono proporre un’area per la realizzazione dell’impianto, supportando la scelta con uno studio di fattibilità. Dalla presentazione di questo studio il Sindaco ha 60 giorni per promuovere un accordo di programma: il progetto verrà dichiarato di pubblica utilità e alle opere verrà riconosciuto il carattere di indifferibilità ed urgenza. L’impianto può sorgere sull’area di un privato ma anche su un’area di proprietà del Comune. In questo caso l’amministrazione può vendere l’area al club o concedere il diritto di superficie. ___ 06 Quali criteri bisogna seguire nel progettare i nuovi impianti sportivi? Ci sono parametri strutturali ed economici da rispettare. Sul piano strutturale, gli impianti devono essere disegnati sul “modello inglese”: distanza ridotta tra le tribune e il campo, migliori condizioni di visibilità possibili, con un’attenzione anche alle riprese televisive, elevati standard di sicurezza. Devono inoltre prevedere locali da destinare a servizi commerciali, attività sportive e sociali che siano aperte alla cittadinanza: l’idea, dal punto di vista del Comune, è quella di operare interventi di riqualificazione urbana. Dal punto di vista economico, lo stadio e il complesso devono essere dimensionati per avere un equilibrio tra i ricavi complessivi (biglietti ma anche attività commerciale) e i costi di gestione. ___ 07 E’ possibile ristrutturare e privatizzare impianti già esistenti? Una delle possibilità previste dalla nuova normativa è quella di ristrutturare gli impianti già esistenti e privatizzarli. Il Comune, fatta una stima dello stadio, può cedere i diritti di proprietà o quelli di superficie (per almeno 50 anni) alla società (o alle società) che utilizzano prevalentemente la struttura. Assieme all’impianto, possono essere ceduti, per esempio, parcheggi, biglietterie, gli eventuali altri fabbricati del complesso già esistente. Da una parte la società dovrà garantire che il nuovo complesso servirà anche per funzioni sociali e pubbliche; dall’altra il Comune può agevolare il club consentendo, ad esempio, di ampliare le cubature già esistenti se questo garantirà un equilibrio gestionale. ___ 08 Quali vantaggi garantisce la nuova legge ai club sul piano economico? La nuova normativa punta a garantire alle società tempi più rapidi per concludere l’iter burocratico e quindi dare il via ai lavori. Ma ai club offrirà anche un sostegno sul piano economico, attraverso un piano triennale di intervento straordinario per l’impiantistica sportiva. Il piano d’intervento è un decreto che il Governo dovrà emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge sugli stadi. Si tratta di contributi destinati ad abbattere gli interessi sui prestiti erogati dal Credito Sportivo. Per l’accesso ai contributi si darà priorità ai complessi multifunzionali in grado di garantire un processo di riqualificazione urbana. Inoltre viene quantificata nello 0,5% la quota dei proventi dei diritti tv che la Lega dovrà destinare all’impiantistica. ___ 09 Juventus Stadium primo impianto di proprietà in A: ci sono già state altre esperienze? Club come Lazio e Roma seguono con interesse l’iter della nuova legge. Intanto la Juve s’è mossa senza aspettare: lo Juventus Stadium, inaugurato quest’anno, è stato realizzato sull’area dove sorgeva il vecchio “Delle Alpi”: 41.000 posti a sedere, nessuna barriera, tifosi praticamente sul terreno di gioco, è il primo impianto di proprietà in Serie A. In Italia c’è un precedente datato 1995: il “Giglio” di Reggio Emilia. Fu costruito da una controllata della Reggiana e in parte finanziato anche dai tifosi emiliani con la sottoscrizione di abbonamenti pluriennali. Design all’inglese, è stato ampliato con un centro commerciale e oggi, dopo la fine della “vecchia” Reggiana, è un bene del tribunale. Curiosità: fu inaugurato nel 1995 in un match contro la Juve. ___ 10 Perché lo stadio di proprietà può aiutare i club a far aumentare il fatturato? Innanzitutto l’impianto di proprietà rappresenterà un’importante voce dello stato patrimoniale nel bilancio dei club. Per quanto riguarda il fatturato, nuove strutture consentiranno di aumentare i ricavi da stadio riequilibrando i rapporti di forza tra il botteghino e i diritti tv: impianti più moderni e pensati per il calcio, con più servizi per il pubblico, attrarranno di più i tifosi e consentiranno anche nuove strategie di pricing dei biglietti. Uno stadio di proprietà consentirà di aumentare gli introiti da attività commerciali e di generare ricavi non solo nei giorni dell’evento sportivo. Lo store, il museo e i tour virtuali aumenteranno la fidelizzazione dei tifosi con positive ricadute per il merchandising. ___ l'intervento di... FRANCESCO CALVO «E’ una nuova idea di stadio: per il calcio un futuro più solido» L’idea di uno stadio di proprietà nasce dalla riflessione, iniziata quasi 20 anni fa, sul futuro del calcio inteso come componente fondamentale del comparto entertainment. Juventus, per prima in Italia, ha colto l’urgenza della progettazione di un impianto di proprietà che potesse rompere con quanto visto finora, con l'obiettivo di rinnovare l’approccio alla fruizione che lo spettatore del calcio ha in Italia e, non ultimo, coinvolgere tutte le componenti aziendali in un innovativo piano di ammodernamento delle attività di business. Un piano generato per trasformare lo stadio in viatico per l’incremento dei ricavi, grazie al quale poter raggiungere un flusso di ricavi più bilanciato e competere alla pari con i più importanti club europei. Per far questo, nel 1996 partiva l’iter a tappe che ha portato alla definizione di uno stadio capace di collocarsi al livello dei migliori impianti europei. In questo cammino sono stati fondamentali tre fattori: la stretta collaborazione con gli enti governativi locali, a partire dalla Città di Torino, l’articolato ed efficace piano di financing dell’opera e la capacità di equilibrare gli investimenti societari sul piano puramente sportivo con un’attenta gestione. Grazie al bilanciamento di tutti gli elementi è stato possibile costruire, in pochi anni, una struttura dotata dei migliori standard di sicurezza, in grado di garantire una qualità di visione unica (7,5 mt di distanza tra il campo e la prima fila) e capace di ospitare 41.000 spettatori. Nasce il concetto di “sport production”, un nuovo modo per far vivere ai tifosi l’evento partita. Allo Juvents Stadium, infatti, gli appassionati bianconeri, oltre allo spettacolo calcistico, ritrovano momenti d’intrattenimento musicale, giochi, eventi sponsor (visibili anche grazie ai quattro maxischermi presenti all’interno). Lo stadio, inoltre, come centro di attività corporate e business sette giorni su sette. Nei primi tre mesi di vita, lo Juventus Stadium ha già ospitato numerosi eventi di aziende che hanno scelto il palcoscenico dello stadio come originale location per eventi business (meeting, cene aziendali, feste, ecc…). Da novembre, poi, sono iniziati gli Stadium Tours, le visite accompagnate all’interno delle aree “sacre” dello stadio che hanno riscosso un enorme successo, tanto da costringere la Direzione dello Stadio, guidata da Francesco Gianello, ad aggiungere nuovi turni di visita. Nella prossima primavera, a completare i tour si aggiungerà la visita al Museo ora in costruzione. I primi risultati, dunque, testimoniano una rapida crescita – in termini di volume di attività e di business - e un grande successo di pubblico testimoniato dalla serie positiva di sold out realizzati in tutte le gare interne finora disputate. La caccia al biglietto è diventata un classico settimanale per i tifosi della Juventus e i margini di sviluppo, in termini di utilizzo della struttura, sono molto interessanti. Gli stessi giocatori hanno testimoniato quanto l’energia trasmessa dal pubblico presente nello stadio sia ormai un elemento essenziale nell’approccio agonistico con cui la squadra affronta gli avversari: possiamo parlare senza enfasi del cosiddetto “dodicesimo uomo in campo”. Con lo Juventus Stadium dunque, la Juventus ha centrato immediatamente l’obiettivo e il pubblico bianconero ha capito fin da subito di far parte di un progetto unico, di un’idea di stadio che potrebbe essere condivisa anche dalle altre società italiane e che è, al momento, la sola sostenibile per un sistema calcio dalle basi più solide e dal futuro più sicuro. Francesco Calvo è direttore commerciale e marketing della Juventus -
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TAVOLO DELLA PACE-3 Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme al presidente federale Abete ci saranno Moratti Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis Un'occasione per provare a superare Calciopoli ma anche per discutere del futuro della Serie A Prosegue la nostra inchiesta in sette puntate che ci accompagnerà fino al summit. Analizziamo lo stato di salute del nostro calcio: cosa cambiare e quali regole riscrivere per tornare protagonisti Dopo legge 91, competitività, articolo 22 bis delle Noif e vivai, la quinta puntata affronta il merchandising === Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 11-12-2011) === 5 Più maglie vendi più stelle compri L'esempio di Premier, Liga e Bundesliga per aumentare i ricavi ___ 01 Quali sono i ricavi generati complessivamente dalle società della Serie A? L’ultimo rapporto della Deloitte calcola in 1, 532 miliardi di euro il fatturato della Serie A. Un dato che colloca l’Italia nettamente alle spalle della Premier League che due stagioni fa ha generato ricavi per 2, 5 miliardi di euro. Alle spalle dell’Inghilterra ci sono Germania (1,664 miliardi di euro di ricavi per la Bundesliga), Spagna (1, 622 miliardi), quindi l’Italia al quarto posto e la Francia (1,072 miliardi di fatturato per la Ligue1). Mentre per l’Italia il dato è sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente, come accade anche per la Francia, Premier League, Bundesliga e Liga hanno fatto registrare una crescita che è arrivata anche all’8% nonostante la crisi finanziaria. ___ 02 Quanto incidono i ricavi da sponsor e merchandising sul fatturato rispetto all’Europa? Al di là del valore assoluto del fatturato, rispetto alla Premier League, lo abbiamo già spiegato a proposito di competitività, l’Italia ha un rapporto più squilibrato tra le varie voci che compongono i ricavi. In altre parole, il nostro campionato, e di conseguenza il livello di competitività dei nostri club, anche a livello di calciomercato, è fortemente condizionato dai diritti tv. Per la Serie A la voce più importante resta quella dei diritti tv che “pesa” il 63%, contro il 24% dei ricavi commerciali e il 13% degli introiti da stadio. Per far crescere il fatturato, bisogna operare in queste due direzioni: ricavi da stadio e attività commerciali. ___ 03 Cosa accade invece negli altri campionati europei a livello di merchandising? Considerando i primi cinque campionati europei, l’Italia per fatturato si piazza al quarto posto, facendo meglio solo della Francia. Ma deve rincorrere gli altri campionati anche sul piano dell’equilibrio tra le varie voci che compongono il fatturato. Per anni la Premier League ha rappresentato il modello ideale: oggi l’incidenza dei diritti tv è superiore al 50% in funzione dell’ultimo accordo con Sky, ma merchandising e ricavi da stadio hanno praticamente lo stesso peso. Molto interessante il dato della Bundesliga, con un 45% di ricavi commerciali, cioè sponsor e merchandising, che sul fatturato incidono addirittura di più dei diritti tv (che hanno meno appeal sui mercati internazionali), fermi al 30%. ___ 04 Quali sono i club europei con ricavi più elevati generati da merchandising e sponsorizzazioni? Liga e Premier sono i campionati più ricchi, ma il primato spetta al Bayern Monaco con 173 milioni da sponsor e merchandising, un dato influenzato molto anche dal contratto di sponsorizzazione dello stadio (Allianz). Seguono il Real Madrid (151) e il Barcellona (122), che sono i due club che in tutta Europa generano il fatturato più elevato. Al quarto posto il Manchester United (99). Nella top 20, secondo la ricerca elaborata dall’Università di Milano “Bicocca”, la Premier League piazza 6 squadre (anche Chelsea, Arsenal e Tottenham), l’Italia cinque, la Germania quattro, la Francia due come la Spagna. ___ 05 Rispetto agli altri top club europei come si piazzano le nostre società in classifica? In fatto di ricavi aggregati da marketing e merchandising, il piazzamento delle italiane nella top 20 riflette in qualche modo la classifica dei club più ricchi. Il Milan è quello con il fatturato più alto (235, 8 milioni) ed è anche quello che dal marketing e dal merchandising ottiene di più, 63 milioni di euro che valgono un ottavo posto nella classifica europea. Il club rossonero è seguito da Juve (dodicesima con 56 milioni), Inter (quattordicesima con 48 milioni), quindi Napoli e Roma a chiudere la top 20 (38 milioni). Si tratta di un dato aggregato: quando ci si sposta sui ricavi da merchandising e sponsorizzazioni, si ragiona su cifre molto più basse. ___ 06 Tra sponsor e merchandising quanto ricavano oggi i nostri club di Serie A? Le due voci principali sono gli sponsor di maglia e il merchandising in senso stretto. Che ovviamente non comprende solo i prodotti tecnici (divise da gara, materiale da allenamento etc.) ma tutta una serie di gadget con il marchio dei club di A per i quali le società concedono la licenza alle aziende produttrici. Dal merchandising in senso stretto la Serie A ha raccolto nell’ultima stagione 77 milioni di euro, con un’incidenza sul fatturato del 4, 4%. Le sponsorizzazioni di maglia hanno fruttato 66 milioni di euro. Il mercato delle sponsorizzazioni, come fotografa il Rapportocalcio 2011 della Figc, è cresciuto nell’ultimo triennio dell’8, 3%: lo sponsor di maglia rappresenta il 44% degli introiti, quello tecnico vale il 15%. ___ 07 Perché all’estero riescono a creare più fidelizzazione e a vendere più prodotti ufficiali? Si sommano due fattori. Da una parte all’estero sono state adottate in questi anni strategie di marketing più efficaci, promuovendo tutto ciò che è prodotto ufficiale. Lo dimostrano anche i risultati già citati relativi alla Bundesliga, un campionato con meno appeal rispetto alla Premier che, però, riesce a “vendere” il suo prodotto. Dall’altra contano fattori culturali, di contesto. Le divise da gioco, il prodotto ufficiale per eccellenza, sono il principale elemento che costituisce l’identità visiva di un club: andare allo stadio con la maglia ufficiale è un modo per ribadire l’appartenenza al sistema di valori che una squadra rappresenta. Ed è passato anche il concetto che il tifoso, acquistando materiale ufficiale, aiuta il suo club ad essere sempre più competitivo. ___ 08 Maglie ufficiali: quali sono oggi le dimensioni del mercato italiano? Da parte degli sponsor tecnici c’è molta riservatezza sui dati. Secondo PR Marketing, le dimensione del mercato europeo sono di 13, 7 milioni di maglie vendute (l’83% di squadre Nike e Adidas). In Italia le squadre che vendono più maglie sono Inter, Juve e Milan (le prime due Nike, la terza Adidas): si stima fino al 2010 un volume di vendite che oscilla tra 400 e 600 mila pezzi. In Europa le maglie che vendono di più sono quelle di Manchester United e Real Madrid (1,2-1,5 milioni) e Barcellona (1-1,2 milioni). In Italia, dietro Inter, Juve e Milan, ci sono Napoli e Roma. Per il Napoli l’italiana Macron stima in 35. 000 maglie il volume di vendite in un anno. ___ 09 Maglie dei top club: in Italia sono più care rispetto all’estero? Le maglie rappresentano il 50% delle vendite. Le vendite di club come United, Real o Barça sono più elevate, valgono 2-3 volte un top club italiano, sia perché c’è una maggior riconoscibilità del marchio a livello internazionale, sia perché da noi c’è da fare i conti con l’invasione dei prodotti contraffatti. Esistono anche delle differenze di prezzo. In Italia si viaggia in media sugli 80 euro per una maglia replica: Inter e Juve vestono Nike (79 euro); Milan indossa l’Adidas (79 euro); la Roma è marchiata Robe di Kappa (80 euro); la Lazio ha materiale Puma (75 euro); il Napoli è Macron (90 euro). Fate un giro sugli store on line degli altri club: United (Nike) a 45 euro, Chelsea (Adidas) a 42. ___ 10 Quali sono i canali di vendita più utilizzati oggi dalle società? Il materiale tecnico dei principali club italiani sfrutta anche i canali della distribuzione tradizionale (negozi di articoli sportivi, negozi monomarca). Per tutte le società di Serie A il canale preferenziale resta l’e-commerce: sugli store on line è possibile personalizzare le maglie (che di base sono prodotte senza numero e senza nome sulle spalle), acquistare tutto il materiale tecnico, ma anche una lunga serie di gadget e prodotti “marchiati” con i colori sociali. C’è poi l’esperienza degli store ufficiali: Inter e Milan hanno punti vendita in centro e a San Siro; nella Capitale gli AS Roma Store e i Lazio Style coprono diversi quartieri della città. L’esperienza di uno store nello stadio di proprietà, però, è un’esperienza provata solo dalla Juve. ___ l'intervento di... MARCO FASSONE «Marketing più attento ai grandi sponsor e lotta ai prodotti contraffatti» Nell'ambito dell'ampio dibattito che sta caratterizzando il nostro movimento da qualche tempo, assume particolare rilievo la discussione intorno alle modalità attraverso le quali il calcio italiano potrebbe significativamente aumentare i propri ricavi e ritrovare competitività con i Paesi che meglio hanno agito in questa direzione. I ricavi caratteristici di una società calcistica professionistica di alto livello dipendono sostanzialmente da tre fonti: la cessione dei diritti audiovisivi, lo stadio, ed il marketing; quest'ultimo inteso come la somma di sponsorizzazioni, merchandising e licensing. I ricavi derivanti dallo sfruttamento di quest'ultimo territorio vivono da alcuni anni una situazione di staticità, pur avendo alcune società adottato strategie innovative e da seguire in futuro (ridotto numero di partner, alta qualità delle aziende, basso affollamento pubblicitario). Sul fronte delle sponsorizzazioni il nostro mercato presenta limiti molto evidenti, che continuano a tenere lontani dai nostri campi di gioco i marchi di molte prestigiose firme nazionali ed internazionali che avrebbero tutto l'interesse a sposare il calcio italiano. E le ragioni non sono certo da ascrivere solo ad una diminuita qualità complessiva del nostro prodotto, poiché le audience televisive continuano ad essere di assoluto rispetto ed a primeggiare su qualsiasi altro competitor in ambito sportivo. Quanto piuttosto alla nostra difficoltà, come movimento, ad adeguarci culturalmente alle nuove esigenze delle imprese, sempre più alla ricerca di prodotti e servizi customizzati, che oltre a dare visibilità e reputazione al marchio oggetto di sponsorizzazione, sappiano al contempo creare un rapporto diretto ed efficace tra il club e la base dei loro consumatori. Giova ricordare come le imprese abbiano oggi bisogno di trasformare in evento ciò che è ordinario, di ottimizzare budget ridotti rispetto al passato distraendoli da investimenti tabellari di tipo tradizionale, e di sapersi ritagliare uno spazio nella mente del tifoso, associando il proprio Brand al nome del club in modo memorabile. Insomma, sempre meno pacchetti rigidi e sempre più prodotti tailorizzati, meglio se seguiti in prima persona dalle società calcistiche: il progressivo inserimento di giovani manager provenienti dall'industria, ed avvezzi a ragionare in chiave di Consumer marketing, potrebbe aiutare le società a migliorarsi in questo ambito. Inoltre non va trascurato il ruolo che potrebbe giocare, anche in ambito marketing, una Lega di serie A realmente capace di intercettare le esigenze di quelle aziende nazionali di grandi dimensioni e di rilevante penetrazione popolare, che oggi sono distanti dal mondo del calcio solo per paura di schierarsi con quel player anziché con quell'altro. Con un'offerta di tipo collettivo in taluni casi si potrebbero raggiungere obiettivi che individualmente sono quasi impossibili. Minori, a mio avviso, i margini di crescita reali nel settore del Licensing e del merchandising, dove persistono, nel nostro Paese, forti resistenze culturali all'utilizzo di prodotti ufficiali del club, rispetto alla mentalità anglosassone. Ciò nonostante una più attenta logica della qualità dei prodotti, oggi spesso bassissima, ed una reale volontà politica di contrastare il fenomeno della contraffazione (le leggi ci sono, basterebbe applicarle!) potrebbero generare un incremento comunque non irrilevante di fatturati oggi marginali. Marco Fassone è general manager del Napoli -
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TAVOLO DELLA PACE-4 Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme al presidente federale Abete ci saranno Moratti Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis Un'occasione per provare a superare Calciopoli ma anche per discutere del futuro della Serie A Prosegue la nostra inchiesta in sette puntate che ci accompagnerà fino al summit. Analizziamo lo stato di salute del nostro calcio: cosa cambiare e quali regole riscrivere per tornare protagonisti Dopo legge 91, competitività e articolo 22 bis delle NOIF, la quarta puntata é sui settori giovanili === Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 10-12-2011) === 4 Puntare sui vivai é un buon affare Rose più giovani e meno costose. Ma i talenti vanno "blindati" ___ 01 L’Italia e i vivai: com’è strutturata l’attività giovanile all’interno della Federcalcio? Il settore giovanile della Figc (al di là dell’attività scolastica che non è riconducibile alle società) è articolato in attività di base e attività agonistica. La distinzione è per fasce d’età: dai 5 ai 12 anni si parla di “attività di base”, quella che viene definita nel senso comune “scuola calcio”, con i baby calciatori impegnati nelle categorie Piccoli Amici, Pulcini ed Esordienti. Dai 12 anni in su si passa nella “attività agonistica”, che coincide con le categorie Giovanissimi e Allievi. C’è poi l’attività riservata agli Under 19, con campionati che assumono una denominazione diversa a seconda della categoria in cui milita il club di appartenenza. ___ 02 Come sono articolati i campionati dell’attività agonistica? Il Settore Giovanile Scolastico della Figc organizza i campionati Giovanissimi (under 14) e Allievi (under 16), con una distinzione operata tra le società professionistiche e quelle che fanno parte dei dilettanti. Il campionato Allievi Nazionali è suddiviso in due categorie: A e B da una parte, Lega Pro dall’altra. Nei Giovanissimi la separazione avviene nei play off scudetto. I club di A e B hanno la possibilità di iscrivere una seconda formazione che andrà a confrontarsi con le squadre di Prima e Seconda Divisione, ovviamente giocando fuori classifica per lo scudetto di categoria. Il campionato Under 19 assume la denominazione di torneo “Berretti” per la Lega Pro e di Campionato Primavera per la Lega Serie A e la Lega di B. ___ 03 A quali campionati devono partecipare le società di A e B? Possono iscrivere delle squadre “bis”? Per le società di A e B è obbligatoria la partecipazione al Campionato Primavera, a quelli Allievi Nazionali e a quello Giovanissimi Nazionali. Per il campionato Allievi, tuttavia, è prevista una deroga per motivi logistici ai club sardi e siciliani: Cagliari, Catania e Palermo, però, prendono regolarmente parte agli Allievi e anche ai Giovanissimi. Per consentire al maggior numero di ragazzi di giocare e crescere, c'è la possibilità di iscrivere delle formazioni “B" ai campionati Allievi e Giovanissimi, fuori classifica. In più si può partecipare al torneo Berretti, equivalente alla Primavera come fascia d'età: in questo caso ci sono play off scudetto distinti, da una parte A e B, dall'altra la Lega Pro. ___ 04 I calciatori dei vivai sono divisi in categorie distinte tra pro’ e dilettanti? Sì, è una classificazione basata esclusivamente sulla categoria in cui milita la società di appartenenza e che delinea per i tesserati due percorsi diversi per la propria carriera e il passaggio ad altre società. Dagli 8 ai 16 anni il calciatore è definito “giovane”, e si lega alla società di appartenenza con un vincolo annuale. Già a 14 anni può cambiare lo status: se si è tesserati per una società dilettante si rientra nella categoria dei “giovani dilettanti”; se si è tesserati per un club professionistico, invece, si rientra nella categoria dei “giovani di serie”. Per i club di A, B e Lega Pro, un “giovane di serie” non ha ancora assunto lo status di professionista. ___ 05 Per quanto tempo un ragazzo delle giovanili resta legato al club per cui è tesserato? Tra i dilettanti vige ancora il vincolo: il tesseramento contratto dai “giovani dilettanti” dall’età di 14 anni dura fino al compimento del 25° anno d’età del calciatore, il cui passaggio da un club all’altro (anche verso i professionisti) è disciplinato in maniera dettagliata per tutelare gli investimenti che le società sostengono per i vivai. Il discorso è diverso nei campionati di A, B e Lega Pro. La sentenza Bosman ha abolito il vincolo per i professionisti: un giocatore è libero a scadenza di contratto. Per i “giovani di serie”, tuttavia, è previsto un vincolo fino all’anno in cui il ragazzo compie 19 anni. In quell’ultima stagione l’atleta ha diritto ad un contratto di addestramento tecnico che prevede un indennizzo economico. ___ 06 Cosa accade quando i club pro’ pescano talenti nelle società dilettantistiche? Per tutelare l’attività di vivaio dei club dilettanti o delle società che svolgono puro settore giovanile, sono previsti dei meccanismi di indennizzo. Per i “giovani dilettanti” che si svincolano firmando un contratto da professionista, il vecchio club riceverà un “premio alla carriera” pari a 18mila euro per ogni anno in cui ha formato il ragazzo in occasione del debutto in A e per il debutto con la Nazionale maggiore o l’under 21. Per i maggiorenni (“non professionisti”) che firmano per un club pro’, c’è un premio prestabilito: ad esempio, un under 21 “pescato” in Serie D ad una società di A costerà 93mila euro. Diverse le tutele, invece, per i ragazzi dei vivai dei club professionisti. ___ 07 A quale età può il “giovane di serie” firmare il suo primo contratto da professionista? E’ possibile firmare il primo contratto da professionista dopo aver compiuto 16 anni. Lo status di professionista (e quindi la firma del contratto) diviene un diritto quando il giovane totalizza un certo numero di presenze: in A, per esempio, la soglia è di 10 gare tra campionato e Coppa Italia. Normalmente il percorso previsto per gli atleti del vivaio è questo: a 16 anni vengono tesserati come “giovani di serie”; nell’ultima stagione di vincolo come “giovani di serie” percepiscono un indennizzo come “addestramento tecnico”. Dopo i 19 anni, se non sottoscrivono un contratto da professionisti, sono svincolati e liberi di accordarsi con altre società. ___ 08 Quali sono gli stipendi minimi da garantire ai calciatori del vivaio? Di base, i “giovani di serie” non percepiscono alcun compenso. L’addestramento tecnico scatta nell’ultimo anno di vincolo (quello in cui il ragazzo compie 19 anni) e prevede un indennizzo di 15.000 euro lordi. Diversi, invece, i minimi salariali previsti all’Accordo collettivo Lega-Aic per i ragazzi che hanno già firmato un contratto da professionisti. A 16 si può firmare il primo accordo, che non può durare più di tre anni: il minimo salariale è di 20. 000 euro lordi l’anno. Dopo i 19 anni si possono sottoscrivere accordi pluriennali (per un massimo di 5 stagioni) e lo stipendio minimo parte da 29.000 euro lordi. Esempio: avere una rosa Primavera di 25 giocatori tutti sotto contratto costerebbe almeno 375. 000 euro lordi. ___ 09 Gli investimenti dei nostri club sono tutelati? Perché i baby vanno all’estero? Un “giovane di serie” può firmare un contratto da professionista con un’altra società: in questo modo decade il vincolo speciale per gli under 19. Al vecchio club verrà riconosciuto un indennizzo calcolato in base ai parametri Fifa. Ovviamente l’indennizzo è ancora più basso se il ragazzo non è stato ancora tesserato come “giovane di serie”: ecco perché molti club stranieri, specie inglesi, hanno nelle ultime stagioni messo in atto dei veri e propri blitz per portare via alcuni talenti under 16. Il più famoso è Macheda, che il Manchester United ha portato via alla Lazio. Per blindare i talenti bisognerebbe contrattualizzarli. Per i minorenni il contratto può durare al massimo 3 stagioni: già a 19 anni un baby potrebbe essere di nuovo libero. ___ 10 Quanto spendono ogni stagione le nostre società per l’attività dei settori giovanili? Secondo l’ultimo report elaborato dalla Figc, i club di Serie A nella stagione 2009-2010 hanno investito complessivamente 67,8 milioni di euro nei vivai, una somma pari al 5,63% del fatturato generato dalle 20 società. Chi spende di più? Inter, Juve e Milan sono in testa con una spesa che si aggira sui 5 milioni di euro all’anno, per tutte le altre società si parla di investimenti di circa 1, 5-2 milioni di euro, a parte alcune eccezioni rappresentate da club più piccoli che devono contenere i costi. Al di là delle spese per le strutture e staff tecnico, una voce importante è rappresentata dagli stipendi: nei club di fascia alta aumenta il numero dei giocatori sotto contratto tra Primavera e Allievi Nazionali. ___ l'intervento di... FRANCESCO ROCCA «Lavoro e meritocrazia Formare i giocatori farà risparmiare le società» Del rilancio di vivai si parla da tempo, credo sia il momento di entrare nella logica del mondo contemporaneo: siamo in crisi e in un periodo di crisi economica bisogna affidarsi sempre di più ai giovani, perché costa meno formare un talento in casa invece che andarlo a comprare fuori. Certo, bisogna saperli allenare i giovani calciatori. Due scultori con lo stesso blocco di marmo possono realizzare due cose diverse: uno fa la Pietà di Michelangelo, l’altro una cosa che fa solo pietà... Io considero il ragazzo nella sua formazione completa, che è sviluppata in funzione del risultato finale, non del momento. Non conta quanti campionati giovanili un club vince, conta quanti giocatori porta in prima squadra. Ma per arrivare a questo risultato occorre metodo. L’Italia è uno dei Paesi più ricchi di talenti, perché i nostri ragazzi hanno caratteristiche straordinarie, fisiche, tecniche e tattiche. Al contrario, i sudamericani hanno problemi caratteriali, quelli dell’Europa del nord problemi di ambientamento. Con un italiano si può lavorare invece su tutto. E’ il maestro che forma gli allievi: conta l’esempio, sotto l’aspetto fisico, tecnico, tattico e morale. Serve un sistema di regole complessivo per la crescita dei ragazzi. E ovviamente bisogna rivedere gli standard, alzare l’asticella: se devo formare ragazzi destinati alla prima squadra, in Primavera devo lavorare con parametri da prima squadra. All’estero lo fanno e non sono scienziati. E all’Italia non mancano i talenti. Si tenta di imitare il modello del Barcellona: sono dei fenomeni nel palleggio, ma corrono anche tanto e portano un primo pressing altissimo. Bisognerebbe inculcare ai nostri ragazzi quella mentalità. L’età giusta per passare in prima squadra non è uguale per tutti. Io ho esordito a 18 anni perché ero pronto, non per tutti è così. C’è il rischio che un ragazzo a 16 anni possa andare in un’altra squadra se non messo sotto contratto, è vero. Forse perché nessuno si prende la responsabilità di bloccarlo, di metterlo sotto contratto. Per me a 16 anni si capisce se un ragazzo ha le potenzialità da prima squadra e se è il caso di bloccarlo. Investire nei vivai, però, non significa solo mettere sotto contratto i ragazzi. Vuol dire investire negli staff tecnici, premiare la professionalità. Ovviamente non bisogna illudere i ragazzi, c’è questa ossessione della carriera che colpisce loro e le famiglie. Se inizi a trattare un ragazzo come il re della squadra, è la fine. Invece bisogna fare selezione, lavorare sulla qualità. Oggi sono un osservatore della Nazionale, ma da tecnico delle selezioni giovanili rivendico i risultati ottenuti: un Europeo Under 19 con Berrettini, un secondo posto con me, la finale dei Giochi del Mediterraneo, l’aver eliminato la Spagna al mondiale Under 20. Vuol dire che il settore giovanile è prolifico, sebbene le società non abbiamo sempre dato una mano alle nazionali. Con Sacchi sembra esserci più collaborazione da parte dei club, è un bel segno. Ai nuovi ct auguro di migliorare i nostri risultati. L’incentivo a rilanciare i vivai è economico: formare un giocatore costa meno che comprarlo. Il segreto per crescere giovani talenti è questo: lavorare sodo sul campo e applicare la meritocrazia. Francesco Rocca, ex ct dell’Under 20, è osservatore per la Nazionale A -
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TAVOLO DELLA PACE-5 Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme al presidente federale Abete ci saranno Moratti Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis Un'occasione per provare a superare Calciopoli ma anche per discutere del futuro della Serie A Prosegue la nostra inchiesta in sette puntate che ci accompagnerà fino al summit. Analizziamo lo stato di salute del nostro calcio: cosa cambiare e quali regole riscrivere per tornare protagonisti Dopo legge 91 e competitività, nella terza puntata affrontiamo il dibattito sull'articolo 22 bis delle NOIF === Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 09-12-2011) === 3 Dirigenti sospesi puniti due volte? Stop dopo condanne non definitive: i club vogliono nuove norme ___ 01 Che cosa sono le NOIF e quali materie regolano nell’ambito della Figc? Le NOIF (Norme organizzative interne della Figc) rappresentano sul piano normativo l’architettura della Federcalcio, dalla definizione dei soggetti all’ordinamento dei campionati. Le NOIF sono divise in due parte: la prima si occupa di definire i “soggetti”, la seconda di regolamentare le “funzioni” (dal tesseramento all’ordinamento delle rappresentative nazionali, dalla struttura dei campionati ai rapporti tra club e calciatori). Sono le NOIF, ad esempio, a fissare i criteri di controllo sulla gestione dei club da parte della Covisoc. E sono sempre le NOIF a definire le figure di “dirigente” e “collaboratore” alle quali fa poi riferimento l’art. 22 bis oggetto di dibattito politico nelle ultime settimane. ___ 02 Quali aspetti regolamenta l’articolo 22 bis e perché il tema è così attuale? L’articolo 22 bis riguarda le “disposizioni per la onorabilità”, fissa cioè i requisiti giuridici indispensabili per poter assumere la qualifica di “dirigene” (art. 21) e “collaboratore” (art. 22). Secondo le NOIF, non si può assumere la carica di dirigente o di collaboratore nella gestione sportiva se si rientra in due casi: se si è nelle condizioni previste dall’art. 2382 del Codice Civile (per esempio interdetti, falliti, condannati all’interdizione dai pubblici uffici etc.) o se si è stati condannati per una serie di delitti tra i quali la frode sportiva, anche con una sentenza non definitiva. Chi è gia dirigente, viene sospeso se condannato anche con sentenza non definitiva. La “sospensione” vale anche per incarichi in Lega e in Consiglio Federale. ___ 03 Per quali reati una condanna fa scattare l’incompatibilità o la decadenza? L’art. 22 bis prevede l’impedimento o la decadenza in caso di condanna per un ampio ventaglio di reati, a partire ovviamente dalla frode sportiva (legge 401/89, Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela alla correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche). Ma la lista dei delitti è lunga: dalla cessione degli stupefacenti allo sfruttamento della prostituzione, dall’adesione ad associazioni segrete ai reati associativi di tipo mafioso, dai delitti contro la pubblica amministrazione (peculato, concussione, corruzione) ai delitti contro il patrimonio, dalle false comunicazioni sociali al traffico d’armi. ___ 04 Quando cessa la sospensione dalla carica per un dirigente o collaboratore? Il terzo comma dell’art. 23 bis stablisce che la sospensione dalla carica di dirigente di società o di collaboratore nella gestione sportiva scatta per chi viene condannato per i reati previsti anche con una sentenza non definitiva. E stabilisce che la sospensione dura fin quando non intervenga una successiva sentenza assolutoria. La sospensione può scattare anche in altre circostanze: se si è oggetto di un provvedimento restrittivo della libertà personale (e fin quando non si è rimessi in libertà); se si è sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale (come il divieto di soggiorno, la libertà vigilata etc.). ___ 05 Cosa deve fare un dirigente condannato? La Figc procede anche d’ufficio? Al momento del tesseramento, dirigenti e collaboratori devono dichiarare di possedere tutti i requisiti di onorabilità previsti dell’art. 22 bis. Nel caso abbia subito una condanna (o un altro dei provvedimenti indicati dalle Noif), un dirigente o collaboratore deve seguire questo iter: comunicare la condanna alla lega di appartenenza della propria società e attendere che la lega a sua volta informi la Figc. La Federcalcio può anche procedere d’ufficio, come accaduto dopo la sentenza di Calciopoli: l'11 novembre, non avendo ancora ricevuto la nota dalla Lega Serie A per i suoi tre dirigenti coinvolti, da via Allegri hanno spedito le raccomandate con il provvedimento di sospensione avendo comunque appreso della condanna. ___ 06 Per quali dirigenti la sospensione dalla carica è scattata dopo il verdetto di Napoli? La Figc ha sospeso dalla carica cinque dirigenti che lo scorso 8 novembre sono stati condannati a Napoli in primo grado nel processo su Calciopoli celebrato dalla giustizia ordinaria. Si tratta di: Claudio Lotito, presidente della Lazio (1 anno e 3 mesi): Andrea Della Valle, azionista della Fiorentina (1 anno e 3 mesi); Sandro Mencucci, ad della Fiorentina (1 anno e 3 mesi); Lillo Foti, presidente della Reggina (1 anno e 6 mesi); l’ex arbitro Massimo De Santis (1 anno e 11 mesi), attualmente tesserato come dg del Palestrina. A tutti e cinque è stata inviata dopo pochi giorni, era l’11 novembre, la raccomandata con il provvedimento firmato dal segretario della Figc, Di Sebastiano. ___ 07 Andrea Della Valle è solo azionista della Fiorentina: perché è scattata la sospensione? Andrea Della Valle nella Fiorentina non ricopre alcuna carica dirigenziale in senso stretto. E infatti, dopo la sentenza di Calciopoli, la Fiorentina aveva dato comunicazione alla Lega Serie A solo della condanna in primo grado dell’ad Mencucci. Quando la Figc ha proceduto d’ufficio, ha sospeso anche Andrea Della Valle perché l’azionista di riferimento della Fiorentina siede nel CdA del club viola. Come consigliere d’amministrazione, in base all’articolo 1 comma 5 del Codice di Giustizia Sportiva («anche i soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse») è equiparato ad un tesserato. ___ 08 I dirigenti sospesi avevano scontato già la squalifica: ora pagano una seconda volta? Una delle critiche mosse all’art. 22 bis delle Noif è proprio questa: perché i dirigenti sospesi si trovano a pagare due volte? Lotito, Andrea Della Valle, Mencucci, Foti e l’ex arbitro De Santis avevano già scontato le squalifiche al termine del processo sportivo. Ora devono fare i conti con la sospensione. I club dicono: non possiamo pagare due volte. La Figc ribatte dicendo che si tratta di due misure diverse: la squalifica è una sanzione disciplinare, legata alla violazione del Codice di Giustizia Sportiva e irrogata al termine di un procedimento; la sospensione è un provvedimento automatico, scattato perché sono venuti meno i requisiti di onorabilità indispensabili per la carica di dirigente o collaboratore. ___ 09 Perché le società criticano l’articolo 22 bis delle Noif e come vorrebbero modificarlo? Due aspetti non sono graditi ai club che spingono per un intervento sull’articolo 22 bis delle Noif. Il primo è quello del “pagare due volte”, come abbiamo spiegato. L’altro, più scottante, è quello del contrasto tra le Noif e la “presunzione d’innocenza” sancita dall’articolo 27 comma 2 della Costituzione che recita: «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». L’obiezione che muovono i club - come ha spesso argomentato anche l’avvocato Gentile, legale della Lazio - è questa: perché far scattare la sospensione se la condanna è arrivata soltanto in primo grado e la sentenza non è definitiva? Le pressioni puntano proprio a modificare la norma in questa direzione. ___ 10 La prescrizione può arrivare prima dell’assoluzione: perché le società sono preoccupate? La sospensione dalla carica, come stabilito dal comma 3, «permane sino a successiva sentenza assolutoria». Ma nel caso di Calciopoli, prima della conclusione del processo d’appello, per molti imputati interverrà nel frattempo la prescrizione. Anche se gli effetti sul piano della pena saranno gli stessi, la prescrizione è cosa distinta da un’assoluzione con formula piena. Il timore delle società e dei dirigenti è allora questo: che un’interpretazione estremamente rigida dell’art. 22 bis delle Noif, in presenza di una prescrizione e non di un’assoluzione, non faccia cessare la sospensione. In questo caso i dirigenti resterebbero sospesi aspettando un’assoluzione che, essendo intervenuta la prescrizione, non arriverebbe mai. ___ l'intervento di... EDUARDO CHIACCHIO «Misura inevitabile senza l’intervento del legislatore» «La sospensione deve cessare non solo con l’assoluzione ma anche se interviene la prescrizione» L’art. 22 bis delle Norme Organizzative Interne della F. I. G. C. appare estremamente chiaro ed inequivocabile, sia con riferimento alle ipotesi di preclusione e di decadenza previste dal comma 1 sia riguardo alla fattispecie di sospensione dalla carica di cui al comma 3. Le vicende giudiziarie che hanno recentemente caratterizzato il processo c. d. di “calciopoli” rientrano sicuramente in questa seconda disposizione. Ebbene, stando alla attuale formulazione della medesima, non vi può essere dubbio circa l’immediata operatività della sospensione “dalla carica di dirigente di società o di associazione e dall’incarico di collaboratore nella gestione delle stesse” per “coloro che vengano condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per uno dei delitti previsti dalle leggi indicate al comma precedente”, tra cui, appunto, la frode sportiva e l’associazione per delinquere. In assenza, quindi, di un intervento del legislatore sportivo volto a superare l’operatività di tale norma sin dalla sentenza di condanna in primo grado, non si intravedono margini elusivi alla momentanea cessazione dalle rispettive cariche, sociali e federali, dei soggetti condannati, almeno sino ad una successiva pronuncia assolutoria. Per quel che concerne, invece, gli effetti di una eventuale futura assoluzione per intervenuta prescrizione, è altrettanto indubbio come, parlandosi genericamente nella norma in questione di “sentenza assolutoria” e dovendosi considerare tale anche quella per prescrizione, è evidente come, pure in una ipotesi del genere, la sospensione verrebbe inevitabilmente a cessare ed i dirigenti potrebbero indubitabilmente tornare a rivestire cariche sia in Società che in Federazione e nei suoi vari Organi. Il comma 6 dello stesso art. 22 bis, inoltre, stabilisce che “i soggetti suindicati, ove sia intervenuta o intervenga a loro carico sentenza di condanna anche non definitiva … sono tenuti a darne immediata comunicazione alla Lega od al Comitato competente”: cosa che, nel caso che qui ci occupa, risulta regolarmente e tempestivamente accaduta. In definitiva, alla luce del vigente impianto normativo, è ineluttabile – a parere di chi scrive – che i dirigenti condannati in primo grado debbano ritenersi sospesi dalle cariche rivestite, sino a quando, per qualunque motivo (prescrizione compresa), essi non vengano, in uno dei successivi gradi di giudizio, assolti dalle rispettive imputazioni. L’avvocato Eduardo Chiacchio è uno dei massimi esperti di diritto sportivo -
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TAVOLO DELLA PACE-6 Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme al presidente federale Abete ci saranno Moratti Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis Un'occasione per provare a superare Calciopoli ma anche per discutere del futuro della Serie A Prosegue la nostra inchiesta in sette puntate che ci accompagnerà fino al summit. Analizziamo lo stato di salute del nostro calcio: cosa cambiare e quali regole riscrivere per tornare protagonisti Dopo la legge 91, nella seconda puntata parliamo di temi economici: competitività, fiscalità e mercato === Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 08-12-2011) === 2 Perché l'Italia non attira più? Ricavi, fiscalità, risultati: comandano Inghilterra e Spagna ___ 01 Da quanto l’Italia non è protagonista del mercato europeo con colpi dai 30 milioni in su? Esattamente da dieci anni: il mercato estivo della stagione 2001-2002 è quello che ha fatto registrare i colpi più importanti fino ad oggi. L’operazione più costosa è il passaggio di Mendieta dal Valencia alla Lazio per l’equivalente di 47 milioni di euro ed è l’unico acquisto fatto all’estero. Le altre sono tutte operazioni interne: Rui Costa dalla Fiorentina al Milan (43,9 milioni), Buffon dal Parma alla Juve (38, 7), Pippo Inzaghi dalla Juve al Milan (36,1), Thuram e Nedved alla Juve (36, 1 e 36 milioni), Cassano dal Bari alla Roma (30,9) milioni. Da allora i colpi più costosi sono stati tutti sotto la soglia dei 25 milioni, quelli spesi dal Milan per Gilardino, dall’Inter per Milito, dalla Juve per Felipe Melo. ___ 02 Perché i big preferiscono gli altri tornei europei alla Serie A? Per una combinazione di due fattori: maggior attrattiva tecnica e migliori possibilità di guadagno. Sul piano tecnico, lo dicono i risultati: al di là degli ultimi successi in Champions di Milan e Inter, a livello continentale il predominio di Spagna e Inghilterra è evidente ed appare difficile da spezzare. E i risultati sportivi sono sempre accompagnati da eccellenti performance finanziarie. L’aspetto tecnico non va sottovalutato. Prendete Sanchez: lui e l’Udinese avevano ricevuto un’offerta economica più allettante dal City ma hanno ritenuto più gratificante firmare con il Barça. Le offerte folli come quella dell’Anzhi per Eto’o rappresentano un caso a parte: lì contano solo i soldi. ___ 03 Perché le società di Liga e Premier possono spendere di più sul mercato e per gli ingaggi? Perché sono le società che in Europa generano ricavi più elevati, con un netto divario rispetto alle performance dei club italiani. Secondo l’ultimo rapporto della Deloitte, che analizza i bilanci della stagione 2009-2010, la squadra più ricca d’Europa è il Real Madrid con un fatturato di 438, 6 milioni di euro, seguito dal Barça (398,1 milioni) e dal Manchester United (349, 8 milioni). Nella top 20 quattro italiane: la più ricca è il Milan (7°) con ricavi per 235,8 milioni di euro. Nona l’Inter (224,8), decima la Juve (205), diciottesima la Roma (122, 7). Le italiane sono anche più dipendenti dai diritti tv che rappresentano oltre il 60% del fatturato; in Premier League, invece, i diritti tv (39%) pesano quanto gli incassi da stadio (35%). ___ 04 A parità di ingaggio netto, a quali club costa di più lo stipendio lordo di un calciatore? Nel calcio il costo del lavoro è più caro in Fracia: il carico di contributi e imposte aumenta del 164% il “peso” della busta paga rispetto allo stipendio netto. Segue l’Italia, dove il lordo raddoppia il netto. Quindi Inghilterra (+87%), Germania (+82%) e Spagna (+80%). In pratica, un ingaggio netto da 1 milione di euro a un club francese costa 2,164 milioni e a un club italiano 2 milioni contro gli 1,8 milioni pagati in Spagna. Le aliquote fiscali massime sono più o meno simili: 45% per la Germania, 43% per Italia e Spagna, 40% per la Francia, con il picco del 50% in Inghilterra. La differenza, però, la fanno i contributi e gli altri oneri. In Italia l’Enpals costa il 33% del netto (per il 23, 8% è carico del club), il fondo di fine carriera il 7, 5%. ___ 05 Legge Beckham: come funzionava e perché dal 2010 in Spagna è stata abolita? Nel 2005 il governo Aznar in Spagna ha introdotto una fiscalità di vantaggio per i lavoratori stranieri con redditi elevati (oltre i 600. 000 euro), con un’aliquota ridotta dal 43% al 24%. Lo scopo era quello di incentivare la permanenza in Spagna di professionisti (medici, ricercatori, etc.) ma di fatto sono state avvantaggiate le società di calcio. La norma è stata ribattezzata “legge Beckham” proprio perché l’ex stella dello United è stato il primo a beneficiare della fiscalità agevolata al momento del passaggio al Real Madrid (la norma aveva effetto retroattivo a partire dal 2004). Dal 1° gennaio 2010 la fiscalità agevolata è stata revocata: vale solo per i contratti firmati entro il 2009 e ancora in corso. ___ 06 Perché in Spagna e Inghilterra i club riescono a generare fatturati più elevati rispetto all’Italia? Per caratteristiche proprie di ciascun club (storia, prestigio, competitività a livello continentale) ma anche per caratteristiche strutturali dei campionati di appartenenza. Se Real e Barça, due spagnole, sono i club che nel 2010 hanno fatturato di più, è indubbio che la Premier League sia nettamente il campionato più ricco in Europa, con un fatturato complessivo di 2, 5 miliardi di euro come stimato dall’ultimo rapporto della Deloitte. Seguono Bundesliga (1,664 miliardi), Liga (1,622), Serie A (1,532) e Ligue1 (1, 072). La Premier riesce a vendere meglio il prodotto, equilibrando i ricavi dai diritti tv (con l’ultimo contratto si arriverà al 40% del fatturato) con i proventi legati allo stadio e alle altre attività commerciali. ___ 07 Con l’ingresso dei “nuovi ricchi” com’è cambiata la geografia del calcio? Che siano sceicchi o magnati dell’ex Unione Sovietica, in comune hanno la stessa cosa: risorse economiche pressoché illimitate, legate al petrolio o comunque al settore energetico. Con i loro capitali hanno cambiato la geografia del calcio. Dopo Abramovich, che ha ridato forza al Chelsea, la Premier League ha spalancato le porte allo sceicco Mansour che ha trasformato il City nel padrone incontrastato del mercato. Ma occhio ai nuovi fenomeni. In Russia, dopo lo Zenit controllato dalla Gazprom, ecco spuntare l’Anzhi del magnate Kerimov (36° nella classifica Forbes) che offre 20 milioni a Eto’o. Il PSG è nelle mani di Hamad Al Thani (Qatar Investment Authority), mentre l’emiro del Qatar Abdullah Al Thani ha rilevato il Malaga. ___ 08 I grandi tycoon ora investono anche in Francia e Spagna. Perché non in Italia? La Premier League è il campionato più ricco d’Europa e commercialmente quello che “funziona” di più. E Londra è il cuore dei mercati finanziari del Vecchio Continente. Logico che Abramovich investisse nel Chelsea, come Al Fayed aveva fatto nel Fulham. L’ingresso di Mansour nel City segue logiche diverse: nessuna dipendenza dai risultati economici ed investimenti esagerati per vincere subito. Un po’ come accaduto questa estate al PSG con l’avvento della Qatar Investment Authority rappresentata da Al Thani: 43 milioni per Pastore. Dal Qatar arriva anche l’altro Al Thani, Adullah, che nel 2010 ha rilevato il Malaga: un passaporto per entrare nella Liga provando a dare fastidio alle grandi d’Europa. ___ 09 Roma americana: l’arrivo del gruppo di DiBenedetto può aprire la strada ad altri stranieri? Il nostro calcio storicamente ha rispecchiato una caratteristica del nostro sistema economico, più votato al capitalismo familiare che a quello manageriale. In altre parole: patron direttamente impegnati nella gestione dei club e spesso fortemente radicati sul territorio. Si pensi agli Agnelli, ai Moratti, ai Sensi, a Berlusconi, per esempio. In passato tanti rumors ma nulla di concreto, poi l’arrivo della cordata guidata da DiBenedetto: capitali americani (assieme a quelli di Unicredit) e un management italiano per plasmare la nuova Roma sul modello inglese, più ricavi uguale più competitività. L’ingresso degli americani può aprire la strada a investitori stranieri: l’ha auspicato anche Moratti. ___ 10 L’attuale norma sull’ingaggio degli extracomunitari penalizza i nostri club sul mercato? Per i club italiani c’è una difficoltà in più sul mercato che li rende meno competitivi rispetto ai top club europei: la normativa sull’ingresso di calciatori extracomunitari acquistati all’estero. Oggi le nostre società possono far entrare in Italia 2 extracomunitari all’anno ma ne devono cedere all’estero (o far diventare comunitari) altrettanti. Una complicazione in più: non si tratta di pareggiare le offerte della concorrenza europea ma anche di “liberare” le due caselle, operazione spesso complicata. Oltretutto ogni Paese si regola diversamente: in Premier League l’ingresso degli extracomunitari è solo subordinato al curriculum; la Spagna ha soglie più alte e, con accordi bilaterali, equipara molti extracomunitari a giocatori della UE. ___ l'intervento di... MICHELE UVA «Le tasse non siano un alibi Siamo allineati all’Europa» «La proposta: “sconti” ai club per creare occupazione» Fiscalità e competitività vivono da sempre un rapporto morboso, tirato spesso in ballo per giustificare la perdita di competitività. Spesso i giocatori emigrano dal calcio italiano per “vil denaro”, per ritornarvi di corsa (Ibraimovic insegna) grazie anche alla prontezza di alcuni dirigenti italiani. Ma vorrei sfatare alcuni luoghi comuni. Vero è che in Italia la pressione fiscale sulle società è fra le più alte d’Europa, pari alla Francia, e inferiore solo a Germania e paesi scandinavi, ma in Italia sono poche le società in utile, quindi soggette a tasse specifiche. Discorso diverso per l’Irap. Tassa iniqua per il calcio, evitabile se si riuscisse a cambiare la qualificazione del giocatore professionistico. Né dipendente, né libero professionista, bensì “lavoratore sportivo”. Darebbe cospicui vantaggi a giocatori e club, che avrebbero la possibilità di qualificare i compensi non come redditi da lavoro subordinato, ma come “redditi diversi”. Tassabili con un’aliquota fra il 20 e il 30% e non soggetti a Irap. Una fiscalità di vantaggio che però non appare proponibile in una situazione di crisi come quella attuale. Altrettanto non si può dire del costo del lavoro. In Italia il costo dello stipendio netto di un giocatore è pari a quanto dovuto in Germania e Spagna, ma è inferiore rispetto a Inghilterra e Francia. Solo in passato la Spagna aveva avuto agevolazioni per giocatori stranieri (aliquota del 24%). Zapatero ha annullato all’inizio del 2010 questa anomalia che era già entrata nel mirino dell’Ue. Dunque il carico fiscale non erode la competitività dei club italiani rispetto a quelli degli altri principali paesi europei. Niente alibi. E, visti i tempi, un trattamento di favore per il mondo dello sport professionistico non appare opportuno e sarebbe impugnabile a livello europeo. L’Iva invece ci penalizza nei confronti dei nostri competitor europei e nel secondo semestre del 2012 la differenza sarà ancora maggiore. Alcune proposte avanzate già tempo fa nel libro “La Ripartenza” (Teotino-Uva, Ed. Arel Il Mulino): la leva fiscale potrebbe essere utilizzata per favorire gli investimenti delle società per la creazione e lo sfruttamento economico della proprietà intellettuale, e quelli che soddisfano bisogni della collettività, come e soprattutto la creazione di stadi moderni, lo sviluppo dei settori giovanili e poi il sociale. Temi cari anche alla Uefa. Per rendere efficace la fiscalità di vantaggio si potrebbe concedere alle società un credito di imposta da compensare con le ritenute effettuate dai club sugli stipendi pagati ai calciatori, condizionando l’impiego di tali somme per lo sviluppo di queste attività. Si realizzerebbe l’effetto di ridurre i costi, senza avvantaggiare i calciatori, e incentivando investimenti che produrrebbero un maggiore giro di affari, nonché nuova occupazione. In tal modo il vantaggio fiscale concesso alle società verrebbe “socializzato”: le risorse sottratte all’erario (che non percepirebbe più le ritenute) andrebbero a vantaggio della collettività attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro, generati dalla costruzione e manutenzione di beni materiali (le strutture sportive e i settori giovanili) e immateriali (la proprietà intellettuale). Peraltro, la riduzione di gettito verrebbe in parte compensata dalla tassazione sui pagamenti, come stipendi ai nuovi dipendenti, collaboratori, e simili. Oltre a questo tipo di sgravi, legati a nuovi investimenti, sarebbe opportuno promuovere un’iniziativa comunitaria per armonizzare l’Iva sul costo dei biglietti per lo stadio. Michele Uva è un manager sportivo ___ Da Balotelli a Pastore: talenti in fuga Tevez si avvicina Ma quante stelle abbiamo perso... Finalmente Tevez. Anche se in prestito con diritto di riscatto. Anche dopo qualche mese d’attesa e “grazie” alla rottura tra l’argentino e Mancini che ha ridimensionato le richieste del City. Finalmente Tevez, comunque. Perché questa estate l’Italia è rimasta a guardare mentre le big d’Europa - sia i soliti noti che i nuovi ricchi - hanno messo sul tavolo cifre che da queste parti ce le sogniamo da un bel po’. Perché questa estate l’Italia è rimasta a guardare mentre le big d’Europa ci sfilavano, sempre a suon di milioni, i migliori talenti della Serie A. Aveva cominciato il City dello sceicco Mansour due estati fa, nel 2010: per 28 milioni di euro ha convinto Moratti a cedere il pupillo Balotelli, subito dopo il triplete, primo passo della rivoluzione post-Mourinho in casa Inter. Poi è toccato agli altri. CIAO ITALIA - La fuga dei talenti sembra inarrestabile, perché questa estate la Serie A ne ha persi altri due. Javier Pastore al PSG è stato in assoluto l’affare più costoso: i francesi guidati dal dg Leonardo hanno pagato l’argentino ben 43 milioni di euro, una somma che è stata ripartita tra il Palermo e l’agente del Flaco che deteneva ancora una quota del suo cartellino. Cifre alle quali il Palermo non poteva dire di no. E cifre alle quali, al momento, nessuna italiana poteva arrivare. E’ vero, invece, che le big di casa nostra hanno provato fino all’ultimo a trattenere almeno Alexis Sanchez. Piaceva all’Inter, era uno dei grandi obiettivi della Juve. Entrambe, soprattutto l’Inter, erano pronte ad accontentare le richieste economiche dell’attaccante. Però le offerte di Barcellona e Manchester City all’Udinese non potevano essere pareggiate. I Citizens offrivano qualcosa di più, al giocatore e al club. Però il ragazzo voleva giocare nella squadra più forte al mondo e la famiglia Pozzo è stata contenta di mandare il suo gioiello in Liga. Perché Gino Pozzo vive a Barcellona e perché il Granada, altra società di famiglia, da quest’anno si misura sul campo con Barça e Real. AUSTERITY - Le serie storiche del mercato italiano certificano questo dato: da dieci anni (stagione 2001-02) le società italiane non chiudono affari in entrata per almeno 30 milioni di euro. Negli ultimi cinque anni il tetto di spesa si è abbassato a 25 milioni: Gila al Milan, Milito all’Inter, Felipe Melo alla Juve gli affari più costosi. Questa estate nessuno è andato sopra i 20 milioni di euro quando si è trattato di sborsare: Osvaldo alla Roma (18 milioni bonus inclusi), Inler al Napoli (17) e Vucinic alla Juve (15) le operazioni più costose. -
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TAVOLO DELLA PACE-7 Mercoledì 14 dicembre il presidente del Coni Petrucci riceverà i vertici del calcio: insieme al presidente federale Abete ci saranno Moratti Agnelli, Della Valle, Galliani e De Laurentiis Un'occasione per provare a superare Calciopoli ma anche per discutere del futuro della Serie A Parte la nostra inchiesta in sette puntate che ci accompagnerà fino al summit, analizzando lo stato di salute del nostro calcio: cosa cambiare e quali regole riscrivere per tornare competitivi La prima puntata è dedicata alla legge 91 che ha introdotto il professionismo nello sport === Servizi di ETTORE INTORCIA (CorSport 07-12-2011) === 1 Ma che lavoro fa il calciatore? Lo status, il contratto, le tutele: perché cambiare la legge 91 ___ 01 Quali materie sono disciplinate dalla legge 91 promulgata nel 1981? Approvata in via definitiva dal Senato il 4 marzo 1981, la legge 91 “in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” introduce nell’ordinamento italiano il concetto di professionismo nell’attività sportiva. Si applica a tutte le discipline le cui federazioni sono affiliate al Coni ma è stata “ispirata” da una battaglia condotta dall’Assocalciatori e iniziata nell’estate del 1978. Il testo della legge 91/1981 è composto da 18 articoli articolati in quattro capi: nel primo viene definito lo sport professionistico e disciplinato il lavoro subordinato sportivo; il secondo riguarda le società sportive e le federazioni; il terzo gli aspetti tributari; il quarto comprende le disposizioni transitorie e finali. ___ 02 Come è definito il professionismo in campo sportivo e a quali figure si applica? Sono considerati sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i dirigenti tecnico-sportivi e i preparatori atletici (l’interpretazione può estendersi però ad altre figure tecniche riconosciute dalle federazioni) che svolgono l’attività sportiva a titolo oneroso e con carattere di continuità nell’ambito delle discipline aderenti al Coni. Le singole federazioni devono osservare le direttive del Coni nella distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica. In Italia la maggioranza delle federazioni non riconosce il professionismo. Nel calcio il professionismo va dalla A alla Lega Pro (Prima e Seconda Divisione). ___ 03 Quando il rapporto di lavoro sportivo è definito subordinato e quando invece è ritenuto autonomo? Per definizione, come prevede l’art. 3, il professionismo implica un rapporto di lavoro subordinato. Lo sportivo professionista è un dipendente della società alla quale “cede” le proprie prestazioni sportive. La legge prevede che ogni federazione individui un contratto-tipo e quindi un accordo collettivo, non differente dagli altri contratti di lavoro nazionali. Ci sono delle eccezioni: il professionista viene considerato lavoratore autonomo se l’attività viene svolta nell’ambito di una o più manifestazioni collegate e in un breve arco di tempo; se l’atleta non ha vincoli sulle frequenze degli allenamenti; se la prestazione non supera le 8 ore settimanali o 5 giorni al mese (o 30 giorni all’anno). ___ 04 Come si “assume” uno sportivo professionista? Quali caratteritsiche ha il contratto? L’ingaggio di uno sportivo professionista è un’assunzione a tempo determinato che avviene con la chiamata diretta. Prevede la stipula di un contratto scritto nel quale il tesserato cede le proprie prestazioni sportive alla società. Va rispettato il contratto-tipo che ogni tre anni le federazioni devono predisporre in base all’accordo collettivo stipulato con le associazioni di categoria. Il contratto va depositato presso la federazione (o la lega di appartenenza) per ottenere l’approvazione. Il contratto può contenere clausole compromissorie sul ricorso ad un collegio arbitrale per le controversie tra società e tesserato. ___ 05 Quale la durata massima di un contratto e come può essere ceduto? Quelli degli sportivi professionisti sono contratti “a termine”: l’art. 5 stabilisce che non possono avere una durata superiore ai cinque anni. Nel caso del calcio, all’estero è possibile sottoscrivere accordi più lunghi, con ovvii vantaggi tecnici (si “blinda” un calciatore più a lungo) ed economici (l’ammortamento viene spalmato su più anni). Sempre l’art. 5 prevede la possibilità della “cessione del contratto” da una società all’altra purché ci sia l’assenso del tesserato. I trasferimenti sono disciplinati dalle singole federazioni che fissano un calendario (come le finestre di “calciomercato”) e dei limiti (come il numero massimo di trasferimenti di un tesserato in un anno). ___ 06 Quali tutele sono garantite allo sportivo professionista dal contratto? Il contratto-tipo di ogni federazione (al momento parliamo di calcio e basket) disciplina i rapporti club-tesserato (diritti e doveri) e, sul versante economico, fissa i minimi salariali. L’art. 7 della legge 91 garantisce agli sportivi professionisti la tutela sanitaria, con controlli periodici a carico delle società. L’art. 8 prevede l’obbligo di una polizza assicurativa contro il rischio di morte o di infortuni che possono pregiudicare la carriera. L’art. 9 disciplina il trattamento pensionistico, con i contributi ripartiti tra società (due terzi) e tesserato (un terzo) oppure interamente a carico dello sportivo se lavoratore autonomo. In base all’ultima manovra finanziaria, l’Enpals (l’ente di previdenza per i lavoratori dello spettacolo) sarà assorbito dall’Inps. ___ 07 Com’è cambiata la figura del calciatore dopo l’entrata in vigore della legge 91? L’introduzione del professionismo e il riconoscimento dello status di lavoratore dipendente hanno offerto un ventaglio di garanzie ai calciatori, sia sul piano dei diritti nell’ambito dei rapporti con i club che su quello economico, con la garanzia di un trattamento previdenziale. L’introduzione di un contratto a termine ha rivoluzionato anche le dinamiche di mercato: in passato, il calciatore era legato al club in funzione del “vincolo” e doveva discutere l’accordo economico anno per anno; la legge 91 ha aperto la strada ad accordi pluriennali e creato i presupposti per una progressiva abolizione del vincolo, definitivamente azzerato dalla sentenza Bosman nel ‘95. ___ 08 Perché i club hanno dovuto cambiare assetto e diventare così società di capitali? Il cambio di ragione sociale che ha portato le vecchie società sportive a diventare società di capitali è un obbligo previsto dalla legge 91. L’art. 10, infatti, stabilisce che solo le società costituite come Spa (società per azioni) o Srl (a responsabilità limitata) possono stipulare contratti con sportivi professionisti. Sempre l’art. 10, però, pur introducendo con le successive modifiche datate 1996 la possibilità per i club di generare degli utili (società a fini di lucro), pone anche dei limiti alle attività delle società professionistiche: possono svolgere, accanto a quella sportiva in senso stretto, solo attività ad essa connessa o strumentali. ___ 09 Quali le principali proposte di modifica della legge 91? Cosa chiede il mondo del calcio? In linea generale, più volte si è pensato di intervenire sui meccanismi di distinzione tra attività professionistica e dilettantistica. Al momento molte federazioni, dove vige un professionismo di fatto per il livello delle retribuzioni, non si adeguano alla legge 91 per evidenti vantaggi fiscali e contributivi. Il calcio, invece, preme per modificare lo status dello sportivo professionista da lavoratore subordinato a lavoratore autonomo. In questo modo per le società ci sarebbero dei vantaggi in termini economici: fondamentalmente, i contributi previdenziali (che insieme all’Irpef praticamente raddoppiano lo stipendio lordo rispetto al netto) sarebbero a carico dei calciatori. ___ 10 Calciomercato e cessione dei contratti: cosa divide Lega e Assocalciatori? La legge 91 riconosce la possibilità di cedere i contratti degli sportivi professionisti, demandando alle federazioni il compito di regolamentare i trasferimenti. In ogni caso, la legge prevede che ci sia l’accordo tra le due società e anche l’assenso del tesserato. Lega e Aic hanno affrontato la questione la scorsa estate nei lunghi e complessi colloqui per il rinnovo del contratto collettivo. I club hanno provato a introdurre in qualche modo un “obbligo” di trasferimento del calciatore nel caso di un accordo tra la società di appartenenza e un’altra di pari livello, ovviamente con la garanzia dello stesso stipendio. Un punto sul quale l’Aic non ha concesso nulla. ___ l'intervento di... SERGIO CAMPANA «Legge 91: e fu rivoluzione Modifiche? Con idee chiare» «In discussione lo status di lavoratore dipendente» Il 4 marzo 1981 rimarrà sicuramente una data storica per il mondo sportivo professionistico: il Senato approvava infatti una legge (che secondo l’ordine progressivo sarà la n.91) che regolava finalmente i rapporti tra società e sportivi professionisti. E’ inutile dire che tra i “beneficiari” di tale normativa un posto di primo piano spetta proprio ai calciatori che non per niente furono i “responsabili” di questa vera e propria rivoluzione nel mondo del calcio. Tutto partì nell’estate del 1978, esattamente il 4 luglio, quando, a seguito di un mio esposto, quale presidente dell’AIC, il pretore Costagliola bloccò, a Milano, il cosiddetto “calcio-mercato”. I carabinieri fecero irruzione nei saloni dell’albergo milanese Leonardo da Vinci, allora sede delle contrattazioni, per “accertare eventuali violazioni di norme che vietano l’intervento di mediatori nello svolgimento delle pratiche comunque attinenti al trasferimento di calciatori che sono da considerare lavoratori subordinati a tutti gli effetti”. Esattamente una settimana dopo, l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del Governo Andreotti, onorevole Evangelisti, si fece promotore di una riunione dei ministri competenti per studiare il problema. Da quel momento serviranno oltre due anni di consultazioni e riunioni prima di arrivare all’emanazione di una legge che, dopo dubbi, perplessità, incertezze, e speranze in precedenza sempre deluse, definiva finalmente lo status giuridico dello sportivo professionista. Una conquista determinante per la categoria, certamente una delle tappe più importanti del cammino dell’Associazione: lo sport professionistico, calcio in primis, si trovava ad avere finalmente delle certezze giuridiche, delle tutele ben precise. Ovviamente la legge 91 è stata base di partenza per molte conquiste che l’AIC è riuscita ad ottenere negli anni: con la nuova normativa il calciatore da quel momento diventa infatti lavoratore subordinato, le cui prestazioni a titolo oneroso costituivano oggetto di contratto di lavoro subordinato. Venivano introdotte la tutela sanitaria, l’indennità di preparazione e promozione, abrogata in data 7. 6. 96 a seguito dell’applicazione in Italia della “Sentenza Bosman”, le assicurazioni infortuni, il trattamento pensionistico, e soprattutto veniva abolito il vincolo sportivo, che fino a quel momento aveva fatto del calciatore un’autentica “merce di scambio”. Sono passati ormai trent’anni da quando è entrata in vigore la legge 91 e periodicamente, da qualche componente calcistica, in particolare dalla Lega di Serie A, vengono avanzate richieste di modifica della legge. In un’occasione era stata costituita anche una Commissione di alto profilo politico e sportivo, i cui lavori peraltro sono stati interrotti per la caduta del governo. Recentemente la Lega è tornata all’attacco con rinnovate richieste che peraltro non sono state ancora ufficializzate. Sicuramente una precisa istanza riguarderà lo status giuridico dei calciatori, che ora è considerato dalla legge un lavoratore subordinato e che la Lega vorrebbe fosse trasformato in lavoratore autonomo. L’Associazione Calciatori si oppone con tutte le forze ad una modifica del genere, che non avrebbe alcun fondamento giuridico. La subordinazione riferita alle prestazioni dei calciatori è chiara e indiscutibile ed è affermata e riconosciuta da sempre in tutti i paesi calcistici europei. L’avvocato Sergio Campana nel 1968 ha fondato l’Associazione Italiana Calciatori e ne è stato presidente fino allo scorso aprile ___ Cosa succede negli altri sport Basket: A e Legadue pro’ Le federazioni “dilettanti” risparmiano sui contributi Una legge ispirata dal calcio ma che dovrebbe tutelare anche gli altri sportivi. Quelli che non guadagnano come i calciatori ma che professionisti lo sono ugualmente di fatto. Eppure, a 30 anni dall’entrata in vigore della Legge 91, il professionismo sportivo è ancora un discorso che sembra riguardare esclusivamente il calcio, la cui struttura è chiara: dalla A alla Seconda Divisione (l’ex C2) professionisti, dalla Serie D alla Terza categoria dilettanti. E fuori dal rettangolo verde? AUTONOMIA - Tocca alla singole federazioni (e quindi alle leghe), nel rispetto delle direttive del Coni, stabilire quale sia l’attività professionistica e quale invece quella dilettante. In qualche modo, per essere più chiari, è la singola federazione a decidere se aderire al professionismo. Il mondo del basket ha fatto la sua scelta: in campo maschile sono considerati professionisti i tesserati dei club di Serie A e Legadue. Le serie inferiori e il movimento femminile appartengono alla sfera dei dilettanti. Il mondo del volley, che pure rappresenta un movimento importantissimo e nel quale girano cifre non trascurabili (siamo a livelli retributivi che nel calcio si trovano facilmente in una B o di una Prima Divisione di alto profilo), ha scelto di stare fuori dal professionismo. Come altre importanti federazioni. VANTAGGI - Stare fuori dal professionismo, senza adeguarsi alla legge 91, vuol dire fondamentalmente una cosa: risparmiare tanti soldi. In termini di Irpef (per i contratti meno ricchi) ma soprattutto in termini di contributi previdenziali, perché questi semplicemente non sono a carico del club. Tocca semmai al tesserato - che è un autonomo - garantirsi un trattamento pensionistico. Giusto per fare qualche esempio: per “ingaggi” fino a 7. 500 euro c’è l’esenzione totale dall’Irpef, per quelli fino a 25. 000 euro l’anno il club versa un’aliquota del 23, 9%, che aumenterà progressivamente per le cifre più alte. Lo status è quello del lavoratore autonomo, non subordinato né a progetto: i contratti possono essere depositati in federazione o lega, in parte essere anche garantiti, ma non c’è alcun accordo collettivo, niente diritti, niente doveri. Per esempio: nero su bianco non saranno mai indicati giorni e orari di allenamento, accordi su vacanze e permessi. VINCOLO - Gli atleti che non sono professionisti sono anche meno liberi. Non applicandosi la legge 91, vige ancora il vincolo: anche se l’accordo economico è scaduto, la nuova società dovrà riconoscere al vecchio club un indennizzo calcolato con il parametro. Quello che la sentenza Bosman ha cancellato tra i pro’ quindici anni fa. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Torino Nell'assalto con mazze e bombe carte anche ultrà della Juventus. Tre persone fermate Sedicenne denuncia finto stupro La folla incendia un campo rom Bruciate baracche e una cascina. La ragazza: mi ero inventata tutto di GIUSI FASANO ft.MARCO BARDESONO (CorSera 11-12-2011) MILANO — Tono imperativo e bastoni in mano. «Donne e bambini fuori di qui, subito» hanno ordinato. Erano una quarantina, forse cinquanta, qualcuno giura che fossero molti di più. Tutta gente del quartiere e fra loro tanti ultrà della Juventus. Le Vallette di Torino, ieri sera alle sette e mezzo. Fra i palazzi-dormitorio lontani dal centro va in scena prima la solidarietà poi la spedizione punitiva. È caccia al rom, quale che sia. Perché si dice che sia stato un rom a violentare, due giorni fa, una ragazzina di 16 anni della zona. Così 500-600 persone si ritrovano a metà pomeriggio per le vie delle Vallette a sfilare e a far sentire alla vittima tutta la loro vicinanza. Ma quando il corteo si chiude restano per strada solo quei ragazzi inferociti a caccia, appunto, di un rom qualunque per vendicare la ragazzina stuprata. Che però in quegli stessi minuti sta ritrattando tutto davanti ai carabinieri che la incalzano sui dettagli non credibili della sua prima versione: «Mi sono inventata ogni cosa» cede lei alla fine. «Era la mia prima volta, è arrivato mio fratello, mi sono vergognata e ho inventato la storia». Troppo tardi. Il commando dei «vendicatori» è già all'opera alla cascina Continassa dove vivono un centinaio di nomadi romeni. È una ex casa di caccia del Savoia (oggi appartiene alla Juve che ne ha chiesto lo sgombero) occupata cinque anni fa da famiglie di zingari romeni. Ci sono donne davanti al cancello d'ingresso quando i «vendicatori» arrivano urlando il primo ordine: «Donne e bambini fuori di qui». Ubbidire è obbligatorio. Anche perché un attimo dopo scoppia una prima bomba carta che apre la strada al gruppo. La loro furia sembra incontenibile. Fanno di corsa la viuzza sterrata che porta dove c'è la struttura centrale della cascina, vicino ad alcune baracche. Dall'esterno si sente un nuovo scoppio, poi altri ancora e all'improvviso si vedono le fiamme, sempre più alte, sempre più estese. Tempo un'ora e quasi tutta la Continassa brucia, osservata a distanza da decine di residenti venuti a urlare slogan contro le volanti della polizia o a fermare i mezzi dei vigili del fuoco che al primo tentativo di entrare hanno dovuto retrocedere all'urlo ripetuto di «lasciateli bruciare». Verso le nove di sera sul palco di questo spettacolo senza senso è salito anche il fratello della ragazzina dello stupro. È arrivato insieme ai carabinieri perché si è pensato che forse lui, le sue parole, sarebbero riuscite a placare gli animi dei più facinorosi. Risultato: ha provato a dire qualcosa che nessuno ha ascoltato. La rivolta ormai era cosa fatta. E il solo dettaglio che avrebbe fermato i «giustizieri» della spedizione punitiva era sapere che non c'era più un solo rom nei paraggi. I ragazzi che vivevano nella cascina sono riusciti a scappare dalle uscite laterali mentre il gruppo con i bastoni e le bombe carta avanzava all'interno del cascinale. La rabbia è sbollita quando tutto era ormai avvolto dalle fiamme: era la certezza che almeno per un po' nella Continassa non si sarebbero visti rom. «Andiamo, l'obbiettivo è raggiunto» ha detto uno dei capi-blitz. Tempo mezz'ora e nel quartiere si è diffusa la nuova voce: la ragazza ha raccontato bugie. I rivoltosi delle Vallette hanno provato a disperdersi come hanno potuto ma durante l'assalto c'erano fotografi (minacciati e allontanati) che li hanno immortalati. Alcuni di loro sono facce note ai carabinieri e agli uomini della Digos per la loro militanza tra gli ultrà juventini. Così identificarli è stato un attimo: tre i fermi nella serata e una quindicina di altri nomi sui quali indagare. La ragazzina che ha innescato tutto ciò sarà denunciata per simulazione di reato. Dice di aver avuto un rapporto consenziente in un garage con il fidanzato, un italiano di 23 anni rintracciato e sentito nella notte. Ma secondo gli inquirenti il fratello della sedicenne non racconta bugie quando dice che l'ha trovata per strada con i blu jeans in mano e sanguinante. Perché in quelle condizioni? E poi c'è il dettaglio del ragazzo che lo stesso fratello dice di aver visto fuggire e che non è il fidanzato di lei. Chi allora? Il finale di questa storia sembra ancora da scrivere. ___ E il fratello implora la folla “Fermatevi, Sandra ha mentito temeva di essere sgridata” Quindici minuti di follia. E i nomadi fuggono di DIEGO LONGHIN (la Repubblica 11-12-2011) TORINO — «Ragazzi, calmatevi, calmatevi. Scusate, ma mia sorella si è inventata tutto. Non è colpa di questi». Alessandro è scosso, arriva scortato dai carabinieri. È il fratello della sedicenne che ha accusato una violenza da parte di due rom (e che ora sarà denunciata per simulazione di reato). Parla. Dietro ha le baracche che bruciano, il fumo più nero della notte. «Non è colpa di questi», ripete. Un’invenzione che ha però scatenato la violenza del Ku Klux Klan in formato stadio. Una furia scattata all’improvviso. «Donne e bambini a casa. Si va alla Continassa a cacciare gli zingari. Bruciamo tutto». I capibastone del tifo organizzato della Juve in prima fila, come delle furie. Dagli zaini spuntano fuori i bastoni, altri ne raccolgono da terra, tutto ciò che è utile per menare le mani. A difendere il campo abusivo non c’è nessuno. Doveva essere un corteo pacifico, contro lo stupro di una ragazzina di 16 anni da parte di due nomadi. Nel giro di un’ora si è trasformato in un raid carico di violenza. A dare il là un centinaio di ultrà che si sono staccati dal corteo di 500 persone che ha sfilato per il quartiere Vallette, estrema periferia di Torino, case nate come funghi negli anni ‘60 per dare un tetto agli operai che arrivavano dal Sud. Un quartiere difficile. Ieri la follia. Cento persone, la maggior parte pare legata a gruppi organizzati della tifoseria bianconera “Bravi Ragazzi” e “Drughi”, hanno voluto farsi giustizia da soli. Cappuccio sulla testa, sciarpe per nascondere il viso. In mano spranghe, bastoni, bottiglie e sassi. «Li dobbiamo ammazzare — si incitavano l’un l’altro — perché sono dei bastardi ». A passo svelto, la parte violenta ha raggiunto le baracche. Sulla strada hanno incontrato un nomade: «Bastardo, devi morire. Vieni qua che ti diamo fuoco». Sassi, calci. Qualcuno tira fuori un bastone. Solo lo scatto del ragazzo rom gli evita di avere la peggio. «Blocchiamo la strada, nessuno ci deve fermare. Non questa volta». Il corteo dei violenti taglia per via Druento, lo stradone di periferia che porta alla cascina. Da una parte capannoni, dall’altra la cascina diroccata occupata dai nomadi, che diventerà la sede della società bianconera, e più in là il nuovo stadio della Juve illuminato a giorno. «Eccoli, sono là che stanno. Quando passo in macchina vedo sempre le loro baracche». Un centinaio circa, tutti giovanissimi dai 15 ai 25 anni — qualche ragazza è rimasta. «Perché non hanno preso me quegli schifosi, io avrei saputo come fargliela pagare », sentenzia una ragazza, poco più che diciottenne. Gli ultrà isolano le poche macchine della polizia che sorvegliano la situazione. Sanno come fare. Non hanno paura dello scontro. Il gruppo arriva all’ingresso della Continassa. Il cancello è chiuso. Nessun problema, tirano fuori una bomba carta e sfondano. Grida. «Dove siete?! Venite fuori schifosi!». «Ma se ci sono dei bambini?», domanda uno. «E che problema c’è bruciamo anche loro!», urla a denti stretti un ragazzo. Non c’è pietà nel raid che sfila per i prati: è una caccia all’uomo. Polizia e carabinieri tentano di fermarli. La furia prevale. In pochi secondi devastano tutto, danno fuoco alle baracche. Fermano anche i vigili del fuoco. Fuori dalla cascina si intonano cori da stadio: «Sì, bruciateli». Solo Alessandro, il fratello della ragazza, riesce a placare gli animi. Arrivano in massa le camionette delle forze dell’ordine. Gli ultrà Ku Klux Klan si danno alla fuga, i carabinieri riescono ad acciuffare due capibastoni, ma i compagni non mollano facilmente: «Lasciateli andare». Si arriva allo scontro, mentre il campo brucia e Alessandro ripete: «Non è colpa di questi». === La segretaria provinciale del Pd era in corteo, preoccupata per quello che poteva accadere Bragantini: "Temevo il peggio mai vista una cosa del genere" di DIEGO LONGHIN (la Repubblica - Torino 11-12-2011) «Non ho mai visto una cosa del genere, impressionante». Paola Bragantini, presidente della Circoscrizione e segretaria del Pd di Torino, non ha un carattere fragile. Nata e vissuta tra Vallette e Madonna di Campagna, ama sempre sottolineare che, oltre all´università classica, ha frequentato anche quella della strada. Una bella palestra. Anche lei era in corteo, preoccupata da quello che poteva accadere. «I pieghevoli nelle buche incitavano alla violenza, al ripuliamo la Continassa. I segnali c´erano tutti». E nel quartiere da tempo c´è chi vorrebbe veder chiuso quel campo abusivo chiuso nelle mura di una vecchia cascina diroccata che si trasformerà nella sede della Juventus. Quando ha capito che le cose si sarebbero messe male? «Quando siamo arrivati all´altezza dell´Arena Rock. Ho chiamato per chiedere rinforzi e soprattutto per chiedere che si mettessero degli uomini a difesa del campo». Quanti uomini delle forze dell´ordine c´erano a vigilare sul corteo? «Ho visto due o tre carabinieri, qualche poliziotto. Comunque insufficiente». Quando ha chiesto rinforzi cosa le hanno risposto? «Che il campo era già stato evaquato da un quarto d´ora». Chi c´era in corteo? «Gruppi organizzati da stadio. Non so di quale genere. Si diceva Bravi Ragazzi e Drughi. Gente che magari vive nel quartiere e che fa della violenza una ragione di vita». Cosa è successo poi? «Quando siamo arrivati davanti alla cascina hanno urlato a donne e bambini di farsi da parte. Si sono scaraventati contro gli ingressi, hanno sfondato e hanno dato fuoco a tutto». Ha visto gente scappare? «Si, dai buchi dei muri della cascina». E le persone rimaste fuori, nessuno ha cercato di fermarli? «No, mentre bruciava tutto intonavano cori da stadio». Il fratello della presunta ragazza violentata ha tentato di fermarli? «Non lo so chi fosse, è uscito un ragazzo, è ha detto che quelli del campo non avevano colpe, che erano stati altri a farlo». Perché è successo? «Perché chi conosce solo la violenza e ogni scusa per menare le mani oggi ha avuto la copertura dell´esasperazione della gente che da anni vuole chiuso il campo nomadi. Ma le Vallette non sono questa cosa qui».