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Ghost Dog

Tifoso Juventus
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  1. CALCIOPOLI: PARLA IL PRESIDENTE FEDERALE «Juve avanti al Tar? Noi sereni» Abete: «Ci siamo sempre comportati con grande rispetto verso tutti gli interessati» di ALVARO MORETTI (Tuttosport 20-12-2011) ROMA. Tra il Palazzo ad H al Foro Italico e Desenzano del Garda fa ping pong la relazione Palazzi e le conseguenze che ha portato nel calcio italiano. Prima di tutto la notizia: nessun invio al macero del lavoro effettuato dal 1 aprile 2010 al 1 luglio 2011 (lunghetto, no?) dalla Procura federale, innocuo per gli effetti sull’Inter e non solo delle innumerevoli incompetenze dichiarate sulla prescrizione sopraggiunta grazie a chissà chi, ma che tiene aperta la ferita della par condicio. L’Alta Corte presso il Coni, presieduta da Roberto Chieppa ieri pomeriggio ha dichiarato - come qui previsto - inammissimibile per carenza d’interesse il ricorso del Brescia, presentato il 15 luglio contro la relazione Palazzi, ritenuta indebita e inutile visto che l’indagine è partita a prescrizione già scattata. La Figc s’era opposta, e s’era associata nel fare barriera (per una volta accanto a via Allegri) la difesa di Moggi (non ammissibile anche questo ricorso). L’avvocato Catalanotti ci tiene a precisare che «le parti avverse hanno riconosciuto che Palazzi non mette in connessione il comportamento di Governato e il Brescia» nella relazione. «D’altro canto sarebbe stato poco logico che proprio il Brescia invocasse il contrario», dice l’avvocato Prioreschi. Insomma la Relazione è viva e lotta insieme a loro? Sì, perché proprio quelle 72 pagine - e in particolare quelle dedicate a Moratti e Facchetti - fanno discutere. IL CONSIGLIO Oggi in Figc, in sede di consiglio federale, non saranno accantonate cifre per l’eventuale danno da pagara in sede Tar alla Juve, convinti delle proprie ragioni e la conferma viene da un commento acidulo del presidente Abete ieri alla festa di Natale della Lega. «La Juve va avanti al Tar? La Figc contrasterà questa posizione ritenendo di aver fatto tutto quanto era nella sua titolarità - dice Abete -. Riteniamo di aver operato con grande rispetto nei confronti di tutti gli interessati, ma al momento mi sembra che le pronunce intervenute da parte del Tnas, della Uefa, dalla stessa Prefettura di Roma rispetto agli esposti Juve vanno tutte in una certa direzione. Le pronunce sono state tutte di incompetenza? Se tutti i soggetti si ritengono incompetenti bisogna chiedersi se sono tutti incompetenti quelli che rispondono oppure se le domande sono poste a soggetti non titolati. La situazione comunque è chiara, c’è una posizione legittima della società che ritiene di portare avanti le sue richieste e noi che porteremo le nostre posizioni senza nessuna logica aspra». Ohi, mica ce lo dice però quale è la sede giusta per capirechi debba fare chiarezza sul difetto evidente di par condicio calciopolara. La risposta Juve è affidata a Marotta. «Adesso guardiamo avanti con serenità - ha detto - la Juve vuole solo cercare la verità, cioè eliminare i torti subiti. In noi da una parte c’è una grande disponibilità al dialogo, dall’altra una grande fermezza nel veder riconosciuti i nostri diritti». === L’ASSEMBLEA: SCINTILLE CON LA FIGC La Lega approva il bilancio A gennaio il futuro di Beretta di STEFANO SCACCHI (Tuttosport 20-12-2011) PRIMA che entrino in scena le ballerine del Teatro Alberti di Desenzano del Garda - di proprietà di Enrico Preziosi che ha invitato i colleghi per la tradizionale assemblea prenatalizia della Lega Calcio di Serie A seguita da spettacolo di burlesque, cena e concerto della band di Massimo Cellino - c’è spazio per nuove scintille tra i club e la Figc. Giancarlo Abete, presente alla riunione, deve dare spiegazioni sulla riduzione di contributi federali per circa 7 milioni rispetto all’anno precedente. E’ una partita di giro nella quale viene a mancare una convenzione che garantiva 12 milioni alla Serie A (ora stipulata con la Lnp). Questo minore introito in parte è stato compensato da versamenti pari a circa 5 milioni per le spese arbitrali e le presenze dei calciatori in Nazionale. E’ soprattutto Claudio Lotito a marcare stretto Abete che cerca di placarlo: «Stai tranquillo e passa bene la nottata». I due infatti si ritroveranno oggi a Roma per il Consiglio federale. Aleggia sempre la questione delle modifiche richieste dai club all’articolo 22 delle Norme organizzative interne della Figc che impone a Lotito di lasciare tutte le cariche calcistiche in seguito alla condanna in primo grado a Napoli per Calciopoli. «Sono qui in qualità di consigliere federale, perché noi ci autoeliminiamo», è stata la battuta di Lotito durante l’assemblea proprio riferendosi a questa prescrizione (la Figc ha deciso di attendere il parere della Corte di Giustizia prima di far decadere il presidente della Lazio dall’incarico federale). Abete abbozza: «Fino a quando ci si confronta sul merito dei problemi va bene». RICHIESTA DI CHIARIMENTI Il bilancio della massima divisione è stato approvato all’unanimità, ma alcuni presidenti - Lotito, Preziosi e Cellino - hanno chiesto spiegazioni su una voce: l’aumento delle spese di consulenza per 1.9 milioni. Sarà preparato un rendiconto per capire cos’ha provocato questo incremento. Prossimo appuntamento a metà gennaio per l’assemblea nella quale si affronterà il nodo della presidenza: rinnovare la fiducia a Maurizio Beretta o trovare un successore. Probabile che si prosegua fino al 30 giugno col doppio incarico del manager Unicredit al vertice anche di Via Rosellini. Al momento il nome più gettonato è quello di Andrea Cardinaletti, ex presidente e ora commissario straordinario del Credito Sportivo.
  2. 20 12 2011 Pallone e scommesse Febbre da cavallo L’hanno chiamata “last bet”, l’ultima scommessa. E invece è ovviamente solo la penultima, o la terz’ultima… Voglio dire che chi si sorprende dell’inchiesta della Procura di Cremona e dei suoi arresti, da Doni a scalare, o non ha capito o non vuole capire. Così come chi tende a sottovalutare il fenomeno. Che non si “estirpa” (come vorrebbe Galliani) per grazia di Dio anche in questo clima da Rotondolatria, non è facilmente scomunicabile, non risponde alla mozione degli affetti del tifoso che non vorrebbe sentir parlare di arresti ma soltanto di “veroniche” o di difese che “murano”, o di squadre “ciniche”, in un crescendo lessicale rossiniano che è più da operetta che da opera. No, le scommesse sul calcio vengono da lontano, arrivano lontano e soprattutto rischiano di trasformare il pallone che aveva resistito alle “far macie” di Zeman nell’equivalente delle Sale Corse Ippiche, a ippodromi ormai chiusi. Non saranno questioni nuove per i lettori di questo giornale. Trovano perfino l’ipotesi di arresto dei coinvolti in questa inchiesta già nel mio libro uscito a luglio, “Il calcio alla sbarra”, e in molti articoli dedicati al fenomeno del pallone marcio in questa pagina. La domenica può essere maledetta per motivi differenti da quelle intestati ad Al Pacino e alla sua saga cinematografica. NEL LIBRO, negli articoli ho battuto spesso sulla “nolontà della giustizia sportiva” e della politica che la comanda, cioè la sua non-volontà di combattere il fenomeno o sottovalutandolo oppure insabbiandolo. È tutto scritto, non debbo ripetermi. E il motivo di tali sottovalutazioni o insabbiamenti deriva sempre dall’atteggiamento di mercanti/imbonitori di chi vende un prodotto e teme la cattiva pubblicità. Quasi sperando che il marcio si estingua da sé, prenda fuoco e si incenerisca per autocombustione. Il pericolo mi pare esattamente l’opposto: che venga normalizzato il marcio, che lo si consideri una variabile come un’altra, nel Reame Rotondo odierno, che si dica “il calcio ha tanti problemi ma non penso che stia peggio della media della società italiana”. È in quarta di copertina del libro citato. Chi l’ha detto? Il sociologo Ilvo Diamanti? No, tranquilli, “semplicemente” il presidente federale, Giancarlo Abete. In una normalizzazione del calcio ridotto in queste condizioni “valoriali” e “concettuali”, senza uno straccio di etica, con le scommesse invasive in qualunque presentazione di partita (oggi e domani, per esempio, con il recupero di campionato) e in qualunque medium, in primis la tv, c’è chi sostiene che basti controllare l’esasperazione illegale del fenomeno: sono soldi buoni eccome anche quelli delle scommesse, come quelle delle miriadi di Giochi che per far surrogare lo Stato hanno trasformato l’Italia in una bisca a cielo aperto, cioè corruscato… Non conta che si rovinino in tanti con questa “tassa sulla miseria”, l’importante è che giochino. I costi sociali impallidiscono per i padroni del nostro vapore e invece giganteggia la voce “entrate”. Benissimo, cioè malissimo: ma che cosa c’entra questo con il discorso sulle scommesse, su Doni, sulla riluttanza istituzionale ad affrontare e quindi a tentare di sconfiggere o ridurre la portata di questa gigantesca “bet”? C’entra se guardiamo il panorama dall’alto. Se mettiamo le tessere del mosaico una vicino all’altra. Se non abbiamo paura di un’occhiata circolare. Che c’entra il teppismo ultrà con il fatto che all’assalto ai rom delle Vallette hanno dato una orrida mano dei tifosi juventini, con un terrificante spirito di “contiguità” dello Juventus Stadium con la cascina da cui “gli zingari se ne devono andare”? Che c’entra il rischio che una situazione calcistica come quella della Fiorentina possa far degenerare il tifo in una città che ha appena visto dispiegarsi la strage di senegalesi e che allo stadio non si è tirata indietro da insulti razzisti p. e. a Mihajlovic (da cui la dirigenza si è fortunatamente dissociata, a quanto ci tengono a precisare)? E che c’entra il fatto che anche in un mondo d’oro e d’argento come il calcio professionistico, e in quello “golden”, rivestito di luccichii, come quello professionistico “basso”, di qualche club di B e delle due Divisioni inferiori, comincino a mancare i denari e falliscano società su società, e s’affollino gli stuoli di calciatori creditori di stipendi che forse almeno in parte non prenderanno mai? CHE C’ENTRA dunque Monti con Abete, e Passera con Zamparini, che nel frattempo ha defenestrato anche Mangia dalla panchina (per Berlusconi avrei dovuto nominarlo due volte nelle sue molteplici vesti…)? C’entra tutto con tutto, la crisi dilaga, e non da oggi. E come un virus cambia campo continuamente, contagia, non distingue. È’ indispensabile cercare di “tenere il tutto” dell’assioma francese almeno per capire, e poi per controbattere: senza soldi, o anche solo con meno entrate per chi è abituato a un certo tipo di vita pluto-rotonda e non si rassegna a dimensionarsi, si acuiscono i comportamenti al limite e spesso si oltrepassa il confine della legalità, non essendoci più alcun faro etico a illuminare il campo da gioco (prego leggersi quest’ultimo sintagma nei due sensi). E a questo punto dovrei persino scusarmi con i lettori che forse “in questa pagina” vogliono sapere dello spirito “provin ciale” della Juve, del sommo sceneggiatore che mette di fronte domani Udinese e Juventus imbattuta per il recupero della prima giornata da scioperati, della Roma rinata e della Fiorentina rimorta (e grazie, datemi Boruc al posto di Frey in porta e sono capace anch’io d’affondarla: spero che i Della Valle bs. e Corvino abbiano dei secondi fini che ci sfuggono, altrimenti sarebbe disperante. Meglio che ci facciano, insomma, mi tranquillizzerebbero …). Cioè del calcio vero: ma perché, Doni in carcere è finto?
  3. BISOGNA SAPER VINCERE ARRIVANO I DONI DI NATALE di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 20-12-2011) Perché il pallone è così/ un giorno sei una star/ e il giorno dopo il buffone preso in giro al bar”. Così flautava profetico uno dei migliori amici di Cristiano Doni, il Bepi, apprezzato cantautore local in quel di Bergamo dove “A crapa olta” il simbolo di un decennio di Atalanta era tornato a oltre 30 anni per sentirsi dedicare poemi ad personam e fondersi denifitivamente con la città. Ora che la testa è necessariamente bassa e l’isolamento di un carcere di massima sicurezza, uno schermo utile a nascondere vergogna e illusioni perdute, il cittadino onorario di Bergamo Doni Cristiano, forse, rifletterà. Lo hanno arrestato all’alba di ieri, mentre, raccontano, tentava di scivolare invisibile verso il garage. Fuggire, eclissarsi, sparire. Lontano dai tormenti e dalle urla che in queste ore, sui siti ultras, ne sbranano la sindone spandendo nell’aria bandiere, ricordi e dolori. Per lui i tifosi dell’Atalanta avevano ceduto alla teoria del complotto (lontanissima dal pragmatismo bergamasco), inscenato manifestazioni di piazza, insultato chiunque in questi anni si fosse mezzo tra loro e Cristiano. Perdonato già molti anni fa, quando l’eroe si era macchiato in un palcoscenico minore (Atalanta-Pistoiese di Coppa Italia) e prima di lavarsi con l’assoluzione, era stato accusato di un delitto troppo simile a quello di oggi. CRISTIANO era l’altare da onorare e la prova tangibile di una diversità. L’Atalanta, il suo popolo, l’highlander con il numero 27 e tutto il mondo fuori. Lontano dalle combine. Fiero, indomito, limpido. Doni. Il figliol prodigo che superati i confini di Treviglio, falliva sempre. Male alla Sampdoria, in Spagna, ovunque. Tranne che in Nazionale con Trapattoni (gloria effimera) e allo stadio Azzurri d’Italia, dove il romano Cristiano, senza dimenticare i natali, recitava da fiera del Colosseo. Con la rabbia giovane e il (luminoso) talento, nella maturità e nel crepuscolo. Da padrone e gestore di stabilimenti balneari. Da vitellone e padre di famiglia. Da calciatore, guru, presidente, scommettitore. Il vizio antico, la condanna odierna. Decideva sempre Cristiano. Quello che sapeva toccare la palla. Quello con le palle. Aveva litigato con Gigi Del Neri, Novellino e Ulivieri, con gli arbitri (“È uno schifo” urlava a Brighi nell’arena), con Antonio Conte in un lontano pomeriggio livornese: “È un ometto ridicolo”, benedicendo poi l’addio dell’ex nemico e continuando a provare per tutto ciò che sapeva di juventinità una sincera avversione: “Non c’è squadra che mi sia più antipatica sulla terra”. Ora che le chiavi d’oro trasmutano in acciaio e blindano una cella, tra le sbarre, anche i dubbi estivi che sollevavano polvere sull’innocenza: “A Bergamo certe cose non succedono. Sono 10 anni che do l'anima per l’Atalanta. Uno così secondo voi può vendere delle partite?” finiscono per essere inutili come le domande. Cristiano Doni è rimasto solo. E un uomo solo è sempre in cattiva compagnia.
  4. IL TUTTO È FALSO… IL FALSO È TUTTO FINO A QUANDO? di CESARE POMPILIO dal blog "iosonopompilio.it" 19-12-2011 Chi pensava che il mondo del calcio fosse una isola felice, nell’arcipelago dello scibile umano, deve ricredersi. Lo sport è figlio della nostra società; perciò pieno di parolai, disonesti. Certamente sono convintissimo di quello che dico, certamente vorrei che lo sport fosse un arcipelago pulito, una palestra dove curato il corpo anche la mente diventasse sana. Invece è esattamente il contrario. Si esattamente il contrario, e non da ora. Le scommesse clandestine esistevano già alla fine degli anni 70 e in molte zone di Milano al sabato sera si giocavano i risultati delle partite. Lo scandalo degli inizi degli anni 80 fece clamore. L’Italia di Bearzot divenne Campione del Mondo. Di tutt’altra specie è stato Calciopoli. Con Calciopoli si è voluto togliere di mezzo un grande competente di calcio: Luciano Moggi. Le mosche cocchiere si sono allucentate e allucinate, un maniscalco tenne bene il gioco, dei musicanti falliti intonarono il Te Deum. Insomma l’orgia ha preso le godurie del sesso e le gesta della preghiera vespertina un mix perfetto tale da generare un mostro. Ci son voluti 5 anni prima che Luciano Moggi trovasse un compagno di strada degno di poter fargli sponda. Della Valle è stato muto per tantissimo tempo; ora, ha solo chiesto se nei giorni caldi della mistolfa le cotenne erano tutti dello stesso maiale. Apriti cielo, attacca massiccio, sferra dei colpi mortali il geloso don Ciccio. Apriti cielo, chi batte i pugni, chi fa il cretino, chi minimizza. Insomma potrebbe rinascere una nuova orgia ma cambiano i protagonisti, perchè, quelli di allora hanno un solo interesse: non ne parlare.Tutte le volte che sento puzza di stalinismo impazzisco. Ed allora? Risolviamo Calciopoli, risolviamo Moggi, risolviamo Giraudo, Bergamo…La Juve. Risolviamo all’italiana? Si dove sta il difetto? Risolviamo subito. Tanto i turiferari sono già allineati, aspettano un cenno, solo un cenno per dire: il tutto è falso. . il falso è…per tutti
  5. Il conflitto rimane Calciopoli: fallito tavolo della pace per rabbonire Agnelli Andrea Agnelli ha preso di petto la vicenda, sposandola completamente e porta Figc e Inter davanti al TAR di Simona Aiuti (Italia chiama Italia 19-12-2011) Per i più è stato alquanto velleitario cercare di chiudere l’affare Calciopoli con un cosiddetto “tavolo della pace”, forse ingenuo o forse inutile, però almeno abbiamo avuto delle conferme. E’ stato un incontro molto lungo, cordiale secondo le testimonianze dirette, e alla fine lo spettro della magistratura aleggiava sulle teste dei convitati, almeno su alcuni, spaventati dalla fermezza di Andrea Agnelli, anche se hanno cercato di celarlo molto bene. Forse non si è trattato di correttezza, ma di tattica e melina. Gli strascichi di Calciopoli sono tanti, per non parlare dei veleni e il senso soffocante d’ingiustizia di cui in troppi si sentono pervasi, come Della Valle ad esempio che non la manda a dire e avrebbe anche deciso di querelare Guido Rossi per l’operato del 2006, con un colpo di teatro che ha stupito i più, è palpabile. Dopo l’incontro dopo cui ognuno è rimasto nelle proprie posizioni, Petrucci è apparso un po’ sconsolato, però ricordiamo che fu lui a dare mandato a Guido Rossi cinque anni fa, e oggi quella decisione per molti è il “peccato originale”. Forse c'è stata la buona volontà di far avvicinare i presidenti, ma non si sono ottenuti risultati, solo perché nessuno ha portato una confessione o un dono, come avrebbe dovuto, almeno sotto Natale. Il ricorso della Juve al Tar spaventa Petrucci, il quale cerca di alzare le mani, dicendo che la FIGC farà la sua parte istituzionale e come federazione contrasteranno il ricorso della Juve in modo sereno (ma che vuol dire in modo sereno?). Non si capisce come Petrucci possa sentirsi tranquillo davanti ad un tribunale, ben sapendo che non ha fondi per un risarcimento, e se dovesse pagarlo dovrebbe rivedere la posizione dell’Inter che ha usufruito di una prescrizione e intercettazioni alla mano, in confronto Moggi era un mammola. Il conflitto rimane, e lo ha dovuto ammettere anche Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio, parlando del ricorso con cui il club bianconero ha chiesto alla Figc un risarcimento di 443 milioni di euro. Abete sa che non ci sono fondi a disposizione della federazione per fare fronte a questo ricorso perché significherebbe fermarsi per due-tre anni; e forse noi non lo sapevamo? Lo sappiamo eccome e non abbiamo paura di questo, dopo tutto il danno la Juve l’ha avuto, altri per reati sportivi più gravi sono stati premiati, quindi il tutto è lapalissiano. Considerato che la federazione ha introiti di circa 180 milioni di euro l'anno, ci sarà da riflettere. Andrea Agnelli ha preso di petto la vicenda, sposandola completamente e porta Figc e Inter davanti al TAR, e non ha importanza se Abete ha bacchettato la Juventus dopo il ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Il capo della Figc criticò soprattutto la tempistica del club bianconero, caduta nel giorno dell’anniversario della morte di Facchetti, per noi invece forse non doveva partire la querela contro Moggi, per presunta diffamazione alla memoria di Facchetti, visto che gli juventini non vogliono oltraggiare la memoria di nessuno, ma ricordano delle intercettazioni per troppo tempo seppellite, quelle necessarie per arrivare ad una prescrizione. Ha spiegato il presidente di Corso Galileo Ferraris che l’Inter è un danno collaterale della questione. Quella di Agnelli è una verifica sugli atti amministrativi operati dalla Federazione. Questa è una delle sette azioni programmate e forse il tavolo della pace è nato dal timore che ci sia un altro scossone. A pensar male si fa peccato, però ci s’indovina a volte. Chissà se Babbo Natale porterà a Petrucci sonni tranquilli e un po’ di soldini?
  6. E se la camorra attaccasse il Napoli perché De Laurentiis non paga il pizzo? Introducendo la vendita dei biglietti on line, il presidente del Napoli ha sottratto un mercato d’oro ai cosiddetti bagarini. E in un mese, improvvisamente, i calciatori, le loro mogli e i loro entourage sono diventati le vittime preferite delle rapine. Il questore continua a parlare di terribile coincidenza, eppure in città il tam tam è partito. di MASSIMILIANO GALLO (LINKIESTA 19-12-2011) E se Aurelio De Laurentiis stesse combattendo una personale battaglia per non pagare il pizzo alla camorra? La domanda, a Napoli, circola. Messe in fila, le rapine a calciatori, mogli di calciatori, procuratori di calciatori, tracciano una sequenza che colpirebbe persino il più razzista dei leghisti. E poi resta la domanda, insoluta: come mai fino a un mese fa i calciatori del Napoli erano praticamente intoccabili - tranne qualche caso sporadico, come il Rolex di Hamsik - e adesso invece sembrano essere le vittime preferite della criminalità? Il questore Luigi Merolla smentisce: «Le rapine sono una terribile coincidenza. Al momento non sembra che ci sia una strategia criminale alle spalle. Naturalmente dobbiamo ancora approfondire le indagini, quando lo faremo e se dovessimo riscontrare dei collegamenti allora potremmo esprimerci in maniera diversa». Ma in un mese la criminalità ha colpito la fidanzata di Lavezzi (rapinata del Rolex), la moglie di Hamsik (costretta ad abbandonare il Suv sotto la minaccia di una pistola), la consorte del meno conosciuto Fideleff (hanno provato a rubarle l’auto), il difensore Aronica (furto di una Fiat 500) e infine il procuratore di Cavani (rapinato del Rolex in corso Garibaldi, in zona Stazione). È vero, episodi del genere accadono in altre città d’Italia e fanno meno notizia. È il caso della recente rapina di Panucci a Roma, così come del Rolex rapinato a Vucinic in centro a Torino, o dei furti nelle case di tanti calciatori di Milano. L’elenco, insomma, è lungo. Ma a Napoli il tam tam c’è, è innegabile. E racconta di una battaglia che Aurelio De Laurentiis sta conducendo nel settore dei biglietti, per anni territorio incontrastato dei bagarini. Il presidente del Napoli ha introdotto una novità rivoluzionaria per la città, la vendita dei tagliandi on line, e ha interrotto un sodalizio storico con un’agenzia deputata alla vendita dei biglietti, stravolgendo le abitudini dei tifosi. E forse non solo. Il giro d’affari dei bagarini sui biglietti del Napoli è sempre stato ricco. Per decenni, dai tempi di Maradona, ma anche prima, non c’era servizio televisivo o reportage dei grandi inviati sportivi che non partisse dai bagarini, dominatori del mercato nero dei tagliandi d’ingresso. La storia che a Napoli si racconta è che la camorra, che controlla questo mercato, non avrebbe gradito le novità introdotte dal presidente. E che sarebbe così cominciato un braccio di ferro: “attacchiamo i calciatori, anzi le loro mogli, in modo che nessuno vorrà più venire a giocare qui. E tu hai finito di fare il tuo business. Proprio come tu hai fatto con noi”. Ovviamente è un tam tam. Il questore ha parlato chiaro. Il presidente del Napoli non ha detto una parola su questi ripetuti episodi di criminalità. Così come il sindaco Luigi de Magistris che non perde occasione per farsi inquadrare vicino al presidente nella tribuna autorità del San Paolo. E proprio domenica sera, in curva B, è stato esposto un striscione contro il calciatore del Napoli Marco Donadel (“La nostra città hai denigrato, qui non sei più desiderato. Donadel Vattene”), reo di aver rilasciato dichiarazioni sul pericolo di vivere a Napoli a una radio fiorentina. Dichiarazioni di cui, però, non si trova traccia. Resta il fatto che fino alla introduzione della vendita dei biglietti on line la vita dei calciatori a Napoli filava più o meno tranquilla. Certo, ci fu il furto in casa Cavani. Ma da un mese le giornate dei giocatori e delle loro consorti sono diventate meno serene.
  7. Un altro scandalo di GUIDO BOFFO (LA STAMPA.it 19-12-2011) Mercoledì 21 dicembre, prima giornata di serie A. Stavolta le tv non c’entrano, il calendario l’hanno manomesso i calciatori con il grottesco sciopero di fine agosto. Ricordate? I presidenti non fecero molto per ricucire lo strappo sul contratto collettivo. «Sfasciatutto», li definì Gianni Petrucci, gran capo dello sport italiano. Quattro mesi dopo forse ne ha guadagnato lo spettacolo in campo, visto che Udinese-Juve è sfida di vertice, ma quello fuori resta desolante. Il contratto collettivo non è stato ancora firmato, per questioni tecniche legate alla formazione dei collegi arbitrali. I giocatori fuori rosa - casus belli - continuano a esistere e a essere lautamente pagati, per questo la questione non finisce sul tavolo del sindacato, immaginiamo con il sollievo del sindacato medesimo. E tra sei mesi si dovrà ripartire da capo, visto che l’ultimo accordo ha valore transitorio. Tanto sciopero per nulla. Ad agosto avevamo appena scollinato l’ennesima puntata del calcioscommesse, tempesta senza vittime illustri, se non l’Atalanta penalizzata di 6 punti e Cristiano Doni squalificato per tre anni e mezzo. Finita lì? Non illudetevi. Oggi a Cremona è prevista una nuova infornata di custodie cautelari, la ferita si riapre, i sussurri diventeranno grida se nella rete finirà qualche pesce grosso. Così pare, ma in certi casi è meglio attenersi alle carte, anziché farle. Si annuncia una settimana poco natalizia. Ed è decisamente una strana coincidenza che Franco Carraro, eminenza grigia del Palazzo e dei suoi anfratti, nei giorni scorsi abbia vaticinato nuovi bubboni, proponendo addirittura un controllo a campione di dirigenti e atleti. Come per l’antidoping. Ci avesse pensato lui, nei lunghi e distratti anni di presidenza della Federcalcio, forse Calciopoli non sarebbe scoppiata. Al Coni non nascondono la preoccupazione. I club italiani di vertice sono gravati da sbilanci pesanti, i mecenati sono sempre gli stessi e sempre meno disposti a svenarsi; fatta eccezione per la Juve, mancano stadi moderni e la possibilità di autofinanziarsi. Restano le beghe, e gli scandali. Il tavolo della pace era stato studiato per parlare anche di futuro, definire una piattaforma, allargare gli inviti, affacciarsi nell’anticamera del governo Monti con un’immagine presentabile. Se non ce l’hai, come puoi chiedere una legge sugli impianti, la riforma del professionismo, la tutela del merchandising, in definitiva un minimo di attenzione nell’agenda drammatica del Paese? Il tavolo è saltato, pare non senza rimpianti. E se è vero che qualcuno vorrebbe tornare a sedersi, lasciando che il passato segua la sua strada, sarebbe il primo segnale confortante in questi mesi di kamikaze. Per la crescita del movimento, per la sua stessa sopravvivenza, non bastano tre squadre negli ottavi di Champions League. Servirebbe un po’ di fairplay e non solo finanziario.
  8. IL ROMPI PALLONE di GENE GNOCCHI (GaSport 19-12-2011) Venerdì è nato il figlio di Andrea Agnelli: si chiama Giacomo Dai. Ieri è nato il figlio di Moggi: si chiama Già Accomodai.
  9. CALCIOPOLI OGGI L’ALTA CORTE Un Palazzi, 2 velocità Altro caso di disparità: nel 2007 sprint per Calciopoli bis, nel 2010... Nel frattempo il Brescia ricorre contro la relazione del procuratore federale. E sono in arrivo sorprese sul caso radiazioni di ALVARO MORETTI (Tuttosport 19-12-2011) LA SCENA, oggi, sulle vicende attorno a Calciopoli la potrebbe rubare l’Alta Corte presso il Coni. Per due ordini di motivi: si stanno per chiudere i tempi delle memorie che i radiati Moggi , Giraudo e Mazzini e la Figc devono presentare al presidente Chieppa e al suo collegio per arrivare ad un giudizio definitivo in sede sugli ergastoli sportivi e le sorprese sono sempre all’ordine del giorno; ma oggi è in programma, dopo un rinvio tecnico, l’udienza per il ricorso che il Brescia Calcio e il suo avvocato Catalanotti , parte civile al processo di Napoli contro Fiorentina e Lazio (la Juve, come sappiamo se l’è cavata), hanno presentato contro la Figc per vedere cancellata la relazione Palazzi . NIENTE MACERO Eccola una cosa che dovrebbe interessare Della Valle : proprio lui che - grazie alla relazione Palazzi e le udienze di Napoli - ha scoperto disparità di trattamento e motivi per denunciare in ogni sede chi poteva e non fece, oggi vedrà i giudici pronunciarsi su chi non voleva neanche vedesse la luce quella relazione di 70 pagine che ha messo a soqquadro. La controparte è la Figc, ma si sono inseriti come parte resistente (per una volta al fianco della Figc) i legali di Moggi: loro hanno straordinario interesse che - per quanto prescritti o improcedibili - i comportamenti di cui alla relazione non vengano mandati al macero, anche ufficialmente. Moralmente quei fatti stanno lì, punto e basta. ILLEGITTIMO Il Brescia, in realtà, non sarebbe legittimato a quel ricorso: Palazzi, infatti, sulla posizione di Governato indaga come direttore sportivo e non come uomo-Brescia (è Pairetto in una telefonata a dirlo). E se non è citato, il Brescia non ha interesse al ricorso, secondo i più. Vedremo: Moggi resiste perché la relazione Palazzi dimostra, secondo l’avvocato Prioreschi e i suoi colleghi, che non c’era affatto l’esclusiva per i rapporti a base di griglie, cene e amicizia coi designatori. Tema forte per la richiesta di annullamento della radiazione. IL BIS Proprio su quel fronte, però, ecco un’altra chicca per chi - al tavolo e fuori - ha molto da eccepire sulla par condicio investigativa della Figc. Non solo Guido Rossi : sulle vicende di Preziosi molto abbiamo detto, però dallo studio delle memorie federali, i legali di Moggi hanno riscoperto la vicenda della Calciopoli Bis del Natale 2007. L’ultima informativa del 10 dicembre 2007, concessa a Palazzi dai pm di Napoli il 21 dicembre: Moggi viene intercettato a lungo anche dopo la storia del 2006 e vengono messi sotto indagine e taluni sanzionati dirigenti di club e federali (ricorderete le dimissioni di Punghellini , gli interrogatori a tappeto durante il Natale). Fece presto, allora, Palazzi: sentenze o archiviazioni per tutti entro il settembre 2008. Usando e citando solo le informative dei carabinieri, non telefonate trascritte e periziate. Ma non doveva essere quella la prassi da bollino blu, sciorinata da Palazzi come giustificazione per i 15 mesi di tempo utilizzati per la Calciopoli 2 sulle telefonate di Inter et alia? Palazzi, tra fine 2007 e il 2008 usa il sistema antico, modello Borrelli 2006: le informative (senza trascrizioni periziate) vanno bene. Nel 2010, con tanto di audio a disposizione, no... Interessante, no? Come interessante la solerzia con cui i pm di Napoli forniscano le informative su fatti davvero minori (era vietato parlare con lo squalificato Moggi), ma sulle telefonate dell’Inter - rilevantissime a livello sportivo -, sui baffi niente. Niente di rilevante penalmente, si autocertificano alla Procura di Napoli. E quanto erano “rilevanti” le telefonate con Spinelli , Cairo , Foschi , Punghellini, Secco , Gravina etc. parlando di calcio e basta finite al vaglio di Palazzi sotto Natale, nel 2007? Allora la prescrizione sportiva non era scattata per i tesserati messi sotto indagine nel 2010... === Della Valle: «Rossi? Nascosto sotto il letto» di ELVIRA ERBI' (Tuttosport 19-12-2011) IL TAVOLO della discordia sta diventando della concordia. Poco per volta, con pazienza. E l’ex commissario della Federcalcio ai tempi di calciopoli, Guido Rossi, resta una costante: sì, bersaglio assoluto. Diego Della Valle, patron della Fiorentina, ha ribadito nell’intervista a Maria Latella - andata in onda ieri su Sky - che vuole «sapere cosa è successo in quel periodo e se è stato istruito correttamente il processo: siamo certi che quelle cose andavano rilette, anche se non tutte, in altro modo. Vogliamo solo sapere la verità». E, invece, il signor Rossi «non ha risposto nulla e si nasconde sotto il letto». Mentre le altre parti in causa, lentamente, provano un avvicinamento. Nel tavolo «le cose scritte dal Coni sono di importanza rilevantissima, è stata un’opera meritoria di chiarezza», senza tralasciare il fatto che l’incontro «è servito per far parlare delle persone che si erano allontanate, che erano magari amiche e che, pur rimanendo sulle proprie posizioni, si sono chiarite sugli atteggiamenti del momento. Dal punto di vista umano è stato utile». Della Valle dice pure che la Juve - il cui ricorso al Tar è per richiesta danni di quasi 444 milioni - ha «ottenuto un mezzo risultato e credo che lo possa ottenere tutto». Mentre per quanto riguarda l’esposto sullo scudetto 2006 ammette che ci sono «tempi lunghi e percorsi tortuosi, ma Andrea Agnelli ha le idee molto chiare, vuole chiarezza e fa bene a ricercarla. È una persona perbene». AVANTI Gianni Petrucci, presidente del Coni, ammette pure lui che sì, il tavolo «anche se non ha raggiunto il risultato finale, è servito a creare dei presupposti importanti. Un buon percorso, dunque è stato fatto, e quindi non è stato un fallimento». E va oltre: «Dalle telefonate che ricevo, tutti mi dicono di andare avanti, ma adesso io, ovviamente, mi fermo. Diciamo che il rapporto è stato molto utile, anche perché abbiamo sfiorato il problema delle riforme del calcio». Alla prossima...
  10. HO FATTO SESSO PERSINO A TOKYO SALACE, IRRIVERENTE, SCHIETTO E TALVOLTA SCORBUTICO. IL CARATTERE DI STEFANO TACCONI CE LO RICORDIAMO TUTTI. MA CI SONO ALCUNE COSE CHE NON SAPEVAMO. A PARTIRE DA QUELLA VIGILIA DI COPPA INTERCONTINENTALE DI 26 ANNI FA. «ERO NERVOSO, PER CINQUE GIORNI SOLO ALLENAMENTI, MANGIARE E DORMIRE. ALLORA HO PRESO UNA GEISHA. OH, IN CAMPO ERO L'UNICO SENZA STRESS». E QUESTO È SOLO L'INIZIO. PERCHÉ IN QUESTA SCOTTANTE INTERVISTA NE HA PER MAIFREDI, IL TRAP E TANTI ALTRI di NICOLA CALZARETTA (GUERIN SPORTIVO - GENNAIO 2012) In mano ha una busta della spesa con un peperone rosso appena acquistato dal verduraio di fiducia. «Oggi preparo un bel sugo ai peperoni, tanto se non cucino io, in casa mia non ci pensa nessuno». È in perfetta forma, Stefano Tacconi, gli occhi azzurri scintillanti e la solita lingua tagliente. Siamo a Cusago, periferia sud di Milano. Mattinata brumosa, ma non fredda. L'appuntamento è in un bar del centro. Tuta nera, capelli biondo cenere spettinati come tendenza comanda e solito pizzetto ben curato. Un Campari, qualche patatina e via libera ai ricordi. Che sono tanti, perché lunga e ricca di eventi è stata la carriera di Tacconi, nato a Perugia il 13 maggio 1957. L'Inter, che lo aveva adocchiato da bimbetto, lo mette alla prova tra Spoleto, Busto Arsizio, Livorno e San Benedetto del Tronto. Poi, però, lo lascia libero. Ogni anno, uno scatto in avanti, fino alla Serie A con l'Avellino nel 1980. Ha una montagna di riccioli, il baffo precoce e una voglia matta di arrivare. Nel 1983 ecco la Juventus per il dopo Zoff, hai detto nulla. Spaccone e irriverente, si prende la maglia da titolare e scrive pagine storiche in bianconero. Conquista scudetti, ma soprattutto tutte le coppe possibili e immaginabili. Quella di più alto grado, la Coppa Intercontinentale, giusto ventisei anni fa, l'8 dicembre 1985 a Tokyo contro l'Argentinos Juniors. «L'ho vinta da protagonista, come avevo sempre sognato. Per un portiere è il massimo arrivare a giocarsi un trofeo ai calci di rigore. Quando l'arbitro ha fischiato la fine dei supplementari, ho detto: "E ora vado a prendermi la coppa". Ero convinto, sicuro che quello sarebbe stato il mio momento. E difatti ho parato due rigori su quattro e siamo diventati Campioni del Mondo». Detta così, più facile che bere un bicchiere d'acqua. «La partita è stata dura. Non quanto la preparazione, però». In che senso? «Siamo arrivati a Tokyo praticamente una settimana prima della gara, dopo un viaggio in aereo che non finiva più. Boniperti, tirato come sempre, ci faceva viaggiare in economica, mai in business. Io, Brio e Serena sembravamo dei ricci, raggomitolati tra una fila di seggiolini e l'altra. Facemmo scalo in Alaska, atterrando su una montagna di neve. Il fuso orario ci ammazzò. E questo è stato il viaggio». E a Tokyo? «Un casino. La città stava aspettando da mesi l'evento. Eravamo sempre imbottigliati nel traffico. Trapattoni, poi, era una belva perché avevano messo sia noi che gli argentini nello stesso albergo. La tensione saliva a vista d'occhio. Non c'era altro che allenamento, mangiare e dormire. Io ho resistito fino al quinto giorno». Dopodiché? «Sono scappato e sono andato a cercarmi una geisha». Trovata? «Sì e posso dire che dopo sono stato parecchio meglio». Nessuno si è accorto di nulla? «No, o per lo meno nessuno mi ha detto niente. Mancavano due giorni alla partita. Erano tutti stressati. Io no». Avevate qualche timore? «Era la finale di una coppa, gara secca. Non puoi mai stare tranquillo. Noi, comunque, eravamo abituati agli scontri diretti. Non come adesso che è tutto a gironi. Certo, qui ci giocavamo il mondo. Per la società poi c'era l'ulteriore traguardo di diventare l'unica squadra ad avere vinto tutte le coppe internazionali ». Ci furono particolari accorgimenti tattici? «Si doveva vincere. E basta. Noi eravamo la Juve». Il tuo pre-gara come è stato? «Quello di sempre. Da solo, nello spogliatoio, alla ricerca della concentrazione. Non sono mai uscito a fare riscaldamento. Non concepisco i portieri di oggi che stanno fuori un'ora prima della partita. E poi i saluti, i sorrisi nel sottopassaggio, ma che storia è? Io ero un orso. Dovevo stare da solo. Con la mia Marlboro e il caffè». E la testa in quei momenti dove è andata? «È andata a mio fratello che, insieme a tanti tifosi della Juventus di tutta Italia, è partito con il pullman da Lucca per raggiungere Milano». Per seguire in diretta tv la partita? «Sì. I diritti li acquistò Canale 5, ma la diretta avrebbe coperto solo la Lombardia. Noi giocammo a mezzogiorno, le quattro di notte in Italia. La differita l'avrebbero trasmessa nel pomeriggio dell'8 dicembre (tra l'altro l'ho vista anch'io). Prima della partita pensai a lui e a tutti quelli che stavano facendo chilometri per vederci in televisione». Tokyo, ore dodici. Ci siamo. «Lo stadio era tutto bianconero, sembrava di stare a Torino. In panchina, accanto al Trap, c'erano tutti i dirigenti, perfino Edoardo Agnelli che, però, non aveva l'autorizzazione per stare in campo. Alla fine del primo tempo fu cacciato, ma lui trovò il modo di tornare dentro lo stesso». Che rapporto avevi con lui? «Ottimo. Un bravo ragazzo, malinconico, ma genuino. Ricordo che prima della partita dell'Heysel, quando ancora fuori non era successo niente, prese una sedia, ci salì sopra e fece un discorso a tutta la squadra. Ci fece piacere. Si sentiva accolto da noi. Qualche volta è venuto persino in ritiro a Villar Perosa, come suo cugino Giovanni Alberto. Ma il calcio non era nelle loro corde: avevano i piedi pieni di vesciche». Intanto le squadre sono schierate e il tedesco Roth fischia l'inizio. «La partita fu bella, tirata, sempre in bilico, con continui cambi di fronte. Di là c'era gente come Olguin, Batista e Borghi, che era fortissimo». Due gol per parte, più qualche altro annullato. «Ci siamo trovati a rincorrere, ma quella squadra poteva ancora contare su uno zoccolo duro di qualità, da Cabrini a Brio, da Scirea a Platini. Erano andati via Tardelli, Rossi e Boniek, ma era arrivata gente giovane come Mauro, Laudrup e Serena, oltre a Manfredonia, un leone. A un certo punto si fece male Scirea ed entrò Pioli, che aveva vent'anni. Fu bravissimo, dimostrò una personalità incredibile. Questa era la Juventus». Tutto bello, ma a dieci minuti dalla fine siete sotto di un gol. «E lì c'è stato il capolavoro di Laudrup. Un pazzo scatenato. Anch'io ho urlato dalla mia porta di buttarsi per terra quando il portiere lo ha ostacolato. Il danese era un puledro purosangue. Quel gol lì, dalla linea di fondo, solo lui poteva farlo». Fine dei novanta minuti, ecco i supplementari. «A quel punto non me ne importava più niente. Volevo i rigori. Dovevo entrare in scena io, da protagonista vincente. Fremevo dalla voglia». Come ti sei preparato alla lotteria finale? «Io non avrei fatto nulla, come era mio solito. Non ho mai visto cassette sugli avversari, non avevo dossier sugli attaccanti. Mi bastava l'istinto, la forza e la convinzione. In quel caso, invece, Romolo Bizzotto, il vice di Trapattoni, mi fece vedere per decine di volte la cassetta della finale della Libertadores tra Argentinos e America di Calì, finita anche quella ai rigori. Non ne potevo più, quella cassetta diventò un incubo». Ma ti è servita o no? «Servita, servita. Imparai a memoria tutto, chi erano i rigoristi, come calciavano, da che parte avrebbero tirato. Anche se poi, a Tokyo, non mancarono le sorprese». Tipo? «Intanto Olguin, il primo rigorista, cambiò l'angolo. Io andai deciso sulla mia sinistra e lui la buttò dall'altra parte. Mi alzai e mandai a quel paese Bizzotto e la sua maledetta cassetta». Con Batista invece tutto filò liscio. «Fu un ċoglione! Non cambiò nulla nell'esecuzione, piattone sulla mia sinistra. Io, in verità, anticipai un po' il tuffo, tanto che presi il pallone con la mano sotto il corpo. Esultai come un centravanti, iniziai a non capire più nulla. Ero carichissimo, dovevo sfogare tutto, gioia compresa. Anche perché con la mia parata eravamo in vantaggio di un gol, visto che Brio e Cabrini avevano segnato». E così arriviamo al terzo rigorista, tale Juan Josè Lopez. «E chi lo conosceva? Era entrato a tre minuti dalla fine dei tempi supplementari, solo per tirare il rigore. Iniziai a guardare la panchina, ma il Trap fece finta di non vedere, nemmeno lui sapeva chi fosse. Ma porca miseria, possibile che nessuno lo conosca? Oltretutto, mentre si avvicinava al dischetto, mi guardava con aria incazzata perché avevo preso il tiro di Batista. Ma che cavolo vuoi? Fece gol, ma con il piede per poco non gliela prendevo». La situazione si fa incandescente. Laudrup sbaglia. Per te c'è Pavoni: se segna, l' Argentinos pareggia. «Lui c'era nella cassetta. Era un tipo massiccio, dal tiro forte e centrale. Devo dire che sono stato bravo, riuscendo a muovermi solo un istante prima del calcio. Feci un piccolo spostamento sulla destra, riuscendo però a ritrovare la posizione eretta e a respingere con il corpo. E lì ho esultato come un matto. Sapevo che era l'ultimo ... ». Non è vero, c'era ancora Platini. «Appunto». Non avevi dubbi su Michel? «Nessuno. Platini disputò la sua più bella finale con la Juve. Anzi, direi l'unica finale giocata da star. Ad Atene non era lui, ma neanche a Basilea brillò. Sull'Heysel meglio non dire nulla. A Tokyo era in vena, oltretutto gli annullarono un gol magnifico». Per colpa di chi? «Di Brio, che era in fuorigioco, ma che non c'entrava niente con l'azione. Michel ancora oggi lo maledice. Ma in realtà l'arbitraggio non fu all'altezza, così come il campo: buche, zolle, ciuffi d'erba qua e là, una pena». E le trombette? «Non le sentivo. La testa era per quella coppa. Sull'aereo, nel viaggio di ritorno, ci ho dormito insieme. Una gioia immensa». Anche per le tasche? «A testa ci toccarono centoventicinque milioni, non male». In quei casi Boniperti pagava volentieri? «Boniperti non pagava mai volentieri, ma era molto bravo a riscuotere, specie con me». Quanti soldi hai speso in multe? «Credo duecento milioni, anche se quella sugli elicotteri di Berlusconi per metà la pagò l'Avvocato Agnelli che mi disse: "Avrei detto le stesse cose"». Perché ti multava così spesso? «Perché io ero diverso dagli altri. Se avevo qualcosa da dire, la dicevo, non guardavo in faccia nessuno. Se volevo fumare, fumavo. Fumavo e vincevo, però. Fuori dal campo volevo fare come mi pareva: dal lunedì al sabato non volevo rotture di scatole». Torniamo al trionfo di Tokyo: con la conquista dell'Intercontinentale la Juventus continua a dettare legge. «Ancora per poco, a dire il vero. La partenza in campionato fu da urlo, otto vittorie consecutive, un record. Per essere pronti per la finale, infatti, avevamo cambiato la preparazione, accelerando i ritmi e i tempi. L'idea, o meglio la speranza, era che si potesse prolungare il grande ciclo bianconero che durava dal 1977. In realtà quella squadra fu pensata quasi esclusivamente per vincere l'Intercontinentale». Ma a maggio del 1986 "quella squadra" conquistò lo scudetto. «Sì, ed è stato l'ultimo prima di Lippi! Quel campionato l'abbiamo ripreso per i capelli grazie al Lecce alla penultima giornata. La verità è che si chiudeva una storia, il decennio di Trapattoni». A proposito del Trap, con lui hai fatto fatica? «È stato il mio primo allenatore alla Juve. C'era rispetto, forse un po' di distanza. Era un martello pneumatico, non ti mollava mai. Nella mia seconda stagione mi ha tenuto fuori per sei mesi, ma ancora oggi non so il perché». Non avete mai chiarito questa cosa? «Quando mi vede, mi dice sempre: "Tu lo sai il perché?". Ma io non so un cavolo. L'unica cosa che posso dire è che sono uscito di squadra che eravamo quarti e sono rientrato con la Juventus quinta. Solo colpa mia?». Come si sta in panchina? «Fa freddo». Come hai reagito alla decisione di metterti fuori squadra? «All'inizio l'ho messa in vacca. Ho mollato. Ero incazzato nero. Parlavo male di tutti. Poi è scoccata la scintilla e ho tirato fuori l'orgoglio. Fino al rientro in squadra». Hai mai pensato di lasciare la Juve? «Dissi di no al Napoli che mi offrì un miliardo e duecento milioni quando ne prendevo settecento. Volevo dimostrare che ero da Juve. Dicevo: gioco e rivinco. Ho tirato fuori il meglio di me, come feci nel 1980 alla mia prima stagione con l'Avellino». Perché, in quel caso cosa successe? «Semplice: l'allenatore, Luis Vinicio, voleva farmi fuori. Eravamo nel precampionato e io, francamente, pensavo a tutto tranne che al pallone. Poi feci un partitone a Palermo, il 24 agosto, e da lì tutto è filato liscio come l'olio. E sempre il campo che fa la differenza». Ma intanto la domenica giocava Bodini. «Ma io ero convinto che prima o poi sarei tornato. In una squadra c'è il numero uno e il dodici. E il dodici di quella Juve era Bodini. Lo so che c'è rimasto male, ma io dovevo tornare a giocare. Rientrai a tre giornate dalla fine e poi feci la finale di Coppa Campioni all'Heysel. Senza nessuna spiegazione da parte di Trapattoni». Dai "non detti" del Trap passiamo alle coccole di Zoff. «Dino mi voleva bene, ricambiato da me. L'ho avuto il primo anno come preparatore dei portieri alla Juve, poi due anni con l'Olimpica e altre due stagioni come allenatore alla Juve. Ha sempre puntato su di me, mi ha messo dentro anche quando non stavo bene». Quando è successo? «Quella volta che mi fratturai due costole, prima di una gara di Coppa Uefa. Lui andò dal dottore che confermò la diagnosi. Sai che rispose? "Io ho giocato con tre costole rotte". E allora gioco anch'io, risposi». Cosa ti ha insegnato Zoff? «Mi ha dato tranquillità, psicologicamente mi ha rafforzato molto. Dal lato tecnico, niente. Non gli ho mai chiesto consigli, né lui mai li ha dati a me. Mi diceva sempre: che ti devo insegnare? Quello che hai accumulato ce l 'hai, io ti devo allenare. Che errore cacciarlo». Che gusto hanno avuto le due coppe vinte con lui? «Per me ancora più saporito di tutte le altre. Perché erano quelle che mi mancavano per entrare nella storia e perché le ho tirate su io per primo come capitano». Curiosità: com'è che la fascia era finita sul tuo braccio? «All'inizio della stagione 1988-89 Zoff la dette a Tricella, facendo fuori Brio. Ma Tricella cosa c'entrava? Era alla Juve da pochissimo. L'anno dopo mi sono imposto, ne ho parlato con Zoff e tutto è tornato nell'ordine. Ero io il più anziano della rosa». Invece Maifredi? «Alla prima intervista da allenatore della Juventus dichiara: "Tacconi con me non sarà capitano". Carino, eh?». E tu? «Quando ci siamo incontrati per la prima volta gli dissi che tra uomini si parla guardandosi negli occhi. Poi gli dimostrai che avevo tutti i requisiti per portare la fascia». Cosa facesti? «Chiamai l'Avvocato Agnelli e poi passai la telefonata a Maifredi: "Mister, c'è qui qualcuno che vorrebbe parlarle". Diventò rosso, si infuriò, ma capì che l'aveva fatta fuori dal vaso. Maifredi partì malissimo. Dopo la figuraccia in Supercoppa con il Napoli, chiesi alla società di cacciarlo, ma Montezemolo mi rispose: "L'ho portato io". I risultati alla fine si sono visti». Tatticamente l'idea era buona. «Quando Maifredi parlava di tattica e schemi andavo a giocare a tennis con Sorrentino, il preparatore dei portieri». Cos'è che non funzionò davvero? «Maifredi aveva sfasciato lo spogliatoio. Per lui c'era solo Baggino. Sai quante volte gli ho detto: "E gli altri?". L'aria era elettrica. C'erano continue litigate. Qualche giorno prima della partita di Coppa contro il Barcellona, con Dario Bonetti arrivarono alle mani. Era inevitabile che accadesse». Chiusa la parentesi Maifredi, tornano il Trap e Boniperti e tu, però, chiudi il tuo ciclo bianconero. «Puntarono su Peruzzi e io non avevo nessuna voglia di stare in panchina. Non avrei mai fatto il dodicesimo, non l'avrei fatto neanche a Zoff a suo tempo. E lo dichiarai pure». Già, quella volta lì l'hai sparata veramente grossa! «La Juve mi aveva di fatto preso nell'aprile 1983, il sentore era che Zoff avrebbe smesso. Poi lui, in un'intervista dopo Atene, fece capire che forse avrebbe continuato. Allora io dissi: "O me o lui". La sparai grossa, può darsi. Ma questo è il mio carattere. Spregiudicato, spaccone, un po' presuntuoso. Ma se non sei così, muori». Diciamo che il carattere ti è servito per resistere ai massimi livelli per molti anni. «Ho iniziato nel 1976 a Spoleto in Serie D e ho chiuso al Genoa a 38 anni, vincendo tutto. Ho giocato con fuoriclasse assoluti alla Juventus. Ho affrontato tutto il meglio del calcio mondiale di quegli anni: Zico, Maradona, Vialli, tanto per metter lì un podio. Se penso ai portieri di oggi della Serie A, mi chiedo che cosa racconteranno». Chi ti ha insegnato i segreti del ruolo? «Gino Merlo, al Livorno. Lo chiamavano il portiere ballerino. Un giorno mi prende e mi fa: Conosci il valzer? No, perché? Il valzer ti dà i tempi. Un, due, tre . . . e fai il movimento. Che lezione». Quale è stata la più bella parata che hai fatto? «Ce ne sono tante. Dal mucchio prendo quella al novantesimo contro il Colonia nel ritorno della semifinale di Coppa Uefa 1990. Se entrava quel pallone, eravamo fuori. Tiro da dentro l'area, Brio che mi copre la visuale, io schizzo sulla sinistra e devio in angolo. Lì ho esultato come a Tokyo». E tra le tante maglie indossate in bianconero, a quale sei più legato? «A tutte quelle con cui ho giocato le finali. A Basilea quella grigia me la prestò Zoff perché le mie avevano lo sponsor, mentre l'Uefa imponeva la divisa pulita. Mi è sempre piaciuto curare il look, molti dei modelli che ho portato li disegnavo io stesso». È tua anche l'idea delle mezze maniche? «Io le mezze maniche me le mangio oggi a pranzo. Con un bel sugo ai peperoni».
  11. SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 18-12-2011) "Rossi? Si nasconde sotto il letto" Della Valle attacca, Petrucci non molla Giovanni Petrucci non lo considera un fallimento anche se il famoso tavolo della pace su Calciopoli non ha prodotto i risultati sperati. Il documento da presentare al governo non ha avuto le firme dei nove protagonisti, sempre che il governo possa interessarsi adesso ai problemi dello sport (pare che il ministro Piero Gnudi sia stato molto freddo ed evasivo con il Comitato paralimpico che rischia di chiudere i battenti....). Ma Petrucci adesso sta raccogliendo consensi e inviti a non mollare: chissà che fra un po' di tempo non voglia e non possa fare un altro tentativo per riportare un po' di serenità nel mondo del calcio. D'altronde ha il grosso merito di averci provato: Abete non c'era riuscito, la Lega di A non si interessa assolutamente di questo problema ma solo dell'articolo 22 delle Noif (e domani festeggia il Natale con canti e balli....). Diego Della Valle invece picchia duro contro l'ex commissario Figc, Guido Rossi. ''No, non ha risposto nulla: si nasconde sotto il letto'': così, intervistato da Sky, il patron della Fiorentina. ''Vogliamo saper cosa è successo in quel periodo'', ha spiegato Della Valle, ''se il processo è stato istituito correttamente''. Da parte nostra - ha aggiunto - ''siamo certi che quelle cose andavano rilette, anche se non tutte, anche in altro modo''. Insomma ''ci sono tutti gli elementi per chiedere chiarezza'', la Fiorentina vuole ''solo sapere la verità'''. Per questo, dopo essere stato condannato anche a Napoli, ora il patron viola vuole portare in tribunale non solo Guido Rossi ma anche i pm Narducci e Beatrice e l'investigatore Auricchio. Sul cosiddetto tavolo della pace Della Valle ha affermato che non è vero che non è servito a niente. ''E' servito - ha detto - per far riparlare delle persone. Che si sono chiarite pur rimanendo, nelle parti sostanziali, sulle loro posizioni''. Petrucci, insomma, ''ha avuto un mezzo risultato''. Sulla richiesta di risarcimento da parte della Juventus nei confronti della Figc, il patron dei viola ha sottolineato che ''queste cose hanno tempi lunghi e percorsi tortuosi'', ma che comunque ''Andrea Agnelli ha idee molto chiare'' e ''vuole che ci sia chiarezza''. Arbitri, che succede? Errori a Milano e Firenze Arbitri, che succede? Dopo i gravi errori di Rocchi (vedi Bologna-Milan), ecco Bergonzi che in Milan-Siena dà un rigore generoso a Boateng, mentre Peruzzo fa ancora peggio in Fiorentina-Atalanta (il gol di Jovetic è viziato da un fallo di mano di De Silvestri mentre nella ripresa viene negato un chiaro rigore ai nerazzurri). Pochi problemi invece per Giancola in Chievo-Cagliari. Sinora la stagione degli arbitri era andata benino: qualche errori degli assistenti, soprattutto, ma nel complesso poche proteste. Ora questi sbagli tutti insieme: sarà necessario che durante la sosta il designatore Stefano Braschi richiami i suoi ad una maggiore attenzione e concentrazione. Come abbiamo detto, venti arbitri della Can di A sono pochi, e il ricambio con la B è modesto. Bisognerà correre ai ripari. Inoltre uno bravo (ma sfortunato) come Rocchi in futuro dovrà essere tenuto lontano soprattutto dall'Inter (vedi gli sbagli nella gara col Napoli) e forse anche dal Milan. Un problema in più per Braschi. In gennaio intanto si terrà il consueto incontro fra arbitri, allenatori e capitani: quanto mai utile di questi tempi. Appuntamento a Fiumicino, quasi sicuramente lunedì 16. Speriamo che non ci siano assenze come è capitato in passato, soprattutto di chi parla molto coi giornali e poi sfugge al confronto.
  12. ZELIG ___ La crociata Inter: cambiare faccia anche alla serie A di RICCARDO SIGNORI (Il Giornale.it 18-12-2011) In attesa di cambiar faccia al suo campionato, l'Inter vorrebbe cambiare faccia al campionato. Proposta rilanciata da Moratti («Rose più strette, meno partite, si spende meno»), sposata da un entusiasta Ranieri, anche per dimenticare Calcipoli e il tavolo dellapace. «Meno ne parliamo, meglio è. Abbiamo già dato scandalo in tutto il mondo, meglio stare zitti». Se avessimo una lega e una federcalcio col famoso sale in zucca, l'idea sarebbe già agli atti e forse avviata. La serie A sta perdendo fascino, fino a marzo tutto conta poco. L'Inter lo dimostra: tre settimane fa era sull'orlo della zona retrocessione. Oggi è già dietro le squadre che contano. Le basterebbe vincere le due partite prima della sosta per sistemarsi ancora meglio, contando su qualche passo falso altrui. Troppo facile questo andar su e giù, senza dare credibilità ai risultati di un intero girone d'andata. Il campionato corto servirebbe a creare più suspence, i giocatori avrebbero più recupero, forse ci sarebbe qualche infortunio in meno. E Ranieri conferma: «Se dite che nel nostro campionato ci sono troppe squadre, io accompagno l'idea. Se c'è da far battaglia, sono pronto. Giochiamo sempre, senza un attimo di sosta. A gennaio arriverà anche la coppa Italia. In un campionato con meno squadre si lavorerebbe meglio, il campionato ne avrebbe vantaggio e ci sarebbero vantaggi anche in Europa. E non stiamo a guardare Spagna o Inghilterra. Ci sono mentalità diverse, ognuno rispecchia la sua cultura. Il nostro deve rispettare la sua, fatta anche di tradizione difensiva. Qui se una partita finisce 3-2 siamo i primi a sottolineare che le difese non hanno lavorato bene. In Spagna invece pensano solo a segnare, in Inghilterra curano l'agonismo». Ranieri parla di tradizione difensiva confortato dal fatto che l'Inter ha ricominciato a prendere quota quando la difesa ha subito meno gol (2 nelle ultime 5 sfide di campionato). Anche se il karma, come direbbe il tecnico, non cambia: «L'Inter cercherà sempre di vincere. Moratti è l'uomo più innamorato di questa squadra: garantirà qualità e prospettiva». E dopo un anno, l'Inter giocherà da squadra ex campione del mondo: la coppa Intercontinentale è finita stamane in altra bacheca. L' inizio di campionato non ha valorizzato quel successo, il girone di Champions ha medicato qualche ferita. Ora tocca tornare Inter, il campionato dei lumaconi concede un'altra chance. A Cesena, sulle insidie (per muscoli delicati) di un campo artificiale, riecco Maicon, Pazzini e Milito riproveranno insieme, poi toccherà a Forlan, saggiato più volte in allenamento. Manca qualche gol: stavolta in attacco.
  13. Calciopoli La precisazione nerazzurra Moratti chiarisce il no al documento Coni Della Valle: Rossi scappa di FABIO MONTI (CorSera 18-12-2011) MILANO — L'ultima novità legata al tavolo della pace (mancata) è la nota apparsa ieri mattina sul sito dell'Inter: «In merito al comunicato proposto dal Coni durante l'incontro di mercoledì a Roma e alle tante e diverse interpretazioni fornite in questi giorni da alcuni organi d'informazione, l'Inter precisa che non è mai stato raggiunto un accordo sul comunicato stesso durante la riunione né, più specificatamente, il documento è stato approvato dal dottor Massimo Moratti». Che cosa significa questa precisazione? Punto primo: l'incontro di Roma ha migliorato i rapporto interpersonali, ma non ha cancellato i differenti giudizi su Calciopoli. Secondo punto: il documento del Coni va letto in forma completa e non isolando singole frasi. Terzo punto: il documento non poteva essere firmato da Moratti, in quanto su Calciopoli era presente questo passaggio: «...Considerato anche che gli stessi organi federali di allora seguirono le logiche condizionate dal momento, adottando in qualche caso provvedimenti che, in circostanze diverse e con analisi più complete ed approfondite, avrebbero potuto avere forme e contenuti differenti...». Moratti, che si è sentito truffato per anni e lo ha detto anche mercoledì, ritiene che non possano essere rivisitate le sentenze. Né quelle sportive (tre gradi), né quella penale (per ora primo grado). Il presidente dell'Inter non intende evocare ogni giorno Calciopoli, ma la considera un fatto entrato nella storia del calcio italiano, da studiare e non da negare o riconsiderare. Il suo è un no ad ogni forma di revisionismo. Per capire la diversità di giudizio fra chi ha partecipato al vertice di mercoledì, oggi alle 11.35 su Sky Tg24 si può ascoltare l'intervista di Maria Latella a Diego Della Valle, azionista di riferimento della Fiorentina. In sintesi: «Noi vogliamo sapere che cosa è accaduto in quel periodo; quali sono le cose viste e quali le cose non viste; vogliamo capire se il processo è stato istruito nella correttezza e nelle regole. Perché fu tenuto quel comportamento contro la Fiorentina? Faremo di tutto per arrivare alla verità». E ha spiegato il senso del suo attacco a Guido Rossi, che gli aveva risposto con un «parlano le sentenze». La controreplica: «Non ha risposto, come sempre; si nasconde sotto al letto». Ed è per questo che ha deciso di denunciare il prof. Rossi per la gestione del processo sportivo. Però ha ricordato che «il tavolo al Coni è servito per far parlare persone che si erano allontanate. Dal punto di vista umano è stato utile». Curioso che, nonostante il tentativo di pacificazione finito male, i vertici del Coni stanno ricevendo, per via indiretta, più di una richiesta informale di riaprire il tavolo. Come se il vertice di mercoledì fosse soltanto il primo atto di una lenta marcia verso la riconciliazione fra parti che sono sempre distanti. ___ IL CASO Moratti batte i pugni sul tavolo «Mai detto sì al documento» E Della Valle attacca ancora Guido Rossi: «Continua a nascondersi sotto il letto» di MAURIZIO GALDI & VALERIO PICCIONI (GaSport 18-12-2011) Mancava un passo, si è arrivati a un passo, un passo e ce l'avremmo fatta. Frasi pubbliche e private ascoltate in questi giorni dopo l'esito deludente del tavolo della pace post Calciopoli. Il passo era il sì al documento che il Coni aveva preparato e che non è riuscito a scavalcare l'asticella. Il problema è che un passo può essere piccolo, grande, a destra, a sinistra. E così in queste ore, in mezzo al riconoscimento di un clima nuovo, non mancano però le puntualizzazioni. E mentre Diego Della Valle insiste nel picchiare duro sull'ex commissario Guido Rossi - «Continua a nascondersi sotto al letto», ha detto in un'intervista in programma oggi su Sky Tg24 alle 11. 35 - pure Massimo Moratti vuole mettere le virgole nel posto per lui più opportuno. E chiarisce che il dado non era tratto, almeno alle condizioni di quel testo. No a «differenti» Moratti si affida a un comunicato che appare in mattinata sul sito dell'Inter e prende di petto le «tante e diverse interpretazioni fornite in questi giorni da alcuni organi di informazione», precisando che «non è stato mai raggiunto un accordo sul comunicato stesso durante la riunione, né, più specificatamente, il documento è stato approvato dal dottor Massimo Moratti». Poche parole che vogliono smentire l'idea di una «resa» dell'Inter pronta a ingoiare la frase sui provvedimenti, cioè sentenze, che «avrebbero potuto avere forme e contenuti differenti». In realtà quel «differenti», Moratti lo aveva contestato subito e ora lo ribadisce. Il tutto senza negare però il clima «nuovo» tanto che dai palazzi interisti filtra l'invito a non considerare il comunicato come un inasprimento della polemica o un passo indietro rispetto alle parole distensive pronunciate verso Andrea Agnelli e Diego Della Valle. «Cose non viste» Della Valle, invece, ha ormai aperto un altro fronte. Quello dell'attacco, anche legale, a Guido Rossi. «Noi vogliamo sapere cosa è accaduto in quel periodo, quali sono le cose viste e quali le cose non viste, vogliamo capire se il processo è stato istruito nella correttezza e nelle regole». Un rincarare la polemica dopo il lapidario «parlano le sentenze» della risposta dell'ex commissario Figc. Della Valle, però, ci tiene a non buttare a mare la giornata di mercoledì perché il tavolo «è servito per far parlare delle persone che si erano allontanate, che erano magari amiche e che, pure rimanendo sulle proprie posizioni, si sono chiarite sugli atteggiamenti del momento. Dal punto di vista umano è stato utile». Si riparte da qui: di nuovo amici o quasi, ma sempre distanti. === IL N° 1 DEL CAGLIARI Cellino polemico «Guido Rossi chi? L'allenatore?» art.non firmato (GaSport 18-12-2011) «La Fiorentina ha attaccato Guido Rossi? Chi è Guido Rossi? L'allenatore?». Prima che il Cagliari perdesse a Verona, il presidente Massimo Cellino ha espresso il suo parere su Calciopoli. «Meno parliamo di quella vicenda, meglio è. E' una parentesi che vorrei chiudere, ce l'ho ancora viva sulla pelle. Parlarne ancora con tavoli della pace è di cattivo gusto. So che la Procura di Napoli è riuscita a lavorare con i carabinieri fino a un certo punto, poi ha dovuto accontentarsi della documentazione che aveva, non perché non l'ha voluta recuperare, ma perché non è stata supportata per continuare a fare un'indagine definita». === IL TESTO DEL DOCUMENTO «Contenuti differenti» Ecco la frase che divide esegesi non firmata (GaSport 18-12-2011) Eccolo qui il documento che non fu. Quello che il Coni ha presentato mercoledì e che ha sbattuto sul muro di diversi mal di pancia. Riconosciuto alla Figc, l'«autorità di disciplina, regolazione e gestione dell'attività calcistica in Italia», la carta della pace che avrebbe dovuto essere approvata dal vertice dei nove si proponeva, ora si deve usare l'imperfetto di superare «i conflitti basati esclusivamente sugli strascichi di Calciopoli e di garantire agli appassionati e alle nuove generazioni di tifosi uno spettacolo fondato sullo sport e sui valori che esso racchiude». Ma è il capitolo centrale quello che ha provocato la frenata. Se non di tutti, di alcuni degli invitati del Foro Italico. «Mai più Calciopoli» Ecco il «quasi compromesso» trovato: «Convinti che il fenomeno Calciopoli - contraddistinto da comportamenti, deliberati o solo indotti dal clima di quel periodo e a prescindere dalle sentenze e dalle decisioni fin qui assunte dagli organi competenti - rappresenti nel suo insieme il periodo più oscuro nella storia del calcio italiano». Stiamo arrivando al punto cruciale, «. . . considerato anche che gli stessi organi federali di allora seguirono le logiche condizionate dal momento, adottando in qualche caso provvedimenti che, in circostanze diverse e con analisi più complete e approfondite, avrebbero potuto avere forme e contenuti differenti». Differenti, la parola che non è piaciuta a Moratti, la più «pesante» di tutto il testo. Che poi parla della «fase riformatrice» che il calcio italiano deve aprire e si appella «a tutte le componenti del mondo del calcio affinché diffondano in ogni circostanza un monito condiviso da tutti: «Mai più un'altra Calciopoli». Dal Ministro L'ultimo capitolo è quello in cui il «primo risultato di un ritrovato clima di armonia» produce lo spostamento da un tavolo all'altro delle questioni con l'impegno del Coni per un incontro con il Ministro per lo Sport, «cui verranno illustrate le proposte della Figc e delle altre Federazioni interessate». ___ CALCIOPOLI I NUOVI SCENARI Rossi: ecco cosa va chiarito Diego Della Valle: «Faremo di tutto per arrivare alla verità» Il tavolo è stato un primo passo importante. Ma la figura al centro del mirino resta quella dell’ex commissario Figc di ELVIRA ERBI’ ft.BRUNELLA CIULLINI (Tuttosport 18-12-2011) [notevole l'accoppiata femminile per un quotidiano sportivo su un tema così specifico: complimenti alle giornaliste ed al giornale - ndt] TORINO. La tavolata al Coni ha effetti collaterali. Produce una certa soddisfazione, produce comunicati, produce commenti. Di tutto e di più: così non si archivia Calciopoli, ma si avanza. Tra polemiche e denunce, tra puntualizzazioni e riflessioni. Con Guido Rossi , all’epoca dei fatti - il 2006 dei processi e delle condanne a tempo di record - commissario della Federcalcio, sempre più nell’occhio del ciclone. Intanto, incassa l’azione legale annunciata da Diego Della Valle , patron della Fiorentina. Ma nel mirino, alla ricerca della verità, c’è tutta la sua attività di quel periodo nero del calcio italiano, soprattutto il suo atto di forza: ovvero, la consegna dello scudetto all’Inter. NERO SU BIANCO Si va per gradi, per appunti, per assiomi. Magari fra il signor Rossi e Della Valle ci sarà del pregresso, però tanta forza nel controbattere è sintomatica. Come è sintomatico il comunicato dell’Inter che ieri specificava, sul tavolo e sugli accordi non accordi. Intanto, il patron viola prende nota e si prende una rivincita immediata: non è stato lui a far saltare il tavolo, semplicemente chiedeva che il documento fosse scritto non in politichese (i tifosi, ma non solo, non l’avrebbero capito). Per la prima volta, comunque, si è messo nero su bianco - alla presenza dell’Inter - che qualcosa nei processi sportivi non ha funzionato, che l’ambiente è stato condizionato. Chiaro che così Agnelli e lo stesso Della Valle siano tutt’altro che delusi. E’ un primo passo avanti. La ruggine, d’altronde, non si toglie alla prima passata. «Il tavolo della pace non è servito dal punto di vista formale, è servito però a riallacciare rapporti fra persone che si erano allontanate dai fatti di Calciopoli e che erano magari anche amiche - dice Della Valle in un’intervista a Maria Latella su Sky in onda in versione integrale oggi -. Non so adesso che succederà, ma il tavolo della pace non ha portato e prodotto novità: noi comunque continuiamo a voler sapere determinate cose da Guido Rossi: perché fu tenuto quel comportamento contro la Fiorentina? Faremo di tutto per arrivare alla verità». Insomma, c’è da voler chiarire una volta per tutte. DOPPIO RUOLO Chiarire, tanto per tornare a bomba, il ruolo di Guido Rossi, non proprio un signor Rossi qualsiasi. Lui che per due volte è presidente della Telecom. La seconda volta questo incarico gli viene affidato mentre è commissario Figc: parte qui il battage mediatico che lo convince a lasciare la Federcalcio. Ma per 4 giorni, dal 15 settembre al 19 settembre, c’è sovrapposizione. Quantomeno inopportuna. Quantomeno indicativa. Lo stesso signor Rossi, tifosissimo dell’Inter, è consigliere d’amministrazione nerazzurro dal 1995 al 1999. Milly Moratti il giorno della sua nomina in Figc: «È un uomo passionale, tutt’altro che compassato. Ricordo un gol importante dell’Inter e ho in mente la sua reazione: si alzò e baciò e abbracciò mio marito Massimo. Rimasi colpita da quella reazione istintiva». Quindi, non super partes. Eppure, è lui che comanda e che assegna lo scudetto 2006 all’Inter. L’Uefa non pretendeva tale atto, bastava una classifica e gli stessi saggi ( Coccia , Aigner e Pardolesi ) ribadiscono che non c’è obbligo. Non solo, nel punto 20 affermano che l’assegnazione deve comunque avvenire a una squadra sulla quale non sussistano dubbi riguardo a etica e moralità. C’era tutta questa certezza sull’Inter? Per non dire poi della documentazione mancante: si assegna lo scudetto senza un atto amministrativo ufficiale, ma solo con un comunicato stampa (che non ha alcun valore) del 26 luglio. Dettaglio al quale si è aggrappato, tra l’altro, il consiglio federale (nel 2011) per non revocare il titolo, quel titolo. LEGAMI INOPPORTUNI E poi la squadra, intesa come staff di Rossi durante il periodo orribile del pallone tricolore. Il vice è Paolo Nicoletti , figlio dell’avvocato Francesco Nicoletti , stretto collaboratore e legale di fiducia di Angelo Moratti. Nicoletti, dunque, è legato da rapporti professionali con la Saras della famiglia Moratti. Conflitto di interessi? Di sicuro, con sospetto di non essere soggetto completamente super partes. E come vice di Borrelli alla procura federale viene scelto Marco Stefanini , a capo dell’ufficio legale dello Spezia Calcio all’epoca della presidenza di Ernesto Paolillo , dai primi di ottobre 2006 dg nerazzurro. Non bastasse, nell’estate del 2005, nella Covisoc che riammette l’Inter al campionato (2005-06, sempre quello) c’è Rossi, sempre Rossi. C’è così clamore che la Covisoc precisa: non si è occupato direttamente del caso. Ma gira a rigira si torna sempre a monte. A Rossi non proprio super partes. === PERIODO NERO Tutti i lati oscuri dal 2004 in avanti art.non firmato (Tuttosport 18-12-2011) LE INDAGINI DEI CARABINIERI Condotte tra il 2004 e il 2005 dall’allora maggiore Auricchio e coordinate dai pm Narducci e Beatrice La sparizione delle intercettazioni Delle 170mila telefonate registrate dai Carabinieri di via Inselci a Roma è stata fatta una selezione che, di fatto, ha escluso l’Inter e altri 7 club che - è stato poi certificato dalla stessa procura Figc - avevano a loro carico violazioni, anche gravi, del codice di giustizia sportiva. Al processo penale - e di fatto a quello sportivo - arrivano solo telefonate che possono provare le violazioni di alcuni dirigenti, soprattutto Moggi. Vengono censurate anche le telefonate che possono alleggerire o scagionare Moggi. Queste telefonate emergono nel dibattimento perché “scovate” nei cd dai legali di Moggi. Il giallo dei baffi I marescialli che ascoltavano tecnicamente le telefonate, in realtà, avevano segnalato le chiamate degli altri club e quelle scagionanti per Moggi, attraverso un meccanismo di catalogazione per “rilevanza” nell’indagine. Le più rilevanti avevano un triplo baffo rosso sul registro, accanto alla data e ai numeri di telefono. Moltissime telefonate considerate rilevantissime vengono poi depennate dalle informative, che formano la base dell’accusa in sede penale e di tutti i processi in sede sportiva. Coppola respinto Scoppiato lo scandalo, l’assistente Coppola andò dai Carabinieri per contribuire alle indagini e denunciare, fra l’altro, le pressioni ricevute dall’Inter. Si sentì rispondere: «Noi dell’Inter non vogliamo sentire nulla» Le schede svizzere non intercettate Una delle prove più importanti per l’accusa era l’esistenza di schede sim con cui Moggi e il mondo arbitrale potevano entrare in contatto senza essere intercettati. Ma è stato provato in aula che le schede di qualunque nazione possono essere intercettate sul territorio nazionale. Nessuno ha spiegato perché Auricchio non dispose l’intercettazione di queste utenze che potevano fornire prove certe. Inoltre, l’attribuzione delle schede avviene attraverso i tabulati di collegamento alle varie cellule radio: se una scheda si collegava da Arezzo viene associata all’arbitro Bertini. Un meccanismo, è stato dimostrato in aula, né scientifico, né esatto. LE INDAGINI SPORTIVE Condotte dal maggio al luglio 2006 da Francesco Saverio Borrelli, nominato “superprocuratore” da Guido Rossi Bergamo inascoltato L’8 giugno 2006 gli inquirenti sportivi della procura federale interrogano l’ex designatore Paolo Bergamo, teorico complice di Moggi. In una lunghissima audizione (verbalizzata), lui afferma che sentiva al telefono praticamente tutti i presidenti, dirigenti o allenatori della Serie A e nomina in modo specifico Giacinto Facchetti (Inter), Arrigo Sacchi (Parma) e Leonardo Meani (Milan). La rivelazione però non viene approfondita: su altri dirigenti non si indaga e non si cercano altre intercettazioni. Nucini ignorato Nel periodo delle indagini, Borrelli ignora interviste che potrebbero essere importanti per le indagini o per chiarire la responsabilità di soggetti non indagati. Nella fattispecie Danilo Nucini, l’arbitro che contatta Facchetti e denuncia (già nel 2003) il meccanismo che due anni dopo prende corpo in quello che ora chiamiamo Calciopoli, nel giugno del 2006 parla con Repubblica e racconta i suoi rapporti con l’allora presidente dell’Inter (di per sé già una violazione) e di come le sue parole avevano fatto partire un esposto alla Procura di Milano e delle indagini private. Nucini non viene ascoltato. Tavaroli trascurato Anche Tavaroli racconta ai giornali di aver commissionato per conto dell’Inter indagini private (illegali) sull’arbitro De Santis (oltre che sul giocatore Vieri, slegate da Calciopoli). Durante le indagini gli inquirenti ignorano la questione. Più avanti, dalle deposizioni del processo Telecom si apprende che sotto controllo erano stati messi anche i telefoni della sede della Juventus e di alcuni suoi dirigenti. Tavaroli, all’epoca responsabile della security Telecom, era stato messo in contatto con Moratti e Facchetti da Marco Tronchetti Provera. Le indagini interrotte Quando Borrelli lascia il ruolo di procuratore Figc a Stefano Palazzi invita a proseguire un lavoro di indagine su Calciopoli, perché ha la sensazione che non tutto sia emerso. Sensazione confermata dai fatti. Palazzi però non apre (o non riapre) nessun fascicolo e quando finalmente prende in mano le intercettazioni dimenticate nel 2006 è troppo tardi. La sua durissima relazione del 1° luglio (nella quale contesta all’Inter l’illecito sportivo) è in realtà virtuale, perché tutto è prescritto. Se avesse aperto un fascicolo dopo l’invito di Borrelli, l’Inter sarebbe stata processata. === Moratti, precisazione sul comunicato di STEFANO PASQUINO (Tuttosport 18-12-2011) MILANO. Stavolta tocca a Massimo Moratti partire all’attacco. Obiettivo quello di puntualizzare nuovamente alcuni concetti già espressi nel corso del tavolo della pace, ovvero che le sentenze su Calciopoli - da quella di Ruperto in avanti - non vanno discusse in quanto sono un dato di fatto da cui non si può prescindere. Una linea politica spiegata già nel rendez-vous del Coni e ribadita pure a microfoni unificati nell’ultima esternazione presidenziale, datata venerdì: «Ci sono fatti collegati a cose più importanti di noi, come le sentenze dei tribunali, questioni che vanno al di là dei rapporti personali». Perché Andrea Agnelli sarà pure «un signore» con cui magari è anche piacevole discutere, ma le sentenze (quelle sportive e quella del processo di Napoli) per Moratti non possono essere oggetto di dibattito. IL COMUNICATO Per questo mai, fanno sapere all’Inter, il presidente avrebbe firmato il comunicato-documento abbozzato dal Coni, come peraltro sottolineato in una nota ufficiale pubblicata ieri sul sito del club per rendere ancor più forte la posizione di Palazzo Saras: “In merito al comunicato proposto dal Coni durante l’incontro di mercoledì a Roma e alle tante e diverse interpretazioni fornite in questi giorni da alcuni organi d’informazione, F. C. Internazionale precisa che non è mai stato raggiunto un accordo sul comunicato stesso durante la riunione né, più specificatamente, il documento è stato approvato dal dottor Massimo Moratti”. «STIAMOCI ZITTI» Polemiche a cui non vuole unirsi Claudio Ranieri che - peraltro - aveva accolto con grande scetticismo la notizia dell’istituzione di un tavolo della pace per chiudere i conti con Calciopoli. Ciò nonostante, Ranieri ha preferito evitare di commentare ulteriormente quanto accaduto a Roma: «Meno se ne parla, meglio è - l’epitaffio del tecnico - Già abbiamo dato scandalo in tutto il mondo, quindi stiamoci zitti». Anche perché, il primo problema dell’allenatore è quello di risollevare la squadra in classifica, visto che la zona Champions continua a essere un puntino lontano all’orizzonte.
  14. LA CONTROVERSIA ENTRO IL 13 GENNAIO LA FEDERAZIONE DEVE MULTARE IL CLUB Caso Sion: minaccia Fifa di blocco alla Svizzera A rischio tutte le gare delle società e della nazionale di PIER LUIGI GIGANTI (GaSport 18-12-2011) Il Basilea rischia di non poter giocare l'ottavo di finale della Champions contro il Bayern. E la nazionale svizzera potrebbe addirittura essere estromessa d'ufficio dalle qualificazioni al Mondiale 2014. Ultimatum Tutto ciò a causa del caso Sion e dell'ultimatum emanato dalla Fifa. L'organismo presieduto da Blatter è andato infatti giù pesante. Alla Federazione Calcistica Svizzera Asf è stato imposto di punire, entro il 13 gennaio, il Sion per aver schierato in campionato 6 giocatori non eleggibili, in quanto acquistati in una sessione di mercato nella quale la squadra svizzera non poteva operare a seguito di una precedente interdizione Fifa. Se l'Asf non si atterrà a questa direttiva, squadre e nazionali rossocrociate verranno sospese da tutti i tornei internazionali. L'Asf, da parte sua, ha intenzione di contestare la decisione Fifa davanti al Tas. Il Sion, intanto, se la sta vedendo brutta. È stata buttata fuori dall'Europa League e ora potrebbe essere retrocessa al penultimo posto della Super League elvetica, perdendo i 16 punti conquistati nei match in cui sono stati schierati i giocatori al centro del contenzioso. Riforme La Fifa, intanto, porta avanti la «road map» per le riforme. È stata istituita la Commissione indipendente per la Governance Igc con la nomina dei membri: a presiederla sarà Mark Pieth e ne faranno parte, fra gli altri, Leonardo Grosso, massimo dirigente del sindacato internazionale dei calciatori FifPro, e Sunil Gulati, presidente della Federcalcio statunitense.
  15. Il Napoli nel mirino, un´altra rapina shock Colpo ai danni dell´agente di Cavani, la pistola puntata contro la compagna incinta di IRENE DE ARCANGELIS (la Repubblica 18-12-2011) NAPOLI - «Ha puntato la pistola verso la mia compagna incinta di sette mesi e ha detto: "Le sparo nella pancia se non mi dai subito l´orologio. È stato terribile. Potevano ucciderci". Tutto è successo alle sette di sera, nel traffico, con i negozi aperti e lo shopping natalizio. . . Sì, credo che i banditi mi abbiano riconosciuto, ma solo durante la rapina. Tutti sanno che sono il procuratore di Edinson Cavani, ma non credo che le diverse aggressioni subite dai calciatori azzurri e ora da me e dalla mia compagna facciano parte di un piano organizzato della criminalità contro il Napoli Calcio». Claudio Anellucci, manager dell´attaccante uruguayano, ha vissuto un brutto venerdì sera. Ha visto la morte in faccia in corso Garibaldi, dove si trovava fermo nel traffico con la sua compagna ventottenne. Si avvicina un malvivente, con il calcio della pistola manda in frantumi il finestrino lato guidatore della Bmw X5, punta la pistola verso l´interno dell´abitacolo. È evidente lo stato di gravidanza della giovane donna, e il bandito senza scrupoli si rivolge ad Anellucci: «Le sparo nella pancia». Il procuratore del matador immediatamente si sfila l´orologio Rolex Explorer dal polso (valore settemila euro) e lo consegna al rapinatore che quindi si allontana in sella a uno scooter guidato da un complice. Una rapina come tante, ma la vittima, ancora una volta, è del Napoli Calcio. Cavani, Hamsik, Lavezzi. I tre "tenori" bersagli illustri con le loro compagne. E poi l´auto della moglie di Fideleff danneggiata, il furto della Fiat 500 della consorte di Aronica. Sei episodi negli ultimi due mesi. Un disegno criminale contro il Napoli? La società non lo crede, fa sapere - sebbene in via ufficiosa - che non si tratta di aggressioni collegate tra loro. Lo ribadisce lo stesso Anellucci: «Sono concatenazioni casuali», dice. Anche se, proprio dopo l´ultima rapina subita dalla compagna di Ezequiel Lavezzi, Yanina, rapinata del Rolex e due bracciali tennis, la Procura della Repubblica ha raccolto i diversi episodi in un unico fascicolo. Nessun colpevole per ora. Si aggiunge ora il caso del manager. Quest´ultimo vuole però precisare: «Napoli è e resta una città fantastica con gente eccezionale. Non è una città di m... «. L´allusione è allo sfogo di Yanina Screpante, la compagna di Lavezzi, subito dopo la rapina del Rolex. La giovane non chiamò la polizia. Tornò invece a casa e subito "postò" su Twitter: «Napoli, città di m***a», scatenando le ire di migliaia di tifosi azzurri. Duramente criticata fu costretta a inviare un secondo tweet di scuse. Mentre per Lavezzi non c´è stata nessuna restituzione anonima dell´orologio Rolex come invece spesso è avvenuto in passato per altri calciatori. Intanto proprio il caso di Yanina e della rapina a Posillipo ha scatenato l´allarme di un piano di aggressioni ai danni dei protagonisti del Napoli. Con la successiva riunione urgente convocata in Procura per cercare il filo conduttore di tutti gli episodi. Senza però sviluppi investigativi. Venerdì il nuovo episodio ai danni del procuratore di Cavani e della sua compagna.
  16. Il pallone di Luciano Con Zlatan è tutto più facile Ma la Signora oggi risponderà di LUCIANO MOGGI (Libero 18-12-2011) Il Siena c’ha provato, ma fermare il Milan a San Siro di questi tempi è impresa epica. I rossoneri sono una macchina quasi perfetta (troppo facile con Ibra) e Nocerino un acquisto micidiale. Oggi la Juve prova a rispondere. Tocca al Novara sfidare oggi la Signora in un derby piemontese disperso da più di 50 anni. Gara importante per Conte, non meno per Tesser, in situazioni del tutto antitetiche. Agli azzurri anche un punticino può servire, per questo ripresentano il piano tattico riuscito contro Mazzarri, una linea Maginot a cinque, a protezione della difesa. Conte è costretto a cambiamenti, ma in casa Juve la vittoria è importante perché in contemporanea c’è lo scontro diretto Lazio-Udinese. Dura è stata la qualificazione in Europa League per entrambe e la fatica potrebbe incidere. Nel caso di vittoria della Lazio sarebbe una bella rivincita per Reja, bistrattato da una parte della tifoseria per questioni più umorali che di sostanza. Un bel duello comunque tra Klose da una parte e Di Natale dall’altra. Delicata partita per la Roma a Napoli. Il punto raccolto con la Juve lascia ancora insoddisfatti i giallorossi e più ancora Totti, sotto tiro da parte dei tifosi: se ci sarà, come sembra, avrà modo di rifarsi. Il Cesena collauda la sua voglia di risalita ospitando l’Inter, a sua volta determinata a dare sostanza alla rimonta, ma la squadra nerazzurra non fa però paura come prima. Il Genoa si gioca oggi la faccia e forse anche la panchina di Malesani contro un Bologna ancora arrabbiatissimo per gli errori di Rocchi nel 2-2 con il Milan. In pericolo la panca di Mangia (nonostante la gag del panettone), viste le abitudini di Zamparini, impegnato a Catania, derby sui generis. Il Lecce ha già cambiato con Cosmi, la prima è andata storta, ora tenta al Tardini l’assalto al Parma. Zero tempismo Carraro parlava di rado da presidente della Federcalcio, ma per telefono molto, e ne diceva tante e di più, passate tutte, non si sa perché, impunite. Ricordate quando disse «non si favorisca la Juve per carità!»? Ora fa sermoni in continuazione, tutti per dire verità fasulle e attribuirsi meriti che gli appartengono poco (come la scelta di Lippi, che gli fu ampiamente suggerita) o che non gli appartengono affatto (come la vittoria di quel mondiale, che avrebbe condiviso con Rossi nella veste di porta fortuna). Povera Italia, se quel trionfo è dipeso solo da una sorta di buona gobba di qualcuno, e non come nella realtà è avvenuto, perché in campo c’era una squadra forte, ampiamente targata Juve, con altri quattro bianconeri anche sul campo opposto. Siccome una delle posizioni a lui cara resta ancora la difesa dell’Inter (ricordate come Bergamo interpretò i suoi suggerimenti, «l’arbitro doveva pensare a chi stava dietro, e quindi all’Inter»). Carraro insiste sui 29 scudetti che la Juve dovrebbe smettere di contare, perché diversamente, udite udite, «l’Inter potrebbe chiedere lo scudetto del rigore su Ronaldo » (dimentica come l’Inter doveva essere penalizzata per il tesseramento fasullo di Recoba), «la Roma quello del fuorigioco di Turone». Graffiante la risposta di Ju29ro che faccio mia: Carraro facesse allora restituire alla Juve lo scudetto vinto dalla Roma con i cambiamenti in corsa delle regole sugli extracomunitari (proprio alla vigilia di Juve-Roma decisiva per il campionato) e quello vinto dalla Lazio nella piscina di Perugia. Ma si sa, un altro credo del “nostro” è che con Collina a dirigere ci si poteva permettere tutto, perché «nessuno avrebbe detto un c... » . Così successe a Perugia. Altra verità Invece di far sermoni, Carraro dovrebbe sentire il bisogno impellente ed etico di stare zitto. Gli è andato bene tutto, ma chi ha sentito le intercettazioni si è fatto un’altra verità, quella vera, e le colpe non erano degli arbitri, come adesso dice a mo’ di grande rivelazione, ma di chi comandava allora il circo del pallone. In quanto a Guido Rossi, che cambia dichiarazioni, a seconda di quello che più gli aggrada, mi compiaccio per la decisione di Della Valle di denunciare lui ed altri (attenzione all’aggiunta “altri”) per la gestione e i comportamenti da loro assunti durante il processo sportivo di Calciopoli. Grazie. Non mi sento più solo a combattere.
  17. Vediamo cosa scriveva Beccantini prima dello svolgimento della bi-vaccata... ___ Tutta colpa di Moggi di ROBERTO BECCANTINI dalla rubrica "il mitico Beck" (Guerin Sportivo - Gennaio 2012) Con la sentenza di Napoli, Calciopoli è tornata Moggiopoli. In attesa delle motivazioni - novanta giorni a partire dall'8 novembre - e dell'appello, tutto si può dire, tranne che il processo di primo grado sia stato uno show mediatico. Se le televisioni e i giornali avevano invaso l'estate del 2006 trasformandola in una rutilante place de Grève, zeppa di ghigliottine orientate verso un collo e una testa soli, le udienze di Napoli sono scivolate via nell'indifferenza (quasi) generale, tanto che, questa volta, sono stati i siti e i blog juventini a censurare il silenzio e invocare il rumore. Mi aspettavo la frode sportiva, non l'associazione a delinquere. L'analisi configurava la trama di una guerra per bande così radicata e radicale da aver intossicato il calcio del periodo fine Novanta-inizio Duemila, con la Triade e il Milan al centro della scena e gli altri in platea, non solo spettatori. Il verdetto ha sbriciolato la tesi, accentuando il distacco fra Moggi e il resto d'Italia. Giustizia sportiva, rito abbreviato di Giraudo, primo grado di Napoli: siamo al terzo indizio. E di solito tre indizi fanno una prova, non uno scandalo, e neppure "una sentenza già scritta" (al massimo, discutibile). Rimangono i dubbi, i misteri, i paradossi. Tanti: il Carraro vergine e semplice teste, lui che avrebbe dovuto vigilare e non piegare all'ordine pubblico la salvezza di qualche società non lontana dal suo ufficio; il Fabiani assolto (ma non era il mantello del diavolo?); l'Inter sportivamente prescritta e sfuggita alle forche partenopee; lo spionaggio Telecom scartato dagli inquirenti; i rapporti carbonari tra Nucini e Facchetti; lo scudo dell'incompetenza usato, dal Consiglio federale al Tnas, per proteggere lo scudetto che il professor Guido Rossi aveva spedito a casa Moratti; un colloquio Della Valle-Moggi cucito da sarti troppo attratti o troppo distratti; i fratelli Della Valle in versione Cappuccetto Rosso, loro che non fiatarono quando il medesimo regime, poi messosi di traverso, aveva offerto alla Fiorentina il passaggio gratis in Serie B. Se c'è una cosa che mi manda in bestia è la tiritera "così facevan tutti". Le squadre del campionato 2004-05 erano venti e non risulta che tutte dessero schede svizzere, grigliassero con i designatori, usassero cavalli di T***A o invitassero gli assistenti a sbandierare in un senso o nell'altro a seconda delle esigenze aziendali. Aspettando di conoscere le ragionì che hanno indotto la "Triade" di Teresa Casoria a stilare sanzioni così severe, fatico a comprendere la condanna penale di Moggi e l'assoluzione civile della Juventus. La contraddizione, cruciale e palese, ha prodotto lo smarcamento immediato del club. E così il 14 novembre, giorno della consegna del premio Facchetti a Michel Platini, casualmente o no Andrea Agnelli ha spinto i suoi avvocati all'assalto della Bastiglia federale. In · parole povere: dal momento che Moggi agiva da solo (buona, questa), cara Figc - e, per conoscenza, carissima Inter - noi si va al Tar del Lazio a esigere qualcosa come 443.725.200 euro di risarcimento, perché "le evidenze probatorie di Napoli hanno escluso la parità di trattamento" (sportivo) fra le travi del 2006 e le pagliuzze del 2011. Voce dal fondo: scusate, ma il Direttore generale del club che ha armato tutto 'sto putiferio non è stato condannato, in primo grado, a cinque anni e quattro mesi per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva? Certo. Già che c'era, la Juve ha presentato un esposto anche al prefetto di Roma con la richiesta di commissariare la Figc. Apriti cielo. È sceso in campo niente meno che Gianni Petrucci, presidente del Coni. Mai così duro, a leggere la tenera giornalaccio rosa. Ha parlato di "doping legale", un ossimoro, e scacciato i mercanti dal tempio, dimenticando la resa del sistema al decreto libera-extracomunitari del maggio 2001 (Andrea Manzella: professore di diritto costituzionale, non avvocato) e al Tar west di Luciano Gaucci, estate 2003. Agnelli, da parte sua, ha proposto un tavolo, Moratti ha controproposto un tavolino (satira politica), Petrucci ha opposto un fiero e sdegnato sì: sedete, sediamoci. Una vecchia idea di Diego Della Valle, quella del cessate il fuoco, che Moratti aveva fumato, buttato e pestato come una cicca. Diffido di queste rimpatriate ruffiane, dalle cui mense esce sempre la parodia dell'arrosto. Moratti ha paura dei coltelli sotto la tovaglia; Agnelli, dei falsi rosari sopra. Sono per decisioni che siano tali e portino chiarezza. Quali potrebbero essere gli argomenti all'ordine del giorno: la revisione di Calciopoli, una pace armata, un nuovo compromesso storico? Suvvia, non prendiamoci in giro. Nel frattempo, il popolo si interroga: perché la Juventus chiede i danni alla Figc e non a Moggi? Perché gli organi della Figc hanno seppellito lo scudetto 2006 senza prendere posizione? Brutto segno, quando le domande superano le risposte. Alla guerra come alla guerra. Contro Giancarlo Abete che incarna il sistema e contro l'Inter, «danno collaterale »: le telefonate di Facchetti e Moratti scomparse cinque anni fa e riesumate dalla difesa di Moggi, la spietata relazione del procuratore Stefano Palazzi nei confronti dei dirigenti nerazzurri, tenuti a debita distanza dal cuore del postribolo ma coinvolti, la prescrizione salva-Inter. La giustizia sportiva è fondata sulla responsabilità oggettiva, il peggiore dei sistemi esclusi tutti gli altri, tanto per parafrasare Winston Churchill sulla democrazia. Non si scappa, non si passa. E così sarà, o dovrebbe essere, sul fronte dei titoli confiscati o regalati. Diverso il caso dell'attività risarcitoria, accesa dal verdetto di Napoli, secondo il quale la Juventus sarebbe stata all'oscuro del cannibalismo di Moggi: di buona parte, almeno. Di qui la volontà di pretendere una somma che sa di sciabole sguainate e pugni fumanti, alla Joe Frazier. Personalmente, ho trovato bizzarro il modo in cui Andrea Agnelli ha tagliato il nodo: non già per affrancarsi dall'opera omnia dell'ex dipendente, ma per battere cassa. Un'acrobazia tattica, dicono gli juventini, per i quali, dopo il dossier Palazzi, ogni mezzo giustifica il fine. Se nel 1994 fu Umberto Agnelli a reclutare Luciano, nel 2011 è stato il figlio ad allontanarlo dalle strategie della famiglia. A marzo ci sarà l'appello del Giraudo "abbreviato" e già condannato a tre anni e, tempo al tempo, arriveremo un giorno anche all'appello dello stesso Moggi. L'associazione a delinquere, se ribadita, renderebbe patetico l'intero blocco di istanze; se cancellata o declassata a frode, viceversa, ricondurrebbe Moggiopoli a Calciopoli e in questo contesto la prescrizione interista contribuirebbe a rendere ancora più esplosivo l'arsenale. Ricapitolando: se la "sparata dei quattrocento" sa di muscolosa propaganda, la cesura tra il lupo e l'Agnelli e il quadro delle sentenze sportive sono fatti. Non è in ballo la responsabilità di Moggi. Semmai, ci si arrovella attorno alle incompetenze degli sceriffi federali e alla difendibilità di altri soggetti, trattati con i guanti o nemmeno presi in considerazione. Al di là dell'obiettivo manifesto - money, money, money - il divorzio Juventus-Moggi è stato troppo improvviso, troppo plateale per non infiammare le piazze. Mentre in Lega Maurizio Beretta fa il dimissionario, Claudio Lotito l'incendiario ed Enrico Preziosi il missionario, le arringhe del rampollo Agnelli eccitano i falchi e disturbano le colombe. Il maxi-rimborso esposto al pubblico non ha placato la nostalgia degli ultrà. Curve tempestose. "Piaccia non piaccia", come chioserebbe il pm Narducci, la responsabilità oggettiva, da me sopportata e supportata con tutte le forze, è sotto assedio. Il caso Sion, qualora culminasse nel reintegro della società svizzera in Europa League, segnerebbe una svolta assai più epocale e traumatica di quella marcata, il 15 dicembre 1995, dalla sentenza Bosman. In assenza di dirigenti all'altezza, capaci di governare l'adrenalina di pochi e l'oppio di molti, cresce la necessità di quegli azzeccagarbugli contro i quali si è scagliato Petrucci: in questo caso, non in altri. Non so se, come e quando finirà Calciopoli. Ogni rigore pro o contro, Paolillo docet, verrà tradotto in base alla tessera del tifoso (ma non quella di Maroni). Parlare di zuffa esclusiva fra juventini e interisti è riduttivo e sbagliato: siamo di fronte a brogli, incongruenze, omissioni e lasciti che tengono in ostaggio, come minimo, dodici anni del calcio italiano, gli anni della Triade (1994-2006). Associazione a delinquere: si ricomincia da qui, si continua così. Abete confonde spesso gli attributi con gli aggettivi. Da quando pronunciò la fatidica frase «L'etica non va in prescrizione» riferita al tavolino interista, il girotondo ha sostituito il finimondo. «Non ci sono piccoli popoli; ci sono piccoli uomini» scriveva Victor Hugo. Parole sante.
  18. Cronistoria Ieri su Tuttosport (Prima pagina e pagina interna) Oggi sul Corriere della Sera (pagina 67)
  19. Altra considerazione: come mai Tuttosport ieri ha rilasciato solo un trafiletto del documento mentre oggi il CorSera era autorizzato a spiattellarlo in tutta la sua magnificenza? P.s. Per farla breve, secondo me, la tavolata e' stata piu' violenta di quel che ci hanno voluto far credere e DDV aveva gia' anticipato che quella miseria di documento sarebbe stata seguita da ulteriori azioni legali (in pratica Don Diego si sara' ulteriormente risentito causa puerili formule utilizzate dal CONI per dirimere la querelle). I giornalisti addetti ai lavori hanno atteso gli sviluppi prima di pubblicare l'obbrobrio documentale, opportunamente autorizzati dalle alte sfere (a qualcuno girano i cosiddetti, infatti...).
  20. SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 17-12-2011) Calciopoli, altro che la pace Moratti e quell'accordo fallito... Altro che tavolo della pace: la "guerra" di Calciopoli continua ancora più violenta di prima. Oggi è intervenuta l'Inter per spiegare la sua versione su quello che è successo al Coni. "In merito al comunicato proposto dal Coni durante l'incontro di mercoledì a Roma e alle tante e diverse interpretazioni fornite in questi giorni da alcuni organi di informazione, F. C. Internazionale precisa che non è stato mai raggiunto un accordo sul comunicato stesso durante la riunione, nè, più specificatamente, il documento è stato approvato dal dottor Massimo Moratti''. E' quello che avevamo scritto nei giorni scorsi: Diego Della Valle si era opposto al testo studiato da Petrucci e Pagnozzi. La frase che certi provvedimenti (del 2006) "avrebbero potuto avere forme e contenuti differenti..." era stata giudicata troppo morbida e generica dal patron viola che pretendeva una presa di posizione netta sulle sentenze-farsa (subito contrastata dallo stesso Moratti). E così il testo che garantiva "non ci sarà mai più un'altra Calciopoli" non è stato firmato da nessuno dei nove protagonisti, non si è trovato l'accordo. Anche se Moratti e Andrea Agnelli hanno tenuto posizioni più concilianti: il presidente dell'Inter non accettava comunque di essere messo sotto processo, visto che lui ha evitato le aule dei tribunali (sportivi ed ordinari). E così è finito tutto in un flop totale. Petrucci temeva il "doping legale" e ora questo doping aumenta anziché diminuire, visto che Della Valle vuole portare in tribunale Guido Rossi e chi fece le indagini a Napoli (Auricchio), oltre ai pm Narducci e Beatrice. Il capo della procura di Napoli, Lepore, comunque disse che le intercettazioni "che riguardavano l'Inter non avevano rilevanza penale", mentre Guido Rossi ha spiegato come "non c'era niente, è stato tutto messo benissimo in chiaro dalla documentazione". E ha aggiunto: "Noi non avevamo le intercettazioni dell'Inter ma non sarebbe cambiato nulla (Palazzi non la pensa così, ndr). E ora basta dire s********e...". Gli avvocati di Della Valle pare vogliano denunciare l'ex commissario Figc per abuso e omissioni d'ufficio e occultamento di prove. La Juve, poi, come noto, si è rivolta al Tar del Lazio, chiedendo 443 milioni di euro di danni alla Figc, e alla Corte dei Conti con l'ipotesi di danno erariale. Ora non sono più i tribunali sportivi a intervenire ma quelli ordinari: Diego Della Valle, condannato a Napoli, dà battaglia su tutti i fronti. E la chiamavano pace... Petrucci e Pagnozzi la loro parte l'hanno fatta sino in fondo: ma i tempi non sono ancora maturi, e chissà quando lo saranno. Franco Carraro, ex presidente Figc di quei tempi, teme il ritorno di Calciopoli, anzi di "arbitro poli" come la chiama lui, e suggerisce controlli continui, su tutti. "Dirigenti, calciatori, arbitri: in modo da farli sentire sempre sorto controllo". Carraro ammette di essere stato "pigro" a quei tempi e, secondo me, anche poco attento. Per questo è sempre meglio tenere gli occhi bene aperti.
  21. Inter.it (Sito ufficiale) Tavolo Coni: nessun accordo su testo del comunicato Sabato, 17 Dicembre 2011 10:36 comunicato scoperto grazie a Davide Terruzzi (Tutto.Juve.com 17-12-2011) MILANO - In merito al comunicato proposto dal Coni durante l'incontro di mercoledì a Roma e alle tante e diverse interpretazioni fornite in questi giorni da alcuni organi d'informazione, F. C. Internazionale precisa che non è mai stato raggiunto un accordo sul comunicato stesso durante la riunione né, più specificatamente, il documento è stato approvato dal Dottor Massimo Moratti.
  22. Comunicato Inter: "Moratti non ha raggiunto un accordo sul comunicato Coni" di Davide Terruzzi (Tutto.Juve.com 17-12-2011) Un comunicato per smentire le ultime voci sull'eisto del Tavolo della Pace. L'Inter, attraverso il proprio sito internet, ha pubblicato un nota: "In merito al comunicato proposto dal Coni durante l'incontro di mercoledì a Roma e alle tante e diverse interpretazioni fornite in questi giorni da alcuni organi di informazione, F. C. Internazionale precisa che non è stato mai raggiunto un accordo sul comunicato stesso durante la riunione, né, più specificatamente, il documento è stato approvato dal dottor Massimo Moratti"
  23. dal CorSera di oggi, quel documento Il documento L'impegno del tavolo «Non ci sarà mai più un'altra Calciopoli» «Giovanni Petrucci, Giancarlo Abete, Andrea Agnelli, Aurelio De Laurentiis, Diego Della Valle, Adriano Galliani, Massimo Moratti, Raffaele Pagnozzi e Antonello Valentini» Riaffermato che la missione principale del Comitato Olimpico Nazionale Italiano è quella di presiedere, curare e coordinare l'organizzazione delle attività sportive sul territorio nazionale, intese come elemento essenziale della formazione fisica e morale dell'individuo e parte integrante dell'educazione e della cultura nazionale; Ricordato che la Figc è autorità di disciplina, regolazione e gestione delle attività calcistica in Italia; Tenuto conto del desiderio e della volontà di tutti i presenti di salvaguardare il futuro del calcio, superando i conflitti basati esclusivamente sugli strascichi di Calciopoli e di garantire agli appassionati e alle nuove generazioni di tifosi uno spettacolo fondato sullo sport e sui valori che esso racchiude; Convinti che, il fenomeno chiamato Calciopoli, — contraddistinto da comportamenti, deliberati o solo indotti dal clima di quel periodo e a prescindere dalle sentenze e dalle decisioni fin qui assunte dagli organi competenti — rappresenti nel suo insieme il periodo più oscuro nella storia del calcio italiano, considerato anche che gli stessi organi federali di allora seguirono le logiche condizionate dal momento, adottando in qualche caso provvedimenti che, in circostanze diverse e con analisi più complete ed approfondite, avrebbero potuto avere forme e contenuti differenti; Consapevoli del fatto che, in questo momento di estrema difficoltà dell'intero Paese, far prevalere le ragioni di una serena e durevole convivenza rappresenti una condizione essenziale per preservare il bene primario al di là di ogni rispettabile posizione individuale; Riconosciuto che ognuno ha il diritto di perseguire i suoi interessi tenendo sempre però ben presente l'interesse generale nonché l'insieme e lo spirito delle norme sportive; Concordano sull'esigenza di aprire per il calcio italiano — a ogni livello e con il contributo di tutte le componenti interne — una nuova e decisa fase riformatrice che nel rispetto dei ruoli garantisca un equilibrato sviluppo dell'intero sistema; Lanciano, nello stesso tempo, un appello a tutte le componenti del mondo del calcio di adoperarsi affinché diffondano in ogni circostanza un monito condiviso da tutti: «Mai più un'altra Calciopoli»; SI IMPEGNANO Insieme a tutte le altre componenti sportive e calcistiche, nelle diverse forme organizzative rappresentate, a presentare quale primo risultato di un ritrovato clima di armonia e nel più breve tempo possibile, un documento articolato che, anche sulla base di iniziative già in corso, indichi al Parlamento e al Governo le misure di maggiore urgenza per lo sport professionistico nonché i provvedimenti che nelle norme fondamentali del Coni e in particolare in ambito Figc, possono affrontare e risolvere problemi fin qui evidenziati. A questo fine il Coni incontrerà nel prossimi giorni il Ministro per lo Sport, cui verranno illustrate le proposte della Figc e delle altre Federazioni interessate.
  24. Bergamini, non fu suicidio per amore "Il calciatore ucciso dalla ‘ndrangheta" Cosenza, dopo 22 anni la procura riapre il caso. Si affaccia la pista della droga di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 17-12-2011) ROMA - Questa è la storia di un suicidio assistito. Dalla ‘ndrangheta. La storia è quella di Denis Bergamini, centrocampista del Cosenza Calcio, buona tecnica e grandi polmoni, morto a 27 anni il 18 novembre 1989. Ufficialmente Denis si è suicidato, lanciandosi sotto un camion al chilometro 401 della statale 106 jonica dopo essere scappato dal ritiro e aver litigato con la fidanzata. Ventidue anni dopo la procura di Castrovillari - su richiesta della famiglia - ha però riaperto il caso. Ipotizzando che Bergamini sia stato ammazzato, forse perché coinvolto (a sua insaputa) in un traffico di sostanze stupefacenti. «Troppe le incongruenze e le coincidenze attorno alla vicenda» ammette il procuratore capo Franco Giacomantonio. Che da luglio a oggi ha messo in fila una serie di fatti e punti interrogativi. Eccoli. Il giorno della scomparsa Bergamini è in ritiro con la squadra. Sono al cinema. Michele Padovano, l´ex attaccante della Juventus appena condannato a otto anni per traffico di sostanze stupefacenti, è il suo compagno di stanza. Racconta che quel giorno, verso le 15 e 30, Bergamini ricevette una telefonata che lo «turbò moltissimo». Mezz´ora dopo, prima dell´inizio del film andò via. Prese la sua Maserati e si fermò sotto casa della fidanzata, Isabella Internò, che tre giorni fa è stata nuovamente interrogata dai magistrati che si occupano della vicenda. La ragazza racconta che salita in auto Denis le chiese di accompagnarla a Taranto perché doveva imbarcarsi. «Voleva lasciare l´Italia per le Hawaii o le Azzorre». Perché dovesse partire dal porto di Taranto per andare in posti esotici è un mistero. Ma è uno dei più piccoli in questa storia. «Alle 17 e 30 - racconta a verbale un carabiniere, Francesco Barbuscio, all´epoca in servizio alla stazione di Roseto Capo Spulico - l´auto di Bergamini veniva fermata al posto di blocco, capeggiato dallo scrivente, per poi proseguire e fermarsi a circa 4 chilometri da Roseto, esattamente al Km 401, in uno spiazzo posto sulla destra. Qui hanno conversato (.. . ) e secondo la fidanzata Internò Isabella, aveva come oggetto la sua partenza dall´Italia, tanto che ebbe a dirle di tornarsene a Cosenza con la sua auto, mentre egli avrebbe chiesto l´autostop fino a Taranto. La ragazza gli raccomandava di desistere ma Bergamini usciva dall´auto (...) In quel momento la statale 106, con direzione Taranto, veniva percorsa dall´autocarro Fiat 180 condotto da Pisano Raffaele, il quale aveva visto l´auto parcheggiata fuori strada e una persona che vi stava davanti. Appena il pesante autocarro era giunto in corrispondenza della Maserati, Bergamini repentinamente si è lanciato buttandosi sotto la ruota anteriore del mezzo trascinandolo in avanti». Morto. Suicidato. Venti anni dopo però cominciano ad arrivare i buchi. Il primo: il corpo di Bergamini è praticamente intatto. Ha solo un livido alla tempia, come se fosse stato stordito. Ma per la ricostruzione è stato trascinato per almeno cinquanta metri. Tanto è intatto, che l´orologio che Bergamini portava al polso funziona ancora. Il padre non se ne separa mai. Quel giorno pioveva a dirotto. E invece i vestiti sembrano puliti di tintoria. L´autopsia dirà che è morto per uno schiacciamento. Ma sul corpo non ci sono escoriazioni di nessun tipo. Il camionista viene ascoltato solo una volta. Poi quando il caso viene riaperto è dato per morto. E invece è ancora vivo. La Maserati allora non venne sequestrata. Oggi è stata ritrovata ed è arrivata la scoperta: aveva il doppio fondo. E secondo alcuni era utilizzato per il trasporto di droga a insaputa di Bergamini. Una risposta definitiva arriverà dai Ris di Messina che la stanno analizzando. Due annotazioni sull´auto: Denis non voleva acquistarla, lo aveva convinto un dirigente del Cosenza prospettandogli un affare. Quella Maserati seguiva sempre il Cosenza in trasferta. «Chi avrebbe mai cercato droga al seguito di una squadra in trasferta?» si chiedono ora gli investigatori. Ancora: i tabulati dei telefoni di Bergamini sono spariti. Due magazzinieri del Cosenza avevano detto al papà di Denis che avrebbero voluto parlargli. Ma dopo qualche giorno morirono in un altro incidente stradale, proprio sulla 106. Infine gli orari: servono novanta minuti per percorrere la strada. Se si sommano le due ore di discussione, si arriva alle 19 e 30 della morte verbalizzate dal carabinieri. Ma il barista dove la fidanzata di Denis (accompagnata da un uomo mai identificato) va a telefonare all´allenatore del Cosenza per raccontare dell´incidente non ha dubbi: «Non era buio, fuori si vedeva bene. Non erano le 19 e 30». Non era buio. Effettivamente sembra giallo.
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