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Ghost Dog

Tifoso Juventus
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  1. Calcio gp IL GIORNALE DELLA DEMOCRAZIA JUVENTINA 14 novembre 2011 Speciale Calciopoli 29 AUTORI PER NON DIMENTICARE 29 VOLTE SCUDETTO! ___ (21) A questo punto, processo lontano da Napoli! di MARCO VENDITTI A pochi giorni dalla lettura della sentenza che ha condannato Luciano Moggi, dopo il processo di primo grado celebrato a Napoli, il mio stato d’animo naviga tra incredulità e sgomento. Sono sincero: non me l’aspettavo. L’anno scorso, “Signora Mia”, trasmissione che ho condotto da Roma, è stata incentrata proprio sul processo a “Calciopoli” e dalla mole di intercettazioni, anche inedite, messe in onda grazie al contributo della redazione di Juventinovero, dalle interviste realizzate agli ospiti in studio, dalle analisi con i legali ed i consulenti tecnici di Luciano Moggi, mi sembrava un’ipotesi remota che si potesse concretizzare una condanna del nostro amato ex Direttore. Qualcosa non quadra. Eppure le intercettazioni, quelle integrali e scovate magistralmente da Nicola Penta, non lasciano dubbi sulla reale situazione del mondo del calcio oggetto dell’indagine. Appare chiaro che la Juventus, società paradossalmente uscita indenne dal processo di Napoli, era davvero un fortino che si difendeva, in modo lecito e vincendo sul campo, dalle manovre di alcuni personaggi che di potere ne avevano e ne hanno, tutt’oggi, da vendere. Il processo Telecom in corso a Milano, stranamente non mediaticamente appetibile, è un esempio lampante. Al processo Calciopoli abbiamo visto di tutto: indagini iniziate sul sentito dire e su voci di corridoio; capi d’imputazione costruiti su episodi inesistenti; testimoni dell’accusa che hanno smontato le teorie dei PM; intercettazioni “sfuggite”, tagliate ad arte per dare una determinata interpretazione e, piaccia o non piaccia, oggettivamente occultate; il giudice Casoria vittima di scandalose pressioni dall’interno della Procura di Napoli e di 4 richieste di ricusazione per fortuna respinte; PM ed ufficiali dei carabinieri che hanno abbandonato il proprio ufficio per dedicarsi alla politica; c’è da aggiungere altro? Dal 2006 siamo vittime di processi mediatici, ma personalmente confido nella giustizia e spero fortemente che i prossimi gradi di giudizio, magari non celebrati a Napoli, possano sancire una verità senza ombre a garanzia della credibilità del nostro sistema giudiziario. ___ (22) Anche nel calcio non c’è pace senza giustizia di EMILIO TARGIA No. Il problema non è di essere “pro” o “contro” Moggi. Il nodo non è essere juventini o non esserlo. Il bivio non è tra “colpevolisti” e “innocentisti”. No. Sgombriamo il campo dai fraintendimenti. Dalle cattive interpretazioni. Estirpiamo la gramigna contagiosa del cattivo giornalismo, della superficialità colpevole, della velenosa approssimazione. E cerchiamo una volta per tutte di evidenziare il fatto che quel che serve -servirebbe- al calcio, al suo passato e quindi al suo futuro, è giustizia, trasparenza, verità, equità. Tutto quel che è accaduto dal 2006 fino ad oggi sta portando davvero a questo? Si sta veramente facendo “giustizia”? O invece colpire la Juventus e Luciano Moggi è servito in questi anni come formidabile arma di “distrazione di massa” per poi lasciare immutata la sostanza dello scena calcistica, ed irrisolti i problemi veri che affliggono questo sport? Gli uomini che hanno gestito finora le istituzioni del calcio, sono cambiati o sono sempre gli stessi? Lo straordinario oppiaceo del Moggi-padre-di-tutti-i- mali ha anestetizzato davvero qualunque istanza di giustizia, qualunque voglia di trasparenza, di mutamento, di crescita del calcio italiano? E le responsabilità dei media sono errori commessi per fretta e incapacità o per calcolo e malafede? Ed Enzo Biagi, aveva ragione, quando parlava nel 2006 di “una sentenza pazzesca perché costruita sul nulla, su intercettazioni difficilmente interpretabili e non proponibili in un procedimento degno di tal nome” . Una sentenza pazzesca perché punisce chi era colpevole solo di vivere in un certo ambiente, il tutto condito da un processo che era una riedizione della Santa Inquisizione in chiave moderna” ? Le perplessità c’erano già prima, i dubbi si sono rafforzati ora. Il vero “bivio” è dunque tra chi cerca e pretende equità e giustizia, e chi si accontenta di verità parziali. E le spaccia per fatti consolidati. Qualunque sia il fine. Non va dimenticato (e non va perdonato) che la maggior parte dei giornalisti così come la gran parte dei media hanno in questi anni inspiegabilmente rinunciato alla possibilità di indagare, cercare, verificare, limitandosi al raccontino sbrigativo del processo sportivo e a qualche trafiletto sulle udienze di Napoli. Tutti soggiogati, chi in buona fede chi meno, dalla accecante luce del Moggicolpevole. Scritto tutto attaccato. Senza una virgola di riflessione. Del Moggi discarica unica dei mali del calcio. Hanno abdicato. E oggi alcuni di loro – comprese firme importanti e rappresentantive- ammettono senza vergogna di “non aver seguito con troppa attenzione le udienze di Napoli”, ma di essere “convinti che…”. Ecco. Persino coloro che con il loro prestigio e la loro esperienza dovrebbero provare a raccontare con scrupolo e attenzione il dibattimento e le eventuali verità nascoste di una vicenda così delicata, soccombono al “sentimento della piazza”. Sic (attenzione, perchè poi alla lunga i “sentimenti” traditi, generano risentimenti). Proprio per questo mi sono adoperato perchè la mia emittente, Radio Radicale, raccontasse integralmente il processo di Napoli. Per la prima volta, la radio che ha raccontato agli italiani tutti i processi più famosi degli ultimi 30 anni, si è cimentata con un processo che riguardava il mondo del calcio. Qualcuno avrà magari storto la bocca, pensando che una radio così “seria” non dovesse occuparsi delle futilità del mondo calcistico. E invece no. E invece questo processo è stato uno spaccato importante di un pezzo d’Italia, un’occasione di approfondimento e di conoscenza, una specie di torcia nel buio dove ci avevano precipitato senza se e senza ma. Raccontandoci solo una parte del calcio e spacciandola per il tutto. In questi 3 anni alla fine ci hanno ascoltato tifosi di tutte le squadre, cittadini di ogni regione, politici di ogni schieramento, giornalisti di tutte le testate. Ci hanno ascoltato tante persone che non amano il calcio, abituate magari all’ascolto delle dirette dal parlamento, ed anche molte personalità di rilievo delle istituzioni, che spesso non potendo ascoltare le puntate del sabato sera curate puntualmente dal collega Andrea De Angelis si rifugiavano sul sito per recuperare le udienze perdute. 34 mesi, 61 udienze. Centinaia di ore di registrazione per provare a capire “davvero” quali fossero le tessere che costituivano il puzzle di “calciopoli”. Un viaggio che ci ha consentito di ascoltare le voci degli imputati, dei pm, dei testimoni. Tutti e ciascuno si saranno così potuti fare un’idea. Un’idea “propria”, non mediata da resoconti spesso faziosi e di parte. Un modo faticoso certo, ma anche una occasione straordinaria per poter finalmente “entrare” tra le pieghe del processo. Perchè tutte le cose che abbiamo capito nel corso del dibattimento le tv e le radio- con pochissime eccezioni- ce le avevano negate. E così i giornali, con la felice eccezione di “Tuttosport”, con Alvaro Moretti e Guido Vaciago che hanno seguito personalmente 58 udienze su 61. Radio Radicale ha innescato gi anticorpi in chi ogni giorno veniva bombardato dal “crucifige” mediatico a senso unico. Forse anche per questo il nostro lavoro non è stato pubblicizzato dalle grandi emittenti radiotelevisive o dai quotidiani. Forse per questo né io né il collega che ha curato gli speciali siamo MAI stati chiamati a partecipare a qualcuno dei rari dibattiti televisivi sul tema calciopoli sulle tv nazionali. Verrebbe da pensare, vista la scorrettezza di alcuni resoconti e l’approssimazione di alcune cronache, che questo non sia stato un riflesso del tutto involontario. Eppure in questi ultimi due anni i toni di alcuni giustizieri a mezzo stampa si erano fatti meno arroganti, e gli atteggiamenti dei media sembravano più sfumati. Ma dopo la sentenza di primo grado di Napoli ho sentito il coro riprendere fiato. Con toni a volte sguaiati. Molte radio romane hanno intonato di nuovo il refrain del Moggi colpevole. Con chiose spesso volgari. Mentre le tv hanno riportato il verdetto senza provare nemmeno a cogliere eventuali aspetti critici. E i giornali, ancora una volta, hanno rispolverato l’arsenale dell’estate 2006. In attesa delle motivazioni della sentenza, la lettura della stessa ci offre intanto più di uno spunto di riflessione. A cominciare dal fatto che viene recepita praticamente per intero la richiesta dei Pm pur a fronte della nullità di 8 capi di imputazione su 18. Mentre sarà interessante capire dalle motivazioni le condanne per Cagliari-Juve o per Juventus-Udinese. E i perchè e i per come di tante altre cose. In attesa dell’appello. Intanto nel coro spesso stonato di questi giorni ci sono alcune eccezioni. I colleghi di Tuttosport Moretti e Vaciago, che proseguiranno il loro lavoro. E poi Olviero Beha, Piero Ostellino, Gigi Moncalvo…. Che non si inchinano alle verità di comodo. E poi il lavoro sacrosanto dei siti, dei blog, come Ju29ro , giùlemanidallajuve, ?ecchia?ignora. com e tanti altri. Ma quel che irrità di più è che sono apparsi di nuovo quelli della “pietra sopra”. Sono alcuni giornalisti che si ostinano ad usare la clava al posto della penna e che non ne possono più di calciopoli e di quella che loro chiamano la “guerra infinita” tra Juventus e Inter. O forse sono solo spaventati dalla loro stessa superficialità. Che in futuro potrebbe essere smascherata. E una pietra magari vorrebba metterla anche sulla pesantissima relazione Palazzi sull’Inter, con un Art.1 e un Art.6 che pesano come macigni, quelli sì, sulla credibilità stessa del calcio. E allora No. Non potrà esserci mai pace senza giustizia. E non potrà mai esserci giustizia senza una ricerca costante, pressante e incondizionata della verità. 29 volte, verità. ___ (23) Nella delusione ritroviamo le nostre radici e nuove energie di NINO ORI Una botta pesante, di quelle che non si dimenticano, di quelle che per rialzarti ce ne vuole. Non è una sconfitta qualsiasi: martedì 8 novembre è “la” sconfitta. Sorpresa, silenzio, delusione, rabbia, bestemmie, frustrazione, disillusione, voglia di spaccare tutto, voglia di mollare tutto (compresa la matrigna Italia). Non è facile accettare che la Verità non produca il risultato sperato e non conduca alla Giustizia. Ma è andata così. Sai che Ju29ro, il gruppo di amici di cui fai parte da 5 anni, ha fatto tutto quello che si poteva fare, tutto quello che la passione permetteva di fare, contribuendo alla ricerca della verità. E la verità è venuta fuori: lampante, chiara. Il dibattimento è andato meglio anche delle più rosee previsioni, e le accuse sono state smontate tutte, una per una. Ma è stato tutto inutile: mesi e mesi di lotta, di analisi, di inchiesta, di argomentazioni, di speranza, di certezza… spazzati via in pochi minuti. Qualche ora è sufficiente a realizzare che, al di là della sensazione di impotenza del momento, si andrà comunque avanti, e Ju29ro continuerà a fare informazione su tutto quello che accade intorno alla Juve. Come sempre senza padroni, come sempre senza fare sconti. Forse la verità continuerà a non vincere, ma vale la pena di continuare a raccontarla. Non è un dovere, è una scelta. La scelta di persone innamorate ed appassionate, di persone che sanno di essere nel giusto. Più complesso è riuscire a riconciliarti con la tua juventinità. Impossibile dimenticare l’inutile e inopportuna esultanza che l’avvocato che rappresentava la società ha sbattuto in faccia ai condannati; difficile accettare il contenuto e la tempistica del pilatesco comunicato apparso sul sito ufficiale della società stessa. E’ uno di quei casi (per fortuna, pochi) in cui certi comportamenti ti addolorano, quasi ti fanno vergognare di essere juventino. E allora, vai indietro nel tempo a cercare conforto, aggrappandoti alle radici della tua passione. Vai con la mente fino al momento in cui l’orgoglio di essere bianconero ha iniziato a manifestarsi. Metà degli anni sessanta, periferia sud di Torino, scuole elementari. I tuoi compagni di scuola. I figli di immigrati sono quasi tutti interisti: la squadra di Angelo Moratti, Italo Allodi ed Helenio Herrera viene da quattro primi posti negli ultimi quattro anni (tre scudetti e uno perso nello spareggio contro il Bologna), due vittorie europee e due intercontinentali. I pochi torinesi sono divisi tra granata e bianconeri, con prevalenza numerica dei primi. L’unica cosa che accomuna interisti e granata dell’epoca è un incomprensibile (e, ai tuoi occhi, immotivato) odio per la Juve, cui viene imputato di rubare, di essere la squadra degli Agnelli e di rappresentare l’arroganza del potente. E tu, che al momento di calcio sai assai poco, non puoi che concludere che “se la odiano così tanto tutti quanti, deve essere davvero qualcosa di grande: non posso che essere juventino!”. Ecco, comincia così. Ma non è facile: veniamo da diverse stagioni negative, mai in lotta per il titolo. La Juve del 66/67 di Heriberto non è proprio una bellezza a vedersi. Il pacchetto difensivo (Anzolin; Gori, Leoncini; Bercellino, Castano, Salvadore) è solido e funziona piuttosto bene: pochi i gol subiti. In mezzo, a cercare di costruire gioco, ci sono Cinesinho, Del Sol, Favalli e Menichelli. La punta vera è una: De Paoli, eventualmente affiancato dall’estroso Zigoni; nel caso, uno tra Favalli e Menichelli rimane fuori. I nerazzurri invece sembrano imbattibili: la nazionale italiana del dopo Corea è costituita intorno a loro, addirittura otto undicesimi. I primi mesi di campionato sembrano confermare i pronostici: vincono le prime 7 partite consecutive… la sensazione è che non ci sia nulla da fare neanche stavolta. E anche quando hanno dei momenti di pausa, gli episodi sono sempre tutti a loro favore, e li premiano ugualmente. Ultima del girone d’andata: Lazio-Juventus 0-0. Peccato che, in realtà, la Juve abbia vinto, ma senza che l’arbitro se ne sia accorto: De Paoli segna un goal straordinario, di rara potenza. L’arbitro De Marchi non lo vede entrare e, quando il pallone rimbalza nell’area piccola dopo quel tiro violentissimo, forse pensa che abbia colpito la traversa. Nulla di fatto: un punto perso. Poi arriva, a poche giornate dal termine, Venezia-Inter 2-3. Con tre reti annullate (due delle quali regolarissime) al centravanti veneziano Manfredini. L’arbitro Sbardella lascia lo stadio da un’uscita secondaria… e la sera alla Domenica Sportiva i commentatori coniano, per spiegare la sua prestazione, l’espressione “sudditanza psicologica”. Noi perdiamo in casa del Milan, e sembra finita: quattro punti a quattro partite dalla fine… ma vinciamo con Favalli lo scontro diretto e riduciamo il distacco a due punti. Ne rimane poi solo uno alla vigilia dell’ultima giornata. Intanto loro perdono la finale di Coppa dei Campioni contro il Celtic, antipasto di ciò che li avrebbe aspettati a Mantova. Nell’ultima giornata, noi facciamo il nostro dovere contro la Lazio, mentre la squadra di Herrera, di fronte ad un Mantova solidissimo, difeso da un allora venticinquenne ma già insuperabile Dino Zoff, finisce per perdere partita e scudetto, con la papera del portiere Sarti, su un tiro-cross di Di Giacomo. Lo scudetto che non ti aspetti, vinto di giovedì, con un incredibile sorpasso all’ultima giornata. Lo scudetto che ci permette di staccarli (13 a 11) anche nel computo totale degli scudetti vinti. Peccato solo che sia tardi: è già giugno, e i giorni di scuola rimasti, per vendicarsi dei compagni di scuola a colpi di sfottò, sono davvero pochi. Ma è bello lo stesso, aver vinto con un organico certamente inferiore, contro lo strapotere altrui. Nell’occasione, la Juve non ha mai dato la sensazione di poter stravincere sulle avversarie più accreditate. Ha sempre sofferto, riuscendo comunque a mantenersi ad una distanza non eccessiva dal primato. Ma quando, nel finale del campionato, il gioco si fa duro, ecco emergere (al di là delle qualità tecniche) le risorse della squadra di razza, nata per primeggiare non appena se ne presenti l’occasione. Quella mentalità vincente, unanimemente riconosciutaci (anche dagli avversari che ci odiano e ci invidiano), da sempre caratteristica fondante e distintiva dell’essere bianconeri. Da ritrovare. ___ (24) Cara società Juve, non dimenticare il tifoso! di ROBERTO BUONFIGLIO Sono onorato di scrivere le mie considerazioni sul giornale online a tinte bianconere più seguito del web. La passione per la Juventus mi ha portato tre anni fa a creare in collaborazione con Enrico Levanti la pagina fan di orgoglio bianconero seguita da più di 46.000 fan. Come già qualcuno di voi sa abbiamo dovuto necessariamente chiudere la pagina a causa di un hacker che ha violato la proprietà intellettuale. L’immensa passione per la Juventus non ci ha scoraggiato e abbiamo ricominciato da capo; abbiamo aperto sul web il blog di orgogliobianconero.net che devo dire ci sta dando molte soddisfazioni con più di 20000 visualizzazioni settimanali. Ah, dimenticavo per non farmi mancare nulla, faccio parte della redazione di “Forza Juve” trasmissione che va in onda tutti giovedì alle 21:45 su Rete7 e sul canale di Sky 825. Dopo questa ampia premessa vorrei ringraziare tutti coloro che nel corso di questi cinque anni hanno profuso sacrifici enormi a difesa della causa bianconera soprattutto un caloroso abbraccio ai ragazzi di juventinovero. com. Purtroppo la giustizia non è uguale per tutti: a seguito della sentenza Farsopoli, che ha in parte sorpreso e in parte no, la reazione dei principali condannati come Moggi, Lotito e i Della Valle si è fatta sentire, anche la Juventus unica squadra del calcio italiano distrutta e annientata nel 2006 ha fatto la sua richiesta alla Figc. La richiesta di risarcimento danni ammonta a 240 milioni di euro, cifra giustificata dalle seguenti voci: Danno subito per giocatori ceduti con svalutazione nel 2006: – 121milioni Mancati proventi da sponsor e pubblicità: – 21 milioni Mancato proventi da radio e tv: – 35 milioni Perdita in borsa: – 53 milioni Io credo che a questo punto in Figc qualcuno dovrebbe cominciare a preoccuparsi. Tavolo o non tavolo. Mi dispiace dirlo ma sono cinque anni che la società non ha più voce in capitolo, lo possiamo constatare dalle più recenti situazioni in cui ci siamo trovati come ad esempio i soliti cori infami che continuano a profanare il nome di Gaetano Scirea e i 39 angeli dell’Heysel. Ed eccoci al paradosso, l’ultima presa per i fondelli da parte del giudice sportivo che ha inflitto èuna misera ammenda di 20. 000 euro a causa degli striscioni esposti al Meazza (acciaio scadente ……nostalgia dell’Heysel…. . e Agnelli crepa) mentre solo un anno fa per i cori contro Balotelli durante il match di Coppa Italia Juventus-Napoli il giudice sportivo ha disposto la chiusura della curva Sud per l’incontro di campionato contro la Roma, che dire anche in questo caso la legge o la giustizia non è uguale per tutti. Non dimentichiamo il TIFOSO; anche lui ha diritto ad un risarcimento almeno morale. Certo! Perché chi vive la Juve la vive con tutto il cuore!!!! Sapremo rialzarci per l’ennesima volta, il TIFOSO bianconero onora la sua squadra del cuore in tutto e per tutto. Per noi sono e saranno sempre 29 gli scudetti vinti sul campo. ___ (25) Giornalisti in soggezione, il gioco delle Procure di ALESSANDRO BANFI Per i tifosi Calciopoli è una storia a sé. Ma per chi, come me, vive da anni nelle redazioni di telegiornali e trasmissioni di approfondimento, è una vicenda che purtroppo ne ricorda tante altre. In Italia c’è un grave problema, una patologia, nel rapporto tra parte accusatoria della giustizia penale e mass media. E non stiamo parlando di inchieste che riguardino soggetti politici o scontri politica-magistratura. Anzi, ma di inchieste penali che riguardano la Cronaca di tutti i giorni: da Brembate ad Avetrana. Per rimanere ai tristi eventi di questi giorni. La dinamica perversa che si è innescata nel nostro Paese è costituita da una continua soggezione dei giornalisti alle ipotesi delle Procure. Quantomeno nella fase preliminare di una qualsiasi indagine. Negli anni Settanta quando il vostro cronista cominciò a lavorare c’era un clima opposto: i giornalisti partivano da un pregiudizio critico nei confronti degli organi dello Stato: Polizia, Carabinieri e magistratura inquirente. Ed allora il Codice di Procedura Penale prevedeva un’immediata verifica delle prime accuse presso il Giudice Istruttore. Con Mani Pulite questa tendenza si è capovolta fino a diventare (anche grazie all’introduzione del Nuovo Codice) una malattia del sistema. Oggi chi fa le prime indagini, i pm della Procura, hanno potere assoluto sui mass media. Decidono loro quali e quanti violazioni del segreto ammettere (di fatto), perseguono loro i pochi cronisti che si avventurino su considerazioni critiche o pubblichino notizie non gradite alle stesse Procure, procedono ad un processo pubblico via mass media che non ha eguali in Europa. In particolare attraverso quelle prove (fumose e discutibili in un processo) che si chiamano: intercettazioni telefoniche e ambientali. Secondo voi, in quale Paese si potrebbero mai pubblicare tali documenti durante le indagini preliminari? Bravi, in nessuno. Pensate che invece da noi, per restare al clamoroso caso di Sarah Scazzi, sono state persino diffusi sonori autentici degli interrogatori con la voce di persone addirittura ancora “informate sui fatti”, testimoni non indagati. Pensate che la Procura di Taranto abbia aperto un’inchiesta su questa fuga di sonori, quasi in tempo reale finiti sui mass media? E tuttavia esistono un paio d’inchieste contro colleghi che hanno pubblicato altri documenti evidentemente non graditi. I giornalisti non criticano più le inchieste delle Procure, anche quando sanno che ci sono gravi errori, per non inimicarsi la fonte delle notizie, che è allo stesso tempo anche il persecutore delle notizie non gradite. Così, quando arriva il processo e naturalmente la Procura ritorna ad essere una parte di esso, una parte importante, l’accusa, ma una parte, tutto assume un’altra luce. In particolare le intercettazioni telefoniche o ambientali vengono ridimensionate, a volte addirittura non citate, spesso, molto spesso, affiancate da altre occultate nella fase preliminare dall’accusa. Il processo di Napoli è, ahimè, uno dei tanti processi in cui questo accade. In cui di colpo gli atteggiamenti di chi ha condotto le indagini emergono in tutta la loro evidenza, in cui d’improvviso vengono fuori altre telefonate, rispetto a quelle pubblicate con tanta enfasi cinque anni fa. Ma ormai il processo vero c’è già stato. Sui giornali e in tv. ___ (26) Il campo oltre i tribunali: un modo per aggrapparsi alla nostra storia di NICOLA NEGRO Confesso di non aver ancora capito fino in fondo il perché, in un’età in cui più che mai ti sembra che il mondo abbia milioni di colori, possa capitare di essere attratti da una maglia bianconera. Per me la scintilla c’è stata una domenica pomeriggio, che molti anni più tardi ho scoperto essere il 23 aprile 1972. Campionato di serie A a 16 squadre, un pomeriggio trascorso a casa dello zio della provvidenza a scoprire “Tutto il calcio minuto per minuto”, “90° minuto”, quindi, alle 19, la trasmissione televisiva di un tempo di una partita di calcio. A quella trilogia sempre uguale eppure sempre nuova a ogni domenica ci ho incollato i più bei ricordi di bambino. Quella domenica 3-0 (contro l’Inter) per le maglie a strisce bianconere e un trasporto naturale per quel qualcosa di magico di quei due colori agli antipodi, ma così perfetti uno vicino all’altro. Nell’intreccio fra magia bianca e magia nera che passano per Torino, è suggestivo ricondurre a qualche mistero esoterico il colore di quelle maglie un po’ bislacche arrivate invece solo per caso dall’Inghilterra. Erano gli anni dei pionieri e di un gruppo di liceali che si ritrovavano intorno a una panchina di Corso Re Umberto. Lo dobbiamo a quei ragazzi se oggi stiamo qui a parlare di Juventus. Poi la famiglia Agnelli, una dinastia che ha guidato la società lungo quasi tutto il suo percorso storico. Dal quel martedì 24 Luglio 1923, giorno in cui Edoardo Agnelli venne eletto presidente per acclamazione è trascorso quasi un secolo. Una longevità unica nella storia del calcio. E‘ una Juve da leggenda quella del quinquennio 1931-1935. Un primato di vittorie sul campo a oggi ineguagliato. Poi in quell’estate la morte improvvisa di Edoardo sembrò spegnere ogni speranza di rinascita. Gianni aveva solo 12 anni, mentre Umberto nemmeno un anno, ma c’era già una squadra nel loro destino. A cavallo degli anni Cinquanta parlava “danese” la Juve di Gianni Agnelli, mentre quella di Umberto, negli anni bel boom economico, riusciva a unire gli italiani nel triangolo magico dei suoi tre campioni. Boniperti, Charles e Sivori. E in quegli anni che la Juventus diventava “la fidanzata d’Italia”, capace di abbracciare trasversalmente tutte le classi sociali e di unire il nord con il sud sotto un’unica bandiera a strisce bianconere. La mia prima Juventus è stata quella autarchica che mi ha preso per mano negli anni Settanta, unica squadra a vincere una coppa europea con una squadra tutta italiana. Poi è stato amore folle con la Juve di Platini, come si può amare follemente a diciotto anni prima di risvegliarsi nella notte dell’Heysel. Quel 29 maggio 1985 rappresenta una data in cui la Juventus è diventata qualcosa di più di un legame affettivo ed emozionale con una squadra di calcio. In quella notte 39 vite spezzate a colpire un intero popolo bianconero. Io mi sentivo lì in mezzo anche vivendo quella tragedia attraverso una piccola tv in bianco e nero. E poi Scirea e quella disgrazia che ci ha tolto un fuoriclasse in campo come nella vita. Passano gli anni, ma il suo esempio di juventinità è sempre vivo. Con la Juve della Triade è stato amore vero e come un grande amore che ti travolge fra gioie e dolori, è stata la Juventus che più di ogni altra mi è entrata dentro. E‘ stato l’epilogo di Calciopoli a farmi fare i conti con una Juventus che non c’era più, morta ammazzata dai processi di piazza e dalle invidie di chi sul campo non riusciva a vincere mai. Insieme alle sentenze sportive di quella maledetta estate ho sentito di aver perso anche la “mia” Juventus quella delle emozioni lunghe una vita. Una Juve oggi ritrovata che bisogna amare anche più di prima perché ce n’è bisogno. Perché oggi amare la Juventus non vuol dire solo tifare, ma anche chiedere verità e giustizia per via di quel processo sommario che in quella maledetta estate ha privato la Juve di due scudetti e l’ha cacciata in serie B. Nei tribunali per questa Juventus si gioca la partita dell’onore. Dopo anni bui c’è di nuovo un Agnelli presidente a tessere le fila, mentre in campo c’è un condottiero indomito, Antonio Conte, a guidare la rinascita. Sono soprattutto loro a cui oggi rimane aggrappata la mia juventinità. ___ (27) Non ridete, tifosi della Juve di GIANNI VOLPI Non ridete, tifosi della Juve. È tutto vero, è certificato da un tribunale della Repubblica italiana. È accaduto l'11 gennaio, al Tribunale di Napoli, presieduto da una giudice, la signora Casoria, che alle chiacchiere preferisce i fatti documentati (anche il calcio sarà salvato dalle donne?). Una delle prove - non ridete! - della connivenza tra arbitri e Juve è che Moggi avesse regalato, dopo un Lecce-Juve, maglie della Juve agli arbitri. Ebbene l'ex guardalinee Enrico Cennicola, davanti al tribunale, dice testualmente che non solo questa era prassi comune a tutte le squadre, ma che "il Milan regalava borsone e materiale tecnico Adidas e orologio, l'inter abbigliamento e borson Nike, orologio e in tutte le gare una maglione di cachemire" (scritto anche cashmire). Ovvero, il cachemire non è reato, e neppure gli orologi. Forse perché non sono tracciabili come una maglia della Juve. Ma ci sono altre perle, in questa prima udienza del 2011. Si parla dell'ex arbitro Nucini, amico di Facchetti (ci spiace, ma é così), che confessa che lui era il "cavallo di Ţroia" dell'Inter nella Can per capire come venivano "condizionati i risultati e quindi l'intero campionato". E non per una volta, per un mese, per una stagione calcistica. Per quattro anni! Da parte sua l'Inter si era interessata con banche e istituti vari per trovargli un posto di lavoro. Tuttosport commenta candidamente: "Tutte cose che Palazzi vorrà leggere presto, come presto vorrebbe avere gli esiti delle audizioni Figc anche Narducci". Ed invece Palazzi se ne va. Sinora ha insabbiato, rallentato l'esposto di Andrea Agnelli. "Quieta non movere, et mota quietare", non smuovere ciò che è tranquillo, e calma ciò che è agitato, dicevano i latini e quello che era un po' il suo motto. Perché, dunque, tornare su Calciopoli, anzi Farsopoli, come ormai dicono in tanti? Oltre non poteva andare, né smentisri. Così il Palazzo perde Palazzi. Ovvero, è bastata qualche iniziativa un po' più decisa e precisa per smuovere le acque della palude della giustizia sportiva. Oggi, più che mai ci fa rabbia pensare al comportamento della società negli anni 2006-10 e all'"elegante" ignavia di Cobolli Gigli. E ricordiamo che padre Dante colloca gli ignavi nell'Antinferno, dove circolano punti da vespe e mosconi. Tante altre cose sono venute fuori da Napoli, in una sola udienza! Ad esempio, che le famose "schede svizzere", provs principe della segretezza dei rapporti tra Moggi e gli arbitri e quindi della "colpa" della Juve (la "pistola fumante", l'aveva definita in trasmissione Fabio Ravezzani, direttore di Telelombardia), erano assolutamente "agganciabili", ecc. , ecc. . Come cittadini, però, abbiamo il dovere di porci una serie di domande. Ma nessun magistrato, prima di istituire processi, ha letto le inchieste folkloristiche del colonnello Auricchio, basate sulla Ģazzetta dello sport, errori compresi? Nessuno si è chiesto se esistevano altre intercettazioni e di che tenore e chi riguardavano? Nessun magistrato ha mai dato esami di storia e sentito parlare di "controllo delle fonti"? Se c'era di mezzo uno meno potente e ostinato di Moggi, che si è potuto permettere avvocati di prim'ordine ed esperti informatici del Politecnico di Torino per individuare e trascrivere centinaia di "altre" telefonate, tutto questo sarebbe finito per sempre nel dimenticatoio? Come tifosi, invece, chiediamo: Zaccone (a bilancio della Juve, per questa performance, per 500 mila euro, ci dicono gli azionisti) quando parlava di prove schiaccianti tali da provocare la retrocessione della Juve in serie C? Era il dossier della Juve o quello del Milan, della Lazio, della Fiorentina, dell'Inter? C'è stato evidentemente uno scambio di dossier. Per questo, come si annullano i processi per scambio di persona, dovremmo chiedere l'annullamento del processo sportivo per "scambio di dossier". ___ (28) Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire di PIERO PIZZI Dal 2006 gli juventini, quelli veri, quelli che hanno sopportato i commenti di scherno degli idioti del villaggio e subito l’umiliazione della serie B, vinta tra l’altro con 94 punti conquistati sul campo (guarda caso 91 punti furono quelli della vittoria dello scudetto numero 29, di cui si è appropriato la banda degli onesti capitanata da Moratti) ingoiano bocconi così amari che la metà avrebbero avvelenato chiunque. La sentenza di Napoli che ha condannato Moggi in primo grado è un po’ tutto questo, i carneadi hanno servito un’altra dose dell’amarissima cicuta che ormai in quantità sempre più massicce propinano da cinque anni a questa parte. Eppure, l’iter giudiziario, finalmente portato avanti come Dio comanda e non con una frenetica e veloce sentenza come fu nell’anno del Signore 2006, a mio modesto parere aveva dimostrato altre cose, ormai evidenti anche ai più ciechi. In questi ultimi mesi l’avvocato Prioreschi, uno dei due difensori di Moggi, ha dimostrato in aula, con effettive prove, che la presunta integerrima onestà dell’Internazionale F.C. non esiste e non è mai esistita, dal momento che in settantadue pagine il procuratore federale Stefano Palazzi ha sostenuto che la suddetta squadra ha violato gli articoli 1 e 6 del codice sportivo e, in particolare, ha cercato di ottenere, e cito testualmente «un vantaggio in classifica mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale» e che solo la prescrizione ha evitato a tale squadra la punizione che altrimenti avrebbe meritato. Questi sono atti giuridici che esistono, sono prove inconfutabili, capisco che a molti ciò non faccia piacere, ma così è, piaccia o non piaccia. Non solo, dal dibattito in aula, tutti abbiamo imparato a conoscere il celebre “sistema dei baffi” con il quale il colonnello dei carabinieri Auricchio ha braccato Moggi. Peccato, per i delatori della Juventus, perché le indagini dell’aprile del 2010 hanno accertato che erano tantissime le telefonate emerse e, a torto, sfuggite o ritenute irrilevanti da Auricchio, che erano invece state segnalate come rilevanti. Anche le telefonate di Facchetti, dunque, erano state regolarmente segnalate dai carabinieri. Perché Auricchio non ne tenne conto? Perché le intercettazioni dell’Inter e di altre squadre furono cestinate? A pensar male si fa peccato però molto spesso s’indovina. Si è gridato allo scandalo per le cene organizzate da Moggi con i designatori arbitrali, poi abbiamo scoperto che anche Moratti, Facchetti, Galliani, Meani e Collina pasteggiavano allegramente con Bergamo e Pairetto. Qualcuno spieghi allora perché se a cena ci va Moggi è reato da punire con la gogna e il pubblico ludibrio, se ci va Moratti è un atto di cortesia e gentilezza. Si è detto, tra le mille sciocchezze, che Moggi era a capo di una cupola, abbastanza strana come situazione se si tiene conto che un calcolo statistico ha dimostrato che la Juventus con gli arbitri presunti sodali della cupola aveva una media di 1.8 a partita, con tutti gli altri di 2. 24, ma allora mi chiedo prosaicamente, che razza di cupola era? Poi qualcuno obietterà che Moggi aveva dato schede svizzere ai suoi “bravi” e che con queste schede si macchiava di indicibili nefandezze. Ma anche la questione delle sim svizzere rientra perfettamente in questo processo di barzellette e da giustizia di avanspettacolo. Le schede svizzere, un’ossessione che riecheggia sempre nelle aule del tribunale di Napoli, solo oggi abbiamo capito che le usava per proteggersi da un tentativo di spionaggio contro la sua persona. L’attività di spionaggio effettivamente c’è stata ed è stata condotta invece da un team ben addestrato della Telecom, cioè l’azienda di Tronchetti Provera, che casualità ha voluto facesse parte del consiglio di amministrazione della squadra milanese. E a proposito di consigli di amministrazione, non bisognerebbe dimenticare che il signor Guido Rossi, per chi non lo conoscesse, è stato il “grande saggio” che ha attribuito lo scudetto di cartone all’Internazionale F.C., dopo il 2006 è stato anch’egli nominato Presidente Telecom. Per tutti questi motivi la sentenza appare stucchevole, di fatto certifica l’esistenza della cupola che la realtà fattuale ha smentito. Hanno perso, ancora una volta, la possibilità di rendere giustizia e tacitare i poteri forti. Assolvere Moggi significava sconfessare calciopoli, ridare dignità a uomini non meno fallaci di altri, per questo temo che la sentenza fosse già scritta. Si poteva riscrivere quel bellissimo romanzo popolare che è il gioco del calcio, ma hanno prevalso i demagoghi che confondono la giustizia con il sentimento popolare, una sentenza schifosa, un’altra pagina vergognosa che renderà felice chi, senza calciopoli, non avrebbe vinto nulla. ___ (29) A Napoli sentenza giuridica che definirei mostruosa di PAOLO BERTINETTI Ritengo che Luciano Moggi non sia affatto colpevole dell’accusa grottesca per cui il Tribunale di Napoli lo ha condannato in primo grado. L’associazione per delinquere è una cosa seria, un reato gravissimo che niente ha a che fare con i comportamenti di Moggi, anche se fosse vero tutto ciò che l’accusa ha “costruito” a partire dalle intercettazioni. Intercettazioni che, sia chiaro una volta per tutte, NON servivano per indagare sulle camarille del mondo del calcio (infatti se emergevano intercettazioni in tal senso le si ignorava), ma che si prefiggevano di incastrare Moggi. I giudici hanno, per legge, parecchie settimane di tempo per mettere nero su bianco le motivazioni di una sentenza che, stando ai giuristi con cui ho parlato, costituisce una mostruosità giuridica. In tutte queste settimane, qualcosa di presentabile se lo inventeranno. Tuttavia la sentenza c’è. Spetterà ai difensori di Moggi preparare il modo giuridicamente ineccepibile per andare in appello. Spetterà ai tifosi juventini, a quelli che già da cinque anni a questa parte hanno denunciato il linciaggio contro la Juventus, contrastare gli effetti di questa sentenza. Per quanto riguarda la difesa di Moggi bisogna riconoscere che purtroppo l’impostazione data finora, assai efficace sul piano mediatico e assai utile alla Juventus e ai suoi tifosi, si è rivelata debolissima. Se mi accuso di avere rubato in un supermercato, non posso difendermi dicendo che in quel posto lì rubavano tutti e che quindi non sono colpevole. Devo spiegare che non ho rubato; che quello che facevo io (e che facevano tutti) non era un furto. Nel nostro caso si trattava di dimostrare ai giudici che quelle telefonate erano una prassi diffusa e al tempo consentita (si badi bene, consentita); e che quindi non c’era nessun accordo illegale tra Moggi e altri messo in atto allo scopo di delinquere. Di più: che non c’era nessun accordo con nessuno per trarre un vantaggio illegittimo. Da qui, io credo, dovranno partire i difensori di Moggi per l’appello. La Juventus, in questo caso grazie all’accortezza dei suoi legali, esce indenne dal processo di Napoli. Anzi, potrà forse utilizzarne la sentenza per le azioni legali che intenderà eventualmente prendere. Il tutto è naturalmente paradossale. Ma questo dice la sentenza. Per noi tifosi, al di là delle eventuali mosse della Juventus, resta ancora molto da fare: se possibile in condizioni ancora peggiori di prima. Possiamo però partire da ciò che è emerso in modo inconfutabile dal processo, cioè da quello che (considerato irrilevante sul piano penale) dovrebbe essere invece molto rilevante sul piano sportivo. Alle autorità calcistiche non sembra vero poter ignorare e prescrivere tutto ciò che riguarda l’Inter e gli altri “onesti”. Ma noi dobbiamo ricordare a tutti, compresi i tifosi juventini tiepidi, che dalle indagini, dalle intercettazioni rese note al processo di Napoli, è emerso chiaramente che i dirigenti dell’Inter (e del Milan e di altre squadre ancora) parlavano direttamente non solo con i designatori, ma addirittura con arbitri e guardalinee. Su questo punto non bisogna retrocedere neppure di un millimetro. Facchetti le telefonate le ha fatte: l’Inter è la squadra dei furbetti disonesti e lo scudetto di cartone deve essere revocato. In quanto alla Juventus, gli scudetti 2005 e 2006 li ha vinti meritatamente sul campo ed è non solo legittimo, ma doveroso rivendicarli. Qualsiasi siano le conclusioni (o le non conclusioni) delle autorità sportive. Gli striscioni su chi ha rubato partite e scudetti dovremo farli noi.
  2. Calcio gp IL GIORNALE DELLA DEMOCRAZIA JUVENTINA 14 novembre 2011 Speciale Calciopoli 29 AUTORI PER NON DIMENTICARE 29 VOLTE SCUDETTO! ___ (11) Chiamatela Ingiustiziopoli! di FRANCO LEONETTI Horribilis dies. Giorni tremendi, infausti che lasciano interdetti, storditi. Una giustizia, o per meglio dire, una struttura connaturata di profonda ingiustizia, che ha cancellato prove, intercettazioni e ben tre ani di dibattimento in aula. Il processo di Napoli ha partorito una sentenza sconcertante. Il cauto ottimismo covato da chi ha a cuore la Juve, ha lasciato strada ad una delusione profonda in tutti gli appassionati del popolo bianconero che si attendevano una rivincita epocale su tutto il guano fetente rovesciato in quella maledetta estate del 2006. Un poderoso vento di revanchismo andato perduto. Un giudizio imbarazzante, minato da incongruenze e da lunghe ombre sospette che si estendono anche su questo esito processuale della giustizia ordinaria, dopo la vera porcata ordita dal tribunale sportivo in uno svolgimento affrettato, monco e volutamente incompleto, atto a condannare la Juventus ad una pena durissima e immorale. L’uomo della strada attendeva la sentenza di Napoli come un risarcimento etico e politico in grado di riabilitare agli occhi del mondo la cannibalizzazione del sistema calcistico nei confronti della ex dirigenza bianconera. La reintegrazione idealmente bramata non è giunta, ormai lo sappiamo tutti. L’analisi lucida di martedì 8 novembre passa per alcune coordinate che hanno reso ancor più ignobile l’intera vicenda, fattori che forniscono acidità al solo pensiero. Il lavoro immane di ricerche selezionate e di minuzia certosina messa in campo dal pool difensivo di Lucianone Moggi non ha sortito effetti ed è stato vanificato da una camera di consiglio, a dir poco burrascosa, con il giudice Teresa Casoria messa in minoranza dalle due giudici che già l’avevano ricusata e spinta sulla soglia dell’abbandono del procedimento penale. Battibecchi serrati, esclamazioni ad altissimo volume, unanimità mancata: per il verdetto finale si è materializzata la votazione a maggioranza. E il patatrac è divenuto reale. Viene da chiedersi tante cose, ma soprattutto come i poteri forti e occulti che hanno affossato senza pietà gli imputati si siano adoperati a rendere le due giudici il loro braccio armato. Questa, che era un’indiscrezione raccolta dal sottoscritto la sera stessa del pronunciamento dell’assise, è divenuta amara realtà confermata pubblicamente da Nicola Penta consulente di difesa di Moggi. Ma anche il clamore e l’eccessiva sovraesposizione mediatica hanno giocato contro un’assoluzione che aveva l’aria d’essere a portata di mano. Oggi le sedi penali di alcuni svolgimenti processuali sono diventati pesante oggetto di show televisivi che, alla lunga, possono inficiare o instillare condizionamenti reali e tangibili. Fattore questo che dovrebbe far riflettere in modo opportuno su tutte le componenti: assoluzioni e punibilità in mano ai media? In Italia può accadere anche questo. Mi permetto anche di esporre una mia teoria personale che si va ad incastonare all’insieme sino ad ora enunciato. In caso di formula piena assolutoria, la maggior parte degli imputati aveva già assicurato la richiesta di danni alla Federazione Giuoco Calcio. E allora diciamolo in modo chiaro, per sgombrare il campo da ogni ombra di dubbio. Una richiesta danni così massiccia e ingente alla Fgci avrebbe creato una situazione impossibile da sostenere e la Federazione stessa avrebbe chiuso i battenti oggi stesso impantanando il sistema calcistico in una situazione impossibile da sciogliere. E allora ecco servito il verdetto, bello caldo e profondamente impuro che provoca sdegno e amarezza, a prescindere da imputati e accuse. La giustizia dovrebbe essere super partes sempre, parafrasando lo slogan scritto in tutte le aule di tribunale della Repubblica, invece tale non è. Ma questo lo sapevamo già, purtroppo. E allora basta con gli appellativi, gli sforzi di ingegno per definire una vicenda tristissima che, se non fosse tanto seria, apparterrebbe ai faldoni storici della Commedia Dell’Arte. Chiamiamola Ingiustiziopoli e non se ne parli più, tanto da qualsiasi prospettiva si osservino questi lunghissimi cinque anni, l’onta rimarrà, almeno sino all’appello. ___ (12) Vi racconto Teresina e le matte di GIACOMO SCUTIERO A Perugia assolvono i condannati in primo grado del caso Kercher. Si parla di una ventenne sgozzata, non di calcio. Un mio maestro aggiorna Facebook: l’Italia è quello strano paese dove la gente, anziché gridare vergogna agli inquirenti che hanno sbagliato, grida vergogna alla gente che si difende. Sono pochi quelli che si fidano dello stato italiano, di certo non sono comuni cittadini. Lo chiamo stato e non giustizia, perché questa è ancora definita una virtù. Insultare la Bongiorno che fa il suo lavoro e sognare di linciare Knox e Sollecito perché liberi, sono i dettagli del pensiero di sopra. D’altra parte quasi nessuno rivaluta Guede. Quello del rito abbreviato e condannato per concorso in omicidio, che secondo l’appello Knox e Sollecito non hanno commesso. Il sentimento popolare cambia mai la prima idea; è stolto, dicendolo non offendo tutti perché offenderei mai me stesso. Passiamo alla cosa più importante tra le cose meno importanti. A Napoli accolgono le richieste dell’accusa, l’udienza è tolta e la difesa pure. Chi meno e chi più, Teresina con le matte hanno deciso. Casoria le chiamava furbette, le chiamerà come si chiama chi condanna ma non sa che motivazioni stendere. Garantisti, giustizialisti, indifferenti e ignavi, tutti sorpresi: hanno sottovalutato antiche pressioni. Quando il giudice fa capire ai pm che di quel passo non può che assolvere, Narducci e Capuano la ricusano; Casoria barcolla ma non molla, però secondo i magistrati non è più serena per giudicare. Doppio gancio, doppia schivata. Non ero lì, non confermo né smentisco risa o urla nella camera di consiglio. Pare abbiano fatto il tiro alla fune, tre sessi uguali ma due contro una. Sola. Déjà-vu. Ha respinto un memoriale, ha schernito Zeman e si è alterata con Nucini, ha annuito alle richieste di falsa testimonianza della difesa. Trama e intrecci sono roba per maniaci del diritto, quel che resta è il finale. La sentenza si rispetta e si appella. Dopo aver letto le motivazioni, equivalente pre-umorale di “innocente fino a condanna definitiva”. Il Procuratore Capo di Napoli manifesta eroicità: una sentenza giusta “nonostante i tentativi di pregiudicare le indagini, prima con la fuga di notizie e poi con una serie di accuse frutto di immaginazione”. La teoria di Lepore sulla fuga di notizie è lo stop alle indagini, per colpa della pubblicazione preventiva e del sentimento popolare. Alzo le mani se questa è verità: significa che l’inchiesta dura fin quando esce o fanno uscire qualcosa per interromperla. La serie di accuse da immaginazione invece è una roba controversa: il rapporto esclusivo con designatori e gli auguri di Natale; il pranzo a casa e quello al ristorante nel giorno di chiusura; carabinieri ignoranti Coppola e Bergamo e diligenti coi baffi; Fabiani complice svizzero e assolto; magliette in dono e un regalino a domicilio; notai e giornalisti conniventi e pilotaggi impossibili; griglia quasi azzeccata e irrefrenabile desiderio di Collina; ventuno telefonate su tante… Mi fermo solo per non abusare di battute. Lepore non può che smentire la sentenza già scritta e, a proposito delle ricusazioni, parla di caso più unico che raro. Caso unico, vero, ma ha scritto lui al Tribunale dicendo di far abbandonare il processo a Casoria. Piuttosto che circolo vizioso, vizio in circolo. Agli altri la sentenza, a lei le motivazioni. Poco importa se illogiche. Il primo tempo è andato, ma sembra essergli garbato più il pre-partita. Giraudo. L’appello reale è il suo, quello di Moggi va a sfiorare la data Maya. Fine o nuovo inizio. ___ (13) La sincerità di Ibra suona come la vera sentenza di ALBERTO ZANELLO Lo sconcerto che ha suscitato la sentenza di Napoli non è ancora stato metabolizzato dai tifosi bianconeri, soprattutto da coloro che hanno seguito da vicino Calciopoli. Pur non potendomi definire un vero e proprio esperto del settore, non riesco a capire come sia stato possibile far finta di tutto ciò che è venuto fuori (intercettazioni in primis) dal 2006 in poi. E non credo di essere l'unico a pensarlo. Quello che tuttavia mi sento di dire è che non bisogna smettere di cercare la verità, nonostante la batosta arrivata nel giudizio di primo grado possa indurre il contrario. Come mai direte? Ecco un buon motivo: quasi come uno scherzo del destino sono state rivelate nella settimana del processo di Napoli alcune anticipazioni della biografia di Zlatan Ibrahimovic a proposito di Calciopoli. "Eravamo semplicemente i migliori e ci dovevano affondare, ecco la verità", ha fatto sapere Zlatan. Parole che sanno di una vera e propria sentenza. Quella vera. Quella che a Napoli è come se ci fosse stata. Si può dire di tutto su Ibra, tranne che non sia sincero, nel bene e nel male. Anche per questo motivo il suo libro ha già scaturito parecchie polemiche. Proprio per questo le sue parole, a maggior ragione da ex interista e da attuale tesserato rossonero, pesano e non poco. Perché non sono costruite a tavolino e perché, nella loro rudezza e nel disagio che arrecano, fanno (intra)vedere la verità che nel processo di Napoli non è ancora emersa. Ecco perché vale ancora la pena continuare a sperare. ___ (14) C'è chi aveva capito tutto intervista di SANDRO DALL'AGNOL a PAOLO BERGAMO (risalente ad aprile 2011) Centocinquantacinque partite arbitrate in serie A dal 1975 al 1988, la qualifica di "internazionale" mantenuta per quasi un decennio, designatore del massimo campionato italiano tra il 1999 e il 2005: una carriera al top infangata in quel fatidico e maledetto luglio, inizio di un incubo dal quale Paolo Bergamo chissà ancora per quanto tempo non potrà risvegliarsi. Ma prima o poi succederà, perché la verità viene sempre a galla, perché chi sa di essere senza macchia si batte affinché ciò avvenga. Con orgoglio e determinazione infiniti. Allora, Bergamo, partiamo dalla strettissima attualità: è stato posticipato al 20 maggio il pronunciamento sulla ricusazione del giudice Casoria, con tanto di udienze da qui a quella data. . . Dire che è una buffonata credo che sia sin troppo poco. . . Una situazione ridicola che non fa altro che aumentare la mortificazione personale di tutti noi. Tra l'altro, evento più unico che raro, è la seconda volta che i PM hanno chiesto la ricusazione: possibile che l'accusa voglia evitare che si arrivi alla sentenza di primo grado? Credo che sia del tutto evidente la volontà dell'accusa di arrivare alla prescrizione. Nel caso che si giungesse alla prescrizione, lei che cosa ha in mente di fare: rinuncerebbe o si accontenterebbe di chiudere il procedimento a suo carico? Non penso minimamente a questa seconda possibilità, io ho tutta l'intenzione e il fortissimo desiderio di essere giudicato. Se arrivasse l'assoluzione, pensa all'eventualità di adire le vie legali per un eventuale risarcimento? Farò certamente tutto quello che sarà nelle mie possibilità: tanto è vero che, con i miei legali, mi sono già mosso contro coloro i quali ritengo i veri responsabili. E le mie istanze sono già state accolte dai tribunali di Milano e Roma, riguardo al processo Telecom-Pirelli e alla fuga di notizie che legò il tenente colonnello Auricchio e l'Espresso. Facciamo qualche passo indietro: l'attuale designatore, Braschi, in alcune intercettazioni era indicato come possibile vostro successore. Una Calciopoli "gattopardesca", cambiare tutto per non cambiare nulla? Ma è l'ottica di partenza a essere sbagliata: che cosa si doveva cambiare? Il settore arbitrale era all'avanguardia e al primo posto per numero di iscritti agli organi mondiali. Siamo stati i primi in assoluto a inserire nel nostro staff un allenatore federale, Roberto Clagluna, per aiutare a comprendere meglio le dinamiche e le tattiche di gioco. Per noi era fondamentale che i direttori di gara fossero preparati anche in materia; cosa tra l'altro ribadita da Collina in un'intervista recente che ha ulteriormente valorizzato le iniziative che ideammo. Poi siamo entrati in una bufera voluta da altri. A proposito di Collina: in alcune intercettazioni (in particolare con Meani) risultava che puntasse al ruolo di designatore, che gli venne poi puntualmente assegnato. Solo una coincidenza? No, no, su questo non ci vedo nulla di male. Anzi, io stesso in prima persona ero convinto che potesse essere il successore più degno e qualificato. E´ il numero uno in Ucraina e in Europa, noi come AIA abbiamo commesso un grave errore a lasciarlo partire; chi dice che l'ha fatto per soldi è totalmente fuori strada: quando Collina ha capito che qualcuno gli remava contro, il Presidente dell'associazione su tutti, ha deciso di andarsene. Parliamo del suo rapporto con il Nucini arbitro: aveva mai pensato che stesse organizzando la sgangherata indagine con Facchetti? Assolutamente no, il suo comportamento è stato disonorevole. Nucini è un disadattato nella vita quotidiana, aveva grossi problemi familiari e l'unico lavoro continuativo che riusciva a mantenere era l'arbitraggio. Si era dimostrato bravissimo in serie C, discreto in serie B, ma nella massima serie non era assolutamente all'altezza. Come lei ha sempre dichiarato, con Facchetti c'erano frequenti e amichevoli telefonate: immaginava che proprio il presidente dell'Inter potesse aprire un'indagine sul suo conto? Indubbiamente è la persona che più mi ha deluso, anzi, forse più di lui è stato Massimo Moratti, con il quale pensavo di avere un rapporto non certo intimo, ma molto cordiale e di stima reciproca. Credevo che lui avesse capito che i mancati successi della sua gestione derivassero da una squadra non certamente al livello di Juventus e Milan. Non mi si venga a dire che l'Inter, quella dei tredici pareggi nel girone d'andata del 2004/05, aveva la medesima organizzazione di gioco delle prime... La famosa scheda svizzera che le diede Moggi: conoscendo i legami Inter-Telecom, aveva anche lo scopo di evitare che qualche orecchio indiscreto scoprisse le comunicazioni che lei intratteneva con la Juve? E per quale motivo la accettò? In quel periodo, Moggi iniziò a intuire qualcosa in particolare perché gli erano saltate improvvisamente alcune trattative di mercato e propose a me e Pairetto la scheda svizzera. La utilizzai per circa una ventina di giorni poi ci rendemmo conto che non ne valeva assolutamente la pena: io avevo già il numero della federazione, quello dell'ufficio, quello personale ed erano tutti più o meno noti. Non avevamo nulla da nascondere: per esempio, in quella che è considerata la "madre di tutte le intercettazioni", quella della famigerata "griglia", dico alla segretaria di Moggi di chiamarmi al numero di casa. Lei rivelò di avere un costante dialogo con tutte le altre società, ma in particolare con Capello che allora allenava la Roma: quali erano i temi delle conversazioni? Nel 2002 ci furono tanti errori arbitrali a svantaggio della Roma e io lo riconobbi anche pubblicamente. Ero personalmente convinto che dipendesse molto, se non tutto, dall'atteggiamento incontenibile e sopra le righe che manteneva Capello in panchina: finiva per aizzare giocatori e tifosi, creando un clima nel quale era quasi impossibile arbitrare. Così decisi di incontrarlo per confessargli le mie impressioni: lui capì, iniziò a moderare i suoi comportamenti e instaurammo un dialogo proficuo grazie al quale, settimana dopo settimana, ci scambiavamo idee e opinioni. Le cose cambiarono rapidamente in meglio. Carraro le chiedeva di "sbagliare, ma non a favore della Juventus": perché tutto questo terrore che gli errori potessero favorire solo la Juve? Me lo disse in una situazione molto particolare: si riferiva a un Roma-Juve nell'anno del passaggio di Emerson-Capello-Zebina a Torino quindi il clima era già bello che surriscaldato. In più Carraro era preoccupato perché si era in prossimità delle elezioni in FIGC e in Lega e la scarsa serenità non poteva essere d'aiuto. Per rispondere alla domanda, comunque, credo che il clima fosse di intolleranza totale: tutto era visto come scandalo e come presunto favore a quella che era nettamente la squadra più forte. Le sue cene con Moggi e Giraudo sono state indicate come "prove" di un rapporto compromettente: dal processo è poi emerso che altrettanti incontri cordiali c'erano con molte società, compreso il Parma di Sacchi. L'ha sorpresa che proprio Sacchi fu successivamente uno dei suoi più grandi accusatori? Sinceramente sì, senza dubbio la persona che più mi ha deluso: diciamo che se la gioca al fotofinish con Facchetti e Moratti. Fu proprio Sacchi a organizzare la cena, il cui unico scopo era conoscere Stefano Tanzi e instaurare un rapporto collaborativo con il Parma. Era un preciso diktat della FIGC e credo di aver fatto bene a mantenere certi rapporti con le società. Con Sacchi avevo interminabili conversazioni telefoniche trattando di tecnica e tattica, ma anche di applicazione del regolamento, settore in cui Arrigo è un vero maniaco. Pensavo davvero di avere un rapporto schietto e che lui mi apprezzasse come lo stimavo io... La Juventus era universalmente considerata la "favorita dagli arbitri" da tutti i media e gli organi di stampa. Un'opera di delegittimazione sistematica che è addirittura diventata probante nelle successive indagini: cosa pensa di quel bombardamento mediatico prima e dopo l'esplosione dello scandalo? Ci ho messo alcuni mesi per rendermi conto della macchinazione che era stata messa in atto: all'inizio, quando scoppiò Farsopoli, io davvero non capii nulla. Mi rinchiusi in silenzio, persi parte delle mie attività. Io sapevo di essermi comportato correttamente, sapevo di non aver fatto qualche "malanno", come diciamo noi toscani. Sono figlio di contadini, sono cresciuto con valori umili e semplici, con la cultura del lavoro e, soprattutto, del non far mai del male agli altri. ___ (15) Il mio Big Luciano contro Ponzio Pilato di PRINCIPIO PAOLINO Nel “mio” Luciano Moggi c’è tutta la fortuna di poterlo raccontare anche grazie a un incontro personale, fugace ma intenso, breve ma eterno. Un incontro informale e per questo ancora più fortunato, perché più vero, più asettico. Per quel classico caffè dopo pranzo che rappresenta uno dei piaceri della vita, figuriamoci se poi lo condividi con un personaggio di questo spessore. Spessore? E sì, perché lo vedi arrivare con una deambulazione che è al tempo stesso flemmatica e decisa, quella di chi sa sempre dove andare. Che magari si abbina in tutto e per tutto a quel modo di esprimersi paragonabile quasi a una cantilena, a una litania, eppure passaresti la giornata ad ascoltarlo. Una stretta di mano anch’essa flemmatica ma decisa e nel mentre qualcuno che gli sussurra: «Questo ragazzo ha scritto un libro sulla Juventus». Da parte sua subito un’occhiata scrutatrice, il solito ghigno inconfondibile e la constatazione che suscita l’ilarità generale: «Sulla Juventus? Ah, brutto affare…». Del resto la sua battaglia personale era appena cominciata. Già, il momento è da immortalare: mi viene automatico smettere i panni di quello che ha scritto un libro sulla Juventus per indossare quelli in cui mi sento più a mio agio, i panni del tifoso. Gli si chiede uno scatto fotografico insieme ed ecco che Luciano Moggi è anche disponibiltà, oltre a carisma, sicurezza e ironia. In quella foto ha sempre il solito ghigno beffardo: in un momento in cui la sua battaglia personale è appena cominciata, sembra voler dire che ne vedremo delle belle. E infatti ne abbiamo viste delle belle, anche se non supportate dalla sentenza più giusta, una sentenza giusta che però avrebbe scatenato un terremoto e nessuno era pronto ad affrontare un simile scenario. Del resto Moggi è esattamente come la Juventus. O lo ami più della tua compagna oppure lo odi più di quel tuo capo incompetente e frustrato. Ed è risaputo che la nostra Italietta si divida perfettamente in due, presentando anche quel lato senza audacia e senza attributi. Il nostro è un paese in cui si fa finta di non vedere fino a che fa comodo, solo che poi a un certo punto si rende necessario rimettere le cose a posto, così si cerca il capro espiatorio e il giustizialismo è l’unica cosa che conta. Dopo quello scatto io e Big Luciano abbiamo appoggiato i gomiti su due tavoli diversi per goderci il nostro caffè dopo pranzo. L’ho osservato a lungo, sorseggiando quel caffè come se fosse una tisana bollente, e mi sono sempre chiesto se in quel momento si stesse semplicemente godendo uno dei piaceri della vita o se stesse in qualche modo preparando la sua battaglia personale. Più in generale, personalmente non ho mai condannato Luciano Moggi. Nemmeno quando l’accostamento tra le sue telefonate scovate e la nostra retrocessione giorno dopo giorno diventava qualcosa di tangibile. Forse perché appartengo a quella generazione che è stata per 9 lunghissimi anni a veder vincere gli altri ma che poi ha visto arrivare quella Triade che ha riportato la Juventus sul tetto del mondo. Forse perché ne ho apprezzato la competenza, tipo l’acquisto a cifre irrisorie di Zidane e la sua cessione al Real Madrid per quasi 150 miliardi delle vecchie lire, o l’arrivo last minute di Ibra, giusto per citare alcuni esempi. Forse perché solo per cause di forza maggiore mi sono perso una partita della Juventus e francamente la mia squadra vinceva perché era nettamente più forte delle altre. Nettamente più forte, quindi non era certo un rigorino dubbio o un’espulsione che ci sta e non ci sta a fare la differenza. Il processo di Napoli, per noi addetti ai lavori-tifosi, si è celebrato in maniera particolare, nel senso che la fede si è mischiata con la ragione e mi rendo conto che così è impossibile essere obiettivi. Eppure, se già prima camminavamo a testa alta, man mano che venivano fuori altri elementi abbiamo iniziato a camminare anche con il petto in fuori. Abbiamo avuto evidentemente la sensazione di poterci riappropriare di qualcosa che ci appartiene, di una verità sacrosanta. Per questo dobbiamo ringraziare anche Nicola Penta, uno che veramente meriterebbe la cinquantunesima stella nel nuovo stadio. Dopo la Figc che più volte ha deciso di non decidere, in sostanza anche a Napoli si è deciso di lasciare tutto così com’è, con Lucianone fuori dal calcio per sempre e con la Juventus che continuerà a trovare un percorso tortuoso sulla strada che porta alla restituzione degli scudetti e a un equo risarcimento per gli ingenti danni subiti. Ma se è per questo anche nel 33 d.C. qualcuno se ne lavò le mani e ora che siamo nel 5 d.C., inteso come dopo Calciopoli, la storia si ripete. Chissà se questa similitudine che vuole essere ironica e non certo blasfema possa mettere sul volto di Luciano Moggi quel suo solito ghigno beffardo. ___ (16) Quel tasto che non si può spegnere di FRANCESCO CECCOTTI “C’era una volta una squadra forte, ma forte davvero, forse troppo forte. Le altre squadre ci provavano, spendevano, alcune compravano televisioni perché si parlasse male della squadra troppo forte, altre dettavano ai giornali colorati i titoli che la mettessero in cattiva luce. Niente, tutto inutile, la squadra troppo forte era troppo forte davvero. Finché un giorno la Juventus …” Con questa descrizione il 1 febbraio 2007 all’apertura del forum ɣecchiaşignora.com presentavamo la sezione dove si sarebbe parlato dei fatti accaduti mesi prima, di quel processo lampo del 2006 che aveva messo in ginocchio la squadra più famosa d’Italia e con lei i suoi milioni di tifosi. Ma né io né gli altri fondatori del sito ci saremmo mai immaginati oggi, prossimi alla data del nostro quinto anno di attività sul web, di essere ancora una volta increduli davanti ad una nuova sentenza che in pratica ricalca le orme di quella precedente, come se nel frattempo non fossero emerse decine di telefonate a mostrare come certi comportamenti non fossero esclusiva di Moggi, e quella presentazione invece di essere preistoria è sempre più attuale. Non lo nascondo, a volte viene la voglia di premere un tasto e cancellare quella sezione perché quello che noi volevamo era poter parlare solo di calcio giocato, perché per noi l’avversario doveva essere solamente il protagonista di un simpatico sfottò, perché il tifoso juventino si sarebbe dovuto dividere al massimo tra il sostenitore e il non di un Krasic qualunque. Ma non possiamo, poichè, per volontà altrui, questa è diventata la normalità quotidiana e ci si trova a parlare più di quello che succede nei tribunali rispetto a quello che succede sul campo. Proprio in questi giorni abbiamo pubblicato sul nostro sito web un’ intervista all’avvocato Andrea Galasso che ci ha spiegato come il suo assistito Antonio Giraudo, in attesa dell’appello di Napoli, sia stato scagionato da uno dei tanti processi farsa che ha colpito la Triade bianconera e i suoi singoli componenti, tutto questo aspettando che uno di loro venga prima o poi accusato anche della morte di Gheddafi perché con la storia della Lafico hai visto mai… In questa normalità il sito ɣecchiaşignora.com, che rappresenta l’unione ad oggi di 76000 tifosi bianconeri sparsi nel mondo, continuerà a far sentire la propria voce sui media dove, fortunatamente, è sempre presente. Perché questa normalità non sarà accettata finché non ci sarà giustizia o almeno finché non ci diranno chiaramente che in Italia se sei juventino ti devi difendere da un processo e non in un processo. A quel punto forse ci convinceremo a fare un passo indietro. ___ (17) Il mio martedì nero in radio di NICOLA DE BONIS La settimana più lunga, la più nervosa, insomma, La Settimana. Ore 20 di un martedì come tanti altri, ma non per me. Da circa due mesi e mezzo sono il padrone di casa di un contenitore giornalistico che ha come suo custode Luciano Moggi. Mi supportano dei colleghi di grande calibro ed esperienza come Padovan, Rossi e Biasin. Ci salutiamo con Luciano nella trasmissione del lunedì antecedente la sentenza, non ne parliamo, si tratta calcio giocato. Al momento dei saluti e ringraziamenti di rito timidamente dico: “Direttore grazie, a domani… Oh Direttore…In bocca al lupo! crepi Nicola, ci sentiamo mercoledì”. Entro in trance umana e professionale, la verità potrebbe finalmente emergere, noi juventini potremmo urlare con passione la nostra libertà, la rabbia di anni difficili potrebbe placarsi. La mattina seguente accendo per caso la radio della mia automobile, non amo ascoltare calcio, sembra strano ma lo detesto. In un paio di emittenti capitoline non si parla d’altro… è il giorno della sentenza per la vicenda Calciopoli. Ognuno fa i suoi pronostici, spengo, non ho voglia, speriamo bene. Arrivo alle 18, vado in onda, tutto scorre liscio, dibattiti, sensazioni, speranze, nulla di più. Dalle 19 alle alle 20 passeggio nervosamente per la redazione, parlo con tutti, chiamo tutti. Becco Moggi, “Direttore come va? Sto teso Direttore. – Stai calmo andrà tutto bene”. Fumo, fumo, fumo, è un attesa che mi scuote. Accendo Rai Sport, provo disgusto nel vedere gli ospiti presenti. Che vergogna, non ho parole, ȼazzo questi ci fregano… Me la prendo ad alta voce con tutti, arriva un collega, mi stuzzica… Rispondo male, malissimo. Entra la Casoria, l’ascolto, non provo reazioni immediate. Rimango di pietra sulla mia sedia, non ho voglia di provare niente, sono spento. Alle 21 in totale confusione vado in onda con “Stile Juventus”, rimango lucido ai massimi livelli anche se ho ancora il viso rosso per lo schiaffo. Ci dormo su, non ho voglia di farmi domande ma già sotto casa le prime battutine al veleno mi attendono vigliacche. “Finalmente l’hanno arrestato a quel mafioso de Moggi e tu che ancora lo difendi!”. Beh, dovevo aspettarlo mi ripeto. Dalle radio romane si sprecano gli applausi a questa giustizia italiana tra le più limpide al mondo. E’ il giorno dei colpevolisti che sventolano fieri la loro bandiera. Qualcuno inizia a chiamare in causa Radio ManàManà e l’opportunità di ospitare Moggi in un contesto nemico come quello capitolino. Rispondo con garbo a chi si sta riempiendo la bocca e durante la diretta delle 18 ascolto con interesse l’opinione del mio editore che ha voluto fortemente l’ex Direttore Generale della Juventus sulle sue frequenze. E’ un Bandecchi-show che contesta la sentenza e si mostra orgoglioso di avere Moggi nella sua radio. Sto con lui, ascolto l’opinione di Padovan, De Nicola, Biasin e Rossi: lucidità e saggezza prevalgono anche sull’emotività. Arrivano le 19, mi tolgo le cuffie, sono stanco ma soddisfatto ed orgoglioso di come ho saputo guidare la macchina fino al garage. Dentro questo garage ora lascio la mia automobile con all’interno una sentenza già scritta ma non definitiva. Per qualche mese non metterò più piede in quel box, la mia automobile ha bisogno di raffreddarsi. Ma presto ci tornerò e riaccenderò quel motore, vecchio forse, ma non morto e con ancora tanta voglia di far sentire il suo rombo, un rombo di nome giustizia. Ah, dimenticavo… il mio box è il numero 29. ___ (18) Il giorno dei giorni in Ģazzetta… di MASSIMO ZAMPINI Per la terza volta negli ultimi anni, Massimo Zampini è riuscito a introdursi nella redazione della Ģazzetta, e qui riporta come sono stati vissuti lì dentro i giorni caldi della sentenza di Napoli. La prima volta ci aveva raccontato come veniva preparata la campagna del 2006 (campagna “mandiamo la Juve in B”), la seconda ci ha illustrato come la rosea ha cercato di convincere i lettori interisti – un buon 75% del totale – ad accettare Ranieri sulla panchina della squadra più onesta del mondo (“Moggi e la Cupola gli hanno ostacolato la carriera, altrimenti avrebbe vinto tutto”). Vediamo questa volta come è andata… 8 novembre, mattina Il Direttore Monti chiama tutti a raccolta. C’è una certa tensione in redazione, lui prende la parola: “allora ragazzi, come tutti sapete oggi c’è un evento importantissimo, seguitelo con attenzione e domani apriremo con quello”. Ruggiero Palombo lo interrompe preoccupato: “Direttore, scusami ma mi sembra una strategia quantomeno rischiosa, se le cose non vanno come ci auguriamo forse conviene parlare di altri argom…” Il Direttore lo blocca, scocciato: “Ruggiero, ma cosa hai capito? Parlo di Italia-Argentina della Coppa del Mondo femminile di volley, perché dovrebbe andare male? L’Italia sta giocando benissimo,le ragazze sono in gran forma”. Condò interviene con voce sommessa: “Scusate, ma credo che oggi ci sia un qualcosa di più importante, per l’Italia sportiva, non dovremmo forse parlare anche di quanto accadrà a….”. Monti lo blocca, alza la voce: “Hai ragione, Condò, c’è Fognini al Masters di Parigi Bercy, gioca contro il croato Dodig. Incrociamo le dita per il nostro tennista! E ora forza, tutti ai vostri posti”. Condò ci riprova, ricordando che “oggi è una giornata importante anche per qualcosa che accadrà fuori dai campi di gioco, non possiamo evitare di parlarne”. Palombo prende la palla al balzo, guarda il collega soddisfatto e con piglio deciso lo asseconda: “Paolo ha ragione, oggi potrebbe cadere il governo Berlusconi, ne parlerà nel suo spazio apposito Giorgio Dell’Arti, lui si occupa di politica”. Condò, con voce sempre più flebile: “intendevo la sentenza di Nap…”. Monti scoppia a ridere: “ahaha Paolo mi fai morire! Ma scusa, siamo un giornale sportivo e ci mettiamo a parlare di quanto accade in un processo penale che nulla a che vedere con il giudizio sportivo? E perché mai? Non l’abbiamo proprio seguito, cominciamo a occuparcene oggi?”. Condò fa notare sommessamente che però quando Manfredi Martino aveva parlato dei sorteggi il giornale aveva titolato su calciopoli, con un epico “Ecco come truccavamo i sorteggi”. Monti lo interrompe con aria paterna, gli ricorda qual è il compito dei giornalisti (“condizionare, indirizzare l’opinione pubblica”) e invita tutti a tornare ai propri posti. Forza Italvolley, forza Fognini. 8 novembre, ore 14.00 Esce l’agenzia, alle 20 ci sarà la sentenza. L’aria in redazione si fa tesa. Monti è nervoso, invita tutti a seguire con attenzione il duro match di Fognini tralasciando le notizie secondarie provenienti da inutili aule giudiziarie. Radio Radio chiama il prode Palombo per il consueto collegamento giornaliero, si apre con Calciopoli. In collegamento c’è Antonello Angelini, in collegamento da Napoli. Ruggiero fa presente alla redazione della radio che non vuole parlare con quel tipo, che in fondo non è nessuno, mentre lui è il vicedirettore della Ģazzetta. Allora Antonello viene liquidato in poco tempo, e ora ecco, tocca a Ruggiero: “ve lo ripeto per l’ultima volta, e vi prego di non interrompermi. Franco, per piacere, voglio concludere il mio pensiero su questo argomento, e se possibile non tornarci più: non sono un penalista, mi occupo di sport. Le sentenze sportive per me chiudono il discorso, le novità emerse in questi anni non cambiano niente. Semmai dimostrano che avrebbero dovuto pagare anche altri, ma l’esito di questa sera non mi interessa affatto. E ora vi prego di non interpellarmi ulteriormente sull’argomento, se non vi dispiace, perché non ho alcun interesse nel discuterne. Scusami, Franco, ma per me il discorso è chiuso”. Basta, lasciatemi in pace, fatemi seguire lo sport, io faccio quello nella vita. Che diamine, Fognini sta soffrendo. 8 novembre, ore 20.10 Boato in redazione. Penso subito a un ace di Fognini, invece sento urla scomposte: “Condannati, associazione a delinquere, Narducci uno di noi!!!” Monti esulta,c’è un abbraccio commosso tra Cecere e Palombo, vengono stappate bottiglie di champagne. Il direttore sale su una sedia, prende la parola: “Cari redattori, la giustizia ha trionfato!!! La sentenza penale che tanto aspettavamo è arrivata!”. Grida, boati, si abbracciano tutti. Solo Condò prova a capirci qualcosa: “Ma come, sono 3 anni che diciamo che non ci interessa niente, perché esultiamo così? E poi l’Italvolley ha vinto, ma Fognini ha perso contro il croato. Cosa abbiamo tanto da esultare?”. Le grida dei colleghi sommergono le sue osservazioni, è il momento di preparare il giornale del giorno successivo. Galdi chiama Narducci (gli costa poco, hanno lo “You and me”) e Lepore, una bella intervista a tutti gli anti Moggi di questi anni. Forse si può quasi tornare a chiamarla Moggiopoli, come ai bei tempi, come se nulla fosse accaduto. Ma per ora accontentiamoci di un titolo a tutta pagine: COLPEVOLI! E fu così che Moggi tornò in prima pagina sulla Ģazzetta, dopo tanto tempo. Che la vittoria dell’Italia di pallavolo femminile e la sconfitta di Fognini finirono nelle brevissime. Che la coerenza e la buona fede, ancora una volta, non trovarono posto neanche in un trafiletto invisibile. ___ (19) Vipere a latere? di ERMENEGILDO LOFFREDO Sostanzialmente accolte tutte le richieste dell'accusa. Questo racconta il dispositivo della sentenza calciopoli. Potremmo dire che il collegio giudicante così ha deciso e l'udienza è tolta. Già, il collegio giudicante, composto da Maria Pia Gualtieri, Francesca Pandolfi e presieduto da Teresa Casoria. Un collegio che durante il procedimento disciplinare davanti al CSM a carico della presidente Casoria s'è rivelato tutt'altro che unito e forse anche litigioso. Le due giudici a latere lamentavano i toni poco ortodossi e il fare prevaricatorio della presidente. Presidente che di rimando ha descritto le due colleghe come "furbette", in cerca di facili punteggi per la carriera e per giunta anche poco capaci di stendere le motivazioni di una sentenza, soprattutto se impegnativa. In quel procedimento disciplinare davanti al CSM apprendemmo anche delle enormi pressioni che gravitavano su Teresa Casoria e delle invidie di altri giudici desiderosi di celebrare il processo a Moggi. "La vispa Teresa" appariva come una persona dal carattere forte e invisa a più d'uno nel tribunale di Napoli. Di sicuro per la sua dialettica e il proprio modo di fare è da annoverare tra i protagonisti del processo, forse anche più di Moggi. A tal punto protagonista che potrebbe aver suscitato le invidie delle due colleghe del collegio. Un presidente indesiderato anche dai pm che l'hanno ricusata per ben due volte, la prima perché avrebbe anticipato un verdetto che Narducci e Capuano ritenevano sfavorevole, la seconda perché a causa del procedimento disciplinare non avrebbe avuto la serenità di giudicare nel processo. Da notare che la ricusazione dei pm è stata proposta solo verso il presidente e non contro l'intero terzetto delle giudici. Questo collegio giudicante pare essersi diviso fino all'ultimo, raccontano infatti che le urla della camera di consiglio si sentivano chiaramente a distanza. Si vocifera anche che la decisione non sia stata unanime. Voci di corridoio (che valgono quel che valgono) danno la presidente schierata per l'assoluzione e le altre due giudici “convinte” della colpevolezza degli imputati. Non saprei dire se questa divisione sia veritiera e rispondente alla realtà della camera di consiglio. Volendo però prendere per buono il risultato di due giudici a una per le condanne, non posso non chiedermi chi delle tre sia la colomba. E allora mi chiedo se una giudice ricusata più volte perché temuta per un verdetto di assoluzione sia poi uno dei due falchi. Non posso non chiedermi se una giudice che esprime premura per la condizione di detenzione a cui sono assoggettati degli imputati possa infliggere in modo così inverosimile cinque anni e quattro mesi in un processo che ritiene “meno serio”. Mi chiedo se quel giudice che evidenzia l'auto-squalificazione dei testi portati dall'accusa sia incline alla pena. Mi appare allora plausibile che i falchi fossero seduti a latere in questo collegio dei veleni, in cui due componenti si sono volute mettere di traverso forse solo per spirito di contrapposizione al presidente. Un ultimo sfregio ad una collega mai amata, un modo per macchiare una carriera che vanta processi di ben altra portata. Processi più seri, tanto per capirci, come quello in cui ha rappresentato la pubblica accusa contro Raffaele Cutolo. Magari Maria Pia e Francesca se la sono presa molto per essere state additate come incapaci di redigere le motivazioni di una sentenza, a differenza di chi non ha mai visto ribaltato in appello una decisione tanto le motivazioni erano convincenti. Per la serie: “questo è il verdetto, adesso scrivi la motivazione”, ben sapendo che dovrà per forza di cose essere illogica e del tutto avulsa dal dibattimento. In fondo questa passerà come la sentenza di Teresa Casoria, che "obtorto collo" prima delle altre se ne dovrà prendere la maternità. Se così stessero realmente le cose dovremmo solo sperare che le nostre sorti giudiziarie non dipenderanno mai da giudici che calpestano il diritto per mere dispute interne. Nel caso di specie mi piacerebbe sapere, visto lo svolgimento del processo e le risultanze processuali, cosa ne pensa Alemi, il presidente del tribunale di Napoli, dei suoi giudici. Ritiene che sia questa una sentenza corretta e rispettosa dei fatti e del diritto? ___ (20) Juve assolta ed esultante, una vittoria di Pirro di IVAN SCALISE “Gli eserciti si separarono; e, da quel che si dice, Pirro rispose a uno che gli esternava la gioia per la vittoria che “un’altra vittoria così e si sarebbe rovinato”. Questo perché aveva perso gran parte delle forze che aveva portato con sé, quasi tutti i suoi migliori amici e i suoi principali comandanti; non c’erano altri che potessero essere arruolati, e i confederati italici non collaboravano. Dall’altra parte, come una fontana che scorresse fuori dalla città, il campo romano veniva riempito rapidamente e a completezza di uomini freschi, per niente abbattuti dalle perdite sostenute, ma dalla loro stessa rabbia capaci di raccogliere nuove forze, e nuova risolutezza per continuare la guerra”. È così che Plutarco ci tramanda la famosa “vittoria di Pirro” che tante volte nominiamo e abbiamo sentito nominare per descrivere quelle battaglie da cui il vincitore esce peggio dello sconfitto. Battaglie vinte inutilmente. Quella a cui abbiamo assistito martedì 8 novembre è una classica vittoria di Pirro. La società, grazie al lavoro svolto dai legali di Luciano Moggi, arringhe finali comprese, è riuscita a rinviare la minaccia dei risarcimenti mentre l’ex direttore generale e amministratore incassava una condanna dietro l’altra. Ha esultato come un praticante il legale che di quel processo è stato per anni poco più di uno spettatore. Per il troppo entusiamo nel riferire a Pirro cos’era successo, ha rischiato il caldo abbraccio, fuori dall’aula, di quei tifosi che eppure avrebbe dovuto rappresentare e rendere orgogliosi. Proprio come duemila anni fa, gli amici e i comandanti erano perduti, gli eserciti divisi. Mentre, dall’altra parte, i comandanti nemici ritrovavano la forza delle tesi iniziali e guadagnavano ampio spazio su televisioni e giornali. Si è detto e si dirà ancora che la società è stata necessariamente cinica. Che cinico è stato lo spettatore nella sua esultanza. Che cinico è il comunicato con cui Moggi viene lasciato solo alla sua condanna. Come se il cinismo possa essere confuso con l’idiozia. La storia ha visto naufragare sodalizi ben più forti e duraturi di quello in essere tra la Juventus e Moggi. Può succedere di non andare più d’accordo, di avere interessi diversi, di separare le proprie strade. Non c’è nulla di male Pessimo e inutile invece è il tentativo di cancellare pubblicamente un dirigente che ha contribuito a rendere forte la Juventus e non solo per quegli ultimi due scudetti contestati. Tutte le società devono fare i conti con quella che è la reputazione, qualcosa che non costruisci in un giorno ma che in un giorno puoi distruggere. Dal 2006 ci sono una famiglia e un ufficio legale che, a fronte dei numerosi patteggiamenti e di altri comportamenti discutibili, stanno distruggendo una reputazione costruita in oltre un secolo di storia. Anche questi sono danni e chissà che non s’aggiungano alle inevitabili cause civili che pioveranno sulla società se il reietto Moggi e il trasparente Giraudo non riusciranno a dimostrare la propria innocenza entro gli ultimi due gradi di giudizio. Poiché quell’esclusione in sede penale non esclude richieste future in altra sede con l’aggiunta di nuove parti lese. Fa specie che non abbia subito proferito parola in merito Andrea Agnelli. Uno che, prima di ringraziare John Elkann per la sua – ben nascosta – determinazione, dovrebbe ringraziare lo stesso Luciano Moggi che ai tifosi juventini l’ha raccontato e raccomandato. Alla fine un altro degli amministratori assunti dal padre è stato condannato per associazione a delinquere. Umberto Agnelli, per la procura e per i giudici napoletani, assumeva dei delinquenti della peggior specie, di quelli che barano nelle competizioni sportive. E lo staff legale del figlio esulta in aula nell’apprendere la notizia.
  3. Calcio gp IL GIORNALE DELLA DEMOCRAZIA JUVENTINA 14 novembre 2011 Speciale Calciopoli 29 AUTORI PER NON DIMENTICARE 29 VOLTE SCUDETTO! ___ (01) Meritiamo la verità di CLAUDIO ZULIANI Claudio Zuliani è il volto, la voce e il cuore della Juve “nazionalpopolare”. Il più amato perché il più vicino al modo di essere quotidiano di ognuno di noi bianconeri. Il più naturale, ovvero il più genuino. E proprio così, semplice e diretto come soltanto lui sa essere, il telecronista-opinionista analizza con noi e per noi il momento Juve. E, soprattutto, il momento Farsopoli: a tal proposito ci sono il vissuto personale del cronista e le domande (neppure troppo retoriche) del caso… Claudio, grazie. Partiamo con un pensiero generale circa questo inizio di campionato della Juventus… dove può veramente arrivare questa squadra? “La Juve è partita con la quarta inserita, grazie al faticoso lavoro estivo imposto da Conte e al vantaggio di poter preparare in settimana le partite. Ci sono situazioni di gioco in divenire che però già indicano la via di una squadra ritrovata in personalità e idee. Dopo un avvio troppo offensivo, l’allenatore ha aggiustato il tiro trovando l’equilibrio ideale con Chiellini a sinistra, i tre centrocampisti e la punta fissa coadiuvata da Vucinic e Pepe esterni. Dove possa arrivare non lo so: sicuramente tra le prime tre se tutto funziona per il verso giusto e non subentrano contrattempi”. Senti, ma cosa manca a Vucinic per diventare un top-player? “Mirko è un attaccante moderno che possiede tecnica, estro e fisico. Non è mai stato un grande realizzatore a parte la storica stagione di Lecce e in questo, se vuole fare la punta pura, deve migliorare. Ha bisogno di fiducia e continuità. Per diventare un top deve concentrarsi per tutti i 90 minuti e non sparire dal campo per lunghi tratti della partita”. Confessa: cos’hai pensato (e non detto) quando Rizzoli non concedeva il rigore su Marchisio in Inter-Juventus? “Che siamo diversi dagli altri e non ci catapultiamo in campo con tutta la panchina a protestare”. Una tua opinione sulla situazione Quagliarella: aspettarlo, darlo fuori… E una tua sensazione a livello emotivo: come evolverà questa situazione? “Fabio è reduce dal primo grave infortunio della carriera ed è umano che nella testa passino molti pensieri negativi quando vedi avvicinarsi l’avversario. Lo vedo ancora titubante in alcune fasi dell’allenamento, quasi alla ricerca del numero per dimostrare a se stesso di esserci ancora. Io porterei pazienza, uno come Quagliarella nel gioco di questa Juve ci starebbe a meraviglia”. Discorso a parte. Gradiremmo un tuo monologo post-sentenza di Napoli. “Una mattina del 2006 mi son svegliato e ho sfogliato i giornali. Sono sobbalzato dalla sedia perché erano pieni di intercettazioni che riguardavano Luciano Moggi. Non ci credo, mi son detto. Poi con calma, analizzando le cose con il passare dei giorni, ho iniziato ad approfondire e a capire. Perché ci fanno i libri e li vendono? Perché i titoli sono di colpevolezza ancor prima che inizi un processo? Passata la fase della digestione mi sono trovato a seguire la Juventus sui campi della serie B. Gli allenatori avversari non preparavano la partita, ma la conferenza stampa in cui davano la gara per persa, i giocatori cercavano Del Piero per avere la maglia, le televisioni creavano appuntamenti dedicati al campionato cadetto, gli stadi erano strapieni, a Crotone fingevano visite ospedaliere per vedere i bianconeri dalla terrazza della clinica, a Frosinone si appostavano sui balconi, a Treviso girava allo stadio una pornostar per farsi pubblicità, a Rimini non riuscivano a far sedere tutti i giornalisti al seguito. La passione per la Juve era travolgente e degna di studio approfondito e allora sotto con la lettura delle carte per cercare la verità che questi tifosi meritano. Più leggevo le telefonate a mente fredda e più mi domandavo: ma dove sta la Cupola? Al processo di Napoli (quello vero) i testimoni chiamati dall’accusa hanno smontato se stessi, i teoremi sulle ammonizioni mirate sono stati sbugiardati dalla visione dei tabellini, gli eventuali sodali stanno scomparendo via via con le assoluzioni, un Tribunale della Repubblica Italiana ha archiviato il fatto Paparesta perché “non sussiste”, un altro ha dichiarato i sorteggi regolari. Nonostante tutto ciò è arrivata la condanna in primo grado che pare nemmeno aver considerato le sim straniere. La Juventus è stata assolta… Non ci capisco più niente o, forse, ho capito anche troppo e me lo tengo per me: non rimane che attendere l’appello con fiducia!”. ___ (02) La regolarità del processo secondo Lepore di NICOL POZZI Per chi non lo sapesse, Giandomenico Lepore è il procuratore capo di Napoli. Non un signor nessuno, quindi, quanto a “peso” nelle cose della giustizia del capoluogo campano. Un professionista sicuramente in grado di svolgere al meglio il proprio delicato incarico, sicuramente, ma che nell’immediato post sentenza si è lasciato andare ad una dichiarazione, sulla scia delle tante interviste ai protagonisti della Pubblica Accusa (Capuano, Auricchio, Narducci), che lascia perplessi e basiti. Di più. Lascia il tarlo nella mente di chi prova a interpretare le parole di Lepore. Le sue parole: “mai come questa volta non è stata una sentenza già scritta: tra noi ed i collegi ci sono state delle incomprensioni, tant’è vero che siamo stati costretti a due istanze di ricusazione per ristabilire la regolarità del processo”. Ci faccia capire, Lepore: dove era minata la regolarità del processo? Ed in che modo essa è stata ristabilita, dal momento che le due istanze sono cadute nel vuoto (addirittura lo stesso procuratore generale di corte d’appello chiese che l’istanza non venisse accolta) ? Il politically correct non fa per noi, quindi condividiamo con i nostri lettori il tarlo del dubbio: l’istanza di ricusazione, fondata su un procedimento disciplinare a carico del giudice Teresa Casoria, mise in luce ed acuì una frattura all’interno del collegio giudicante, in cui emerse chiaramente la distonia tra il presidente del collegio – la Casoria, appunto – e le due giudici a latere – Gualtieri e Pandolfi. Eppure, secondo la procura di Napoli ( l’istanza fu proposta da Narducci ma firmata da Lepore ) a dover essere ricusata era solo il presidente del collegio giudicante: in sintesi, l‘irregolarità era il giudice Casoria, e non l’intero terzetto. Se questo abbia comportato degli strascichi in camera di consiglio, non è dato saperlo. L’imputato Scardina, poi assolto, ha riferito di agitazione e alterchi provenienti dalle sacre mura in cui i giudici formavano il proprio convincimento, proprio al termine della camera di consiglio. Il che farebbe presumere che la decisione sia stata adottata a maggioranza, ma senza unanimità. Ciò che dovrebbe trasparire anche dalla lettura delle motivazioni. Resta intatto, in ogni caso, il dubbio relativo alle dichiarazioni di Lepore, che forse sarà così cortese da chiarire la portata delle sue parole. Dov’era e chi era l’irregolarità del processo? E soprattutto: come è stata ristabilita questa regolarità? ___ (03) La difesa di Moggi deve porsi qualche domanda di GIANCARLO PADOVAN Siccome di Calciopoli e del processo di Napoli non si può non parlare, comincio con il fare tre affermazioni ipotetiche da cui, secondo me, non si può prescindere, ma casomai discendere. Primo: Moggi è colpevole. Secondo: la difesa di Moggi ha sbagliato strategia. Terzo: la sentenza è di tipo politico. Delle tre solo una teoria può stare in piedi, essendo evidentemente confliggenti. Se l’imputato è colpevole non c’è dubbio che la sentenza sia dura, ma giusta. Se, invece, l’imputato è innocente non c’è dubbio che la difesa abbia fatto male il lavoro della difesa o, come minimo, abbia sottovalutato alcuni rilievi sopravvalutandone altri. Se, invece, l’esito fosse di tipo politico non ci sarebbe né difesa, né argomenti. Io – lo dico subito – non credo alle sentenze preconfezionate, né a quelle ideologiche. Meno che mai penso che sia questo il caso. Siccome, poi, sono convinto che Moggi non sia stato il protagonista di nessuna organizzazione criminale, non resta che convergere sulle responsabilità del collegio difensivo. L’impianto accusatorio ha retto, dunque gli avvocati difensori non sono riusciti né ad abbatterlo, né a scalfirlo. Strano perché il materiale c’era. Innanzitutto non era giusto puntare sul “così fan tutti”, dunque sul fatto che non esisteva un sistema-Moggi ma un sistema-condiviso. Casomai bisognava dimostrare (ripeto: dimostrare) che quanto fatto da Moggi non rappresentava in alcun modo una fattispecie criminosa. Non è stato fatto, e dovrà esserlo, nel processo d’appello. Che, però, arriverà fra un paio d’anni. Troppi per non pensare che la gente si stufi. In ogni caso è stata buttata una grandissima occasione: quella di smentire la giustizia sportiva e, soprattutto, di riaprire quel processo. Restano, e resteranno per sempre, i dubbi che hanno portato a queste conclusioni. Prendo a prestito una parte dell’illuminante parere di Roberto Beccantini su Il Fatto Quotidiano di giovedì 10 novembre a proposito di una sfilza di “misteri”: l’esclusione, scandalosa, di Franco Carraro, all’epoca dei fatti gestore distratto, molto distratto, di tutto il circo; la celeberrima uscita di Giuseppe Narducci sulle telefonate di Massimo Moratti e Giacinto Facchetti (“piaccia o non piaccia non ce ne sono”); le bobine e i baffi trascurati o scartati dal tenente colonnello Auricchio; lo spionaggio illegale di Telecom; l’atto d’accusa (postumo) del superprocuratore Palazzi contro l’Inter, il cui percorso netto a livello disciplinare non può non sollevare qualche sorriso, dal momento che, senza prescrizione, dentro al calderone (sportivo, almeno) ci sarebbe finita anche lei: altro che scudetto a tavolino”. Il pezzo di Beccantini – oltre a stabilire che solo l’onestà intellettuale di certi giornalisti non si prescrive, altro che l’etica di abetiana memoria – spiega anche che testate come Il Fatto, con cui anch’io collaboro, sono tutt’altro che insensibili a posizioni difformi da quelle dominanti. In questo carosello delle contraddizioni si inserisce, a buon diritto, la posizione della società Juventus che non solo reclama l’innocenza per non essere stata condannata ai risarcimenti, ma riproduce, per la seconda volta in cinque anni, lo strappo con la dirigenza precedente. Ma se, all’indomani dello scandalo, fu John Elkann, con la fastidiosa arroganza del padroncino acido, a prendere le distanze da Moggi e Giraudo, questa volta è stato Andrea Agnelli, il figlio di Umberto, a rivendicare l’estraneità della Juve dall’attività del suo management. Atteggiamento per nulla giustificabile. Sia perché per nulla credibile. Sia perché il principio della responsabilità oggettiva non potrebbe essere meglio rappresentato da un amministratore delegato (Giraudo) e da un direttore generale (Moggi). Non c’è fine che giustifichi i mezzi. Se Agnelli pensa di riavere i due scudetti fingendo di non conoscere chi guidava la società, non solo si sbaglia, ma rischia di alienarsi l’empatia e il sostegno sia dei moggiani, sia -per le ragioni opposte – degli anti-moggiani. Un’operazione di perfetto, quasi irripetibile, autolesionismo. ___ (04) Gli Sciacalli sono tornati, ma noi ci siamo ancora… di ANTONELLO ANGELINI Era da molto tempo che provavamo a invitare tanti giornalisti a un confronto in radio o in tv, ma non siamo quasi mai riusciti a confrontarci con i veri colpevolisti. Una volta il conduttore interista del TG3 aveva il telefono con la batteria quasi finita, il giornalista della giornalaccio rosa non voleva mai incontrarci, quell’altro di Repubblica ormai si occupava di sport differenti, quello del Corriere dello Sport non poteva più intervenire in nessuna radio e cosi via… Gli ex PM rilasciavano interviste solo alla giornalaccio rosa organo amico, insomma i grandi accusatori non si confrontavano. In questi giorni invece il procuratore capo della Repubblica di Napoli e l’assessore (ex PM) nonché il capo di gabinetto del sindaco di Napoli ex colonnello capo delle indagini, hanno sostenuto che era stata montata una propaganda mediatica pazzesca per screditare le tesi accusatorie. Allora assieme a Massimo l’altro giorno in radio facevamo il gioco delle squadre invertite (squadre mediatiche si intende). Allora a difendere Moggi, Bergamo e De Santis mettiamo il Corriere dello Sport, La giornalaccio rosa, la RAI, Mediaset, LA 7 con le docufiction, Corsera, Repubblica, Mediaset Premium e SKY che fa la santificazione di Facchetti e del figlio più o meno tutte le settimane, 7Gold e vari altri. Invece a difendere le tesi della Procura e quindi anti-Moggiane la squadra si schiera con 2 siti come Giulemanidallajuve e Ju29ro, Angelini & Zampini, Tuttosport, CalcioGP, il Blog dell’Uccellino e Oliviero Beha solo in un secondo tempo, quindi Franco Melli e Nicola De Bonis. Ricordo che tanti anni fa il presidente dell’Ascoli, Costantino Rozzi, ogni volta che giocava con la Juve, il Milan o l’Inter diceva: “Dividiamo gli incassi e poi si vede chi vince lo scudetto…”. Avete capito credo. Se non altro vuol dire che anche se eravamo piccoli, pochi, fuori dal coro e senza mezzi, ne abbiamo fatto di casino… grazie Lepore allora, grazie Narducci e Auricchio del complimento. Vi spiego una cosa sola che forse non avete ancora capito: siamo riusciti a fare tanto rumore perché ci credevamo, perché abbiamo studiato e seguito i processi e le udienze, letto documenti e informative, e nessuna sentenza ci farà cambiare idea. Erano i vostri che non entravano nel cuore della gente perché in quel che scrivevano o dicevano non ci credevano manco loro. Se la facevano sotto nelle settimane prima della sentenza perché se la giudice Casoria avesse emesso la sentenza che voleva (io la sento così, sarò presuntuoso nel voler interpretare il Casoria-pensiero, scusatemi), avreste perso una guerra impossibile da perdere; sarebbe stato come se gli USA avessero perso di nuovo la Guerra in Vietnam. Un piccolo popolo armato di tanta buona volontà contro una superpotenza con tutti i poteri forti schierati. Avete rischiato di perdere… noi abbiamo sperato di vincere, già questa è una piccola rivincita. Internet contro tv e giornali, giornalisti improvvisati contro tutti quelli della Unione Stampa Sportiva, quelli col tesserino da professionista contro quelli al massimo pubblicisti come me o che manco hanno mai pensato di prenderlo. Avvocati, bancari, commercialisti, medici, impiegati si sono divertiti a sbobinare telefonate, andare in tv e radio, organizzare su Facebook, su Skype e Twitter la controinformazione. Mi sa tanto che ci abbiamo preso gusto e che quindi continueremo. ___ (05) La Juve non è una persona. Oggi c'è chi ha un'occasione di LUCA MOMBLANO Adesso, inutile nasconderselo, ricucire lo strappo con la storia sarà molto più complicato. E´ un po´ come quando una ferita si rimargina e, a un passo dalla guarigione, arriva la botta che fa ritornare all'ora zero il percorso del dolore: non si fa un torto a Luciano Moggi ricordando che la Juventus, come entità, è qualcosa che viene ancora prima di lui. A prescindere da chi l'abbia guidata (male e, su alcuni fronti strategici, forse in malafede), da chi l'abbia schernita e messa all'angolo. La Vecchia Signora viene prima, anche quando dibattiamo dell'assetto societario del presente e ci interroghiamo sullo status finanziario del futuro prossimo venturo: il destino del club, principalmente sportivo, viene prima. Per questo, quando mi è capitato di criticare benevolmente chi ha alimentato l'equazione Juve=Moggi ergo Moggi=Juve l'ho fatto (nel mio piccolo) sempre con quella visuale tutta piemontese di chi sente che sia più redditizio far la parte del disincantato. Non è convenienza, è piuttosto convinzione. Convinzione addirittura che, per quanto profondamente attratto e tentato da un'altra ancora più potente espressione emotivo/matematica (Gianni Agnelli=Juve quindi Juve=Gianni Agnelli), non esiste uomo sulla terra che sia indissolubilmente la società che ha fatto la storia del calcio italiano più di ogni altra. Eppure, il calcio è fatto di uomini. Coloro che vestono il bianconero oggi hanno un'occasione storica: fare trenta. Sul trentuno nell'appello di Napoli, a questo punto, ci andrei molto ma molto cauto. ___ (06) Brutta cosa, i processi di ANTONIO CORSA Il tribunale di Napoli è immenso. Avete presente un aereoporto? Mancano solo gli aerei. Per uno strano scherzo del destino, si trova in Via Biscardi. Non Aldo, ma Serafino. Per raggiungere la famigerata aula 216 si prende l’ascensore, poi si attraversa un lungo tratto a piedi e infine si sale ancora, un altro piano più in alto. C’è un corridoio, abbastanza grande. Da fuori l’aula, affacciandosi, si possono vedere man mano gli imputati che si avvicinano con i propri avvocati. E’ stato così pure martedì scorso. Ero lì. Ho visto prima sfilare la Morescanti col marito, Fabiani. Un po’ più tondetta, più mamma. Sempre bella. Discuteva con la Fazi. La Fazi è una di quelle che quando ci pensi ti aspetti di vedere… chessò.. una strega. La Fazi! La grande manovratrice occulta! Una che comandava il calcio italiano, che teneva a bacchetta i designatori, e persino Moggi! Dal vivo è una donna dolce. Ad un certo punto, prima della sentenza, è uscita per fumare. Si avvicina e con lo sguardo fa capire che c’è tensione. Rispondo sospirando. Non ci conoscevamo, mai visti prima. Eppure c’era tanta umanità, quella di una persona che è stata dipinta per quello che non è. Verrà assolta. Mi ha fatto piacere. Parlava con la Morescanti. Che poi.. parlava? Praticamente in due avranno detto più parole di quante ne pronuncio io in un anno. Chissà che si dicevano. Non parlavano del processo. Non lo faceva nessuno. Era un modo per non pensarci, farsi coraggio. A Fabiani ho visto fare un sorriso, appena arrivato. Un evento, mi dicono i sempre presenti. Bergamo era teso, come sempre. E’ uno di quelli che ha vissuto malissimo il processo, sin dal primo momento. “Me l’aspettavo”, ha detto appena uscito, deluso. Gli credo. C’aveva proprio la faccia di chi non aveva fiducia alcuna. De Santis è arrivato come al solito sorridente. Saluta sempre tutti i tifosi e i presenti, parla con loro, gentilissimo con tutti. Non è arroganza, né lo fa per qualche ragione. E’ così. Ti vede la prima volta e ti tratta come se ti conoscesse. Chi l’ha accusato di aver avuto un rapporto d’amicizia per aver dato del tu non lo conosce. Con me l’ha fatto prima ancora di aprire bocca. E’ entrato in aula, ha salutato. Poi man mano che passavano i minuti non riusciva a restare fermo, e si è messo a passeggiare nel corridoio col suo avvocato, Gallinelli. Niente da fare: erano tutti tesi, persino lui. Ambrosino era fuori la porta, che commentava le dichiarazioni di Abete, da me lette pochi istanti prima. Bertini? Non ne parliamo.. Bertini non resiste più di 10 minuti in aula, tra una sigaretta e l’altra. Iniziasse un discorso, si perderebbe dopo 10 secondi. Bertini fa impressione, davvero. Poveraccio. Come Scardina, che se guarda il gabbio gli gira la testa e trema. Altro che cupolari e manovratori! Moggi è stato l’ultimo ad arrivare, puntuale come un orologio svizzero (per restare in tema). Aveva detto alle 19.30, e alle 19. 30 era lì, con l’avv. Prioreschi e Ugolini al seguito. Prima di entrare una stretta di mano. Ferma, ma con un sorrisino. Teso pure lui, anche se mascherato bene. “Come va?”. Lui a me. Come vuoi che vada, ero più consumato di lui, dall’attesa. Appena saputo che alle 20 ci sarebbe stata la sentenza, sono tornato a casa da lavoro, neanche ho mangiato, panino al volo in autogrill e viaggio per Napoli, per esserci. A prescindere dal risultato, non ho rimpianti. Sono salito sul carro dei perdenti. Che è più onorevole di quello dei vincitori. Perdenti, già, perché con qualche minuto di ritardo la Casoria, accompagnata dalle due a latere, ha letto il dispositivo. Ero in piedi su una sedia, in fondo. In diretta radio. Capuano era sorridente già da 10 minuti. E’ una sfilza di “colpevole”. Uno dietro l’altro. La Casoria legge ad una velocità impressionante. Non si capisce niente. “A, B, C, E, F, G!”. L’alfabeto. Mi scappa un “è una strage!”. La A viene ripetuta otto volte: sta per associazione a delinquere. A metà lettura esco dall’aula. Chiedo conferme, ai presenti, fingendo di non aver capito. Come quando ti dai un pizzicotto. “Ma gli hanno dato pure l’associazione?”. “Tutto”. Nessuna delle tre ha mai guardato gli imputati. Mai. Una leggeva, le altre due guardavano una il dispositivo, l’altra pareva stesse pregando, con lo sguardo verso il basso. Ad un tratto esce un avvocato, gridando. E’ contento, e lo lascia a vedere. Era Vitiello. Di fronte, due donne che piangono (per rispetto non dico chi). Un avvocato (idem) sconsolato, seduto, che parla da solo: “Non è possibile” (e altro). Era un ragazzo del pool di Moggi. E’ il brutto dei processi penali, questo. Già, perché forse l’avevamo un po’ dimenticato: era un processo penale. Sono brutti. Esperienze forti. C’è sempre uno che esulta e uno che piange. Uno vince, l’altro perde. Uno brinda, l’altro non mangia. Per la prima volta, Calciopoli, non è più un processo di calcio (al calcio non lo è mai stato). Per la prima volta, si è stati giudicati “criminali”. Come quelli dell’aula di fianco, dove l’ultima volta c’era un processo per omicidio. O l’altra ancora, dove c’era un processo di Camorra. Forse, solo allora, gli imputati si sono davvero resi conto che non è più questione di fuorigioco, di ammonizione e quant’altro. Non se l’aspettava nessuno. “Massimo due-tre condanne per frode, per non farci chiedere un sacco di soldi”, sospira un imputato (assolto). Lo schiaffo è di quelli che fa male. Alcuni sono portati fuori di peso. Moggi scappa subito dalla porta sul retro, non vuole saperne, non parla con nessuno, dice solo “Non ho parole”. Effettivamente resti senza. Vedere De Santis, fuori dal tribunale, che chiede a Gallinelli come sia possibile che gli abbiano riconosciuto delle frodi, e tolto quella dove avrebbe favorito la Juventus… Ma gli hanno comunque lasciato l’associazione. Prioreschi fa la conta delle frodi concluse con un’assoluzione, fa il professionista fino alla fine. Lui, il leone, è il più mortificato e sconsolato. E’ andata male, malissimo. “Pure il sorteggio truccato?”. “Ma che hanno dato Udinese-Brescia?”. “Manco le hanno lette, le difese!”. Questa frase, in particolare, mi ha colpito più di tutte. Sono tra quelli che hanno provato a vederci più chiaro, con analisi, controanalisi, telefonate, incroci. La sensazione, alla fine, è di essere rimasti al 2006. Ancora una volta. La rabbia diventa rassegnazione. E’ come aver giocato a poker, e aver perso a scopa. Brutta cosa, i processi penali. Specie in Italia. ___ (07) Chi pesta i piedi ai burattinai? di MARIO SIRONI Stupore, amarezza, rabbia, rassegnazione, realismo, consapevolezza. Sono stati questi gli stati d’animo di molti, se non tutti, i tifosi juventini non appena conosciuta la sentenza di primo grado del processo penale di Calciopoli svoltosi a Napoli. Una parte di noi sperava di ottenere la giusta assoluzione, l’altra metà del nostro pensiero sapeva che scagionare Luciano Moggi avrebbe aperto la voragine delle richieste risarcimento danni alla Figc, ossia al Coni, ossia alle banche che lo appoggiano e ai poteri industriali che poi sappiamo essere i veri artefici della pagliacciata di Calciopoli. A mente fredda posso dunque dire: me l’aspettavo. Davvero si poteva credere che i pavidi giudici di Napoli si sarebbero messi di traverso schiacciando i piedi ai burattinai? Eppure, dopo l’iniziale scoramento, ecco apparire nel dispositivo di sentenza il marchio di prosecuzione del processo farsa svoltosi in ambito sportivo nel 2006: la Juventus, in quanto società, viene dichiarata sostanzialmente estranea ai fatti, con rigetto delle richieste di risarcimento a suo carico. La responsabilità per fatto altrui (c. d. extracontrattuale) viene esclusa replicando ancora una volta la contraddizione assoluta di questa vicenda. Moggi ha tramato nell’ombra di una fantomatica associazione a delinquere, grazie alla quale non si è arricchito, non ha arricchito chicchessia, e non ha favorito la squadra che dirigeva. Come nel 2006, una sentenza di condanna assolutoria, un non- sense. Una acrobazia giuridica, l’ennesima, che dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Moggi nuovamente in pasto al popolino che si abbevera alle sciocchezze propinate dal giornale rosa; la Juve non coinvolta, che può dunque proseguire nella sua battaglia (a scoppio ritardato, a dire il vero) per la restituzione degli scudetti scippati o almeno per la cancellazione di quello di cartone assegnato ai formidabili onesti della squadra di Milano, risparmiando al contempo pesanti costi paventati dalle richieste di risarcimento avanzate nel processo penale da alcuni altri club. La società è stata infatti dichiarata non punibile ai sensi dell’art. 2049 del Codice Civile. Di che parla questo articolo? Regola la responsabilità del datore di lavoro, per i danni arrecati dai propri dipendenti, connessa al rischio assunto con l’inserimento dei lavoratori nell’organizzazione aziendale. Un articolo tra l’altro molto severo, in quanto afferma la responsabilità del “padrone o committente” a prescindere dal fatto di aver adeguatamente scelto o sorvegliato i sottoposti; basta infatti il semplice rapporto di subordinazione per far scattare la responsabilità. Ebbene, nonostante ciò, la Juve viene assolta. E dunque la spiegazione che emerge da Napoli è : ”Moggi ha creato una rete illegale ai fini di frodi sportive mai realizzate”. Ci state dicendo che non ci sono partite irregolari, che non ci sono illeciti, l’ennesimo paradosso che ora divide le strade di Moggi e della Società per sempre, sacrificando forse il Lucianone nazionale sull’altare degli scudetti da recuperare a tutti i costi. Uno smarcamento che a tanti forse non ha fatto piacere, ma che forse è l’unica strada rimasta percorribile pur ricordando che il processo ora entra nella fase di secondo grado di giudizio, l’appello, dove tutto potrebbe essere ridiscusso. Già cinque anni fa la società bianconera sottolineò nel suo ricorso al Tar poi abortito, la non rappresentanza legale di Moggi e la impossibilità dunque di poter applicare la responsabilità diretta anziché almeno quella oggettiva (che avrebbe consentito di evitare la retrocessione) come invece incredibilmente stabilito allora per Diego Della Valle, presidente onorario e primo azionista della Fiorentina, eppure definito dalle sentenza sportive di Ruperto e Sandulli soggetto non rappresentante la società viola. Unico dubbio? La prossima sentenza di appello di Giraudo, che potrebbe ancora mescolare le carte, visto il suo ruolo di ex amministratore delegato. Che dire? Che la vicenda di Calciopoli è stata “un atto di violenza, nobilitato da un rito formale (i processi, nda) che potesse agli occhi dei posteri mascherare prima e poi sancire il consenso”. Sapete chi ha scritto queste parole in un libro dedicato alla fondazione di Roma, relativamente al famoso episodio del ratto delle Sabine? Guido Rossi. Non serve dire altro. ___ (08) Sogno che arrivi un Poborsky anche nei tribunali di GIUSEPPE ANDRIANI I 29 scudetti non sono tutti uguali. Sono 29, sono tutti splendidi, tutti pieni di emozioni, sono tutti vinti sul campo. Tutti. Però nella memoria di chi li ha vissuti o ne ha sentito parlare ci sono quei campionati rimasti storia nella storia, quelli davanti ai quali il ricordo è talmente particolare, pieno, vivo, da farti esultare e godere anche se gli anni passano e le Juventus cambiano. Così come mutano i presidenti, i dirigenti. Tra quest’ultimi è recente la condanna a Luciano Moggi nel processo di Napoli. Proprio quel processo, che ha messo in dubbio nei ricordi sfocati, degli altri, la legittimità dei nostri 29 titoli. Nessun dubbio, è il campo che parla, che chiarisce. L’ex direttore della Juventus paragonò questo processo, o meglio il percorso verso la verità su quanto accaduto nel calcio negli anni tanto discussi, alla partita più importante, e disse qualche anno fa che era tutta da giocare. La partita è iniziata, ma continuando la metafora forse, data l’importanza della causa, si può dire che sia un intero campionato. Ancora il più importante. Siamo la Juve, è Moggi che è rimasto a difendere a spada tratta quella Juve, quella dei 7 scudetti in 14 anni, quella vincente. Antipatica, per gli altri. Quella vera per intenderci, quella con l’Avvocato e il Dottore. Non quella di Blanc, Secco, no. Loro sono stati un errore, un incidente di percorso, ma qui c’entrano poco, nei 29 scudetti li vediamo solo come portaborse. Siamo la Juve dicevo. In quei 29 campionati vinti ci siamo trovati già in questa situazione, nelle ultime giornate, non primi. Eravamo i più forti però, o giocavamo col cuore. Qualità queste che si possono assimilare, in questa grande metafora, all’aver ragione nel processo. E allora, quando vedo i 5 anni e 4 mesi di condanna a Moggi, oltre a una rabbia, a un senso di sfiducia e di ingiustizia, ripenso a quei 29 scudetti. A quelli più belli, quelli inaspettati soprattutto, e qui con la mente sono al processo. Ricordo, ancora, il 5 Maggio 2002, quando l’Inter aveva festeggiato già prima della partita, e li vedo godere per una sentenza. E mi chiedo se hanno dimenticato la loro prescrizione. Sono interisti, mi rispondo così. E allora penso che questo primo grado può essere come la penultima giornata di quel campionato, con l’Inter che già festeggiava. Poco gli importava che non era finito. Oggi come allora importa a noi. Però, con malinconia, ricordo la festa di quel 5 Maggio, la rabbia di Conte che godeva, i gavettoni di Ferrara, Lippi felice, e penso al campo. A quello che si sono inventati affinchè queste scene non si ripetessero più. Poi mi immergo di nuovo nel clima da penultima giornata, del “forza crediamoci!”. Perché può sempre arrivare un Poborsky che rovina la festa, e che aggiunge un tricolore alla Juve. Qui non si tratta di aggiungere,ma di restituire ciò che da sempre è nostro. Forse ho confuso qualcosa, perché il campo ha sempre una sua giustizia, e se sei più forte ti ritrovi con 29 scudetti. Sul campo. ___ (09) Sempre e costantemente onore e gloria alla Triade! di ROMEO AGRESTI Premettendo che non sono mai stato un grande esponente della materia, e che quindi sarebbe estremamente presuntuoso discutere dei dettagli, posso tranquillamente dire, però, che la sentenza del processo penale di Napoli è stata - a dir poco - imbarazzante. Nel corso dei mesi, grazie al prezioso lavoro dei legali di Moggi, abbiamo capito com'è andata realmente la storia. La Juventus doveva essere uccisa perché era la più forte, la Juventus doveva essere uccisa perché dava troppo fastidio, la Juventus doveva essere uccisa perché avrebbe continuato a vincere per chissà quanto tempo. Quando il giudice Teresa Casoria ha emesso la sentenza, ho subito pensato che viviamo in un Paese dove il sistema giudiziario non funziona minimamente. E questo discorso lo faccio a prescindere dal tema Farsopoli. E´ stato ampiamente dimostrato che c'erano persone che facevano cose peggiori di Luciano Moggi; eppure tutto ciò non è stato sufficiente a fare realmente giustizia. Voglio ringraziare, in fine, il Dottore. Quando dico che la mia adolescenza è stata felice anche grazie a Moggi e alle sue scelte sportive non scherzo. Con la sua immensa conoscenza calcistica è riuscito a regalare tante gioie a tutto il mondo juventino e, al contempo, tanti rosicamenti all'universo anti-bianconero. Ricordiamoci sempre che abbiamo assistito al primo grado di giudizio. Chiaro, non si può essere fiduciosi per il prosieguo di questa battaglia visto quello che è accaduto a Napoli. Ma ogni tanto i miracoli si avverano. . . ___ (10) I have a dream. Ho un sogno… di BENEDETTO CROCE Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande battaglia per la libertà nella storia della Juventus. Cinque anni fa un grande incubo, dalla cui ombra ancora oggi ci dobbiamo svegliare, è arrivato a turbare le nostre vite. Vi era stato fino ad allora un principio fondamentale, ed era che i campionati si vincono sul campo. Da allora non fu cosi. Cento anni di storia bruciati in 15 giorni di follia e di ingiustizia. Una grande dirigenza, la più grande della storia del calcio. Quelli che tutti chiamavano con un pizzico di invidia e con molta riverenza “La Triade” veniva cancellata dalla storia con ignominia e disprezzo. Bettega, Giraudo e Luciano Moggi il direttore generale, forse il più bravo di tutti e tre. Colui che è diventato il capro espiatorio di tutto questo male. Per cinque anni noi Juventini abbiamo difeso queste persone, condannate soltanto per il fatto di essere i migliori di tutti. Sono stati cinque anni di lotta, di discriminazione televisiva, cinque anni in cui i giornali ci hanno voltato le spalle dando solo le notizie che ritenevano di dare. Cinque anni dopo, gli Juventini vivono ancora in un’isola solitaria. Tutto intorno a loro un vasto oceano di bugie. Per questo oggi parlo, per rappresentare la nostra indignazione. Quello che è uscito dai tribunali sportivi e civili non è giustizia. La legge non è uguale per tutti. E’ovvio, che chi doveva giudicare è venuto meno ai suoi doveri. Guido Rossi che prese uno scudetto vinto con 91 punti teste di caz. (cit. Mughini) e lo tolse per darlo alla sua squadra, arrivata 15 punti indietro. Il procuratore Palazzi che per la Juve decise in 15 giorni e per gli altri ci mise 5 anni. La federazione, che prima ha radiato Moggi e poi si è autodefinita non competente a restituire lo scudetto spudoratamente sottratto alla Juve. Il tribunale di Napoli quando ha omesso tutte le testimonianze a favore della difesa basando un giudizio solo su 40 telefonate. Ora questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o ci si abbandoni alla rassegnazione. Questo è il momento di continuare le nostre battaglie. Il 2011 non è una fine ma un inizio. E coloro che sperano che gli Juventini abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi saranno appagati, avranno un rude risveglio. Voi che pensate che tutto passerà come se niente fosse successo, vi sbagliate. Non ci sarà nel Campionato Italiano di calcio né serenità né tranquillità fino a quando agli Juventini non sarà restituito quello che gli è stato ingiustamente tolto. Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste. Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di vendetta bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde all’ingiustizia con la forza dell’anima. E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti senza voltarci. A chi ci chiede quando ci riterremo soddisfatti risponderemo:”Non saremo mai soddisfatti finché non ci sarà restituito tutto il maltolto con tanto di scuse. Non saremo mai soddisfatti finché chi ha sbagliato nei nostri confronti non paghi la sua pena. Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono – Io il campionato non ho rubato e in B non sono stato -. Non potremo mai accettare questo da chi in B non ci è andato perché prescritto e di campionati ne ha rubati cinque di fila”. Ritornate ai vostri Forum; ritornate ai vostri Blog, ritornate tutti ai vostri posti di combattimento, sapendo che in qualche modo questa situazione cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella disperazione. E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno bianconero, che un giorno questa squadra si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni. Noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti i campionati sono stati vinti sul campo. E sono 29. Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sul prato verde dello Juventus Stadium Luciano Moggi e gli eredi degli Agnelli, sapranno sedere insieme al tavolo della conciliazione. Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino la FIGC, uno organo colmo dell’arroganza e dell’ingiustizia, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia. Io ho davanti a me un sogno, che i miei due figli piccoli godranno un giorno di una squadra nella quale non saranno giudicati per le moviole indirizzate da antijuventini, ma per le qualità in campo dei loro Campioni. Io ho davanti a me un sogno, che un giorno in ogni valle , su ogni collina e su ogni montagna si mostrerà e tutti gli uomini, quello che tutti sanno bene già oggi e cioè che la Juve era la più forte. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il mio posto. Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza…Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di lottare insieme, di andare insieme allo stadio, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno della nostra più grande vittoria. Liberamente ispirato dal discorso di Martin Luther King a Washinton il 28 Agosto 1963
  4. Auguri di buon Natale alla riva! Forza, a mangiare...
  5. Zucconi, dal suo scranno, dimentica che nello scandalo calcio ci sono, e ficcati fino alla gola, gli stessi giornali/quotidiani/settimanali che infatti non disdegnano di pubblicare paginate (pubblicitarie e non) su un numero variabile fino all'inverosimile di scommesse sportive, comprese naturalmente la partite di calcio (alcune testate hanno addirittura stampato fascicoli, libri ed opuscoli sulle scommesse).
  6. SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 24-12-2011) Calciopoli, nuove indagini Sono in arrivo tre esposti Calciopoli: veleni, sospetti, rivelazioni, esposti, pentiti, eccetera. Non si finisce mai. Dopo il tavolo della pace, il presidente del Coni, Giovanni Petrucci, non si arrende di sicuro e chissà che nel 2012 non ritenti l'impresa. Ma intanto ecco che presto si apriranno nuovi fronti giudiziari. Il patron della Fiorentina, Diego Della Valle, ha intenzione di rivolgersi alla Procura della Repubblica di Roma contro l'ex commissario Figc, Guido Rossi, e gli investigatori, guidati dal t. col. Attilio Auricchio. Della Valle vuole sapere che "è successo" in quegli anni. E non è il solo. Ad uno scenario che già presentava non poche ombre, ecco che si aggiungono le "rivelazioni" di un ex carabiniere che aveva fatto parte dello staff investigativo di Auricchio. Accuse pesantissime alle indagini, un cono d'ombra su una vicenda ancora viva. Bisogna che adesso la magistratura chiarisca: si tratta di un millantatore o è vero quello che sostiene? Non solo Della Valle vuole saperlo. Intanto anche due ex arbitri vanno all'attacco. Paolo Dondarini ha già presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma "con il quale-spiega il suo legale Gabriele Bordoni- ha posto formalmente la questione in ordine alla genesi delle scelte investigative che hanno condotto a 'brogliacciare', cioè trascrivere ed utilizzare soltanto una parte delle intercettazioni effettuate nel contesto delle indagini e non altre, pure presenti agli atti ed oggettivamente di decisiva rilevanza probatoria''. Dondarini era stato condannato a Napoli nel processo con rito abbreviato. Stessa situazione per l'ex arbitro genovese Tiziano Pieri che presenterà un esposto il 28 dicembre. Luciano Moggi invece aspetterà febbraio quando usciranno le motivazioni delle condanne in primo grado con processo con rito ordinario. Osservatorio del Viminale: Roberto Sgalla è il nuovo presidente Roberto Sgalla è il nuovo presidente dell'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive. La nomina è avvenuta con decreto del Ministro dell'Interno. Sgalla, promosso dirigente generale della Pubblica Sicurezza con delibera del Consiglio dei Ministri del 13 dicembre scorso, lascia il servizio di Polizia stradale che ha diretto per oltre tre anni. Il prossimo 11 gennaio, Sgalla presiederà la prima riunione dell'Osservatorio.
  7. Agnelli Elkann: per l'operatore una nuova fase di sviluppo Alpitour passa di mano per 225 milioni Burgio verso la guida Exor resta al 10% con Wise e J. Hirsch di FEDERICO DE ROSA (CorSera 24-12-2011) MILANO — Passa di mano Alpitour. Proprio alla vigilia delle vacanze natalizie la Exor della famiglia Agnelli ha raggiunto l'accordo per cedere il controllo del più grande tour operator italiano a due fondi private equity. Si tratta di Wise Sgr e J. Hirsch & Co., entrambi italiani a dispetto del nome, che per un controvalore di 225 milioni di euro hanno rilevato il 100% di Alpitour. La vendita consente a Exor di iscrivere una plusvalenza di 140 milioni in bilancio, parte della quale sarà reinvestita nella società a cui i due fondi conferiranno il tour operator. La holding della famiglia Agnelli fa dunque un passo avanti nella strategia di semplificazione del portafoglio partecipazioni, senza però lasciare del tutto il settore turismo. Si unirà infatti alla cordata guidata da Wise Sgr e J. Hirsch & Co, affiancando gli altri fondi che hanno partecipato all'operazione, tra cui Network Capital Partners. La holding torinese avrà il 10% della nuova società-veicolo a fronte di un corrispettivo di 10 milioni di euro e «potrà pertanto beneficiare pro quota di eventuali incrementi di valore della società» ha spiegato una nota diffusa da Exor. «L'accordo crea le premesse per aprire un nuovo capitolo nella storia dell'Alpitour — ha commentato il presidente, John Elkann —. Abbiamo accompagnato per quasi vent'anni la crescita del gruppo turistico con un progetto che ha portato alla conquista della leadership nazionale. Ora si può aprire una fase di ulteriore sviluppo e di evoluzione, attraverso una nuova iniziativa imprenditoriale italiana, a cui siamo felici di dare il nostro sostegno». I nuovi azionisti proseguiranno con il rilancio della società, che ha chiuso il 2010 con 1,3 miliardi di euro di fatturato e un margine operativo di 50 milioni di euro. Non sarà però Daniel John Winteler a portare avanti il progetto. Il manager, arrivato nel 2006 dall'Ifil per raddrizzare i bilanci del tour operator, rimarrà presidente pro tempore poi, secondo indiscrezioni, dovrebbe lasciare il timone a Gabriele Burgio, ex numero uno del colosso alberghiero spagnolo Nh Hoteles, a cui Wise e J. Hirsch hanno chiesto di guidare Alpitour. In base all'accordo siglato ieri Exor riceverà subito 210 milioni e altri 15 milioni successivamente, comprensivi di interessi. È inoltre previsto che al momento della cessione del pacchetto, subordinata ad alcune condizioni sospensive tra cui il via delle banche finanziatrici, la cordata di fondi riconosca a Exor un'integrazione del prezzo legata al risultato economico raggiunto da Alpitour. Il closing è previsto per il primo trimestre del 2012. ___ La holding che controlla Fiat trova l´accordo con Wise Sgr e J. Hirsch per 225 milioni Exor vende Alpitour ai fondi agli Agnelli plusvalenza da 140 milioni di STEFANO PAROLA (la Repubblica 24-12-2011) TORINO- Le parti si erano date tempo fino alla fine dell´anno per chiudere e così è stato: ieri l´Exor ha ufficializzato la cessione di Alpitour a due fondi di private equity che fanno capo a Wise Sgr e a J. Hirsch & Co. e che godono dell´aiuto di alcuni soci finanziari, tra cui Network Capital Partners. Il prezzo? È quello ipotizzato nelle scorse settimane: 225 milioni di euro, per una plusvalenza di 140 milioni nei conti della finanziaria della famiglia Agnelli-Elkann. La somma arriverà quasi tutta in un colpo solo, perché la società veicolo con cui i fondi compreranno il più grande tour operator italiano verserà 210 milioni subito e 15 in un secondo momento. In più, spiega Exor in una nota, è prevista «un´integrazione del prezzo legata al risultato economico che sarà ottenuto dagli investitori al momento della cessione del pacchetto di maggioranza». Nel capitale di questa società creata per l´acquisizione figurerà anche la holding degli Agnelli, che acquisterà una quota del 10% per 10 milioni. L´operazione, che ha come advisor Paul Hastings, si concluderà nel primo semestre 2012, subito dopo il via libera delle autorità competenti e la chiusura dei finanziamenti bancari (circa 100 milioni) chiesti da Wise, J.Hirsch e soci. A quel punto Alpitour cambierà per la terza volta padrone. La famiglia Isoardi l´aveva fondata a Cuneo nel 1947 come piccola agenzia di viaggi. Gli Agnelli ne avevano acquistato un primo 30% nel 1992 ed erano gradualmente saliti fino al 100% nel 2001. «L´accordo crea le premesse per aprire un nuovo capitolo nella storia di Alpitour» commenta il presidente e ad di Exor John Elkann. Che spiega: «Abbiamo accompagnato per quasi vent´anni la crescita del gruppo turistico con un progetto che ha portato alla conquista della leadership nazionale. Ora si può aprire una fase di ulteriore sviluppo e di evoluzione, attraverso una nuova iniziativa imprenditoriale italiana, a cui siamo felici di dare il nostro sostegno». I fondi di private equity prendono in mano un´azienda che ha in corso un processo di razionalizzazione. Tra le novità potrebbe esserci l´uscita dell´ad Daniel Winteler, sostituito da Gabriele Burgio ex presidente di Nh Hoteles. Continua la protesta di circa 200 dipendenti cuneesi per il trasferimento della sede a Torino. ___ LA HOLDING GUIDATA DA JOHN ELKANN VENDE IL GRUPPO TURISTICO Alpitour a due fondi private Exor incasserà 225 milioni di MARCO SODANO (LA STAMPA 24-12-2011) La scorsa primavera, all’assemblea Exor che gli ha conferito le deleghe operative, John Elkann nella nuova veste di amministratore delegato (sommata a quella di presidente) era stato chiaro: nel futuro della holding, spiegò, c’è «una semplificazione del portafoglio». Ieri è arrivato un passo importante nel processo di snellimento: Exor ha raggiunto l’accordo sulla vendita di Alpitour al termine di una lunga sessione di negoziato nella notte tra giovedì e venerdì. Elkann, insomma, porta agli azionisti un risultato importante in termini operativi. E lo fa con un’operazione nella quale gran parte del capitale è italiano, un modo per sottolineare che con il business del turismo spesso evocato come ricetta per tirare fuori il paese dal pantano dell’economia in affanno - si possono fare buoni affari. La società sarà ceduta per un controvalore totale di 225 milioni. Gli acquirenti sono due fondi di private equity facenti capo a Wise sgr e J. Hirsch & co. All’operazione partecipano altri soci finanziari tra i quali c’è Network capital partners. Gli acquirenti effettueranno l’operazione attraverso un veicolo societario costituito e opportunamente capitalizzato - proprio per l’acquisizione. Exor incasserà un corrispettivo pari a 210 milioni, a cui si aggiungerà un prezzo differito di 15 milioni. L’intesa prevede anche un’integrazione del prezzo legata al risultato economico che verrà ottenuto dagli investitori al momento della cessione del pacchetto di maggioranza. La transazione determinerà per Exor una plusvalenza nel bilancio separato di circa 140 milioni. La cifra è considerevole, d’altra parte l’investimento è stato fatto nel lungo periodo, secondo lo stile della casa: lo stesso Elkann ha sottolineato che l’investiment’operazione Alpitour è partita quasi vent’anni fa. Non si tratta, tra l’altro, di un addio. La stessa Exor, infatti, acquisterà una quota pari al 10% del veicolo societario per un ammontare di 10 milioni, e potrà pertanto beneficiare pro quota di eventuali incrementi di valore della società. La chiusura dell’operazione - che è subordinata ad alcune condizioni sospensive, (il via libera da parte delle autorità competenti e la chiusura dei finanziamenti bancari da parte dell’acquirente) - è prevista nel corso del primo trimestre del 2012. Nell’operazione Exor è stata seguita per gli aspetti legali da Paul Hastings. Soddisfatto il presidente e amministratore delegato di Exor John Elkann. «L’accordo cessione di Alpitour - ha commentato - crea le premesse per aprire un nuovo capitolo nella storia della società. Per quasi vent’anni abbiamo accompagnato la crescita del gruppo turistico con un progetto che ha portato alla conquista della leadership nazionale. Ora si può aprire una fase di ulteriore sviluppo e di evoluzione, attraverso una nuova iniziativa imprenditoriale italiana, a cui siamo felici di dare il nostro sostegno». La quota del 10% non comporterà comunque una partecipazione di Exor alla gestione della società. Va letta, piuttosto, come una volontà della holding di seguire i primi passi del nuovo gruppo, il segnale del sostegno di cui ha parlato Elkann.
  8. Scalata al «Corriere» I grandi soci sono senza soldi Duello Rotelli-Della Valle per Rcs di NINO SUNSERI (Libero 24-12-2011) Tornano rumori di guerra attorno al Corriere della Sera. A farli risuonare il sito “Lettera 43” diretto da Paolo Madron che su via Solferino (e non solo) è sempre piuttosto ben informato. Le voci parlano di un aumento di capitale che potrebbe mandare in crisi il parlamentino dei grandi soci che governa la casa editrice. Un patto composto da 17 azionisti molto potenti e molto rissosi. A far saltare gli accordi, come già “Libero” aveva anticipato, le perdite delle controllate spagnole. Lo sbarco a Madrid è stato un errore fin dall’inizio. È stato effettuato proprio nel momento in cui il Paese, dopo anni di crescita impetuosa, aveva cominciato a perdere quota. Da allora non si è più ripreso così come i conti di Rcs. Ora il punto di svolta. Già nel commento ai conti dei primi nove mesi, il consiglio d’amministrazione aveva segnalato le criticità. Non a caso le perdite complessive erano arrivate a 25 milioni contro il sostanziale pareggio dell’anno precedente. Ora le voci. Si parla di una svalutazione di seicento milioni della partecipazione in Spagna. Un colpo mortale per una società, come Rcs, già gravata da un miliardo di debito (acceso in gran parte per finanziare la spedizione a Madrid). L’eventuale aumento di capitale sconvolgerebbe gli equilibri. Sia quelli di mercato (scarsamente immaginabile una partecipazione massiccia della Borsa all’operazione) sia all’interno del parlamentino. Delicato per Banca Intesa o Mediobanca giustificare l’investimento in un giornale mentre lesinano le risorse per l’economia. Complicato immaginare Sergio Marchionne, sempre più americano, che impegna risorse Fiat per una casa editrice italiana. Fuori gioco, per definizione, Ligresti. Alla fine gli unici che sembrano avere la voglia e la disponibilità per mettere le mani al portafoglio sono Giuseppe Rotelli, re della sanità in Lombardia, e Diego Della Valle. Entrambi, finora, sono stati tenuti sulla corda dagli altri componenti del patto. Rotelli, pur essendo il principale azionista, è stato tenuto fuori dal parlamentino. Il patron della Tod’s, dal canto suo, ha più volte dichiarato l’intenzione di accrescere la sua partecipazione del 5%. Con risultati modesti. Bazoli lo ha fermato con una formula magica: fino al 2014, scadenza del parlamentino non si tocca nulla. La necessità dell’aumento di capitale potrebbe anticipare i tempi. Contemporaneamente dovrebbe partire una gigantesca riorganizzazione. L’area periodici (altra zona critica dopo la Spagna) verrebbe ridimensionata tagliando testate e personale. Un cambio anche al vertice: fuori il presidente Piergaetano Marchetti. Al suo posto l’attuale amministratore delegato, Antonello Perricone.
  9. SÒLA PROFONDA Le accuse degli anonimi globali art.non firmato (il Fatto Quotidiano 24-12-2011) In un contesto, per così dire, da terno al Lotto, l’ennesimo scandalo del Calcioscommesse spinge alla puntata folle. Rosso o nero, purché sthendalianamente orientati a giocarsi sempre il nom de plume o meglio l’anonimato. Così Repubblica e Corriere dello Sport gareggiano come le Giuliette della Polizia di un tempo (Sòla 1 a Sòla 2, rispondete, passo) e si rincorrono. Situazionista, Repubblica si è attaccata al teste Alfa, “fonte confidenziale” della Procura di Bologna. Il superteste “prospetta il coinvolgimento di giocatori, società e arbitri, anche di A” senza fornire però un solo nome. Meglio Il Corsport. Due pagine titolate “Calciopoli Choc” (La Stampa si accontenta di un solo articolo) in cui, sempre a condizione di non fornire generalità, il processo napoletano viene smontato e raso al suolo. L’autore dello scoop celia: “succede anche nei film che fanno botteghino”. Nessuno dubita. Avanti il prossimo.
  10. E tutti scoprirono la farsa Calciopoli di STEFANO SALANDIN (Tuttosport 24-12-2011) Inevitabile, per chi la frequentò come cronista, tornare ogni tanto con la mente all'aula bunker dello Stadio Olimpico di Roma. Mentre saliva sul tetto del mondo, il caclio italiano processava (parte di) se stesso in un'atmosfera da "cupio dissolvi" ben oliata dal profluvio di intercettazioni che aveva preparato il giustizialismo invocato dall' opinione pubblica. Ed era, in quel clima, perfino anacronistico provare a chiedersi (e a chiedere) come mai ci fossero tanti errori o incongruenze nei capi d'accusa. Ma mica perché il cronista parteggiasse per questo o per quell'altro. No: solo per provare a capire di più e meglio. Possibile, ci si chiedeva, che davvero la difesa di Paolo Bergamo si limitasse a quel ripetitivo «telefonavano tutti...»? Ma il campionato doveva iniziare, le telefonate erano lì, la gente voleva giustizia e redenzione per il calcio. Già, la gente. . . Chissà cosa sarebbe successo se certe telefonate emerse poi (perché, piaccia o non paccia, aveva ragione Bergamo: telefonavano tutti, ma proprio tutti) fossero state ascoltate allora, in quell'aula e in quel clima? Intanto, anche tra le tricoteuses davanti alla ghigliottina allestita all'Olimpico c'è chi ha cominciato pian piano a cambiare idea e a farsi domande di fronte a tutto ciò che emergeva nel processo penale di Napoli. Che poi ha condannato Moggi, certo: ma, e si ritorna sempre lì, c'era solo lui come imputato. . . Quelle incongruenze che Tuttosport, spesso isolato, non ha mancato di sottolineare. Adesso, a sollevare altri dubbi sulle indagini dell'allora maresciallo Auricchio, ha provveduto anche un investigatore che faceva parte di quel pool. Anonimo, e dunque da prendere con tutte le cautele del caso, ma indiscutibilmente informato. E il fatto che abbia deciso di parlare solo ora è un segnale, un altro, di come sia cambiato il clima. Solo che la fretta - guarda un po' - ora non è più quella di "fare chiarezza", ma di arrivare alla pace... === CALCIOPOLI LO SCENARIO Tavolo della pace: atto 2° Nuovi contatti con Petrucci Tra gennaio e febbraio il bis? Intanto Della Valle ha fatto scattare le denunce contro l’ex commissario federale Rossi. Le rivelazioni di un investigatore pentito possono scatenare altre reazioni di STEFANO SALANDIN (Tuttosport 24-12-2011) Ci riproverà, Gianni Petrucci . Ma non tanto perché si sia affezionato al “tavolo” e ai suoi commensali, quanto perché è convinto che non vi sia altra strada possibile per provare a sanare le conseguenze nefaste di Calciopoli. A dire il vero è meglio dire che si è “riconvinto” perché alla fine del primo summit con Giancarlo Abete e i presidenti (Andrea Agnelli , Diego Della Valle , Aurelio De Laurentiis , Adriano Galliani e Massimo Moratti ), lo stesso Petrucci era tutt’altro che soddisfatto. Poi, evidentemente, qualcosa deve essere successo o, piuttosto, qualcuno deve avergli parlato, convincendolo della necessità di continuare a tenere aperta la porta al dialogo. Proprio il presidente del Coni, in una intervista concessa a Sky, ha riaffermato il concetto: «Se i tempi matureranno - sottolinea Petrucci -, ci incontreremo di nuovo. Il tavolo della pace non è stato un fallimento, i rapporti sono migliorati. Non sono affatto pentito, lo rifarei». E tra gennaio e febbraio il bis potrebbe arrivare. FRAGILITA’ La convinzione di Petrucci e del suo entourage poggia però su basi da rinsaldare dopo che i presidenti si siano parlati per 5 ore e lasciati dandosi la mano. Un inizio, ma non può bastare, visti i temi in ballo e lo sconquasso che certi futuri provvedimenti potrebbero determinare. Anche Diego Della Valle, uno tra coloro che avrebbe poi chiamato Petrucci per dirgli di proseguire, lo ha ribadito: «Il Tavolo della pace? E’ stato utile per far riparlare della persone che non lo facevano da tempo ma si è rimasti sulle proprie posizioni». E DENUNCE Lui, Della Valle, lo è rimasto eccome sulle sue posizioni. Anzi, ha deciso di accelerare alla ricerca di una verità che ritiene gli sia stata negata nel processo sportivo e poi in quello penale. Al punto da avere deciso una vera e propria “escalation” e di aver affidato ai propri legali “di agire, nelle sedi competenti, nei confronti dell’allora commissari straordinario della Figc, Guido Rossi e di altri per la gestione assunta negli stessi durante il processo sportivo di Calciopoli”. Per poi accusare direttamente di reticenza l’ex commissario e dirigente Telecom: «Ha paura - ha detto Della Valle - e si nasconde sotto il letto. Ci sono elementi che lasciano riflettere. Secondo noi le carte processuali possono essere rilette in un altro modo facendo venire a galla un’altra verità. Sicuri che tutti abbiano fatto il proprio dovere? La Fiorentina vuole soltanto chiarezza». A corroborare i sospetti del patron viola sono arrivate le dichiarazioni di un inquirente che faceva parte del pool di Calciapoli e che ha sollevato pesanti dubbi su quella inchiesta. Dichiarazioni anonime, ma circostanziate e che sollevavano i dubbi maggiori proprio su uno dei capi d’accusa più pesanti nei confronti di Della Valle: il pranzo con l’allora designatore Paolo Bergamo . === CALCIOPOLI L'INTERVISTA «La fuga di notizie rovinò Calciopoli» LEPORE «Le intercettazioni pubblicate bruciarono l’inchiesta» L’ex capo della procura di Napoli: «Quando chiesi lumi su telefonate dell’Inter, mi risposero che non c’erano» di RAFFAELE AURIEMMA (Tuttosport 24-12-2011) NAPOLI. Potrebbero esserci intercettazioni su Calciopoli, sfuggite o “distratte” dagli uffici giudiziari per evitare il coinvolgimento di altre persone o club? «Non credo affatto, altrimenti questa persona si sarebbe presentata direttamente ad un giudice e non avrebbe rilasciato dichiarazioni anonime ad un giornale», Giandomenico Lepore , ex capo della Procura del Tribunale di Napoli e da pochi mesi in pensione, resta stupito dell’intervista rilasciata ad alcuni organi di stampa da un investigatore, ma non esclude che quella confessione possa aprire un nuovo fronte giudiziario nell’interminabile e doloroso capitolo di Calciopoli. «Vedo con piacere che il calcio attira molto più dei fatti di mafia. Se prendiamo il boss Zagaria, ci dicono bravi, ma se tocchiamo un calciatore, apriti cielo?», l’amara osservazione, resa con ironia dall’uomo che ha guidato per anni una delle Procure più calde d’Italia. Dottor Lepore è rimasto sorpreso dalle affermazioni dell’anonimo investigatore? «Trovo un po’ strano che abbia dette certe cose. Tengo a chiarire che in questo momento parlo sulla base dei ricordi che ho, perché non ho più alcuna veste ufficiale. Ma come ex capo della Procura di Napoli e riguardando l’argomento in questione, un’indagine condotta dal mio ufficio, posso esprimere delle valutazioni su certe considerazioni postume ed effettuate su di una certa, nostra attività investigativa. Innanzitutto, parliamo di una persona anonima e, se avesse avuto coraggio, avrebbe dovuto firmarsi con tanto di nome e cognome. Aggiungo che il processo di Calciopoli ha avuto un vaglio da parte di diversi giudici, i primi sono quelli che hanno disposto il rinvio a giudizio e poi i tre che hanno emesso la sentenza». Ma si è mai chiesto perché non risultasse alcuna intercettazione relativa all’Inter? «Sapevo che la Juve era sotto inchiesta, ma anche che qualcuno voleva tirare in ballo altre squadre. Ad esempio, quando chiedevo lumi sull’Inter, perché sentivo lamentele sull’inesistenza di intercettazioni relative a questa squadra, i miei colleghi mi rispondevano sempre che non c’erano elementi a sostegno di quelle voci. Gli elementi a disposizione dell’inchiesta erano quelli e basta, mentre gli altri avevano poca consistenza dal punto di vista penale. Certo, se avessimo potuto portare avanti le indagini così come stavamo facendo...». In che senso? «Ad un certo punto c’è stata una fuga di notizie, con tutte le intercettazioni pubblicate sull’allegato di un settimanale: in quel preciso istante la nostra inchiesta fu bruciata». Fuga di notizia favorita dagli uomini del suo pool? «Assolutamente no. La fuga di notizie avviene da persone estranee che hanno, però, interesse a bloccare le indagini. Non potemmo portare avanti altri aspetti di quell’inchiesta, perché dopo quella pubblicazione i telefoni cominciarono a tacere... Comunque, non basta una semplice telefonata oppure una semplice cena per muovere delle accuse penali. I miei colleghi hanno sempre detto che tutto ciò che non è stato giudicato, non poteva dare corso a nessun atto processuale. Tanto è vero che quegli elementi sono ben noti, perché li abbiamo messi a disposizione della giustizia sportiva». Ma come può verificarsi la fuga di notizie dall’ufficio di un’inchiesta così delicata? «Non si tratta di persone al nostro interno, perché quando c’è un processo vengono coinvolti tanti altri soggetti non strettamente collegati al pool di magistrati. Ci sono cancellieri, commessi, uomini della polizia giudiziaria, poi c’è il passaggio dall’ufficio del Gip a quello successivo, per cui basta una piccola uscita di notizie e si brucia l’indagine. Il più delle volte si tratta di persone che temono che l’inchiesta possa arrivare fino a loro e fanno venire fuori le informazioni per bloccarla ed evitare un coinvolgimento diretto. Ma sono convinto che se non ci fosse stata questa fuga di notizie, certamente sarebbe venuto fuori dell’altro nell’ambito di Calciopoli». Cosa pensa possa accadere alla luce di queste rivelazioni, anche se anonime? «Se ci fossero elementi non presi in considerazione, ma mi sembrerebbe strano, si potrebbe aprire una nuova istruttoria. O potrebbe accadere pure se ci fosse stata un’errata valutazione sui fatti presi in esame. In buona sostanza, servirebbero altre intercettazioni che giustifichino l’inizio dell’azione penale. Resta da capire, però, se i fatti in questione non siano talmente indietro nel tempo da risultare ormai prescritti. Voglio dare un consiglio a questa persona: se ha elementi validi da giustificare le sue rivelazioni, abbia il coraggio di andare da un giudice e metterle per iscritto». === E le nuove verità ”agitano” Napoli di MARCO BO (Tuttosport 24-12-2011) TORINO. Non c’è pace su Calciopoli che ha offerto la sentenza di primo grado a inizio novembre. In attesa delle motivazioni che la giudice Casoria s’appresta a concludere, gli avvocati sono al lavoro per strutturare i rispettivi ricorsi. Che andranno riaggiornati dopo le recenti clamorose dichiarazioni di un investigatore di Calciopoli che, dietro l’anonimato, ha detto tra le altre cose, «E’ stata una cosa forzata, non abbiamo scoperto una vera partita truccata», «Scoppiò una lite tra i capi: uno voleva chiudere il caso, l’altro no», «Il pranzo tra i Della Valle, Bergamo e Mazzini non fu grave: non dissero niente». Maurilio Prioreschi, difensore di Luciano Moggi, commenta con fermezza: «Mi auguro che questo signore si presenti da un giudice per ribadire le affermazioni. Se è vero che ha voluto liberarsi per una questione di coscienza, allora è bene che lo faccia nel luogo più appropriato: qualcuno ha pagato con sentenze dure. Chissà cosa sarebbe successo se si fosse deciso a parlare prima». Anche Andrea Galasso, avvocato di Giraudo, condannato in primo grado ma dopo il rito abbreviato, interviene su queste dichiarazioni esplosive: «Come tifoso rinnovo le parole che in tempi non sospetti ebbi a rilasciare a “Tuttosport”: “la Juventus ha subito la più grave ingiustizia della storia sportiva”. Quale cultore del diritto e della legalità sono certo che la Magistratura saprà difendere il suo indiscutibile prestigio facendo luce su indagini turbate da omissioni sospette e manipolazioni inquinanti, che offendono la coscienza civile». DE SANTIS DENUNCIA Intanto l’ex arbitro De Santis si prepara a denunciare per falsa testimonianza l’ex tenente colonnello Auricchio, allora capo delle indagini napoletane su Calciopoli.
  11. CALCIOPOLI il caso La bomba anonima sull’inchiesta di Auricchio & C. Un ex carabiniere accusa: indagine manipolata, sparito un audio pro-Della Valle. Teste credibile o millantatore? La magistratura se ne occupi di ANDREA MONTI (GaSport 24-12-2011) Calciopoli, la sorpresa di Natale: ora c’è una gola profonda. Un testimone anonimo, ma sicuramente partecipe della vicenda, sostiene che l’inchiesta del procuratore Narducci e del colonnello Auricchio fu gravemente manipolata. I fatti: qualche giorno fa, l’uomo - certamente uno dei 12 addetti alle intercettazioni, probabilmente un ex carabiniere che si è allontanato o è stato allontanato dall’Arma - convoca alcuni giornali, tra cui non c’è la Ģazzetta dello Sport, e sgancia la bomba. Una Bomba N, uno di quei nuovi ordigni atomici al neutrone, che lascia intatto lo scheletro delle sentenze ma polverizza gli uomini, le storie e le poche, faticose certezze che ci stanno dentro. La tesi di fondo dell’innominato, infatti, è che «di veramente importante nell’inchiesta non c’è niente, la maggior parte degli imputati è stata condannata ingiustamente o con pene troppo pesanti». In sintesi, i punti chiave della testimonianza che traggo dal Corriere dello Sport. Dopo aver ricostruito il sistema dei baffetti colorati con cui veniva segnalato il grado d’importanza delle telefonate riportate nei brogliacci, l’anonimo sostiene che erano solamente Auricchio e il maresciallo Di Laroni a stabilire cosa inserire e cosa omettere nelle informative da inviare ai magistrati. E le intercettazioni che riguardavano l’Inter dove sono finite? «Evidentemente nell’inchiesta non ci dovevano andare…». Ancora: storie di server che misteriosamente cadono cancellando decine di intercettazioni, le famose schede svizzere di Moggi su cui poi non si registra alcun traffico, il ruolo del segretario della Can Manfredi Martino che al primo interrogatorio dice tremando di non sapere nulla poi diventa uno dei principali testi dell’accusa, le «cenette» degli inquirenti con non meglio specificati «personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli». E via bombardando… Ma l’elemento forse più succoso nelle verità dell’innominato è la ricostruzione dell’incontro dei fratelli Della Valle con Bergamo e Mazzini in un ristorante sulle colline fiorentine. Un episodio enormemente discusso, non l’architrave dell’accusa (che ha spinto soprattutto sul significato delle intercettazioni) ma comunque importante, e sempre contestato dai protagonisti. Di quel pranzo in cui si sarebbe stabilito il patto per salvare la Fiorentina, abbiamo solo la documentazione video ma non l’audio, perché quella volta non furono piazzate microspie. E qui il testimone ci va giù pesante: «Con il microfono direzionale, a 50 o 100 metri, senti tutto quello che uno dice. Però ’sta voce non s’è mai sentita. Io so che l’hanno sentita. E questa cosa è importante perché io so che là non hanno parlato di niente. Magari pensi che Della Valle abbia detto a Mazzini: "Dai, famme vince...". Invece niente. Hanno dato rilevanza alle immagini e non hanno fatto sentire l’audio ». Dunque, secondo il testimone, sarebbe sparito un audio che scagiona i Della Valle? «Non secondo me. L’audio c’è. Sicuro». Un botto terrificante. Il colonnello Auricchio, oggi capo di Gabinetto del sindaco di Napoli De Magistris, ha negato in sede processuale che quell’audio esistesse e ora, raggiunto dalla giornalaccio rosa, chiosa seccamente: «Non ritengo sia necessario rispondere a dichiarazioni anonime che, fra l’altro, non corrispondono al vero. Servirebbe solo ad alimentare un’eco mediatica di fatti su cui la giustizia sia ordinaria, in primo grado, sia sportiva, in via definitiva, ha già giudicato». Nessun commento, invece, da parte dei Della Valle che si limitano ad affiggere sulla bacheca del sito viola le interviste con l’innominato. Come dire, leggete e ci troverete quanto abbiamo sempre sostenuto. Ma sulle ragioni che lo hanno spinto a parlare come sulla sua identità, c’è palese prudenza. In realtà, la strategia di Diego Della Valle è di più ampio raggio. E, nel suo stile, non ha fatto nulla per nasconderla. Condannato a Napoli con una pena che, pur lieve, pesa sulla sua figura di uomo e di imprenditore, dal 2006 e con più forza oggi ribadisce una linea che si riassume nel mantra: «Fatemi capire ». Le sue domande rappresentano certamente una difesa aggressiva, ma toccano zone d’ombra che sarebbe opportuno illuminare, se non altro per togliersi ogni dubbio. Ci furono degli ispiratori occulti all’inizio dell’inchiesta? Perché la Fiorentina fu coinvolta e altre squadre tra cui l’Inter no? Guido Rossi ricevette le intercettazioni di Moratti e Facchetti dalla procura di Napoli? E se sì, perché non indagò? Personalmente, e mi è capitato di scriverlo più volte, non considero l’inchiesta di Calciopoli un monumento all’infallibilità investigativa. Presenta contraddizioni e qualche visibile buco. Insomma, di certo avrebbe potuto esser fatta molto meglio. Ma ha retto in diversi giudizi sportivi e penali. Ora, delle due l’una: o l’innominato dice il vero anche su un solo episodio e allora occorre buttarla via per intero, oppure l’innominato mente e allora è un millantatore che va severamente punito. In un paese civile, c’è una sola strada per stabilirlo, e spetta alla giustizia percorrerla. Un solerte procuratore, su questo fronte non stiamo scarsi, apra un fascicolo sulle affermazioni gravissime che avete letto in questo articolo, ripercorra l’inchiesta passo dopo passo e dica una parola definitiva all’opinione pubblica, ai tifosi e alle persone coinvolte. Per quanto riguarda la Ģazzetta dello Sport, solo giornalismo. Seguiremo con molta attenzione gli sviluppi di questa vicenda, pronti a raccogliere e consegnare ai lettori la voce di ogni testimone significativo. Purché, come è regola della casa, abbia un nome e un cognome.
  12. IL ROMPI PALLONE DI GENE GNOCCHI (GaSport 24-12-2011) Moratti pronto a un accordo con la Juve: «Sono disposto a restituire lo scudetto a patto che Agnelli restituisca le sopracciglia a Bergomi».
  13. L’intervista Il numero uno della Juventus celebra la sua squadra in testa alla classifica, affronta tutte le questioni legate a Calciopoli. Rivoluzione Agnelli «Manca un sistema di regole e di governo che permetta al calcio di svilupparsi. Ci sono anche troppe squadre pro, 40 basterebbero» di DANIELE DALLERA & ROBERTO PERRONE (CorSera 24-12-2011) TORINO—Il bambino di nome Andrea con i calzoni corti è in piedi vicino alla panchina dove siede suo padre Umberto e guarda avanti. Distanti un paio di metri, ma la direzione degli occhi è la stessa. Sulla panchina, accanto al padre Umberto c’è un signore. «Mi hanno detto chi è, ma non ricordo il nome, è qualcuno di Villar Perosa». Juventus dinastica e popolare. La foto l’ha trovata rivoluzionando (anche) l’arredamento della sede sociale. Andrea Agnelli, il rinnovatore. È stato allora che ha pensato: farò il presidente della Juventus? «Non l’ho mai pensato, gli eventi si evolvono e possono portare ad assumere certe responsabilità. Il fatto che ci sia stato l’impegno diretto di uno della famiglia dimostra quanto la Juve stia a cuore a tutti noi». Come affronta questo peso? «Uno un po’ ci cresce, ti motivano. Una medaglia ha sempre due facce, privilegi e responsabilità ». Dopo un anno e mezzo da presidente, com’è la bilancia? «L’elemento che mi ha colpito di più è la totale assenza di un sistema di governo e di regole che possa permettere al calcio di svilupparsi. Mi sono confrontato con un sistema in stallo che paghiamo col ranking Uefa e la difficoltà a proporci in Europa come organizzatori di grandi eventi. Al pari del Paese, anche il sistema dello sport ha necessità di riformarsi». E invece per quello che riguarda la Juventus? «Qui siamo padroni del nostro destino. Quello che non si vede è stato il profondo rinnovamento della società. Uno semina, lavora e dopo arrivano i frutti». I frutti già si vedono, la Juve è prima. «Ha ragione Conte: se l’avessero detto a luglio che a dicembre saremmo stati primi in classifica e imbattuti nessuno l’avrebbe creduto. La direzione è giusta. Da qui possiamo cominciare a costruire inserendo, in un impianto esistente, uno o due giocatori all’anno». Perché ha scelto Conte? «La sua determinazione, la sua competenza, la sua grinta, la sua voglia di far bene sposavano appieno il cambiamento che io ho portato in Juventus. Il rapporto con lui è vecchio di vent’anni, l’ho rivisto e ho capito cosa poteva trasmettere». Discute le sue scelte tattico-tecniche? «Non esiste che un presidente dica: facciamo giocare questa formazione. Esistono responsabilità e competenze. E mi comporterei allo stesso modo se parlassimo di una fabbrica di bulloni. Dopo si commenta». Ha paura di gennaio, il mese nero della Juve? «Non sono scaramantico. A Tokyo, prima della finale della Coppa Intercontinentale del 1996 comprai una giacca. Mi sono chiesto: la metto o non la metto? L’ho messa. Se bastasse mettere o non mettere una giacca per vincere o non vincere saremmo campioni tutti gli anni ». Chi era lo juventino della sua adolescenza-giovinezza? «Sono cresciuto prima con Gentile e poi con Montero. Nessuna finezza in campo. Sono un difensore, ho giocato fino ai giovanissimi, poi sono andato in Inghilterra e ho continuato lì. E continuo ancora». Ah, la famosa partitella del giovedì con Nedved. «Con venti persone tra cui anche Pavel». Milan-Juve, foto d’altri tempi. «Non c’è solo ilMilan. Si gioca partita dopo partita e i conti si fanno a maggio». La sorpresa del campionato? «È un campionato altamente incerto, con squadre medio-piccole che stanno facendo bene anche grazie alla redistribuzione dei diritti tv: il Chievo con il solo differenziale dei diritti tv paga tutto il monte ingaggi». Questo per voi «grandi» non è giusto. «Non è questione di giusto o sbagliato, tolta la Spagna, tutte le altre nazioni viaggiano su un principio di diritti collettivi. Il fatto è che l’anno scorso con accordi presi e documenti già firmati, una delibera ha modificato il sistema di quantificazione del bacino d’utenza: 200 milioni. Noi avevamo una pianificazione di un certo tipo e ci è cambiata in corsa ». Lei sarebbe per una riduzione delle società professionistiche? «Drastica. Io sarei per allinearci alla Spagna, 40, 42. Serie A, serie B, una riga qua. Quando uno fa dalla A alla B già ha degli sconquassi, dalla B alla C non ne parliamo. Prendete la classifica della Lega Pro: accanto a metà delle squadre c’è l’asterisco: 2, 3, 4 punti di penalizzazione. Non giustifico nessuno ma quando si scommette sugli avvenimenti sportivi e io non ti pago lo stipendio, poi è più facile rubare». Inevitabile capitolo sullo scudetto 2006 e dintorni. A che punto siamo? «Sono uscite delle notizie importanti, anche se da verificare. Nell’esposto nel maggio del 2010 chiedemmo se sussistevano le condizioni per le quali il commissario straordinario assegnò lo scudetto all’Inter. La relazione di Palazzi dice di sì, l’intervista pubblicata dal Corriere dello Sport ieri svela che l’inchiesta fu sommaria. Non ci si rende conto di quello che ha determinato il 2006 per noi. Abbiamo richieste, le più diverse, di risarcimento danni per circa 600 milioni di euro. Con la nostra siamo a quasi unmiliardo che pende. Chiudere con "fu giustizia sommaria ci spiace", come si voleva fare con il documento non firmato al tavolo del Coni, non è semplicissimo». Lei difende i 29 scudetti della Juve, parla di squadra che vinceva sul campo, ma non menziona mai i dirigenti. «Innanzitutto scomponiamo. Noi abbiamo un anno sotto inchiesta, il 2004-2005. Il 2005-2006 è pulito: subiamo la penalizzazione su un anno in cui non c’è niente e i designatori arbitrali sono cambiati. Se il capo dello sport e quello del calcio mi parlano di giustizia sommaria, quali che fossero i dirigenti, fu giustizia sommaria. E poi siamo entrati in un procedimento penale: i giudizi li possiamo dare solo alla fine». Ma lei non crede che, comunque, quel sistema in cui controllati e controllori erano tutti amici e commensali fosse da estirpare? «Sì. Ma di arbitri si parla ancora adesso e poi, conoscendo il carattere delle persone, c’è chi è più riservato e c’è chi è più colorito, anche quando parla al telefono». Altra obiezione. Le telefonate di Moggi sono molto diverse, nei toni, da quelle di Facchetti. «Perché allora si accusa la Juventus di articolo 1 e l’Inter di articolo 6? Se io sto a quello che è l’impianto accusatorio del procuratore federale, nei confronti dell’Inter è molto più severo. Questo è Palazzi, risponde lui». Proposta di pace: la Juve rinuncia ai due scudetti e l’Inter a quello a tavolino. Amen. «No. Credo che ci sia la necessità di fare chiarezza, quando avremo il quadro completo si potrà passare a una negoziazione politica». Lei e Moratti che rapporti personali avete? «A monte di tutto c’è l’educazione e la civiltà. Abbiamo posizioni diverse, ma senza astio o mancanza di rispetto». Nessun astio neanche con Del Piero, da lei prepensionato? «A me affascina, lo confesso, il sistema di prendere delle affermazioni e rivoltarle. Fu Alex, cinque mesi prima, a dire che avrebbe firmato il suo ultimo contratto con la Juve». Per il popolo Del Piero è ancora il supereroe. «Il bello di Del Piero è che lo sarà sempre un supereroe della Juve». E il suo, in questa squadra? «Il supereroe è sempre la squadra, il gruppo». Ma chi si avvicina a Gentile e Montero? «Un duro come Chiellini». Quanto tempo dedica alla Juve? «La mia giornata lavorativa va dalle 8 alle 20 e la Juve in questo momento prende nove, dieci ore». Da suo padre dirigente che cosa ha ereditato? «Le due epoche sono troppo diverse. Per quello che riguarda il resto anche il fatto che mi dicano che gli assomiglio è già moltissimo ». Ha appena avuto il secondo figlio, che cosa spera per i suoi bambini? «Uno per i figli spera sempre il meglio, non pensa al contesto. A proposito: Giacomo Dai è Davide in gaelico. Mia moglie ha questa origine. Non è una stranezza».
  14. AGNELLI Il presidente della Juventus si svela Chiede parità di trattamento e sogna nuovi successi. Dentro e fuori dal campo La Juve per me è... «Juve, giustizia e vittorie!» «Nell’intervista all’investigatore che avete pubblicato, la conferma che in Calciopoli ci sono troppe domande senza risposta. Ma questa squadra ci farà tornare grandi» di ALESSANDRO VOCALELLI & ANTONIO BARILLÀ (CorSport 24-12-2011) Trentasei anni da tifoso, diciotto mesi da presidente: una fusione di management e passione, i sogni accarezzati che diventano strategie. Andrea Agnelli non spaccia illusioni, conosce la fragilità dei traguardi d'inverno, però in questa Juve ha fiducia, ritrova la qualità e il carattere d'un tempo. Ha azzerato, spianato, ricostruito. E ha sopportato una stagione d'assestamento e di amarezze. Adesso, però, la base è solida: un paio di innesti all'anno per perfezionarsi e trasformare i successi in abitudine. Agnelli vuole vincere perché lo esige il dna bianconero e per chiudere il cerchio dopo Calciopoli: chiede giustizia e parità di trattamento, però sa guardare oltre e pensare in grande. Vuole una Juve migliore e un calcio migliore, vittorie rotonde e riforme decisive, regole nuove che rispondano alle esigenze inascoltate di un calcio che è amore ma anche business. Combattivo, tenace e bianconero: forse per questo è felicissimo di Conte. Il lavoro del vecchio capitano non lo stupisce e la classifica non vale però è ricca di promesse: non spaccia illusioni, Agnelli, però si scopre a sognare. Come tutti i tifosi: lui, in più, è presidente. Presidente Andrea Agnelli, che effetto fanno le rivelazioni su Calciopoli confidate al nostro giornale da un investigatore? «Faccio un piccolo passo indietro e torno al tavolo voluto da Petrucci. E' stata una giornata importante perché ha riunito persone direttamente coinvolte nel 2006, il capo dello sport e il presidente della Figc: ognuno è rimasto sulle proprie posizioni, ma il documento finale che era stato preparato riconosce - anche se non è stato sottoscritto da tutti - che ci fu giustizia sommaria. La vostra intervista conferma quanto emerso negli ultimi anni e rafforza la necessità di avere un quadro completo, capire cosa accadde ed entrare nel merito. L'inquirente racconta di telefonate che non c'erano, di altre tolte e di un diverbio: elementi che devono essere valutati da un giudice, non è plausibile che in un piccolo sistema di venti squadre ci sia tanta disparità di trattamento» Quando scoppiò Calciopoli, lei non era ancora presidente della Juve: ebbe comunque, da tifoso, la sensazione che ci fosse qualcosa di scivoloso e di imperfetto? «Il quadro di allora era diverso da oggi. Quando vennero fuori le prime intercettazioni, pensai a una strana coincidenza: ogni volta che stavamo per vincere un titolo, balzava fuori qualcosa, l'anno prima c'era stato il video della flebo di Cannavaro. Poi, improvviso, è arrivato lo tsunami, e parlare di sensazioni, in quei momenti, è difficile. La Juve ha pagato in maniera dura: se la società non avesse varato l'aumento di capitale e lavorato per tornare ai vertici, avrebbe potuto precipitare davvero in categorie minori. Adesso esigiamo parità di trattamento». Al tavolo s'è parlato della relazione di Palazzi? E' anomalo che non se ne tenga conto... «L'istituto prescrizione non l'ho istituito io. La Juve è stata condannata per una serie di violazioni dell'articolo 1, la cui somma ha configurato violazione dell'articolo 6. Per l'Inter, invece, l'articolo 6 è stato tirato in ballo direttamente da Palazzi. Ricordo anche che l'annata sportiva 2005-2006 è immacolata, non c'erano più nemmeno Bergamo e Pairetto come designatori. Questo deve far riflettere, ci sono società e persone fisiche che hanno subito condanne: non si può far finta di nulla e dire "è stata giustizia sommaria, andiamo avanti". Ci sono richieste danni per centinaia di milioni». L'investigatore racconta perfino di un audio che potrebbe scagionare Della Valle e di cui non c'è traccia: che ne pensa? «Che ci sono troppe domande in attesa di risposta: dall'intervista emerge che è stato commesso un reato, che sono state intercettate utenze internazionali senza permesso, vien fuori che ci fu una lite per chiudere il caso o andare avanti e sarebbe importante sapere perché si proseguì. Il 12 maggio 2006, il presidente Abete dettò una dichiarazione che torna d'attualità: "Considerati l'importanza e il rilievo che il calcio riveste nel nostro Paese anche sotto il profilo sociale, riteniamo positivo che si faccia di tutto per l'accertamento di quanto avvenuto, avendo come obiettivo prioritario quello di garantire il massimo livello di chiarezza e trasparenza”». C'è imbarazzo, da parte vostra, nel confronto quotidiano con la Federazione? «A livello politico, faccio fatica a confrontarmi in generale: ci sono le stesse persone, più o meno, e hanno il dovere di mettere a disposizione degli associati strumenti che garantiscano parità di trattamento». Cosa pensa della denuncia di Della Valle a Guido Rossi? «Non entro in personalismi: per me Rossi rappresentava la Federazione, ha agito in suo nome e per suo conto». Cosa sarebbe successo se Moratti avesse fatto un gesto distensivo, rinunciando allo scudetto? «La relazione è lì, ma non m'addentro: ognuno ha una sua coscienza e le sue profonde convinzioni». Che rapporti ha con il presidente nerazzurro? «Di educazione e civiltà: devono rimanere tali e sarebbe bello se si estendessero ai tifosi. Non siamo in guerra, il calcio è un grande spettacolo di sport, e l'Inter è lì per caso: se fosse arrivata terza un'altra squadra, avremmo chiesto comunque se era giusto assegnarle lo scudetto». Ritiene sia stato frettoloso, al tempo, scaricare Moggi e Giraudo? «All'epoca il quadro sembrava completo, con un impianto accusatorio violentissimo e un'attenzione altrettanto violenta da parte dei media che imponeva di decidere in fretta. Noi accettammo tutto, l'esposto è nato per l'assegnazione dello scudetto: abbiamo chiesto se permanevano i requisiti senza entrare nel merito della decisione del 2006. La nostra domanda è molto semplice: "Fu giusto assegnarlo?" Ognuno, naturalmente, ha un'opinione». Come finirebbe, secondo lei, un'ipotetica sfida tra l'Inter del triplete e la Juventus di Capello? «Nessun dubbio: vinciamo noi 3-0» Quella fu l'ultima grande Juve, ma ora state tornando ai vertici. . . «Sin dal mio primo giorno di presidenza lavoriamo per tornare a vincere sul campo. Abbiamo trasformato la società, con dirigenti tutti nuovi, e cambiato profondamente la squadra. Sapevamo che il primo anno sarebbe stato difficile e il secondo di completamento: adesso c'è un buon impianto, possiamo ragionare su uno o due inserimenti a stagione per crescere». C'è stato un momento, in estate, in cui la Juve poteva diventare di Mazzarri? «E' stata sempre la Juve di Conte». Chi ha scelto il vecchio capitano? «Tutte le decisioni, con riferimento alla parte sportiva, vengono prese di comune accordo con Marotta, Paratici e Nedved. Quando si è creata la possibilità di ingaggiare Antonio, è stato chiaro a tutti che fosse una scelta idonea. I risultati che ha ottenuto non mi stupiscono: lo conosco da vent'anni, ne ho ben presenti qualità, doti umane e competenza». Un suo difetto? «Gli manca un filo d'esperienza, come manca a me. Ma entusiasmo giovanile ed esperienza non possono coesistere». Come è nata l'idea Pirlo? «Il compito dell'area sportiva è monitorare le occasioni di mercato che si creano. Se devo essere sincero, mi ha stupito l'iniziale scetticismo: oggi piovono complimenti, ma in estate si sussurrava "è rotto" oppure "è vecchio"». Il Milan portò via il regista all'Inter e costruì un ciclo vincente: la storia si ripete in bianconero? «La qualità di Pirlo è assoluta, ma io ho una convinzione: in campo si va in undici e un solo campione, per quanto straordinario, non fa la differenza». In diciotto mesi di presidenza, c'è un calciatore che ha cercato con forza e non è riuscito a prendere? «No, perché abbiamo lavorato in emergenza, avviato la rifondazione senza avere ancora una strategia. Rimpianti potranno esserci soltanto dall'anno prossimo, quando potremo muoverci con serenità sul mercato e completare, con pochi innesti, l'organico». Da presidente tifoso, le capita di "innamorarsi" d'un fuoriclasse e suggerirlo ai suoi dirigenti? «Mi innamoro solo della squadra. E se si assumono professionisti è per attribuirgli responsabilità e lasciarli lavorare». Con il senno di poi, l'annuncio dell'addio di Del Piero non meritava una maggiore solennità? «A me spiace che un gesto d'affetto sia stato interpretato come un atto ostile. Fu Del Piero, al momento delle firme, a dire che era il suo ultimo contratto con la Juve: perché tanto stupore se cinque mesi dopo viene chiesto un tributo? Lui è la storia, come Boniperti e Platini». Pensate già alla partita d'addio? «No, pensiamo a Lecce-Juventus dell’8 gennaio». Qual è il ruolo di Nedved in società? Non sembra ben definito. . . «Ho fiducia nei suoi giudizi e ho voluto coinvolgerlo nel progetto, ma aveva smesso di giocare da appena un anno e non ha voluto una carica definita. Essere consigliere di amministrazione significa abbracciare la società nella sua interezza: Pavel, per quel che rappresenta, è prezioso anche nel commerciale, però la sua inclinazione è sportiva». Lo scudetto è un duello Juve-Milan? O una lotta a quattro con Lazio e Udinese? Oppure a sette con Roma, Inter e Napoli? «A sette: mancano ventidue partite e tutto è aperto» La Champions League è una priorità? «E' un traguardo perché dà accesso a voci di ricavi importanti, ma non è giusto dire che l'obiettivo della Juve è arrivare terza. Crediamo in noi stessi, pur senza illudere nessuno: veniamo da stagioni tribolate e tumultuose, non possiamo dire di essere i più forti. Abbiamo gli stessi punti del Milan, ma i campioni d'Italia sono favoriti per definizione. Udinese, Napoli e Lazio hanno un'ottima organizzazione di gioco. L'Inter sta rientrando. La Roma è in una situazione simile alla nostra: ha cambiato molto e sta trovando l'amalgama». Contro il Novara, avevate dieci italiani in campo: orgoglio, scelta o casualità? «Un po' tutto: non è che non vogliamo giocatori stranieri, ma non possiamo permetterci di sbagliare né concedere a più calciatori tempo per adattarsi». A gennaio arriverà Borriello? «Valuteremo le opportunità del mercato. Quello invernale è particolare, se una squadra vuol liberarsi di un giocatore significa che ci sono problemi e quindi bisogna stare attenti: con Barzagli, però, abbiamo fatto un ottimo affare». Krasic partirà? «Può capitare, per mille motivi, di perdere fiducia in se stessi: magari diventerà il nostro miglior acquisto di gennaio» Che idea s'è fatto della brutta storia delle scommesse? «Bisogna aprire un capitolo ampio, chiedersi perché avviene tutto questo. In Italia ci sono più squadre professionistiche che in qualsiasi Paese, le classifiche delle categorie minori sono punteggiate da penalizzazioni, il calcio e lo sport non funzionano, le riforme latitano. Sia chiaro, non giustifico chi sbaglia, però osservo che chi batte i campi minori e non prende lo stipendio da mesi può trovarsi in situazioni difficili e cadere in tentazione. E' il momento di intervenire, di ragionare su chi governa e sullo statuto, di rivisitare le norme sugli impianti sportivi, sulla tutela dei marchi, sui diritti tv. Anche in Europa ci sono situazioni su cui riflettere: continuiamo a perdere posizione nel ranking Uefa, ma è giusto che Europa League e Champions diano lo stesso coeficiente? Ha senso avere due competizioni? Non è meglio una sola che assegni maggiori posizioni ai Paesi che più contribuiscono ai ricavi Uefa? Oggi c'è troppa aleatorietà e non partecipare alla Champions League è più dannoso che retrocedere in B». La situazione è di stallo... «Siamo parecchio indietro: si parla, ma non si fa. Il sistema e chi ha un ruolo nel sistema deve muoversi: se vogliamo bene al calcio e allo sport, dobbiamo ascoltare le esigenze di riforma e lavorare per ridare competitività al movimento». Con la costruzione dello stadio, la Juve ha dato un esempio. . . «In nove giornate, è sempre stato esaurito: se l'impianto è accattivante, la gente si avvicina. E il valore dell'abbonamento diventa sicurezza di assistere allo spettacolo» . C'è un fuoriclasse che sogna di vedere nel nuovo stadio con la maglia bianconera? «In questo momento conta l'equilibrio di squadra: il sogno è tornare presto a vincere sul campo, perché quel giorno si chiuderà un cerchio». Cosa vuol dire ai tifosi della Juve? «Che è bellissimo vedere lo stadio pieno, è bellissimo sentirli cantare ed è bellissimo stare tutti insieme a casa nostra».
  15. L’intervista Il numero uno della Juventus celebra la sua squadra in testa alla classifica, affronta tutte le questioni legate a Calciopoli. Rivoluzione Agnelli «Manca un sistema di regole e di governo che permetta al calcio di svilupparsi. Ci sono anche troppe squadre pro, 40 basterebbero» di DANIELE DALLERA & ROBERTO PERRONE (CorSera 24-12-2011) TORINO—Il bambino di nome Andrea con i calzoni corti è in piedi vicino alla panchina dove siede suo padre Umberto e guarda avanti. Distanti un paio di metri, ma la direzione degli occhi è la stessa. Sulla panchina, accanto al padre Umberto c’è un signore. «Mi hanno detto chi è, ma non ricordo il nome, è qualcuno di Villar Perosa». Juventus dinastica e popolare. La foto l’ha trovata rivoluzionando (anche) l’arredamento della sede sociale. Andrea Agnelli, il rinnovatore. È stato allora che ha pensato: farò il presidente della Juventus? «Non l’ho mai pensato, gli eventi si evolvono e possono portare ad assumere certe responsabilità. Il fatto che ci sia stato l’impegno diretto di uno della famiglia dimostra quanto la Juve stia a cuore a tutti noi». Come affronta questo peso? «Uno un po’ ci cresce, ti motivano. Una medaglia ha sempre due facce, privilegi e responsabilità ». Dopo un anno e mezzo da presidente, com’è la bilancia? «L’elemento che mi ha colpito di più è la totale assenza di un sistema di governo e di regole che possa permettere al calcio di svilupparsi. Mi sono confrontato con un sistema in stallo che paghiamo col ranking Uefa e la difficoltà a proporci in Europa come organizzatori di grandi eventi. Al pari del Paese, anche il sistema dello sport ha necessità di riformarsi». E invece per quello che riguarda la Juventus? «Qui siamo padroni del nostro destino. Quello che non si vede è stato il profondo rinnovamento della società. Uno semina, lavora e dopo arrivano i frutti». I frutti già si vedono, la Juve è prima. «Ha ragione Conte: se l’avessero detto a luglio che a dicembre saremmo stati primi in classifica e imbattuti nessuno l’avrebbe creduto. La direzione è giusta. Da qui possiamo cominciare a costruire inserendo, in un impianto esistente, uno o due giocatori all’anno». Perché ha scelto Conte? «La sua determinazione, la sua competenza, la sua grinta, la sua voglia di far bene sposavano appieno il cambiamento che io ho portato in Juventus. Il rapporto con lui è vecchio di vent’anni, l’ho rivisto e ho capito cosa poteva trasmettere». Discute le sue scelte tattico-tecniche? «Non esiste che un presidente dica: facciamo giocare questa formazione. Esistono responsabilità e competenze. E mi comporterei allo stesso modo se parlassimo di una fabbrica di bulloni. Dopo si commenta». Ha paura di gennaio, il mese nero della Juve? «Non sono scaramantico. A Tokyo, prima della finale della Coppa Intercontinentale del 1996 comprai una giacca. Mi sono chiesto: la metto o non la metto? L’ho messa. Se bastasse mettere o non mettere una giacca per vincere o non vincere saremmo campioni tutti gli anni ». Chi era lo juventino della sua adolescenza-giovinezza? «Sono cresciuto prima con Gentile e poi con Montero. Nessuna finezza in campo. Sono un difensore, ho giocato fino ai giovanissimi, poi sono andato in Inghilterra e ho continuato lì. E continuo ancora». Ah, la famosa partitella del giovedì con Nedved. «Con venti persone tra cui anche Pavel». Milan-Juve, foto d’altri tempi. «Non c’è solo ilMilan. Si gioca partita dopo partita e i conti si fanno a maggio». La sorpresa del campionato? «È un campionato altamente incerto, con squadre medio-piccole che stanno facendo bene anche grazie alla redistribuzione dei diritti tv: il Chievo con il solo differenziale dei diritti tv paga tutto il monte ingaggi». Questo per voi «grandi» non è giusto. «Non è questione di giusto o sbagliato, tolta la Spagna, tutte le altre nazioni viaggiano su un principio di diritti collettivi. Il fatto è che l’anno scorso con accordi presi e documenti già firmati, una delibera ha modificato il sistema di quantificazione del bacino d’utenza: 200 milioni. Noi avevamo una pianificazione di un certo tipo e ci è cambiata in corsa ». Lei sarebbe per una riduzione delle società professionistiche? «Drastica. Io sarei per allinearci alla Spagna, 40, 42. Serie A, serie B, una riga qua. Quando uno fa dalla A alla B già ha degli sconquassi, dalla B alla C non ne parliamo. Prendete la classifica della Lega Pro: accanto a metà delle squadre c’è l’asterisco: 2, 3, 4 punti di penalizzazione. Non giustifico nessuno ma quando si scommette sugli avvenimenti sportivi e io non ti pago lo stipendio, poi è più facile rubare». Inevitabile capitolo sullo scudetto 2006 e dintorni. A che punto siamo? «Sono uscite delle notizie importanti, anche se da verificare. Nell’esposto nel maggio del 2010 chiedemmo se sussistevano le condizioni per le quali il commissario straordinario assegnò lo scudetto all’Inter. La relazione di Palazzi dice di sì, l’intervista pubblicata dal Corriere dello Sport ieri svela che l’inchiesta fu sommaria. Non ci si rende conto di quello che ha determinato il 2006 per noi. Abbiamo richieste, le più diverse, di risarcimento danni per circa 600 milioni di euro. Con la nostra siamo a quasi unmiliardo che pende. Chiudere con "fu giustizia sommaria ci spiace", come si voleva fare con il documento non firmato al tavolo del Coni, non è semplicissimo». Lei difende i 29 scudetti della Juve, parla di squadra che vinceva sul campo, ma non menziona mai i dirigenti. «Innanzitutto scomponiamo. Noi abbiamo un anno sotto inchiesta, il 2004-2005. Il 2005-2006 è pulito: subiamo la penalizzazione su un anno in cui non c’è niente e i designatori arbitrali sono cambiati. Se il capo dello sport e quello del calcio mi parlano di giustizia sommaria, quali che fossero i dirigenti, fu giustizia sommaria. E poi siamo entrati in un procedimento penale: i giudizi li possiamo dare solo alla fine». Ma lei non crede che, comunque, quel sistema in cui controllati e controllori erano tutti amici e commensali fosse da estirpare? «Sì. Ma di arbitri si parla ancora adesso e poi, conoscendo il carattere delle persone, c’è chi è più riservato e c’è chi è più colorito, anche quando parla al telefono». Altra obiezione. Le telefonate di Moggi sono molto diverse, nei toni, da quelle di Facchetti. «Perché allora si accusa la Juventus di articolo 1 e l’Inter di articolo 6? Se io sto a quello che è l’impianto accusatorio del procuratore federale, nei confronti dell’Inter è molto più severo. Questo è Palazzi, risponde lui». Proposta di pace: la Juve rinuncia ai due scudetti e l’Inter a quello a tavolino. Amen. «No. Credo che ci sia la necessità di fare chiarezza, quando avremo il quadro completo si potrà passare a una negoziazione politica». Lei e Moratti che rapporti personali avete? «A monte di tutto c’è l’educazione e la civiltà. Abbiamo posizioni diverse, ma senza astio o mancanza di rispetto». Nessun astio neanche con Del Piero, da lei prepensionato? «A me affascina, lo confesso, il sistema di prendere delle affermazioni e rivoltarle. Fu Alex, cinque mesi prima, a dire che avrebbe firmato il suo ultimo contratto con la Juve». Per il popolo Del Piero è ancora il supereroe. «Il bello di Del Piero è che lo sarà sempre un supereroe della Juve». E il suo, in questa squadra? «Il supereroe è sempre la squadra, il gruppo». Ma chi si avvicina a Gentile e Montero? «Un duro come Chiellini». Quanto tempo dedica alla Juve? «La mia giornata lavorativa va dalle 8 alle 20 e la Juve in questo momento prende nove, dieci ore». Da suo padre dirigente che cosa ha ereditato? «Le due epoche sono troppo diverse. Per quello che riguarda il resto anche il fatto che mi dicano che gli assomiglio è già moltissimo ». Ha appena avuto il secondo figlio, che cosa spera per i suoi bambini? «Uno per i figli spera sempre il meglio, non pensa al contesto. A proposito: Giacomo Dai è Davide in gaelico. Mia moglie ha questa origine. Non è una stranezza».
  16. La famiglia Agnelli e la Juve, una storia infinita «L’eredità di Gianni e papà Umberto? Grandi attese, grandi soddisfazioni» di ALESSANDRO VOCALELLI & ANTONIO BARILLÀ (CorSport 24-12-2011) TORINO - Andrea Agnelli presidente. Come papà Umberto e zio Gianni. Figure carismatiche e paragoni insistenti, sottrarsi è pressoché impossibile: « Nella mia famiglia c'erano nomi ricorrenti come Giovanni ed Edoardo: da ragazzino ero contento perché Andrea ero solo io. Mio padre e mio zio hanno dato tanto alla Juventus, hanno fatto sognare in ambito sportivo ed è bello ricordarli, però cerco sempre di essere me stesso». Non c'è ombra di narcisimo o supponenza, solo voglia di imprimere un'impronta personale e consegnare, al limite, i confronti al futuro. Intanto, con un filo di malinconia, riconosce che un confronto gli manca: « Quello sano e genuino con un padre. . . ». DIFENSORE - Essere presidente della Juve e chiamarsi Agnelli può essere un vantaggio oppure un peso, ma Andrea non ci bada più di tanto perché convive da sempre con le due facce di un cognome prestigioso: « Hai privilegi ma anche responsabilità, facilitazioni e complicazioni al tempo stesso. Le aspettative sono sempre maggiori e per questo, però, le soddisfazioni più belle». Finanziere e capitano d'industria predestinato, ha sognato come tutti di fare il calciatore: « Credo che qualsiasi bambino voglia sollevare la Coppa del Mondo. Non sono diventato un campione, però amo il calcio e ci gioco ancora: difensore». FANTASIA - Tra pochi anni, con la fantasia dei piccini, trasformerà il giardino in stadio anche Giacomo, il figlioletto appena nato: « Se mi piacerebbe diventasse un campione? E' giusto che i bambini seguano i propri sogni: i papà e le mamme possono solo agevolarli. Non sarò io a indirizzarlo al calcio oppure allo studio di medicina o filosofia. Certo, è importante fare sport perché lo sport trasmette valori educativi, però la disciplina è indifferente: volley o pallacanestro andrebbero bene lo stesso». Anche Giacomo è un nome unico in famiglia: « Ne cercavamo uno italiano che ci piacesse, ma con una pronuncia semplice nella traduzione inglese. E Dai, il secondo nome, vuol dire Davide in gaelico».
  17. AGNELLI Il presidente della Juventus si svela Chiede parità di trattamento e sogna nuovi successi. Dentro e fuori dal campo La Juve per me è... «Juve, giustizia e vittorie!» «Nell’intervista all’investigatore che avete pubblicato, la conferma che in Calciopoli ci sono troppe domande senza risposta. Ma questa squadra ci farà tornare grandi» di ALESSANDRO VOCALELLI & ANTONIO BARILLÀ (CorSport 24-12-2011) Trentasei anni da tifoso, diciotto mesi da presidente: una fusione di management e passione, i sogni accarezzati che diventano strategie. Andrea Agnelli non spaccia illusioni, conosce la fragilità dei traguardi d'inverno, però in questa Juve ha fiducia, ritrova la qualità e il carattere d'un tempo. Ha azzerato, spianato, ricostruito. E ha sopportato una stagione d'assestamento e di amarezze. Adesso, però, la base è solida: un paio di innesti all'anno per perfezionarsi e trasformare i successi in abitudine. Agnelli vuole vincere perché lo esige il dna bianconero e per chiudere il cerchio dopo Calciopoli: chiede giustizia e parità di trattamento, però sa guardare oltre e pensare in grande. Vuole una Juve migliore e un calcio migliore, vittorie rotonde e riforme decisive, regole nuove che rispondano alle esigenze inascoltate di un calcio che è amore ma anche business. Combattivo, tenace e bianconero: forse per questo è felicissimo di Conte. Il lavoro del vecchio capitano non lo stupisce e la classifica non vale però è ricca di promesse: non spaccia illusioni, Agnelli, però si scopre a sognare. Come tutti i tifosi: lui, in più, è presidente. Presidente Andrea Agnelli, che effetto fanno le rivelazioni su Calciopoli confidate al nostro giornale da un investigatore? «Faccio un piccolo passo indietro e torno al tavolo voluto da Petrucci. E' stata una giornata importante perché ha riunito persone direttamente coinvolte nel 2006, il capo dello sport e il presidente della Figc: ognuno è rimasto sulle proprie posizioni, ma il documento finale che era stato preparato riconosce - anche se non è stato sottoscritto da tutti - che ci fu giustizia sommaria. La vostra intervista conferma quanto emerso negli ultimi anni e rafforza la necessità di avere un quadro completo, capire cosa accadde ed entrare nel merito. L'inquirente racconta di telefonate che non c'erano, di altre tolte e di un diverbio: elementi che devono essere valutati da un giudice, non è plausibile che in un piccolo sistema di venti squadre ci sia tanta disparità di trattamento» Quando scoppiò Calciopoli, lei non era ancora presidente della Juve: ebbe comunque, da tifoso, la sensazione che ci fosse qualcosa di scivoloso e di imperfetto? «Il quadro di allora era diverso da oggi. Quando vennero fuori le prime intercettazioni, pensai a una strana coincidenza: ogni volta che stavamo per vincere un titolo, balzava fuori qualcosa, l'anno prima c'era stato il video della flebo di Cannavaro. Poi, improvviso, è arrivato lo tsunami, e parlare di sensazioni, in quei momenti, è difficile. La Juve ha pagato in maniera dura: se la società non avesse varato l'aumento di capitale e lavorato per tornare ai vertici, avrebbe potuto precipitare davvero in categorie minori. Adesso esigiamo parità di trattamento». Al tavolo s'è parlato della relazione di Palazzi? E' anomalo che non se ne tenga conto... «L'istituto prescrizione non l'ho istituito io. La Juve è stata condannata per una serie di violazioni dell'articolo 1, la cui somma ha configurato violazione dell'articolo 6. Per l'Inter, invece, l'articolo 6 è stato tirato in ballo direttamente da Palazzi. Ricordo anche che l'annata sportiva 2005-2006 è immacolata, non c'erano più nemmeno Bergamo e Pairetto come designatori. Questo deve far riflettere, ci sono società e persone fisiche che hanno subito condanne: non si può far finta di nulla e dire "è stata giustizia sommaria, andiamo avanti". Ci sono richieste danni per centinaia di milioni». L'investigatore racconta perfino di un audio che potrebbe scagionare Della Valle e di cui non c'è traccia: che ne pensa? «Che ci sono troppe domande in attesa di risposta: dall'intervista emerge che è stato commesso un reato, che sono state intercettate utenze internazionali senza permesso, vien fuori che ci fu una lite per chiudere il caso o andare avanti e sarebbe importante sapere perché si proseguì. Il 12 maggio 2006, il presidente Abete dettò una dichiarazione che torna d'attualità: "Considerati l'importanza e il rilievo che il calcio riveste nel nostro Paese anche sotto il profilo sociale, riteniamo positivo che si faccia di tutto per l'accertamento di quanto avvenuto, avendo come obiettivo prioritario quello di garantire il massimo livello di chiarezza e trasparenza”». C'è imbarazzo, da parte vostra, nel confronto quotidiano con la Federazione? «A livello politico, faccio fatica a confrontarmi in generale: ci sono le stesse persone, più o meno, e hanno il dovere di mettere a disposizione degli associati strumenti che garantiscano parità di trattamento». Cosa pensa della denuncia di Della Valle a Guido Rossi? «Non entro in personalismi: per me Rossi rappresentava la Federazione, ha agito in suo nome e per suo conto». Cosa sarebbe successo se Moratti avesse fatto un gesto distensivo, rinunciando allo scudetto? «La relazione è lì, ma non m'addentro: ognuno ha una sua coscienza e le sue profonde convinzioni». Che rapporti ha con il presidente nerazzurro? «Di educazione e civiltà: devono rimanere tali e sarebbe bello se si estendessero ai tifosi. Non siamo in guerra, il calcio è un grande spettacolo di sport, e l'Inter è lì per caso: se fosse arrivata terza un'altra squadra, avremmo chiesto comunque se era giusto assegnarle lo scudetto». Ritiene sia stato frettoloso, al tempo, scaricare Moggi e Giraudo? «All'epoca il quadro sembrava completo, con un impianto accusatorio violentissimo e un'attenzione altrettanto violenta da parte dei media che imponeva di decidere in fretta. Noi accettammo tutto, l'esposto è nato per l'assegnazione dello scudetto: abbiamo chiesto se permanevano i requisiti senza entrare nel merito della decisione del 2006. La nostra domanda è molto semplice: "Fu giusto assegnarlo?" Ognuno, naturalmente, ha un'opinione». Come finirebbe, secondo lei, un'ipotetica sfida tra l'Inter del triplete e la Juventus di Capello? «Nessun dubbio: vinciamo noi 3-0» Quella fu l'ultima grande Juve, ma ora state tornando ai vertici. . . «Sin dal mio primo giorno di presidenza lavoriamo per tornare a vincere sul campo. Abbiamo trasformato la società, con dirigenti tutti nuovi, e cambiato profondamente la squadra. Sapevamo che il primo anno sarebbe stato difficile e il secondo di completamento: adesso c'è un buon impianto, possiamo ragionare su uno o due inserimenti a stagione per crescere». C'è stato un momento, in estate, in cui la Juve poteva diventare di Mazzarri? «E' stata sempre la Juve di Conte». Chi ha scelto il vecchio capitano? «Tutte le decisioni, con riferimento alla parte sportiva, vengono prese di comune accordo con Marotta, Paratici e Nedved. Quando si è creata la possibilità di ingaggiare Antonio, è stato chiaro a tutti che fosse una scelta idonea. I risultati che ha ottenuto non mi stupiscono: lo conosco da vent'anni, ne ho ben presenti qualità, doti umane e competenza». Un suo difetto? «Gli manca un filo d'esperienza, come manca a me. Ma entusiasmo giovanile ed esperienza non possono coesistere». Come è nata l'idea Pirlo? «Il compito dell'area sportiva è monitorare le occasioni di mercato che si creano. Se devo essere sincero, mi ha stupito l'iniziale scetticismo: oggi piovono complimenti, ma in estate si sussurrava "è rotto" oppure "è vecchio"». Il Milan portò via il regista all'Inter e costruì un ciclo vincente: la storia si ripete in bianconero? «La qualità di Pirlo è assoluta, ma io ho una convinzione: in campo si va in undici e un solo campione, per quanto straordinario, non fa la differenza». In diciotto mesi di presidenza, c'è un calciatore che ha cercato con forza e non è riuscito a prendere? «No, perché abbiamo lavorato in emergenza, avviato la rifondazione senza avere ancora una strategia. Rimpianti potranno esserci soltanto dall'anno prossimo, quando potremo muoverci con serenità sul mercato e completare, con pochi innesti, l'organico». Da presidente tifoso, le capita di "innamorarsi" d'un fuoriclasse e suggerirlo ai suoi dirigenti? «Mi innamoro solo della squadra. E se si assumono professionisti è per attribuirgli responsabilità e lasciarli lavorare». Con il senno di poi, l'annuncio dell'addio di Del Piero non meritava una maggiore solennità? «A me spiace che un gesto d'affetto sia stato interpretato come un atto ostile. Fu Del Piero, al momento delle firme, a dire che era il suo ultimo contratto con la Juve: perché tanto stupore se cinque mesi dopo viene chiesto un tributo? Lui è la storia, come Boniperti e Platini». Pensate già alla partita d'addio? «No, pensiamo a Lecce-Juventus dell’8 gennaio». Qual è il ruolo di Nedved in società? Non sembra ben definito. . . «Ho fiducia nei suoi giudizi e ho voluto coinvolgerlo nel progetto, ma aveva smesso di giocare da appena un anno e non ha voluto una carica definita. Essere consigliere di amministrazione significa abbracciare la società nella sua interezza: Pavel, per quel che rappresenta, è prezioso anche nel commerciale, però la sua inclinazione è sportiva». Lo scudetto è un duello Juve-Milan? O una lotta a quattro con Lazio e Udinese? Oppure a sette con Roma, Inter e Napoli? «A sette: mancano ventidue partite e tutto è aperto» La Champions League è una priorità? «E' un traguardo perché dà accesso a voci di ricavi importanti, ma non è giusto dire che l'obiettivo della Juve è arrivare terza. Crediamo in noi stessi, pur senza illudere nessuno: veniamo da stagioni tribolate e tumultuose, non possiamo dire di essere i più forti. Abbiamo gli stessi punti del Milan, ma i campioni d'Italia sono favoriti per definizione. Udinese, Napoli e Lazio hanno un'ottima organizzazione di gioco. L'Inter sta rientrando. La Roma è in una situazione simile alla nostra: ha cambiato molto e sta trovando l'amalgama». Contro il Novara, avevate dieci italiani in campo: orgoglio, scelta o casualità? «Un po' tutto: non è che non vogliamo giocatori stranieri, ma non possiamo permetterci di sbagliare né concedere a più calciatori tempo per adattarsi». A gennaio arriverà Borriello? «Valuteremo le opportunità del mercato. Quello invernale è particolare, se una squadra vuol liberarsi di un giocatore significa che ci sono problemi e quindi bisogna stare attenti: con Barzagli, però, abbiamo fatto un ottimo affare». Krasic partirà? «Può capitare, per mille motivi, di perdere fiducia in se stessi: magari diventerà il nostro miglior acquisto di gennaio» Che idea s'è fatto della brutta storia delle scommesse? «Bisogna aprire un capitolo ampio, chiedersi perché avviene tutto questo. In Italia ci sono più squadre professionistiche che in qualsiasi Paese, le classifiche delle categorie minori sono punteggiate da penalizzazioni, il calcio e lo sport non funzionano, le riforme latitano. Sia chiaro, non giustifico chi sbaglia, però osservo che chi batte i campi minori e non prende lo stipendio da mesi può trovarsi in situazioni difficili e cadere in tentazione. E' il momento di intervenire, di ragionare su chi governa e sullo statuto, di rivisitare le norme sugli impianti sportivi, sulla tutela dei marchi, sui diritti tv. Anche in Europa ci sono situazioni su cui riflettere: continuiamo a perdere posizione nel ranking Uefa, ma è giusto che Europa League e Champions diano lo stesso coeficiente? Ha senso avere due competizioni? Non è meglio una sola che assegni maggiori posizioni ai Paesi che più contribuiscono ai ricavi Uefa? Oggi c'è troppa aleatorietà e non partecipare alla Champions League è più dannoso che retrocedere in B». La situazione è di stallo... «Siamo parecchio indietro: si parla, ma non si fa. Il sistema e chi ha un ruolo nel sistema deve muoversi: se vogliamo bene al calcio e allo sport, dobbiamo ascoltare le esigenze di riforma e lavorare per ridare competitività al movimento». Con la costruzione dello stadio, la Juve ha dato un esempio. . . «In nove giornate, è sempre stato esaurito: se l'impianto è accattivante, la gente si avvicina. E il valore dell'abbonamento diventa sicurezza di assistere allo spettacolo» . C'è un fuoriclasse che sogna di vedere nel nuovo stadio con la maglia bianconera? «In questo momento conta l'equilibrio di squadra: il sogno è tornare presto a vincere sul campo, perché quel giorno si chiuderà un cerchio». Cosa vuol dire ai tifosi della Juve? «Che è bellissimo vedere lo stadio pieno, è bellissimo sentirli cantare ed è bellissimo stare tutti insieme a casa nostra».
  18. Dopo le rivelazioni al nostro giornale di un investigatore che ascoltava le intercettazioni, l’indagine torna al centro delle polemiche Calciopoli, un’altra bufera Le “anomalie” dell’inchiesta potrebbero aprire nuovi scenari: difese pronte a dare battaglia di EDMONDO PINNA (CorSport 24-12-2011) ROMA - Nell’occhio del ciclone. Dove tutto è calmo, dopo e prima, però, della bufera. Calciopoli, ennesimo atto, che è arrivato, e arriverà. L’investigatore che partecipò alle indagini dell’operazione Off side e che ha parlato ieri al Corriere dello Sport-Stadio ha riacceso il fuoco sotto la cenere. Era in servizio nei giorni delle intercettazioni, sia telefoniche che ambientali. Ha raccontato la sua “verità” in un rigurgito di coscienza, ricordando e parlando di quello che non funzionava, le «anomalie» dell’inchiesta che ha portato alla condanna in primo grado per Luciano Moggi a 5 anni e 4 mesi, per Paolo Bergamo a 3 anni e 8 mesi, a 2 anni e 2 mesi per Mazzini, 1 anno ed 11 mesi per Pierluigi Pairetto e per Massimo De Santis, 1 anno ed 8 mesi per Salvatore Racalbuto, 1 anno e 6 mesi per Pasquale Foti, 1 anno e 5 mesi per Bertini e Dattilo, 1 anno e 3 mesi per Claudio Lotito, Andrea e Diego Della Valle e Sandro Mencucci. I baffetti rossi alle telefonate che, poi, non sano state inserite nell’inchiesta («Evidentemente non ci dovevano andare, che devo dire.... » ci ha detto l’investigatore pentito), le stranezze del server che serviva i computer utilizzati per le intercettazioni («Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata 250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse...”»), il mutismo delle sim svizzere («Ma a quel telefono non parlavano. In quindici giorni, non ha fatto niente»). Soprattutto, quell’ambientale a Villa La Massa, al pranzo che per l’accusa sancì il piano di salvataggio della Fiorentina tra i fratelli Della Valle, Mazzini e Bergamo: («Hanno parlato ma non hanno detto niente di... L’audio c’è, sono sicuro»). Un punto che portò l’avvocato l’avvocato Furgiele, legale di Della Valle, a tuonare durante il processo: «Ma che strano: non c’è intercettazione ambientale. O intercettazione ci fu, ma non era interessante? E’ singolare: si intercetta tutto, ogni sciocchezza e laddove si stringe il patto no! E’ una stranezza davvero singolare». Una stranezza che, riletta oggi, potrebbe assumere altri contorni. Di sicuro, le difese sono pronte a dare battaglia. Da quella di Moggi (con l’avvocato Prioreschi che chiede finalmente «giustizia») a quella degli altri imputati. === L’AVVOCATO DI MOGGI Prioreschi: «Adesso però è necessario che qualche Procura faccia chiarezza» di EDMONDO PINNA (CorSport 24-12-2011) ROMA - Antivigilia di Natale, ancora lavoro, nel suo studio romano, prima di un break per le vacanze sulla neve. Maurilio Prioreschi è uno degli avvocati che ha difeso Luciano Moggi durante il lungo processo di Calciopoli al Tribunale di Napoli, da gennaio 2009 allo scorso 8 novembre. Con lui, hanno lavorato l’avvocato Trofino e l’avvocato Rodella, con l’esperto informatico Nicola Penta (l’umo delle intercettazioni “sparite”). L’avvocato Prioreschi ha letto le parole che l’investigatore pentito ci ha detto. Colpito, forse, da quelle rivelazioni. Sorpreso no, però, perché «dopo 25 anni di professione, ho imparato a leggere anche attraverso le carte. E le carte di questo processo hanno detto che c’erano delle cose che non potevano essere così come sono state» . Adesso si apre una nuova fase che porterà al processo d’appello. Si aspettano le motivazioni del collegio giudicante del Tribunale di Napoli, presieduto da Teresa Casoria. Avvocato Prioreschi, letto? «Letto. E posso dire: io l’avevo detto...» Neanche un po’ sorpreso? «Nessuna sorpresa, perché studiando a fondo gli atti del processo qualcosa si capiva». Moggi condannato a 5 anni e quattro mesi: e adesso? «Mi auguro che questa persona, quest’investigatore come ha detto di essere, si presenti alla magistratura e ripeta quello che vi ha detto». Ha detto che non si è stupito: spieghiamo? «Durante la fase dibattimentale, abbiamo assistito ad una serie incredibile di coincidenze. Adesso, però, queste coincidenze continuano e mi sembra siano davvero troppo». Cosa vi aspettate? «Credo che sia giusto e doveroso, a questo punto, fare chiarezza, in un senso o nell’altro». Quali saranno le prossime tappe? «Paolo Dondarini, l’ex arbitro, ha già fatto un esposto alla Procura di Roma. Si è mosso anche Della Valle, ci sono altri personaggi di questa vicenda che stanno studiando la possibilità di un esposto o una denuncia. Spero che o a Roma o in qualche altra Procura qualcuno abbia voglia di fare chiarezza». L’investigatore pentito, una “carta” da giocarsi in appello? «Deve prima presentarsi davanti ad un magistrato. . . . ». E voi, che strategia state studiando? «Dobbiamo aspettare le motivazioni della sentenza di primo grado, poi raccogliere una serie di elementi, quindi faremo le nostre valutazioni. E’ ora di fare giustizia». === LE ALTRE REAZIONI La replica di Auricchio «Sono tutte parole prive di fondamento» di ANTONIO GIORDANO (CorSport 24-12-2011) NAPOLI - Calciopoli atto... E boh, chi può dirlo dove siamo arrivati e dove andremo a finire! Calciopoli è un universo sconfinato, un magma, tesi e antitesi, teorie e ora pure un mistero. Calciopoli è un viaggio in decine, centinaia, migliaia di bobine svelate ed altre rimaste inevase per colpa d’un server. Calciopoli è un’indagine, detective ingabbiati dietro computer, le orecchie tappate da cuffie come in Rischiatutto, la uno, la due, le tre, chissà! Calciopoli è grandi accusatori e investigatori, un lavoro nell’ombra, prima di ritrovarsi gli amplificatori accessi per sentire cosa c’era nascosto nel pallone. Calciopoli comincia otto anni fa, esplode sei anni fa, emette la sentenza un mese mezzo fa: ma poi, perché nulla muore definitivamente, men che meno l’anima di un’inchiesta di così ampia portata, le rivelazioni del Corriere dello Sport-Stadio di ieri, che allungano un’ombra dalla quale il tenente colonnello Auricchio - all’epoca impegnato al Nucleo Operativo dei Carabinieri - emerge con una frase secca: « Ho chiaramente letto le dichiarazioni apparse sul vostro giornale e mi sembra riguardino vicende che sono già emerse in fase dibattimentale e sulle quale ovviamente non ho nient’altro da aggiungere. Se no che vadano ritenute prive di fondamento». Calciopoli, da via in Selci a Napoli, e poi via via lungo lo stivale, in un concerto di voci racchiuse in quei nastri messi in discussione adesso, in certe anomalie emerse poi, in annotazioni di carattere tecnico che lasciano scricchiolare considerazioni d’un passato recentissimo. Calciopoli cominciò grazie all’irruzione del tenente colonello Auricchio e di intercettazioni (anche ambientali) utili per svelare un mondo diverso. Ma ora, fine 2011, cinque anni e mezzo dopo, l’ennesima puntata: « Sulla quale, mi permetta, niente da aggiungere. Cose già sentite in aula, in fase dibattimentale». === Ma intanto anche Pieri e De Santis pensano ad un esposto/denuncia di EDMONDO PINNA (CorSport 24-12-2011) ROMA - Giovedì è stato Paolo Dondarini. Non sarà l’ultimo. E’ una strada, quella dell’esposto/denuncia, che, soprattutto gli ex arbitro ed ex guardalinee, stanno studiando. Lo sta facendo Tiziano Pieri, condannato a due anni e quattro mesi col rito abbreviato. Metodi d’indagine e scelta delle intercettazioni. Lo sta studiando, con il suo legale, Paolo Gallinelli, l’ex arbitro Massimo De Santis (un anno e un mese): «La gravità di quanto riferito dal “pentito istituzionale”, le cui affermazioni sembrerebbero confermare le gravissime anomalie già emerse nel corso del dibattimento, rendono ancor più doverosa una mia iniziativa giudiziaria». Se dalle motivazioni «dovesse emergere che l’omessa indicazione di alcune intercettazioni telefoniche tra De Santis e i designatori arbitrali, abbia assunto rilievo ai fini del giudizio di colpevolezza, formalizzerò una dettagliata denuncia per falsa testimonianza nei confronti del colonnello Attilio Auricchio».
  19. CLAMOROSO Le rivelazioni di un investigatore che ascoltava le intercettazioni «Calciopoli: tutto quello che non sapete» di EDMONDO PINNA (CorSport 23-12-2011) Parla uno degli uomini di Calciopoli. Parla, racconta, descrive pagine di un libro inedito, svelandoci le “sue” verità. L'idea è che le sue rivelazioni non siano solo un sasso nello stagno ma uno stimolo al dibattito. E su queste colonne chi vuole e vorrà rispondere troverà uguale ospitalità. Intanto, il nostro interlocutore parla (ci dice) per liberarsi da un peso, per sperare che la “sua” verità possa diventare verità storica. Un appuntamento mancato nei dintorni di Firenze, l’attesa attorno all’ora di pranzo, un hotel a fare da coreografia. Viene o non viene? No, non verrà, un contrattempo, all’ultimo momento, perché succede così anche nei film che fanno botteghino. Ma è una parentesi, che si chiude qualche giorno dopo, nel cuore di Roma, un ufficio con vista fra la cupola di San Pietro e il Tevere, mentre intorno brillano le luci di Natale. Si comincia che il sereno del cielo sta per farsi azzurro, si finisce che è notte ed il freddo è tornato pungente. Parla, uno degli uomini di Calciopoli. Non uno qualsiasi, però. Ma uno che, in quell’inchiesta, stava dall’altra parte, dalla parte di chi, quelle indagini, le ha fatte. Un investigatore. Ci qualifichiamo, i documenti sul tavolo, non per mancanza di fiducia, ma per garanzia reciproca. Chiede che il suo nome non venga svelato sul giornale. E poi racconta. . . . Calciopoli, definito il più grande scandalo del calcio mondiale, nasce da quale inchiesta? «La cosa degli arbitri, l’inchiesta che stava a Napoli. Da lì poi parte un supplemento di indagini, perchè a Torino avevano archiviato e mandato gli atti. . . Da questo hanno preso spunto e da lì sono partite varie intercettazioni, all'inizio erano due telefoni controllati, telefonino e telefono di casa...» Da due telefoni a oltre centosettantamila intercettazioni? «Si allarga il giro con le telefonate: questo conosceva quello, quello conosceva quell'altro e si iniziano a mettere tutti i telefoni sotto controllo. In un momento uscivano venti numeri di telefono nuovi. Parlavano, parlavano... Parlavano di stupidaggini alla fine, niente di che. . . Fino a quando si è arrivati a Moggi. Anche se, quando senti il sonoro, quello scherza, quell'altro fa il fenomeno...». Lei ascoltava le telefonate? «Si, sentivo le intercettazioni» Quanti eravate? «Dodici, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, in via in Selci. Ma non pensate alle bobine di una volta. Ci sono computer, entri con la password... e ognuno seguiva una singola utenza.. Poi alla fine si faceva una riunione, io ho seguito questo, ho seguito quell'altro e si faceva resoconto». Ci spieghi una cosa: come mai le telefonate che riguardavano l’Inter non sono entrate nell’inchiesta? Eppure il loro tenore non era diverso da quelle che abbiamo letto, dal 2006 ad oggi. . . «Noi facevamo i baffetti: dopo ogni telefonata usavamo il verde se le conversazioni erano ininfluenti, l’arancione se c'era qualche cosettina. Col rosso parlavano di calcio (nel senso, cose che potevano interessare all’inchiesta, ndr). Noi facevamo un rapido riassunto, un brogliaccio. Ogni telefonata aveva il suo brogliaccio, nome cognome e di cosa parlavano, se era interessante.. C'era una cartellina con il nome». Ha mai intercettato una telefonata dell’Inter? Le ha mai sentite? Sapeva che c’erano? «Che ci stavano sì, ma io personalmente no. Io facevo altro. . . » Ma lei ha mai sentito Bergamo, ad esempio, che parlava con Facchetti. O con Moratti. «Tu non è che fai sempre gli stessi... Se capita che non ci sei, c'è un altro che ascolta». Una giornata a sentire le intercettazioni, a mettere i baffetti e scrivere i brogliacci. E poi? «Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio. Attorno ad un tavolo». Ha mai avuto la sensazione di “tagli”? «No. Che poi c'erano Auricchio (il tenente colonnello del Nucleo Investigativo dei Carabinieri, ndr) e Di Laroni (maresciallo capo dei Carabinieri) che decidevano cosa mettere o non mettere nell'informativa è un altro discorso. Ma durante le riunioni no» Però alcune intercettazioni non sono finite nell’inchiesta, nelle indagini. Un’anomalia? «C’erano perché ci sono le registrazioni. La cosa un po’ anomala è il server delle intercettazioni. E’ in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura: “Guarda, la postazione 15 qui non funziona, che è successo?” “Vabbé adesso controllo....”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata 250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse. . . ”». Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio? «Non ci parlavamo solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci parlava Auricchio, ci parlava Di Laroni...». E’ tecnicamente possibile non intercettare un’utenza sotto controllo per un determinato periodo di tempo? «Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde». Torniamo alle telefonate alle quali avevate messo i baffetti rossi: non sono finite nell’inchiesta. «Evidentemente non ci dovevano andare, che devo dire.... Non lo so questo. So soltanto che quello che veniva fatto, veniva fatto per costruire. Poi io ti porto il materiale, t’ho portato il mattone ma se tu non ce lo metti, sto mattone..». Vi hanno detto che l’indagine doveva essere fatta su Moggi, Bergamo, Pairetto, eccetera? «No, no. Noi eravamo liberi». Quindi il lavoro di scrematura veniva fatto dopo? «Sì, nella seconda fase». Avete mai intercettato le sim estere? Quelle del gestore svizzero, per capirci. «Quando vai ad intercettare una scheda straniera, in questo caso Svizzera, devi chiedere l’autorizzazione. E loro che cosa hanno fatto? L’hanno chiesta ma, nello stesso tempo, hanno già attaccato il telefono. Ma a quel telefono non parlavano. In quindici giorni, questa scheda, non ha fatto niente». Di chi era la scheda? «Di Luciano Moggi» Non la usava? «Non faceva niente, telefono muto. E’ come se tu metti sotto (controllo, ndr) questo telefono (e indica il suo, ndr) e poi questo è spento per un mese. Zero. E quindi questa cosa delle schede è stata un po’ accantonata perché poi l’autorizzazione non te la dava nessuno». Si parlava di anomalie. «Nel corso di questa indagine sono nate delle cose che inizialmente non c’erano, mentre cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più». Cioè? «Un esempio di quello che non c’era e si è materializzato nel giro di poco tempo: Martino Manfredi (ex segretario della Can A-B, ndr). Quando l’abbiamo portato in ufficio era morto, era un cadavere, tremava, aveva paura... Diceva: “io non so niente, non ‘è successo niente, ma quando mai... “. E piangeva sul fatto del posto di lavoro... “come faccio... non posso lavorare più, mi devo sposare...”. Dopo un po’ di tempo, sto Martino un giorno è andato a lavorare in Federcalcio.... quando lui ha cominciato ad essere interrogato. . . . improvvisamente è uscita la storia delle palline. Quella è la cosa che io dico: è lecito e capibile da parte sua, un po’ meno da. . . . » Si può definire un pentito? «Non lo so. Prima non sapeva niente, poi sapeva tutto, sapeva di questo, di quell’altro, di Pairetto, della Fazi...». Lei ha detto: cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più. Cioè? «La storia dell’intercettazione ambientale a Villa La Massa, vicino Firenze» E’ il pranzo che secondo l’accusa rappresenta l’architrave del patto per salvare la Fiorentina. Andrea e Diego Della Valle da una parte, Mazzini e Bergamo dall’altra. Bene, e cosa non c’è più? «Di questo incontro si è saputo nell’arco di 4, 5 giorni, attraverso le intercettazioni. Il servizio era organizzato con telecamera e microfono direzionale. Se la cosa fosse stata fatta in un locale dove c’era gente e avendolo saputo un po’ prima, si potevano mettere microspie dappertutto. Invece così, in pochissimo tempo, e non a Roma ma a Firenze, era difficoltoso. Con il microfono direzionale, a cinquanta, cento metri, senti quello che uno dice. E lo filmi con la telecamera. Però sta voce non s’è mai sentita.. . . Io so che l’hanno sentita... Questa cosa è importante perché là io so che non hanno parlato di niente. Questi qui hanno parlato ma non hanno detto niente di.... Magari pensi che Della Valle abbia detto a Mazzini: “Dai, famme vince, mandami quest’arbitro”, che sarebbe stata una cosa penalmente rilevante. Invece, non hanno detto niente. Ci sono le immagini, Diego e Andrea che scendono dal furgoncino, che si sono incontrati con Bergamo. Hanno dato più rilevanza a questo che non facendo sentire l’audio». Secondo lei, quindi, l’audio c’è? «Non secondo me. L’audio c’è». Sicuro? «Sicuro» La difesa della Fiorentina, durante il processo, ha puntato proprio sulla presunta esistenza di quest’audio.... «La Fiorentina evidentemente qualcosa ha saputo. . . E’ come il fatto del “Libro nero” (dell’Espresso, ndr), cioè, sto libro nero da là è uscito, non è un foglio, è tutta l’informativa e qualcuno l’ha data all’Espresso. Quindi i buchi ci stanno. Della Valle qualcosa sa». Come funziona un’intercettazione ambientale con il microfono direzionale? «E’ una valigetta, c’è un microfono che somiglia ad una specie di pistola con una parabola. La punti verso il soggetto....Ma da quel giorno non s’è saputo più nulla di questa cosa qua...». Ricorda altre situazioni poco chiare? «No, a queste ho sempre pensato. E mi dico: perché uno deve passare i guai, per che cosa? E quell’altro, perché deve andare dentro? Moralmente ti pesa, dopo un po’ ti dici: mamma mia». Tra quelli che sono stati condannati in primo grado, quali sono quelli che pagano troppo o ingiustamente? «Io dico la verità, la maggior parte. Cioè, è una cosa fatta, forzata un po’, ci stava la telefonata, però se vai a vedere effettivamente le partite, partite veramente truccate, dove l’arbitro è stato veramente coinvolto. Non ci sono. Non c’è la partita dove si dice: adesso li abbiamo beccati. Si era parlato di questo è Lecce-Parma, di De Santis, quella di “mi sono messo in mezzo”. E’ una spacconeria, quello voleva fare il fenomeno». Sì, ma sono state condannate tante persone. Lei, invece, parla di spacconate: qualcosa non torna.... «Secondo me, di veramente importante, che uno deve prendere cinque anni, sei anni, non ci sta niente. Poi magari pensi all’eccessivo modo spavaldo di Moggi che può dare anche fastidio, questo ci può stare, quello è il periodo in cui era prepotente, arrogante. Ma da lì ad arrivare a.... Bisognava dimostrare che c’era un’associazione. Lui, solo lui (Moggi, ndr) fa l’associazione? Così è un’altra cosa. . . E’ una questione di prestigio, di carriera». Ma l’hanno fatta tutti, la carriera? «Mica tanto: Auricchio e Arcangioli stanno alle scuole.... non è che so stati proprio premiati....Uno alla scuola Ufficiali, uno alla scuola Allievi. . . » Non ricorda niente altro di particolare. Non necessariamente di anomalo. Magari anche solo di curioso. «Mi hanno raccontato di alcune cenette: Auricchio, Arcangioli, Narducci, anche altri personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli. In qualche caso, mi sono chiesto che importanza poteva avere andare a mangiare con Narducci. Sono andati a cena a Napoli, di fronte al Vesuvio, a Castel dell’Ovo. . . da Zi’ Teresa. E non c’erano solo gli investigatori». Ha detto che non c’era nulla di penalmente rilevante: c’è stato qualcuno che, ad un certo punto, ha avuto dubbi sul peso dell’indagine, sulla necessità di continuare ad andare avanti? «Sì, Arcangioli. Disse: basta. E lì è nato lo scontro con Auricchio, arrivarono ai ferri corti». Quindi voleva stoppare l’indagine perché debole? «Sì, Arcangioli sì. Erano impegnate quindici, venti persone per questa cosa qua. E l’autista; e quello che deve andare di continuo a Napoli. Non era cosa... In una sezione di sessanta persone, ne levi quindici, le altre fanno tutto il lavoro». Qualche pentito c’è stato? «No». In via in Selci (è la sede del Nucleo Investigativo dei Carabinieri), dove si sono svolti gli interrogatori, sarebbero successe due cose: una che Moggi si mise a piangere e l’altra che l’ex arbitro Paparesta accusò un malore: verità o leggenda? «Non è vero».
  20. CALCIOPOLI Telefonate scomparse Esposto di Dondarini di ALVARO MORETTI (Tuttosport 23-12-2011) ROMA. Della Valle l’ha annunciato, l’ex arbitro Paolo Dondarini l’ha scritto, firmato e presentato alla Procura della Repubblica di Roma. Tiziano Pieri lo farà oggi. Un esposto ai pm di Roma perché verifichino le circostanze con le quali vennero selezionate le telefonate di Calciopoli. Un esposto di 16 pagine nelle quali l’ex arbitro emiliano, condannato a due anni nel rito abbreviato (appello il 21 marzo), include significativi passi di quattro telefonate che avrebbero portato ad una diversa considerazione della sua colpevolezza. L’esposto è stato presentato a Roma perché è a via In Selci che operavano il tenente colonnello Auricchio e i suoi marescialli che ascoltavano, brogliacciavano, baffano le telefonate e scrivevano poi le informative. Con l’avvocato Bordoni, Dondarini chiede perché non si siano, come previsto dalla legge e dalla Costituzione, inserite le telefonate a discarico: «Perché si è arrivati - chiede l’ex arbitro - a scelte investigative che hanno condotto a “brogliacciare”, trascrivere ed utilizzare soltanto una parte delle intercettazioni effettuate nel contesto delle indagini e non altre, pure presenti agli atti ed oggettivamente di decisiva rilevanza probatoria?». Tra le telefonate scomparse «emergono circostanze decisive al fine di dimostrare l’estraneità ai fatti che non erano state in alcun modo evidenziate ed, anzi, erano state catalogate in maniera tale da non consentirne in concreto il rinvenimento né l’impiego processuale. Tutte scelte casuali?». Un atto d’accusa cui potrebbero unirsi altri imputati di Calciopoli.
  21. “Quello che non sapete su Calciopoli”: la verità dell’investigatore pentito Pronto a svelare le zone d’ombra dell’inchiesta di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 23-12-2011) Ora che le sentenze di primo grado su Calciopoli sono in campo - 16 i condannati, 5 anni e 4 mesi la pena per Luciano Moggi, di un anno e 3 mesi quelle per Diego ed Andrea Della Valle e Claudio Lotito fuori dal processo, e in attesa dell’appello, c’è un mondo in movimento. Il calcio è impegnato a trovare una pace, oggi impossibile, fra chi è coinvolto nei fatti di cinque anni fa e chi, quei fatti, li vuole tenere distanti. E, una pace con se stesso, adesso, la vuole trovare anche chi quello scandalo l’ha vissuto dall’altra parte, ovvero con le cuffie in testa e un computer davanti agli occhi dove ascoltare le intercettazioni di Calciopoli. C’è un investigatore che parla, racconta, descrive i contorni più discussi del Grande Scandalo. Un investigatore dei dodici che si dividevano fra le migliaia di colloqui intercettati nelle stanze di via in Selci a Roma. «Eravamo dodici, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. Ma non pensate alle bobine di una volta: ci sono computer, entri con la password. . . e ognuno seguiva una singola utenza...Poi, alla fine, ogni sera, si faceva la riunione, io ho seguito questo, io quell’altro e alla fine ecco il resoconto.. . », così Roberto, nome di fantasia. La carta d’identità è sul tavolo: l’investigatore la fa vedere ad alcuni giornalisti e chiede che il suo nome non venga svelato sul giornale. Parla per voglia di verità e lo fa perché spera che qualche magistrato, magari quello dell’appello, lo chiami come teste. Per Roberto «alcune cose prima c’erano e sono sparite, altre non c’erano e sono comparse...». L’investigatore sente che è arrivato il momento (il suo) per fare chiarezza su alcuni passaggi dell’inchiesta, da lui svolta sotto gli ordini dei suoi superiori. Così, Roberto, si sofferma sulle sim svizzere («Quando vai ad intercettare una scheda straniera, in questo caso Svizzera, devi chiedere l’autorizzazione. E loro cosa hanno fatto? L’hanno chiesta, ma, nel frattempo, hanno già attaccato il telefono, ma, a quel telefono, non parlavano. In quindici giorni, questa scheda, non ha fatto niente. . . ), ripercorre il giorno del pranzo che, secondo l’accusa di Calciopoli, rappresenta l’architrave del patto per salvare la Fiorentina quando Diego ed Andrea Della Valle incontrano l’allora designatore Paolo Bergamo e l’allora vice presidente della Figc Innocenzo Mazzini in un ristorante sopra Firenze («...io so che non hanno parlato di niente, sono sicuro che l’audio c’è.. . ) e precisa come, fra i suoi stessi superiori, ci fosse chi avrebbe voluto che l’indagine si fermasse non portando a nulla di rilevante («Arcangioli disse basta, Auricchio voleva andare avanti...»). Attorno a Calciopoli c’è un mondo in movimento: ieri l’ex arbitro Paolo Dondarini, condannato con il rito abbreviato, ha presentato un esposto alla procura di Roma sulle intercettazioni inutilizzate.
  22. CALCIO SPORCO Caccia al tesoro di Moggi I club danneggiati da Calciopoli ora vantano crediti. Ma i soldi non si trovano più. L'ex dg è nullatenente. E Giraudo non ha beni in Italia di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso n.52 | 28 dicembre 2011) In tempi di concordia politica forzata c'è il calcio a tenere alto il livello della rissa. Oltre cinque anni dopo l'inizio di Calciopoli, i presidenti di serie A insistono nel tutti contro tutti. Il processo di primo grado a Napoli, conclusosi con 16 condanne, ha esacerbato le tensioni. Diego Della Valle, che ha incassato una condanna a quindici mesi per frode sportiva, ha presentato una denuncia per abuso di ufficio e occultamento di prove contro Guido Rossi, commissario straordinario della Federcalcio nel maggio del 2006, quando è scoppiato lo scandalo. Poco prima, la Juventus ha chiesto 444 milioni di euro di danni alla stessa Federcalcio benché nel club degli Agnelli ci fosse la cabina di regia del sistema di Calciopoli, tanto che la società bianconera è stata retrocessa d'ufficio in B dalla giustizia sportiva e i suoi principali dirigenti dell'epoca, l'amministratore delegato Antonio Giraudo e il direttore generale Luciano Moggi, sono stati condannati rispettivamente a 5 anni e 4 mesi e a 3 anni di reclusione. In questo polverone si è perso di vista il fatto che la sentenza dei giudici napoletani ridà forza soprattutto alle parti civili. Sono i club che hanno subito un danno accertato dal sistema di Calciopoli (Brescia e Bologna in primis) e che possono sfruttare il verdetto penale come base per le loro richieste economiche. Ma la caccia al tesoro dei burattinai del pallone si annuncia magra. Moggi, che ha subito la condanna più pesante al processo di Napoli, risulta nullatenente con il problema aggiuntivo che la Juve lo ha scaricato da un pezzo. La situazione è diversa per quanto riguarda Giraudo. L'inventore della stazione sciistica di Sestriere è stato per anni l'amministratore del patrimonio immobiliare di Umberto Agnelli e, in seguito, di suo figlio Andrea, attuale presidente della Juve. Oggi Giraudo risulta residente a Londra, dove continua a fare l'immobiliarista. Poco dopo l'inizio di Calciopoli si è sbarazzato di ogni proprietà italiana. A giugno del 2006 ha ceduto la sua quota in un'immobiliare (Erba e steppa) che ha il controllo di un palazzo prestigioso in via Principessa Felicita di Savoia, alle pendici della collina torinese. La proprietà dell'edificio, stimato diversi milioni di euro di valore, è stata trasferita a Maria Elena Rayneri, moglie di Giraudo. L'altro cespite consistente era un pacchetto di azioni della Juventus (oltre il 2 per cento) che l'amministratore delegato del club aveva accumulato dai tempi della quotazione nel dicembre del 2001 al maggio del 2006. Il controvalore di mercato era stimato fino a 10 milioni di euro. Ma anche in questo caso non è stato possibile trovare nulla. "I titoli dovevano essere in deposito presso Banca Sella", racconta Bruno Catalanotti, avvocato del Brescia. "Invece non c'erano e abbiamo agito con un pignoramento contro terzi, cioè contro la banca". Il fronte arbitrale riserva poche soddisfazioni. Nell'intervallo tra l'inizio del processo e oggi, i due designatori hanno gradualmente ridotto le loro attività imprenditoriali. Paolo Bergamo (3 anni e 8 mesi di condanna) ha chiuso la sua agenzia Ina-Assitalia a Livorno e ha lasciato le attività assicurative alla figlia Barbara che controlla anche circa metà dell'immobiliare di famiglia (La Castellaccia). Pairetto, condannato a un anno e 11 mesi, ha mantenuto una quota minima (1, 5 per cento) in una società del gruppo Seri, arrivato al massimo del suo splendore imprenditoriale al tempo delle Olimpiadi invernali di Torino del 2006, quando aveva firmato licenze commerciali su vari prodotti legati ai Giochi.
  23. Lo scandalo calcio di VITTORIO ZUCCONI dal blog "Tempo reale" (Repubblica.it 22-12-2011) Ecco un altro “scandalo del calcio”, questa volta in salsa scommesse e partite manipolate su scala globale, tra la sorpresa dei polli, i pianti dei tifosi che “no, lui no, è il nostro capitano e la nostra bandiera, giù le mani” e degli ipocriti, come se oggi far girare i soldi fra Singapore, Napoli, Tahiti, Bangkok, la Bahamas o dove vi pare fosse più complicato di un paio di click e i soldi girassero a mano e in contanti nei sacchetti del supermercato. Sai che novità. Dopo le farmacie, le sim, le telefonatine ad arbitri e disegnatori giusto per buona educazione, i documenti di identità farlocchi, le truffe di bilancio con i giocatori valutati cifre fasulle per far quadrare i bilanci colabrodo e gli scambi del cane da un miliardo ceduto per due gatti da mezzo miliardo, arriva Gubbio contro Cesena in Coppa Italia o Boschetto di Sopra contro Sorgente di Sotto. Visti quanti sono, e con quanta regolarità scoppiano i casi in quella fogna della Lega, non è che per caso lo scandalo non sia “del calcio”, ma sia proprio “il calcio” in Italia? Dovunque ci siano un gioco d’azzardo e la possibilità di scommettere, come ormai pubblicizzano anche i grandi club con il nome perfettamente legittimo dello sponsor sulla maglia, ci sarà sempre qualcuno che cercherà di barare. Scommettiamo?
  24. CACCIA AL TESORO DI MOGGI: i club danneggiati da Calciopoli ora vantano debiti. Ma i soldi non si trovano più
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