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[ Serie A ] Juventus - Napoli 3-0
Ghost Dog ha risposto al topic di super gigi buffon in Stagione 2011/2012
Un'altra volta ___ Juve-Napoli è anche la storia di generazioni di napoletani che si sono trasferite al Nord: una sfida, mille emozioni E’ lo Juventus Stadium sembrerà il San Paolo Domani sera a Torino 10mila tifosi azzurri di FABIO MANDARINI (CorSport 31-03-2012) NAPOLI - Perché Juventus-Napoli, la storia infinita di generazioni e generazioni di uomini prima che tifosi, è sempre stato un fatto socioculturale. No, non scherziamo: mica è una partita qualsiasi; mica è soltanto una storia di bandiere, simpatia, campanilismo e chi è più forte tra Maradona e Platini: questa è vita applicata al calcio. E' il giorno di festa che migliaia di napoletani, campani o comunque tifosi del Napoli, aspettano con ansia e orgoglio: 364 volte in un anno torinesi o piemontesi acquisiti, per questioni di lavoro e di necessità, che svestono tute e giacche per indossare la maglia azzurra. E sognare, magari piangere. Invasione è sempre stata, invasione sarà domani: è lo Juventus Stadium, sembra il San Paolo. Con diecimila cuori azzurri che canteranno Napoli. CHE ATTESA - E allora, il racconto. Anzi le previsioni dell'atmosfera che si respirerà nello stadio bianconero, salotto nuovo di zecca che ospiterà per la prima volta il Napoli e la sua gente. Gente di mare e anche di terra, che arriverà in aereo, in treno, in macchina o anche in taxi e a piedi: napoletani di Napoli e dintorni e poi napoletani Torino o giù di lì. Cuori azzurri del Nord. Figli di padri e nipoti di nonni che anni e anni fa sposarono il lavoro e dunque l'idea di abbandonare Golfo, Vesuvio e tutto il resto per stabilirsi a Torino: quante storie nei meandri della Fiat juventina e chissà quante altre altrove. Che pianti e che urla ai gol di Ferrario, Giordano e Volpecina profumati di scudetto nell'86 e a quelli di Hamsik (2) e Datolo nella rimonta 0-2, 3-2 griffata nel 2009. PENNA E SCENA - Gioia sportiva e orgoglio, testa alta e il diritto annuale di sfottò acquisito in territorio nemico (sportivo): non hanno prezzo certe soddisfazioni. Che bello il calcio. Che bella Juve-Napoli: è diventata finanche letteraria e romanzesca, figlia della penna di Maurizio De Giovanni, che ha raccontato la presa di Torino (testuale), e poi un'opera teatrale. Chiaro il concetto? CUORI AZZURRI - Fertile il terreno da seminare, dunque. Minimo indispensabile il dato raccolto: diecimila tifosi azzurri allo Juventus Stadium, nel settore riservato agli ospiti e poi negli altri dell'arena torinese. E quanti altri sono rimasti a bocca asciutta. Pronti comunque a partire come Giuseppe detto Peppe, investigatore privato con la faccia da film e il Napoli tatuato sulla pelle, che ha lasciato un letto d'ospedale appena in tempo per partire per Torino. Ancora convalescente ma noncurante: la medicina migliore possibile è questa trasferta. LA SQUADRA - Storie di innamorati matti da legare e poi di giocatori a caccia di biglietti. Sì, proprio così: perché finanche i giocatori del Napoli, i protagonisti principali della passerella di domani, hanno avuto tante richieste da amici e familiari da non poterle soddisfare tutte insieme. Il colmo? No, la normalità. POLVERE DI BIGLIETTI - Come assolutamente in linea con le attese è stata la vicenda legata alla vendita dei biglietti. Della scorta inviata dalla Juventus al club di De Laurentiis: circa cinquemila, letteralmente polverizzati nel giro di pochissime ore, nelle ricevitorie napoletane abilitate all'emissione. Un assalto in piena regola senza possibilità di repliche: sold out, dicono gli americani. Tutto esaurito in un amen. Come ai tempi belli, bellissimi, in cui questa partita valeva lo scudetto. L'URLO - Domani, invece, una fetta del tricolore sarà soltanto sul piatto della Juve: toccherà al Napoli giocare da guastafeste; toccherà agli uomini di Mazzarri provare a rendere amara la serata di una squadra ancora imbattuta nonché titolare della miglior difesa dell'intero campionato. Servirà il massimo, più del massimo, soprattutto perché il primo atto di questa sfida, che vedrà l'apice il 20 maggio nella finale di Coppa Italia, è fondamentale per la corsa al terzo posto e alla Champions. Il popolo azzurro lo sa. Quelli di Torino che cantano, "Pocho-Pocho" , sono pronti e carichi: non resta che urlare più forte che mai. -
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IL VENERDI DI REPUBBLICA 29 MARZO 2012 -
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La violenza In una partita del campionato allievi Arbitro minorenne pestato a sangue da baby calciatori Calci, spinte e pugni in provincia di Salerno radiati tre giocatori di FULVIO SCARLATA (IL MATTINO 30-03-2012) Salerno. È il 34esimo del secondo tempo quando il Comprensorio Valdianese, formazione di casa, mette a segno la rete del sofferto pareggio contro i rivali di Serre del Mario Opromolla. Non è certo Milan-Barcellona, ma i ragazzi di 16-17 anni, tutti della zona del Vallo di Diano, festeggiano il 2-2 come se fosse il gol della vita nel campionato allievi provinciali di Salerno, vissuto come una piccola Champions League per chi spera di conquistare ben altri palcoscenici. Non così l’allenatore della squadra di Serre: Ivano Mennella scatta in campo in direzione dell’arbitro che aveva convalidato il gol e lo spinge via scaricandogli addosso tutti gli insulti di cui è a conoscenza. È il segnale: scatta una caccia all’uomo per tutto il rettangolo che fu di gioco in cui il ragazzo con la giacchetta nera, anche lui appena 17 anni, anche lui della stessa zona essendo originario di Sala Consilina, viene inseguito, colpito, sgambettato, buttato a terra e picchiato. Il giovane cerca la salvezza negli spogliatoi. Inutilmente. Perché i giocatori del Mario Opromolla che non partecipano direttamente alla rissa, si danno da fare per impedire al loro coetaneo di trovare un posto sicuro. Si mettono in mezzo bloccando ogni accesso (moltiplicando invece insulti di ogni genere, razza e lingua), così da lasciare la possibilità ai più esagitati di colpire ancora duramente. Un incubo. Il direttore di gara non ha scampo: raggiunto di nuovo con calci e pugni sempre più violenti. Alla fine qualcuno sembra cominciare a rinsavire. Il 17enne di Sala Consilina che da tre anni coltiva l’hobby di dirigere le partite di calcio dopo aver superato un apposito corso, arriva negli spogliatoi. Ma non è finita: ormai completamente fuori di testa i ragazzi di Serre assalgono la sua stanza, sfondano la porta a calci e lo minacciano di morte prima di allontanarsi. Non c’è più tempo per pensare al pallone e alla partita sospesa. Qualcuno si muove a compassione e infila il giovanissimo arbitro in auto: di corsa verso l’ospedale con ferite alla testa, al volto, alle gambe, all’addome tanto che gli operatori sanitari del pronto soccorso del presidio di Polla hanno preferito ricoverarlo per poter controllare le sue condizioni nel corso di 24 ore. La cosa più incredibile è anche partita e botte finite, nessuno ha voluto rimettere un minimo di valori sportivi al suo posto. Non un ripensamento, un rimorso o il senso di avere esagerato, né dai ragazzi né da allenatore e dirigenti del Mario Opromolla. Di più: nessuna testimonianza. Così è toccato solo al 17enne vittima dell’aggressione provare a ricordare chi lo ha colpito. E lui, in questa sorta di sabba della violenza gratuita per ragioni di straordinaria inutilità, è riuscito ad individuare tra i tanti solo chi lo ha picchiato ripetutamente. In attesa di una eventuale denuncia penale, è scattata la giustizia sportiva. Che ha fermato per un anno Mennella, che pure aveva dato il via con il suo atteggiamento alla rissa tutti contro uno, a cui sono state imputate solo alcune spinte e una valanga di insulti come se da un allenatore di una squadra di giovanissimi non si dovesse esigere un comportamento più consono al ruolo ricoperto. Due anni ad un ragazzo di 16 anni, la proposta della radiazione a vita per altri tre allievi che in un pomeriggio di inutile infantile violenza hanno cancellato qualsiasi futuro calcistico. Nessuna decisione, almeno per ora, nei confronti del club perché il giudice sportivo è in attesa di ulteriori accertamenti «finalizzati anche ad ulteriori provvedimenti a carico dei singoli tesserati e della Società Mario Oprolla». Per ora davvero poco per una delle peggiori pagine del calcio dilettantistico giovanile. -
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SCANDALO SCOMMESSE Salta il blitz annunciato Mentana e la corsa ad arrivare primo: il campionato è salvo Il tg di La7 anticipa la notizia sugli arresti in Serie A Ma lo scoop su quello di cui tutti parlano non si realizza di TONY DAMASCELLI (il Giornale 30-03-2012) Oggi, forse. Probabilmente domani. Ma ci sono anche possibilità per il giorno appresso. Enrico Mentana ha suonato la tromba, strumento preferito del suo repertorio, le manette sono pronte, il calcio trema, scendono in campo gli arresti, mezza serie A finisce al gabbio, i club rischiano la serie B e il fallimento, è lo tsunami. La notizia fa il giro delle redazioni, dei bar, degli spogliatoi ma, soprattutto, delle procure alle quali gli ascolti di La7, tiggì e annessi, non interessano affatto, preferiscono l’ascolto dei testi chiamati a deporre e a spiegare l'accaduto. Ma è ormai la prassi, l'importante è arrivare per primi, annunciare il Natale con un mese di anticipo, celebrare un anniversario, compleanno e affini, precedendo di una settimana i concorrenti. Mentana Enrico ha battuto se stesso, già aveva annunciato, controllare archivi e registrazioni, la svolta epocale delle indagini sulle scommesse, già aveva suonato la tromba sugli arresti senza che lo scoop si realizzasse nelle ore successive. Il campionato può essere falsato (o salvato, pensando alle conseguenze che avrebbe provocato il terremoto preconizzato dal Tg serale di La7) da un annuncio taroccato, precoce, interruptus? Gli indagati, appresa la notizia davanti ai teleschermi, sono già in fuga? L’aneddotica giornalistica è piena di casi analoghi, per sdrammatizzare segnalo un titolo a nove colonne di Sport Sud , anni sessanta, che strillava: «Sivori al Napoli». Il passaggio dell'argentino dalla Juventus al club partenopeo non si realizzò in quell’estate. L’anno dopo, stesso giornale, stesso titolo, proprio identico, uguale epilogo, Enrique Omar cabezon restò a Torino. Al terzo tentativo l’audace titolista aggiunse finalmente il trionfo: «Sivori al Napoli, stavolta è vero» Non so se Enrico Mentana e la sua orchestra capiranno la battuta e la provocazione, sta di fatto che ormai la corsa allo scoop crea guai e allergie ai giudici che della stessa vicenda si occupano. Per esempio la facilità con la quale si strillano certe notizie del mondo sportivo, calcistico in particolare, non ha uguali quando si tratti della politica, laddove gli equilibri e le amicizie, si fa per dire, vengono osservati e tutelati. Quando c’è di mezzo il football saltano le marcature, anche nelle procedure e nei procedimenti. Calciopoli non è servita a nulla, la procura federale prima dorme e poi parte all’attacco, chiede le carte a quella ordinaria, interroga, prepara la sentenza, condanna, si lava la coscienza per poi venire smentita o ridimensionata dall’esito delle indagini del processo penale. La prescrizione salva personaggi e interpreti di pari censo a quelli che invece subiscono la pena, i giudici che a Bari e a Cremona stanno seguendo le storie di scommesse e partite addomesticate scoprono che, contemporaneamente al loro lavoro, gli indagati vengono convocati dai giudici federali, la confusione regna sovrana, l'accavallamento di inchieste provoca irritazione, anche in procura si corre a chi arriva primo. È il delirio di potenza, è la voglia volgare di esibizione, la giustizia viene calpestata nei suoi principi basilari. Oggi ne sapremo di più. Forse. Oppure domani. Comunque quando arriveranno gli arresti sarò curioso di vedere se qualcuno ricorderà il titolo di Sport Sud e urlerà: «Stavolta è vero». -
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Il caso L´assessore chiede la revisione della convenzione tra il Comune e la società Narducci: "Il Calcio Napoli paghi i vigili per le sue partite" di ANNA LAURA DE ROSA (la Repubblica - Napoli 30-03-2012) «Penso che la società Calcio Napoli debba pagare la polizia municipale impegnata nel servizio d´ordine e di traffico per le partite. La convenzione stipulata sette anni fa realizza uno squilibrio intollerabile a danno dell´interesse pubblico». L´assessore alla Sicurezza Giuseppe Narducci è deciso a includere la società azzurra tra i privati che d´ora in avanti dovranno pagare nelle proprie manifestazioni il servizio reso dai caschi bianchi. La delibera approvata ieri in consiglio comunale, con una ventina di emendamenti e dopo sei ore di accesa discussione, libera i cittadini da questa spesa. In via Verdi il clima si scalda appena si tocca l´argomento "partite". La maggioranza si divide quando i consiglieri Fucito e Nonno presentano un emendamento che specifica per esteso che «anche il Calcio Napoli deve pagare». Narducci condivide «pur dovendo esprimere formalmente un parere contrario dell´amministrazione, che però deve farsi carico di questa sollecitazione del consiglio di rivedere la convenzione». Una spaccatura interna al fronte arancione? Quello alla società azzurra, tuttavia, è quantomeno un attacco congiunto. L´assessore allo Sport Pina Tommasielli avverte che «è stato già avviato un tavolo tra società e Comune sull´argomento vigili, e per ora si è raggiunta un´intesa sull´entità del debito». Con la delibera, «viva Dio - si sfoga l´ex pubblico ministero - finisce un´epoca in cui i privati hanno organizzato eventi sulle spalle della collettività». La tariffa dei vigili è calcolata avendo come parametro un´ora di lavoro straordinario maggiorata del 50 per cento, prevedendo un euro in più per ogni chilometro percorso dai veicoli del Corpo e un buono pasto nel caso si superino le sei ore. Se disponibili, gli agenti presteranno servizio in occasione di attività cinetelevisive, spettacoli e manifestazioni sportive. I soldi «finiranno nelle casse comunali», conclude Narducci. Esentate invece le manifestazioni politiche, sindacali, patrocinate o stabilite dal Comune. ___ Manifestazioni Passa la delibera sugli oneri da versare al Comune se mette a disposizione la polizia municipale Stadio, solo il Napoli non paga i vigili Narducci a De Laurentiis: rifare i patti L'assessore: convenzione sbilanciata in danno dell'interesse pubblico di PAOLO CUOZZO (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 30-03-2012) NAPOLI — A Napoli chi organizzerà manifestazioni che presuppongono il coinvolgimento dei vigili urbani, d'ora in avanti, dovrà contribuire al pagamento degli straordinari della polizia municipale perché il Comune, «visti i tanti eventi che ci sono in città», non può più farsi carico di oneri così eccessivi. La delibera, dopo molte discussioni e rotture all'interno della maggioranza, passa dunque così. Sancendo un principio anche giusto. Ma quando in aula prende la parola Giuseppe Narducci, assessore alla Polizia municipale, l'argomento diventa un altro; diventa la convenzione col Calcio Napoli che prevede, comunque fino alla scadenza — il 2014 —, che il Comune metta a disposizione per ogni gara un notevole numero di vigili urbani per gestire il traffico prima e dopo la partita al San Paolo. Ecco perché Narducci avverte tutti, giunta, consiglieri e, senza nominarlo, ovviamente De Laurentiis che «la convenzione col Napoli è da rivedere». «Nell'accordo tra Comune e società sportiva — dice — c'è uno sbilanciamento a danno dell'interesse pubblico». Poche parole, ma chiarissime come nel suo stile, arrivate dopo la sollecitazione fatta dal gruppo della Federazione di Sinistra che chiedeva, appunto, anche l'inclusione del calcio Napoli tra i «privati» che dovrebbero pagare il servizio di polizia locale in occasione di manifestazioni a scopo di lucro. Il nodo, a quanto pare, sarà sciolto però solo dopo un confronto tra De Laurentiis e il Comune di Napoli, con l'intento di rivedere la convenzione stipulata 7 anni fa. Trattativa che comunque sta già a buon punto e che non presenta, al momento, criticità, visto che Napoli e Comune dovranno peraltro decidere insieme dove sarà e come sarà il futuro stadio cittadino. come ha annunciato direttamente il sindaco de Magistris. «Abbiamo — chiarisce l'assessore allo Sport Pina Tommasielli — anche raggiunto un'intesa con la società Calcio Napoli sull'entità del debito che ha nei confronti del Comune, stabilendo chi deve cosa e il tavolo di confronto sulla modifica della convenzione è aperto». Insomma, il Napoli, per il momento, sarebbe escluso dal pagamento di oneri aggiuntivi per avere i vigili allo stadio. Per ora, però. Perché sulla questione, a delibera approvata, arriva il pensiero di Vittorio Vasquez, capogruppo di Napoli è Tua la lista civica di de Magistris, che rivela: «Per fortuna, nella inconsapevole disattenzione di alcuni gruppi, è stato votato un articolo del regolamento che impone, tra l'altro, a tutte le manifestazioni sportive, quindi anche il calcio, di farsi carico del pagamento previsto con la nuova delibera approvata». Quindi anche il Napoli. Vasquez, inoltre, si schiera apertamente con Narducci che «nell'occasione del voto sull'emendamento che chiedeva di impegnare il calcio Napoli ad adeguarsi al principio costituzionale per il quale la legge è uguale per tutti, ha responsabilmente dichiarato che l'amministrazione si sta riservando un proprio spazio d'iniziativa per ridiscutere l'intera convenzione col Calcio Napoli, che registra da anni enormi debiti verso il Comune di Napoli». Per Vasquez, però, «proprio per questo avrebbe assunto un forte significato politico e sarebbe stato di sostegno alla linea della giunta votare l'emendamento con il quale l'assemblea comunale avrebbe dato un chiaro indirizzo politico votando per impegnare la Società a contribuire, come tutti gli altri privati che traggono profitto dallo svolgimento della propria attività, al pagamento del lavoro straordinario svolto dalla polizia Municipale. Viceversa, come denunciato anche dal consigliere Palmieri di Liberi per il Sud, il gruppo del Pdl si è aggiunto ai voti dell'Idv per rimandare alle calende greche il ripristino di questo universale e legittimo criterio di uguaglianza». Occorrerà capire però cosa intenderà fare ora de Magistris che, nei rapporti tra Comune e De Laurentiis ha commissariato tutti, gestendo ogni cosa in prima persona. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
San Siro vs Barcellona Due opere d’arte a confronto, una tattica e l’altra architettonica. Racconto di una notte non solo calcistica di FRANCESCO PACIFICO (Studio 30-03-2012) La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca. Sono venuto a Milano su invito di Tim Small per vedere in tribuna l’andata dei quarti di finale di Champions League Milan – Barcellona. Non ero mai stato a San Siro; sono romano, sono condannato a vedere le partite all’Olimpico, lontanissimo dal campo non solo per via della pista d’atletica obbligatoria quando il tuo stadio vuole avere un nome così inappuntabile ma anche perché le tribune, costruite su un livello solo, sono ripide come un cd appoggiato su una penna e quindi più sali sugli spalti più si allontana il tuo sogno di vedere una partita dal vero. Venivo quindi a sperimentare la gioia di vedere una partita da vicino nel mio paese, dopo aver conosciuto, in un noioso pareggio West Ham – Middlesbrough di vari anni fa, l’emozione di poter capire, come a teatro, che Mendieta, ex fenomeno del Valencia e centrocampista degli ospiti, quel giorno era depresso. Volevo tornare a provare l’emozione di sentire l’umore dei calciatori senza protezione, senza la patina di normalità che la distanza dona a ogni errore e a ogni gran gesto. L’altra opera d’arte che ero venuto a Milano apposta per vedere dal vivo non era Marina Abramovic ma La Squadra Più Forte di Tutti i Tempi, il Barcellona di Guardiola e dei suoi pacioccosi goons – Messi, Iniesta, Xavi, Piqué, Dani Alves, Puyol eccetera: piccoli tirapiedi di una mente ossessiva che stanno al loro allenatore – lo dico dopo aver visto la partita, prima non avrei osato pensarlo – come i piccoli tirapiedi gialli di Despicable Me stanno al loro capo malvagio. Voglio confrontare le due opere d’arte accantonando il Milan, che ho già avuto occasione di vedere dal vivo all’Olimpico e del cui fascino, accresciuto dal fatto che ieri (mercoledì) ha giocato con l’epica maglia bianca (con cui ha vinto diverse finali di coppa) per risparmiarci la visione dell’orrenda seconda maglia verde-villaggio-vacanze del Barcellona, presentatosi per l’occasione nel più significativo classico azulgrana. Del Milan dico solo una cosa: visto da così vicino, Seedorf è Achab, un giocatore con la missione e l’ossessione della vittoria anche in una partita che pare quasi impossibile vincere; un leader disposto a giocare praticamente da difensore con il numero 10, praticamente a marcare il numero 10 avversario, Messi; circondato peraltro dai suoi Starbuck, Flask e Stubb: Nesta, Ibra e Ambrosini, tre figure diversissime tutte vissute e sbattute ma disposte ad ascoltare in mezzo al frastuono dello stadio gli ordini di Achab allenatore in campo. San Siro: Il miracolo di San Siro è sembrare enorme e minuscolo allo stesso tempo. Avvicinandomi allo stadio ho tremato nell’avvistare in lontananza l’astronave di cemento: i bagliori e i cori ambient che provenivano dall’interno accendevano appena una spaventosa struttura che minaccia lo sguardo con delle sovrumane sbarre rosse che, esaurita la funzione di reggere il terzo anello, si estendono in eccesso e terminano nel vuoto dell’aria. Alzo lo sguardo per provare a capacitarmi della presenza, nel vuoto, di una massa così enorme sopra la mia testa, e sento disarticolarsi la mia percezione della realtà. Un oggetto costruito per ospitare confortevolmente, al coperto, molte persone, si presenta all’esterno come uno spauracchio da cartone animato giapponese. Se si fosse sgranchito e trasformato in un robot il mio stupore complessivo non avrebbe cambiato natura ma solo intensità. All’interno si sta stretti. La curva è molto vicina, l’altra curva pure, la tribuna di fronte pure. Essendo pieno, rimango stupito dalla promiscuità della situazione, da quelle settanta-ottantamila persone e più, e finché Tim non me lo fa notare, ignoro i giocatori che si riscaldano in campo. Dopo, scatto una foto a Ibra che si riscalda demolendo una traversa con un tiro. È molto alto. [brevi note di colore. Il nostro settore è pieno di “fighe mediaset”, camicie celesti, tacchi fuori norma, degli strani tipi agitati al confine fra hipster e tronisti con porkpie hat e giubbotti. Si avvistano mielose pettinature da Jane Fonda, sia bionde che rosse, su coprispalle in pelliccia. Gli scalini, che a Roma rimangono sempre occupati da chi non è soddisfatto del proprio posto, vengono qui sgomberati di continuo da una stewardess sulla quarantina che se potesse percorrerebbe la tribuna con le pattine per tenerla più pulita. Giovani bennati seduti sugli scalini la ignorano a lungo, la prendono in giro, e alla fine, misteriosamente, scompaiono dalle vie d'uscita (con mio enorme piacere, visto che soffro di attacchi di panico e ansia e per me vie d'uscita significa in realtà vie di fuga). Dietro Tim, un idiota critica con fortissimo accento milanese ogni azione del Milan. Ecco alcuni appunti: “Che scarpe di ɱerda c'hai?” “Allarga!” “Torna, ċazzo!” “Ma no!” “Ma stai su Messi!” Non sta zitto un attimo. A un certo punto urla un consiglio, il giocatore per caso fa esattamente quel che gli dice di fare, allora gli urla il consiglio contrario. Ecco come: “Sali! Sali! Ah no, che ċazzo sali! Stai giù!” Tim mi chiede se è il caso di fargli una parte, gli accordo il permesso, e al settantatreesimo si gira e lo azzittisce dicendogli che è tutta la partita che urla. Dopo alcune strampalate proteste (“Potevi guardartela a casa!”) si azzittisce quasi del tutto, cioè diventa un tifoso normale e sostiene la squadra. Altro personaggio notevole intravisto: Berlusconi vestito di scuro che esce dal passaggio in cima alla tribuna a fine partita. Dietro di lui, sulle scale, quindici metri di stuolo umano, diamantato di fighe.] Barcellona: Da romanista, dopo aver visto dal vivo il Barcellona, che sarebbe a medio o lungo termine il modello da imitare per la squadra a cui tengo, la AS Roma catalano-americana di Luis Enrique, sono costretto ad affermare che il tiki taka è una cagata pazzesca. Ho sul telefono un filmino lungo 49 secondi in cui riprendo la parte finale di una estenuante azione d’attacco del Barcellona. Nei 49 secondi ho contato 13 passaggi, quasi tutti in orizzontale. Io e Tim eravamo seduti proprio là davanti, sulla trequarti d’attacco degli ospiti, ho potuto così farmi l’idea più realistica possibile di cosa sta portando in giro per il mondo il club che sta radendo al suolo il calcio europeo e internazionale vincendo tutto. Le azioni del Barça sono noiose. Le occasionali accelerazioni verticali di Messi, le efficaci aperture laterali di Xavi e Iniesta per la salita a destra di Dani Alves, mi hanno affascinato per qualche anno finché una sera di due mesi fa non ho visto in tv la partita di andata degli ottavi in casa del Bayer Leverkusen e non ho cominciato a sospettare che mi stavo stufando di quel ritmo soporifero e di quel controllo corpuscolare del gioco di cui parla Sandro Modeo ne Il Barça. Ieri, a San Siro, ho avuto la prova definitiva, quella emotiva, affettiva, che il Barcellona non mi interessa. Seduto fra milanisti, ero mimeticamente sensibile alla loro paura, e la decina circa di palle gol degli avversari giustificavano l’orrore dei tifosi e la tensione costante. Ma non tifando, nel profondo, visceralmente, per nessuna delle due squadre, trovavo molto più perspicuo e attinente all’esperienza partita di calcio un tentato stop di Telespalla Ibra con i suoi piedi lunghi da pagliaccio, in equilibrio impossibile fra Piqué e Busquets, nel deserto della metà campo avversaria, disperato e volenteroso, pionieristico, speranzoso di veder salire il resto della squadra al primo segno di avvenuto controllo della palla. E invece il gioco del Barcellona di Guardiola, che fin dalla prima finale di Champions vinta tre anni fa è stato tutelato dall’Uefa ed esibito come segno di salute del calcio europeo, ammorba il campo con un controllo anale, autistico, che visto finalmente alla giusta distanza mi ha dato l’idea di trasformare il campo di calcio in qualcosa che non dovrebbe essere. Il Barcellona gioca a calcetto. Gioca praticamente da fermo. Chi si è formato con Holly e Benji sa per certo che il calcio ha due facce: una è quella in cui il campo è un rullo verde che scorre sotto i piedi dei giocatori lanciati in contropiede; l’altra è quella in cui tutto è fermo, il tempo e lo spazio, in un Mexican standoff che può durare anche una puntata intera, e che è bello per noi spettatori soltanto nella misura in cui abbiamo accesso ai pensieri di Holly sul suo allenatore brasiliano o sulla cardiopatia di Julian Ross. Ibra era la prima faccia di Holly e Benji: il campo sotto i suoi piedi è un dragone srotolato e pazzo su cui un uomo enorme dai piedi enormi e dal volto eternamente concentrato cerca di mantenere un equilibrio commovente che produce in me sentimenti romantici e riflessioni sulla morte. Appena gli riesce un assist di esterno per lanciare El Shaarawy sulla fascia, assist eseguito nello stesso istante in cui si produce lo stop su un punto qualunque dell’enorme scarpino mentre con le spalle e i gomiti tiene lontani due difensori senza mai perdere la sua aria perennemente concentrata, il cuore mi balza in petto e capisco perché il calcio ha deciso di darci come scenario questo assurdo campo lungo cento metri: il campo è il mare aperto, e anche se la cosa presenta problemi logistici (specialmente per chi lo deve percorrere), questo mare aperto, e il destino degli sfortunati che devono attraversarne, su zattere con tacchetti, l’instabile superficie, è tutta la sostanza emotiva dei novanta minuti della partita. Il Barça che ho visto ieri è una compagnia di persone incapaci di stare sole, che si tengono strette ogni momento, accompagnandosi per il campo anzi accampandosi di continuo nelle zone che contano. Il Barça si accampa sulla trequarti e comincia a nasconderti la palla. Ti tiene lì con un ostinato preliminare dell’atto sessuale di tirare in porta. Ti bacia, ti stuzzica, ti tocca, ti accarezza, e a un certo punto ti stufa. Francesco Pacifico - Scrittore Francesco Pacifico è nato nel 1977 a Roma, dove vive. Scrive su Repubblica, IL e Rolling Stone. Ha pubblicato i romanzi Il Caso Vittorio (Minimum Fax, 2003) e Storia della mia purezza (Mondadori, 2010). Traduce anche romanzi e graphic novel dall’inglese (tra cui Chris Ware e Will Eisner, Dave Eggers, Rick Moody, Kurt Vonnegut, F. Scott Fitzgerald, Henry Miller). -
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Il Sole 24 ORE 30-03-2012 -
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Studio sui conti del pallone Seguire Agnelli per salvare il calcio Aumentano i debiti dei club: la A in rosso di oltre 2,6 miliardi L'unica salvezza sono gli stadi di proprietà sul modello-Juventus di ANTONIO MAGLIE (CorSport 30-03-2012) ROMA - Il calcio italiano è in mezzo al guado. Fa parte sempre del club dei Grandi (2 miliardi e mezzo complessivi di fatturato, poco più di due generati dalla serie A calcolando anche le plusvalenze, oltre 1, 6 escludendole) ma ha bisogno di un colpo di coda per colmare le distanze (anche competitive) rispetto ai tornei più ricchi (quasi 2, 7 miliardi la Premier, 1, 643 la Bundesliga, 1, 640 la Liga). Quel colpo può venire solo ispirandosi al modello-Juventus, cioè puntando sulla costruzione dello stadio di proprietà che, come ha sottolineato il presidente del Coni, può essere realizzato anche a prescindere dalla famosa legge impantanata in Parlamento. Enrico Letta, presidente dell’Arel, l’agenzia di ricerche che insieme all’ufficio studi della Figc diretto da Michele Uva e alla società di revisione PricewaterhouseCoopers ha realizzato il secondo “report sul calcio”, in qualità di parlamentare ha chiesto ai colleghi di utilizzare quest’ultimo pezzo di legislatura per approvare un provvedimento che, a parere del Ministro per il turismo e lo sport, Piero Gnudi, potrebbe mettere in moto 800 milioni di investimenti. “Per ora ho visto solo splendidi plastici ma nei plastici non si gioca” , ha sottolineato con una stoccata polemica, il presidente del Coni, Gianni Petrucci. Con orgoglio quei riferimenti sono stati colti da Andrea Agnelli, presidente del club bianconero, che ha partecipato alla presentazione dello studio nella sede dell’Associazione Bancaria Italiana, insieme al suo amministratore delegato, Beppe Marotta, e a quello dell’Inter, Ernesto Paolillo. CALO - I dati, d’altro canto, sono chiari: il calcio dipende per il 47, 8 per cento dai diritti tv (per la A l’incidenza è del 55, 6, un po’ meno dello scorso anno, 58,3). Lo stadio si è perso per strada altri 22,4 milioni di euro e sulle fortune economiche dei club incide per un minimo 10 per cento. Complessivamente, alle partite dei campionati professionistici hanno assistito 13.375.257 spettatori, con un calo globale del 4,4 per cento (2,4 per la A, 3, 2 per la B, 11 per la Prima Divisione e 19,9 per la Seconda). Il tasso di occupazione degli stadi in media non va oltre il 56 per cento (59 per cento in A, dato che sale al 67 per la Champions). Mediamente assistono alle partite di serie A 23. 541 spettatori, contro i 42. 665 della Germania, i 35. 294 dell’Inghilterra e i 28. 221 della Spagna. Per la massima serie un dato positivo arriva dalle sponsorizzazioni e dalle attività commerciali: i ricavi sono cresciuti da 310,3 milioni a 318,4. A GALLA - Nonostante tutto, il calcio italiano si tiene a galla, in A e B (l’unico campionato che cresce dal punto di vista dei ricavi) regge l’urto della crisi, in Lega Pro la soffre. Rispetto all’anno precedente il fatturato complessivo è diminuito dell’1,2 per cento. In A la contrazione è stata del 3, 2 (da 2,097 miliardi a 2,031); la B, al contrario, ha fatto registrare una crescita del 17 per cento (da 286,8 a 335,4); la Lega Pro, infine, si è persa per strada 12 milioni passando da 122 a 110. I costi del calcio professionistico sono ampiamente superiori ai ricavi (2, 9 miliardi con un incremento del 7 per cento) mentre il costo del lavoro appare molto vicino al limite del fair play Uefa: 71 per cento contro il 70 richiesto da Nyon. Aumentano gli investimenti sui giovani (da settanta a ottanta milioni) ma restano alte le perdite di esercizio (428,2 milioni con un incremento del 23, 2 per cento sull’anno precedente: in sostanza un quarto del deficit europeo: 1, 7 miliardi a fronte di un fatturato di 17,9 miliardi, 10, 6 miliardi dei quali prodotti dalle prime dieci Leghe europee). Come ha sottolineato il presidente della Figc, Giancarlo Abete, gran parte di quel dato è riferibile alle tre Grandi (poco oltre duecento milioni accumulati da Juventus, Inter e Milan).Cresce del 14 per cento anche l’indebitamento (2,6 miliardi). Una cosa è certa: il pallone è un ottimo contribuente visto che verse nelle casse dell’Agenzia delle Entrate e degli Enti Previdenziali un miliardo (688 arrivano dalla A). Ai ragazzini il pallone piace tanto: uno su quattro tra gli otto e i dodici anni è tesserato. Ma dal punto di vista aziendale siamo ancorati alla logica dei mecenati visto che il 95 per cento dei club ha un unico socio di maggioranza. Un segnale della crisi è la riduzione delle plusvalenze (in A sono scesi a 357 milioni, -6, 9). E delle squadre: 470 professionistiche (contro 484), 17. 020 dilettantistiche (contro 17. 400). Conforta, però, la crescita di quelle del settore giovanile e scolastico (54.199 contro 50.475). Luci e ombre anche per questo ieri è stato usato soprattutto un sostantivo: transizione. ___ L’ALLARME SPROFONDO ITALIA La A in rosso: «Altrove sarebbe fallita» Il ministro Gnudi sui 2,6 miliardi di debiti: «Faccio il ragioniere, leggo bilanci molto preoccupanti» di MAURIZIO GALDI (GaSport 30-03-2012) «Il calcio è una grande realtà, ma io faccio il ragioniere e leggo bilanci molto preoccupanti. In altri ambiti, con quei numeri si parlerebbe di società prossime al fallimento». È questa la doccia fredda e l'allarme che viene dal ministro allo sport Piero Gnudi ieri alla presentazione del Report Calcio 2012 presentato nella sede dell'Abi a cura del Centro studi della Federcalcio, guidato da Michele Uva, di Arel e di PriceWaterhouseCoopers. Un report che traccia l'immagine del calcio italiano. In apertura poteva quasi sembrare una festa, invece Enrico Letta (segretario dell'Arel) ed Emanuele Grasso (partner Pwc) tracciano un bilancio di numeri importanti. Si parte dal fatto che solo il mondo professionistico dà allo Stato in tasse un miliardo di euro e che il costo del lavoro è diminuito. Poi però i nodi vengono al pettine: 2, 6 miliardi di debiti, la perdita netta prodotta dal calcio è di 428 milioni di euro, in crescita dal 23 per cento rispetto alla stagione precedente. Solo 19 società su 107 chiudono il bilancio in positivo e di queste solo sei di Serie A. Legge sugli stadi Per Letta e Grasso un salto di qualità potrebbe venire dalla legge sugli stadi, ma anche su questo Gnudi getta acqua sul fuoco: «Che la legge sugli stadi di proprietà sia una priorità per il mondo del calcio è indiscutibile. È evidente il costante calo degli spettatori negli impianti esistenti. Sono convinto che l'iter di questa legge vada portato avanti, anche per innescare nuovi investimenti da parte dei privati. Parliamo di 800 milioni di euro, utili alla crescita del Paese», ha ammesso il ministro. Ma poi ha aggiunto: «Detto questo, non è una cosa che si farà domani, ma solo al termine di un percorso virtuoso che per realizzarsi, però, ha anche bisogno che finisca questa crisi. Altrimenti anche con la nuova legge, sarà difficile trovare degli investitori». Insomma aspettate la legge, ma senza soldi non si va da nessuna parte. Solo plastici E anche il presidente del Coni Gianni Petrucci è stato d'accordo col ministro. Elogiando la Juventus (era presente Andrea Agnelli) per lo stadio realizzato anche grazie al contributo del Credito sportivo, ha poi sottolineato: «Ad eccezione della Juve, oggi vedo soltanto tanti splendidi progetti. Se si potesse giocare nei plastici sarebbe fantastico, meglio del campo del Barcellona o del Real Madrid. Ma è così difficile accelerare l'approvazione della legge? E poi le società cosa fanno? Se una cosa si vuole davvero, si porta avanti». Il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete ha aggiunto: «La legge sugli stadi è ferma nonostante l'impegno del ministro Gnudi. Speriamo ci sia attenzione da parte delle istituzioni, anche perché la Uefa ha riaperto le dichiarazioni d'interesse per l'Europeo del 2020: ma se stiamo messi così, non possiamo neppure giocare la partita». Regole Infine gli affondi di Petrucci e Abete sulle regole. «I dati forniti dal Report sono per un verso preoccupanti e per l'altro esaltanti — ha detto Petrucci —, ma possono essere guardati in positivo solo se si rispettano le regole. In questo il Coni sarà sempre al fianco della Figc. Dico alle Leghe, che agiscono su delega, di fare in modo di darsi delle regole e di far sì che vengano rispettate». E Abete ha spiegato come «sia necessario rivedere i criteri di iscrizione ai campionati» e per questo verranno rivisti al rialzo i parametri della Covisoc. Un avviso ai naviganti visto che oltre il 50 per cento del deficit è rappresentato da pochi club. Infine ha ribadito «il ruolo centrale della Federcalcio». In chiusura un plauso ai club che hanno aumentato il loro investimento sui giovani. ___ TUTTOSPORT 30-03-2012 ___ I bilanci del calcio. I dati del Report di Figc, Arel e PwC: un quinto delle imposte arriva dall'Iva - Dalle scommesse 155 milioni Il fisco trova un miliardo nel pallone La Serie A dà all'erario 875 milioni - Sono contribuenti 11.245 atleti professionisti di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 30-03-2012) Un miliardo di euro. È questo il contributo che il "comparto" del calcio professionistico italiano paga ogni anno al Fisco. I dati sulle tasse e i versamenti previdenziali delle società professionistiche sono la principale novità del "ReportCalcio 2012" presentato da Figc, Arel e PricewaterhouseCoopers, ieri mattina nella sede dell'Abi a Roma. Il focus sull'anno d'imposta 2009 (l'ultimo disponibile) evidenzia sia l'impatto del costo del lavoro sui bilanci dei club, sia le imposte versate in "proprio" dalle aziende calcistiche (Iva e Ires). Naturalmente è la serie A a fare la parte del leone "accollandosi" quasi l'80% degli 875 milioni pagati al Fisco, mentre la serie B spende in tributi "solo" 120 milioni (il 14%) e la Lega Pro 67 milioni (il 6 per cento). In particolare, il valore delle ritenute (le imposte dovute dai calciatori-dipendenti e trattenute dalle società quali datori di lavoro) ammontano a 524 milioni di euro in rapporto all'entità degli stipendi pagati al personale sportivo e non (pari a 1, 3 miliardi di euro). Rispetto all'anno d'imposta 2008, il carico fiscale sugli ingaggi corrisposti agli atleti è aumentato di quasi 20 milioni. Queste cifre sono al netto delle detrazioni e dei crediti d'imposta eventualmente riconosciuti per le imposte pagate all'estero a titolo definitivo. Anche se questo scarto dovrebbe incidere poco, essendo gli atleti stranieri residenti fiscalmente in Italia. Tra le ritenute vanno poi citate quelle effettuate sui compensi dati a lavoratori autonomi e sulle provvigioni. Si arriva nel 2009 a 9, 3 milioni di euro per una spesa delle squadre che sfiora i 47 milioni di euro. Altra imposta indice dell'altro costo del lavoro che caratterizza il sistema calcio italiano – che in media assorbe il 71% del fatturato – è l'Irap che vale circa 43 milioni. Il ReportCalcio 2012 fornisce, inoltre, news sui redditi dei calciatori. Sempre nell'anno d'imposta 2009 risultano come contribuenti 11. 245 atleti professionisti. La maggior parte (8. 346), arruolati nelle serie minori o giovani contrattualizzati al minimo, dichiara meno di 35mila euro. Un altro gruppo consistente (1.929) se la passa meglio portando a casa "stipendi" fra i 35mila e i 200mila euro annui. Mentre denunciano redditi superiori alla fascia dei 200mila euro in 970. Generalmente si tratta degli atleti che militano in serie A (701), che mettono insieme un ammontare di reddito di poco inferiore al miliardo di euro (per una media di 1,3 milioni a testa). In serie B, sono in 230 a dichiarare oltre 200mila euro (con un ingaggio medio di 400mila euro) e in Lega Pro, Prima Divisione, 39 (con compensi che mediamente si aggirano sui 300mila euro). Nella vecchia serie C, in effetti, il 90% dei tesserati ha contratti con ingaggi sotto i 60mila euro all'anno. La previdenza dei calciatori, invece, è costata ai team 95 milioni nel 2010 (erano 90 l'anno prima), in virtù di contributi tutto sommato bassi in rapporto agli stipendi. Passando alle altre imposte a carico delle aziende calcistiche, un quinto del totale è imputabile all'Iva (208 milioni). L'Ires, data la situazione economica-finanziaria dei club, con appena il 18% del totale della platea in utile, e una perdita netta aggregata di 428 milioni (più diffusamente sul punto si veda l'articolo a fianco), rende all'Erario solo 8, 4 milioni. Il Report di Figc, Pwc e Arel, sottolinea, peraltro, come tra le società che liquidano ordinariamente l'imposta solo il 4% ha un reddito imponibile, proprio per l'utilizzo (cosiddetto "a riporto") delle perdite generate negli esercizi precedenti. Vale, infine, 155 milioni di euro il gettito derivante dalle scommesse sul calcio che hanno raggiunto una raccolta complessiva nel 2011 di 3, 4 miliardi. ------- Il ministro Gnudi: legge sugli stadi per mobilitare 800 milioni di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 30-03-2012) Lo stadio di proprietà, sull'esempio della Juve, è il sogno di molti presidenti. Ma per ora, come ha sottolineato ieri, intervenendo a Roma alla presentazione del ReportCalcio 2012, il presidente del Coni, Gianni Petrucci si vedono solo «splendidi plastici». Nella scorsa stagione solo il 10% del fatturato dei club è arrivato dal botteghino con un tasso di riempimento degli impianti del 56% e un calo di spettatori del 4, 4. Più in dettaglio, la riduzione dei ricavi da stadio nel 2010-2011 è stata di 22 milioni di euro (253 milioni contro i 275 della stagione precedente). Per il ministro dello Sport, Piero Gnudi, la legge sugli stadi (che giace alla Camera, dopo aver ottenuto due anni fa l'ok del Senato) va approvata quanto prima: «Ha ragione il mondo dello sport quando dice che la legge sugli stadi è una priorità, anche perchè è evidente il costante calo degli spettatori negli impianti italiani. Sono convinto che l'iter per l'approvazione vada portato avanti anche per innescare nuovi investimenti da parte dei privati, parliamo di 800 milioni». «Dobbiamo restare lucidi – ha aggiunto il presidente della Figc, Giancarlo Abete, anche perchè l'Uefa ha riaperto le dichiarazioni di interesse per Euro 2020, e, se restiamo così, noi non giocheremo nemmeno la partita». ------- Produzione. Il valore cala dell'1,2% Le plusvalenze non salvano i conti di GIANNI DRAGONI (Il Sole 24 ORE 30-03-2012) Meno ricavi, più perdite e più debiti. Sei parole che spiegano in sintesi il flop del calcio, come descritto nel rapporto curato dalla PriceWaterhouse e dall'Arel, insieme alla Federcalcio. Il «Report Calcio 2012» dice che il buco prodotto dal calcio professionistico italiano si sta allargando. Nell'ultima stagione sportiva, secondo i bilanci al 30 giugno 2011, la perdita netta aggregata delle squadre di serie A, serie B e della Pro di prima e seconda divisione è stata di 428 milioni di euro, in aumento di quasi 81 milioni (+23,2%) rispetto alla stagione precedente. Sono censite 107 squadre, ne mancano 20 delle due leghe minori. «Il calcio è una grande realtà, ma io faccio il ragioniere e leggo bilanci molto preoccupanti. In altri ambiti, con questi numeri, si parlerebbe di società prossime al fallimento», è il commento di Piero Gnudi, commercialista detto «il Cuccia di Bologna», ministro del Turismo e Sport. Il totale del valore della produzione del calcio professionistico è pari a 2.477 milioni, il giro d'affari è in calo dell'1, 2 per cento. La serie A rappresenta l'82% dei ricavi e il 70% delle perdite, ha un risultato netto in rosso per 300 milioni su un valore della produzione complessivo di 2. 031 milioni, diminuito del 3, 2% rispetto all'anno precedente. E in questi ricavi ci sono anche le plusvalenze da cessione calciatori, pari a 357 milioni (26 milioni meno dell'anno precedente), mentre i «ricavi di vendita» della serie A sono pari a 1.674 milioni (40 milioni meno del 2010). Sarebbe più corretto, per rappresentare l'andamento della gestione dei club, scorporare le plusvalenze dai ricavi, come fa Deloitte nella rassegna sul Football europeo, e indicarle tra i proventi straordinari. La serie B incide per il 14% sui ricavi totali e per il 17% sulle perdite, il bilancio aggregato dei suoi 22 club indica una perdita netta di 73 milioni e un valore della produzione di 336 milioni. In rosso anche le due leghe Pro, la prima divisione per 44 milioni, la seconda divisione di 12 milioni. L'altro elemento evidenziato è l'aumento del 14% dell'indebitamento della serie A, a 2.659 milioni di euro. Ma i debiti finanziari, verso le banche o altri finanziatori, per esempio per leasing o cessione di crediti, si sono impennati del 50%, da 619 a 928 milioni. Secondo lo studio «il valore patrimoniale della serie A al termine dell'ultima stagione sportiva è pari a 3. 088 milioni, in aumento dell'1, 7% rispetto alla stagione sportiva precedente». In questo importo è incluso il cartellino dei giocatori, a volte iscritto a valori gonfiati o irrealistici, perché frutto di scambi o comproprietà a prezzi "dopati". Il patrimonio netto delle venti squadre di serie A è molto più basso, è crollato ad appena 150 milioni al 30 giugno scorso, dai 354 milioni del 2010 e 385 milioni del 2009. Questo significa che, con la crisi, gli azionisti che sperperano il denaro comprando calciatori e strapagandoli (il costo del lavoro in serie A è stato di 1.159 milioni, lo 0,6% in meno dell'anno precedente), mettono sempre meno capitale nei loro club e corrono a chiedere soldi in prestito alle banche. In tutto ci sono 19 squadre con i conti in attivo, di cui nove in serie A. ___ Sistema Calcio a Rischio Default Stipendi alti e Disaffezione dei Tifosi di STEFANO AGNOLI (CorSera 30-03-2012) Il ministro dello Sport, Piero Gnudi, ha parlato «da ragioniere» (parole sue) quando ha evocato lo spettro «fallimento» sul calcio italiano. Gnudi, forse, ha voluto dare una scossa al sistema, ma sa quello che dice visto che è stato presidente dell'Enel e ha frequentato i consigli di amministrazione di tanti grandi gruppi, qualcuno profittevole, qualcuno un po' meno. E allora bisognerà ascoltarlo e magari ripartire proprio da lì, dalla ragioneria. Cioè dai (troppi) costi e (pochi) ricavi del pallone nazionale. Malgrado la crisi economica generale, nell'ultima stagione gli stipendi dei calciatori hanno superato il miliardo di euro (!) e la perdita del sistema professionistico (un rosso di 428 milioni) si deve per più di un terzo proprio a quell'incremento. Il che conduce a un'altra considerazione: non pare per nulla un caso che il rapporto personale/fatturato del calcio italiano resti il più alto (con la Francia) nella top ten dei campionati europei, a quota 74%. Che arriva addirittura al 90% al netto delle plusvalenze legate alle cessioni di calciatori più o meno famosi. Se si passa invece al setaccio la voce ricavi, a colpire è un altro numero da ragionieri, quello delle entrate da gare. Cioè degli spettatori che vanno allo stadio. E anche qui il paragone europeo la dice lunga: in serie A solo il 12% del fatturato viene da lì. In Premier League e in Bundesliga è il doppio, nella Liga quasi tre volte tanto. Certo, è verosimile che la recessione possa giocare contro, visto che le prime ad essere tagliate dalle famiglie possono essere spese «non necessarie» come queste. Infine ci sono i debiti. Sono saliti, è vero, ma solo per colpa dei cinque maggiori club. E uno di questi, la Juventus, si è indebitata per farsi lo stadio nuovo. Debito «virtuoso», in questo caso. Può dirsi lo stesso degli altri? Costi, ricavi e stadi di proprietà che non ci sono. Il futuro non si presenta entusiasmante. Però una nota positiva c'è: salgono gli investimenti nei settori giovanili. Forse nel calcio siamo meno miopi di quanto si pensi. -
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LA BOTTEGA di SERGIO NERI (CorSport 30-03-2012) Prandelli cercava un gol con un assist di Petrucci Si vede che Gianni Petrucci, prossimo alla scadenza del suo mandato, ha deciso di tirar fuori il meglio di sé, come l'atto felice d'un gran finale. E infatti lo ha dimostrato con un puntuale (ma inutile, ahimè) intervento sulla disputa, francamente triste, tra Prandelli e la Lega che gli ha negato la propria disponibilità per gli stages cui l'allenatore degli azzurri tiene moltissimo. E non è detto che non riesca a mettere insieme qualcosa. Però Petrucci è intervenuto con un tempismo che sollecita una stretta di mano. E' raro, di questi tempi, che un responsabile ad alto livello delle cose dello sport, avverta il bisogno di operare per sostenere i valori morali del proprio movimento. Petrucci questa volta lo ha fatto. Petrucci è intervenuto dopo il primo "no" della Lega alla legittima richiesta di Prandelli il quale chiedeva di poter organizzare un paio di raduni per lavorare al meglio sulla costruzione del gruppo che dovrà affrontare gli europei. Prandelli è stato respinto in un lampo ma in suo soccorso è intervenuto il Coni per bocca del suo presidente il quale ha sostenuto la richiesta dell'allenatore azzurro non solo per il valore tecnico ch'essa racchiude ma anche per lo spirito che rappresenta. La nazionale azzurra è un valore che va oltre il contenuto tecnico che il campo le riconosce. Si tratta di un valore del quale i ragazzi hanno disperato bisogno. In un luogo non lontano da Roma si è scoperto che il gioco preferito dei bambini era quello di battersi come a guardie e ladri d'una volta ma scimmiottando, ahimè, i turpi protagonisti della famigerata banda della Magliana, rievocati da una rappresentazione televisiva e in qualche modo riproposti come orrendi modelli capaci, però, di stuzzicare la fantasia dei più piccoli. Uno era un criminale, uno era quell'altro, si chiamavano per nome con i nomi veri degli spietati delinquenti e fingevano di spararsi addosso come se in mano stringessero delle pistole. Prandelli avrebbe organizzato non solo incontri di lavoro ma anche di aggregazione tra i ragazzi per la creazione del gruppo la qual cosa avrebbe giovato a tutti, ai giocatori, naturalmente, alla squadra azzurra e ai giornalisti i quali avrebbero avuto occasione d'occuparsi e di raccontare storie finalmente più ideali, robuste ed attraenti delle solite aridissime polemiche tra allenatori e presidenti o di intrecci di mercato il più delle volte anche privi di consistenza e di verità. Gli incontri di Prandelli sarebbero diventati anche eccellenti racconti di lavoro capaci di attrarre l'attenzione dei ragazzi, sempre pronti, nonostante tutto, a cavalcare un sogno, e ad accendere altre luci sull'evento europeo che ci aspetta. Anch'esso naturalmente degno d'essere raccontato ai più giovani come una favola priva di violenza e di volgarità. Petrucci lo ha capito e per questo si è speso a sostegno di Prandelli. E proprio per questo il suo intervento ha un valore ancora più grande. Petrucci consegna al suo erede un messaggio che dovrà rappresentare la luce sempre più forte del futuro dirigente. Si annidano nello sport valori semplici e molto grandi: non calpestiamoli pensando che il fine sia sempre e solo quello d'andare nei Paesi che il petrolio ha reso ricchissimi a reclutare investitori pronti ad intervenire con flussi di miliardi che passano sulla gentilezza d'un bosco come le fiamme d'un incendio e bruciano tutto. Alla fine ci restano i ragazzini che giocano a fare i criminali della banda della Magliana. -
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IL CASO Le «Iene» e il dossier «massone» contro Baldini di MASSIMO CECCHINI (GaSport 30-03-2012) Storie di calcio, dossier, massoneria e «Iene». Il servizio mandato in onda ieri dal programma di Italia Uno, a cura di Paolo Calabresi, è uno spaccato del modo che ruota intorno al pallone romano. Gli esiti sono già noti: dopo l’esposto presentato dal d. g. Baldini e dal consigliere Baldissoni, il procuratore Capaldo indaga per ricettazione (e forse non solo) sul conto di Roberto Renga, firma storica, suo figlio Francesco, il conduttore radiofonico (e pregiudicato) Mario Corsi e del suo collaboratore Giuseppe Lomonaco. Calabresi, il cui figlio gioca nelle giovanili della Roma, grazie a una telecamera nascosta ha registrato colloqui con tre degli indagati, in cui si capisce come Renga — in possesso di presunti sms tra Baldini e Baldissoni («presumo vengano dalla Digos») —, propone a Calabresi un servizio sulla massoneria nel calcio («uno scoop»). Nei fogli si legge di «triplice fraterno abbraccio» e «maestri venerabili». Nessuno dei 4 vuole esporsi e Calabresi è scettico sul materiale. Lomonaco invece dice: «È tutto assolutamente vero». Gli sms arriverebbero non dalla Digos, ma da persone «che lavorano in compagnie telefoniche». Tutti si rendono conto dei presupposti illegali, ma Corsi, per Lomonaco, ha «beghe con Baldini». Ad un certo punto, però, Lomonaco si accorge della telecamera, prende le distanze e nel successivo incontro fra Calabresi e Corsi, questi conclude che tutto «era ’na cazzata». Chissà che ne penserà il giudice. Ps. Pare ci siano altri filmati pronti ad uscire. I veleni sono serviti. ___ La storia Roma, in onda la stangata fallita "Sono massoni, è una cosa atroce" di CARLO BONINI (la Repubblica 30-03-2012) Ricordate la storia raccontata da "Repubblica" il 17 marzo? La stangata alla vaccinara ai danni della Roma calcio che voleva far passare il suo direttore generale Franco Baldini e il consigliere di amministrazione Mauro Baldissoni, come due loschi massoni? Ma sì, quella su cui ora indaga la Procura di Roma e che mette insieme un giornalista in pensione, Roberto Renga, suo figlio Francesco, una voce delle radio "libere", Giuseppe Lomonaco, e il suo principale, Mario Corsi, detto "Marione", un tipo passato dalla militanza neofascista alla predicazione alla curva, di cui si è fatto industria. I quattro, indagati e risentiti, avevano smentito, minacciando querele e invitando ad attendere, perché il tempo sarebbe stato galantuomo. Bene, ieri, le "Iene" hanno mandato in onda le immagini e le voci della "bufala" che loro hanno scoperto, filmato e registrato di nascosto, e da cui questa storia è cominciata. Una magnifica piece neorealista. L´avventuroso manipolo di "sola" (così a Roma viene definito chi prova a rivogare la fuffa) appare eccitato dalla carta straccia che ha in mano (finte intercettazioni di sms che accreditano la "fratellanza" di Baldini e Baldissoni) e vuole rifilare alla iena Paolo Calabresi. «La cosa è atroce - dice con enfasi grottesca Renga - perché si evincono due cose. Uno: c´è la massoneria ed ecco perché non capivamo la Roma agli americani. Due: hanno cose terrificanti da nascondere». Peccato non sia vero e Calabresi non sia un fesso. «Ma tu sei certo della fonte che ti ha dato queste carte?», chiede. «Sì - fa lui - lo sono perché sennò...». Poi suggerisce anche come confezionare il pacco: «Io sai come l´avrei pubblicato? Fotografato, facendo vedere con il bianchetto cancellato. Questi sono i dirigenti del calcio italiano. Che è uno scoop, comunque». Non è uno scoop, ma una pizza di fango, sulla cui bontà si spertica però anche Lomonaco. Dice a Calabresi: «La storia secondo me è assolutamente vera. E´ una cosa grossissima». E poi, per non guastare, spiega che il materiale a Renga lo ha passato Mario Corsi. «Qua è come se ci fosse un unico gruppo di lavoro, diciamo». Potrebbe finire qui. Ma Roma e il calcio sono pieni di sorprese. E in questa storia, per una singolare coincidenza, fa ora "capoccella" il nome di Luciano Moggi. Ascoltato in Procura dal pm Paola Filippi, Paolo Calabresi racconta infatti un curioso episodio. Pochi giorni prima che la velenosa patacca diventi di pubblico dominio, la iena riceve una telefonata dall´ex dg della Juventus. I due non si sentono da più di due anni, ma Moggi ha urgenza di incontrarlo. Gli dà appuntamento nello studio di uno dei suoi avvocati, a Roma. Che avrà mai da dirgli? Al pm, Calabresi racconta che Moggi gli chiede notizie di suo figlio, un ragazzo che gioca nelle giovanili della Roma («Mi dicono che è forte. Ma sei tu il padre?»), quasi a lasciar intendere che potrebbe anche farlo seguire da qualche procuratore, salvo poi condurre la conversazione su inutili facezie. Si dirà: che c´entra? Forse nulla. Se non fosse che Procura e Digos, il 17 mattina quando "Repubblica" è in edicola, restano colpiti dalle parole con cui Renga reagisce alla vergogna che lo ha travolto. «Non ho nulla di cui preoccuparmi. Forse dovrebbe esserlo chi ha un figlio che gioca nella Roma». Povero ragazzo. E povero Moggi. Che sfortuna parlare del figlio della Iena proprio in quei giorni. ___ Il caso Truffa alla Roma Il filmato delle «Iene» di LUCA VALDISERRI (CorSera 30-03-2012) ROMA — «Le Iene» la definiscono una bufala, la Procura di Roma ci sta indagando e l'etere romano sarà di nuovo sconvolto da quella che è stata chiamata «la tentata truffa alla Roma». È la seconda puntata, dopo quella del 18 marzo quando filtrò la notizia del tentativo di infangare Franco Baldini e Mauro Baldissoni, d. s. e membro del Cda della nuova Roma «americana», tentando (senza riuscirci) di far pubblicare notizie da due quotidiani e di ottenere un servizio tv sulla presunta affiliazione di Baldini e Baldissoni alla Massoneria. Mentre la Procura di Roma sta procedendo, il programma tv di Italia 1 ha mandato in onda i filmati, girati di nascosto da Paolo Calabresi, nei quali viene contattato dal giornalista Roberto Renga e da Giuseppe Lomonaco, voce del programma «Te la do io Tokyo», condotto da Mario «Marione» Corsi. Renga e Lomonaco cercano di convincere Calabresi della fondatezza dell'informazione: secondo la ricostruzione, solo quando Lomonaco capisce di essere registrato ipotizza dei dubbi sulle registrazioni, che secondo Renga proverrebbero dalla Digos, secondo Lomonaco da soggetti che hanno accesso alle utenze telefoniche. Una triste storia che ha le radici in una divisione tra «tifosi» della nuova proprietà e nostalgici della gestione Sensi. ___ Inchiesta La guerra degli eterni nemici Complotto anti-Baldini. Spunta Moggi Un servizio delle «Iene» rivela il dossieraggio con documenti falsi L’ex dg della Juve nel mirino dei pm: «Un abbaglio, sono estraneo» di GIAN MARCO CHIOCCI & MASSIMO MALPICA (il Giornale 30-03-2012) Rieccolo. Spunta il nome di Luciano Moggi (l’ex dg della Juve) nell’inchiesta su un presunto complotto in danno del dg della Roma, Franco Baldini. Gli eterni nemici ai tempi di Calciopoli si ritrovano su barricate opposte per un servizio delle Iene trasmesso ieri sera in merito a un presunto tentativo di screditare Baldini - stando all’ipotesi dei pm romani Filippi e Capaldo ordito da tre indagati: il giornalista ex Messaggero , Roberto Renga; la voce radiofonica del tifo giallorosso Mario Corsi, alias «Marione»; il collaboratore di quest’ultimo, Giuseppe Lomonaco. Le indagini puntano a fare luce anche sull’esistenza di un eventuale «mandante » dei dossieraggi rivelati dalla «iena» Paolo Calabresi, contattato dai tre, e infine anche da Luciano Moggi in circostanze definite «anomale» dagli inquirenti. Per capirne di più, oltre a rivedere il servizio andato in onda ieri, occorre rifarsi agli sviluppi delle indagini. Che prendono forma nella prima decade di marzo quando Renga riferisce a Calabresi di documenti che comproverebbero l’ingerenza di logge segrete nella cordata americana subentrata alla famiglia Sensi. Un fatto di per sé grave, spiega Renga, perché i «cappuccioni» sarebbero, giust’appunto, Baldini e il consigliere di amministrazione Mauro Baldissoni. Lo dimostrerebbero alcuni sms riportati su foglio A4 dove, però, manca qualsiasi intestazione. Calabresi si insospettisce, ma Renga lo rassicura sull’attendibilità della notizia e soprattutto della fonte, che da bravo cronista non rivela. Nei messaggini tra i due «massoni» si fa riferimento a logge e grembiulini. Il gergo utilizzato è da navigati liberi muratori: «Un triplo fraterno abbraccio». Calabresi si mostra scettico, Renga a quel punto taglia corto: «Puoi fare comunque un servizio sulla massoneria nel calcio oscurando i nomi». Ma le carte sono buone? «Certo, arrivano dalla Digos». Nella carte si fa riferimento a un personaggio che sarebbe stato nel mirino dei dirigenti giallorossi, proprietario di una Smart nera, e del quale si annotano i movimenti. Renga, mostrando l’auto parcheggiata, non fa mistero di essere lui quel «personaggio ». L’indomani Calabresi è contattato telefonicamente da Lomonaco che gli preannuncia «una cosa grossissima». Dal collaboratore di Marione, la «iena» si sente raccontare la medesima storia solo che l’interlocutore si lascia sfuggire come il suo «capo» (proprietario pure lui di una smart nera) avrebbe messo le mani su quelle carte grazie ad alcuni «amici che lavorano nelle compagnie telefoniche». Aggiunge che «Mario» è intenzionato a fare uscire la storia, senza comparire, e che le carte le hanno da tempo e ce la ha pure Renga, di cui «Marione» si fiderebbe molto. A un certo punto il giornalista si accorge della telecamera nascosta. Cambia atteggiamento mostrandosi perplesso rispetto a ciò che prima definiva autentico. La chiacchierata finisce là. Tempo due giorni e Corsi si fa vivo con Calabresi, spiegando che effettivamente adesso si sono accorti che quella roba «era una cazzata». Passa una settimana e spunta Luciano Moggi. Telefona a Calabresi e lo riceve nell’ufficio del suo avvocato, racconta la «iena» a verbale. «Una chiacchierata surreale ». Nell’incontro si sarebbe parlato di tutto e di niente, tranne un riferimento fatto al figlio di Calabresi, autentico campioncino delle giovanili della Roma. Per i pm quest’incontro «anomalo» merita più di un approfondimento. Per Moggi, contattato dal Giornale , è un abbaglio: «Non so di cosa si stia parlando, figuriamoci se so di questi dossier. Quanto a Paolo Calabresi è lui che da tempo insiste per fare un’intervista dopo che una volta ci provò travestendosi da cardinale. Siccome l’ho trovato davanti all’ufficio del mio avvocato, l’ho chiamato, e ci ho parlato presente il legale. Non so nulla, assolutamente nulla». Nel frattempo la Roma era venuta a sapere di queste voci e aveva sporto denuncia. La Digos aveva perquisito gli indagati trovando le carte incriminate. Renga, Marione e Lomonaco si sono autosospesi, scegliendo il silenzio dopo aver giurato sulla loro assoluta buona fede. Calabresi è poi finito sei ore sotto torchio in procura dopo che i controlli sui tabulati (veri) dei cellulari di Baldini e Baldissone avevano rivelato una gigantesca discrasia rispetto agli sms riportati nell’anonimo. Tra video e registrazioni l’inchiesta si è allargata ad altri giornalisti che avrebbero visionato il dossier. Complotto o non complotto, questo è lo stato dell’arte. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Crollo testate on-line. Colpa della crisi, della Juve o di Berlusconi? Più utenti su internet, ma meno davanti ai siti dei giornali. Lo mette in luce il rapporto di Audiweb sul mese di febbraio. C'è chi perde più del 50 per cento di pagine viste rispetto a un anno fa (Messaggero e Resto del Carlino), e chi come Il Fatto Quotidiano cala quasi di un terzo. Sarà la recessione, ma insieme a superblog e testate all digital, cresce solo Il Sole 24 Ore. di EMMANUELE MICHELA (TEMPI.it 29-03-2012) Calano tutte le grandi testate, e cala il tempo che la gente trascorre su una pagina web, nonostante aumentino gli italiani connessi a internet. Questo è il quadro delineato dal rapporto di Audiweb, che ha paragonato i dati dell'editoria italiana on-line dello scorso febbraio con quelli dello stesso mese del 2011. I dati sono molto interessanti, e dicono dello stato di salute allarmante di tanti siti d'informazione: spicca per esempio la perdita di più del 30 per cento di utenti unici del sito del Fatto Quotidiano. Perdono molto anche Il Gazzettino (-47,53% di pagine viste), Il Messaggero (-63,82%) e Il Resto del Carlino (-50%). Più limitati, ma comunque sensibili, i cali di Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa. Tutto questo succede mentre aumenta di 7,3 punti il numero di utenti on-line ogni giorno, che però trascorre l'11,5 percento di tempo in meno su internet. Viene da chiedersi cosa sia successo nel corso del mese di febbraio per arrivare a delle perdite così pesanti rispetto allo scorso anno. Che sia forse la sempre più definitiva fine dell'anti-berlusconismo a demolire l'interesse della gente su internet, specie per alcune testate che s'erano fatte portavoce d'eccellenza della lotta al Cavaliere? O forse la moda vintage ha contagiato anche il web, e si potrebbe registrare un clamoroso ritorno al cartaceo? Chi invece può sorridere è Il Sole 24 Ore, che ha visto i suoi utenti unici crescere di quasi 40 punti percentuali, e lievitare di più di un quarto le pagine visitate. Sarà forse la paura della crisi che porta gli italiani, costretti a fare i conti con recessione, bund e spread, a tenersi sempre più informati sul mondo dell'economia? Bene anche Libero, Il Secolo XIX, e, tra gli sportivi, Tuttosport. La ricrescita lampo di Conte, il buon momento della Juve, le ultime, graffiantissime e pepatissime dichiarazioni di Andrea Agnelli su Calciopoli: pare che siano tornate di grande moda le bombe di mercato in salsa bianconera di cui tante volte il giornale torinese si è reso protagonista. A crescere infine sono poi i cosiddetti superblog e le testate all digital. C'è Il Post, ad esempio, che ha guadagnato quasi il 20 per cento di pagine visitate, Lettera 43 che invece ha quasi raddoppiato i suoi utenti unici. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Di Fede bianconero di PAOLO OJETTI (il Fatto Quotidiano.it 29-03-2012) Caro Emilio, ti dedico questo post con autentica malinconia. Dopo la scomparsa dalle scene (in senso tele politico) di Berlusconi, anche tu lasci la ribalta. Lasci a malincuore, si sa, perché uscire con gli scatoloni formato Lehman dal Tg4, la tua creatura, passandola nelle inesperte mani del giovane Toti (che non sa nemmeno cos’è un carré), molce e molcerà il tuo animo. I perfidi dell’ultima ora (che poi sono sempre gli stessi, quelli che prima ancora di salire sul carro del vincitore si precipitano giù da quello dei perdenti) sostengono che sia stata una resa dei conti, intendendo per conti quelli veri, in euro sonanti. Dicono, i perfidi, che Berlusconi non abbia sopportato la “cresta” di 400. 000 euro che tu avresti fatto come “mediatore” di un suo prestito al povero Lele Mora (quello che è finito in galera e hanno buttato anche la chiave, ricordi?) E che adesso abbia perso la testa alla notizia di quei 2 milioni e mezzo di euro (presunti, si intende) che tu avresti messo in una valigia (presunta) e portati in Svizzera (presunta anch’essa). Pare (si presume) abbia detto: “Uno che non riesce a piazzare una miseria simile in una banca svizzera, non può più ricoprire posizioni di responsabilità”. I predetti perfidi avanzano anche l’ipotesi (presunta: è tautologico) che tu possa “vuotare il sacco” sulle serate di Arcore. Non sono d’accordo, non c’è niente da vuotare, i sacchi – casomai – si reggono. Ma c’è un peso che potresti levarti dallo stomaco e dire finalmente la verità. Nulla ti lega più alla combriccola di Mediaset, e dovresti gridare fra lacrime e singhiozzi che per anni e anni hai dovuto praticare una sofferta apostasia: “Non sono mai stato milanista, odio il Milan e non è vero che Ibrahimovic e Pato valgono bene una messa! Ero, sono e sarò per sempre juventino! Liberté, égalité, juventiné”. Gridalo Emilio, gridalo forte. Ti restituirà un virile coraggio. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
IL CASO Serie A in rosso per 2,6 miliardi Gnudi: "Situazione da fallimento" La fotografia del "Report Calcio 2012": le perdite sono cresciute del 23% a 428 milioni. Un miliardo di euro l'apporto complessivo alle casse dello Stato. In calo il valore della produzione di GIULIANO BALESTRERI (Repubblica.it ECONOMIA & Finanza 29-03-2012) MILANO - Si allarga il rosso del pallone tricolore. Aumentano i debiti, le perdite e cala soprattutto il valore della produzione. Colpa dei trofei che non arrivano, ma anche - e soprattutto - di un modello di business non più sostenibile perché basato quasi esclusivamente sugli introiti dei diritti televisivi. La fotografia del calcio è stata scattata dal "Report Calcio 2012" presentato all'Abi da Figc, Arel e PricewaterhouseCoopers ed è impietosa: l'indebitamento complessivo della Serie A nel 2010-2011 è salito del 14% 2, 6 miliardi di euro contro i 2, 3 miliardi della stagione precedente. Secco il commen del ministro dello Sport e del Turismo, Piero Gnudi: "Il calcio è una grande realtà, ma io faccio il ragioniere e leggo bilanci molto preoccupanti. In altri ambiti, con quei numeri si parlerebbe di società prossime al fallimento". Un'uscita che ha suscitato qualche malumore negli ambienti sportivi dove si sperava piuttosto in un conforto da parte dello Stato. La crisi economica, però, non lo permette e Gnudi spiega: "Il Paese è in crisi, una crisi che sarà ancora lunga. Così sarà difficile trovare dei mecenati che investano nel calcio. Si rischia di non trovare società in grado di iscriversi ai campionati". Soprattutto senza una rapida inversione di tendenza. Lo scorso anno le perdite cresciute del 23% a 428 milioni di euro, un risultato che coinvolge tutte le leghe: tra i 107 club analizzati solo 19 hanno chiuso i bilanci in utile. E non poteva essere diversamente con un valore della produzione calato ancora a 2,5 miliardi (-1,2%): un miliardo arriva dai diritti tv della sola Serie A che genera l'82% dei ricavi. La serie B pesa per il 14% (era l'11 % nella stagione precedente) e la Lega Pro il 4% (era il 5% nel 2009-2010). Il costo della produzione è pari, invece, a 2, 9 miliardi di euro, in aumento dell'1,5% rispetto alla stagione precedente. La crisi globale però colpisce anche i presidente delle squadre di calcio che - per la prima volta da anni - hanno dato una stretta, timida, ai costi. Nel 2010-2011, infatti, il trend di crescita è rallentato molto se confrontato con il +6, 8% registrato nel 2009-2010 il +6,4% del 2008-2009. Come dire che il tempo delle follie, degli acquisti miliardari è solo un ricordo. Sul fronte fiscale, nel 2009, il calcio italiano ha contribuito alle casse dello Stato per un miliardo di euro: l'85% del totale (875 milioni) deriva dal contributo fiscale e previdenziale delle società professionistiche italiane, mentre i rimanenti 155 milioni di euro sono relativi al gettito erariale derivante dalle scommesse sul calcio. Con lo strapotere delle televisioni il numero complessivo dei tifosi allo stadio è calato del 4% a quota 13, 3 milioni, un'emorragia che rischia di continuare lo spezzatino delle partite, su orari e turni infrasettimanali che servono a raggiungere i mercati internazionali, ma certo non rendono felici gli spettatori. E così lo scorso anno gli stadi della serie A sono stati riempiti solo al 56%. E' andata meglio per le squadre impegnate in Champions League che sono riuscite a vendere il 67% dei biglietti, ma non è bastato a frenare il calo dei ricavi da stadio scesi di 22, 4 milioni di euro: 253 milioni contro 275,4 della stagione precedente. E così la biglietteria pesa solo il 10% del totale del valore della produzione delle società professionistiche, contro una quota ideale che si dovrebbe attestare a poco meno del 30%. Anche per questo le società stanno spingendo per una nuova normativa in tema di stadi, ma il governo non ha fretta: "Che la legge sugli stadi di proprietà sia una priorità per il mondo del calcio è indiscutibile - ha detto il ministro Gnudi -. Sono convinto che l'iter di questa legge vada portato avanti, anche per innescare nuovi investimenti da parte dei privati. Parliamo di 800 milioni di euro, utili alla crescita del paese. Ma si farà solo al termine di un percorso virtuoso, che per realizzarsi, però, ha anche bisogno che finisca queste crisi. Altrimenti anche con la nuova legge, sarà difficile trovare degli investitori". -
[ Serie A ] Juventus - Napoli 3-0
Ghost Dog ha risposto al topic di super gigi buffon in Stagione 2011/2012
Silenzio, sciagura in corso... ___ L’intervista Parla Cobolli Gigli, ex numero uno della Vecchia Signora «Azzurri subito ai vertici l’unica novità del calcio» di PINO TAORMINA (IL MATTINO 29-03-2012) Il 29 giugno 2006 Giovanni Cobolli Gigli diventa presidente di una Juventus retrocessa in B e penalizzata di 30 punti. «Il mio esordio da presidente è stato in una gara di Coppa Italia, proprio al San Paolo. I tifosi del Napoli non conoscevano ancora il mio volto, però quando scesi a bordo del campo vidi molti occhi scrutarmi incuriositi dalla penombra degli spalti. E piano piano i primi isolati insulti verso di me divennero un coro che ancora ricordo. . . ”Cobò, Cobò” e giù parolacce di ogni genere. Fu una specie di battesimo». La sua avventura nel club bianconero è terminata tre anni dopo. Presidente, quello era un turno preliminare: che effetto fa sapere che ora Juve e Napoli si contenderanno la Coppa Italia in finale. «Un bell’effetto. Quando accettai la carica in piena Calciopoli, il primo obiettivo era quello di salvare dal fallimento sportivo ed economico la società. Direi che ci sono riuscito. Come d’altronde c’è riuscito De Laurentiis: anche lui raccolse le ceneri di quello che era stato un club dal passato glorioso». La finale si giocherà a Roma. «La scelta dell’Olimpico mi sembra quella più giusta. La sede è quella e non forse non andava neppure discussa». Seconda contro quarta in classifica. L’avrebbe mai detto, cinque anni e mezzo fa? «Se anche l’avessi detto, mi avrebbero creduto in pochi. Però fin dal primo momento in cui ho fatto conoscenza con il presidente del Napoli, nella sede della Lega di serie B, ero certo che avrebbe riportato in alto gli azzurri. Aveva una grande determinazione. Forse non mi aspettavo in così poco tempo». È passato alla storia come il primo presidente della Juve in serie B. «Preferisco pensare che sono stato il primo presidente della Juve a conquistare una promozione dalla B alla A». Domenica per la prima volta la sfida tra bianconeri e azzurri andrà di scena allo Juventus Stadium. «Una bella emozione. Ora la Juve è come il Napoli: ha uno stadio dove i tifosi recitano la parte del dodicesimo uomo in campo. Fa un bell’effetto giocare su quel campo». Uno stadio di cui lei è stato tra gli artefici. Che consigli dà a De Laurentiis su questo punto? «Più che altro un auspicio: di avere a che fare con un sindaco efficiente e comprensivo come con noi lo fu Chiamparino. La burocrazia, altrimenti, rallenta in maniera deleteria qualsiasi iniziativa di questo genere». Potrebbe venire a dare una mano al Napoli, allora? «Non sarebbe facile lavorare con De Laurentiis: è un intelligente accentratore, un capo molto autoritario nei confronti dei suoi dipendenti. Diciamo che non è proprio il mio sogno...». Perché lei che presidente era? «Non ero il presidente-padrone, i padroni del club erano altri». Come finisce domenica sera tra Juve e Napoli «E lo chiede a me, che comunque sono juventino da sempre?». Vero che il suo rimpianto più grande è stato Hamsik? «Non è proprio così. Corioni, il presidente del Brescia, venne a cena con noi dopo una gara di campionato. Mi disse che aveva un gioiellino tra le mani e che voleva darlo a noi. Per fortuna del Napoli e di De Laurentiis, avemmo dei tentennamenti». Poi, però, di affari con il Napoli ne ha fatti: prestò, tra gli altri, Zalayeta. «Che bello scherzo che mi fece l’uruguaiano al San Paolo: si tuffò due volte e l’arbitro ci cadde in pieno. Come mi arrabbiai quella sera». Ricorda la frase ”vogliamo essere vincenti, simpatici, trasparenti”? «Certo, l’ho pronunciata io. E l’aggettivo ”simpatici” ci è costato molto perché i tifosi pensarono: chi se ne frega di essere simpatici, noi vogliamo essere vincenti. Avevano ragione». Scelga il giocatore che deciderà Juve-Napoli? «Del Piero». Non vale, troppo facile. «Ma io sono delpierista da sempre». -
CAMPIONATI VIRTUALI Che cosa giocate a fare? Una retata vi seppellirà Due degli “zingari”che gestivano le scommesse nel calcio si costituiscono, l’inchiesta è alla svolta finale. E i risultati in campo sul punto di essere rasi al suolo di ANTONIO MASSARI & MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 29-03-2012) Zingari felici non se ne vedono più. Quelli con le mani sul pallone e un mandato di cattura sulla testa si costituiscono. È successo ieri ad Ancona, dove all’alba, appena sbarcati da un traghetto, due dei componenti della presunta banda che secondo il giudice Guido Salvini ha alterato campionati e permesso agli scommettitori laute vincite, Vinko Saka e Alija Ribic, sono stati arrestati e condotti a Cremona in attesa di interrogatorio. I loro avvocati tentano di minimizzare: “La rete per combinare le gare era creata da Gervasoni e Caro bbio” ma è un artificio. In realtà ci siamo. E la fine sembra nota. Il calendario scorre rapido verso il termine del torneo dopo il quale, giurano gli investigatori: “Nulla sarà come prima”. LE VOCI sugli arresti si fanno sempre più insistenti. Arresti di nomi noti e moltissime squadre coinvolte tra Serie A e Serie B. Tutti negano e nessuno si pente. Così va il campionato parallelo, quello giocato nelle procure, e mentre i previsti interrogatori dei laziali Mauri e Brocchi (gli ultimi a essere sentiti, dopo decine di colleghi, il 13 aprile) c’è sempre spazio per un esorcismo. Quello dell’attaccante senese Mattia Destro interpreta il comune sentire: “Noi pensiamo solo a conquistare la salvezza sul campo, non c'interessa questa vicenda”. La salvezza sul campo. Zitti e pedalare. Le parole di sempre. A inquietare è la lista dei convocati e delle audizioni davanti alla giustizia sportiva. Da qui a due settimane sfileranno Benassi del Lecce, Luciano, Dainelli e Pellissier del Chievo, Marco Rossi del Cesena, Padelli dell’Udinese. Attendersi il terremoto è meno di una precauzione. Mai come quest’anno “salvezza e promozione” rischiano di restare un puro dato statistico. Si ballerà. E penalizzazioni e classifiche stravolte saranno il corollario di un’inchiesta lunga e complessa in cui tre distinte procure (Cremona, Napoli e Bari) sono giunte – in crescendo – a scambiarsi informazioni decisive per le indagini. Vista l’aria, il palcoscenico in cui si muovono da dominatrici Milan e Juventus somiglia a un teatro di guerra. Un proscenio virtuale perché non tutti gli indagati sono stati saggiamente consigliati a farsi da parte (Masiello dell’Atalanta, ex del Bari, fatto fuori in silenzio, è il caso più evidente). E in campo ogni domenica vanno formazioni e calciatori che, alla fine della curva giudiziaria, potrebbero veder affondare le proprie ambizioni. ANCHE PER questa ragione, la sensazione di straniamento è fortissima. Uno scollamento tra la realtà sportiva e le carte giudiziarie che (corsi e ricorsi) come nel 2006 con Calciopoli rischia di lanciare all’Europeo l’Italia di Prandelli con la maglietta strappata e lo scandalo in pagina. E se in federazione lo sanno è perché i magistrati hanno in mano prove difficili da smontare. Il Procuratore capo di Cremona, Di Martino, consapevole dell’enormità della partita in corso, ha suggerito timidamente un’amnistia senza la quale la geografia prossima ventura potrebbe disegnare una Serie A mai vista. Coinvolte Genoa, Chievo, Lecce, Novara, Siena, Cesena, Atalanta, forse il Napoli. Mezza compagnia di giro, per non parlare della categoria in cui combatte il Pescara di Zeman, la Serie B, aggredita dalle rivelazioni. Non si parla delle società però: questa è una storia di scommesse che facevano il giro del mondo in pochi minuti, dall’Italia a Singapore. Puntata e ritorno (milionario, in caso di over). Questa è una storia di calciatori corrotti di cui sono pieni ormai i faldoni giudiziari. Gente che si vendeva campionati ormai persi. Se le accuse della Procura di Bari si rivelassero centrate, sarebbe il caos. Nel mirino del pm Ciro Angelillis sono finite una decina di gare giocate dalla squadra dei Matarrese, in Serie A l’anno scorso. I biancorossi erano già retrocessi e 4 o 5 atleti, ormai, giocavano solo per se stessi. “Mercenari”, li chiamò un compagno di squadra, Almiron, durante una cena in un noto ristorante barese. E questo è il punto: il calcio marcio del 2012 è una vicenda fitta di omissioni. Che i ragazzi del Bari fossero mercenari, venduti al clan degli zingari con base a Singapore, lo sospettavano in tanti, ma nessuno denunciava. E nessuno denuncia, ancora oggi. Fingendo che si giochi per una classifica che, invece, è destinata a essere travolta. NON CI SONO più “zingari” felici, ma ricchi come Ilievsky, in giro, ne trovi pochi. Con il Bari – e non solo – pare abbia guadagnato una fortuna. Dice di aver trattato con Masiello – lo “zingaro” ancora ricercato dalla Procura di Cremona. Ne ha parlato in una bella intervista concessa a Foschini e Mensurati di Repubblica – e di aver “comprato” informazioni dai calciatori del Bari e di sapere che in loco operavano “mafia locale” e “albanesi”. Gli inquirenti indagano sulle partite con il Palermo, il Bologna, l’Udinese, persino sul derby con il Lecce. A Cremona il pm Di Martino ha raccolto nei faldoni così tanto materiale che, per quanto sembri assurdo, trova conveniente, sotto il profilo sportivo, invocare un’amnistia. Ma per ora, tra Bari e Cremona, a parte il “pentito” Carlo Gervasoni – un passato tra Cremonese e Piacenza – nessuno collabora. Continua a regnare l’omertà. ___ Scandalo scommesse Si alza il tiro La Serie A nel mirino della procura federale Saranno sentiti Mauri e Brocchi per Lazio-Genoa 2-4. Presto novità dai pm di Bari di GIAN MARCO CHIOCCI & MASSIMO MALPICA (il Giornale 29-03-2012) Nel mirino della procura federale arriva la serie A. Ieri il carosello delle audizioni ha visto arrivare dal procuratore Stefano Palazzi il portiere del Lecce Massimiliano Benassi, un nome che richiama subito alla mente Lecce-Lazio 2-4, uno dei match «attenzionati» dagli 007 della Figc e dalla procura di Bari. Per la stessa partita (l’unica giocata dal portiere, che venne peraltro espulso, la scorsa stagione, e che per quella performance è stato additato dal pentito Carlo Gervasoni) verrano ascoltati il 13 aprile i laziali Mauri e Brocchi, entrambi titolari in quel pomeriggio del 22 maggio allo stadio «Via del Mare». Se Brocchi è una sorpresa, perché il suo nome viene citato, storpiato, solo a pagina 11 del verbale dell’ex calciatore Alessandro Zamperini, già arrestato dalla procura di Cremona, l’audizione di Mauri era scontata, anche se lo stesso Zamperini ha negato il suo coinvolgimento nella combine di Lecce-Lazio, combine che per i magistrati è indiscutibilmente provata. Sia Brocchi che Mauri, peraltro, oltre alla maglia biancoceleste condividono anche la vicinanza con Zamperini, con il quale spesso sono in vacanza a Formentera, insieme ad altri «piedi noti» come Inzaghi e Vieri. Tornando a Mauri, del centrocampista laziale parla anche l’ex difensore della Cremonese Gervasoni. A suo dire, Mauri era coinvolto anche nella presunta combine di Lazio-Genoa (finita 2-4) perché gli era stato riferito da Almir Gegic, il referente degli «zingari», che per questo match si sarebbe messo in moto proprio Zamperini. Stessa partita al centro dell’audizione del 12 aprile degli ex genoani Dario Dainelli (ora al Chievo) e Omar Milanetto (Padova), quest’ultimo atteso da Palazzi per replicare a Gervasoni che lo indica con «altri genoani» come riferimento degli «zingari» per aggiustare quel risultato. Ancora intorno a Lazio-Genoa gli inquirenti hanno riscontrato la presenza a Formello (dove la Lazio si allena) di due scommettitori, lo sloveno Viktor Kondic e il thailandese Thamrog Prachum. Non è ancora in calendario, invece, l’audizione di Giuseppe Sculli, l’anno scorso alla Lazio dove era arrivato proprio dal Grifone. Il «latitante del calciosporco» Ilievski, intervistato da Repubblica (salvo poi smentirsi alle telecamere di Agorà), lo tira in ballo per la combine: «Lazio-Genoa l’ha fatta Sculli, non Mauri, Sculli con gli amici suoi di Genova, al cento per cento ». Prima di queste audizioni, il 3 aprile, la procura federale si occuperà di Bari e Chievo, coinvolte sia per lo scontro diretto (1-2 per i veneti) che per altre gare. Ma proprio da Bari (a brevissimo) e da Cremona (dopo Pasqua) sono attese clamorose novità. La procura del capoluogo pugliese ha anche stoppato l’intenzione dei «federali» di ascoltare l’ex biancorosso Andrea Masiello, che si era proposto come «pentito» e vittima del sistema, ma la cui posizione è stata aggravata dalle dichiarazioni di altri protagonisti dello scandalo. Sorprende anche per questo l’improvvisa accelerazione della procura federale, che annuncia deferimenti in due tranche, tra la fine di aprile e l’estate. Con le indagini ordinarie ancora in piena evoluzione, gli 007 Figc rischiano di bissare l’infelice esperienza della prima «calciopoli», quella che dal punto di vista sportivo colpì solo alcune squadre - Juve, Lazio e Fiorentina su tutte - quando gli esiti delle indagini penali avrebbero dimostrato un sistema molto più ampio. Dove tutti, o quasi, chiacchieravano con arbitri e designatori. Intanto si sono costituiti ieri i croati Vinko Saka e Alija Ribic. Per i due «zingari», latitanti da giugno, sabato è in programma l’interrogatorio di garanzia con il gip di Cremona.
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CAMPIONATI VIRTUALI Che cosa giocate a fare? Una retata vi seppellirà Due degli “zingari”che gestivano le scommesse nel calcio si costituiscono, l’inchiesta è alla svolta finale. E i risultati in campo sul punto di essere rasi al suolo di ANTONIO MASSARI & MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 29-03-2012) Zingari felici non se ne vedono più. Quelli con le mani sul pallone e un mandato di cattura sulla testa si costituiscono. È successo ieri ad Ancona, dove all’alba, appena sbarcati da un traghetto, due dei componenti della presunta banda che secondo il giudice Guido Salvini ha alterato campionati e permesso agli scommettitori laute vincite, Vinko Saka e Alija Ribic, sono stati arrestati e condotti a Cremona in attesa di interrogatorio. I loro avvocati tentano di minimizzare: “La rete per combinare le gare era creata da Gervasoni e Caro bbio” ma è un artificio. In realtà ci siamo. E la fine sembra nota. Il calendario scorre rapido verso il termine del torneo dopo il quale, giurano gli investigatori: “Nulla sarà come prima”. LE VOCI sugli arresti si fanno sempre più insistenti. Arresti di nomi noti e moltissime squadre coinvolte tra Serie A e Serie B. Tutti negano e nessuno si pente. Così va il campionato parallelo, quello giocato nelle procure, e mentre i previsti interrogatori dei laziali Mauri e Brocchi (gli ultimi a essere sentiti, dopo decine di colleghi, il 13 aprile) c’è sempre spazio per un esorcismo. Quello dell’attaccante senese Mattia Destro interpreta il comune sentire: “Noi pensiamo solo a conquistare la salvezza sul campo, non c'interessa questa vicenda”. La salvezza sul campo. Zitti e pedalare. Le parole di sempre. A inquietare è la lista dei convocati e delle audizioni davanti alla giustizia sportiva. Da qui a due settimane sfileranno Benassi del Lecce, Luciano, Dainelli e Pellissier del Chievo, Marco Rossi del Cesena, Padelli dell’Udinese. Attendersi il terremoto è meno di una precauzione. Mai come quest’anno “salvezza e promozione” rischiano di restare un puro dato statistico. Si ballerà. E penalizzazioni e classifiche stravolte saranno il corollario di un’inchiesta lunga e complessa in cui tre distinte procure (Cremona, Napoli e Bari) sono giunte – in crescendo – a scambiarsi informazioni decisive per le indagini. Vista l’aria, il palcoscenico in cui si muovono da dominatrici Milan e Juventus somiglia a un teatro di guerra. Un proscenio virtuale perché non tutti gli indagati sono stati saggiamente consigliati a farsi da parte (Masiello dell’Atalanta, ex del Bari, fatto fuori in silenzio, è il caso più evidente). E in campo ogni domenica vanno formazioni e calciatori che, alla fine della curva giudiziaria, potrebbero veder affondare le proprie ambizioni. ANCHE PER questa ragione, la sensazione di straniamento è fortissima. Uno scollamento tra la realtà sportiva e le carte giudiziarie che (corsi e ricorsi) come nel 2006 con Calciopoli rischia di lanciare all’Europeo l’Italia di Prandelli con la maglietta strappata e lo scandalo in pagina. E se in federazione lo sanno è perché i magistrati hanno in mano prove difficili da smontare. Il Procuratore capo di Cremona, Di Martino, consapevole dell’enormità della partita in corso, ha suggerito timidamente un’amnistia senza la quale la geografia prossima ventura potrebbe disegnare una Serie A mai vista. Coinvolte Genoa, Chievo, Lecce, Novara, Siena, Cesena, Atalanta, forse il Napoli. Mezza compagnia di giro, per non parlare della categoria in cui combatte il Pescara di Zeman, la Serie B, aggredita dalle rivelazioni. Non si parla delle società però: questa è una storia di scommesse che facevano il giro del mondo in pochi minuti, dall’Italia a Singapore. Puntata e ritorno (milionario, in caso di over). Questa è una storia di calciatori corrotti di cui sono pieni ormai i faldoni giudiziari. Gente che si vendeva campionati ormai persi. Se le accuse della Procura di Bari si rivelassero centrate, sarebbe il caos. Nel mirino del pm Ciro Angelillis sono finite una decina di gare giocate dalla squadra dei Matarrese, in Serie A l’anno scorso. I biancorossi erano già retrocessi e 4 o 5 atleti, ormai, giocavano solo per se stessi. “Mercenari”, li chiamò un compagno di squadra, Almiron, durante una cena in un noto ristorante barese. E questo è il punto: il calcio marcio del 2012 è una vicenda fitta di omissioni. Che i ragazzi del Bari fossero mercenari, venduti al clan degli zingari con base a Singapore, lo sospettavano in tanti, ma nessuno denunciava. E nessuno denuncia, ancora oggi. Fingendo che si giochi per una classifica che, invece, è destinata a essere travolta. NON CI SONO più “zingari” felici, ma ricchi come Ilievsky, in giro, ne trovi pochi. Con il Bari – e non solo – pare abbia guadagnato una fortuna. Dice di aver trattato con Masiello – lo “zingaro” ancora ricercato dalla Procura di Cremona. Ne ha parlato in una bella intervista concessa a Foschini e Mensurati di Repubblica – e di aver “comprato” informazioni dai calciatori del Bari e di sapere che in loco operavano “mafia locale” e “albanesi”. Gli inquirenti indagano sulle partite con il Palermo, il Bologna, l’Udinese, persino sul derby con il Lecce. A Cremona il pm Di Martino ha raccolto nei faldoni così tanto materiale che, per quanto sembri assurdo, trova conveniente, sotto il profilo sportivo, invocare un’amnistia. Ma per ora, tra Bari e Cremona, a parte il “pentito” Carlo Gervasoni – un passato tra Cremonese e Piacenza – nessuno collabora. Continua a regnare l’omertà. ___ Scandalo scommesse Si alza il tiro La Serie A nel mirino della procura federale Saranno sentiti Mauri e Brocchi per Lazio-Genoa 2-4. Presto novità dai pm di Bari di GIAN MARCO CHIOCCI & MASSIMO MALPICA (il Giornale 29-03-2012) Nel mirino della procura federale arriva la serie A. Ieri il carosello delle audizioni ha visto arrivare dal procuratore Stefano Palazzi il portiere del Lecce Massimiliano Benassi, un nome che richiama subito alla mente Lecce-Lazio 2-4, uno dei match «attenzionati» dagli 007 della Figc e dalla procura di Bari. Per la stessa partita (l’unica giocata dal portiere, che venne peraltro espulso, la scorsa stagione, e che per quella performance è stato additato dal pentito Carlo Gervasoni) verrano ascoltati il 13 aprile i laziali Mauri e Brocchi, entrambi titolari in quel pomeriggio del 22 maggio allo stadio «Via del Mare». Se Brocchi è una sorpresa, perché il suo nome viene citato, storpiato, solo a pagina 11 del verbale dell’ex calciatore Alessandro Zamperini, già arrestato dalla procura di Cremona, l’audizione di Mauri era scontata, anche se lo stesso Zamperini ha negato il suo coinvolgimento nella combine di Lecce-Lazio, combine che per i magistrati è indiscutibilmente provata. Sia Brocchi che Mauri, peraltro, oltre alla maglia biancoceleste condividono anche la vicinanza con Zamperini, con il quale spesso sono in vacanza a Formentera, insieme ad altri «piedi noti» come Inzaghi e Vieri. Tornando a Mauri, del centrocampista laziale parla anche l’ex difensore della Cremonese Gervasoni. A suo dire, Mauri era coinvolto anche nella presunta combine di Lazio-Genoa (finita 2-4) perché gli era stato riferito da Almir Gegic, il referente degli «zingari», che per questo match si sarebbe messo in moto proprio Zamperini. Stessa partita al centro dell’audizione del 12 aprile degli ex genoani Dario Dainelli (ora al Chievo) e Omar Milanetto (Padova), quest’ultimo atteso da Palazzi per replicare a Gervasoni che lo indica con «altri genoani» come riferimento degli «zingari» per aggiustare quel risultato. Ancora intorno a Lazio-Genoa gli inquirenti hanno riscontrato la presenza a Formello (dove la Lazio si allena) di due scommettitori, lo sloveno Viktor Kondic e il thailandese Thamrog Prachum. Non è ancora in calendario, invece, l’audizione di Giuseppe Sculli, l’anno scorso alla Lazio dove era arrivato proprio dal Grifone. Il «latitante del calciosporco» Ilievski, intervistato da Repubblica (salvo poi smentirsi alle telecamere di Agorà), lo tira in ballo per la combine: «Lazio-Genoa l’ha fatta Sculli, non Mauri, Sculli con gli amici suoi di Genova, al cento per cento ». Prima di queste audizioni, il 3 aprile, la procura federale si occuperà di Bari e Chievo, coinvolte sia per lo scontro diretto (1-2 per i veneti) che per altre gare. Ma proprio da Bari (a brevissimo) e da Cremona (dopo Pasqua) sono attese clamorose novità. La procura del capoluogo pugliese ha anche stoppato l’intenzione dei «federali» di ascoltare l’ex biancorosso Andrea Masiello, che si era proposto come «pentito» e vittima del sistema, ma la cui posizione è stata aggravata dalle dichiarazioni di altri protagonisti dello scandalo. Sorprende anche per questo l’improvvisa accelerazione della procura federale, che annuncia deferimenti in due tranche, tra la fine di aprile e l’estate. Con le indagini ordinarie ancora in piena evoluzione, gli 007 Figc rischiano di bissare l’infelice esperienza della prima «calciopoli», quella che dal punto di vista sportivo colpì solo alcune squadre - Juve, Lazio e Fiorentina su tutte - quando gli esiti delle indagini penali avrebbero dimostrato un sistema molto più ampio. Dove tutti, o quasi, chiacchieravano con arbitri e designatori. Intanto si sono costituiti ieri i croati Vinko Saka e Alija Ribic. Per i due «zingari», latitanti da giugno, sabato è in programma l’interrogatorio di garanzia con il gip di Cremona. -
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Approfondimenti Le ricchezze del Colonnello LA GRANDE CACCIA GLOBALE A UN BOTTINO DA 100 MILIARDI Auto, ville, società: ma il clan ha nascosto le tracce nei paradisi offshore di STEFANO AGNOLI (CorSera 29-03-2012) A caccia del «tesoro» del defunto dittatore libico, e della sua famiglia. A quanto ammonta? Non si sa con precisione, e probabilmente non si potrà sapere mai. Subito dopo la decisione della comunità internazionale di congelare tutti i beni libici all'estero, una contabilità un po' sommaria aveva ipotizzato circa 100 miliardi di dollari tra conti correnti bancari, investimenti finanziari e proprietà immobiliari disseminate in giro per il mondo. Nei soli Stati Uniti, lo scorso anno, i funzionari dell'amministrazione Obama hanno rintracciato conti e investimenti riconducibili al passato regime per un valore di 37 miliardi di dollari. Altri 30 miliardi di dollari circa sono spuntati in Europa, tra Francia, Italia, Regno Unito e Germania. Stimando attività varie in Medio Oriente, Asia e in particolare Africa (dove operava la Libyan African Portfolio, e il Colonnello si muoveva con mire post-coloniali) si arrivava, appunto, a quota 100 miliardi. Un valore rimesso in discussione solo pochi mesi fa, quando il Los Angeles Times, citando come fonte alcuni non meglio precisati e ovviamente anonimi «senior Libyan officials», ha addirittura avvalorato il raddoppio della cifra, a quota 200 miliardi di dollari. Ma la ricerca di quelle somme e di quei beni — e il loro ritorno nelle tasche del popolo libico — non sarà per niente facile, come ha mostrato la causa conclusa l'8 marzo scorso a Londra, dove l'Alta Corte della capitale britannica ha sancito la restituzione al nuovo Stato post-rivoluzionario di una villa del valore di 10 milioni di sterline appartenuta a Saadi Gheddafi, il figlio calciatore (ex del Perugia di Luciano Gaucci) ora rifugiato in Niger. La «mansion» di Hampstead — stile neo-georgiano, otto camere da letto, piscina e cinema privati — era stata acquistata dal rampollo di Muammar solo sei mesi prima dello scoppio della primavera araba, e «dopo una visita più veloce del normale», come ha testimoniato l'agenzia immobiliare che ha trattato l'affare. Saadi comprò la villa tramite una società-schermo offshore delle British Virgin Islands, la Capitana Seas Limited, e in questo caso è stato necessario un intervento diretto del Tesoro britannico sulle omertose autorità delle Isole Vergini per ricondurre la società offshore alla persona di Saadi Gheddafi. L'avvocato che ha lavorato sul caso per conto dell'ambasciata libica, per di più, ha dovuto dimostrare che il figlio-playboy dell'ex dittatore libico, con il suo stipendio ufficiale di 34 mila sterline l'anno (percepito come comandante dell'unità 48 dell'esercito della Jamahiryia) non sarebbe stato in grado di pagare, pronta cassa, dieci milioni di sterline. Una somma, quindi, che era il frutto di fondi illecitamente sottratti allo Stato libico. Insomma, malgrado la pluridecennale commistione tra beni formalmente statali e proprietà che sono sempre materialmente rimaste a disposizione dell'ex dittatore e della sua famiglia, non sarà così facile mettere le mani sul «tesoro» dei Gheddafi. Non sempre le ville, i terreni, le auto di lusso, le quote azionarie e gli altri investimenti saranno riconducibili direttamente a qualcuno dei membri del clan, o dei suoi gestori e degli intermediari legali di volta in volta individuati. Oltre alla difficoltà di risalire a sconosciute società-schermo dislocate nei vari paradisi fiscali e societari, non sarà neppure semplice ricostruire tutte le attività più o meno «coperte» intraprese, ad esempio, in Paesi dell'Africa sub-sahariana. L'Uganda, pochi giorni fa, ha deciso di «scongelare» 375 milioni di dollari di assets libici. Tra di essi una società di costruzioni, una catena alberghiera, il 51% di Uganda Telecom, una banca e la Tamoil East Africa. Che altro in altri Stati dell'Africa centrale e meridionale? Una fonte completa e coerente degli interessi libici (e del clan Gheddafi) in Occidente comunque esiste. Resa pubblica da Global Witness, è rappresentata dal rendiconto del principale strumento finanziario del regime del Colonnello: la Libyan Investment Authority (Lia), il fondo sovrano istituito nel 2006 per impiegare in attività finanziarie i ricavi della vendita di idrocarburi. Dall'energia sono arrivate alle casse di Tripoli parecchie decine di miliardi di dollari, più del 90% del budget statale. Secondo l'Energy Information Agency di Washington, nell'ultimo anno prima della rivoluzione (il 2010) la Libia ha incamerato 44 miliardi di dollari dal solo petrolio (l'Arabia Saudita, se si vuole fare un paragone, nello stesso anno di miliardi ne ha incassati 225). Nel terzo trimestre del 2010 la Lia «valeva» così 64 miliardi di dollari, un gruzzolo enorme. Di questa somma, 24 miliardi erano di competenza di altre controllate come la «Long Term Investment Portfolio» (8,5) o la già ricordata «Libyan African Portfolio» (5,2). Una ventina di miliardi era affidata invece a depositi bancari, soprattutto nella Banca centrale guidata dal governatore Farhat Bengdara, consigliere di amministrazione di Unicredit. Un miliardo, per inciso, era in custodia alla banca britannica Hsbc. Ma è nel nutrito «giardinetto» di azioni che si ha la dimostrazione della struttura tentacolare del fondo del regime. A valore di libro gli investimenti maggiori del clan Gheddafi erano in Unicredit (1,3 miliardi), Eni (942 milioni) e nella tedesca Siemens (476 milioni). Tra i titoli strategici si trova anche un pacchetto della Pearson (acquistato a 370 milioni), la società editrice del «Financial Times». E poi il colosso russo dell'alluminio Rusal, la Basf, la spagnola Repsol, Finmeccanica. Telecomunicazioni, energia e banche la fanno da padrone. Il tutto per quasi 8 miliardi di dollari, che ai prezzi di Borsa di oggi hanno comunque subito un pesante ridimensionamento. Ma al defunto raìs è stata accreditata in passato anche la proprietà di ingenti quantità d'oro (proprio in chiave di misura «anti-congelamento» da parte dell'Occidente) con il quale avrebbe finanziato buona parte della sanguinosa campagna militare. Qualcuno aveva parlato di 140 tonnellate di lingotti, qualcosa come 6-7 miliardi di dollari. Ma con l'«oro del Colonnello» disperso nella sabbia del deserto libico forse si sta sconfinando nella leggenda. ------- Retroscena Il fondo sovrano libico ha attraversato pericolosamente oltre due anni di vita della banca di Piazza Cordusio Il pacchetto Unicredit al centro della partita di FABRIZIO MASSARO (CorSera 29-03-2012) MILANO — Di sicuro è la quota di Unicredit che ha creato più grattacapi. Il pacchetto dell'1,25% in mano alla Lia, Libyan Investment Authority, ovvero il fondo sovrano della Libia considerato adesso dal tribunale internazionale dell'Aja riconducibile alla famiglia Gheddafi, ha attraversato pericolosamente oltre due anni di vita della banca di Piazza Cordusio. Nell'estate 2010 la sua improvvisa comparsa nell'istituto con una quota del 2, 7% fece diventare i libici — già presenti con la Banca centrale libica al 5% — i primi soci assoluti della banca. E fu il casus belli che portò all'uscita di scena di Alessandro Profumo dalla guida di Unicredit, dopo uno scontro epocale con le fondazioni azioniste. Poi la quota Lia è stata oggetto di un congelamento da parte delle autorità internazionali durante la guerra in Libia. Quindi di recente, a fine 2011, il pacchetto è stato dissequestrato per consentire alla Lia di partecipare all'aumento di capitale della banca da 7,5 miliardi. Infine, mentre ancora in questi giorni i libici stanno trattando un posto nel prossimo consiglio di amministrazione di Piazza Cordusio, è arrivato ieri il sequestro cautelativo del giudice della Corte d'Appello di Roma, Giuseppe Miccia, su richiesta della Corte penale internazionale per risarcire le vittime del regime di Muammar Gheddafi. Pur nel silenzio ufficiale di Unicredit, la decisione della magistratura non dovrebbe comunque creare ostacoli nei rapporti tra il nuovo governo libico venuto fuori dalla rivoluzione e i vertici della principale banca italiana. Rapporti più che saldi grazie soprattutto alla quota di Unicredit posseduta dalla Banca centrale libica, adesso diluita al 2,8% circa. Il nuovo governo libico infatti preferito partecipare solo parzialmente all'aumento (avrebbe dovuto versare 350 milioni) destinando i capitali alla ricostruzione. La presenza di Tripoli nella banca è storica: risale ai tempi di Capitalia e da lì è confluita nella nuova Unicredit nata dall'integrazione tra la banca milanese e quella romana. I libici sono sempre stati considerati soci tranquilli e stabili, tanto da esprimere anche un vicepresidente nella figura dell'ex presidente della Banca centrale, Omar Farhat Bengdara, uomo dalle molte relazioni in Europa e a conoscenza di molte informazioni sulla ricchezza della Libia. Anche martedì scorso l'amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, ha dato rassicurazioni circa i rapporti con la Libia, socio complessivo al 4% fra Lia e Banca centrale. Il banchiere due settimane fa è volato a Tripoli: «I libici vogliono avere un rapporto buono con l'Italia», ha detto. «Ho incontrato il governatore della banca centrale, il primo ministro e anche alcuni uomini d'affari. I rapporti sono normali, pur in un contesto complicato e difficile. E sono anche d'affari: lavoriamo con loro, anche sull'import-export, che ha ripreso a funzionare. Abbiamo riaperto il nostro ufficio di rappresentanza e abbiamo anche un certo numero di clienti italiani». Certo l'obiettivo di aprire una banca, raggiunto sotto il regime di Gheddafi, resta lontano: «La licenza è ancora disponibile. Verificheremo dopo le elezioni di giugno se ci sono le condizioni per operare». ___ Sequestrati i beni di Gheddafi in Italia Sotto chiave le quote in Unicredit, Eni, Fiat e Juventus, un bosco e una Harley Davidson di ELSA VINCI (la Repubblica 29-03-2012) ROMA - Sequestrato l´"oro" di Gheddafi. Un milardo 108 milioni in beni mobili e immobili, quote societarie e conti correnti in Italia, riconducibili alla famiglia dell´ex leader libico e ai membri del suo entourage. Fra gli asset congelati figurano partecipazioni azionarie in Unicredit, Eni, Finmeccanica, Fiat Spa e Fiat Industrial, Juventus. Sigilli a un appartamento che si affaccia su via Veneto a Roma, occupa un intero piano al civico 29 di via Sardegna, a un bosco di 150 ettari nell´isola di Pantelleria, e a una Yamaha e a una Harley Davidson a Perugia. I provvedimenti sono stati eseguiti dal Nucleo tributario della capitale su ordine della Corte d´appello, che ha emesso 23 decreti di sequestro nel contesto di una rogatoria internazionale del tribunale penale dell´Aja. C´è un procedimento per crimini contro l´umanità nei confronti del defunto Gheddafi, del figlio Saif al Islam e del ex capo dei servizi segreti Abdullah al Senussi, che ha il fine di "cautelare" il patrimonio degli imputati per garantire forme di risarcimento alle vittime del passato regime. Gli interessi della Libia per le imprese e la finanza italiane risalgono a più di trent´anni fa, quando nel 1976 la Lafico (Libian arab foreign investment company), braccio finanziario del Colonnello, entrò in Fiat. L´iniziale quota del 9,7 per cento si è ridotta progressivamente. Ieri la Finanza ha congelato lo 0,33% posseduto dalla famiglia Gheddafi in Fiat spa, pari a 19 milioni, e una quota equivalente in Fiat Industrial, pari a 34 milioni di euro. Sequestrati inoltre 622 mila euro in azioni privilegiate di Fiat Auto e 833 mila euro in privilegiate di Fiat Industrial. Il Nucleo tributario ha scoperto che un altro degli strumenti utilizzati da Tripoli per investire è stata la Lia (Libyan investment autorithy), fondo sovrano costruito nel 2006 per gestire i proventi del petrolio, con un vasto portafoglio di asset esteri, non solo in Italia. Dalla britannica Pearson che pubblica il Financial Times, a Finmeccanica, a Unicredit. La quota azionaria Unicredit che è stata sequestrata ammonta a 1,256%, ovvero a oltre 611 milioni di euro. In mano libica, secondo gli ultimi aggiornamenti Consob, c´è però il 5,8 del capitale di piazza Cordusio. Quanto a Finmeccanica è stata congelata l´intera partecipazione detenuta dalla Lia, il 2,01%, cioè 41 milioni di euro. Anche nel caso della Juventus è stato sequestrato il capitale controllato dalla Lia, 1, 5%. L´ingresso dei libici nella squadra di calcio risale al 2002, quando Tripoli dichiarò l´acquisto del 7,5%. Il 31 gennaio scorso la quota della Lia è stata però diluita a seguito dell´aumento di capitale del club bianconero. Per anni si è vociferato di un possesso libico di circa il 2% dell´Eni, ma allo scoppiare della guerra l´amministratore delegato Paolo Scaroni ha chiarito che i fondi riferibili al Colonnello ammontavano solo allo 0, 5% del gruppo. Lo 0,58 per cento sequestrato ieri, pari a 405 milioni, dovrebbe dunque rappresentare la totalità del capitale controllato dalla Libia. L´iniziativa del tribunale dell´Aja si inserisce in un più ampio contesto delineato da due decisioni del Consiglio di sicurezza dell´Onu e da due regolamenti dell´Ue, in forza dei quali la comunità internazionale ha chiesto il congelamento di tutti i fondi posseduti o controllati dalla famiglia Gheddafi. ___ Inizia un iter dagli esiti imprevedibili di FAUSTO POCAR* (Il Sole 24 ORE 29-03-2012) *Professore ordinario di diritto internazionale all'Università degli studi di Milano Il provvedimento della Corte di appello di Roma presenta aspetti di novità nello sviluppo della giustizia penale internazionale. Non tanto perché dispone il sequestro di beni di un capo di Stato, essendoci precedenti, quanto perché è la prima volta che un Tribunale nazionale adotta un provvedimento del genere non autonomamente o su richiesta di un giudice di altro Paese, ma in esecuzione della richiesta della Corte penale internazionale (Cpi) con sede all'Aja, istituita con lo Statuto adottato a Roma nel 1998 e in vigore tra 120 Stati, tra cui l'Italia. La questione libica era stata sottoposta dal Consiglio di sicurezza Onu alla Cpi quando erano giunte le prime notizie di crimini contro l'umanità attribuibili alle milizie del leader libico. Il procuratore della Corte, dopo aver fatto rapide indagini, aveva richiesto l'emanazione di un ordine di arresto nei confronti di Gheddafi, del figlio Saif e del capo dei servizi segreti Al Senussi. Precipitata la situazione libica fino alla sua conclusione, l'esecuzione del mandato d'arresto fu eseguita dalle autorità libiche nei confronti degli accusati superstiti, che peraltro non sono stati trasferiti all'Aja. Tocca infatti alla Corte decidere se il processo debba farsi all'Aja davanti a una camera della Corte, o invece in Libia da parte delle autorità giudiziarie di quel Paese. La decisione non è stata ancora presa ma la richiesta di sequestro fatta alla Corte di appello di Roma e da questa eseguita sembra preludere a una decisione a favore dello svolgimento del processo in sede internazionale, non tanto perché le autorità libiche non vogliano assumersi la responsabilità del processo quanto perché non sussistono in Libia le condizioni per un processo che rispetti tutte le garanzie richieste dalle convenzioni internazionali sui diritti della difesa nel processo penale. Come saranno utilizzati i beni sequestrati a favore delle vittime dei crimini internazionali? Non avendo la Corte del l'Aja ancora deciso sulla competenza nazionale o internazionale a svolgere il processo, è forse prematuro dirlo. Se la Corte deciderà a favore della propria giurisdizione, i beni e crediti sequestrati saranno versati in un fondo creato presso la Corte stessa e, concluso il processo, saranno versati alle vittime, con criteri e modalità ancora da determinare dato che nessuna riparazione è stata ancora effettuata dal fondo. Se invece la Corte dovesse decidere a favore della giurisdizione penale libica, sembra logico che i fondi debbano essere messi a disposizione delle autorità giudiziarie libiche per procedere alla riparazione. Ma non si possono escludere altri scenari. Se per esempio il processo nazionale terminasse con un'assoluzione o con una condanna e la Corte ritenesse che l'esito sia stato determinato da un processo irregolare, la Corte potrebbe forse adottare un provvedimento di trasferimento delle attività sequestrate al fondo per utilizzarle comunque a favore delle vittime. Siamo solo agli inizi una vicenda che presenta ancora diversi elementi di incertezza che saranno chiariti solo da successivi provvedimenti della Corte. È comunque evidente che ci troviamo davanti a uno sviluppo significativo della giustizia internazionale e a un passo importante non solo nella lotta all'impunità per crimini internazionali, ma nella riparazione delle vittime di tali crimini, finora largamente trascurata dalla giustizia penale internazionale. -
Nella rete, Erodiani è tra i pesci più piccoli. Senza conferme e prove sicure, quella partita resterà fuori dai radar.
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C'è già stata una conferma a quel riguardo, forse poco attendibile. ___ CALCIOSCOMMESSE Marco Erodiani: Ecco come truccavamo le gare Il titolare dell’agenzia di scommesse sospettato di essere uno dei capi dell’organizzazione si confessa: Per combinare un risultato bastano tre giocatori di LUCA CARDINALINI (il Fatto Quotidiano 25-03-2012) Per i magistrati cremonesi era uno dei capi dell’organizzazione che aveva nel combinare partite di calcio, la propria ragione sociale. Massimo Erodiani, 38 anni, già titolare di due agenzie di scommesse (oggi vendute), ora aiuta la moglie nella tabaccheria di sua proprietà e pensa di andarsene via. La giustizia sportiva – giocava da portiere in una società minore di calcio a 5 – lo ha radiato, quella penale lo ha arrestato il 1 ° giugno scorso, tenuto 11 giorni in carcere e poi rilasciato. Per la prima volta decide di parlare. Abituato a maneggiare cifre – 1,2 , over 2,5, risultato esatto 2-4 o 3-1 – a rovinargli il sonno, oggi, è un altro numeretto, un poco più lungo: 416. È l’articolo del codice penale che punisce l’associazione a delinquere, in questo caso finalizzata alla truffa sportiva. Quando ha saputo la prima volta di partite “fatte”? Di molte partite si sapeva effettivamente il risultato prima ancora che iniziassero. Voci che girano tante in agenzia, a volte si lasciano cadere, altre volte no. Come è entrato in questo giro? Conoscendo Marco Pirani. Si sapeva di un dentista di Ancona che riusciva a combinare delle partite. Pirani era stato un dirigente dell’Ancona, aveva molte amicizie nell’ambiente calcistico, era uno scommettitore serio e puntuale, anche per conto di alcuni tesserati, i quali non possono nemmeno entrare nelle agenzie Quando l’ha conosciuto? Pagandogli la vincita, per Ascoli-Livorno, finita 2-3, maggio 2009. Ultima di campionato, il Livorno vinse in rimonta. (Ride). Il risultato è 0-0 al 45 °. Per arrivare alla combine, durante l’intervallo viene tagliata la rete di una porta e il secondo tempo inizia con sei minuti di ritardo. Nella squadra marchigiana giocano Giallombardo e Sommese, in panchina c’è Micolucci. L’A-scoli fino a una decina di minuti dalla fine vince 2-1, poi la doppietta di Tavano. Dai risultati degli altri campi l’Ascoli sapeva di essere salvo anche perdendo, il Livorno conquista i play off. Pirani aveva scommesso il risultato esatto. Scommessa quotata a 28 ma alla fine scesa a 12. Quanto guadagnò Pirani quel giorno? Tanto. Fu Pirani a presentarle Marco Paoloni? Sì. Me lo presentò come uno scommettitore accanito, giocava dai 10 ai 20 mila euro al giorno. Dice che lei, capito la sua malattia di scommettitore, gli apriva linee di credito per farlo indebitare sempre di più, con ricariche su posta pay. La prima settimana vinse 34 mila euro, pagati 24 in contanti subito e 10 a credito sulla card per continuare a giocare, la seconda settimana 51, 31 pagati con assegni, 6 in contanti e 10 a credito per giocare. Dalla terza settimana, è stato un disastro. A quanto ammontava il debito di Paoloni con lei? A 126 mila euro. Per questo iniziò anche a millantare combine, con gli zingari, i bolognesi, gente che investivano parecchi soldi nelle partite e che non dimentica. Altri colpi andarono a segno. Certo. Cosa devo dire? Inter-Chievo over doveva essere ed over è stato, Palermo-Napoli over, Bari-Lazio X primo tempo e 2 finale. Atalanta-Piacenza è stata venduta tre o quattro volte, a gruppi e da gruppi diversi. Era combinata anche Siena-Sassuolo, 4-0, over con reti imbarazzanti. O Novara-Cremonese, di cui finora non si è mai parlato. Quindi erano in parecchi a sapere, anche tra i giocatori… (Ride) Lei che dice? Quanti giocatori servono per “fare” una partita? Dipende. Per “farla” a perdere, ne bastano tre: il portiere, il difensore centrale e un centrocampista. Quando seppe del coinvolgimento di Signori, le cadde un mito? Sinceramente no. Nel nostro ambiente si sapeva che a Bologna comandava Signori. Certo erano voci, ma quando un giorno Bellavista mi disse che dovevamo andare a Bologna per incontrare un personaggio importante, non ebbi dubbi. Lo zingaro Ilievski ha raccontato di un incontro, avvenuto all’uscita autostradale di Ascoli, con lei in compagni di tre sosia di calciatori del Lecce… Ad Ascoli non c’è uscita autostradale, c’è quella di San Benedetto del Tronto. Ilievski venga in Italia e si faccia interrogare. Racconta anche del contatto via Skype con Daniele Corvia, dai risvolti tragicomici. L’accordo era per l’over di Genoa-Lecce, vollero parlare con Corvia in ritiro a Genova. Uno degli zingari poi mi raccontò che quando gli chiesero di fargli vedere il tatuaggio sull’avambraccio, il tizio chiuse subito la chat. Paoloni utilizzava il profilo di Corvia, col quale aveva giocato insieme nelle giovanili della Roma. Lei ha fatto 11 giorni di carcere. Si aspettava l’arresto? No, anche se vivevo nella paura anche fisica. All’ispettore che mi portò dentro dissi che mi stava quasi levando un peso di dosso. È vero che lei, nei giorni prima, andò dai dirigenti della Cremonese? Andai dal direttore generale della Cremonese, Turotti, raccontandogli prove alla mano chi fosse il loro portiere, mi disse che già lo sapevano. Non volevo minacciare o ricattare nessuno, solo recuperare miei soldi e far emergere la verità. Venne venduto al Benevento, società paradossalmente ignara di tutto ma che ha pagato più della Cremonese. Strano. Come se ne esce? C’è chi parla di confiscare i beni dei calciatori e dei tesserati coinvolti nel calcio scommesse. Basta la radiazione. È gente che non ha mai lavorato. Se gli togli le migliaia di euro al mese, li annienti. Sono stati annunciati nuovi imminenti arresti. Dov’è il fondo di questo pozzo? Se vanno avanti arriveranno ai direttori sportivi e poi alle società. Finora è stato scoperto il 10 % del marcio, non di più.
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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Coppa Italia Il presidente del Coni contro la Lega. Poi il chiarimento: Juve-Napoli all’Olimpico. Abete (Federcalcio): che figuraccia Intrigo all'italiana Petrucci nega l'Olimpico per la finale. De Laurentiis e Agnelli lo rassicurano Beretta media: si gioca a Roma di FELICE NADDEO (Corriere del Mezzogiorno 28-03-2012) NAPOLI — La finale di Coppa Italia diventa un caso diplomatico che scuote i palazzi istituzionale dello sport. Ma, alla fine, l'intrigo all'italiana si risolve in poche ore. Dopo aver accontentato un po' tutti, come di routine nel Belpaese. Si gioca a Roma, ma che importa se ieri si è parlato poco di calcio perchè il tempo lo si è sprecato a spargere veleni. Ecco, quindi, che l'ultimo round della coppa nazionale, quello tra Juventus e Napoli con gara secca, si disputerà all'Olimpico. Come avviene oramai dalla stagione 2007-2008. Eppure di parole, da ieri mattina, ne erano state utilizzate anche più del dovuto. Quando l'orologio segna le undici, all'inaugurazione di un parco tematico nella Capitale, parte di gran carriera Gianni Petrucci, presidente del Coni: «Stiamo valutando la possibilità di non concedere lo stadio Olimpico per la finale di Coppa Italia. Non abbiamo ancora avuto nessuna conferma dalla Lega. E in questa situazione, non avendo ricevuto comunicazioni ufficiali, stiamo pensando noi di non dare l'Olimpico per la sfida tra Juventus e Napoli del 20 maggio. Tutto questo scaturisce dalle troppe polemiche di questi giorni». Il riferimento, evidente, è alle dichiarazioni di Aurelio De Laurentiis di lunedì pomeriggio a Milano. Quando all'uscita dalla riunione del consiglio di Lega, il presidente del Napoli aveva sollevato perplessità su Roma quale sede della finale. Assestando anche qualche stoccata a Petrucci: «Pensino a innovare il calcio». Intanto, sempre nella frenetica giornata di ieri, a ogni ora c'è una nuova sortita. Alle 16 tocca a Maurizio Beretta, presidente della Lega Calcio, difendere i suoi associati che avevano messo in dubbio l'opportunità di giocare nella Capitale. «La finale di Coppa Italia è un evento di straordinario richiamo e merita uno stadio che consenta al maggior numero di tifosi di assistervi — ha evidenziato il capo della Confindustria del pallone — considerato lo straordinario richiamo di una sfida tra Juve e Napoli stiamo cercando di costruire tutte le condizioni perchè il massimo numero di tifosi assista all'evento. Mi pare evidente che la definizione di tutti questi aspetti è importante al fine della scelta». Parole pacate, queste, che comunque fanno infuriare Petrucci. Il numero uno del Coni, quindi, rilancia a distanza di appena quindici minuti dalle esternazioni di Beretta. E siamo alle 16.15: «Pensavo che le lettere di richiesta per l'utilizzo dello stadio e le riunioni svolte dalla Lega all'Olimpico fossero ufficiali, non formali — dice il capo del Coni — Beretta dimentica che l'anno scorso Inter-Palermo ha fatto registrare il tutto esaurito all'Olimpico. Ha voluto mettere una toppa ma non s'è accorto che è rimasto il buco. A questo punto pensassero ad un altro stadio. Per noi il discorso è chiuso». La mediazione, in questo guazzabuglio italico, tocca a chi — negli ultimi anni — è stato il meno diplomatico dei presidenti di serie A, Andrea Agnelli, il patron della Juve. L'uomo che ha portanto il calcio italiano davanti al Tribunale per vedersi riconiusciuti gli scudetti sottratti dopo Calciopoli e qualche decina di milioni di euro. Siamo alle 16. 30. «La Coppa Italia è definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica — afferma il dirigente bianconero — quindi è naturale che la sede della finale sia a Roma. Appena tre anni fa si è disputata all'Olimpico la finale Champions Barcellona-Manchester United, non si vede per quale motivo non si possa giocare Juventus-Napoli». Altro quarto d'ora, l'orologio segna le 16. 45, è arriva anche Aurelio De Laurentiis, via radio Marte. «Sono d'accordo con Agnelli — sentenzia il patron azzurro — Roma è la sede ideale. Nessuno l'ha mai messo in dubbio. Il problema è garantire ai tifosi di poter partecipare all'evento, soprattutto a quelli che sono venuti tutto l'anno allo stadio. Ho sentito dire che potevano entrare solo quelli con la tessera del tifoso: e tutti quelli che ogni domenica vengono al San Paolo in maniera corretta che fine fanno? Il misunderstanding nasce nell'aver detto che noi non vogliamo subire dall'alto le decisioni, per questo ho bloccato la vendita dei tagliandi del 2 aprile. E continuo a dire che se le autorità non garantiscono la sicurezza di chi viene allo stadio, io non vengo a giocare a Roma. Ma il questore di Roma è persona molto capace. Secondo me Petrucci ha male interpretato le mie dichiarazioni». Alle 17 la lieta novella. Beretta chiude vuol chiudere cerchio e polemica. «Ho parlato con Petrucci pochi minuti fa — rivela il presidente della Lega Calcio — ora siamo d'accordo: la finale di coppa Italia si giocherà a Roma». Invece c'è Giancarlo Abete, presidente Federcalcio, a riaprire la partita: «Una brutta pagina scritta dalla Lega, che per fortuna è stata superata con un rinsavimento finale». Leggendo l'ordine del giorno dell'assemblea di lunedì prossimo, speriamo che non se ne aggiunga un'altra». ------- Il membro dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive Longhi: biglietti senza limiti solo a tifosi calmi di DINO MANGANIELLO (Corriere del Mezzogiorno 28-03-2012) NAPOLI — Dunque gli obiettivi erano tre. Il primo: dare la possibilità di assistere alla finale di Coppa Italia ai tifosi azzurri che non sono in possesso della tessera del tifoso. Questa battaglia ingaggiata da De Laurentiis ed apertamente dichiarata con le parole di ieri, era stata del resto caldeggiata, incitata, dai gruppi del tifo organizzato che avevano mandato messaggi inequivocabili al patron attraverso cori e striscioni anche domenica scorsa in occasione del match contro il Catania al San Paolo. Il secondo obiettivo: tentare di evitare gli enormi problemi di ordine pubblico che si annunciano in occasione dell'evento causa l'incrocio tra quattro tifoserie rivali tra loro. Il terzo obiettivo: provare a far cassa in uno stadio più capiente, anche se a conti fatti si trattava di una questione di lana caprina: l'Olimpico è capace di 73.261 posti a sedere, il Meazza di 82.995, la differenza è di meno di 10mila unità. Forse ce n'era anche un quarto, di obiettivo, quello di punzecchiare un po' i vertici del calcio e dello sport, ma è solo un'ipotesi. Punto per punto, intanto, le cose adesso stanno così: si va verso una prima fase di vendita dei biglietti destinata ai possessori della tessera del tifoso; dagli ambienti del tifo arrivano segnali poco incoraggianti e Roma potrebbe trasformarsi in un pericoloso, enorme campo di battaglia; la vendita dei biglietti comincerà a maggio, ne saranno destinati 31. 000 ad ogni tifoseria, mentre 11.000 tagliandi saranno divisi tra le società di A, sponsor, invitati ed imbucati vari. Alcune cose però potrebbero cambiare domani sera, quando si chiuderà una delicata riunione dell'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive. «Potrebbero arrivare aperture verso chi non è in possesso della tessera del tifoso, ma dipende anche da come si comporteranno i supporters di Juve e Napoli da qui alla fine della stagione», annuncia Carlo Longhi, componente supplente del Casms. Longhi poi aggiunge: «Roma è la sede naturale di questa finale, la stessa Coppa è dedicata al presidente della Repubblica che a meno di impedimenti consegnerà di persona il trofeo alla squadra vincitrice. Giusto che si giochi lì, anche perché a livello di ordine pubblico non ci sarebbe stata tutta questa differenza giocando a Milano». Ecco, sarà questo il vero ago della bilancia. «Se le autorità non garantiscono la sicurezza di chi viene allo stadio, io non vengo a giocare a Roma», ha detto ieri a muso duro De Laurentiis. Ma per motivi di prestigio e per non far registrare una debacle delle istituzioni in materia di ordine pubblico, non si può non giocare nella Capitale. Si va verso una finale superblindata. Sperando che basti davvero. ___ La finale Nuova battaglia tra Coni, Federcalcio e Lega di serie A: la crisi istituzionale è grave Petrucci riporta la Coppa Italia a Roma di ALESSANDRO BOCCI (CorSera 28-03-2012) MILANO — Ora che il teatrino sulla sede della finale di Coppa Italia è finito, resta grave la crisi istituzionale che rischia di paralizzare il nostro calcio. Juventus-Napoli, in programma il 20 maggio, si giocherà allo stadio Olimpico. Ma sorprendono i toni dello scontro tra i padroni del vapore. Da una parte Coni e Federcalcio, dall'altro la Lega di serie A. Ormai non vanno d'accordo su niente. La finale di Coppa è sembrata quasi un pretesto. Però ha acceso un vespaio. Gianni Petrucci, presidente dello sport italiano, ha vinto una partita importante, ma non potrà sorridere perché continuando così di battaglie, più o meno pretestuose, ce ne saranno altre. Petrucci ieri mattina, in risposta ad Aurelio De Laurentiis, aveva lanciato il sasso nello stagno delle acque torbide: «Pensiamo di non concedere la disponibilità dell'Olimpico per la finale di Coppa Italia». La replica di Maurizio Beretta, numero uno della Lega, non è servita a chiarire la questione, anzi ha scaldato gli animi: «L'evento è di così straordinario richiamo che merita uno stadio adeguato». Parole che hanno acceso la rabbia di Petrucci: «Se è così, pensassero davvero a un altro stadio. L'Olimpico non è disponibile e per noi l'argomento è chiuso». Il lungo pomeriggio di veleno si è chiuso con la telefonata di pace tra lo stesso Petrucci e Beretta e con la partita definitivamente sistemata nello stadio della capitale. Pace favorita dall'intervento di Andrea Agnelli, che aveva fornito un assist allo stesso Petrucci. «La Coppa Italia da alcuni anni viene anche definita Coppa del presidente della Repubblica, quindi la sede naturale è Roma». Il presidente della Juventus non aveva mai preso in considerazione l'ipotesi del trasloco. Un'idea cara soprattutto ad Aurelio De Laurentiis che, nel Consiglio di lunedì, aveva avanzato altre candidature: Milano, Parigi, Londra, non tenendo conto che la capitale inglese è sede dei Giochi e per questo fuori dai giochi. Ma anche il presidente del Napoli, dopo l'intervento di Petrucci, ha scelto il basso profilo. «Sono d'accordo con Andrea Agnelli quando dice che bisogna giocare a Roma. Io voglio solo garantire la presenza dei nostri tifosi». Questione di capienza, dunque. Anche se tra San Siro e l'Olimpico la differenza è di soli 6 mila posti, cioè tremila biglietti per ciascuna tifoseria. Beretta ha ottenuto da Petrucci che ogni posto disponibile sarà reso disponibile per la finale. E l'Osservatorio del Viminale, pur non facendo salti di gioia, ha garantito l'ordine pubblico. La storia è finita, ma è stata una faticaccia e ha scatenato la rabbia di uno solitamente moderato come Giancarlo Abete. «La Lega di serie A ha scritto una brutta pagina, che per fortuna è stata superata con un rinsavimento finale. Leggendo l'ordine del giorno dell'assemblea di lunedì prossimo speriamo che di brutte pagine non se ne aggiunga un'altra», ha dichiarato il presidente della Federcalcio. La Lega, infatti, dovrà esaminare la richiesta avanzata da Lotito, che ha chiesto ai suoi colleghi presidenti di sostenerlo nella battaglia personale contro le istituzioni sportive, cioè nel ricorso d'urgenza (ex articolo 700) presentato da presidente della Lazio al tribunale civile di Roma e in discussione il 3 aprile, contro la Federazione che l'ha escluso dal Consiglio Federale recependo le nuove norme etiche del Coni. ___ QUESTA LEGA É CONTRO IL CALCIO di STEFANO AGRESTI (CorSport 28-03-2012) L'ultima, deprimente pantomima sulla sede della finale di Coppa Italia conferma ciò che sappiamo, forse da sempre: la Lega Calcio - chiamata pomposamente «confindustria del pallone», ma in realtà la scopriamo costantemente nel pallone - è del tutto inadeguata a pilotare il bolide che ha in mano. Un bolide che produce ricchezza e che smuove passioni: denaro e amore, cosa si può chidere di più? Peccato che tutto questo bendidio sia affidato a chi pensa solo ai propri interessi di bottega e per perseguirli non esita a usare mezzi e mezzucci. C’è un’immagine che fa capire meglio di qualsiasi altra l’attendibilità di chi ha in mano il calcio italiano (che un tempo era leader in Europa e ora, forse non a caso, non lo è più). L’immagine è quella di Maurizio Beretta, presidente di questa sciagurata assemblea, che oltre dodici mesi fa - inizio di marzo 2011 - annuncia di dover mestamente abbandonare la poltrona: ha ricevuto un importante incarico da un autorevole istituto bancario e il nuovo ruolo è incompatibile con la poltrona di numero uno della Lega Calcio. Attenzione: incompatibile significa che è decisamente inopportuno che uno stesso dirigente occupi in contemporanea quelle due posizioni. Ed è proprio lui, Beretta medesimo, che avverte: «Non intendo avere il doppio incarico, rimango finché non viene individuato un sostituto». Tu pensi: un po’ di contatti e telefonate, qualche riunione, qualche litigio, un’assemblea e si elegge il successore. Anche perché, se non si cambia, l’istituzione perde la poca credibilità che le è rimasta. Macché. Sono passati dodici mesi, quasi tredici, e Maurizio Beretta continua a veleggiare sul ponte di comando. Per la verità, è spesso nella tempesta: chi lo tira per un braccio, chi per un altro; chi lo critica, chi quasi lo insulta; chi ne chiede a gran voce le dimissioni, chi lo accusa di essere al servizio di questo o quel presidente (soprattutto di «quel» presidente, sì, proprio quello.. . ). E c’è anche chi, inevitabilmente, gli rinfaccia il doppio incarico, sostenendo che usa un ruolo per gestire l’altro: lo fa Zamparini, presidente del Palermo, e non conta se i suoi sospetti siano fondati oppure no, perché è imbarazzante il fatto stesso che si possano avanzare dubbi del genere. Ma lui, Beretta, non s’imbarazza affatto: sorride e va avanti. E asseconda i disastri architettati dai suoi presidenti. Come l’ultimo, quello della sede di Coppa Italia. Spinto da pressioni interessate e inopportune - a cominciare dalle dichiarazioni di De Laurentiis, colto per una volta in fuorigioco - Beretta stavolta minaccia di spostare la finale di Coppa Italia: niente Roma, magari Milano, per una manciata di posti allo stadio in più. Una contraddizione indecorosa e inaccettabile, dopo che per anni si è dichiarato che la nostra coppetta nazionale, per acquistare un po’ del prestigio della mitica Coppa d’Inghilterra, doveva avere una tradizione, e che la sede fissa per la finale (l’Olimpico appunto) era un modo per cominciare a creare questa tradizione, questa storia. Inoltre, se si vuole, la scelta ventilata dalla Lega è indelicata, quasi irrispettosa, nei confronti del Presidente della Repubblica, che premia la squadra vittoriosa nella Capitale. Chissà se Napolitano avrebbe potuto spostarsi a Milano il 20 maggio per fare un favore a Beretta e agli interessi della Lega Calcio... Per fortuna non tutti i dirigenti sono uguali e non tutti si piegano a ricatti di basso livello. Per salvare la finale romana di Coppa Italia - e dunque per salvare quel briciolo d’immagine che il trofeo si sta riguadagnando - è dovuto intervenire Gianni Petrucci, presidente del Coni. Ha forzato la mano, ha dichiarato che non avrebbe concesso lo stadio Olimpico per Juventus-Napoli, e tutto si è risolto in meno di un’ora: la presa di posizione di Petrucci è delle 15,57, l’annuncio di Beretta che tutto si era risolto e che si sarebbe giocato a Roma è delle 16,48. Se la Lega non avesse in mano il nostro calcio, presente e futuro, una situazione così grottesca e paradossale, quasi comica, farebbe ridere. Ci aspetteremmo, adesso, che i presidenti trovassero immediatamente un nuovo numero uno per la Lega, lo eleggessero e programmassero qualcosa di propositivo per rilanciare il nostro calcio, togliendo Beretta dall’imbarazzo del doppio incarico. Ma temiamo che non lo faranno, perché nel caos ci sguazzano. E allora, dal primo all’ultimo, ci facciano almeno la cortesia di non lamentarsi più di Beretta, della sua incapacità di sopportare pressioni e condizionamenti, dei suoi conflitti d’interesse. Loro lo hanno scelto e lo hanno votato; loro hanno deciso di lasciarlo al suo posto anche quando lui stesso si è chiamato fuori. Tenetevelo, Beretta, e fate assieme tutte le figuracce che volete. In silenzio, però. Almeno questo. ___ COPPA ITALIA Ma De Laurentiis vuole rivedere la distribuzione dei posti Coni-lega, guerra e pace sulla finale all’Olimpico Petrucci non gradisce le polemiche e sbotta: «Si trovino altri stadi» Intervento decisivo di Agnelli, Beretta ricuce. Abete: «Figuraccia» di MARCELLO DI DIO (il Giornale 28-03-2012) Cinque ore di polemica a distanza in cui volano gli stracci. Protagonisti gli acerrimi avversari di questa fase storica del calcio: il Coni e la Lega di A. Motivo: la sede della finale di coppa Italia tra Napoli e Juve, prima prevista, poi spostata e infine riportata all’Olimpico di Roma. Dove l’atto conclusivo della competizione si gioca dal 2008. Una telefonata tra i presidenti Petrucci e Beretta (dopo un intervento decisivo di Andrea Agnelli) ricuce lo strappo e chiude l’ennesima querelle che rappresenta (parole di Abete) «un’altra brutta pagina scritta dalla Lega di A, per fortuna superata con un rinsavimento finale». Dopo la provocazione del patron del Napoli De Laurentiis («giochiamo la finale a Milano, oppure a Parigi o Londra») il Coni attendeva lunedì una parola definitiva da parte della Lega, come al solito non decisionista (almeno in sede istituzionale, l’ultima assemblea aveva rinviato l’ufficializzazione del sito della finale al 3 aprile), anche se informalmente la scelta di Roma era già stata fatta (lo prevede il regolamento: la sede va comunicata prima delle semifinali). Il presidente Petrucci aveva già esternato lunedì il suo disappunto, auspicando sulla vicenda un passo indietro «da parte di chi ha cervello». Ieri, di fronte ai continui litigi dei presidenti di A, la minaccia: «Stiamo pensando di non concedere l’Olimpico, non abbiamo ancora avuto la conferma». Beretta non aveva gradito: «La finale di coppa Italia è un evento di straordinario richiamo e merita uno stadio che consenta al maggior numero di tifosi di assistervi». La controreplica di Petrucci sembrava chiudere il discorso in maniera drastica: «Pensino a un altro stadio, credevo che le lettere di richiesta per l’utilizzo dell’Olimpico e le riunioni svolte dalla Lega nell’impianto fossero ufficiali, non formali». Poi il lieto fine con la telefonata di pace tra i due: vittoria del Coni che ha messo alle strette la Lega di A, la quale davanti a una figuraccia non poteva che confermare la sede romana. Di fatto già approvata, come dimostra la lettera di invito spedita da Beretta a Napolitano. «La coppa Italia è definita da alcuni anni coppa del Presidente della Repubblica, quindi è naturale che la sede della finale sia a Roma dove appena tre anni fa si è giocato senza problemi l’atto conclusivo della Champions tra Barcellona e Manchester United», ha precisato Andrea Agnelli, patron della Juve. «Per noi l’importante è garantire la presenza dei nostri tifosi, quelli che hanno la tessera ma anche i tanti che non la hanno, che sono venuti a sostenerci per tutta la stagione e in giro per l’Europa», così il numero 1 del Napoli, entrato in «collisione» con il Coni dopo essere stato ammesso al fallimentare tavolo della pace. Svelati così i veri motivi della proposta di una sede diversa avanzata del patron azzurro. Che raddrizza il tiro: «Credo che Petrucci abbia male interpretato le mie dichiarazioni, pensava forse che disdegnassimo l’Olimpico, ma noi ci teniamo a giocare nella città del Presidente della Repubblica». Probabile però che venga accolta la richiesta di De Laurentiis di rivedere la distribuzione dei settori dello stadio. ___ Finalmente Ora sono tutti d’accordo «La Coppa Italia a Roma» di PINO TAORMINA (IL MATTINO 28-03-2012) Una telefonata per cancellare due giorni di interminabili polemiche. E sancire Roma come sede della finale di Coppa Italia tra Juventus e Napoli, prevista, poi spostata, poi riportata allo stadio Olimpico il 20 maggio. Un passo alla volta, perché la giornata va raccontata. Inizia di buon ora: probabilmente dopo aver letto sui giornali che la telenovela era ben lontana da avviarsi alla conclusione, il presidente del Coni ha sbottato: «Pensiamo di non dare lo stadio Olimpico per la finale». Petrucci va su tutte le furie dopo aver preso atto che la Lega, nell’assemblea di lunedì, non si è pronunciata sulla questione. A gettare la benzina sul fuoco, poco dopo, Maurizio Beretta: «La finale di Coppa Italia è un evento di straordinario richiamo e merita uno stadio che consenta al maggior numero di tifosi di assistervi. Noi lavoriamo perché questo si realizzi». In pratica, dunque, più o meno la tesi del Napoli. Parole che lasciano intendere che la Lega pensa a uno spostamento. E i tentennamenti non sono per nulla graditi (eufemismo) a Petrucci: «A questo punto pensassero ad un altro stadio, il discorso è chiuso». Fine. Almeno così sembra. Ma Petrucci va ancora all’attacco. Ed è chiaro che più che contro De Laurentiis, ce l’ha con Beretta: «Pensavo che le lettere di richiesta per l’utilizzo dello stadio e le riunioni svolte dalla Lega all'Olimpico fossero ufficiali, non formali. Altrimenti non avrei nemmeno risposto. Beretta dimentica che l’anno scorso Inter-Palermo ha fatto registrare il tutto esaurito. Ha voluto mettere una toppa ma non s'è accorto che è rimasto il buco». Non si sa se quella di Petrucci sia stata una mossa strategica. Si sa solo che basta che l’Ansa batta questa agenzia perché Beretta prende il telefono e chiami il presidente del Coni. «C’è stato solo un malinteso. La partita la giochiamo a Roma», dice al capo del Coni. Subito dopo è Beretta in persona a sciogliere la riserva: «Ora siamo d’accordo: la finale si giocherà a Roma. Voglio chiudere la porta a ogni tipo di equivoco o dubbio. Stiamo lavorando per garantire al più alto numero possibile di tifosi». A dare probabilmente il via libera alla pace, l’intervento del presidente della Juventus, Andrea Agnelli che, di fatto, sconfessa Beretta e per la prima volta esce allo scoperto e boccia nettamente l’idea del trasloco: «La Coppa Italia è definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica quindi è naturale che la sede della finale sia a Roma. Appena tre anni fa si è disputata allo stadio Olimpico la finale di Champions, non si vede per quale motivo non si possa giocare Juventus-Napoli». A quel punto è il momento di Aurelio De Laurentiis parlare e di uscire allo scoperto. Il presidente del Napoli precisa di «condividere le parole di Andrea Agnelli e non avere niente contro la sede di Roma» per la finale ma di volere che alla finale abbiano accesso «anche i tanti, anche quelli sprovvisti della tessera del tifoso ma che ci seguono per tutta la stagione». E qui De Laurentiis non fa nessuna retromarcia: «Voglio un tavolo tecnico con i rappresentanti del Viminale, con il questore di Roma Tagliente e con le due società coinvolte perché le decisioni non possono passare sulle teste di Napoli e Juve. Noi conosciamo i territori e dobbiamo lavorare anche per i sostenitori che non hanno la tessera del tifoso ma che ci seguono sempre, anche nelle trasferte in giro per l'Europa, comportandosi correttamente. Ho deciso di dare la prelazione agli abbonati. I biglietti? Non li venderemo nella prossima settimana, c’è ancora tempo», ha aggiunto il produttore cinematografico. «Una brutta pagina scritta dalla Lega di A, che per fortuna è stata superata con un rinsavimento finale», è la chiosa serale del presidente della Figc, Giancarlo Abete. Tanto rumore per nulla. ------- La spedizione In fermento i sostenitori azzurri, si attende la decisione su eventuali agevolazioni per i possessori della Tessera A Napoli trentamila biglietti, ma richieste per 50mila di DARIO SARNATARO (IL MATTINO 28-03-2012) Soddisfatti i tifosi del Napoli dopo la decisione di confermare l’Olimpico come sede della finale di coppa Italia: dal primo momento volevano che la partita si giocasse a Roma. Domenica durante Napoli-Catania era stato esposto in curva B questo striscione in riferimento ad eventuali agevolazioni per i possessori della Tessera del tifoso: «Per ogni limitazione dura contestazione, tutti a Roma». De Laurentiis vuole garantire pari diritti per tutti, i gruppi ultrà sono in attesa di eventuali decisioni del Viminale. Il presidente dell'Ainc (Associazione italiana Napoli Club) Saverio Passaretti ha accolto con soddisfazione le dichiarazioni di De Laurentiis: «Dal settembre 2004, ma anche prima, il Napoli ha avuto sempre al proprio fianco uno zoccolo duro di tifosi, ovvero i ragazzi delle curve. È giusto che De Laurentiis si sia esposto in loro favore, bisogna salvaguardare chi ha sostenuto gli azzurri nella buona e nella cattiva sorte, in casa come in trasferta. Opportuno, dunque, che il patron abbia intenzione di tutelare tutti i tifosi: gli abbonati, i tesserati e quelli sprovvisti di Club Azzurro Card». Passaretti espone anche la posizione della sua associazione: «Sono a favore della tessera del tifoso, pur rispettando l'opposta scelta ideologica dei ragazzi delle curve. Abbiamo già ricevuto molte richieste di tagliandi dai nostri club, i cui iscritti, in verità, hanno quasi tutti la tessera del tifoso. Invoco, ora, particolare attenzione nella gestione della vendita dei biglietti e dell'organizzazione della partita». Non sarà facile garantire la vendita a tutti i tifosi, ma Ciro Marchitelli, presidente dell'Acan (Associazione Club Azzurri del Napoli), propone una soluzione: «Il club dovrebbe chiedere ai tifosi storici di portare con sé un documento per rilasciare un tagliando a testa». Ovviamente Marchitelli è d'accordo nel tutelare tutti i tifosi. «De Laurentiis ha fatto bene a esporsi in questo modo, è ovvio che bisognerebbe garantire un diritto di prelazione agli abbonati, poi riservare una quota a chi ha la tessera ed infine premiare i sostenitori delle due curve. Non si possono ignorare – aggiunge – coloro che hanno sempre dato l'anima sugli spalti, sostenendo in tutti gli stadi, dalla C alla A, il nostro amato Napoli. Speriamo che la vendita dei biglietti possa essere organizzata in modo sereno». Il punto nodale sarà proprio quest'ultimo: la domanda si può già quantificare in 50mila biglietti, a fronte di circa 31mila tagliandi disponibili. Distribuirli in modo razionale, provando a tutelare tutti i tifosi, sarà impresa ardua. ------- La svolta Il presidente del Coni abbandona la prudenza e alza i toni, retromarcia della Lega Un pericoloso tormentone poi Petrucci forza la mano di PINO TAORMINA (IL MATTINO 28-03-2012) Un fuoco incrociato di accuse velenose ha infiammato la lunga vigilia della finale di Coppa Italia, trasformandola quasi in un inferno. Ogni giorno, una bagarre. Una sorta di resa dei conti tra Lega Calcio e Coni (e nel mezzo la Figc) scatenata dalla voglia del patron azzurro Aurelio De Laurentiis di spostare altrove, magari a Milano, la sede della sfida del 20 maggio. Juventus e Napoli si contenderanno il trofeo tricolore all’Olimpico. Così come previsto la scorsa estate e così come succede ormai regolarmente dal maggio del 2008 per consentire la presenza del presidente della Repubblica, a cui la Coppa Italia è dedicata. A tal proposito il Quirinale dalla vicenda è rimasto ovviamente fuori: non si sa ancora chi consegnerà la Coppa del Presidente al capitano della squadra vincitrice, perché il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha un impegno istituzionale e non potrà essere presente allo stadio. Come lo scorso anno, quando toccò al presidente del Senato, Renato Schifani consegnare la Coppa a quelli dell’Inter. Che, ironia della sorte, avevano appena battuto il Palermo, la squadra del cuore della seconda carica dello Stato. La giornata di ieri è stata un interminabile sequenza di annunci, ripensamenti, parole piccate, frasi risentite e persino turbolenti. In certi momenti, la vicenda è sembrata scivolare sul grottesco quando è prima arrivato l’annuncio che sembrava definitivo da parte di GiPetrucci («Trovatevi un’altra sede», aveva sentenziato il numero uno dello sport italiano rivolgendosi a Beretta) per poi giungere a una brusca inversione di marcia dopo aver frettolosamente ricucito lo strappo con il presidente della Lega Calcio. «Abbiamo trovato l’accordo, si gioca all’Olimpico», ha detto Beretta. E l’accordo, ovvio, riguarderebbe i biglietti. Ma anche a chi tocca fornire steward, raccattapalle, ambulanze, eccetera. Napoli e Juventus (che si spartiranno con quote del 45 per cento l’incasso complessivo) avrebbero già chiarito alcuni aspetti intoccabili: prezzo minimo in curva non inferiore ai 30 euro (il doppio dell'anno scorso per Inter-Palermo), riduzione dei settori dove vendere biglietti ridotti, prezzi superiori ai 100-150 euro per le tribune Monte Mario e Tevere. È stata anche una giornata di tante, tantissime telefonate. Da parte delle «colombe» del Coni che ricordavano all’eterno dimissionario Beretta e ai suoi agguerriti «falchi», ovvero i grandi patron della serie A, che la sede è stabilita da tempo e che è già stato invitato il presidente della Repubblica con una lettera inviata dalla Lega al Quirinale tre mesi fa. Il Napoli, ovviamente, ha insistito, ha provato a battere i pugni sul tavolo. De Laurentiis ha tuonato con i suoi. «Nessuno prende decisioni per conto mio», ha urlato ai fedelissimi. È una questione non solo di principio, ma soprattutto di biglietti e di tessera del tifoso. Ad appoggiarlo nella battaglia contro il Coni un inatteso alleato: Claudio Lotito. Il presidente della Lazio ha ricordato che lo scorso anno lo stesso Petrucci aveva minacciato di non dare l’Olimpico in caso di accesso alla finalissima della Lazio, con cui il Coni aveva un contenzioso milionario. Il muro del «no» a fine giornata cade: la Lega decide di mettersi da parte dopo che anche Andrea Agnelli si sfila. A quel punto la scelta è fatta. E De Laurentiis si regala una serata al Sistina dove è in scena lo spettacolo di Siani. ___ LA POLEMICA Coppa Italia all’Olimpico Petrucci offeso: trovino un altro stadio. Poi Agnelli porta pace di LUCA PASQUARETTA (Il Messaggero 28-03-2012) ROMA - Come non detto: la finale di Coppa Italia in cartellone il prossimo 20 maggio si giocherà regolarmente allo stadio Olimpico di Roma. Ora è ufficiale. La telenovela è finita. Quando la rottura sembrava insanabile con il presidente della Lega, Maurizio Beretta, invitato dopo 5 ore di punzecchiature dal numero uno del Coni, Gianni Petrucci, «a cercarsi un altro impianto», nel pomeriggio una telefonata di Andrea Agnelli proprio a Petrucci ha riportato la situazione sui binari della normalità. L'equivoco è stato risolto. L'annuncio è arrivato poco dopo da parte dello stesso Beretta: «Ho parlato con il presidente del Coni, ora siamo d'accordo». Insomma tutti a Roma. Juventus e Napoli si contenderanno il trofeo nella Capitale. Resta da dissipare il nodo della tessera del tifoso (solo i possessori potranno acquistare il biglietto della finale?), il motivo che aveva indotto il patron del Napoli De Laurentiis a tirare il freno a mano sull'Olimpico e a scatenare l'ira di Petrucci («Per noi il discorso è chiuso») , placata poi da Andrea Agnelli. Fino al clamoroso dietrofront. «La Coppa Italia è definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica, quindi è naturale che la sede della finale sia a Roma - ha dichiarato il presidente bianconero - Appena tre anni fa si è disputata allo Stadio Olimpico la finale di Champions Barcellona-Manchester United, non si vede per quale motivo non si possa giocare Juventus-Napoli». Equivoco risolto. «Secondo me Petrucci ha male interpretato le mie dichiarazioni, probabilmente ha pensato che noi disdegnassimo l'Olimpico. Non è così, Roma è la capitale, c'è il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sono d'accordo con Agnelli - ha concluso De Laurentiis - Io voglio che la partita sia sicura. Il Questore di Roma Tagliente è valido, ci sono le persone giuste per rendere l'evento godibile. Volevo solo dire: il problema è garantire ai tifosi juventini e napoletani di poter partecipare all'evento. Cos'è questa storia che serve la tessera per vedere la finale? E' una cosa inaudita. Devo difendere i miei tifosi». Polemiche davvero finite? ___ Caos e pace finale In campo Agnelli La Coppa Italia resta a Roma Beretta e Petrucci allo scontro, poi il numero 1 della Juve ricorda l'invito fatto al capo dello Stato Polemica tra Coni e Lega sulla sede, dalle minacce alla soluzione. Ora c'è il nodo biglietti di MAURIZIO GALDI & MARCO IARIA (GaSport 28-03-2012) Sembrava un match di tennis alla conquista del punto finale. Il presidente del Coni Gianni Petrucci e quello della Lega di A Maurizio Beretta si sono lanciati palle avvelenate dalla prima mattinata di ieri. Poi sono scese in campo le diplomazie (leggi il presidente della Juve Andrea Agnelli) e i due si sono sentiti al telefono. Risultato: la finale di Coppa Italia si giocherà regolarmente all'Olimpico di Roma il 20 maggio. Ma che fatica! Cortocircuito Dopo il silenzio di Beretta di lunedì, che strideva con l'estenuante polemica di De Laurentiis sulla sede, Petrucci era andato giù pesante: «Stiamo pensando di non dare più la disponibilità dell'Olimpico». La replica di Beretta era tutt'altro che chiarificatrice: «Questo evento merita uno stadio che consenta al maggior numero di tifosi di assistervi». Durissima la controreplica di Petrucci: «Pensavo che la lettera di richiesta per l'utilizzo dello stadio e le riunioni svolte dalla Lega all'Olimpico fossero ufficiali. Beretta ha voluto mettere una toppa ma non s'è accorto che è rimasto il buco. A questo punto pensassero a un altro stadio». Figuraccia Il presidente della Lega, probabilmente, aveva dimenticato la lettera d'invito a sua firma che era stata già inoltrata al capo dello Stato Giorgio Napolitano con tanto di risposta (ancora secretata) per la finale «all'Olimpico». Fortuna che ci ha pensato Agnelli a ricordarglielo (lunedì aveva anche inviato un «simpatico» messaggio a Petrucci di auguri per le mille giunte Coni a dimostrazione di una rinnovata sintonia): «La Coppa Italia è definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica, quindi è naturale che la sede della finale sia a Roma», avrebbe scritto sul sito ufficiale, a suggello della pace istituzionale stretta nel corso di una telefonata fatta da Beretta a Petrucci. «Voglio chiudere la porta a ogni equivoco. La finale si giocherà a Roma», le parole ultimative del n. 1 della Serie A. Protagonista Ieri, tuttavia, De Laurentiis non ha smesso di fomentare dubbi dichiarando sì di aver sempre pensato all'Olimpico ma sollevando problemi sull'obbligatorietà della tessera del tifoso («è una cosa inaudita, se le autorità non garantiscono la sicurezza io non vengo a giocare a Roma») e sulla capienza dell'Olimpico, che è di 72 mila posti contro gli 80 mila e passa del Meazza. Nell'ultimo incontro all'Osservatorio, per ottimizzare gli spazi e riservare alle finaliste 33 mila tagliandi a testa, si era deciso di dividere a metà lo stadio ma in verticale: Nord e Tevere al Napoli, Monte Mario e Sud alla Juve. Ora il Napoli non ci sta: mezza Tevere e mezza Monte Mario a testa. Ciò però taglierebbe 2 mila posti dovendo allestire un «cuscinetto» tra le tifoserie. Non è l'unica doglianza di De Laurentiis, che vorrebbe mettere in vendita i biglietti solo a inizio maggio (e la gente che vuole organizzarsi per tempo?) e, se non eliminarla, porre un limite alla prelazione a favore dei possessori della tessera del tifoso. Perché? Pare che tema il boicottaggio delle partite di campionato da parte degli ultrà. Federcalcio La chiosa è del presidente Figc Giancarlo Abete: «Una brutta pagina scritta dalla Lega che per fortuna è stata superata. Leggendo l'ordine del giorno dell'assemblea di lunedì (il riferimento è al ricorso di Lotito, ndr), speriamo che non se ne aggiunga un'altra». Post scriptum: tre anni fa l'Olimpico ospitò la finale di Champions e l'Uefa mise a disposizione dei club 20 mila tagliandi a testa. Chi erano? Barcellona e Manchester United, le squadre col maggior numero di tifosi nel mondo. Ma nessuna delle due si lamentò. ------- ilCaso COPPA ITALIA: ECCO VINCITORI E VINTI PETRUCCI E AGNELLI SU, BERETTA GIÙ di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 28-03-2012) Coppa Italia con lieto fine, e questo è già qualcosa. Che non cancella, tuttavia, il film di un martedì dove la commedia degli equivoci e del vorrei ma non posso si è consumata per intero, con tanto di vincitori e vinti. Da cui una doverosa classifica: vince Gianni Petrucci, il presidente del Coni che in un crescendo rossiniano prende cappello di brutto, sbattendo a un certo punto la porta dell'Olimpico in faccia a Maurizio Beretta. Petrucci s'era mosso da sabato, all'indomani dell'ennesimo summit sull'organizzazione e la sicurezza svoltosi a Roma per il Napoli-Juventus di domenica 20 maggio: aveva annusato l'aria, colto i pericoli insiti nella variabile De Laurentiis, e agito di conseguenza, incassando sabato dal presidente della Lega quelle rassicurazioni poi disattese due volte. Con il silenzio di lunedì, dopo l'imperversare di un De Laurentiis lotiteggiante in Lega, e ancor più con la prima replica di ieri, quando il burocratese di Beretta ha spazzato via, insieme al buon senso, ogni possibilità di mediazione. Lì Petrucci, con le sue due righe di controreplica, è stato definitivo. Quel che è successo dopo, dall'intervento di Andrea Agnelli alla repentina, comica capitolazione di Beretta, sancisce il risultato di k.o. tecnico. Con Petrucci vince Agnelli. Il presidente della Juventus quando c'è da entrare a gamba tesa non si fa problemi e lo ha già mostrato in altre circostanze. Qui l'intervento, certo maturato alla luce degli abituali contatti con il Coni, del quale è rimasto amico nonostante il relativo insuccesso del tavolo della pace, è stato chiaro, forte, tranchant. La Coppa Italia è la coppa del presidente della Repubblica, peraltro invitato toh, dal presidente della Lega fin dal mese di febbraio. Roma la sua sede naturale. Punto. Ecco parole autenticamente «politiche». Perde Beretta. Rovinosamente. Una conferma, ce ne fosse stato bisogno, che l'anno e passa di prorogatio dopo l'assunzione dell'incarico in Unicredit fa male. Alla credibilità di una Lega allo sbando, dove chi urla di più finisce con l'essere l'unico interlocutore degno di attenzione, e alla fine anche a se stesso. Perde anche De Laurentiis, ma relativamente, visto come tra un'esternazione e l'altra riesce poi ad allinearsi in qualche modo all'Agnelli-pensiero. E ora avanti, alla prossima. Lunedì, dove in Lega si gira la commedia «Lotito alle crociate», Petrucci e Abete gli «infedeli» di turno. Chi, oltre a Beretta, è pronto a star dietro al presidente della Lazio? ___ Coppa Italia, finale a Roma: ma che farsa Petrucci, guerra alla Lega calcio: De Laurentiis cede. “Però niente tessera del tifoso” di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 28-03-2012) «Si gioca a Roma». La farsa è finita: la finale di Coppa Italia fra Juventus e Napoli era in programma all’Olimpico il 20 maggio, e lì si farà. Macché Parigi, Londra o Milano come minacciava Aurelio De Laurentiis, patron del Napoli. Chi l’avrebbe detto d’altronde che si cambiava sede a Giorgio Napolitano, già invitato (a febbraio) dalla Lega di serie A per consegnare la Coppa del Presidente? Si chiude qui, per fortuna, una delle pagine più ridicole del nostro (imprevedibile) calcio, un misto fra arroganza e incapacità. Il presidente del Coni, Gianni Petrucci, ha tenuto la barra dritta sino in fondo, arrivando ad annunciare che sarebbe stato lui a non concedere lo stadio a causa delle polemiche e incertezze della Lega. A quel punto si sono arresi tutti e finalmente si sono spente le luci su una vicenda che lascerà comunque una lunga scia di veleni. Stanco dei silenzi e delle titubanze della Lega calcio, con cui ormai è in guerra aperta, Petrucci in mattinata aveva già minacciato di non dare più l’Olimpico. Sconcertante la risposta di Beretta (rimasto in silenzio lunedì): «La Lega sta cercando un impianto con la capienza adatta». Apriti cielo, riecco Petrucci, furibondo: «Trovatevi un altro stadio, per noi la storia è chiusa». Arrangiatevi, insomma. Prima che la situazione diventasse irrecuperabile, è arriva la telefonata di Beretta al n.1 dello sport italiano: «Ho parlato con Petrucci, sono d’accordo con lui: si gioca a Roma». Intanto anche Andrea Agnelli, vista la pessima piega che la vicenda stava prendendo, si era sfilato da De Laurentiis, telefonando a Petrucci e garantendo che alla sua Juve stava benissimo l’Olimpico: «Roma è la sede naturale, la Coppa Italia d’altronde da anni è definita Coppa del Presidente della Repubblica». De Laurentiis- che ora parla di “equivoci” (ma quali?) e spiega che “nessuno ha mai messo in dubbio Roma”- ha dovuto arrendersi. Ma di certo il patron del Napoli ha scatenato questo putiferio anche perché non vuole che la vendita dei biglietti per la finale sia vincolata alla tessera del tifoso, che molti suoi ultrà non hanno mai sottoscritto. «La gara deve essere aperta a tutti», sostiene il produttore cinematografico. Ma al Viminale non mollano: è una partita ad alto rischio, meglio evitare biglietti cartacei (e bagarini al seguito). De Laurentiis ora chiede più tessere omaggio e impone, qui in pieno accordo con la Juve, prezzi altissimi (curve da 30 euro): altro che festa per le famiglie. Voglia di business, e basta. E una tensione che cresce pericolosamente: ci saranno oltre 1000 poliziotti il 20 maggio, ma a Roma hanno già gestito (con successo) eventi così “caldi”. Giancarlo Abete, presidente Figc, in serata chiude la farsa con parole che suonano durissime per uno come lui, solitamente prudente: «Una brutta pagina scritta dalla Lega e che per fortuna è stata superata con un rinsavimento finale. Leggendo l’ordine del giorno dell’assemblea di lunedì prossimo, speriamo che non se ne aggiunga un’altra». Il riferimento è a Lotito, che lunedì chiederà aiuto agli altri 19 presidenti contro la Figc: il n. 1 della Lazio non accetta la sospensione per motivi etici e si è rivolto ad un tribunale ordinario (e la clausola compromissoria non conta più?). La guerra continua. ------- Finale a Roma, vertice in Viminale De Laurentiis, allarme ultrà: “Biglietti a tutti, non solo a chi ha la tessera del tifoso” di MARCO AZZI (la Repubblica - Napoli 28-03-2012) CHE si giochi a Roma, secondo il programma originale, è di fatto una non notizia. Lo sapeva dall’inizio pure Aurelio De Laurentiis, finito ieri nel mezzo di un polverone mediatico e sommerso dalle bacchettate del Coni (Petrucci: «Sono io che nego la disponibilità dell’Olimpico») e della Figc (Abete: «Brutta pagina, anche se con rinsavimento finale»). Tale è stato considerato l’apparente dietrofront del presidente del Napoli, intervenuto a radio Marte. «Sono d’accordo con le dichiarazioni di Andrea Agnelli che giustamente definisce Roma come la sede ideale, per la finale di Coppa Italia. Nessuno ha mai messo in dubbio Roma, visto che ha organizzato di recente una finale di Champions», ha teso la mano il numero uno azzurro, ribadendo peraltro tutte le sue perplessità dei giorni scorsi, all’origine del caso. «Continuo a ripetere che se le autorità non assicurano la sicurezza di chi andrà allo stadio, io non vengo a giocare a Roma. Devo difendere i nostri tifosi e lavoro per loro». Il vertice di ieri sera al Viminale, nella sede dell’Osservatorio, è servito proprio a mettere concretamente sul tavolo — dopo tante chiacchiere — tutte le obiezioni di De Laurentiis. Alcune soltanto formali, come la ripartizione dello stadio Olimpico (curva nord e tribuna Monte Mario alla Juventus, curva sud e tribuna Tevere al Napoli) ritenuta non equa. Altre sostanziali: in particolare quelle relative alle modalità di vendita dei biglietti. «Occorre garantire a tutti la possibilità di partecipare all'evento, specialmente a chi ci ha seguito per un anno intero allo stadio. Noi abbiamo avuto più di 1 milione e 200 mila spettatori al San Paolo, che si comportano in maniera corretta e lo hanno dimostrato anche a Londra. Cos'è questa storia che serve la tessera del tifoso per vedere la finale? È una cosa inaudita. È giusto dare la priorità agli abbonati e poi un altro spazio per i tesserati, però bisogna assicurare l’entrata pure agli altri che con grande fede sono stati sempre al nostro fianco». Il vero problema sono dunque i gruppi organizzati delle curve, che non hanno mai aderito alla tessera. La Lega li vorrebbe fuori. Ma De Laurentiis fa presenti i rischi per l’ordine pubblico, data la vicinanza tra Napoli e Roma (da qui la provocazione Milano). C’è il rischio che gli ultrà arrivino anche senza biglietti all’Olimpico e il presidente non vuole che le colpe di eventuali disordini cadano di nuovo sulle spalle del club azzurro, come già in passato. Non è mai stata Roma il motivo del contendere, insomma. «Petrucci ha male interpretato le mie parole, pensando che disdegnassimo lo stadio Olimpico. Ovvio che non sia così, Roma è la capitale, c’è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nostro tifoso...». Ed è li che si giocherà, il 20 maggio: l’ha annunciato il numero uno della Lega Beretta, dopo aver fatto da paciere al telefono con Petrucci. Tanto rumore per nulla. Ma De Laurentiis ha fatto bene a lanciare l’allarme. Già domenica scorsa, al San Paolo, gli ultrà si erano virtualmente messi in viaggio verso l’Olimpico mostrando uno striscione. “Niente divieti, ci saremo”. I duecento chilometri tra Napoli e Roma sono un argine troppo fragile. Intanto, però, al club azzurro si stanno preparando a ogni evenienza, accelerando la distribuzione delle tessere. Queste le direttive del sito ufficiale. «La Ssc Napoli invita i tifosi che hanno fatto richiesta della “Club Azzurro Card” da più di 90 giorni e non l'hanno ancora ricevuta a inviare entro e non oltre il 14 aprile una segnalazione on line. A seguito di verifiche con Poste Italiane provvederemo a inviare un riscontro all’indirizzo e-mail segnalato». Il conto alla rovescia sta per cominciare: tessera o non tessera, saranno almeno in 30 mila. ___ il caso Coppa Italia, no all’Olimpico. Anzi sì De Laurentiis: “Meglio altrove”. Petrucci si irrita e nega lo stadio, decisivo l’intervento di Agnelli di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 28-03-2012) Ora che la finale di Coppa Italia all’Olimpico fra Juve e Napoli del prossimo 20 maggio è salva e blindata, c’è chi esulta e chi grida all’equivoco. Il pallone evita di sgonfiarsi ancora una volta e lo fa ai tempi supplementari quando, in campo, scendono il presidente del Coni Gianni Petrucci e il numero uno bianconero Andrea Agnelli. Il primo annota e ascolta, si infastidisce e, alla fine, tuona: «Se è così per noi la questione è chiusa. Trovatemi un altro stadio che non sia quello di Roma... », le parole di Petrucci. Perché la chiusura dell’Olimpico all’atto finale del trofeo tricolore? Perché il gran capo dello sport italiano è irritato da tempo dall’atteggiamento litigioso e mai costruttivo dei padroni dei club di serie A, ancor di più se l’oggetto del contendere deve diventare anche la finale di una Coppa Italia che, ormai, dal 2007/08 si decide in 90 minuti nella Capitale e sotto gli occhi del Capo dello Stato. Petrucci non lo dice, ma a mandarlo fuori giri sono le uscite del presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis («Se non ci sono le migliori condizioni per l’afflusso massimo di tifosi, si cambi sede. . . »), ma, soprattutto, la posizione di attesa del numero uno della Lega Calcio Maurizio Beretta, pronto a definire solamente «formale lo scambio di corrispondenza con il Coni» e impegnato «a definire tutta una serie di aspetti al fine di compiere la scelta» sullo stadio. Il Coni gioca in contropiede, la Juve chiude la stucchevole partita. È primo pomeriggio quando Agnelli alza il telefono e apre le sue personali consultazioni. «Questa è diventata la Coppa del Presidente, non vedo come mai non si possa disputare all’Olimpico come accade ormai dal 2008...», in sintesi il ragionamento espresso dal presidente bianconero a Beretta prima di mettersi in contatto con lo stesso Petrucci per chiarire come dalla Juve non sia mai stata presa in considerazione l’idea di spostare la sfida in un’altra città. Agnelli, dopo le due telefonate istituzionali, precisa ulteriormente il suo pensiero in una nota sul web: «La sede naturale è Roma, stadio dove appena tre anni fa si è disputata la finale di Champions League fra Barcellona e Manchester United. Non si vede, quindi, per quale motivo non si possa giocare Juve-Napoli...». Pochi minuti e sull’estenuante tira e molla cala il sipario quando Beretta racconta di «aver sentito Petrucci» e che «la gara non si sposta...». Olimpico blindato e De Laurentiis sorpreso in fuorigioco. Il patron partenopeo aveva da subito messo in dubbio lo stadio di Roma come quello più adatto ad ospitare la finale. E lo aveva fatto non appena dal Viminale erano arrivati i primi segnali sulle modalità di vendita ed acquisto dei biglietti: all’Olimpico entreranno soltanto i possessori della tessera del tifoso, o meglio, della fidelity card, così dall’Osservatorio sulle manifestazioni sportive. A Napoli, soltanto 15 mila abbonati hanno in tasca la tessera, non, ad esempio, tutti quei tifosi che occupano le due curve del San Paolo e che, contro la card, hanno portato avanti durissime battaglie. Così, adesso, preso atto della volontà di Coni, Lega e Juve di non cambiare la città della finale, De Laurentiis si prepara ad aprire un nuovo terreno di scontro. «D’accordo, si giochi a Roma. Ma per noi l’importante è garantire la presenza dei nostri tifosi, quelli che hanno la tessera, ma anche i tanti che non la possiedono e che sono venuti a sostenerci per tutta la stagione, a Napoli e in Europa. Per questo ho detto che i biglietti non si possono mettere in vendita da martedì prossimo. Credo - continua De Laurentiis - che Petrucci abbia male interpretato le mie parole dei giorni scorsi: ora, però, mettiamoci intorno ad un tavolo per organizzare la partita con il Viminale. Noi conosciamo il territorio, noi abbiamo i rapporti con i tifosi e sappiamo quello che è giusto o meno, non vogliamo decisioni prese sopra le nostre teste...». ------- ORMAI È CINECALCIO di MASSIMILIANO NEROZZI (LA STAMPA 28-03-2012) Abituato a maneggiare pellicole, Aurelio De Laurentiis ha un alibi di ferro: devono essere gli altri che lo prendono troppo sul serio. In un paio di giorni, con alcuni co-protagonisti, ha prodotto il meglio della commedia italiana, riassumendo il peggio. Scena prima, lunedì: «La finale di Coppa Italia potrebbe giocarsi a Milano, Parigi o Londra». Scena seconda, ieri: «Nessuno ha mai messo in dubbio Roma». Da Oscar. Il guaio è che in Italia si legge poco, figurarsi norme e regolamenti, come quello della Coppa Italia (articolo 3, comma 9): «La finale si svolge in gara unica, in uno stadio individuato, a suo insindacabile giudizio e prima dell’andata delle semifinali, dall’Organizzatrice», cioè la Lega calcio. Già fatto, da oltre un mese. Invece: dibattito, polemiche, telefonate. E dire che questioni da affrontare ce ne sarebbero: riforma dei campionati, rinnovamento degli stadi, valorizzazione dei giovani e della Nazionale. Ma se proprio non si vuole, meglio il cinema. «Non ha cose più importanti da fare?», chiede Kevin Costner a Sean Connery. «Certo. Ma in questo momento non le sto facendo». Gran film, «Gli Intoccabili». Come quelli della realtà. ___ Coppa Italia, sull’Olimpico si riaccende il duello Coni-Lega La finale tra Juventus e Napoli si giocherà a Roma. Dopo le proteste del Napoli in serata la decisione finale. Abete (Figc) duro contro Beretta: oggi scritta una brutta pagina di SIMONE DI STEFANO (l'Unità 28-03-2012) L'Olimpico diventa un caso nazionale che divide la politica pallonara, dopo che De Laurentiis aveva messo in dubbio che la finale Napoli-Juve di Coppa Italia del20 maggio si dovesse per forza giocare a Roma. Primo segnale di gelo del Coni: «Stiamo valutando la possibilità di non concedere lo stadio Olimpico». Secondo segnale di gelo del Coni: «A questo punto pensassero ad un altro stadio. Per noi il discorso è chiuso». Poi la telefonata distensiva del presidente di Lega Serie A, Maurizio Beretta, e i messaggi di Andrea Agnelli e Aurelio De Laurentiis: «Roma è la sede ideale». Conclusione con lieto fine di un balletto di rimandi, accuse, veleni, sospetti e ripicche, che ha rischiato di far saltare la finale nella capitale. Il Coni non ha digerito le ultime uscite dello “scontento” De Laurentiis: «Se esistono tutte le condizioni affinché a Roma sia una bellissima festa – aveva detto lunedì sera - gradirei giocare a Roma». I dubbi, tra false motivazioni come quelle sulla massima capienza possibile si svelano ed emerge la verità a tarda serata: «Nessuno ha mai messo in dubbio Roma - taglia corto il presidente del Napoli - il problema è garantire ai tifosi juventini e napoletani di poter partecipare all’evento. Ho sentito dire che potevano entrare solo quelli con la tessera del tifoso...». E infatti, questa resta la linea del capo della Polizia Manganelli, stabilita la settimana scorsa nella prima riunione tra i due club all'Olimpico: gara solo per i tesserati. Alla fine, nel mirino del patron partenopeo, non c'è tanto il suscettibile Coni di Petrucci, ma piuttosto l'Osservatorio. La giornata di ieri ha evidenziato ancor più la guerra fredda tra la massima istituzione dello sport italiano e la Lega Serie A. Così ieri proprio Petrucci stigmatizzava: «Ormai in Lega si litiga sempre, non si capisce perché si debba discutere su tutto, anche su dove debba disputarsi la finale di Coppa Italia. Mi auguro che ci sia un passo indietro da parte di chi ha cervello, tutte le Leghe rispettano le regole, mentre alcuni presidenti della Lega di A non lo fanno ». Ultimo di una lunghissima serie di mal di pancia quando si tratta di affari di Lega. Con la quale i rapporti sono sotto il minimo sindacale, dalla questione ancora irrisolta del Contratto Collettivo dei calciatori, al tavolo della pace di Calciopoli, fino alla questione del codice etico e della decadenza delle cariche federali (con Lotito come vittima illustre). La questione della finale di Coppa Italia, da lunedì è finita sul tavolo della Lega, che doveva dare una risposta al Coni e che invece Petrucci sosteneva fino a ieri di non aver mai ricevuto. Eppure, proprio a detta del Coni, il capo della Lega Maurizio Beretta, avrebbe già spedito una lettera di invito al capo dello Stato Giorgio Napolitano, che come di consueto premierà le squadre. E lo farà all'Olimpico, anche perché – De Laurentiis a parte – erano comunque tutti concordi e finora era sempre stato così da quando la finale è a sola andata. Piuttosto, il “casus belli” serve al Coni per un'altra moral suasion contro i presidenti “coltelli”. Ma quel «mi auguro che ci sia un passo indietro da parte di chi ha cervello» lanciato da Petrucci il giorno prima, ha avuto l'effetto di suscitare proprio lo sdegno di De Laurentiis, uno dei suoi nuovi “protetti”: «Chi ha cervello faccia in modo che il calcio si modernizzi, chi lo ha guidato finora non mi sembra che abbia avuto così tanto cervello». Attacco dritto alla Figc e al suo presidente Abete, che ieri non ha potuto fare a meno di costatare: «Una brutta pagina scritta dalla Lega di A che per fortuna è stata superata». ___ LA JUVE CI CREDE LA FINALE DI COPPA ITALIA «Si gioca a Roma» Prima Petrucci nega l’Olimpico, poi l’asse con Agnelli... di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 28-03-2012) ROMA. E’ stato davvero bravo Gianni Petrucci , ieri mattina, ipotizzando di non concedere l’Olimpico per Juve-Napoli il 20 maggio a stanare i veri motivi per cui si è messa in dubbio la sede della finale di Coppa Italia: era e sarà Roma e lo stadio Olimpico, come previsto e concordato non più tardi di venerdì scorso in un summit organizzativo proprio nel cuore dello stadio romano dai dirigenti di Juventus e Napoli, del Coni, della Lega, della Lottomatica. Ma l’asse di ferro Petrucci- Agnelli disinnesca la bomba di un ipotizzato spostamento a Milano, stadio con maggiore capienza. Il problema vero lo fa emergere chi ce l’ha: il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis , non sa come spiegare agli sprovvisti di tessera del tifoso tra i suoi numerosi tifosi che il questore Tagliente (e il prefetto campano di Roma, Pecoraro ), il capo della Polizia, Manganelli , e il Viminale tutto vogliono premiare i possessori di tessera - appunto - con una prelazione ampia per i 32 mila tagliandi da mettere a disposizione del tifo azzurro (analogamente a quanto farà la Juve, senza se e senza ma). In trasferta i napoletani viaggiano tranquilli, sicuri e senza problemi da quando c’è la tessera... Ma l’attenzione ai non tesserati delle curve A e B è tanta. EQUIVOCO? NO La giornata, dopo battute e ammiccamenti e l’ennesimo nulla di fatto in Lega anche per la questione Juve-Napoli, s’era aperta con la battuta di Petrucci che serio serio dice: «Pensassero ad un altro stadio, a questo punto - dice il presidente del Coni ad un convegno -. Tra l’altro a me l’Olimpico la Lega non me l’ha ancora chiesto. . . ». La replica di Beretta finisce per accentuare il solco: «Serve uno stadio che assicuri il maggior numero possibile di biglietti». Beh, San Siro contiene 83 mila spettatori contro i 73 mila dell’Olimpico... Peccato che la lettera inviata a febbraio al Presidente Napolitano , che dovrebbe tornare a premiare con la “sua” coppa del Presidente dopo due anni riguardasse la sede istituzionale romana. ASSE JUVE-CONI Si sentono al telefono Agnelli e Petrucci: la partita si deve giocare a Roma. E il presidente juventino a metà pomeriggio interviene: «La Coppa Italia è definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica quindi è naturale che la sede della finale sia a Roma. Appena tre anni fa si è disputata allo Stadio Olimpico la finale Barcellona Manchester United, non si vede per quale motivo non si possa giocare Juventus-Napoli». Infatti il modello per la vendita dei biglietti e la sicurezza sarà proprio quello sperimentato nel 2009 per la Champions. BERETTA AGAIN Ecco allora Beretta precisare: «Ho parlato al telefono con Petrucci: siamo d’accordo si gioca a Roma. Basta equivoci, anche sui biglietti che non sono stati ancora emessi». E ti credo, visto che fino a ieri alle 16 non era certa neanche la sede... A mettere - per ora - la pietra tombale sul misunderstanding De Laurentiis a Radio Marte . «Io sono d’accordo con Andrea Agnelli quando dice che bisogna giocare a Roma. Per noi l’importante è garantire la presenza dei nostri tifosi, quelli che hanno la tessera del tifoso ma anche i tanti che non la hanno, che sono venuti a sostenerci anche in Europa». Ecco il problema: all’estero le cose non sono andate tutte così lisce. Parlare con Alitalia e Viminale quanto alla trasferta di Chelsea per credere. E in ogni caso sul territorio nazionale - dicono al Viminale - le regole ci sono e valgono per tutti. «Ho già parlato con l’ad delle Ferrovie, Moretti , per organizzare al meglio la trasferta. E conto sulla validità del questore Tagliente». A proposito della tessera del tifoso, il presidente azzurro ha detto: «Cos’è questa storia che serve la tessera per vedere la finale? E’ una cosa inaudita», sottolinea De Laurentiis. Ora, però, viene il duro per il presidente del Napoli: glielo spieghi al Viminale cosa è inaudito o cosa no. A giochi fatti, ecco Abete : «La Lega di A ha scritto una brutta pagina, speriamo che ora rinsaviscano». -
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Questa sera Milan-Barcellona. Stima Pwc: la rosa dei rossoneri vale 281 milioni di euro, quella blaugrana 541 milioni A San Siro sfida da 800 milioni Il club catalano è una vera holding con un fatturato che sfiora i 450 milioni I BILANCI A differenza degli italiani, gli spagnoli hanno un mix equilibrato di ricavi tra botteghino, sponsor e diritti tv «individuali» di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 Ore 28-03-2012) Luci a San Siro. Quella che andrà in scena stasera allo stadio Meazza (sold out con 4,7 milioni di incasso, un record assoluto per l'Italia), tra Milan e Barcellona, è una sfida stellare. Anzitutto per il palmarès delle due squadre: in campo andranno, tra l'altro, una quarantina di titoli nazionali e 11 Coppe dei campioni (sette vinte dai rossoneri e 4 dai Blaugrana). Ma anche per il valore economico delle rispettive rose. A contendersi l'accesso alle semifinali di Champions, saranno 22 calciatori il cui valore di mercato – stimato nel report elaborato da Pwc – supera i 500 milioni. Il prezzo totale dei due organici è di oltre 800 milioni. Quello del Milan "costerebbe" oggi 281 milioni. Quello del Barcellona 541. A far pendere la bilancia dalla parte dei catalani è anche l'età media degli atleti che sfiora i 27 anni, mentre i titolari rossoneri hanno quattro anni in più. Il fattore anagrafico, in effetti, incide non poco sulle valutazioni. I fuoriclasse schierati da Guardiola sono tanti e i costi dei cartellini di alcuni, al momento, sono accessibili solo a sceicchi e oligarchi. Fuori categoria, naturalmente, Lionel Messi, la cui quotazione "teorica" si aggira sui 100 milioni di euro. Teorica perchè per ora non pare possibile vederlo giocare con una maglia diversa da quella del Barca. Oltre 50 milioni servirebbero inoltre per strappare al club catalano giocatori del calibro di Iniesta e Fabregas. Per sovvertire il pronostico sfavorevole il Milan si affiderà soprattutto al talento di Zlatan Ibrahimovic. Proprio Ibra due anni fa è stato protagonista di un clamoroso passaggio dal Barcellona al club rossonero. Un affare realizzato dall'ad milanista Adriano Galliani che è riuscito ad accaparrarsi lo svedese (strappato all'Inter dai Blaugrana l'anno prima per complessivi 70 milioni) per la "modica" cifra di 25 milioni (pagati a rate). Minusvalenza, in ogni caso, assorbita bene dal bilancio del Barcellona che ha fatturato nell'ultima stagione 450 milioni. I ricavi degli spagnoli sono distribuiti in modo equilibrato tra il botteghino (110 milioni), il settore commerciale (dallo scorsa stagione anche il Barcellona ha un sponsor, la Qatar Foundation) e diritti televisivi (183 milioni). I conti della squadra catalana beneficiano dei contributi di oltre 170mila associati e dal sistema di vendita dei diritti tv "individuale". A differenza degli altri paesi, in Spagna, infatti Real e Barcellona possono contrattare da sole con le emittenti e questo garantisce un surplus di introiti a discapito degli altri club. Il Milan, invece, è ancorato alla vendita collettiva dei diritti tv stabilito dalla legge Melandri (questa voce, come indicato nell'ultimo bilancio chiuso al 31 dicembre 2010, ha assicurato 110 milioni) e alla mancanza di uno stadio di proprietà (da biglietti e abbonamenti arrivano circa 35 milioni). Per quanto il club rossonero sia all'avanguardia in Italia per sponsor e marketing (con ricavi da oltre 90 milioni), sul fronte fatturati al momento perciò non c'è partita. Una disparità che spetterà al campo confermare o sovvertire. -
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laProposta Dopopartita non si vive di sole risse La televisione indugia sugli aspetti peggiori del calcio e manda gli spot quando ci sono gli abbracci: scelta sbagliata di ENRICA SPERONI (GaSport 28-03-2012) Juve-Inter, partita finita. I bianconeri contenti salutano i tifosi, ora l'inquadratura è per Buffon che abbraccia Zanetti, ma dura un attimo perché il telecronista di Sky ha già chiamato il superspot. Peccato. Quando i dopogara finiscono in rissa le telecamere non perdono un colpo e indugiano su facce stravolte e labiali, invece la serenità non fa notizia. Peccato. Basterebbe poco: qualche minuto in più di immagini dal campo con i giocatori che si salutano e si abbracciano, non servirebbe nemmeno il commento, bastano gli occhi per capire la differenza di significato tra avversario e nemico. Vedere un civile dopopartita fa bene a tutti. Aiuta a stemperare le tensioni, suggerisce toni meno esasperati a opinionisti, dirigenti, giornalisti, telespettatori. E non provoca fraintendimenti. Lo scambio di maglia tra Del Piero e Seedorf, martedì sera dopo la semifinale di Coppa Italia, valeva più di un fondino sul fair play. Raccontava rispetto e cordialità, azzerava le troppe parole con cui dirigenti e tecnici di Juventus e Milan avevano innaffiato da settimane la sfida. Quando Del Piero è andato a esultare verso i tifosi indossando la maglia di Seedorf nessun milanista l'ha vissuto come sfottò. E nessun bianconero ha pensato a uno scalpo. Quando i campioni si comportano da campioni non c'è bisogno d'altro. La tv faccia la sua parte: li riprenda. Sono belle immagini, lo spot un pochino può attendere. O no? -
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Il gol di Messi assegnato in diretta Quando il referto diventa pubblico Arbitri senza segreti ma soltanto in Spagna La svolta della Federazione nel 2003: tutte le decisioni on line Negli altri Paesi privacy garantita. In Germania libertà di parola In Italia i direttori di gara non possono parlare senza una autorizzazione di FRANCESCO CENITI (GaSport 28-03-2012) «Il gol è stato assegnato a Messi, a dirmelo è stato l'arbitro... ». Fine del primo tempo tra Maiorca e Barcellona, la squadra di Guardiola è avanti grazie alla rete realizzata da Sanchez. Almeno è quello che pensano giornalisti e tifosi. Certo, il tocco dell'ex Udinese è stato davvero impercettibile, forse neppure c'è stato. Il dubbio è degli stessi compagni della Pulce. E allora ci pensa Andoni Zubizarreta, grande portiere del Barça dal 1986 al 1994 e attuale dirigente blaugrana, a dirimere la questione. Come? Chiedendo al direttore di gara Ayza Gámez: «Scusi, lei a chi ha dato il nostro gol?». La risposta la conoscete già, quello che forse non tutti sanno è la particolarità di questo fatto: non una «mattana» del fischietto in questione, ma una prassi che va avanti dal 2003, anno nel quale la Federazione spagnola ha deciso di rendere visibile a tutti il referto dell'arbitro per una questione di «trasparenza». Non solo chi è l'autore del gol (una rarità: Uefa e Fifa non assegnano questo compito ai loro uomini, strada seguita da quasi tutte le altre federazione, Italia compresa), ma soprattutto chi è stato ammonito o espulso con le relative motivazioni. E ancora: sono pubbliche tutte le altre annotazioni che di solito restano un segreto tra arbitro e giudice sportivo. Sfumature Così accade che dopo soli 15 o 20 minuti dalla fine di una partita, chiunque può soddisfare la propria curiosità su ammoniti e marcatori andando a controllare direttamente il sito della Federazione spagnola. A volte i referti diventano fonte di notizia per i giornalisti: qualche settimana fa gli insulti di Pepe (Real Madrid) all'arbitro sono stati riportati parola per parola e in pochi minuti rilanciati da radio, tweet e siti on line. Senza contare un altro vantaggio: sono eliminate le polemiche infinite legate ai tanti fantacalcio attivi nel mondo: cartellini gialli e rossi, gol e autorete sono «punti» importanti che possono fare la differenza. Non avendo una fonte ufficiale (il referto) sono i giornali a dettare la linea, ma spesso con versioni diverse. Cosa impossibile, invece, dalle parti di Madrid o Barcellona. Ma quello che più interessa è la questione arbitrale: un referto pubblico nell'idea dei dirigenti spagnoli elimina qualunque «cattivo pensiero» su possibili manomissioni legate alle prove tv o ai giocatori diffidati. Attenzione: è questa l'unica apertura concessa al mondo arbitrale. Per il resto i fischietti restano in rigoroso silenzio, non concedono interviste (tranne i casi autorizzati) e non danno spiegazioni. Le designazioni sono effettuate da una commissione composta da tre ex arbitri: uno in rappresentanza della Liga, uno della Federazione e l'ultimo slegato da entrambe e super partes. Così va in Spagna. Gli altri Paesi sono più o meno allineati all'Italia. In Italia Da noi il referto è compilato dall'arbitro negli spogliatoi e subito spedito al giudice sportivo e alla Federazione. Resta segreto, mentre alle squadre è consegnata una lista dove sono segnati i numeri di maglia degli ammoniti o degli espulsi (ma senza motivazioni). Non è un compito del direttore di gara, invece, indicare i marcatori: sono solo segnati i gol complessivi del club. Gli arbitri, poi, non possono parlare. Interviste possibili solo se autorizzate dal presidente della associazione. Da anni si discute su questo punto: perché non permettere ai fischietti di dare spiegazioni sulla concessione o non di un rigore? Una promessa in questo senso era stata fatta da Marcello Nicchi (attuale numero uno dell'Aia), che però ha innestato la retromarcia («i tempi non sono maturi») dopo le ultime polemiche legate al gol non visto di Muntari in Milan-Juve. Germania libera Gli arbitri tedeschi hanno invece questa opportunità: nessun divieto di parola, ma discrezione totale. In pratica possono fare come i giocatori e decidere di presentarsi ai giornalisti (di solito la Ard o Zdf, Rai 1 e Rai 2 di Germania) per rispondere alle domande. C'è da aggiungere che raramente il clima è avvelenato come in Italia, anche in presenza di gravi sviste. Sul referto i tedeschi sono per la privacy: nessuna pubblicazione e tutto resta coperto da segreto. La stessa cosa accade in Inghilterra (è scritto subito dopo la gara e inviato alla Federazione) e in Francia. Insomma, Messi può considerarsi fortunato: fuori dalla Spagna quel gol sarebbe finito sulle spalle di Sanchez. -
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GaSport 28-03-2012 -
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Per una volta, tifate italiano Qualche buon motivo per tifare contro il Barcellona, unica vincente nella storia a non essere odiata da (quasi) nessuno di DAVIDE COPPO (Studio 28-03-2012) C’è una pratica molto in voga tra i tifosi calcistici di questo paese, una pratica millenaria che sfiora scienza, religione e tradizioni radicate nel più profondo humus culturale mediterraneo. Si chiama “maniavantismo”, ed è insieme la scintilla da cui prenderà forma questo articolo e l’asse inclinato intorno a cui girerà. Perché darò qui per scontato che, alle ventitré di stasera, il Barcellona avrà già in tasca la qualificazione alle semifinali di Champions League. Sarò, da milanista, prontissimo ad ammettere la superiorità de facto dei catalani, ma anche tenace nel recriminare umilmente (senza cadere in quell’altro fenomeno, il “pianginismo”) le assenze di Thiago Silva, Pato (che farebbe, in tutta sincerità, rimpiangere Dugarry, ma aggiungerò che il giovanotto «in queste partite si esalta»), perfino di Gattuso e Cassano. Posto, quindi, che il club che sostiene di essere més que un club vincerà a San Siro come fece già qualche mese fa, cercherò delle ragioni per convincere gli spettatori o i tifosi avversari a tifare l’ultima squadra italiana rimasta nella competizione. Ragioni faziose, livorose e poco sincere, beninteso. Ma si sta parlando del gioco calcio, non di un governo tecnico qualunque, e le ragioni del cuore superano quelle del buonsenso. Almeno per ventiquattro ore. Innanzitutto è giusto che davanti alle legge siano tutti uguali. La legge del calcio vuole che chi vince troppo sia Il Nemico. Lo è stato l’Inter, prima di tornare a essere il Bagaglino versione calcistica. Lo è ora il Milan, arrogante come un Ibrahimovic e sorridente come un Berlusconi. Lo è sempre il Real Madrid, che vincere non vince più da tempo, ma ha vinto forse troppo e sta ancora pagando la lenta digestione. Addirittura la Juventus, dopo la Serie B, i Ciro Ferrara, i Del Neri, è riuscita a tornare la squadra più odiata della Penisola. In giro nei bar si sente rispolverare perfino “l’anatema infamante”: l’appartenenza agli Agnelli. Eppure il Barcellona piace a tutti indifferentemente. Sì, qualcosa ultimamente si muove, soprattutto là dove il calcio è stato creato, in Inghilterra (in Italia è encomiabile l’opera di Jack O’Malley ogni martedì sul Foglio), ma la sensazione è che i blaugrana si siano barricati in un Olimpo di intoccabilità che neanche Gandhi o Madre Teresa di Calcutta, e senza nessun Christopher Hitchens all’assedio. L’essenza del calcio, in secondo luogo, è molto simile al sogno americano. Il calcio è un mondo delle opportunità, dove anche uno come Fabio Grosso può scrivere il suo nome, indelebile, nella storia, dove nulla è scontato, e non sempre vince il più forte, anzi. Questa è la principale differenza con, per esempio, la pallacanestro, ancor più che la scelta degli arti con i quali si manovra la sfera. Nel calcio anche le più scontate tra le partite contengono un quantitativo di entropia ad altissimo rischio di deflagrazione. Con l’avvento del Barcellona tutto questo è stato annullato. La dittatura ha sostituito la democrazia, la tirannia del risultato è asfissiante. Nessuno può battere la squadra aliena, la squadra che impone al ritmo di gioco un ordine e una cadenza tipica dei regimi totalitari. E la tirannia catalana si estende a un altro ambito, forse più importante. Quello estetico. Il Barcellona ha assolutizzato e insieme omologato il concetto di spettacolo. Prima, la bellezza poteva stare in un ruvido intervento difensivo («Cccànnavaro! CCCÀNNAVARO!»), in un’ala che macinava chilometri in velocità anche solo per crossare, stremato, in tribuna, in un colpo di testa schiacciato e violento, perfino in un eroico catenaccio come quello di Italia-Olanda del 2000. Oggi, la democrazia è in pericolo. C’è poi una ragione economica, per augurarsi che il Barcellona soccomba a Mesbah e Bonera (sic). I catalani, nel prossimo mercato estivo, più di tanto non potranno rinforzarsi, essendo già una macchina difficilmente affinabile. Chi invece, nella sua cieca furia di eterno secondo, potrebbe devastare il mercato europeo a suon di milioni togliendo pane alle nostre povere squadre, è Florentino Pérez. Ci si metteranno già gli sceicchi di Manchester e Parigi, cerchiamo di evitare la bile dell’immobiliarista spagnolo, e facciamogli credere che la sua accozzaglia di stelle possa davvero vincere qualcosa. In (pen)ultima analisi, c’è il rischio emulazione. Un’ipotesi che poteva sembrare remota, invece si è concretizzata con la folle idea di Luis Enrique di esportare la Catalogna nel Lazio. Risultato? Valgano come monito le parole di O’Malley: «La Ġazzetta, notando con acribia che quelli della Roma una volta perdono e si pigliano a pugni nello spogliatoio, un’altra perdono e rimangono in otto in campo, sancisce che il modello Barcellona non è esportabile. Ben arrivati». Di “velcro-touch midfield gnomes” (geniale definizione del Guardian) ce ne sono pochi, ed è bene che restino confinati dove il clima è a loro favorevole, o rischiano di fare la fine del povero Bojan. Infine, la ragione forse più ragionevole di tutte: diamo ai giornalisti nuovi argomenti. Liberiamo le centinaia di collaboratori dei quotidiani sportivi dal giogo della citazione-di-Sandro-Modeo. Se l’egemonia catalana scomparirà, se verrà affossato il “calcio da teatro” in cui anche chi perde applaude l’avversario solo perché è sponsorizzato Unicef, potrebbe essere un mondo migliore, per tutti. Davide Coppo - Giornalista Davide Coppo, classe 1986, milanista, è redattore di Studio. A volte scrive anche altrove, sia web o carta