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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Abete: «Gli stage azzurri? Non farò alcun baratto» Il n.1 della Figc: «Mi accusano di non avere influenza sulle società però sto gestendo con successo i rapporti internazionali, senza aiuti» di FABIO LICARI (GaSport 21-03-2012) «Gli stage della Nazionale? Sono una cosa di interesse generale nella quale spero e credo ancora. Ma si scordino che possano essere merce di scambio: possiamo andare all'Europeo anche senza, è già successo». Non è facile sentire Giancarlo Abete così duro. Istanbul, hotel nel quartiere Besiktas, zona europea, protetto da una security quasi mai vista per un Esecutivo Uefa. Una sosta tra le numerose riunioni di questa tre giorni fittissima: la questione degli stage non è andata proprio giù al presidente federale, anche se in queste ore il vicepresidente Demetrio Albertini si sta impegnando per strappare il «sì» di Adriano Galliani e poi quello di Andrea Agnelli (per il 23 aprile): al Consiglio di Lega di lunedì l'argomento non è in agenda. Ma chissà che, dopo l'appello della Ġazzetta, il rilancio di Gianni Petrucci e le parole di Abete, non ci siano novità importanti. A che punto siamo, presidente? «Al punto che lo svolgimento degli stage sarebbe una cosa d'interesse generale. Ci tenevamo e ci teniamo ancora a farli. La nostra era semplicemente una richiesta d'attenzione verso la Nazionale e verso un c. t. che ha un'immagine etica apprezzatissima. Ma non posso né voglio far diventare obblighi quelli che non lo sono». Appunto: il calendario internazionale non prevede stage. «Siamo qui a Istanbul per ampliare e regolare meglio i rapporti tra club e federazioni, i diritti e i doveri: ci mancherebbe. Ma è ridicolo dire che la Federcalcio abbia chiesto la disponibilità per gli stage soltanto venerdì mattina: non è che qualcuno ha interesse a pensarlo? Ne abbiamo discusso al Consiglio federale il 7 marzo, da mesi ne parliamo, abbiamo soltanto formalizzato la richiesta dopo la fine degli impegni di coppa. Per rispetto dei club. E non c'erano neanche dubbi sul periodo». Deluso? «Siamo stati sempre molto attenti alle richieste e alle esigenze dei club, dalle convocazioni ai tempi di rientro eccetera. Ma una cosa dev'essere chiara: non stiamo chiedendo un favore per darne un altro in cambio. L'argomento non è una merce di scambio. Questo mai. Se per tutelare l'interesse generale deve sembrare che mi metta in debito, non ci sto: sarebbe più pericoloso che andare in Polonia senza stage. E poi un'altra cosa. . . ». Prego. «Stiamo parlando di dirigenti che hanno vissuto tante epoche sportive e appartengono a tutte le leghe, all'Aic, all'Aiac e all'Aia, tutte di pari dignità: non è più tempo di patteggiamenti. . . ». È intervenuto anche il presidente del Coni. «In realtà Petrucci aveva parlato a favore degli stage anche prima: è sempre stato molto attento alle esigenze della Figc. E, anche in relazione alla sua posizione, insisteremo. Anche se qualcuno pensa forse che non siamo in grado». In che senso? «Ho sentito dire che la federazione non avrebbe delle capacità di moral suasion. È un'opinione. Ma questa federazione assolve compiti istituzionali di grande importanza, dal Consiglio alla giustizia sportiva, dagli arbitri alla Nazionale, nel rispetto e a garanzia di tutti. E, se posso aggiungere, c'è un presidente federale che sta gestendo con successo i rapporti internazionali senza l'aiuto di nessuno e con il lavoro quotidiano». -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Calcio in default. Così la Svizzera è diventata la Grecia del pallone TRA FALLIMENTI E BODYGUARD. I DISASTRI SPORTIVI DEL PAESE DEL RIGORE HANNO MESSO IN CRISI I VERTICI DEL CALCIO MONDIALE La storia del Neuchâtel Xamax, già scomparso. I quattro allenatori licenziati dall’ex squadra di Sylvio Bernasconi. Il caso Sion che ha messo in imbarazzo persino Joseph Blatter. E poi quella lettera inviata al ministro delle Finanze contro i privilegi fiscali goduti da Uefa e Fifa di BEPPE DI CORRADO (IL FOGLIO 21-03-2012) Il Servette ha ancora un mese di vita. Poi? Poi deciderà Fabienne Geisinger, giudice del tribunale di Ginevra. Salvezza o fallimento. La data è il 19 aprile. Fino ad allora il giudice si guarderà i libri contabili del club pallonaro di Ginevra, compreso l’atto di trasferimento tra il vecchio proprietario, Majid Pishyar, e il canadese Hugues Quennec che ha comprato la squadra qualche tempo fa sperando di farla sopravvivere. Senza volerlo e anche senza saperlo col Servette, Quennec s’è caricato il peso della credibilità dell’intero calcio svizzero. Poca cosa sportivamente, grande cosa simbolicamente. Perché il paese delle certezze, della solidità, del rigore, della ricchezza, delle banche, del cioccolato, degli orologi e di mille altri luoghi comuni eppure verissimi, è pieno di guai pallonari. Come l’inimmaginabile che si realizza: senza avere campioni milionari e senza avere follie particolari, il calcio è disastrato come nient’altro. Il Wall Street Journal s’è chiesto come mai e ha trovato una risposta. Disinteresse della società elvetica? Possibile. Così come è possibile che uno sport che non è il più praticato nella confederazione non abbia il sostegno della politica e della gente. Comunque siamo qui, sul ciglio di un precipizio che sembrava impossibile. In Svizzera non hanno ancora accettato che la compagnia aerea di bandiera sia andata in bancarotta dieci anni fa, ma non si preoccupano che il calcio sia all’ultimo giro. I simboli del disastro vestono la maglia amaranto del Servette. Perché non è la squadra più popolare e più vincente, ma è il club di Ginevra. Cioè del centro del centro. I giocatori che lo scorso weekend sono usciti dal campo senza sapere neanche se la settimana successiva avrebbero giocato, sono come i dipendenti di Lehman Brothers che escono dalla sede della banca con gli scatoloni in mano. E’ la punta di un fenomeno, di un’anomalia, di una degenerazione. Fallimenti, cause giudiziarie, penalizzazioni: la serie A svizzera (la Super league) ha dieci squadre e tre sono nei guai veri. Grossi. E’ il 33 per cento. E’ un’enormità. Il Servette rischia di sparire perché non ha soldi e non c’è un solo istituto di credito che per il momento abbia voglia di salvarlo davvero. Poi c’è il resto. C’è il Neuchâtel Xamax, che è già scomparso. Il club non gioca più da quasi due mesi: tutti i calciatori a casa, niente più stipendi e niente più mercato. Il 18 gennaio scorso, mentre i giocatori si preparavano per un’amichevole a Dubai contro la nazionale olimpica irachena, la lega calcio svizzera ha deciso di escludere la squadra dalla Super League. Il girone di ritorno del campionato, partito il 4 febbraio, si sta giocando con 11 partecipanti: 5 partite e una squadra che riposa. Ciao Xamax e ciao anche al pezzetto di storia che rappresenta con due scudetti vinti e 72 gare europee. Dicono che la Lega abbia fatto di tutto per evitare la radiazione e che però non si potesse proprio fare di più: troppe le inadempienze finanziarie del nuovo proprietario Bulat Chagaev, che in poco più di sei mesi di presidenza è riuscito ad accumulare oltre 6 milioni di euro di debiti. Da ottobre, nessun impiegato del club (giocatori e tecnici compresi quindi) riceveva più il proprio stipendio. Basta? No, ovviamente. L’imprenditore ceceno è accusato di aver fornito una falsa garanzia bancaria e di aver fatto sottoscrivere doppi contratti ad alcuni giocatori e allenatori. E’ partito un procedimento penale, Chagaev è stato arrestato alla fine di gennaio. Diceva di avere beni e liquidità per 38 milioni di dollari depositati in Bank of America. Parole. Soldi zero. Fatti tanti, anche troppi. Dal 5 maggio scorso, quando prese il club da Sylvio Bernasconi, Chagaev ha licenziato quattro allenatori, ha cambiato due volte il proprio staff dirigenziale e ha minacciato più volte i giocatori. Cominciando dalla finale della Coppa svizzera, fine maggio, quando alla pausa fra primo e secondo tempo, entrò negli spogliatoi della propria squadra (che perdeva 2-0 dal Sion) gridando “I’ll kill you all” ai giocatori. Poi ad agosto, dopo un pareggio casalingo col Losanna, entrò con guardie del corpo armate negli spogliatoi a fine gara. I suoi guardaspalle lo fermarono un secondo prima che picchiasse l’allenatore Joaquin Caparros, che però fu licenziato per essere sostituito dall’ex sampdoriano Victor Munoz. Prima del fallimento, Chagaev si è anche separato da tutti gli sponsor del club. Parlava di milioni, sì. Sempre quei 38 milioni di dollari della Bank of America. “Io ho una fortuna”, diceva ai giornali, aggiungendo di essere un intimo amico del presidente ceceno Ramzan Kadyrov. Peccato che non fosse un né garanzia di onestà intellettuale e reale, né tantomeno di solidità finanziaria. Ad agosto, tre mesi dopo aver comprato lo Xamax, Kadyrov lo ha buttato fuori dal Terek Grozny, di cui era vicepresidente, per inadempienze finanziarie. Buchi su buchi, in sostanza. Buchi riempiti sempre e soltanto di provocazioni: attacchi ai giornali, agli ex dirigenti, agli ex dipendenti, a chiunque osasse criticarlo. La Lega avrebbe anche voluto salvare il Neuchatel, ma come? Fuori dal campionato e fuori anche dal tempo: ripartirà dai dilettanti, come una squadra italiana qualsiasi. Meno trentasei, la retrocessione Servette, Xamax, poi il Sion. Altra storia da imbarazzo collettivo, per la Svizzera. Ha fatto 39 punti sul campo, sarebbe potenzialmente secondo in campionato, invece è nono, cioè ultimo, visto che il Neuchâtel non gioca più. I punti ufficiali sono tre perché la federazione ha punito il club con un meno 36. La storia è complicata e comincia nel 2008: il Sion ingaggia un portiere egiziano che però risulta essere ancora sotto contratto col vecchio club. La Fifa condanna gli svizzeri a due periodi di divieto di trasferimenti per il tesseramento irregolare. Il presidente e proprietario del club, Christian Constantin, architetto con una fortuna stimata attorno ai due miliardi di euro, comincia la battaglia: si rivolge alla magistratura ordinaria, violando la clausola compromissoria, amatissima dai capoccioni del calcio globale di Uefa e Fifa, che esclude il ricorso ai tribunali ordinari per questioni sportive. Eccola là, un’altra storia alla Jean Marc Bosman, il calciatore belga che ha stravolto le regole del calcio europeo a metà degli anni Novanta. Qui, però, la partita politica è anche tutta una cosa interna alla Svizzera: la guerra di Constantin è contro le due istituzioni più importanti del calcio globale, che però vivono e governano il mondo dalla Confederazione. Perché l’Uefa sta a Nyon e la Fifa sta a Zurigo. Il caso Sion ha rischiato di far vacillare il presidente del calcio mondiale Joseph Blatter più di tutte le accuse di corruzione subite in vent’anni. Constantin ha trascinato davanti a un giudice il presidente dell’Uefa Michel Platini, e ha ingaggiato un duello lungo ed estenuante. Per dirne una: ha inviato una lettera al ministro delle Finanze svizzero chiedendo che venissero aboliti i privilegi fiscali goduti da Uefa e Fifa, cioè il motivo per cui le due organizzazioni hanno sede in Svizzera. Perché uno se lo chiede, no? Come mai il calcio mondiale è rappresentato da una nazione che ha lo sci come sport nazionale? La risposta sta nella provocazione caduta nel vuoto di Christian Constantin. Mister Sion ne è uscito come potenziale paladino di un ipotetico Occupy Football, ma è stato sconfitto dal sistema. Aveva torto, d’altronde. Nelle partite di Europa league di quest’anno aveva schierato sei giocatori che non avrebbe potuto neanche comprare. Ha vinto qualche tappa, ha perso clamorosamente la gara. Risultato: una valanga di quattrini spesi, la credibilità del pallone svizzero crollata sotto terra e meno trentasei punti. Uno per uno sono la condanna per la sua squadra a una retrocessione praticamente certa. Terzo caso di delirio da pallone in Svizzera. Non c’entrano crac finanziari, non per il momento. Però non è detto: nel 2003, appena acquistato il Sion, Constantin fece subito ricorso contro l’esclusione della squadra dalla Challenge League (la B elvetica) per inadempienze finanziarie. Ottenne il reintegro quattro mesi dopo l’inizio del campionato, con stravolgimento dei calendari. Piaceva, l’architetto miliardario di Martigny. Piaceva al pubblico compassato e molto distratto dello sport svizzero. Sembrava un tipo interessante: vivace, eclettico, artistoide. Poi l’hanno conosciuto: in nove anni ha licenziato 23 allenatori e in un paio di occasioni ha voluto addirittura andare lui in panchina. Aveva il tesserino da allenatore? No, ovviamente. Altra regola stracciata per interesse personale e per egocentrismo. L’ha scampata allora, non adesso. Meno trentasei, la retrocessione, la figuraccia con il suo pubblico e con il resto del mondo. Il Sion ha avuto un momento di popolarità perché sembrava la sfida del piccolo contro il grande. Solo che funziona se il piccolo è pulito e sano e gioca contro il sistema. Non se vive dentro il sistema e s’insinua nei vuoti lasciati dalle norme. E’ finita male. Come per il Neuchâtel Xamax e come potrebbe accadere per il Servette. Storie diverse eppure uguali. Le tiene insieme la Svizzera che si vergogna un po’ di se stessa. -
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il caso di MARCO ZUCCHETTI (il Giornale 21-03-2012) Dopo i 140 anni di storia e i 114 trofei vinti dalla squadra scozzese Rangers vicini alla bancarotta I tifosi del Celtic fanno festa Debiti con il fisco, 90 milioni di rosso, punti di penalizzazione Entro fine mese i protestanti del Glasgow rischiano la chiusura Dio avrà pure salvato la Regina, ma per salvare anche i suoi Rangers dovrà fare i miracoli. Perché se Elisabetta II a 86 anni è ancora vispa e arzilla sul trono come inno comanda, i Glasgow Rangers - club calcistico filobritannico nell’indipendentista terra di Scozia - rischiano di sparire. Gli Highlander della Scottish Football League hanno messo in bacheca 54 campionati, 33 Coppe di Scozia e 27 Coppe di Lega in 140 anni di storia. Eppure tutto sta per crollare sotto i colpi della crisi economica e di una gestione sconsiderata. In dieci anni, i Rangers hanno accumulato oltre 50 milioni di sterline di debiti con la Hmrc, l’agenzia del fisco britannico. Magheggi finanziari, conti non saldati e ipoteche sugli abbonamenti che prima hanno spinto il vecchio proprietario David Murray a cedere il club al businessman Craig Whyte per una sterlina, e poi sono degenerati in un buco che tra multe e interessi- è lievitato fino ai 90 milioni. Troppi per poter sopravvivere. In amministrazione controllata da febbraio e già penalizzati di 10 punti in classifica, per i Rangers il futuro è comunque più oscuro del Loch Ness. Se entro il 31 marzo non si trovano nuovi compratori (troppo fumosi gli interessi cinesi e americani), saranno esclusi dalle coppe europee. Ipotesi rosea se confrontata con il destino prospettato dal manager Dave King, per il quale «la liquidazione sarà inevitabile». In tal caso la società di Ibrox Park fallirà e verrà sostituita da una «newco» con un nuovo nome (l’avvilente proposta è «Rangers 2012»). I Light Blues ripartirebbero così dalla quarta serie, a meno che i presidenti di club concedano la loro partecipazione alla prima divisione, la Scottish Premiership. I nemici di sempre hanno potere di vita e di morte. Eppure l’orgoglio dello spicchio protestante del pallone di Glasgow non si spegne. Gente fiera e battagliera, i Blue Noses le stanno provando tutte. I giocatori di prima fascia (come Naismith e Whittaker) hanno accettato tagli dello stipendio del 75%, i giovani hanno lasciato il club senza neppure un contratto per salvare il posto di lavoro ai magazzinieri e agli addetti allo stadio e c’è anche chi - come Lee Mcculloch - è disposto a giocare gratis. Nel frattempo i tifosi cantano a squarciagola «Rangers till we die» e sono pronti ad abbonarsi in tremila al Dunfermline, uno dei club creditori, per dare il loro contributo in cuore, kilt e sterline. Ma, come spesso è accaduto nella storia di Scozia, il coraggio si inchina al settarismo. Già, perché gli avversari si sentono truffati e chiedono in blocco sanzioni severe. A capitanare la rivolta gli arcirivali cattolici del Celtic, la cui tifoseria ormai da mesi balla la conga (una specie di trenino) per i cugini lealisti in bancarotta. D’altronde l’Old Firm, uno dei derby più sentiti del mondo e di sicuro quello più intriso di significati politici, culturali e religiosi, non ammette galanterie. Nel marzo scorso, la sfida si era conclusa con 3 espulsi e 34 arresti tra gli hooligans e la minaccia di far giocare le successive sfide a porte chiuse. Era il segnale di una tensione infinita e latente tra le due anime di Scozia e- col senno di poi - la cartina tornasole di quel che sta accadendo oggi, quando l’odio per il rivale ha la meglio sulle prospettive calcistiche nazionali. Già, perché in un calcio bipenne come quello scozzese (è dal campionato ’84-’85, vinto dall’Aberdeen con Sir Alex Ferguson in panchina, che il titolo va alternativamente a Rangers e Celtic), il fallimento di una delle due potenze sarebbe l’inizio della fine anche per l’altra. Il campionato perderebbe attrattiva, gli introiti dai diritti tv crollerebbero, il Celtic sarebbe di nuovo tentato dalla «migrazione» nella Premiership inglese e un intero movimento calcistico glorioso finirebbe decapitato come l’eroe nazionale William Wallace. Eppure il tifo contro è più forte della ragione. Celtic, Hearts, Dundee, Motherwell: tutti uniti, tutti seduti sulla riva del fiume Clyde ad attendere il passaggio del cadavere blue dei Rangers decaduti. E pazienza se a esequie concluse, quando la cornamusa avrà finito le ultime strazianti note di Amazing grace , tutti si troveranno a ballare la conga sulle macerie del calcio scozzese. -
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FALKLAND-MALVINAS QUELLA PARTITA NON È ANCORA FINITA A trent’anni dalla guerra L’Argentina non dimentica, il Lanus gioca con lo stemma sul braccio. Per le Olimpiadi di Londra pronte magliette polemiche di FRANCESCO CAREMANI (l'Unità 21-03-2012) «Prohibido olvidar. Las Malvinas son argentinas ». Il 19 marzo è caduto il trentennale della guerra delle Falkland, tanto tragica quanto ridicola, che mise di fronte Argentina (che rivendica da sempre la sovranità sull’arcipelago) e Inghilterra (che continua a sostenere il proprio ego imperiale). Un conflitto durato 74 giorni capace di produrre 907 morti: 255 militari inglesi, 649 argentini e 3 civili. Agli inizi degli anni Ottanta l’inflazione argentina raggiungeva il 90% e la crisi economica aveva acuito le tensioni sociali contro la giunta militare che in poco tempo aveva visto succedersi Jorge Videla, Roberto Eduardo Viola e Leopoldo Galtieri. Quest’ultimo pensò bene d’invadere le isole Falkland (o Malvinas) per recuperare credito nei confronti della popolazione ed evitare la fine della dittatura, che avrebbe inevitabilmente aperto la resa dei conti di una società spaccata in due dalla tragedia dei desaparecidos. In Inghilterra la situazione era simile. La crisi economica mordeva la working class e Margaret Thatcher vedeva avvicinarsi le elezioni come il D-Day della sua capitolazione politica. Senza dimenticare che le Falkland rappresentano uno snodo strategico fra Atlantico e Pacifico, con un mare ricco di pesce e, da qualche anno a questa parte, sono stati individuati giacimenti petroliferi stimati in otto miliardi di barili. LA PROPAGANDA Sarà anche per questo che in Argentina da qualche mese a questa parte la propaganda anti inglese si è improvvisamente riaccesa, nelle piazze, nei palazzi e anche nello sport. Pare che la corona britannica abbia deciso di celebrare in pompa magna il trentennale del conflitto con una messa nella cattedrale di St. Paul e inviando sull’arcipelago una delegazione del ministero degli Esteri. La Raf ha già mandato una nave da guerra, ma già dopo la fine del conflitto un sottomarino nucleare staziona nelle acque intorno alle isole. La presidentessa Kirchner ha gridato alla provocazione, ribadendo la volontà di coinvolgere l’Onu per cercare di riportare le Malvinas sotto la propria sovranità. Ma già a dicembre è stato presentato un progetto di legge perché la spedizione argentina alle Olimpiadi di Londra abbia cucito sulle proprie maglie uno stemma con scritto: «Las Islas Malvinas son Argentinas». In ogni comune argentino esiste un monumento ai caduti di quella guerra, molte strade sono state chiamate “Malvinas Argentinas” e lo stadio di Mendoza è stato ribattezzato Estadio Malvinas Argentinas. Ma è il calcio che sta dando il meglio (o il peggio) di sé, dal presidente Afa Grondona alla squadra del Lanus, impegnato nel Clausura. La squadra in cui milita Mauro German Camoranesi, ex campione del mondo azzurro, per l’occasione ha rifatto le maglie con un particolare che non poteva passare inosservato: sulla manica sinistra c’è uno stemma con le isole Falkland stilizzate. È così che l’azienda produttrice Olympikus e il club hanno deciso di commemorare e ricordare i trent’anni del conflitto. Ma non finisce qui, perché alla squadra vincitrice del campionato sarà assegnato il trofeo “Gaucho Rivero” in onore di Antonio “El Gaucho” Rivero, abitante delle Malvinas che il 26 agosto 1833 uccise due coloni britannici. L’impresentabile presidente dell’Afa, Julio Grondona, ha addirittura deciso d’intitolare il Clausura 2012 “Torneo Crucero General Belgrano”, come l’incrociatore argentino affondato da un sottomarino inglese, provocando 300 morti: crimine di guerra secondo gli argentini, azione bellica secondo gli inglesi. La Fifa è stata così costretta a scrivere a Grondona, uno dei suoi vice presidenti, ricordando che «è chiaramente proibita la discriminazione di altri Paesi, persone e gruppi per ragioni politiche, religiose, di origine etnica, di sesso o lingua» e che «sono altrettanto proibite le affermazioni politiche sulle divise e sull’attrezzatura delle squadre». Lo stesso Grondona, durante l’assegnazione dei Mondiali 2018 e 2022, ha detto chiaramente che appoggerà una candidatura inglese solo quando l’Inghilterra restituirà le Malvinas all’Argentina. Diego Armando Maradona, dopo aver sconfitto l’Inghilterra con una doppietta nei quarti del Mondiale messicano dell’86, la mano de Dios e poi il gol dei gol che replicherà in semifinale contro il Belgio, dichiarò che l’aveva fatto con i morti del conflitto delle Malvinas nel cuore. In questi primi giorni di campionato, in tutti gli stadi argentini, sale continuamente il coro «El que no salta es un inglés». Se gli argentini avessero messo altrettanta foga nel condannare la giunta militare e le violazioni dei diritti umani, portando a galla la tragedia dei desaparecidos, la democrazia argentina oggi sarebbe più matura e non avrebbe bisogno di un’isola per sentirsi tale. -
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CALCIOPOLI Slitta ancora l’appello del processo Giraudo di ALVARO MORETTI (Tuttosport 21-03-2012) ROMA. Non riesce a partire il processo d’appello e rischia una paralisi che porta verso la prescrizione dei reati di frode sportiva il rito abbreviato della vicenda Calciopoli: dopo il lungo rinvio del 16 novembre causa sciopero degli avvocati, ancora uno sciopero dei legali a impedire oggi che il procuratore generale (chissà se sarà ancora Gerardo Arcese, apprezzato magistrato e marito della giudice del rito ordinario, Teresa Casoria) cominci la sua requisitoria contro Antonio Giraudo, condannato a tre anni per associazione a delinquere e alcune frodi sportive il 14 dicembre 2009, come condannati a pene minori furono l’ex presidente Aia, Tullio Lanese, e gli arbitri Tiziano Pieri e Paolo Dondarini, ma anche gli assolti del primo grado, gli arbitri Rocchi, Messina, Cassarà, Gabriele e gli assistenti Baglioni e Griselli. La prescrizione si interrompe in caso di stop per sciopero, non per mancate notifiche: proprio quello che stamattina il giudice Stanziola, presidente della IV sezione dell’Appello di Napoli (aula 314, un piano sopra la mitica 216 di Calciopoli) potrebbe registrare. Pare infatti che due dei chiamati in appello dalla Procura, assolti, non avrebbero ricevuto le notifiche. Il che potrebbe far saltare anche la seconda data prevista per questo appello, in programma il prossimo 3 aprile. Ci sono altre due udienze fissate, l’11 e il 18 aprile, ma tutto è in alto mare se non si riuscirà a portare avvocati e giudici in un’udienza valida. Oggi in aula se ne saprà di più, mentre proprio in queste ore si stanno depositando - pm Capuano, che potrebbe non appellare tutti i capi d’imputazione, e avvocati - i ricorsi in appello per il processo a Moggi e agli altri, il filone principale di Calciopoli, andato a sentenza l’8 novembre scorso e le cui motivazioni sono state pubblicate lo scorso 6 febbraio. ___ GaSport 21-03-2012 -
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Il Sole 24 ORE 20-03-2012 -
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BLOG JUVENTINOVERO.COM 20-03-2012 -
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Repubblica SERA 19-03-2012 -
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Repubblica SERA 19-03-2012 -
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Newsweek 26-03-2012 02-04-2012 -
20 03 2012 Uno Schettino per uno non fa male a nessuno Prima di parlare di Massimo Moratti e di Diego Della Valle, moderni Schettino senza concordia ed eponimi di un calcio naufragato, vorrei cominciare da due altre categorie: precisamente allenatori e arbitri. Dettagli, in confronto ai Pluti Rotondocratici, ma interessanti comunque perché hanno qualcosa a che vedere con l’andamento del torneo e la gestione dei club. Cominciamo dagli allenatori: il pessimo andazzo di un pallone sgonfio dentro al campo (cfr. le Coppe europee) e fuori (cfr. lo scandalo scommesse in dirittura d’arrivo, ma trascurato dai media che trattano il campionato “come se fosse vero”) è dato anche dalla questione allenatori. Cacciarne stagionalmente una quindicina solo in Serie A attaccando i record assoluti in materia significa che quasi tutte le squadre hanno sbagliato all’inizio. Come è possibile? Chi sceglie, chi decide, chi valuta? I dirigenti, che invece rimangono solitamente assai di più? Per di più ci sono casi in cui si riprende quello già cacciato e sotto contratto, ad esempio Tesser al Novara e Ficcadenti al Cagliari: e quelli fanno punti? Il “mister” variabile è un evidenziatore dello sfascio, o naufragio (basta vedere i numeri della scorsa stagione). C’è poi la questione arbitri. Qui non c’è l’hit parade delle cacciate come per le panchine , bensì la solita “faccenda”. Quella che innesca polemiche da “sudditanza” da sempre, che è passata per le lunghe stagioni di supremazia juventina, che ha gonfiato “Calciopoli” e che non ha poi smesso di spargere veleni. Dimostrando così almeno (ripeto, almeno…) che se c’erano delitti prima ce ne sono anche adesso: e quindi… Prendete l’ultima domenica. Un tal Gava di pomeriggio bagna il suo pedigree giovanile al Meazza dando un rigore ammissibile all’Inter, che lo sbaglia, e negandone uno ancora più evidente all’Atalanta. Scusate, ma allora Moggi lavora adesso per Moratti “a sua insaputa”? In serata, il superchiacchierato Rocchi (cliccate, cliccate, qualcosa resterà…) fa una serie di numeri da circo in sfavore dell’Udinese, con un’espulsione mirata e un rigore ultrageneroso, dimostrando che Moggi non riposa mai. Dunque le spie di panchine e fischietti sono accese: calcio in riserva, e magari scogli segnalati a prua (anche a poppa…). Così che il comandante Moratti ha preso l’abitudine di mollare gli ormeggi in tribuna molto prima di quanto non lo facesse l’eroico Boniperti in arte “Marisa”, che se ne andava all’intervallo per non rischiare la salute. No, qui c’entra un altro tipo di salute. C’è il modo in cui si amministra un club importantissimo come l’Inter, a me caro anche per antiche questioni familiari, in cui ci si è ridotti al lumicino dopo i fasti del “triplete”. Chi decide cosa, chi acquista, chi vende, quale è la trasparenza negli acquisti dall’estero vecchia tabe di tutto l’ambiente ecc. Chi divora come Crono i tecnici, chi cambia giocatori come figurine, chi dilapida un superpatrimonio per avere una squadra che gioca peggio e vince meno dell’Udinese in attivo? Chi ha rischiato (eufemismo!!!) la reputazione nello scandalo accentrandolo su Moggi mentre poi (cito il superprocuratore Palazzi) l’Inter veniva “solo” prescritta e non assolta da nulla in fattispecie analoghe? Chi ha trovato il modo di onorare la memoria di un galantuomo come Giacinto Facchetti prendendone le distanze nella causa per danni intentata a Moratti e Co. dagli “spiati” con la formula (dell’ex vicepresidente Ghelfi) “nessuno lo aveva autorizzato a farlo”? E potrei continuare. C’è qualcuno che invece ha pensato bene di involarsi addirittura quando la nave era in navigazione: dico di Diego Della Valle, che si è ritirato formalmente nell’autunno del 2009 dalle responsabilità della Fiorentina pur possedendone il 99% delle azioni (e l’azionariato popolare annunciato all’inizio?). Si è dato quando la squadra andava bene, il ciclo di Prandelli era beneaugurante, in Champions faceva come e forse meglio di questo Napoli al timone del quale c’è invece sempre e visibilmente il comandante De Laurentiis. Mi ricordo il periodo perché qui (Il Fatto era appena uscito) gli rivolsi pubblicamente 5 domande tese a capire dove volesse andare a parare (lui, non Frey…), la metà di quelle che all’epoca venivano rivolte a Berlusconi… Non mi ha mai risposto anche se aveva promesso telefonicamente di farlo (oltre a invitarmi al suo “show room”, invito non accettato ma da me ricambiato: ho uno show room che se lo sogna). Un anno dopo mi convocò addirittura unilateralmente a discutere di Fiorentina, a Firenze, in un albergo. Controproposi un “duello” in prima serata tv con tutte le cifre della sua impresa fiorentina. Niente. Missing. Ogni tanto si è affacciato il fratello Andrea… che è come se al Meazza per il Milan andasse Paolo… capite che non è proprio la stessa cosa. E comunque l’unica preoccupazione dei “brothers” marchigiani era ed è l’impianto sportivo, l’outlet travestito da stadio a Firenze in zona di loro gradimento commerciale. Per carità, tutto legittimo o quasi, basta dirlo. Anche Pozzo con l’Udinese ci guadagna, facendolo di mestiere. Il punto è che il Cavaliere Tessile ha trattato la Fiorentina come una cosa, precisamente come un manichino col foulard, e se ne vedono i risultati anche caratteriali in campo. La verità è che cerca di vendere la società da due anni, invano. Dice dei soldi che ha investito: a parte i conti da sciorinare, pubblicità e terreni a Incisa compresi, forse dimentica che anche i tifosi si svenano regolarmente e amerebbero che lui si prendesse le sue responsabilità invece che delegare, demandare, signoreggiare senza volto. Non lo si è visto sul ponte di comando nemmeno dopo il naufragio contro la Juventus, al massimo volteggiava in elicottero. E la squadra ha le dita di un piede in B. È il Paese degli Schettino, non c’è rimedio.
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“Padovano conosceva il codice dei trafficanti” Le motivazioni della condanna a 8 anni dell’ex attaccante della Juventus di ALBERTO GAINO (LA STAMPA - Torino 20-03-2012) È ben vero che, come ripetutamente evidenziato dalla difesa, l’imputato ha sempre svolto anche un’attività lavorativa, gestito propri affari, soprattutto nel settore immobiliare, effettuato investimenti di vario genere in diverse attività lecite. Ma ciò non toglie che lo stesso Padovano partecipasse ai traffici del sodalizio coordinato dall’amico di infanzia, finanziandoli parzialmente». Motivazioni della sentenza di condanna a 8 anni, 8 mesi e 15 giorni di Michele Padovano, l’ex attaccante di Juve, Napoli, Genoa e di altri club. Con il suo arresto l’inchiesta sull’import da Spagna e Francia di grossi quantitativi di hashish, gestito da una banda di sprovveduti fra il 2004 e il 2005, divenne clamorosa. Ed evocativa di una punizione esemplare è stata la richiesta di condanna di Padovano a 24 anni di carcere. Alla fine, un caso giudiziario complicato per molti aspetti. Le telefonate I giudici della terza sezione penale hanno ritenuto di condannare «oltre ogni ragionevole dubbio» l’ex calciatore definendo criptiche e allusive alcune sue conversazioni telefoniche con l’amico d’infanzia preso nel 2005 in Spagna con una gru, appena acquistata, nei cui contrappesi erano stati nascosti 1300 kg di hashish. E scrivono: «Padovano dimostra di conoscere alcuni codici di comunicazione interna al gruppo organizzato, i cui componenti sono soliti evitare di fare nomi o di indicare numeri telefonici parlando al telefono con altri. Hanno, anzi, l’abitudine di usare codici diversi per trasmettere tale tipo di informazione». Per il tribunale è «emblematica la telefonata fra Padovano e un certo ragioniere, che gli chiede: «Ti capita di vedere il dottore?.. Ti do un numero di telefono, glielo puoi dare?...». Segue una sequenza di «sì», un «349.. . » e «va bene» finché il «ragio» non aggiunge un «digli di girarlo». Chiudono i saluti. Per i giudici la telefonata era tutt’altro che innocente e rivelava «l’affidamento su Padovano» del non identificato «ragio» di far pervenire tramite suo il proprio numero di telefono all’amico di infanzia dell’ex calciatore. I loro rapporti proseguiti nel tempo inguaiano il calciatore. Seduti in cremeria Gli investigatori scrivono, e il tribunale ne dà atto, di essere piombati per caso su un telefono e sulla cremeria di San Gillio, di aver riconosciuto seduto al tavolo prima Padovano e poi identificato l’altro, con un piccolo precedente (una multa da 200 euro), solo più tardi. Aggiungono di essere stati insospettiti dalla «modalità» di quegli uomini di «fermarsi alle cabine telefoniche per comunicare». Ma poi li intercettano a iosa e sequestrano ben due carichi di hashish nascosti fra le arance d’importazione. Padovano è un po’ il Girardengo della situazione e l’amico il bandito Sante Pollastri. In aula sostiene di non essere stato a conoscenza dell’attività dell’altro: «Sapevo che non lavorava in banca, lo vedevo ben vestito e con auto importanti, ma ignoravo di che si occupasse». I soldi I giudici non gli credono e lo fanno un po’ meno Girardengo. Padovano, comunque, non ha mai «sparato» sull’amico di infanzia. Paga l’affitto alla moglie di lui quando l’uomo viene arrestato. Sostiene di avergli prestato 25 mila euro per l’acquisto di «cavalli» e altri 10 mila per «l’avvocato». Per i giudici erano un «finanziamento parziale» dell’import di hashish e definiscono sospetta la fattura di acquisto di un cavallo prodotta dalla difesa. Scrivono: «Non gli ha versato alla luce del sole i 35 mila euro, ma per contanti e attraverso la moglie dell’uomo». Padovano: «Ricorrerò in appello». -
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EXTRATIME 20-03-2012 -
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Ricominciamo... GaSport 20-03-2012 Sotto dettatura di Meani... -
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il commento STAGE, MILAN E JUVE A RAPPORTO DA PETRUCCI di FRANCO ORDINE (il Giornale 19-03-2012) Mancava solo l’ultimo «disobbedisco » della Lega di serie A alla federcalcio e alla Nazionale, per rendere plastica l’idera di un settore, già peraltro diviso da rivalità di ogni tipo e polemiche feroci, ingovernabile. Il ct Prandelli ha chiesto, in punta di piedi, di poter apparecchiare due-tre stage con gli azzurri a Coverciano da qui alla fine della stagione e prima del ritiro canonico al fine dichiarato di affinare tecniche e strategie, limare difetti tattici e coltivare il senso dell’appartenenza. La risposta, brutale e definitiva, giunta dalla trincea del presidente di Lega Beretta è stata la seguente: non se ne parla nemmeno. A questo punto è dovuto intervenire il presidente del Coni Gianni Petrucci prima con un appello «ai presidenti di buona volontà» perché correggano la rotta, poi con un paio di iniziative diplomatiche. Di fatto il capo dello sport italiano sta supplendo al vuoto politico provocato dal presidente federale Giancarlo Abete, il cui potere di persuasione nei confronti dei presidenti di serie A, è ridotto ai minimi termini. La stessa scena si è ripetuta puntualmente all’epoca del tavolo della pace convocato dall’inquilino del foro italico per mettere fine alla guerra post-calciopoli: l’iniziativa, col niet di Della Valle, si concluse con un buco nell’acqua. Questa volta Petrucci non si è limitato a firmare l’appello. Ha fatto di più, a fari spenti. Sabato mattina ha interpellato al telefono prima Galliani vice-presidente del Milan e poi il presidente della Juve Agnelli per suggerire un compromesso soddisfacente. Non solo. Nel pomeriggio, allo stadio Olimpico per il rugby, ha parlato a lungo con Prandelli e riferito dello spiraglio aperto. La soluzione potrebbe essere articolata su due punti: 1) ridurre a uno solo lo stage azzurro; 2) procedere a una convocazione ridotta, reclutando uno, massimo due esponenti per i club impegnati sui fronti di scudetto e Champions. Come si capisce al volo la questione riguarda in particolare la Juventus (ecco il busillis, ndt) che ha ben sei azzurri coinvolti nell’operazione euro 2012. In qualche caso sono stati gli stessi calciatori a suggerire il no avendo a cuore più un lunedì libero che un viaggio di andata e ritorno a Coverciano. Se ne riparlerà nei prossimi giorni ma la sensazione è che questa volta la missione di Petrucci avrà un parziale successo. Se così fosse, ci sarebbe da chiedersi molto semplicemente: ma non sarebbe meglio eleggere direttamente Gianni Petrucci prossimo presidente della federcalcio? -
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La partita dei tifosi La truffa e i veleni "Sembra un complotto all´amatriciana" di MATTEO PINCI (la Repubblica - Roma 19-03-2012) Se la Roma scende in campo con il Genoa per i tre punti, già da tempo la procura è entrata in tackle sulla presunta truffa ai danni dei dirigenti romanisti Franco Baldini, Walter Sabatini e Mauro Baldissoni. Un episodio "circoscritto", secondo gli inquirenti, ma per il quale è ancora tutto da verificare il coinvolgimento di altre persone, oltre a quello dei quattro nomi circolati in queste ore: il giornalista Roberto Renga, il figlio Francesco, il guru radiofonico Mario Corsi e Giuseppe Lomonaco, considerati "vicini" alla vecchia proprietà della Roma. Da accertare se l´inchiesta possa estendersi ulteriormente: questo l´obiettivo del procuratore Giancarlo Capaldo e del sostituto Paola Filippi, in attesa che venga stilato il calendario di convocazione degli indagati (forse già in settimana). Unico a tornare sulla vicenda è proprio Roberto Renga, che al Fatto spiega: «Allo stato sono indagato per ricettazione». Non abbastanza per soddisfare la curiosità di Roma in cui, senza il campionato, l´inchiesta è un fantasma che aleggia per le strade. La gente ne parla nei bar, dove fino a poche ore fa discuteva se fosse meglio far giocare Lamela o dare una nuova chance a Bojan. «Solidarietà a Mario Corsi», si limita a offrire Fabrizio su Facebook. Meno equilibrato Alessio, che esplode in una strenua quanto preventiva presa di posizione: «Chi dice la verità è sempre scomodo: Marione siamo con te». Su Twitter le voci critiche non mancano, invece: «Complotto all´amatriciana di buffoni di prima categoria», la "verità" twittata da Giordano. In attesa di una verità definitiva. -
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Calciatori pagati con soldi pubblici, il ministero di Giustizia presidente dell’Astrea La formazione milita nel campionato di serie D. I giocatori prendono fino a 1800 euro per due allenamenti alla settimana. A fine carriera poi possono contare su un posto fisso nella polizia penitenziaria di CRISTIANO VELLA (il Fatto Quotidiano.it 18-03-2012) Altri tempi quelli in cui Francesco Guccini cantava che la mamma aveva ragione nel dire che “un laureato vale più di un cantante”. In un bando del ministero di Grazia e Giustizia per entrare a far parte del corpo di polizia penitenziaria, infatti, una presenza in serie B vale come titolo 24 volte in più di un master in criminologia alla Harvard Law School. Il concorso è stato creato per risollevare le sorti dell’Astrea, squadra di calcio di serie D di proprietà del Ministero di Grazia e Giustizia. Niente calciomercato dunque: dopo risultati non proprio esaltanti ecco che arriva il concorso per reclutare nuove e valide risorse. Ai fini della graduatoria finale contano poco laurea (1 punto) o master (0, 5 punti), rispetto alla partecipazione a un campionato di serie C (8 punti), di serie B (12 punti) per non parlare di una convocazione in nazionale che garantisce 25 punti. I vincitori del bando, poi, vengono inquadrati come dipendenti della polizia penitenziaria. Lo stipendio fisso non è di quelli che fanno girare la testa nella categoria (in serie D un attaccante da 20 goal a campionato arriva a prendere anche oltre 3mila euro al mese): dai 1300 ai 1800 euro, per sole due ore al giorno di allenamento e con le trasferte considerate alla stregua di missioni. Quello che fa la differenza, però, è che alla fine della carriera sportiva per i giocatori dell’Astrea non ci sarà nessun patema d’animo su cosa fare da grandi: saranno assegnati a lavoro d’ufficio in istituti penitenziari o comunque nel corpo della polizia penitenziaria. Una squadra, l’Astrea, diversa dalle altre in tutto e per tutto: anche la gestione finanziaria infatti non ha nulla in comune con le altre squadre di serie D, che, non potendo contare sui soldi delle tv, ed essendo comunque poca roba i ricavi provenienti dalla vendita dei biglietti, fanno ampio ricorso alle sponsorizzazioni e, soprattutto, ai presidenti che mettono mano al portafoglio. L’Astrea, invece, di sponsor non ne ha, né sulla maglia bianco blu né al campo di gioco, lo stadio Casal del Marmo di Roma. Lo statuto della squadra dice che i fondi si basano su “somme stanziate sui capitoli di bilancio passivo del Ministero della Giustizia che consentono l’imputazione della spesa” e poi “fondi erogati dall’Ente Assistenza per il personale dell’Amministrazione penitenziaria” oltre che a contributi di Figc e Coni e introiti derivanti da vendita di biglietti e cessione di diritti televisivi e radiofonici. E’ chiaro dunque che, almeno una parte del bilancio dell’Astrea, è a spese dei contribuenti. Un’altra parte è composta da una sorta di contribuzione volontaria del personale della polizia penitenziaria. Non è dato sapere però a quanto ammonti una voce e a quanto l’altra: il ministero non fornisce il bilancio dell’Astrea Calcio, e in ogni caso per le squadre di calcio dilettantistico il bilancio d’esercizio non è vincolante, ed è esonerato da molteplici obblighi che hanno i professionisti (redazione bilancio CEE, deposito presso il Registro delle Imprese ecc). Elementi che fanno storcere il naso a chi il calcio lo fa in maniera tradizionale. Massimo Taddeo, presidente della Forza e Coraggio, squadra vicinissima a vincere lo scorso campionato di serie D a ilfattoquodiano.it dichiara: “Certo che se una squadra può offrire ai giocatori qualcosa come una sistemazione per la vita è avvantaggiata rispetto alle altre. Un calciatore, ovviamente, sa che solo pochi fortunati, specie in serie D, possono restare nel circuito del pallone come allenatori o direttori sportivi, perciò se qualcuno può offrire un lavoro che dura per sempre è chiaro che ha qualcosa in più rispetto alle concorrenti. In più, pensare che una squadra possa avvalersi, anche in misura minima, di soldi pubblici, è tutt’altro che simpatico”. E in effetti non soltanto ai presidenti concorrenti, ma anche ai contribuenti la notizia dell’Astrea “squadra a statuto speciale” non è piaciuta: è partita su internet una petizione per chiedere al Ministero che cessino le assunzioni di calciatori e il finanziamento con soldi pubblici per l’Astrea. In ultimo c’è da pensare ai detenuti: vincere la tradizionale partitella di pallone contro le guardie per chi è dietro le sbarre ha spesso motivazioni che vanno oltre il semplice lato sportivo. Chi glielo dice adesso che dovranno battere dei campioni? -
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«La A si salva con gli stadi» ERBETTA «Provammo 10 anni fa con la Lazio, la Juventus è arrivata per prima» di STEFANO SALANDIN (Tuttosport 18-03-2012) Buongiorno Emanuele Erbetta, cominciamo con il chiarire un aspetto preliminare. Lei è novarese, ma tifoso dell’Inter: giusto? «Non proprio. La frequentazione dell’Inter è stata una parentesi legata all’amicizia con Giacinto Facchetti...». Facchetti? Le parlò mai dei suoi sospetti che sarebbero poi sfociati in Calciopoli? «Francemente no... Parlavamo di calcio in generale e del lavoro comune. Però, appunto, scomparso Facchetti anche l’interesse per l’Inter è scemato quasi del tutto ed è rimasto quello per il Novara». Ecco, qualcuno potrebbe obiettare: troppo facile, ora che sta in A. . . «E sbaglierebbe di grosso: sono tra coloro che frequentavano con assiduità lo stadio anche quando si giocava in C». Quando va allo stadio prevale la mentalità del manager attento ai bilanci oppure quella del tifoso? «Per carità, lo stadio è puro svago. Mi affascina il calore che la squadra trasmette alla città, il senso di identità che si crea. Poi, certo, alcune cose è inevitabile non notarle...». Per esempio? «La differenza di organizzazione che è necessaria per fare calcio a certi livelli: lo si intuiva già tra la Lega Pro e la B, ma in A c’è davvero un abisso». Il suo potrebbe essere uno dei casi che hanno fatto litigare in lega sulla spartizione dei diritti tv. Ballano parecchi soldi nella distinzione tra “tifoso” e “sostenitore”: lei avrebbe risposto Inter o Novara? «Novara, Novara... Ma più che altro, come tifoso, mi aspetterei un’altra cosa dai soldi che le società incassano per i diritti tv». Che cosa? «Che vengano spesi bene, ma per rinforzare la squadra». Quindi lei giustifica coloro che si lamentano perché i presidenti non spendono e che contestano le logiche del fair play finanziario? «Beh, ha una logica pretendere che i club si rafforzino, che migliorino obiettivi e qualità dei giocatori. Però ci deve essere anche una logica imprenditoriale che superi quella del mecenatismo». Club sempre più simili ad aziende? «Certo. Che non dipendano solo dalle ricapitalizzazioni dei presidenti, che differenzino le entrate, che migliorino gli asset». Lei ha il compito di sistemare i conti di Fondiaria Sai che ha chiuso il bilancio con un rosso di 1,03 miliardi di euro, ma la serie A se la passa pure peggio: 1.550 milioni di debiti: può andare avanti un’azienda con tali passivi? «Sì, ma se ci sono asset a garanzia. Il problema, nel calcio italiano, è proprio questo». Gli asset, in buona sostanza, sono i beni, le strutture: nel caso del calcio gli stadi... «Esatto. Anche club come Real Madrid o Barcellona sono indebitati, però hanno sviluppato una maggior capacità di generare profitti e, soprattutto, sono proprietarie di stadi e cittadelle sportive. Noi, come gruppo, fummo i primi a progettare uno stadio con gli azionisti della Lazio (nel 2001, con l’allora patron Cragnotti, ndr), ma non se ne fece nulla. Siamo ancora lontani dagli equilibri della Bundesliga, ma da allora qualcosa s’è mosso e ci sono club che lavorano bene». Quali? «Il Novara, per esempio. Novarello è un asset importante che crescerà ancora, c’è attenzione ai parametri economici dei calciatori e un altro aspetto che mi interessa molto: l’attenzione al sociale e la crescita dei giovani. A Novarello risiedono già 20 ragazzi delle giovanili: mi dicono che Vinovo la Juventus ne ospita una quarantina e quindi il risultato è ottimo, per un club di provincia». Ecco: la Juventus uno stadio se l’è costruito... «E quella è un’ottima strategia industriale ed è la strada da seguire. Oltre che far bene ai conti e a rappresentare un volano economico, lo stadio di proprietà fa aumentare il senso di identificazione tra squadra e tifosi». I tifosi sono clienti? «In un certo senso sì, anche se a loro si vendono emozioni. Noi, ai nostri clienti, vendiamo sicurezza, ma alla fine bisogna seguire le stesse strategie: essere chiari e mantenere le promesse». I manager rischiano quanto gli allenatori? «Mah - sorride - qualche analogia c’è... Quando ho letto degli avvicendamenti tra Tesser e Mondonico, e viceversa, si coglie qualche similitudine: certe volte le scelte non sono popolari, ma un club deve tener conto dell’efficienza e dei risultati». E’ d’accordo con la decisione di Monti di non presentare la candidatura olimpica di Roma? «Più che in disaccordo, non ne sono contento. Capisco le difficoltà contingenti, però dopo i tagli bisogna ricominciare a fare investimenti, altrimenti il Paese non cresce. Con tutto questo, però, mi rendo conto che era un momento complicato, il più complicato, per prendere questa decisione. . . ». Il calcio può rappresentare un volano per la crescita dell’Italia oppure il traino è all’opposto? «No, guardi: la ripartenza deve essere comune e questo non riguarda solo il calcio, ma tutti i settori. E’ vero però, e non credo sia una banalità, che il calcio è lo specchio dell’Italia e un suo miglioramento contribuisce anche all’immagine». Domani lei presiederà l’assemblea di Fonsai chiamata a un aumento di capitale di 1,1 miliardi: più arduo quel risultato o la salvezza del Novara? «La salvezza del Novara dipende anche da ciò che fanno gli altri, oltre che dalle proprie forze...». -
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Il caso Ulteriori verifiche dei magistrati sul possibile raggiro ai danni del dg Baldini e del consigliere Baldissoni Roma, nelle radio spopola il complotto di LAVINIA DI GIANVITO & GIANLUCA PIACENTINI (CorSera 18-03-2012) ROMA — Altro che partita (domani sera) contro il Genoa. Nelle radio romane (e romaniste) spopola il complotto. Quello contro il direttore generale Franco Baldini e il consigliere d'amministrazione Mauro Baldissoni, scelti dai nostalgici della vecchia gestione per colpire la nuova. Una sorta di vendetta trasversale a cui — ipotizza la procura — oltre agli indagati ormai noti avrebbero partecipato altri «esclusi» dalla proprietà made in Usa. Per stabilire quanti soggetti abbiano condiviso il piano, i magistrati hanno disposto ulteriori verifiche e stanno valutando se interrogare i quattro già accusati di diffamazione: il giornalista (ex Messaggero) Roberto Renga, il figlio Francesco e due voci radiofoniche, Giuseppe Lomonaco e Mario Corsi, «Marione». Il gruppo avrebbe tentato, senza riuscirci, di veicolare a due quotidiani «notizie scottanti» ricevute via sms: «Baldini e Baldissoni sono massoni e fanno la cresta sul calciomercato». «Roba da fantascienza — si accalora Maurizio Costanzo — mi sembra tutto abbastanza incredibile». Gli indagati si difendono e minacciano querele. «Io vado a dormire tranquillo — precisa Renga —. Non ho mai pensato di truffare la Roma». La radio Centro suono sport annuncia che Corsi e Lomonaco si sono autosospesi, «non certo per le gravi insinuazioni mosse nei loro confronti», ma «per non «prestare il fianco agli attacchi mediatici». E scende in campo pure Luis Enrique: «È una cosa brutta — osserva — in Spagna non mi è mai capitata». ___ Inchiesta L’ipotesi di «infangare» Baldini e Baldissoni per colpire la società Tentata truffa alla Roma È la vendetta degli «esclusi» Presto gli interrogatori. Il ruolo della nuova proprietà di LAVINIA DI GIANVITO (CorSera - Roma 18-03-2012) Infangare Franco Baldini e Mauro Baldissoni per colpire i nuovi titolari della As Roma. Tentando, senza riuscirci, di far pubblicare le notizie diffamatorie da due quotidiani. Alla vendetta trasversale ideata dai nostalgici della precedente gestione avrebbero partecipato, insieme agli indagati già noti, anche altri «esclusi» dalla proprietà made in Usa. È l'ipotesi della procura, che adesso vuole verificare quanti soggetti, e con quali ruoli, abbiano condiviso il tentativo di diffondere false notizie sul d. g. Baldini e sull'avvocato Baldissoni, membro del cda del club. Nei prossimi giorni dunque potrebbe aumentare il numero degli indagati, che finora sono il giornalista (ex Messaggero) Roberto Renga, il figlio Francesco e due voci radiofoniche, Giuseppe Lomonaco e Mario Corsi, noto come «Marione». Sarebbero loro gli autori del «complotto» - su cui la As Roma preferisce tacere - sventato dalla «Iena» Paolo Calabresi. L'accusa per i quattro è di diffamazione e la procura sta valutando se interrogarli a breve. Il contatto tra Renga e Calabresi risale alla vigilia dell'ultimo derby. Il giornalista avvicina la «Iena» e gli racconta che ha in mano documenti scottanti, con cui è in grado di rovinare Baldini e Baldissoni. Sostiene di poter dimostrare che i due sono massoni e che truccano la compravendita dei giocatori per guadagnarci su. Nell'incontro Renga mostra a Calabresi due foglietti scritti a mano e gli spiega che sono la trascrizione di sms contenenti la «verità» sul dg e sull'avvocato. Il «dossier» però è confezionato così malamente che la «Iena» non ci casca. Anzi, registra la conversazione senza che il giornalista se ne accorga e denuncia la manovra alla Digos. Dalle indagini emerge che Renga ha dei soci. E quando scattano le perquisizioni e i sequestri la polizia scopre ciò che le era già chiaro: in mano al giornalista ci sono solo miseri falsi fabbricati in casa. Le radio L’etere romano dominato dalla vicenda che vede coinvolti alcuni noti commentatori Marione si autosospende e Renga minaccia querele di GIANLUCA PIACENTINI (CorSera - Roma 18-03-2012) Per tutta la giornata di ieri nelle radio romane (e romaniste) si è parlato poco della gara di domani sera contro il Genoa e molto della vicenda che ha per protagonisti Franco Baldini e Mauro Baldissoni (rispettivamente d. g. e membro del cda della Roma), che hanno denunciato un tentativo di truffa da parte dei giornalisti Roberto Renga (e suo figlio Francesco), Giuseppe Lomonaco e il conduttore radiofonico Mario Corsi, tutti iscritti nel registro degli indagati. I protagonisti della vicenda - ad eccezione della Roma, che non farà alcun tipo di commento finché ci saranno delle indagini in corso - ieri hanno fatto sentire la loro voce. «Io vado a dormire tranquillo - è il pensiero di Roberto Renga, ex cronista del Messaggero, dai microfoni di Radio Radio - non mi è mai passato per la testa di usare la mia professione se non per motivi professionali. Non ho mai pensato di truffare la Roma. Ero abituato per altri motivi a finire sui giornali. Ma solo su una testata è uscito il mio nome. Si saprà al momento del dibattimento quello che è realmente accaduto». Mario Corsi e Giuseppe Lomonaco, invece, «hanno scelto di auto sospendersi - si legge in una nota pubblicata sul sito internet dell'emittente Centro Suono Sport - dai loro impegni professionali non certo per le gravi insinuazioni mosse nei loro confronti, ma per permettere che vengano intraprese tutte le azioni nelle opportune sedi. La scelta è rivolta anche alla volontà di non prestare il fianco ad attacchi mediatici privi di alcun riscontro e fondamento». E minaccia querele anche Roberto Renga. «Carlo Bonini e il suo giornale risponderanno di quello che hanno pubblicato». Sulla questione è intervenuto anche Luis Enrique in conferenza stampa: «È una cosa brutta, in Spagna non mi è mai capitata. Ma si tratta di un tema su cui sta lavorando la magistratura, non voglio e non posso parlarne». «Roba da fantascienza - il commento di Maurizio Costanzo - e forse sarebbe meglio tornare a parlare solo di calcio. Mi sembra tutto abbastanza incredibile e spero che le indagini in corso chiariscano tutto. Io non sento le radio romane ma mi raccontano che fanno il bello e il cattivo tempo. Penso che possiamo discutere di tutto quello che ci pare sul calcio, però cerchiamo di non andare nella fantascienza e nella fantapolitica. Cerchiamo di non parlare di cose che non siano attinenti al calcio giocato. Mi sembra che siano dei diversivi per distrarre l'attenzione». ___ IL CASO LO SPEAKER SI AUTOSOSPENDE. INDAGATO ANCHE UN NOTO GIORNALISTA Nel complotto sulla Roma l'inchiesta si allargherà di ALESSANDRO CATAPANO (GaSport 18-03-2012) Questa storiaccia della macchina del fango all'amatriciana allestita contro Franco Baldini, Walter Sabatini, Mauro Baldissoni e la Roma, stanata da un'indagine della Digos prima che potesse riscuotere successo in una città solitamente assai credulona, probabilmente riuscirà a fare un po' di pulizia in un ambiente diventato tossico e, forse, pure pericoloso. Ci vorranno mesi, ma può essere la volta buona. Domande Quanto ci vorrà, invece, perché la Procura di Roma raccolga tutti gli elementi di questa storia di cui, probabilmente, il vero protagonista è ancora ignoto? C'è un mandante? Chi voleva il male della Roma, in particolare di Baldini? Chi ha «armato» i diffamatori? Chi ha fornito loro presunte intercettazioni con riferimenti alla massoneria che avrebbero dovuto «sputtanare» Baldini e compagni? Domande al vaglio della Procura, che spera di capirne qualcosa di più la prossima settimana, quando scatteranno i primi interrogatori. Non è escluso che l'indagine si allarghi ad altri membri della stessa «cricca» romana né che ai reati di diffamazione e truffa si aggiunga quello di estorsione. Le indagini della Digos hanno inchiodato i maldestri tentativi dei protagonisti, ma non chi li ha messi insieme, anche perché qualcuno mentre si indagava ha mangiato la foglia e ha preso le contromisure. Protagonisti Al momento, risultano indagati il giornalista Roberto Renga, storica firma de Il Messaggero oggi in pensione, il figlio Francesco, lo speaker radiofonico Mario Corsi e il suo collaboratore Giuseppe Lomonaco. Quantomeno curioso il percorso del Corsi: ex militante dei Nar con numerosi precedenti penali, ex capo del gruppo ultrà Boys, da anni popolare voce radiofonica, un tempo punto di riferimento della famiglia Sensi e di numerosi calciatori. Cosa pensa oggi chi per anni gli ha dato tanta legittimità? Ieri il personaggio in questione si è autosospeso, mentre Roberto Renga si è dichiarato vittima di un complotto che lo fa «temere per me e la mia famiglia». La chiave E dire che questa storiaccia non sarebbe uscita fuori senza il ruolo dell'inviato delle «Iene» Paolo Calabresi. È lui, romanista e buon amico di Mario Corsi, che viene contattato dalla cricca che vuole «vendergli» la storia, è lui che sente subito puzza di bruciato, è sempre lui che si rivolge a Franco Baldini avvisandolo, e di fatto avviando le indagini della Digos. Le riprese di Renga e Corsi fatte da Calabresi con la telecamera nascosta sono diventate materiale d'indagine. Vederle, probabilmente, farebbe più piangere che ridere. Buon per Franco Baldini che sia lontano da tutto questo. Oggi, a Orlando, in Florida, chiuderà l'accordo con la Disney. Per fortuna la Roma esiste anche fuori dal raccordo anulare. ___ INDAGATI GIORNALISTI E CONDUTTORI PATACCHE E VENDETTE NEL PALLONE ROMANO di LUCA DE CAROLIS (il Fatto Quotidiano 18-03-2012) Una storia in bilico tra il ridicolo e l'inquietante. Fatta di un presunto dossier e veleni atavici, in una città dove il pallone trascina con sé sospetti e interessi oscuri. La certezza, in un nugolo di ombre tutte da verificare, è che la Digos indaga su un tentativo di dossieraggio ai danni di Franco Baldini, direttore generale della Roma, e Mauro Baldissoni, avvocato e membro del cda del club. A tentare di diffondere il dossier, composto da trascrizioni di presunte intercettazioni telefoniche, sarebbero stati il giornalista Roberto Renga, già a Paese Sera e al Messaggero, il figlio Francesco e due conduttori radiofonici: Mario Corsi, detto Marione, con un passato nei Nar, e Giuseppe Lomonaco. Tutti e quattro indagati dalla procura di Roma per diffamazione (ma Renga parla di una diversa imputazione). La vicenda inizia con l'incontro tra Paolo Calabresi delle Iene e Renga. Il giornalista aveva avvicinato Calabresi per proporgli le trascrizioni di sms tra Baldini e Baldissoni. Intercettazioni che avrebbero dimostrato la vicinanza dei due dirigenti a logge massoniche, fornendo ampie informazioni sull'attività e gli interessi di entrambi. Calabresi ha registrato il colloquio, poi finito sul tavolo della Digos, tramite un esposto. Altro punto fermo: lo stesso materiale presentato a Calabresi era stato poi proposto da Renga, Corsi e Lo Monaco al Fatto Quotidiano, che l'aveva scartato come privo di fondamento. NEI GIORNI scorsi l’avvio dell'inchiesta, coordinata dal procuratore Giancarlo Capaldo. Gli inquirenti hanno perquisito case e luoghi di lavoro degli indagati, che avrebbero portato al sequestro delle presunte intercettazioni. I quattro verranno ascoltati nei prossimi giorni. Secondo l'Ansa, l'inchiesta potrebbe presto estendersi ad altre persone, legate alla passata gestione della Roma: tutte “tagliate”, nel passaggio del club della famiglia Sensi agli americani. Il sospetto della procura, insomma, è che dietro le intercettazioni ci sia una vendetta. Ieri il Fatto ha parlato con Renga, che assicura: “Mi sento assolutamente pulito, se avessi tentato di vendere roba del genere sarei stato stupido e delinquente. L'autorità giudiziaria chiarirà tutto”. Il giornalista conferma di aver mostrato le intercettazioni a Calabresi e al Fatto : “Ma ho subito precisato che non poteva essere utilizzato così com'era: al limite si poteva usare per un'inchiesta sul calcio, togliendo nomi e numeri di telefono”. E aggiunge: “Appreso che Calabresi aveva registrato il nostro colloquio, mi sono rivolto all'Ordine per chiedere tutela legale. Allo stato sono indagato per ricettazione”. A Radio Radio, Renga aveva fornito ulteriori dettagli: “Tutto nasce da un documento che ho ricevuto, e che non è assolutamente nè falso nè scritto a mano. Mi ha molto inquietato perchè conteneva riferimenti precisi che mi hanno fatto preoccupare per la mia famiglia”. Quanto a Calabresi, “mi ha cercato lui per un servizio. Vado a dormire tranquillo, spero lo possa fare anche chi registra film di nascosto e ha un figlio che gioca nella Roma (Calabresi, ndr)”. Il Fatto ha provato a sentire anche Lomonaco e Corsi, senza esito. I due, conduttori di programmi sull'emittente Radio Centro Suono Sport, hanno emesso un comunicato, in cui annunciano “di autosospendersi dai loro impegni professionali non certo per le gravi insinuazioni mosse nei nostri confronti, ma per permettere che vengano intraprese tutte le azioni nelle opportune sedi. Una scelta rivolta anche alla volontà di non prestare il fianco ad attacchi mediatici privi di riscontro e fondamento”. Sconcertato il tecnico della Roma, Luis Enrique: “Tutto questo è brutto, bruttissimo, e mi dispiace che sia capitato a persone per bene con cui lavoro. In Spagna non è mai successo questo”. ___ IL CASO I magistrati lavorano sui dossier realizzati per danneggiare il dg giallorosso Baldini e il consigliere Baldissoni Roma,la truffa si allarga La Procura interrogherà i quattro indiziati e indaga su altri Gli inquirenti vogliono capire se alla creazione dei falsi documenti hanno partecipato più persone legate alla vecchia proprietà del club di VALENTINA ERRANTE (Il Messaggero 18-03-2012) ROMA - Potrebbero essere convocati nei prossimi giorni in procura i quattro giornalisti accusati di avere confezionato un finto dossier per danneggiare la Roma. Sul registro degli indagati, con l’ipotesi di diffamazione, sono finiti i nomi del giornalista Roberto Renga, del figlio Francesco e di due conduttori radiofonici, Giuseppe Lo Monaco e Mario Corsi, voce della Roma e noto ai giallorossi, e non solo, come «Marione». Gli inquirenti potrebbero decidere di interrogarli per chiarire come sia nata l’iniziativa e perché siano stati creati quei documenti. I primi accertamenti hanno consentito di recuperare le false trascrizioni di alcuni sms e, nel cellulare di uno degli indagati, una foto che riproduceva il dossier taroccato. Il materiale finito sotto accusa riguarda la squadra ma, in particolare, il direttore generale Franco Baldini e il consigliere di amministrazione Mauro Baldissoni, ai quali venivano attribuiti rapporti con la massoneria e presunti affari personali nell’ambito del calcio mercato. E anche loro, le vittime, potrebbero a breve essere convocate dai pm per raccontare quali rapporti avessero con i presunti truffatori e il movente per il quale avrebbero voluto danneggiarli. Ma intanto l'inchiesta, coordinata dal procuratore reggente Giancarlo Capaldo e dal pm Paola Filippi, potrebbe anche allargarsi. Gli inquirenti vogliono stabilire se i quattro abbiano agito da soli o se a confezionare quel dossier, evidentemente falso, ci fossero anche altri. Perché nella creazione dei documenti, che gli indagati avrebbero tentato di mettere in circolazione, potrebbero essere coinvolti anche altri soggetti un tempo legati alla gestione della famiglia Sensi e ora esclusi dai nuovi proprietari. Personaggi che non si sarebbero arresi all’idea di essere tagliati fuori dai giochi. Le posizioni di queste persone saranno esaminate nei prossimi giorni. Il sospetto è che la paternità dell’iniziativa possa essere attribuita a un gruppo di scontenti, che non avrebbero accettato le scelte dell’attuale proprietà della Roma calcio. Personaggi pronti a danneggiare, con documenti contraffatti Baldini e Baldissoni. L’indagine della procura è partita proprio da una denuncia presentata dalla società alcune settimane fa, dopo il tentativo di Roberto Renga di rifilare alla «Iena» Paolo Calabresi il materiale sui vertici del club. Renga avrebbe sostenuto di possedere la trascrizione di alcuni sms di Baldini e Baldissoni. Documenti scritti a mano dai quali sarebbe emerso che i due dirigenti giallorossi erano legati alla massoneria e avrebbero fatto affari con le operazioni di calcio mercato. I documenti finiti sotto accusa sono già stati sequestrati dalla Digos. Ma intanto Renga afferma: «Io vado a dormire tranquillo». ___ Roma sotto attacco: l’inchiesta si allarga Presto nuovi interrogatori degli inquirenti che hanno definito «falso» il dossier su Baldini & Co. Il caso Quattro al momento gli iscritti nel registro degli indagati ma sarebbero coinvolte anche altre persone di TIZIANO CARMELLINI (IL TEMPO 18-03-2012) L’inchiesta si allarga e nel calderone del Procuratore capo reggente di Roma Giancarlo Capaldo finiscono altri nomi: e non tutti legati «solo» al mondo dei media romani. Il dossier che i «soliti noti» stavano preparando per screditare il direttore generale della Roma Franco Baldini e il Consigliere di Amministrazione giallorosso avvocato Mauro Baldissoni, è risultato totalmente falso e dopo le perquisizioni dei giorni scorsi (irruzione in casa di uno dei giornalisti coinvolti e nella sede della radio nella quale uno degli indagati conduce un programma), nella prossima settimana gli inquirenti dovrebbero iniziare ad ascoltare i diretti interessati e anche i due dirigenti giallorossi come «parti offese». Al momento, secondo quanto risulta all’agenzia Ansa, sarebbero quattro i nomi iscritti nel registro degli indagati: Roberto Renga (che si dice «tranquillo e pronto a querelare tutti coloro che lo stanno screditando») giornalista in pensione con una lunga carriera partita a Paese Sera e conclusa al Messaggero, il figlio Francesco (avvocato), il conduttore radiofonico Mario Corsi (negli ambienti del tifo romanista conosciuto meglio come «Marione», che su Centro Suono Sport conduce il programma «Te la do io Tokyo») e il giornalista, a lui riconducibile, Giuseppe Lomonaco. Gli inquirenti sospettano che nella vicenda possano essere coinvolti altri soggetti un tempo legati alla gestione della famiglia Sensi ed ora «esclusi» dai nuovi proprietari. E anche queste posizioni saranno esaminate nei prossimi giorni. Oltre all’accusa per diffamazione e truffa, ora si starebbe indagando anche su un presunto tentativo di estorsione. Non ci sarebbero però filmati tra gli elementi raccolti dagli inquirenti, ma molto materiale scritto, che mostrerebbe come gli indagati cercavano di screditare Baldini & Co. . In particolare, secondo quanto risulta agli inquirenti, Roberto Renga avrebbe avvicinato la «iena» Paolo Calabresi sostenendo di possedere documenti, in particolare trascrizione di sms compilati a mano, dai quali emergerebbe che i due dirigenti giallorossi sono massoni e che ci sarebbe una sorta di «cresta» sulle operazioni di calcio mercato. Materiale ritenuto infondato e sequestrato dalla Digos che nelle prossime ore potrebbe far partire altre perquisizioni. Ovvio come, con l’inchiesta ancora in corso, la Roma «ufficialmente» non parli, così come i suoi dirigenti (Baldini è di ritorno dagli States dove ha chiuso l’accordo con Disney, annuncio atteso oggi) che si sono messi a completa disposizione degli inquirenti. La domanda che rimbalza nell’ambiente giallorosso è: perché? Probabilmente perché la Roma, ora «ripulita» da debiti e in via di ristrutturazione totale, è tornata a far gola. O forse riemergono vecchie ruggini dal passato di qualche personaggio che già ha avuto a che fare con Baldini in un’aula di tribunale e che non si è dato ancora per vinto. Incredulo il tecnico giallorosso Luis Enrique sulla vicenda: «È brutto - ha detto - mi dispiace che coinvolga persone con cui lavoro ma non voglio parlarne. In Spagna non è mai successo». ___ CALCIO E VELENI di MARCO CIAFFONE & GIUSEPPE SCARPA (la Repubblica - Roma 18-03-2012) Falso dossier sulla Roma, l´inchiesta si allarga Vittime e indagati in procura. Al centro delle indagini gli scontenti della nuova gestione Uno degli indagati per diffamazione, il giornalista Roberto Renga ha detto «di dormire sonni tranquilli». Eppure le indagini della procura e della Digos sul falso dossieraggio ai danni del dg giallorosso, Franco Baldini, e del consigliere di amministrazione, Mauro Baldissoni, sembrano essere a un buon punto. I primi riscontri per dimostrare la falsità dei documenti secondo cui, oltre a essere massoni i due farebbero anche la cresta sulla vendita dei calciatori, sono già stati trovati dagli inquirenti (infatti sono state recuperate le false trascrizioni e nel cellulare di uno degli indagati una foto che ritraeva gli stessi falsi). Accertamenti che si potrebbero allargare. Non solo il giornalista, il figlio Francesco, Giuseppe Lomonaco e Mario Corsi, ma anche altri personaggi legati alla vecchia società. Gente che è stata estromessa dalla nuova dirigenza e che non si sa rassegnare. Sarebbe questo il movente del dossieraggio "alla vaccinara". La settimana prossima gli indagati, ma anche Baldini e Baldissoni, potrebbero essere sentiti dal procuratore reggente Giancarlo Capaldo e dal pubblico ministero Paola Filippi. Mentre chi dorme sonni tranquilli lancia sgradevoli minacce a Paolo Calabresi, la "Iena" che avrebbe svelato la truffa, Corsi e Lomonaco si sono autosospesi dalle loro trasmissioni radiofoniche e hanno dato mandato ai loro avvocati di occuparsi della situazione. E la nuova Roma sceglie il silenzio e aspetta che la conclusione dell´inchiesta che la vede parte lesa. L´unico a parlare è stato l´allenatore Luis Enrique: «È brutto, bruttissimo, e mi dispiace che sia capitato a persone per bene con cui lavoro. In Spagna non è mai successo questo». Ma a Roma, si sa, il calcio non è solo calcio. Da troppo tempo. ------- Le reazioni Come un terremoto tra i tifosi “Una roba da fantascienza” Marione: non so di che si parla, situazione incredibile È un terremoto per la tifoseria romanista la notizia della tentata truffa e diffamazione ai danni di due dei massimi dirigenti del club, il ds Franco Baldini e l´avvocato del cda, Mauro Baldissoni. I fan giallorossi si dividono sul fatto che, tra gli indagati, ci sia anche il romanista di lungo corso Mario Corsi, per tutti "Marione", lo speaker della radio giallorossa più seguita. C´è chi si erge a strenuo difensore di Corsi, una voce legata alle gioie delle vittorie come alla ricerca di consolazioni quando le cose non vanno bene. E allora le prove di quanto "spifferato" da Marione sarebbero nelle «assurde cessioni» dell´ultimo mercato estivo, nell´aver regalato calciatori di livello ai concorrenti per pochi soldi, o anche solo nel non aver mai visto chi davvero si nasconde dietro alla cordata che fa capo a Thomas DiBenedetto. Dall´altra parte del ring chi, anche rivangando le vecchie grane giudiziarie di Corsi, giudica lo speaker «da sempre un pallonaro, buono solo a prendere in giro i tifosi veri». Come Luciano, che si sfoga sul web: «Qualcuno non aveva ancora capito che la nuova dirigenza non avrebbe regalato prosciutti a Natale, e che i fortissimi interessi personali di Renga e Corsi nella Roma adesso sono da mettere da parte per la prima volta?». Una posizione condivisa sulle frequenze delle radio sportive capitoline, da chi per esempio sostiene che questa sia l´occasione per fare piazza pulita di «speaker che alzano troppo la voce». O c´è infine chi pensa che alla fine tutta la vicenda è «semplicemente una bolla di sapone». Il calcio è fatto anche di questo, di opinioni contrastanti su una vicenda sulla quale a far luce sarà la magistratura e non la curva Sud. Nel frattempo il diretto interessato, Mario Corsi, annuncia in diretta la decisione di autosospendersi dalla conduzione del programma "Te la do io Tokyo": «È la cosa più incredibile che è successa nella mia vita». Poi si difende e, nel botta e risposta con Giuseppe Lomonaco, suo compagno di trasmissione, ricorda un episodio risalente «ai primi anni di Franco Sensi, l´arrivo della Digos mentre noi criticavamo la Roma in modo feroce. Ora stiamo criticando la Roma nella stessa maniera e mi arriva questa cosa incredibile. Più che ridere non posso fare». Poi spiega incredulo che «Capaldo è una delle persone più importanti della procura di Roma», che la Digos «è l´antiterrorismo», che lui stesso, secondo le ricostruzioni di stampa, sarebbe «coinvolto nell´attività ai danni della squadra: rimango veramente allibito, l´unica difesa che posso fare è dire la verità su quello che è successo, però al giudice. Per il resto sono rimasto come un coglionazzo». A sorprendersi per tutta la vicenda è anche il tifoso giallorosso Maurizio Costanzo: «Roba da fantascienza, forse sarebbe meglio tornare a parlare solo di calcio. Mi sembra tutto abbastanza incredibile». ------- La replica Renga sereno "Io dormo tranquillo" «Io vado a dormire tranquillo, non mi è mai passato per la testa di usare la mia professione se non per motivi professionali». Così il giornalista Roberto Renga, il cui nome è finito tra gli indagati per tentata truffa e diffamazione ai danni della Roma, replica attraverso le frequenze di Radio Radio. «Ho letto ricostruzioni da film comico, ma le cose sono molto diverse e la magistratura presto lo farà sapere. Ho letto di estorsioni, ricatti, che avrei chiesto soldi alla Roma...Non ho mai pensato di truffare la Roma. È risibile pensare questo, non ho bisogno di ricattare o rubare». Renga ha spiegato che «tutto nasce da un documento che ho ricevuto, e che non è assolutamente né falso né scritto a mano, e che mi ha molto inquietato perché conteneva riferimenti precisi che mi hanno fatto preoccupare per la mia famiglia». Infine la "Iena", Paolo Calabresi: «Ho letto che lo avrei cercato: non è vero, mi ha cercato lui per un servizio, abbiamo avuto un colloquio in cui gli ho mostrato il documento che ha registrato e filmato. Io vado a dormire tranquillo, spero lo possa fare anche chi registra film di nascosto e ha un figlio che gioca nella Roma». -
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UFFICIO DI GENE di GENE GNOCCHI (SPORTWEEK 17-03-2012) -
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SPORTWEEK 17-03-2012 -
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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 17-03-2012) Stages, lo schiaffo a Prandelli E se va alla Juve o all'Inter ? A difesa della Nazionale (di calcio) e del suo ct, Cesare Prandelli, oggi è intervenuto il n.1 dello sport, Giovanni Petrucci. "E' sbagliato dire no agli stage della nazionale e questa decisione non può passare sotto silenzio''. La decisione, come noto, è stata presa, all'unanimità, dai venti presidenti di serie A: e pensare che il ct non chiedeva certo la luna, ma solo tre giorni (due notti a Coverciano) ad aprile per gli stages, quando ci sono le semifinali di Champions League (e il Milan, se come ci auguriamo fosse ancora in corsa, potrebbe essere esentato). Niente da fare, i club della Nazionale se ne infischiano altamente degli azzurri e dei loro impegni europei: è solo un fastidio, e se fosse per Aurelio De Laurentiis, non darebbe nemmeno i suoi giocatori per le partite amichevoli. "Sono certo - ha aggiunto - che i presidenti più saggi possano ritornare sull'argomento e rivedere la loro posizione negativa parlando con Abete e Prandelli e trovando una soluzione per le esigenze del Club Italia. La Nazionale è sempre stata e deve rimanere il valore più alto di un intero movimento e anche per questo auspico che si intensifichi il dialogo tra Prandelli e i tecnici di club per individuare quelle sinergie necessarie al supremo interesse del calcio italiano''. Abete se l'aspettava questa presa di posizione dei club, da tempo ormai in rotta con la Figc, e Prandelli l'ha digerita male. Il ct ha sempre ripetuto che il suo mondo è il campo di calcio, e il lavoro del selezionatore azzurro, pur avendolo fatto nel migliore dei modi, non l'ha mai convinto del tutto. Il suo sogno è tornare sulla panchina di qualche club. E' vero che ha il contratto con la Figc sino al 2014 ma non mi stupirei se a fine stagione, dopo gli Europei (che ovviamente spera di vincere...) dovesse andare via e approdare ad un club di prestigio. Quale? La sua Juventus è il sogno dei sogni (con Lippi come direttore tecnico) ma a questo punto entra in ballo anche l'Inter. . . Lotito e il tribunale di Roma: che fa adesso Palazzi? Claudio Lotito, presidente della Lazio, non si arrende: è stato sospeso da qualsiasi carica dirigenziale, tranne quella del suo club, e dopo aver perso il ricorso all'Alta corte di giustizia presso il Coni ora si è rivolto al tribunale di Roma chiedendo, in base all'ex art. 700, la sospensione della decisione. Così facendo ha infranto "la clausola compromissoria": che farà adesso il superprocuratore Stefano Palazzi? Lo deferirà magari fra due anni visti i suoi tempi "rapidi"? O la Figc farà finta di niente? In caso di sconfitta davanti al tribunale, Lotito comunque non potrebbe entrare nemmeno in consiglio di Lega (come invece scrive qualcuno che non conosce le norme...), mentre il suo posto nel governo del calcio (decisione il 20 aprile, a stagione quasi chiusa) potrebbe essere preso pare non più da Campoccia dell'Udinese ma magari da Andrea Agnelli che con la Figc è in guerra aperta e che ha chiesto ad Abete qualcosa come 444 milioni di danni.... -
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La Lega di A batte un colpo: via libera al contratto collettivo dei calciatori di MARCO BELLINAZZO dal blog Calcio & business (Il Sole 24 ORE.com 17-03-2012) La Lega batte un colpo e accelera sulla firma dell'accordo collettivo con i calciatori di serie A. Quello su cui le società e l'Aic si erano scontrati lo scorso anno fino a far saltare per sciopero (o serrata, dipende dai punti di vista) la prima giornata di campionato. Per far partire il torneo era stato siglato un accordo "ponte" valido fino al 30 giugno 2012. I club ora intendono siglare in tempi brevi il rinnovo e avere una base contrattuale più flessibile per il prossimo triennio. Almeno questo ha annunciato il presidente della Lega Maurizio Beretta. Sì al contratto. "Credo che già all'inizio della prossima settimana incontrerò Tommasi e arriveremo alla ratifica del testo definitivo con l'Aic", ha detto Beretta. L'assemblea dei presidente ha dato l'ok alla firma dell'accordo con i calciatori ma non ha effettuato le elezioni previste all'ordine del giorno per le cariche di Vice Presidente e di Consigliere di Lega. Ma in compenso è stato prolungato di tre anni il contratto di sponsorizzazione di tutte le competizioni organizzate dalla Lega Serie A con Tim, partner istituzionale dal 1998, migliorando il valore del precedente accordo biennale. No agli stage per la Nazionale. Per quanto riguarda gli stage chiesti da Prandelli ad aprile l'Assemblea, all'unanimità, pur comprendendo le esigenze della Nazionale, ha deciso che non sarà possibile mettere i giocatori a disposizione per ulteriori allenamenti poiché il campionato, con un calendario già affollato, si avvicina ad una fase delicata, ricca di impegni e decisiva della stagione. "I Presidenti sono stati costretti a dire di no - ha spiegato Beretta - certo nessuno vuole anneggiare la Nazionale e la nostra risposta non va interpretata come mancanza di attenzione per la squadra azzurra. Il problema é un calendario intensissimo e non potevamo fare diversamente a quattro-cinque giornate dalla fine del campionato". -
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EVVIVA LE PARRUCCHE (BENTORNATA IRONIA) di ANTONIO MONTANARO (Corriere Fiorentino 17-03-2012) Non si sa ancora quante parrucche (rosse, gialle, viola o tirate fuori dalle cantine) entreranno al Franchi. Ma, al di là dell’iniziativa anti Conte nata su Facebook, una cosa è certa: la partita contro la Juventus ha riacceso l’ironia, la voglia di stupire che ha sempre contraddistinto la tifoseria viola. Certo, non siamo ai livelli delle coreografie che lasciavano a bocca aperta mezza Italia (le prestazioni della Fiorentina di quest'anno toglierebbero l'entusiasmo anche a un bambino in una fabbrica di caramelle), però c'è qualcosa nell'aria che fa ben sperare: il tentativo di ritrovare quello spirito di comunità che fa sentire parte di un unico mondo club, allenatore, squadra, tifosi e città. Ci voleva l'arrivo della Vecchia Signora in bianconero per risvegliare l'orgoglio viola, ci vorrà una vera impresa perché i tifosi non ricadano nuovamente nell'oblio disincantato (e deluso). Questa sera la Fiorentina ha l'occasione per iniziare una nuova fase (in campionato e nei rapporti con la città): Delio Rossi e i calciatori — a leggere le dichiarazioni della vigilia — ne sono consapevoli. Ora tocca al campo dimostrarlo. Vincere contro la Juventus ancora imbattuta ridarebbe fiducia a tutti, dando il via nel migliore dei modi a quel processo di rinnovamento che in estate dovrebbe gettare le basi per un nuovo ciclo. I tifosi non aspettano altro, anche per gettare in aria le parrucche e ritornare a pensare a come tingere di viola curve e tribune, magari — chissà — più comode di quelle pur gloriose del Franchi. Vale la pena provarci, almeno. -
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A Firenze comunque un’altra stagione persa di OLIVIERO BEHA (olivierobeha.it 14-03-2012) Non starò a farla lunga su Catania. E’ vero, si è predisposta bene e doveva segnare malgrado metà squadra sia sotto tono. Ma non l’ha fatto, ha perduto e non ha più reagito. E sabato c’è la Juventus, le mani avanti sull’arbitro modello Parma, il rischio di precipitare ancora di più in classifica. Spero che Rossi punti al pareggio per strappare una vittoria, e non il contrario. Nel frattempo nessuno fa due più due: la notizia dell’interessamento della Fiorentina per Benassi, portiere del Lecce, se vera è fantastica. Non vi ricorda l’acquisto di Bojinov a gennaio nel campionato di Calciopoli, con Corvino poi arrivato a Firenze? E il Lecce sarebbe un concorrente per evitare la B? Ma si pensa che siano tutti con l’anello al naso (anche senza aspettare eventuali notizie leccesi da “Scommettopoli”)? Candidato a sostituire Corvino sarebbe Lo Monaco, del Catania. Prima di decidere, perché i Della Valle bros. , Mencucci e soci non si informano su molte stagioni catanesi specie nelle ultime partite? Così, tanto per chiaccherare: davvero nessuno è curioso? Magari Zenga è un interlocutore interessante. Magari. Oppure al tifoso scapato (con la “p” non con la “f” purtroppo) gli si può ormai dare di tutto. ------- Qui la Fiorentina c’entra meno… di OLIVIERO BEHA (olivierobeha.it 16-03-2012) E’ così difficile da capire ciò che succede da sempre e sta succedendo nel calcio?A giudicare dalle reazioni al mio ultimo post sì. Andiamo per ordine, anche se telegraficamente. Non vi risulta come risulta a me, agli addetti ai lavori, agli “zingari” Gegic e Ilievski delle scommesse, che da sempre le ultime partite del campionato siano merce di scambio? Solo che adesso con il monte-scommesse su di loro la faccenda è diventata colossale, per gli introiti e la quantità di partite combinate. Vi preoccupate solo della Fiorentina. Io no. Io mi ricordo di quando Della Valle entrando nel calcio e “fantasticando” di progetti affermò di voler “cambiare un calcio che così non andava”. Sono passati otto anni da quelle dichiarazioni. E allora? La notizia dell’interessamento a Benassi, portiere del Lecce, girava da giorni su internet e su qualche giornale. Di qui il mio commento. I pasticci tra Lecce e Fiorentina non sono di oggi. La domanda da fare a Lo Monaco, del Catania, papabile a quanto pare per Firenze, è: che sa di questi pacchetti di partite di fine campionato? Che cosa sa delle scommesse? Stesse domande agli allenatori che ha avuto in questi anni, il Catania come per molte altre squadre di A. E infine per la Fiorentina e i tifosi: volete questo calcio qui, basta che la Fiore batta la Juventus? Tenetevelo, però poi non lamentatevi se il calcio arriva al vostro riverito di dietro.