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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Su Moggi, Giraudo e Mazzini l’Alta Corte decide il 4 aprile di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 28-03-2012) ROMA. Si dovrà attendere la Settimana Santa, probabilmente mercoledì 4, per sapere se la più lunga sentenza della storia del calcio italiano, quella relativa alle radiazioni di Moggi, Giraudo e Mazzini, sarà l’inizio del Golgota infinito dei protagonisti di Calciopoli. Ieri l’Alta Corte ha assistito alla sfida in diritto, soprattutto, tra i legali della Figc, Medugno e Mazzarelli, e gli avvocati di Giraudo (Galasso e Krogh), prima, con quelli di Mazzini (unico incolpato presente), Flavia Tortorella che assiste anche Moggi e Viceconte, e quelli di Big Luciano (Prioreschi, Tedeschini, Rodella e D’Onofrio). La Figc ha interesse a che Moggi non si possa più tesserare («s’è sottratto al deferimento dimettendosi: deve scontare ancora 20 mesi») e teorizza che l’allucinante lunghezza dell’attesa della radiazione (4 anni e 11 mesi sui 5 anni della squalifica) siano a favore dell’imputato. Scuotono la testa i legali, ma anche i giudici: ma è “legale” che una radiazione arrivi così tardi, senza provocare l’annunciato ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo. «Decidiamo entro il 4 aprile», dice il presidente dell’Alta Corte, Chieppa, uscendo. Si parla di un forte dibattito nella corte, ieri, a differenza dell’udienza di ottobre, in formazione completa: tornato anche Luciani, oltre a Pardolesi, De Roberto, Lo Turco e Chieppa. Mostrate in udienza le slide che sintetizzavano le discrepanze prodotte dalla motivazione della sentenza su Calciopoli: nessuna partita taroccata, niente sorteggi truccati etc. «Manca l’aggravante per la radiazione e Moggi è fuori da sei anni dal calcio», dice Prioreschi. ___ GaSport 28-03-2012 -
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Juventus.com News Coppa Italia, dichiarazione di Andrea Agnelli 27 marzo 2012 Riguardo la questione della finale di Coppa Italia, il Presidente Andrea Agnelli ha espresso il proprio pensiero: «La Coppa Italia è definita da alcuni anni Coppa del Presidente della Repubblica quindi è naturale che la sede della finale sia a Roma. Appena tre anni fa si è disputata allo Stadio Olimpico la finale Barcellona Manchester United, non si vede per quale motivo non si possa giocare Juventus-Napoli». ___ Coppa Italia, chiusa la telenovela sulla finale: si resta a Roma di MARCO BELLINAZZO dal blog Calcio & business (Il Sole 24 ORE.com 27-03-2012) "Ho parlato con Petrucci pochi minuti fa, ora siamo d'accordo: la finale di Tim Cup si giocherà a Roma". Dopo una giornata di botta e risposta con i vertici del Coni, il presidente della Lega di Serie A Maurizio Beretta ha annunciato l'accordo: Napoli-Juventus andrà in scena all'Olimpico. "Voglio chiudere la porta - ha chiarito Beretta - ad ogni tipo di equivoco o dubbio. Stiamo lavorando e continueremo a farlo nei prossimi giorni, per garantire al più alto numero possibile di tifosi di partecipare a questo evento. Su questo - conclude - sono d'accordo con il presidente del Coni, che ho appena sentito al telefono". La notizia è arrivata dopo una serie di repliche e contro-repliche tra Lega e Coni. Petrucci, in mattinata, aveva ventilato l'ipotesi di non mettere a disposizione lo stadio Olimpico per la finale di Tim Cup, a seguito delle polemiche innescate nei giorni scorsi dal presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis. La Lega, nella persona del presidente Maurizio Beretta, era poi intervenuta rivendicando uno stadio in grado di accogliere il maggior numero di tifosi. A quel punto Petrucci aveva chiuso l'argomento: "Trovatevi un altro stadio". La querelle si è risolta grazie alla telefonata tra i due presidenti. Farla prima? "Io sono d'accordo con Andrea Agnelli quando dice che bisogna giocare a Roma. Per noi l'importante è garantire la presenza dei nostri tifosi, quelli che hanno la tessera del tifoso ma anche i tanti che non la hanno, che sono venuti a sostenerci per tutta la stagione e che sono venuti con noi in giro per l'Europa", ha detto il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis. -
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TEMPO SCADUTO di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 27-03-2012) Il calcio è "Cosa loro" Presidenti, sono. Infatti fanno i capi, giusto. Comandano in casa loro: i club di serie A, magnificamente accomodati sopra una montagna di debiti. Affari loro, fin qui. Il problema diventa di tutti, invece, quando fanno i capi a tutto campo, varcando i confini. Prendiamo Aurelio De Laurentiis, uno a caso: la finale della Coppa Italia fissata a Roma, dice e ribadisce, non gli sta bene, lo stadio è piccolo, magari pure brutto e comunque lui con quella partita deve guadagnarci di più. Gli ricordano che la sede è stabilita da tempo, che è già stato invitato il presidente della Repubblica Napolitano, che l'Olimpico ha ospitato due anni fa una finale di Champions, che all'estero si sganascerebbero dalle risate se un pazzo dicesse che va spostata una finale due mesi prima della partita. Pensate, chessò, all'Inghilterra: un Abramovich che si sveglia la mattina e dice che a lui Wembley come sede per la Coppa d'Inghilterra non piace. Non fa ridere l'idea?. Da noi no, non fa ridere. Diventa anzi una cosa talmente seria da spingere il presidente del Coni, Gianni Petrucci, a violentare una natura per cultura e abitudini prudente, dichiarando nei fatti una guerra senza precedenti al mondo del calcio, a quei presidenti: lo stadio, che è nostro, a queste condizioni non ve lo diamo più, dice Petrucci, perché siete voi a non meritarlo. Non siete capaci, non siete degni, e soprattutto non avete nessuno che freni la vostra intollerabile e quindi non più tollerata arroganza. Perché De Laurentiis sia chiaro, ha fatto il bullo, straparlando di Parigi, Milano o Timbouctou come scenari alternativi della finale, solo per ribadire che il proprietario, il capo, è lui. Non del Napoli (e chi glielo nega) ma proprio del pallone, o almeno della Coppa Italia. Dimenticando che il torneo non è suo, né della Juventus rivale in finale. Teoricamente sarebbe di tutti noi: un piccolo, centenario bene comune, occasionalmente organizzato e gestito da quel palazzo delle meraviglie che è la Lega calcio. Dice: la Lega è formata dai club della serie A, quindi è anche del Napoli e della Juventus. Giusto. Altrettanto vero è che la splendida congrega avrebbe un suo presidente, tal Beretta Maurizio, dimissionario da tempo immemorabile ma saldamente appostato sulla sua sedia che gli garantisce uno stipendio di 300 mila e rotti euro l'anno, da sommare naturalmente a quello altrettanto generoso del suo nuovo lavoro in Unicredit. Lui, Beretta, non ha trovato il modo in questi giorni surreali di dire pubblicamente, magari con un sorriso, meglio con un bel pugno sul tavolo, che il vecchio De Laurentiis scherzava, che naturalmente Roma non si tocca e che la gestione dei biglietti per la finale sarà rigorosamente controllata dalla Lega. Perché attenzione, questo dei biglietti è un altro bell'esempio di come intendono il calcio i nostri presidenti. Napoli e Juventus avevano già chiarito alcuni caposaldi: prezzo minimo in curva non inferiore ai 30 euro (il doppio dell'anno scorso, per Inter-Palermo), drastica riduzione dei settori dove vendere biglietti ridotti per i bambini (alla faccia della politica dello stadio per famiglie), prezzi esorbitanti per le tribune. Chi vuole esserci paghi e stia zitto, quanto lo decidiamo noi, mica quel fantasma di Beretta. Presidenti, appunto: quelli che fanno i capi anche in casa d'altri come De Laurentiis e quelli che non fanno i capi neppure in casa propria come Beretta. Quelli che straparlano e quelli che tacciono. Quelli che minacciano e quelli che si fanno minacciare. Quelli che quest'anno hanno licenziato 16 allenatori in serie A, stipendiandoli ancora per anni, e chissene frega dei bilanci. Quelli che chissene frega pure di Prandelli e dei suoi stage, della Nazionale, di Abete ( altro presidente silente, assente, inerte) di Petrucci (presidente invece che parla e dunque trattato come un grillo), dei razzisti che ululano e dei barbari che calpestano anche la memoria dei morti. Si pagano le multe e non si dice una parola, non sia mai poi quei razzisti e quei barbari decidano poi di non andarci più, allo stadio: sono clienti pure loro, perbacco. Presidenti del calcio, nell'Italia del 2012: quella in cui volenti o nolenti tutti si stanno dando una regolata. Tutti tranne loro. -
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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 27-03-2012) Stages, Coppa Italia e c. La Lega di A contro tutti... Uno scontro a tutto campo: da una parte Coni e Figc, dall'altra la Lega di serie A. L'ultimo (per ora...) schiaffio è arrivato dal consiglio di Lega di ieri: niente da fare per gli stages azzurri, se ne parlerà il prossimo anno, con il ct che rischia di non essere più Cesare Prandelli (vedi Spy Calcio del 17 marzo). Adriano Galliani aveva perorato la causa azzurra, ma c'è stato un no chiaro che sarà ribadito quasi sicuramente il 2 aprile nell'assemblea dove si dovrà decidere, tra l'altro, che fare coi diritti tv in chiaro che non sono stati ancora venduti. Petrucci si era speso molto a favore della Nazionale di calcio e aveva parlato sia con Galliani che con Andrea Agnelli. Lo stesso Giancarlo Abete aveva chiesto buon senso e un piccolissimo sacrificio, "siamo nell'anno degli Europei...". Ma il "muro" del no è compatto. Sembra quasi una sfida. La voglia di alzare il livello dello scontro. La Lega di A ha deciso di mettersi da parte, la collaborazione con le altre componenti del calcio è ad intermittenza, e a volte inesistente. Una situazione che non porterà lontano. Tra l'altro, la Lega sembra quasi ostaggio di Claudio Lotito. Il rischio che l'assemblea del 2 aprile venga ancora monopolizzata dal n. 1 della Lazio c'è, così come successo in occasione del consiglio di ieri. Il patron laziale, pluricondannato (frode sportiva in primo grado e aggiottaggio in secondo), non ci sta ad essere stato sospeso dalla Figc in base alla nuove norme etiche del Coni (che valgono non solo per Lotito, ovviamente) e per questo ha fatto ricorso al tribunale che deciderà il prossimo 3 aprile. Una volta nel calcio esisteva la clausola compromissoria, ora pare che non valga più nulla, o almeno non vale più nulla per qualcuno: comunque, la Figc, ricevuta la notifica, ha correttamente passato le carte al superprocuratore Stefano Palazzi: deciderà lui che fare (con calma, magari fra un annetto). Di sicuro Lotito strillerà ancora nell'assemblea del 2 aprile: vuole la solidarietà e l'appoggio della Lega ma ci sono delle società (Inter, Cagliari, Palermo) che non ci pensano nemmeno mentre altre sono dalla sua parte (vedi Genoa, Parma, Catania) e altre ancora hanno ben altri problemi e non se ne interessano assolutamente. Il guaio della Lega è proprio questo: quando dirigenti di lungo corso, e sicure capacità, come Adriano Galliani si fanno da parte e curano gli interessi solo dei loro club, ecco che manca una guida forte, carismatica. Non c'è nessuno che riesca a tenere insieme i presidenti, tantomeno Maurizio Beretta, in "uscita" dal marzo scorso. Ma questo vuole dire che la Lega va commissariata? Per ora funziona, male ma funziona. Prende le decisioni che deve prendere anche se magari con grosso ritardo. Non ha ancora ricostituito gli organi interni (vicepresidente e membri del Consiglio) per nemmeno deciso chi deve prendere il posto di Lotito in consiglio federale, ma basta questo per commissariare? Il rischio c'è indubbiamente se la situazione dovesse continuare con questo stallo "politico", più che funzionale. Soprattutto, con queste premesse, come faranno a trovare l'erede di Beretta? Quando si metteranno d'accordo fra veti incrociati, liti, eccetera? Gianni Petrucci sostiene con vigore, e da tempo, che una parte dei presidenti, non tutti, pensa solo a spartirsi i soldi, e non parla mai di etica. Ha ragione (ma non si arrende:"vado avanti come un carrarmato" , ci ha detto l'altro giorno). Basta pensare all'ultima uscita di De Laurentiis sulla finale di Coppa Italia: una figuraggia che si doveva e poteva tranquillamente evitare. Petrucci stima il patron del Napoli ma stavolta fra i due ci sono state forti frizioni. Anche se ovvio che si giocherà a Roma: è stato mandato già l'invito al presidente della Repubblica... -
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Magari! A me puzza di ultimatum: occhio che lo stadio ve lo facciamo chiudere di questo passo -
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AGLI ULTRÀ NON FAR SAPERE QUANT'È BUONA UNA FETTA DI POTERE Dall'Iran a Israele, dall'Europa dell'Est all'Argentina fino ai recenti scontri in Egitto, le curve sono spesso funzionali ai regimi. Che poi finiscono per temerle di ANDREA LUCHETTA (EXTRATIME 27-03-2012) Nel novembre 2009 lo spareggio per i Mondiali fece piombare Egitto e Algeria in piena crisi diplomatica. I tifosi cairoti accolsero il pullman degli ospiti con una sassaiola. Seguì una settimana di agguati, vendette e verità manipolate. Perfino Gheddafi s'offrì come mediatore. Sic transit gloria mundi. Di quelle notti è rimasta solo la tensione. Mubarak oggi è prigioniero, e se si trova dietro le sbarre lo deve anche agli ultrà. Solo 2 giorni fa i tifosi dell'Al Ahly hanno circondato il parlamento, chiedendo giustizia per il massacro di Port Said, di cui sospettano i gattopardi del vecchio regime. Il Beitar e il Likud Giovani, organizzati e rotti alla guerriglia. L'esempio egiziano spiega come gli ultrà siano parte integrante - e talvolta decisiva - del panorama politico. Si possono corteggiare o combattere, ma guai a ignorarli. Anche perché, spesso e volentieri, le curve si rivelano un sismografo prezioso. Secondo Tobias Buck, corrispondente del Financial Times, in Israele «le lamentele vengono di rado esposte in pubblico, ma il calcio è un'eccezione». L'ultima conferma è arrivata lunedì scorso, quando 300 ultrà del Beitar Gerusalemme hanno assaltato un centro commerciale. Cercavano i dipendenti di origine araba, picchiati, mentre le donne sono state prese a sputi. Ma per «uno dei più grandi scontri etnici nella storia di Gerusalemme» (ha scritto Haaretz) è stata aperta un'inchiesta solo dopo 6 giorni. I club israeliani nascono come emanazione dei partiti. Il Beitar da sempre è vicino alla destra e fra i suoi fan più illustri figurano alcuni primi ministri del Likud. La Familia, il nucleo duro della curva, va ben oltre: è un gruppo fascista che riesce a imporre la propria linea al club. Mai un giocatore arabo con la maglia giallonera, meglio uno scarpone «puro». In curva inneggiano a Ygal Amir, il colono ebreo che nel '95 uccise il primo ministro Rabin. Sfidarli non conviene. Teheran tra azeri e basij Il puzzle mediorientale si compone anche negli stadi. Come quello del Traktor Sazi, orgoglio di Tabriz, in Iran. Vicino alla frontiera con la Turchia vive una minoranza azera tanto folta quanto combattiva, che guarda oltreconfine. A novembre i tifosi del Traktor hanno indossato delle maglie con le bandiere di Azerbaigian e Turchia, storico alleato di Baku. La guerra civile in Siria - dove Ankara e Teheran si trovano su fronti opposti - ha fatto crescere la tensione anche qui. In Iran conoscono bene il valore politico del calcio. A maggio, durante un doppio incontro con i sauditi, sulle gradinate è andato in scena lo scontro silenzioso che oppone l'ayatollah Khamenei al presidente Ahmadinejad. Alcune centinaia di basij - una milizia vicina alla Guida suprema - hanno scandito slogan contro l'Arabia, storico nemico sunnita di Teheran, malgrado Ahmadinejad avesse imposto di abbassare i toni. La polizia, per la prima volta, ha reagito prendendo a bastonate i miliziani. Non ha osato ripetersi la settimana successiva. Allora è stato il pubblico dell'Esteghlal a sommergere i basji di insulti. Il pogrom contro i rom L'estremismo della Familia è comune a molte tifoserie dell'est europeo. Uno dei pogrom più recenti si è consumato a settembre in Bulgaria, dopo che alcuni malavitosi legati a un boss zingaro hanno investito un ragazzo. Immediata è partita la campagna anti-rom, culminata nell'intervento degli ultrà di Lokomotiv e Botev Plovdiv. Centinaia di tifosi hanno invaso Katunitsa, dove hanno incendiato le proprietà dello zar Tiro. L'ondata di austerity che scuote l'Europa ha mobilitato pure le curve, come in Grecia. Ma è in Romania che gli ultrà hanno raccolto un successo significativo. A gennaio la protesta contro la privatizzazione dell'assistenza sanitaria è degenerata negli scontri più violenti dalla caduta di Ceausescu, complice l'intervento delle tifoserie di Steaua e Dinamo. Dopo giorni tesi i manifestanti hanno ottenuto le dimissioni del primo ministro Emil Boc. Barras bravas al voto Come le curve contribuiscono a distruggere le carriere politiche, così possono aiutare a crearle. Ne sa qualcosa Mauricio Macri, ex n. 1 del Boca Juniors. Nel 2007 ha lasciato la Bombonera per il municipio di Baires, dopo una campagna in cui gli ultrà gialloblù hanno manifestato la loro preferenza. Per tacere di Luis Barrionuevo, già presidente del Chacarita Juniors. La sua candidatura alla provincia della Catamarca fu annullata per ragioni burocratiche. Ma il giorno delle elezioni non votò nessuno. Squadre di energumeni - fra cui vari ultrà del Chacarita - attaccarono i seggi, causando il rinvio della consultazione. «Le barras bravas sono funzionali al potere», sintetizza la Nacion. Partiti, sindacati, club. Non c'è settore pubblico in Argentina che non abbia sviluppato un rapporto clientelare con le curve. Un modello replicato in molti altri Paesi, dalla Serbia alla Russia. Fino alla Libia di Gheddafi, dove i tifosi dell'Al Ahly e dell'Al Ettihad Tripoli dimenticarono le rivalità per sostenere il Colonnello. Prima di venire sconfitti in battaglia dai nemici dell'Al Ahly Bengasi. -
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Il coraggio del buon senso È l'ora di dire basta a violenza e insulti di GIANFELICE FACCHETTI (CorSera 27-03-2012) C'è un campionato che vede tutte le squadre partecipanti a fondo classifica, un torneo senza soste che ogni domenica sugli spalti degli stadi italiani falcidia lo spirito stesso del gioco del calcio. Protagoniste indisturbate sono frange organizzate di imbecilli che deturpano la visione di quello che dovrebbe essere spettacolo e finisce per assomigliare sempre più a una squallida caricatura in cui la fa da padrone un linguaggio di insulti scritti e urlati. È in questa cornice oscena che possiamo collocare senza fatica l'ennesimo incontro tra Juventus e Inter, una bella partita sul piano agonistico condita come accade da anni a questa parte da cori macabri che non risparmiano nessuno, al di là della bandiera. Auguri di morte ai reciproci presidenti, Andrea Agnelli e Massimo Moratti, scambiati e ricambiati tra curve, per tragedie come quella dell'Heysel e di Pessotto cantate come canzoni da gita all'inferno, rievocazioni disgustose di chi non c'è più come Prisco e mio papà Giacinto. Serve altro per dire ad alta voce che il vaso è colmo e che ci vorrebbe un atto di forza per dare una svolta radicale a questa piaga? Occorrerebbe non liquidare ogni cosa come folklore come troppo spesso le istituzioni hanno fatto in questi anni; sarebbe necessario che le società stesse non spalleggiassero questa guerriglia fatta di parole che altro non è se non la logica conclusione di un atteggiamento ostinato e votato allo scontro. Quando tutto è consumato sembrano ridicole le multe come deterrente così come le scuse a cui non si può credere davvero se il buon senso è andato a farsi friggere fino al fischio finale. Manchiamo di coraggio, quello che servirebbe a zittire l'ignoranza che ci rimbomba attorno e a cancellare ogni striscione. Potremmo cominciare da un minuto di silenzio. Vero. Senza applausi. Ne siamo ancora capaci? -
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Il tormentone dal caschetto biondo SALVATE IL BAMBINO FILIPPO All’inizio era il baby tifoso disperato per la sua Inter Ora spopola in tv da opinionista. Ma a 9 anni è troppo di ALESSANDRO DELL’ORTO (Libero 27-03-2012) E adesso qualcuno, per favore, liberi il piccolo Filippo e gli permetta di tornare ad essere un bambino. Semplicemente un bimbo di 9 anni che fa la vita da bimbo di 9 anni e che ragioni da bimbo di 9 anni e che si diverta da bimbo di 9 anni e che pianga da bimbo di 9 anni. Che tifi pure Inter (a proposito, in bocca al lupo che di questi tempi non deve essere molto facile... ), ma da bimbo di 9 anni e a quel paese i grandi, le polemiche, gli striscioni, le televisioni e noi giornalisti. Già, Filippo. Non se ne può più di vederlo - con il suo simpatico caschetto biondo da birbante - su ogni canale, in tutti i siti web, negli stadi e negli studi come fosse un esperto di tattica, un ricco presidente, un attore di Hollywood o un genio della matematica. No, avremmo fatto volentieri a meno dell’ennesimo personaggio stile reality show, preso e sbattuto nel mondo della notorietà per continuare a raccontare una storia che invece è già abbondantemente terminata. Game over. SORRISI E NOSTALGIA E dire che Filippo - ovvio che in tutto questo non c’entra nulla - all’inizio era davvero la dimostrazione di come esiste un modo differente di vivere il nevrotico football italiano: ironia, semplicità, spensieratezza. E quando, sulle tribune di San Siro durante Inter-Bologna, il bambino ha esposto un cartello con scritto “Potete vincere? Altrimenti a scuola mi prendono in giro! Grazie. Filippo”, ognuno di noi è tornato nostalgicamente indietro nel tempo, ha riscoperto piccoli valori in disuso e ha ritrovato un innocente sorriso guardando una partita di pallone, cosa non da poco. I giornali si sono giustamente interessati a Filippo, le tv l’hanno ripreso, i fotografi si sono scatenati con i flash e così - quasi senza volerlo - è nata una piccola e simpatica star. Tanto che l’Inter ha invitato il piccolo tifoso alla Pinetina (ha incontrato la squadra, ha assistito all’allenamento e ha avuto in dono la maglia di Javier Zanetti con l’autografo) e i giornali hanno pubblicato le sue interviste («Io non cambio squadra, resto tifoso dell’Inter. Quando abbiamo vinto il triplete ero io a prendere in giro i miei amici, ora posso girare a testa alta... Spero che questo cartello esposto con il Bologna sia l’ultimo che mostrerò». E dopo aver conosciuto meglio Filippo, tutti - anche i più diffidenti - si sono convinti che lo striscione era davvero opera sua: «L’idea mi è venuta in mente perchè vedevo l’Inter perdere da qualche partita, mio papà mi ha proposto di andare a vedere Inter-Bologna e io gli ho detto che, se perdevamo, a scuola mi avrebbero preso in giro. Da lì è nata l’idea di scriverlo. I prossimi risultati? Spero che l’Inter ritorni presto a vincere, anche perché io non cambio la mia squadra. Piuttosto cambio la scuola. . . », aveva aggiunto brillantemente il piccolo in risposta ai tifosi juventini che, per ironizzare, la settimana dopo avevano esposto un cartello con scritto: «Filippo, o cambi squadra o cambi scuola». ECCESSI ALL’ITALIANA Fin qui tutto bene. Simpatico. Genuino. Poi, però, i soliti eccessi all’italiana. Filippo (o chi per lui) si è sentito in obbligo di continuare a far parlare di sè e si è presentato allo stadio con altri striscioni, tipo quello con scritto «Nella vita bisogna saper perdere. Io la lezione l’ho imparata... Voi dimenticatela!», oppure quello con i disegni di oggetti porta fortuna come peperoncino, quadrifoglio, aglio e ferro di cavallo. Poi, sono arrivate le tv e i programmi in diretta, le ospitate (Telelombardia) e il ruolo di opinionista fisso. Ne avremmo fatto volentieri a meno e che nostalgia di quel cartellone esposto in occasione di Inter-Bologna. Che nostalgia di quel modo differente di vivere il nevrotico football italiano, con ironia, semplicità e spensieratezza. Qualcuno, ora, liberi il piccolo Filippo. E gli permetta di tornare ad essere - semplicemente - un bambino tifoso dell’Inter. -
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Radiazioni: oggi appello per Moggi e Giraudo Giudicherà l’Alta Corte del Coni, sentenza a giorni. Le difese puntano sul “precedente Preziosi”, annunciano raffronti visivi ed. . . effetti speciali. Se va male Tar o Corte europea di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 27-03-2012) ROMA. Il rigore più lungo della storia è una pagina indimenticabile della letteratura calcistica: Osvaldo Soriano con ironia lo introduceva ricordando un penalty durato una settimana. Quella che neanche oggi avremo dall’Alta Corte di Giustizia presso il Coni, con l’eccellenza di Roberto Chieppa a dirigere le danze, dovrebbe essere la sentenza più lunga della storia del calcio: oggi pomeriggio udienza, nei prossimi giorni verdetto per sapere se Luciano Moggi , Antonio Giraudo e Innocenzo Mazzini devono pagare - dopo aver scontato quasi sei anni di stop - anche con la radiazione come stabilito dalla Corte Figc il 9 luglio 2011 i fatti di Calciopoli per come vennero proposti nel giudizio sportivo del 14 luglio 2006. Oggi al Coni si combatte una battaglia, l’ultima in sede sportiva, che affonda le radici più recenti nel comunicato federale 143/A del 3 marzo 2011 (dopo due pareri della Corte Figc) che disponeva un giudizio (accusano i legali di Moggi, Giraudo e Mazzini «ad hoc»). Poi il passaggio del ricorso contro la norma che d’ora in avanti chiameremo il Moggiarellum: era l’aprile 2011. E la prima pronuncia della suprema corte dello sport: l’Alta Corte chiede alla Figc un processo che “attualizzi” le sentenze rese nel 2006, era il 24 maggio 2011. E la Figc come attualizza: Palazzi davanti alla Disciplinare il 15 giugno 2011 e poi alla Corte di Giustizia sostiene che si deve attualizzare solo l’interesse a radiare Moggi & C. La norma transitoria manca, la squalifica a tempo sta per scadere, ma la radiazione arriva il 9 luglio 2011: 4 anni 11 mesi e 25 giorni dopo la prima condanna? Da ottobre, poi, ricorsi all’Alta Corte che impose il 27 la produzione di una serie di documenti alla Figc (quali altre condanne analoghe sono state irrogate, e quando). Acquisita, nel frattempo, la sentenza di Napoli e le motivazioni, lo scorso 6 febbraio: oggi si torna in aula. Con i legali che annunciano effetti speciali e un raffronto visivo tra le ragioni della sentenza sportiva 2006 (quella non attualizzata da Palazzi) coi sorteggi pilotati e un campionato 2004-2005 atteso come taroccato, con Paparesta rapito, le griglie esclusive (maddeché), la Juve favorita, le ammonizioni mirate. Tutto quello che la giudice Casoria ha fatto scomparire dalla sentenza di condanna dell’8 novembre. Tra i patti in deroga con Preziosi e altri vizi si combatte l’ultima battaglia. Prima del Tar o della Corte europea dei diritti dell’uomo. Perché come si è visto allo Juventus Stadium, Calciopoli senza giustizia non finisce. ___ GaSport 27-03-2012 -
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Urla e nervi tesi in Lega La battaglia di Lotito per il ritorno in Figc Il presidente della Lazio chiede ai club di sostenerlo nel ricorso civile. Cellino e Zamparini obiettano e in Consiglio scoppia il caso di MARCO IARIA (GaSport 27-03-2012) Altro che riforme, altro che governance. La Lega continua ad accartocciarsi su se stessa e a complicarsi la vita: sulla finale di Coppa Italia potete leggere [più sotto], in realtà il piatto forte della giornata ha avuto un protagonista indiscusso, Claudio Lotito. Il patron della Lazio avrebbe dovuto recitare da comparsa nella riunione di ieri del Consiglio di Lega, a cui era stato convocato solo in qualità di uditore perché sospeso dalla carica di consigliere federale dopo la condanna in primo grado per Calciopoli. E invece è stato uno show. In Tribunale I consiglieri di Lega si sono ritrovati sul tavolo il ricorso d'urgenza (ex articolo 700) presentato da Lotito al Tribunale civile di Roma e in discussione il 3 aprile, contro la Federazione che l'ha escluso dal governo del calcio italiano recependo le nuove norme etiche del Coni. La Lega, in quella sede, è stata citata da Lotito come «convenuta». Insomma, spettatrice passiva, ma poi mica tanto. Perché la Serie A è chiamata a dire la sua sul nuovo articolo 8 bis delle Noif, quello che le dà la facoltà di nominare un supplente di Lotito in Federcalcio. In ballo, al di là dei tecnicismi, ci sono equilibri politici delicatissimi. In sostanza Lotito, in ragione dei suoi convincimenti, si aspetta che la Lega lo sostenga nella sua battaglia personale contro le istituzioni sportive. Per la verità lo ha già fatto nei mesi scorsi quando ha chiesto la modifica dell'articolo 22 bis delle norme federali per consentirgli (come poi è accaduto) di tornare a fare il presidente della Lazio. Ma adesso è diverso. Salto di qualità L'Alta corte di giustizia presso il Coni ha bocciato il ricorso di Lotito definendolo «in parte inammissibile e in parte infondato». Nelle motivazioni, tra l'altro, si osserva che la Corte costituzionale «ha ripetutamente riconosciuto la legittimità di leggi che disponevano la sospensione o la decadenza dei titolari di cariche pubbliche elettive o di pubblici impieghi, ove questi fossero stati raggiunti da un rinvio a giudizio per talune fattispecie di reato o, più ancora, condannati, ancorché con sentenza non passata in giudicato». Ora Lotito si è rivolto alla magistratura ordinaria con tutti i rischi legati alla violazione della clausola compromissoria. Ieri gli animi si sono accesi proprio nel momento in cui Lotito ha chiesto ai colleghi un appoggio davanti ai giudici (tecnicamente «ad adiuvandum») che andasse oltre la solidarietà di facciata. Cellino, soprattutto, e Zamparini hanno battibeccato con lui. Paolillo, un altro notoriamente su posizioni divergenti, era già andato via. Lotito è arrivato a urlare frasi del tipo «devi vergognarti»: si sono udite dal quarto piano fin giù al pian terreno. Quesito legale Alcuni club hanno chiesto il parere dell'avvocato della Lega, Ruggero Stincardini, il quale ha spiegato che effettivamente esiste il pericolo-trascinamento della violazione della clausola compromissoria: anche lui è stato pesantemente attaccato da Lotito. Una cosa — è il ragionamento di diverse società — è rivendicare l'autonomia della Lega, un'altra andare alla guerra con Figc e Coni magari rischiando il commissariamento. Lotito se l'è presa pure contro chi gli ha fatto notare che non era il Consiglio la sede adatta per assumere decisioni di rilevanza politica. Così se ne parlerà alla vigilia dell'udienza, nell'assemblea del 2 aprile convocata pure per decidere il da farsi sui diritti tv in chiaro. ------- LA CONFERMA Coppa Italia, resta a Roma la finale Posti da rivedere Olimpico: tribune divise a metà Ma De Laurentiis punge ancora «Se avremo dubbi si va altrove» di MATTEO BREGA & MARCO IARIA (GaSport 27-03-2012) Diciamolo forte e chiaro per evitare fraintendimenti: la finale di Coppa Italia tra Juventus e Napoli del 20 maggio si giocherà all'Olimpico di Roma. Certo, i tifosi si sarebbero aspettati una parola di (definitiva) verità da parte dell'organizzatrice dell'evento, la Lega di A, dopo la provocazione di De Laurentiis («giochiamo la finale a Milano, oppure a Parigi o Londra»). E invece ieri, al termine dell'incontro ad hoc con Juventus, Napoli e Lottomatica, il presidente Maurizio Beretta è rimasto zitto, mentre a pochi metri di distanza il patron azzurro continuava ad alimentare dubbi: «Se esistono tutte le condizioni perché sia una bellissima festa gradirei giocarla a Roma ma, se avremo dubbi, vireremo da un'altra parte. Mancano quasi due mesi, abbiamo tutto il tempo. Chi ha l'impianto ha determinate esigenze, come chi gestisce la sicurezza, come la Juve e Napoli: quando tutte le esigenze troveranno un comune denominatore sull'idoneità a disputare la partita si deciderà lo stadio in maniera irrevocabile. Petrucci ha criticato l'ipotesi di uno spostamento? Chi ha cervello faccia in modo che il calcio si modernizzi, chi lo ha guidato finora non mi sembra che ne abbia avuto così tanto». Retroscena La Lega, informalmente, spiega che non serviva confermare alcunché perché la sede è stata scelta anzitempo: insomma, resta Roma. Corretto, ma in casi del genere — quando la confusione regna sovrana e i tifosi reclamano certezze — una parola in più non guasta mai. De Laurentiis, dietro la cui minaccia si cela la voglia di essere protagonista dell'organizzazione e non di subirla, ha comunque ottenuto di rivedere la distribuzione dei settori dell'Olimpico, che era stata stabilita dalla Lega con l'Osservatorio e che assegnava tribuna Monte Mario e curva Sud alla Juve, Tevere e Nord al Napoli: sarà chiesto di dividere a metà le due tribune, a costo di perdere 2-5 mila posti e di scendere dall'attuale quota di 33 mila biglietti a società. -
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Dito medio a tifosi razzisti Mosca, calciatore nei guai della redazione sportiva de l'Unità.it 26-03-2012 Il razzismo negli stadi continua a essere al centro del dibattito pubblico in Russia, Paese che ospiterà i campionati mondiali di calcio del 2018. Dopo le banane lanciate dagli spalti a giocatori di colore, come il brasiliano Roberto Carlos, l'ultimo episodio vede i tifosi come «vittime» dei calciatori. Ieri l'attaccante dello Spartak di Mosca, il nigeriano Emmanuel Emenike, ha mostrato in diretta nazionale il dito medio alla tifoseria dell'avversaria Dinamo, che aveva intonato ripetuti insulti a sfondo razziale. Come riporta il quotidiano online Gazeta.ru, il gesto del giocatore verrà giudicato dalla commissione etica della Federcalcio russa, organismo nato di recente proprio per affrontare i problemi di razzismo, estremismo e xenofobia, in crescita nel Paese. Stando alla Federazione calcio, Emenike avrebbe violato il codice etico in cui si stabilisce che «i giocatori respingono ogni manifestazione di rozzezza e maleducazione dentro e fuori il campo da calcio». Pur ammettendo di aver sbagliato, l'attaccante nigeriano ha dichiarato di non aver mai avuto a che fare con un razzismo «così animalesco». «Ora capisco perfettamente cosa hanno provato Roberto Carlos e Christopher Samba», ha dichiarato Emenike. Il brasiliano e il congolese, entrambi giocatori dell'Anzhi Makhachkala, sono stati vittima di episodi di razzismo con il lancio di banane dalle tribune. Al primo è successo l'anno scorso, a San Pietroburgo e a Samara, mentre il secondo ha visto cadere ai suoi piedi una banana, lo scorso 18 marzo, mentre rientrava negli spogliatoi al termine dell'incontro del campionato russo contro il Lokomotiv Mosca. Secondo quanto riportato dai giornali locali, il congolese avrebbe raccolto il frutto per poi rilanciarlo verso gli spalti. -
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Calciopoli e il mistero del faldone segreto Al processo di Napoli a Moggi l’hanno definito il 'fascicolo del Calcio Graal', perché chi potrebbe parlarcene o non lo fa o è passato a miglior vita. di SIMONA AIUTI (ITALIA chiama ITALIA 25-03-2012) Da anni c’è un mistero in Calciopoli ed è un faldone d’indagine che il pm milanese Ilda Boccassini custodisce o conserverebbe in archivio. Al processo di Napoli a Moggi l’hanno definito il “fascicolo del Calcio Graal”, perché chi potrebbe parlarcene o non lo fa o è passato a miglior vita. Questo fascicolo dovrebbe contenere la confessione al vetriolo del fischietto gola profonda Nucini, ma essendo stato archiviato a “modello 45”, ovvero notizie manifestamente infondate, nessuno può consultarlo, se non con l’autorizzazione della Boccassini. Sarebbe utile dare almeno una sbirciatina a questo documento, per capire se ciò che si è palesato, o si sospettava o si sapeva anni fa, è del tutto vero, insomma una sorta di prova del nove. Il faldone avrebbe potuto interessare Francesco Saverio Borrelli, per le indagini sugli illeciti sportivi, chissà? Ricordiamo il capo security Giuliano Tavaroli nell’interrogatorio del 29 settembre 2006, il quale riferisce che sul finire del 2002 incontrò Moratti e Giacinto Facchetti, e quest’ultimo disse di essere stato avvicinato da un arbitro di Bergamo che gli riferì del condizionamento delle partite attraverso un sistema che da Moggi portava all’arbitro De Santis. Tavaroli propose a Facchetti o di parlare con un maggiore dei carabinieri di Milano o di rivolgersi ai pm con un atto formale. Secondo Tronchetti Provera, Moratti aveva chiesto un aiuto alla procura nella persona della dottoressa Boccassini che gli suggerì di far venire quest’arbitro a denunciare la cosa. Invece ascoltato poi dall’Ufficio Indagini della Figc, il 3 ottobre 2006, Moratti ha detto che quando Facchetti gli disse che voleva denunciare in procura i fatti raccontati da Nucini, si oppose e aggiunse che semmai “doveva essere Nucini a segnalare il fatto” ai magistrati. Chi mente? Nel frattempo, proprio per tutelarsi, Facchetti si era registrato di nascosto le confessioni di Nucini che aveva spedito a infiltrarsi nelle linee nemiche, che avvicina l’arbitro De Santis, ficca il naso sul ds del Messina Fabiani (vicino a Moggi), fa da talpa a Coverciano, ma quel cd non si è mai trovato e per noi mai si troverà. Al processo di Napoli l’arbitro Nucini viene definito “inconsistente teste d'accusa”, non è stato capace di ricordare il giorno della sua visita in procura che a fatica colloca verso la fine del 2003. Sul resto è alquanto confuso, eppure non parliamo di vent’anni fa. Nell’udienza del 26 maggio 2009 fa presente che “qualcuno vicino alla società (Inter, ndr) ha consigliato che andasse davanti al pm Boccassini. Nucini confessa che non se l’è sentita di tradire Facchetti. Così alla Boccassini decide di non dire più niente: “Non ce l’ho fatta, ho trovato nella dottoressa Boccassini una delle donne più intelligenti, probabilmente aveva capito tutto. Non ha insistito, sono uscito dalla procura e la cosa è finita lì”. Incredibile, quando Prioreschi, uno dei legali in aula gli chiede spiegazioni a Nucini riguardo a cosa sarebbe stato detto alla Boccassini, lui replica: “Io a lei non glielo dico!.... Abbiamo parlato di calcio, dell’andamento del calcio”. Richiamato a deporre al processo napoletano il 15 marzo 2011 Nucini continua con dichiarazioni bizzarre. “Non firmai il verbale” (dalla Boccassini). Se questo fascicolo saltasse finalmente fuori si capirebbero tante cose. A cominciare dal famoso cd con la voce di Nucini, registrata di nascosto da Facchetti (circostanza riportata da Repubblica a maggio 2006 e mai smentita dai diretti interessati). Consentirebbe di dimostrare, o smentire, ciò che le difese degli imputati hanno sostenuto nel processo di Calciopoli, e cioè che qualora l’Inter si fosse rivolta con un esposto alla procura di Milano, avrebbe violato “la clausola compromissoria”, che blinda e lega le società a rivolgersi solo alla giustizia sportiva; che si attenda un’altra prescrizione anche nella giustizia ordinaria? Non dimentichiamo che è stata chiesta a Telecom una verifica sull’esistenza di determinati contatti telefonici monitorati proprio da Telecom stessa. Si tratta di utenze fisse e cellulari che potrebbero essere le stesse che Nucini avrebbe rivelato a Facchetti, che a sua volta avrebbe girato a Tavaroli il quale le avrebbe passate ad Adamo Bove (morto suicida nel luglio 2006) che le avrebbe fatte sviluppare alla segretaria Caterina Plateo. La signora Plateo ammetterà poi come tra i numeri controllati da Tavaroli & co c’erano quelli della Juventus, del guardalinee Cenniccola che usava De Santis, della Gea World, della Figc, e dulcis in fundo di Moggi. Se nessuno parla, ci mostreranno il faldone? -
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La Settimana Sportiva 26-03-2012 -
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Niente calcio a Ferragosto. Tommasi (AIC): “Presidenti incapaci di pensare oltre l’emergenza” di GIOVANNI CAPUANO (panorama.it 26-03-2012) Niente campionato a Ferragosto, come avevano proposto i calciatori. La stagione 2012-2013 della serie A inizierà come da tradizione nel week end del 25 e 26 agosto come anticipato da Panorama. it nei giorni scorsi. In Lega Calcio ha prevalso la linea dei presidenti. Troppi accordi commerciali già firmati per l’estate per pensare di cancellare tutto per fare posto al campionato. “Ne prendiamo atto” risponde ora attraverso Panorama.it Damiano Tommasi, presidente dell’AIC: “E’ una scelta in linea con il modo di agire degli ultimi anni. Si pensa a fare le cose senza guardare più in là dei sei mesi o dell’emergenza” Presidente Tommasi, è stata sconfitta la vostra linea: niente campionato a Ferragosto per evitare le notturne al gelo in inverno… “Nessuna sconfitta visto che non c’era nessuna proposta ufficiale. L’associazione calciatori purtroppo non è coinvolta nella stesura dei calendari e quindi poco possiamo fare. Le nostre erano solo riflessioni ma prendiamo atto che hanno scelto di fare diversamente”. Si è persa un’occasione per cambiare? “E’ una scelta in linea con il modo di agire degli ultimi anni. Si pensa a fare le cose senza guardare più in là dei sei mesi o dell’emergenza e quindi dei campi ghiacciati, delle temperature o dei calendari quando si presenterà il problema. E’ in linea con quanto riguarda l’organizzazione e gestione del nostro calcio”. Manca capacità di programmazione? “Si reagisce solo alle ma vale anche per il modo in cui si fa mercato e si costruiscono le squadre. Chi cerca di costruire un progetto sportivo resta in minoranza e sono pochissimi quelli che sanno prendersi responsabilità quando le cose non vanno bene”. Non sembra stupito di come è finita? “Non è che non sono stupito. Ogni giorno può essere buono per cominciare a fare le cose in modo diverso e che dia l’idea di avere lo sguardo un po’ più lungo”. Rassegnato? “Quest’estate ci sono anche le Olimpiadi che finiscono tardi e questo ha certamente influito però la nostra idea era riuscire ad aiutare in modo costruttivo il nostro mondo per gestire meglio queste situazioni. Non si trattava di far vedere chi comanda di più”. A che punto è la trattativa per la firma dell’accordo collettivo ponte che scade il prossimo 30 giugno? “Settimana scorsa abbiamo firmato il regolamento sui collegi arbitrali ed entro un mese andrà firmato l’accordo collettivo di settembre. Questi sono i tempi ma la verità è che al momento oltre la data del 1° luglio non esiste un accordo collettivo e ci dovrà essere. Il presidente della Lega Beretta ha detto che è un contratto innovativo e quindi siamo ottimisti che i contenuti siano condivisi. Lo siamo meno sulla reale volontà della Lega lo voglia firmare con una durata che sia quella che ci attendiamo”. C’è il rischio che dopo il 1° luglio si torni indietro alle vertenze della scorsa estate? “Il presidente federale Abete ha detto chiaramente che non accetta che si arrivi alla data del 1° luglio senza un nuovo contratto e noi condividiamo”. Ha l’impressione che i presidenti siano d’accordo o il rischio è che siano distratti da altro? “Il fatto che esiste un Consiglio di Lega con una parvenza di ordine decisionale sembra offrire garanzie”. Quindi vi aspettate di essere chiamati a chiudere entro fine aprile? “Certamente. Dobbiamo capire se va bene questo testo o si deve apportare qualche modifica”. -
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CALCIOSCOMMESSE Gravissime le accuse: dall’associazione mafiosa al riciclaggio Chiuse le inchieste, ora il pallone trema Tre procure hanno in mano una lista di partite comprate. E dai pm di Bari attesi a giorni sviluppi clamorosi di GIAN MARCO CHIOCCI & SIMONE DI MEO (il Giornale 26-03-2012) Dal catenaccio alle manette: sono tre le Procure che a brevissimo stravolgeranno il mondo del calcio sporco che più sporco non si può. C'è l'indagine-madre di Cremona su Beppe Signori e Cristiano Doni che ha «partorito» nuovi filoni devastanti che vedranno la luce al massimo dopo Pasqua. Ma ci sono anche (e soprattutto) gli esplosivi fascicoli di Napoli e Bari. Nei prossimi giorni, scaduti i tempi supplementari delle indagini, proprio dal capoluogo pugliese potrebbero vedere la luce le ultimissime novità collegate ai riscontri trovati incrociando interessi della Sacra Corona Unita, «zingari», giocatori e società corrotti. I pm baresi hanno indagato, finora, 17 persone tra cui sei ex calciatori del Bari (Alessandro Parisi, Simone Bentivoglio, Marco Rossi, Abdelkader Ghezzal, Marco Esposito e Andrea Masiello), tre gangster e alcuni tifosi. Il sospetto è che quasi il 50 per cento del campionato 2010/11 dei biancorossi sia stato messo all' asta. Più dei nove match già sott'osservazione, come Bari-Chievo (1-2), Parma-Bari (1-2), Bari-Sampdoria (0-1), Palermo-Bari (1-2), Bologna-Bari (0-4), Udinese-Bari (3-3), Brescia-Bari (2-0), Bari-Roma (2-3) e Bari-Lecce (0-2). In quest'ultimo incontro, che per ovvii motivi rischia di incendiare le tifoserie rivali, non ci sarebbe lo «zampino» degli zingari, ma addirittura un accordo ( da 300mila euro). Nelle carte processuali si fa inoltre riferimento a Lecce-Lazio (2-4) e a match delle serie minori, tra cui Taranto-Benevento. Nel filone barese, oltre al Bari, le posizioni più critiche sembrano essere quelle di Samp e Lecce. Ma ci sono anche clamorose new entry. I magistrati, che procedono per frode sportiva, associazione mafiosa e riciclaggio, avrebbero esteso le indagini anche ai dirigenti di alcune squadre, con cui i giocatori corrotti sarebbero entrati in contatto alla vigilia delle partite sospette. Novantesimo scaduto anche a Cremona per il «terzo tempo» dell’inchiesta sul calcioscommesse. Attualmente, gli indagati sono 120 (compresi i 41 giocatori tirati in ballo nel suo interrogatorio da Carlo Gervasoni), mentre al centro dell'inchiesta c'è il tentativo, da parte degli «zingari», di comprare squadre di B o di C1 ( il Como o il Grosseto) e di influenzare anche i campionati europei, compresi i preliminari di Champions League ed Europa League, oltre ad alcuni match tra nazionali come ArgentinaBolivia, Estonia-Bulgaria e Lituania-Bolivia. I pm di Cremona sono convinti che la gang degli asiatici abbia manipolato, o cercato di farlo, almeno 200 incontri dei campionati minori di Germania, Ungheria, Bosnia, Slovenia, Croazia, Svizzera, Francia e ovviamente- Italia. A Napoli le inchieste esplosive sono due. La prima riguarda le partite pilotate dal clan D'Alessandro di Castellammare di Stabia in Italia e all'estero e il riciclaggio di denaro sporco nelle agenzie di scommesse gestite dalla camorra. I pm antimafia, che indagano su 150 match «anomali », hanno messo sott'inchiesta pure Hector Cuper, ex mister di Inter e Parma e attuale allenatore del Racing Santander, accusato di aver passato ai boss 4 soffiate (poi rivelatesi fasulle) sui campionati spagnoli e argentini in cambio di 200mila euro. Gli approfondimenti investigativi sulla serie A italiana sarebbero una decina: in quest'ambito, i magistrati hanno ascoltato come testimoni - tra gli altri - Alberto Malesani, Claudio Lotito e Aurelio De Laurentiis. La seconda inchiesta è nelle mani del pool «Reati da stadio» e si sta concentrando, in particolare, su tre partite giocate dal club azzurro: Napoli-Parma (2-3), Sampdoria-Napoli (1-0) del 2010 e Lecce-Napoli (2-1) del 2011. In questo filone, in cui risulta indagato anche il giornalista sportivo Gianluca Di Marzio, è confluito pure il fascicolo ad alto voltaggio sulla presenza del boss Antonio Lo Russo a bordocampo durante alcune partite del Napoli e sulle puntate blindate a cinque zeri del clan degli «scissionisti » su cui i carabinieri di Castello di Cisterna, già nel 2010, avevano aperto un'inchiesta. Chiudono il giro (giudiziario) d'Italia le indagini aperte da Reggio Calabria a proposito di alcuni club controllati dalla 'Ndrangheta (Locri, Crotone e Rosarno) e di una serie di partite pilotate, anche con club campani, in serie D. -
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91°minuto di GIUSEPPE DE BELLIS (il Giornale 26-03-2012) Del Piero, un gol che vale 29 scudetti Del Piero. Ecco: il campione diventato gregario. Del Piero: quello che non gioca mai. Gol. La Juve che vince con l’Inter e lui che segna è un cerchio che si chiude. È l’ultima vendetta del post Calciopoli, polemica infinita che ci trascineremo ancora a lungo. Lui c’era allora e c’è ora. Lui ha fatto la B, mentre l’Inter vinceva tutto e i tifosi juventini morivano di rabbia. Il suo gol di ieri cancella molto, non tutto. Unodue. La Juve ha vinto a Milano e adesso a Torino. Uno-due, allora. Vale quasi quanto uno scudetto, sì. Perché c’è troppo in questa sfida, c’è così tanto da portare a perdere di vista il complesso delle cose. Meglio essere primi o umiliare l’Inter? Non è più così sicuro che sia una scelta obbligata. Il perché lo capisci all’inizio, quando la coreografia dello stadio della Juve torna alle sentenze di Napoli e della Figc: 28-29, scrive la curva bianconera, cioè i due scudetti tolti alla Juve a tavolino e assegnati all’Inter. Poi sotto lo striscione: «Ciò che è nostro è stato in campo sudato... ciò che è vostro è stato in aula assegnato». Ancora: «In B non sei mai stato perché la prescrizione ti ha salvato». Si parla di prescrizioni, di reati, di tribunali. Si parla di tutto ciò che non è calcio, ma che lo è diventato di riflesso. È l’ultima rivalità che è rimasta. Può normalizzarsi la politica, non più il calcio. Non ancora e soprattutto non ora. Ogni volta che si parla di Juventus-Inter o di Inter-Juventus, da cinque anni viene tirata fuori questa storia: Moggi e il post Moggi, lo scudetto degli onesti o lo scudetto di cartone. Il calcio è un dettaglio: dov’è? Cos’è? Qualcuno si ricorda quant’è finita l’ultima sfida tra queste due squadre prima di questa? La partita è il pretesto per parlare di questa grande storia molto italiana: una commedia dell' arte che non fa ridere, semmai fa venire un senso di noia da chiacchiera da bar. Tanto non se ne esce e non se ne uscirà: per i tifosi della Juventus gli scudetti saranno sempre 29 e non 27. Lo striscione è la prova. L’ultima. I tifosi dell’Inter, invece, considerano roba loro i trofei vinti a fine estate, con la penalizzazione di Juve e Milan. La Figc avrebbe dovuto pensarci prima, invece di chiudere in fretta quella stagione convinta che così si sarebbe risolto tutto. La velocità ha prodotto un mostro giuridico-burocratico che ha distrutto molte più cose di quanto abbia fatto lo scandalo di Calciopoli. Perché alimenta rivendicazioni di chiunque, perché banalizza a dato statistico qualcosa che di statistico ha poco. Così come è ora, Juventus-Inter non durerà mai più 90 minuti. I gol di Boninsegna, Rossi, Platini, Ronaldo, Ibrahimovic, Milito o chiunque altro sono improvvisamente diventati una questione da burocrati del pallone. Quello di Caceres che fa l’uno a zero per la Juventus appartiene alla stessa categoria. Serve alla classifica, sì. Serve a mantenere le distanze con gli avversari. Serve a far godere per una sera gli juventini. Quello di Del Piero, invece, sta da un’altra parte. Entra nella memoria dei tifosi non per la bellezza, né per l’importanza. Per loro è un risarcimento: vale quelli che contano 29 scudetti. Vale, soprattutto, per quelli che non hanno ancora scelto se sia meglio vincere il campionato o vincere con l’Inter. Ce ne sono. -
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Infatti. E poi "senza tirare in ballo 12 anni (per stare bassi) di calcio marcio" Olivari ha postato subito l'articolo: non ci ha dormito nemmeno la notte -
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Agnelli e il derby di Calciopoli di STEFANO OLIVARI dal blog GUERIN SPORTIVO.it 25-03-2012 Juventus-Inter è stata la sintesi perfetta della stagione delle due squadre, visto che una delle peggiori Juventus dell’anno ha battuto con merito quella che senza dubbio è stata la migliore Inter della gestione Ranieri, che a un certo punto ha pensato di togliere i due che stavano correndo di più. Una squadra di operai con qualche ingegnere di talento contro un’altra di architetti in pensione e stagisti precari. Una squadra con un futuro come la Juventus, che è ad un difensore e ad un attaccante di distanza dall’essere da corsa europea, contro un’altra che il futuro lo sta ingigantendo (significativo il pompaggio del successo nel Next Gen Series, definito pomposamente Champions dei giovani quando altro non è che un torneo ad inviti: tanto è vero che i campioni d’Italia della Roma non c’erano…) per coprire una austerity imposta da circostanze esterne. Inutile dire che i calciatori in campo si sono dimostrati i più intelligenti nell’avvicinarsi ad una partita che era caricata di aspettative soprattutto da chi sta fuori e da chi la stagione di Calciopoli l’ha vissuta da protagonista (magari per interposta persona). Forse fra qualche generazione si riuscirà a parlare di questa partita come di qualcosa di diverso dal derby di Calciopoli, senza tirare in ballo 12 anni (per stare bassi) di calcio marcio, ma Andrea Agnelli è giovane e quindi ha ancora tanti anni per rivendicare gli ultimi due scudetti di Moggi. C’è da capirlo, dal punto di vista affettivo, visto che Moggi alla Juve lo portò suo padre (e solo i media italiani potevano evitare, dopo le varie sentenze, l’accostamento fra Moggi e Agnelli), ma la vita va avanti lo stesso. Anche con 27 scudetti è vita. -
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Mourinho si lamenta Il Real Madrid si spacca Spogliatoio diviso sulle critiche all'arbitro dopo il Villarreal E i giocatori al tecnico: «Basta, sempre con la stessa storia...» di FILIPPO MARIA RICCI (GaSport 26-03-2012) «Meno trivote, mas tridente», chiede dalla sua prima pagina Marca al Madrid. «Meno polemiche, più gioco», chiedono i giocatori del Real al loro allenatore secondo quanto raccontato dal Pais, che nello spogliatoio della Casa Blanca ha informatori di primordine. Ieri il Madrid è partito per Cipro (dove affronterà l'Apoel nei quarti di Champions) contento per la manita rifilata alla Real Sociedad ma non tranquillo. Nonostante la vittoria, Mou ha allungato il silenzio stampa suo, di Karanka e dei giocatori. Zona mista deserta, cosa inedita al Bernabeu, e colleghi spagnoli che scuotono il capo. Oggi il silenzio verrà spezzato perché la Uefa obbligherà Mou (o Karanka) e un giocatore a parlare. Il virus Il «trivote», utilizzo in contemporanea di 3 centrocampisti di rottura, è considerato da queste parti il Grande Virus che attacca il Bel Calcio. Contro il Villarreal, squadra in enorme crisi di gioco e risultati, Mou è partito con Diarra, Khedira e Xabi Alonso. Salvo correggersi dopo mezz'ora. Ha preso un punto. Con la Real Sociedad al posto di Diarra c'era Kakà, e per Özil, squalificato, è entrato Higuain. Schieramento a trazione anteriore, spettacolo, occasioni, pioggia di gol, Bernabeu in visibilio. Da qui l'esortazione di Marca. Il no a Mou Che risponde anche al pensiero dei calciatori. Secondo quanto raccontato con dovizia di particolari dal Pais, Mou mercoledì notte a Vila-Real è entrato nello spogliatoio infuriato e ha ordinato ai suoi di dire che il pareggio era colpa dell'arbitro. A parte Pepe e Cristiano, che già avevano espresso la propria opinione davanti alle telecamere e con lo stesso arbitro (il difensore gli ha dato del «figlio di pũttana» e si è preso due turni di squalifica), gli altri non hanno aderito alla chiamata del condottiero di Setubal. Non hanno accettato di divulgare il suo pensiero da sindrome dell'accerchiamento e hanno anzi palesemente criticato l'idea: «Ancora con la stessa storia. Ciò che dobbiamo fare è giocare a calcio!», ha detto un giocatore a Mou con foga tra i fumi della doccia. José ci è rimasto malissimo, e per timore che l'ammutinamento potesse palesarsi di fronte ai microfoni, ha decretato il silenzio stampa. La riunione Giovedì però i suoi ragazzi gli hanno riservato un'altra sorpresa: Casillas e Ramos, che già nei mesi scorsi hanno avuto divergenze profonde e accese con l'allenatore, hanno indetto una riunione d'emergenza della rosa. Escludendo non solo Mou ma tutto il suo staff. Uno schiaffo secco al tecnico che ha sempre fatto del cementato cameratismo coi suoi giocatori le fondamenta su cui costruire le vittorie. Non è la prima volta che i giocatori lo riprendono: già dopo la sconfitta col Levante e il pari a Santander la rosa chiese a Mou di smetterla con le polemiche. Il portoghese abbassò i toni e arrivarono 15 vittorie di fila. Ora ci risiamo: a Valdebebas c'è in atto un altro scisma. Altra cosa: per Cipro non è partito Diarra, fermato da un dolore muscolare. L'altro ieri il Pais aveva raccontato nei dettagli la rottura totale tra Lass e Mou, col primo che ha accusato il secondo di essere un «traditore». Magari le due cose non sono collegate, però la coincidenza resta. Così come le richieste a José di stampa, tifosi e giocatori: «Più calcio, meno urla». Oggi, forse, la risposta di Mou. -
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Il commento I bianconeri sono cambiati e sono guidati benissimo. L’importanza della classe di Del Piero Più soluzioni e più magia per lottare col Milan di MARIO SCONCERTI (CorSera 26-032012) È stata la miglior partita dell'Inter da molte settimane a questa parte, però anche la peggiore perché ha mostrato che l'Inter ha condizione finché può pensare da grande squadra. Appena arriva la realtà, gli argini crollano e i limiti si rimettono tutti ai loro posti. La Juve ha la buona sorte di segnare su calcio da fermo. Sul colpo di Caceres si ferma definitivamente tutta la difesa interista. Il resto è una partita a senso unico. Merita leggere lentamente il nome dei marcatori. Uno è Caceres, acquistato a gennaio, già due gol al Milan a San Siro in Coppa Italia. L'altro è Del Piero, che scivola nella profondità come dentro un vecchio spartito e tira fuori un altro gol alla sua età. Va ricordato che Conte aveva cambiato faccia alla Juve due minuti prima del gol di Caceres, cioè quello da fermo. Ma nella scelta era entrata la qualità di Del Piero, la sua capacità di pensare calcio. Non si è mai troppo vecchi per giocare a calcio se si hanno le qualità di Del Piero. Il problema è il tempo che vuoi giocare. Del Piero, Totti, come un tempo Baggio e Mancini, possono andare anche oltre i 40 anni se si lasciano respiro. Con l'uguaglianza che c'è, con la monotonia della corsa e della fatica, la loro classe permette ancora di nascondere il pallone per molti anni, ma non per molto tempo nella stessa partita. È questa la scelta. Quanto giocare, non se. La Juve in sostanza sta bene e approfitta di un avversario vecchio negli anni e nei pensieri. Il gol di Caceres riporta in un attimo sull'Inter tutta la polvere che 50 minuti di calcio alla pari avevano tolto dai meccanismi. Non era vero, tutto qui. La Juve è a volte anche troppo incendiaria, cerca un ritmo che a stento riesce a controllare. La tecnica di Del Piero a questo doveva servire, a cercare di gestire la fretta. Però è una squadra in salute, pazza di se stessa e delle imprese che verranno. La sua continuità è irreale per il nostro campionato. Ventinove (30) partite per molti anni sono state un campionato intero. La Juve deve stare attenta adesso che la sua imbattibilità non diventi una buona ragione da temere. Quasi una piccola mediocrità come fu per il grande Perugia di Castagner, invincibile ma secondo. Conte sta però facendo il di più che qualche settimana fa gli è stato chiesto. La Juve è cambiata, ha più soluzioni, più magia, più coraggio. È guidata benissimo dal misticismo di Conte, una specie di esercito di monaci in cerca dell'antica Virtù. C'è esattamente qualcosa di religioso e medievale nell'insistenza con cui la Juve sta inseguendo il Milan, vissuto come modernità e lungo potere terreno. Calciopoli ha ottenuto di rinnovare completamente l'anima di questa squadra, come se le avesse reso il privilegio dei giusti dopo anni e anni passati a ottenere quello dei ricchi. Sullo scudetto la giustizia della causa ha poco conto sull'esito finale, un po' come pretendere che la vita sia giusta. Quindi è possibile che vinca il Milan. Ma è una Juve tornata di tutti. Finalmente non più solo di Moggi e Giraudo. -
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SETTEGIORNI DI CATTIVI PENSIERI di GIANNI MURA (la Repubblica 25-03-2012) IL SILENZIO DI BERETTA E LE PAROLE DI BALDINI Dove va il calcio? La domanda è frequente ma la risposta può attendere. Eccone una più di attualità: di chi è il calcio? Qui le risposte sono tante, variegate e già pervenute. Il calcio è di chi va in campo, non ci fossero i giocatori non ci sarebbe spettacolo. Il calcio è di chi lo finanzia, senza i soldi non ci sarebbero squadre. Il calcio è dei tifosi che lo scaldano con la loro passione, senza di loro gli stadi sarebbero vuoti. Se stiamo alle ultime vicende sulla prossima finale di Coppa Italia, il calcio è della Juve e del Napoli, le finaliste di una sfida che da mesi era stata fissata all´Olimpico di Roma. Troppo piccolo, ha sentenziato De Laurentiis, mica è detto che si debba giocare proprio lì, si possono studiare con la Juve altre soluzioni. E perché, di grazia? Si tratta del secondo stadio in Italia per capienza, ed è chiaro che il Napoli in finale attira più spettatori del Siena. Se in Spagna, che va di moda, un´ipotetica finale fosse fissata a Bilbao e ci arrivassero Real Madrid e Barcellona, nessuno chiederebbe il cambio di sede. Chi ha il biglietto ci va e chi non ce l´ha sta a casa, le cose sono sempre andate così. Tra l´altro, De Laurentiis dovrebbe saperlo, per i napoletani Roma è una sede molto comoda e vicina, come sarebbe San Siro per quelli della Juve. Il mio cattivo pensiero su tutta la manovra è che si stia cercando di spremere il massimo dalle tasche dei tifosi. Nessuno scandalo, abbiamo visto finali di Coppa in giro per il mondo, dalla Libia agli Stati Uniti. Ma basterebbe dirlo chiaro invece di perdersi in manfrine. La presidenza di Lega, diretta interessata, intanto che fa? La cosa che le riesce meglio, tacere. E bravo Beretta, 4. Non tace invece Franco Baldini, che si scusa pubblicamente con la Juve per i cori su Pessotto. Giusto, perché quando si imposta un percorso sull´etica poi non si può far finta di nulla. Il voto è 7, non altissimo perché lo considero un dovere: un dirigente deve metterci la faccia, anche se non è direttamente responsabile di quei cori, anzi se ne è sentito ferito come ogni persona di buon senso. Non tutti, al posto di Baldini, l´avrebbero fatto, questo almeno va detto. A proposito di voti, leggo su "La Stampa" che il direttore di "Marca" a Mourinho ha dato 1. Mi par di sentire il coro delle italiche vedove: e chi sarà mai il direttore di "Marca"? Per me, è uno che, a differenza di Mourinho, fa bene il suo mestiere. Intendiamoci, quando vuole anche Mourinho sa farlo, ma forse gli sta stretto. E´ un comunicatore di notevole talento, ed è un peccato che lo sprechi. Dare del figlio di pũttana a un arbitro che non ha fischiato due rigori enormi (sempre Arbeloa) contro il Real appare un po´ ingeneroso. Pepe, che non ha mai brillato per profondità del pensiero, dà del figlio di pũttana all´arbitro a partita finita e si becca due turni di squalifica. Ozil uno, Sergio Ramos la fa franca grazie a un errore di trascrizione nei referti, Ronaldo se la cava perché sì. Il preparatore Rui Faria, al quarto rosso in quattro mesi, becca due turni. E´ uno che si scalda facilmente e lo si può capire meglio con un anagramma: basta spostare una vocale e le sue generalità mutano in "Ira Furia". A Mourinho va malissimo, solo un turno, il martirio è rinviato. Il mio amico Santiago Segurola, prima firma di "Marca" ora anche presenza settimanale sulla "Ġazzetta", scrive che Mourinho non sa convivere con la sconfitta. In realtà, nemmeno col pareggio. Ne bastano due dopo undici vittorie di fila, il vantaggio sul Barcellona che scende da dieci a sei punti, ancora tanti, e via con gli insulti e le sceneggiate. "As", altro quotidiano di Madrid, commenta la moviola e dà ragione all´arbitro. Il 79 per cento dei lettori di "As" e "Marca" ha definito inadeguate le sanzioni contro il Real. Complimenti all´obiettività, qualcuno deve pure averla se la dominatrice della Liga non va oltre il pareggio contro una squadra che aveva collezionato un punto solo nelle ultime cinque partite. Se la giustizia calcistica in Spagna è blanda, quell´altra è invertebrata o inveterata, quando si tratta di doping. Intercettazioni difettose, così la Dominguez potrà correre a Londra. L´operazione Galgo esce bucata come un palloncino e la Spagna dei tribunali continua a mostrarsi molto bonaria quando si parla di doping. Voto 2. La nostra, al massimo, è lenta. Il 27 febbraio 2011, alla fine di Foggia-Gela (2-2) c´è una rissa in campo. Il Gela ha buttato fuori il pallone perché c´era uno del Foggia a terra, il Foggia non restituisce pallone e cortesia e pareggia. Il giudice sportivo si pronuncia e poi passa il fascicolo alla procura federale. Le sanzioni in merito sono state decise e comunicate pochi giorni fa. Voto 4. -
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CALCIOSCOMMESSE Marco Erodiani: Ecco come truccavamo le gare Il titolare dell’agenzia di scommesse sospettato di essere uno dei capi dell’organizzazione si confessa: Per combinare un risultato bastano tre giocatori di LUCA CARDINALINI (il Fatto Quotidiano 25-03-2012) Per i magistrati cremonesi era uno dei capi dell’organizzazione che aveva nel combinare partite di calcio, la propria ragione sociale. Massimo Erodiani, 38 anni, già titolare di due agenzie di scommesse (oggi vendute), ora aiuta la moglie nella tabaccheria di sua proprietà e pensa di andarsene via. La giustizia sportiva – giocava da portiere in una società minore di calcio a 5 – lo ha radiato, quella penale lo ha arrestato il 1 ° giugno scorso, tenuto 11 giorni in carcere e poi rilasciato. Per la prima volta decide di parlare. Abituato a maneggiare cifre – 1,2 , over 2,5, risultato esatto 2-4 o 3-1 – a rovinargli il sonno, oggi, è un altro numeretto, un poco più lungo: 416. È l’articolo del codice penale che punisce l’associazione a delinquere, in questo caso finalizzata alla truffa sportiva. Quando ha saputo la prima volta di partite “fatte”? Di molte partite si sapeva effettivamente il risultato prima ancora che iniziassero. Voci che girano tante in agenzia, a volte si lasciano cadere, altre volte no. Come è entrato in questo giro? Conoscendo Marco Pirani. Si sapeva di un dentista di Ancona che riusciva a combinare delle partite. Pirani era stato un dirigente dell’Ancona, aveva molte amicizie nell’ambiente calcistico, era uno scommettitore serio e puntuale, anche per conto di alcuni tesserati, i quali non possono nemmeno entrare nelle agenzie Quando l’ha conosciuto? Pagandogli la vincita, per Ascoli-Livorno, finita 2-3, maggio 2009. Ultima di campionato, il Livorno vinse in rimonta. (Ride). Il risultato è 0-0 al 45 °. Per arrivare alla combine, durante l’intervallo viene tagliata la rete di una porta e il secondo tempo inizia con sei minuti di ritardo. Nella squadra marchigiana giocano Giallombardo e Sommese, in panchina c’è Micolucci. L’A-scoli fino a una decina di minuti dalla fine vince 2-1, poi la doppietta di Tavano. Dai risultati degli altri campi l’Ascoli sapeva di essere salvo anche perdendo, il Livorno conquista i play off. Pirani aveva scommesso il risultato esatto. Scommessa quotata a 28 ma alla fine scesa a 12. Quanto guadagnò Pirani quel giorno? Tanto. Fu Pirani a presentarle Marco Paoloni? Sì. Me lo presentò come uno scommettitore accanito, giocava dai 10 ai 20 mila euro al giorno. Dice che lei, capito la sua malattia di scommettitore, gli apriva linee di credito per farlo indebitare sempre di più, con ricariche su posta pay. La prima settimana vinse 34 mila euro, pagati 24 in contanti subito e 10 a credito sulla card per continuare a giocare, la seconda settimana 51, 31 pagati con assegni, 6 in contanti e 10 a credito per giocare. Dalla terza settimana, è stato un disastro. A quanto ammontava il debito di Paoloni con lei? A 126 mila euro. Per questo iniziò anche a millantare combine, con gli zingari, i bolognesi, gente che investivano parecchi soldi nelle partite e che non dimentica. Altri colpi andarono a segno. Certo. Cosa devo dire? Inter-Chievo over doveva essere ed over è stato, Palermo-Napoli over, Bari-Lazio X primo tempo e 2 finale. Atalanta-Piacenza è stata venduta tre o quattro volte, a gruppi e da gruppi diversi. Era combinata anche Siena-Sassuolo, 4-0, over con reti imbarazzanti. O Novara-Cremonese, di cui finora non si è mai parlato. Quindi erano in parecchi a sapere, anche tra i giocatori… (Ride) Lei che dice? Quanti giocatori servono per “fare” una partita? Dipende. Per “farla” a perdere, ne bastano tre: il portiere, il difensore centrale e un centrocampista. Quando seppe del coinvolgimento di Signori, le cadde un mito? Sinceramente no. Nel nostro ambiente si sapeva che a Bologna comandava Signori. Certo erano voci, ma quando un giorno Bellavista mi disse che dovevamo andare a Bologna per incontrare un personaggio importante, non ebbi dubbi. Lo zingaro Ilievski ha raccontato di un incontro, avvenuto all’uscita autostradale di Ascoli, con lei in compagni di tre sosia di calciatori del Lecce… Ad Ascoli non c’è uscita autostradale, c’è quella di San Benedetto del Tronto. Ilievski venga in Italia e si faccia interrogare. Racconta anche del contatto via Skype con Daniele Corvia, dai risvolti tragicomici. L’accordo era per l’over di Genoa-Lecce, vollero parlare con Corvia in ritiro a Genova. Uno degli zingari poi mi raccontò che quando gli chiesero di fargli vedere il tatuaggio sull’avambraccio, il tizio chiuse subito la chat. Paoloni utilizzava il profilo di Corvia, col quale aveva giocato insieme nelle giovanili della Roma. Lei ha fatto 11 giorni di carcere. Si aspettava l’arresto? No, anche se vivevo nella paura anche fisica. All’ispettore che mi portò dentro dissi che mi stava quasi levando un peso di dosso. È vero che lei, nei giorni prima, andò dai dirigenti della Cremonese? Andai dal direttore generale della Cremonese, Turotti, raccontandogli prove alla mano chi fosse il loro portiere, mi disse che già lo sapevano. Non volevo minacciare o ricattare nessuno, solo recuperare miei soldi e far emergere la verità. Venne venduto al Benevento, società paradossalmente ignara di tutto ma che ha pagato più della Cremonese. Strano. Come se ne esce? C’è chi parla di confiscare i beni dei calciatori e dei tesserati coinvolti nel calcio scommesse. Basta la radiazione. È gente che non ha mai lavorato. Se gli togli le migliaia di euro al mese, li annienti. Sono stati annunciati nuovi imminenti arresti. Dov’è il fondo di questo pozzo? Se vanno avanti arriveranno ai direttori sportivi e poi alle società. Finora è stato scoperto il 10 % del marcio, non di più. -
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MisFatto satira & sentimenti il Fatto Quotidiano 25-03-2012 -
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laTentazione SPOSTARE LA FINALE DI COPPA ITALIA? ECCO PERCHÉ PUÒ ESSERE UN AUTOGOL di MARCO IARIA (GaSport 25-03-2012) La Lega di Serie A — o meglio, le 20 società che la compongono — ha la tentazione, a volte, di farsi del male da sola. Non ci stupiscono, quindi, le parole dell'altro ieri di Aurelio De Laurentiis: «La finale di Coppa Italia a Roma? Decidiamo io e Agnelli, la sede potrebbe essere anche un'altra: Londra, Parigi o Milano». Promemoria per chi si fosse perso le puntate precedenti: in mezzo ai tanti mali del calcio italiano, sempre più indebitato e retrocesso da «ristorante di lusso a pizzeria» (copyright di Galliani), l'atto conclusivo della Coppa è diventato un gioiello dal 2008. Da quando cioè, con un'intuizione di Matarrese, si decise di giocarla in una sede unica, nella capitale d'Italia, coi 70 mila dell'Olimpico e il presidente della Repubblica gran cerimoniere della premiazione. Insomma, un evento nazionalpopolare. Tra una scazzottata e un'udienza in tribunale per decidere come spartirsi i soldi delle tv, la finale di Coppa a Roma era una delle poche certezze. Ora il patron del Napoli, dopo che la macchina organizzativa è già partita con tre riunioni alle spalle, ha messo tutti sull'attenti. Successe più o meno la stessa cosa lo scorso agosto, con Inter e Milan seccate per la trasferta di Supercoppa a Pechino, come se il nostro movimento potesse permettersi di snobbare quel mercato. Immaginatevi Platini che cambia idea perché a una delle finaliste di Champions (o a tutte e due) la sede prescelta non garba. È qui il punto debole della Lega: il regolamento recita che lo stadio è «individuato, a suo insindacabile giudizio e prima dell'andata delle semifinali, dall'Organizzatrice». Se il management della Lega godesse di una certa autonomia (benedetta governance...), il problema non si porrebbe nemmeno. Lunedì, in Consiglio, sarà sciolto il dubbio e Roma quasi sicuramente verrà confermata. Quella di De Laurentiis pare piuttosto la provocazione di chi non accetta piani pre-confezionati e vuole assecondare l'ondata di richieste della tifoseria. Il cambio di sede costituirebbe un grave precedente, non giustificato da problemi di ordine pubblico (l'Osservatorio e la Questura hanno confermato di essere in grado di gestire l'evento, che pure presenta le sue criticità). E sai che figuraccia istituzionale: Beretta ha invitato Giorgio Napolitano con una lettera spedita a febbraio, in più la Lega rischia di mandare definitivamente in malora i rapporti col Coni, proprietario dell'impianto. Per cosa poi? Il Meazza garantirebbe 2-3 mila posti in più a società. Vale la pena rovinare tutto?