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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
L'AUTOGOL DEL CALCIO ITALIANO di FAUSTO PANUNZI (lavoce.info 03-04-2012) Ennesima puntata dal calcioscommesse. Andrea Masiello, ex capitano del Bari, si è autoaccusato di avere venduto la il derby con il Lecce del maggio scorso per circa 300mila euro (da dividere con alcuni compagni di squadra), contribuendo attivamente alla sconfitta della sua squadra . Unadelle domande più ovvie è: perché in Italia? Perché non ci sono partite truccate in Premier League o in Bundesliga? Una possibile spiegazione viene dalle parole di Masiello, il quale, per giustificare la combine, ha detto che il Bari non pagava più gli stipendi e pertanto i giocatori dovevano arrangiarsi. C’è dunque una connessione tra le partite truccate e lo stato economico disastrato del calcio italiano emerso recentemente da un rapporto di Figc, Arel e Pricewaterhousecoopers. Per quanto si pensi che tutti i calciatori siano super-ricchi, in realtà molti di essi lo sono solo sulla carta, dato che le società pagano spesso in ritardo gli stipendi e non sempre interamente. Non è un caso che i nomi implicati siano quelli di giocatori di secondo piano o vicini alla fine dell’attività agonistica, cioè coloro per cui è più pressante il problema di cosa fare dopo il calcio giocato. Nessuno deve piangere per i problemi dei calciatori, che restano mediamente dei privilegiati, beninteso, ma mettere sullo stesso piano Masiello e Ibrahimovic è solo populismo. Cosa si può fare allora per evitare altri casi Masiello? In primo luogo sarebbe bene che il controllo sui conti delle società, fatto dalla Covisoc, fosse più rigoroso in modo tale da evitare che i calciatori rimangano senza stipendi per mesi. Saranno anche pagati troppo, ma se c’è un contratto esso va rispettato per tutti, anche per i calciatori. Bisognerebbe inoltre riflettere sulla possibilità di ridurre il numero di squadre ammesse alla serie A e alla serie B. Alcune di esse sono palesemente inadeguate dal punto di vista finanziario alla sfida. Il Bari lo scorso anno era di fatto retrocesso dopo poche giornate, come il Cesena quest’anno. Anche senza che le partite siano vendute, il campionato risulta ugualmente falsato. In terzo luogo, dobbiamo penalizzare severamente i protagonisti delle combine. Platini, presidente dell’Uefa, propone una radiazione a vita, che impedisca ai corrotti anche di diventare allenatori o dirigenti. Bene. Ma bisogna ricordare che truccare una partita di calcio non è quasi mai un’attività individuale. Ci vuole che ci sia l’accordo di un gruppo di giocatori per essere certi di indirizzare il risultato. Questo implica che nella squadra interessata da una combine ci siano delle voci che girano (il portiere del Bari Gillet aveva forti sospetti sull’autogol di Masiello, come si vede dal filmato diffusissimo ormai sulla rete). La vera domanda è allora: possibile che le società coinvolte non sapessero nulla? Nessun dirigente parlava con la squadra? Nessuno aveva dei sospetti sui calciatori implicati? Se così fosse le società sarebbero responsabili quanto meno di mancato controllo dei loro tesserati. Sta a loro fare in modo che le squadre vadano in campo per cercare di ottenere, nei limiti delle loro possibilità, il miglior risultato sportivo. In altre parole, occorre riflettere sulla possibilità di sanzionare le società per le loro omissioni nella sorveglianza dei calciatori. Certo, è una strada non priva di controindicazioni perché non è mai semplice accettare il principio del “non poteva non sapere” come base per una sanzione, ma non è nemmeno tollerabile che gli spettatori, dopo un autogol, debbano chiedersi se c’è dietro una combine. -
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LA VECCHIA AZIENDA NON PUÒ FALLIRE I Rangers sono in amministrazione controllata da oltre un mese, ma l'Old Firm, l'antica sfida contro il Celtic, non può morire per soldi Ecco perché tutti, anche i rivali, lavorano per il salvataggio del club di ALEX FROSIO (EXTRATIME 03-04-2012) La «vecchia azienda» ha oltre un secolo di vita e due soci. Si odiano ma hanno bisogno uno dell'altro. E uno dei due è in gravi difficoltà. «Old Firm» (che significa appunto vecchia azienda) è il nome con cui in Scozia, dagli inizi del 20° secolo, viene definito il derby tra Rangers e Celtic. Si declina in modo dispregiativo, perché i due club di Glasgow si sono divisi 96 campionati su 115 (54 i blu, 42 i verdi) e gran parte delle risorse finanziarie del calcio scozzese. Proprio i soldi, però, sono diventati il grande problema dei Rangers. Perché non ce ne sono più. In ballo 90 milioni Nati nel 1873, i Gers sono in amministrazione controllata dal 14 febbraio scorso. Il club deve all'Her Majesty's Revenue and Customs (HMRC, cioè il fisco) 18 milioni di euro per tasse non pagate dal proprietario Craig Whyte, che acquistò il club al prezzo simbolico di una sterlina pagando 21,5 milioni debiti alla Lloyds Bank con artifici finanziari. Poi ci sono 2,4 milioni di buco in costi di gestione. E altre cause legali in corso potrebbero aggravare il deficit: ballano 30 milioni con la Ticketus (con cui Whyte avrebbe finanziato l'acquisto del club), che avrebbe i diritti sugli abbonamenti dei prossimi 4 anni, e soprattutto circa 60 milioni di euro, perché dal 2001 al 2010 i Rangers avrebbero fatto pagamenti in nero (dopo che l'ex proprietario Sir David Murray aveva scialacquato sul mercato per accontentare il tecnico Dick Advocaat). Insomma, situazione complicata, costata già 10 punti di penalizzazione e l'amministrazione controllata, che ha permesso al club di sospendere i debiti. Ma questi vanno pagati. E i curatori fallimentari - Paul Clarke e David Whitehouse della Duff&Phelps - hanno subito preso provvedimenti, lasciando liberi alcuni giocatori in esubero, come Wylde e Celik, e tagliando gli stipendi si va dal 75% per i calciatori con i contratti più onerosi, come l'attaccante Steven Naismith, al 15% per i dipendenti. I tifosi hanno promosso una serie di iniziative per raccogliere fondi, arrivati anche da una sfida tra vecchie glorie di Rangers e Milan giocata venerdì: c'erano Baresi, Maldini, Costacurta, Massaro e tante altre star rossonere, è finita 1-0 per gli scozzesi. Anche gli storici rivali del Celtic volevano dare una mano, offrendo un anticipo sull'incasso del prossimo Old Firm. No grazie, è stata l'orgogliosa risposta. E nel frattempo i Gers hanno battuto il Celtic nell'ultima sfida. I consorzi in gioco La domanda è: possono i Rangers e i loro 139 anni di storia sparire? No. O almeno: è improbabile. Il club ha due modi per uscire dall'amministrazione controllata: il cosiddetto Company voluntary arrangement, cioè un accordo con i creditori che accettano di ricevere indietro solo una parte della cifra pur di avere qualcosa, o la liquidazione. Tre consorzi sono pronti a rilevare il club (l'offerta di altri due è già stata rifiutata) e domani sono chiamati a presentare la loro ultima offerta. I Blue Knights di Paul Murray sarebbero favoriti: Murray è socio della sovracitata Ticketus, e la questione degli abbonamenti dei prossimi 4 anni sarebbe risolta. Poi ci sono il Club 9 Sports di Chicago, che ha offerto 30 milioni di euro, e un consorzio anonimo di Singapore: questi sarebbero per la liquidazione e la fondazione dei «nuovi Rangers». Che vestirebbero la stessa maglia blu, giocherebbero ad Ibrox e si allenerebbero a Murray Park. Ma niente Europa per 3 anni, perché per entrare nelle coppe un club deve esistere da almeno 3 anni. Sarebbe uno schiaffo per chi ha quasi un secolo e mezzo di storia alle spalle. I nuovi Rangers, che perderebbero tutti i giocatori e in ogni caso ripartiranno dai giovani, dovrebbero comunque chiedere l'affiliazione alla Premier o iscriversi in Third Division. Per motivi di storia, di tifoseria e di diritti tv, è più probabile che anche i nuovi Rangers rientrerebbero in Premier. Il contratto con Sky prevede infatti che si giochino 4 Old Firm a stagione: in caso contrario, sarebbe rinegoziato al ribasso. Molti club in Scozia hanno difficoltà economiche e non avere l'Old Firm sarebbe deleterio pure per loro. In cambio di un voto a favore dell'eventuale ritorno dei Rangers, la Gang of Ten (le altre 10 squadre della Lega) potrebbe portare a casa una ridistribuzione più equa dei diritti tv. Rivalità antica I tifosi del Celtic in tutto questo fanno festa. Eppure anche loro hanno bisogno dei Rangers. E qui sta tutto il fascino dell'Old Firm, una delle rivalità più antiche del mondo: calcistica (il 1° derby si giocò il 28-5-1888), ma anche religiosa e politica, tra l'altro tra le due squadre meno scozzesi di Scozia. I Rangers, protestanti e borghesi, sono la squadra dei lealisti alla corona, e infatti i suoi tifosi espongono la Union Jack inglese. I fan del Celtic sono i figli cattolici della Repubblica d'Irlanda, stabilitisi nell'East End proletario di Glasgow, e hanno come vessillo il quadrifoglio verde. Questo dualismo ha prodotto settarismo, violenza, ma anche soldi: senza Old Firm, non ci sarebbe calcio in Scozia. -
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FINANZA Holding quotate l’impervia strada della redditività di SARA BENNEWITZ (la Repubblica - AFFARI & FINANZA 02-04-2012) C’era una volta la holding di partecipazioni e quella industriale, con la voglia di blindare il controllo da una parte, e quella di diversificare il rischio anche senza dover per forza esercitare la gestione dall’altra. Sono rari i casi in cui le società di partecipazioni hanno avuto successo, e malgrado tutti si ispirino all’americana Berkshire Hathaway, di Warren Buffett ce n’è uno solo e nessuno è riuscito a replicare le sue performance. Nel tempo anche il modello del conglomerato finanziario alla General Electric è andato perdendo il suo charme: meglio separare le attività industriali e dare a ogni business una sua visibilità che tenere insieme tante attività che unite non generano sinergie. In Italia anche Pirelli e Fiat, che nel tempo avevano diversificato dai cavi (Prysmian) alle assicurazioni (Toro), sono tornate a concentrarsi sulle attività che hanno reso famosi i rispettivi marchi nel mondo. «Da quando Fiat ha annunciato lo scorporo delle altre attività industriali dall’auto - fa notare Massimo Vecchio di Mediobanca - i titoli si sono rivalutati del 37%, pari a 4,2 miliardi di capitalizzazione, mentre il settore auto nello stesso periodo è sceso dell’8%». Stessa musica per il gruppo della Bicocca, anche se i suoi immobili rappresentavano una piccola parte del valore complessivo. «Da quando Pirelli si è separata da Prelios - ricorda Vecchio - il titolo si è apprezzato dell’82%: merito sia dei buoni risultati raggiunti che della scelta di focalizzassi esclusivamente sugli pneumatici». Se questo è vero per i conglomerati industriali, lo è ancora di più per le altre holding. Un corposo studio di Mediobanca analizza tutte le "scatole" di Piazza Affari e per quanto alcune società siano talmente a sconto da meritarsi giudizi lusinghieri, il modello ne esce sconfitto. Secondo l’analisi di Mediobanca negli ultimi 10 anni Camfin, Cir, Cofide, Exor, Immsi e Italmobiliare hanno raddoppiato i debiti (saliti da 1,27 a 2,19 miliardi), senza riuscire con la maggiore leva ad aumentare il ritorno sugli investimenti, dato che gli utili del periodo sono quasi dimezzati (scesi da 1 a 0,57 miliardi). «Il ritorno sull’investimento registrato da queste aziende è inoltre poco significativo - aggiunge Fabio Pavan di Mediobanca - tanto più che in termini di capitalizzazione, i titoli hanno bruciato in un decennio il 15% del loro valore». È vero però che fare una fotografia oggi, dopo alcuni anni di mercati turbolenti e dato l’attuale contesto di recessione, significa dare una lettura parziale. A maggior ragione tenendo conto del fatto che in questa fase di mercato le aziende che hanno debito sono ancora più penalizzate. La leva deriva dalle acquisizioni fatte, non sempre azzeccate, e in momenti di mercato migliori di quello attuale. «Ci siamo chiesti se l’elevata diversificazione, un tempo vista positivamente, non corresse il rischio di diventare un fattore di dispersione del tempo e delle attenzioni del management - sottolineano Pavan e Vecchio - e la conclusione a cui siamo arrivati è che, sebbene sia vero che le capacità manageriali rappresentino una risorsa preziosa, nel caso delle holding italiane più semplicemente la diversificazione sembra sia stata gestita in maniera poco efficace». Detto questo, Mediobanca ammette che in questa fase economica difficile le holding sono più sotto pressione anche delle stesse aziende che controllano, viceversa in tempi di guadagni, tendono ad amplificare i rialzi. «Guardando la performance normalizzata dell’indice Ftse Mib nel bull market 2003-2007 - spiega Pavan - il listino ha raddoppiato e le holding in media hanno fatto tre volte tanto». L’unica finanziaria che non è stata esaminata dal report è Premafin, che è quella che a dispetto della legge di gravità per anni valeva più degli asset che controllava, come la quota di Fondiaria Sai. Fatte queste premesse e operati i dovuti distinguo, per Mediobanca in questo momento una holding non riscuoterebbe grande successo tra gli investitori. Se per assurdo Berlusconi dovesse quotare Fininvest o i Benetton Edizione Holding, troverebbero un mercato poco entusiasta, a meno di non offrire in collocamento un forte sconto. E questo è il risultato di una grande conquista del mercato, perché oggi le minoranze sono molto più tutelate, per cui essere socio della capogruppo non è più vantaggioso come lo era un tempo. Altri strumenti d’investimento come i fondi di private equity hanno poi sostituito di fatto il modello della società di partecipazioni industriali. Se quindi è abbastanza vero che le holding sono talvolta un retaggio del passato, è anche vero che alcune non sono riuscite a pianificare il loro futuro. Exor ad esempio, ha fatto diverse dismissioni, non ultima quella di Alpitour, ma non ha ancora fatto investimenti capaci di spostare il suo baricentro dal Lingotto, dato che pure la partecipazione in Sgs vale un terzo rispetto a quella in Fiat Auto e Fiat Industrial messe insieme. -
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COMMENTI Il calcio corrotto oppio dei bilanci di MARCO MENSURATI (la Repubblica - AFFARI & FINANZA 02-04-2012) Con una perdita di 428 milioni di euro solo per il 2011 e un indebitamento di 2,6 miliardi (per la sola serie A), il calcio italiano è un’azienda e che azienda! tecnicamente fallita. A differenza delle aziende fallite, però, il pallone continua a navigare tranquillamente nelle sue acque, condotto incredibilmente dagli stessi timonieri che restano senza problemi al loro posto, impettiti e sereni. I vertici di Figc e Lega Calcio sono lì da sempre e fanno ormai parte del panorama calcistico, come fossero montagne o alberi secolari. La pubblicazione dei conti delle società conferma dunque quanto da Calciopoli in poi è sempre più chiaro: il calcio non fa parte della realtà ma vive in un mondo tutto suo, e risponde a (non) regole specifiche che altrove non valgono. Le partite sono truccate dagli zingari? Non importa. Mafie, personaggi loschi, pregiudicati comprano i club per utilizzarli nei loro affari (l’ultima inquietante notizia, in questo senso, è l’interessamento di Longarini per l’acquisto della Roma)? Va bene lo stesso. Gli arbitri girano con le sim svizzere date loro da qualche faccendiere? Non c’è problema. L’importante è che lo show continui, che la giostra non si fermi mai. Non sia mai che qualcuno smetta di fare il tifo e cominci a ragionare. -
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Calciatori, scommesse, ultras e criminali di STEFANO NAZZI (il POST | 3 aprile 2012) Il coperchio è saltato, quello che sta venendo fuori sul mondo del calcio italiano fa piuttosto impressione. In pratica sappiamo oggi con certezza che alcune partite del campionato di Serie A sono state “comprate”. Il risultato era stabilito per fare in modo che una serie di scommettitori potessero farci i soldi. Tantissimi soldi. Ma il problema è più vasto: se sono falsate le partite lo è il campionato. Il tutto è desolante: la criminalità organizzata gestisce le scommesse, per farlo mette a libro paga una serie di giocatori. E a fare da intermediari con i giocatori ci sono spesso capi ultras. Che poi sono anche membri dei gruppi criminali. È un cerchio perfetto, se è vero che gli ultras-criminali (non tutti gli ultras, ovviamente), riescono anche tranquillamente a mantenere rapporti con i dirigenti delle società. E a esercitare su di loro pressioni. Andrea Masiello, ex giocatore del Bari, oggi all’Atalanta, ha ammesso che nello scorso campionato fece il famoso autogol nella partita contro il Lecce, finita 0-2, perché gli erano stati promessi molti soldi. Il Bari poi finì in serie B, il Lecce si salvò. Il portiere Gillet, oggi al Bologna, l’anno scorso al Bari, ha spiegato che gli ultras della sua squadra lo minacciavano perché prendesse gol e facesse perdere la squadra. Gillet resistette, dice. Gli ultras gli spiegarono: «Tu vivi a Bari, non si sa mai che cosa può succedere». I capi della curva, quindi, che fanno capo alla criminalità organizzata, si muovevano con determinazione per far perdere la loro squadra. Che gente della criminalità organizzata sia infiltrata nei gruppi ultras più importanti d’Italia (quelli più numerosi, e quindi più remunerativi) è un dato di fatto. È ormai consolidato da tempo anche il rapporto di parecchi calciatori con esponenti del mondo ultras. Il contatto a quel punto è inevitabile. A Milano non troppo tempo fa giocatori di Inter e Milan si misero in società con capi ultras per commercializzare magliette e aprire locali. Niente di illegale, certo. Solo questione di soldi. In un libro scritto da un giornalista della Ġazzetta dello sport, Giorgio Specchia, “Il teppista“, si racconta (è un po’ romanzo ma molta verità) di come capi ultras a Milano accompagnino parecchi giocatori in giro per locali. Tra escort e movimenti di cocaina. Tornando indietro nel tempo basta ricordare i rapporti tra Maradona e i fratelli Giuliano, esponenti della camorra, con tanto di fotografia in una “elegantissima” vasca da bagno a forma di ostrica. A febbraio, a Napoli, sono stati arrestati 11 capi ultras con l’accusa di associazione a delinquere. È venuto fuori che Fabiano Santacroce, che ora è al Parma, era molto amico di un capo ultras: andava a casa sua anche quando il boss-tifoso era agli arresti domiciliari per spaccio di droga. Nel corso della stessa inchiesta Ezequiel Lavezzi parlò della sua conoscenza con il figlio di un capo clan, ora collaboratore di giustizia. Hanno detto i magistrati napoletani: «Alcuni calciatori del Napoli mantengono contatti con gruppi ultras anche perché ritengono che questi ultimi possano influire sulle scelte della società al momento del rinnovo del contratto». È ovvio che se gli ultras aiutano il giocatore per il rinnovo del contratto poi il giocatore in qualche modo dovrà aiutare gli ultras. Sono casi limite, forse. Ma la promiscuità esiste eccome. Difficile che un giocatore possa rifiutarsi di andare a una festa di ultras oppure a fare la comparsata in curva (ricordate Zarate che fa il saluto romano tra gli Irriducibili della Lazio senza capire minimamente che cosa stia succedendo; oppure Buffon con la maglietta Boia chi molla, slogan sentito in curva e di cui ignora l’origine?). Ma anche i dirigenti delle società, spesso sotto ricatto (è accaduto al Milan) si ritrovano poi fianco a fianco con i capi ultras durante feste natalizie o di fine campionato. C’è un filmato esemplare, girato nel campo di allenamento del Piacenza. Un capo ultras minaccia i giocatori senza che nessuno intervenga. Chi l’ha fatto entrare nel campo di allenamento? Poco prima lo stesso tizio aveva minacciato anche un dirigente. Tornando all’inchiesta sul calcioscommesse, era impensabile che la criminalità organizzata, una volta entrata nel mondo ultras, non sfruttasse l’occasione per fare soldi a palate con le scommesse. Convincere, cone le buone o con le cattive, alcuni giocatori, non deve essere stata la cosa più difficile. Non è moralismo dire che ognuno deve stare al suo posto. Giocatori e dirigenti con gli ultras non dovrebbero nulla a che fare. Meno che meno con gli ultras esponenti di gruppi criminali che, ripeto, sono tanti, sempre di più. E pensare che tanti ragazzini vanno in curva con il mito degli ultras, della loro “mentalità”, come amano dire. Ragazzini che pensano ancora di poter influire, con il loro tifo, su una vittoria o su una sconfitta. Invece stiamo capendo che a decidere di vittorie e sconfitte sono troppo spesso i soldi, solo i soldi. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Masiello come Buscetta: il terzo livello del calcio di GIANFRANCESCO TURANO dal blog RAGÙ DI CAPRA 03-04-2012 Alla fine, ci siamo. Dopo mesi di caccia, le inchieste sul calcio tarocco hanno fatto il salto di qualità e sono arrivate lì dove le scommesse sono soltanto un corollario e una conseguenza inevitabile dell’attività principale. L’ex giocatore del Bari Andrea Masiello ha fatto quello che ha fatto Tommaso Buscetta davanti al giudice Giovanni Falcone. Ha raccontato che esiste un terzo livello dove le partite si aggiustano tra società per evitare una retrocessione, raggiungere un piazzamento utile per partecipare a una coppa europea o, comunque, avere accesso alle decine di milioni di risorse finanziarie che ballano fra un campionato di A e uno di B. I giocatori scommettono, è vero. Ma non basta un Masiello per truccare una partita. Non bastano neppure tre o quattro giocatori per avere la certezza di un risultato. Lo si è visto nel calcioscommesse “semplice”, quello dove si gioca per la martingala o per l’over, e dove l’accordo, proprio perché è tra pochi giocatori, può fallire. Se invece la pastetta arriva dall’alto e se i delinquenti vengono protetti da chi dovrebbe vigilare su di loro, come accadeva tra politici e mafiosi, il delitto non può che essere perfetto. Il racconto di Masiello, sotto questo profilo, è un punto di non ritorno. Il difensore ha messo nero su bianco particolari sconvolgenti. Nella ricostruzione del derby Bari-Lecce, finito 0-2 con un suo autogol, ha spiegato chiaramente che la trattativa era con la dirigenza del club salentino, arcirivale del Bari. Quello che racconta Masiello succede sempre, da sempre, a ogni fine campionato. Gli ultras del Bari, peraltro, hanno chiesto la loro fetta e hanno cercato di imporre ai loro beniamini altre sconfitte per farci un po’ di soldi in proprio, già che c’erano. La società, avvertita delle minacce subite dai calciatori, avrebbe suggerito di ignorarle e di impegnarsi a vincere. Niente più. Nessuna segnalazione, nessuna denuncia. Questo è solo l’inizio di una tempesta che ci porterà alla vigilia degli Europei in condizioni forse peggiori di quelle di Calciopoli, esplosa nel maggio 2006 poco prima dei Mondiali di Germania. Quella volta vincemmo il torneo. Stavolta la lista dei convocati del ct Prandelli rischia di perdere qualche nome pregiato prima della partenza verso l’Ucraina. Che fare? La strada è difficile ma è una sola. Trovare altri Masiello-Buscetta e colpire in alto, dove i club sono complici e dove c’è il marcio che non smette di tornare a galla. Il processo penale ha tempi incompatibili con quelli, rapidi e sommari, della giustizia sportiva. Quindi, tocca alla Figc, un organismo debole con un presidente che, per una volta, ha l’occasione di mostrarsi forte. L’augurio è che il principio della responsabilità oggettiva aiuti. Non c’è troppo da sperare su un repulisti dell’ambiente, visto che il calcio è lo specchio diretto dell’Italia e l’Italia è fatta di combine. Ma una sentenza esemplare è necessaria. Senza questo, tra qualche anno il tifo italiano migrerà verso la Liga spagnola o la Premiership inglese. Impossibile? Veramente è già successo. Basta dare un’occhiata ai palazzetti del basket, semisvuotati da un malinteso senso del business. Alla fine, sono business anche le scommesse, liberalizzate a maggior gloria dell’Erario. Gli splendidi risultati di questo sistema sono sotto gli occhi di tutti. E, come si diceva negli anni Sessanta, è solo l’inizio. -
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Comprendo come mai la Juventus non permette ai suoi calciatori di essere intervistati dal Giornale. Qualche giorno fa c'è stato un altro articolo in cui la Juventus appariva all'improvviso, negativamente, per un aneddoto su un condannato a morte statunitense. Al Giornale sono chirurgici. -
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CorSera - Milano 03-04-2012 -
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«CORRIERE DELLA SERA» Il rinnovo dei vertici Rcs, sul futuro cda scontro tra grandi soci Mediobanca, Fiat e Bazoli chiedono un consiglio di indipendenti; Della Valle e gli imprenditori vogliono restare di MARCELLO ZACCHÉ (il Giornale 03-04-2012) I grandi soci del Corriere della Sera litigano sulla composizione del prossimo consiglio, i cui membri andranno indicati entro venerdì, in tempo per l’assemblea del 2 maggio. Più che sui nomi, l’ impasse è sul modello di governance: alcuni big del patto di sindacato che riunisce il 63, 5% del capitale, quali Mediobanca, Fiat, il presidente di Intesa Giovanni Bazoli (che rappresenta Mittel) e il presidente del patto Giampiero Pesenti, puntano a un cda snello, che scenda dagli attuali 21 a 12, massimo 15 componenti e che presenti nomi di personalità indipendenti dagli stessi azionisti del patto di sindacato. Mentre Diego Della Valle, insieme con alcuni imprenditori con quote minori del patto e del gruppo, preferirebbe continuare a rappresentare direttamente il proprio investimento nel consiglio d’amministrazione. La tesi dei primi, particolarmente cara all’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, è che un cda di personalità rilevanti e indipendenti può essere il volano sia per affidare in un secondo momento la società a nuovi top manager per rilanciarla, sia per attirare anche nelle seconde e terze linee nuovi talenti. Con la garanzia di non venire a lavorare in un gruppo paralizzato, nelle iniziative e nella linea editoriale, dai veti incrociati dei grandi soci (che in tutto sono la bellezza di 13). Mentre gli imprenditori che hanno investito di tasca propria i quattrini nelle azioni del gruppo (e come noto Della Valle si era detto disponibile a crescere, stoppato però dalle regole del patto e dall’asse Bazoli-Pesenti) ritengono importante mantenere la presenza nel consiglio. Su queste differenti visioni si è conclusa ieri, dopo quattro ore di discussioni, la riunione del patto, che si è aggiornata a domani. E che comunque dovrà decidere la lista entro venerdì santo. Di qui ad allora si muoveranno, come è in questi casi, le diplomazie. Il confronto, ancorché duro, non necessariamente porterà a rotture importanti: se la linea Mediobanca-Bazoli, ancorché maggioritaria, non dovesse trovare l’unanimità dei consensi, si passerà oltre e si procederà come in passato (oggi in cda sono rappresentati i grandi soci), senza farne una guerra di religione. Per quanto riguarda presidente e ad, la maggioranza dei soci fa sapere di essere favorevole a un ricambio. Per la prima figura, al posto del notaio Pier Gaetano Marchetti, la linea che sembra prevalere è quella di ricercare una personalità adatta a svolgere un ruolo non operativo, non invasivo, di altissima rappresentanza. Mentre l’amministratore delegato dipenderà dal modello di governance. Riguardo al toto nomine, nelle ultime ore è circolata la candidatura a presidente di Angelo Provasoli, ex rettore della Bocconi, considerato vicino a Bazoli e al presidente del consiglio Mario Monti. Mentre per il ruolo di ad si registrano voci sull’ipotesi Giorgio Valerio, alimentate dal fatto che il manager è recentemente rientrato nel gruppo con la responsabilità delle attività dei Quotidiani. Tutti i soci, almeno a parole, dichiarano di voler imprimere una svolta importante al gruppo che, nel bilancio 2011, ha accusato 322 milioni di perdite, dopo aver svalutato per 300 milioni la partecipazione nelle attività spagnole (le attività Recoletos all’interno del gruppo Unedisa). Mentre incombe la cessione del gruppo Flammarion in Francia e il dibattito sulla sorte del patrimonio immobiliare nella milanese via Solferno, sede storica del Corriere. -
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la storia di MASSIMO M. VERONESE (il Giornale 03-04-2012) CALCIO E GUERRA Smascherato dagli 007 Arrestato il Buffon palestinese Israele: «È solo un terrorista» Il portiere della nazionale olimpica accusato di aver partecipato a un attacco di Hamas contro l’esercito. Ma c’è chi ha fatto di peggio Non hanno ancora uno Stato però hanno una Nazionale. Verde, orgogliosa, quasi sempre perdente. E che si è messa come tutte in fila,un po’ per caso e un po’ per desiderio, per un biglietto di viaggio mondiale, Brasile 2014: ha superato il primo turno battendo un’altra combriccola di disperati come l’Afghanistan, fino all’anno scorso giocava tutte le partite in campo neutro, la prima in casa, contro la Thailandia a Ramallah, l’ha persa ai rigori. Non andranno da nessuna parte ma va bene lo stesso. Una nazionale per chi non è nazione, ma un miracolo diplomatico, è comunque una vittoria, patriottismo senza patria. Omar Abu Rois ha 23 anni, un fisico da ballerino e lo sguardo diffidente. È un campione di calcio, il migliore tra i pali, ma il suo sport preferito è sparare sui soldati. Estremo difensore, si direbbe nei vocabolari pallonari, ma è di un attacco che i servizi segreti israeliani lo accusano, un attacco contro un’unità militare, ad al-Amari, 20 gennaio scorso, tanto fuoco, nessuna vittima. La squadra di cui faceva parte, una cellula terroristica, aveva in programma altre partite da chiudere, conti da saldare, contro obiettivi israeliani in Cisgiordania. Per i servizi segreti che lo hanno arrestato è uno di Hamas, il nemico dei nemici, a fargli compagnia dietro le sbarre sono dodici compagni del campo profughi di al-Amari, Ramallah, Cisgiordania, compreso Munzar Abbas, ufficiale dell’Intelligence generale dell’Anp, responsabile della sicurezza nella Mezzaluna Rossa, con la fama, dicono, di trafficante d’armi. Lui, il portiere, Salih Baral, guardiano negli uffici della Mezzaluna Rossa, erano armati di Kalashnikov. Pronti a tutto. Il calcio può far evadere dalla vita ma non evitarla con un dribbling. Il terrore può quasi mettere insieme una squadra. Da paura. Della nazionale, ma saudita, faceva parte Sulaiman al-Hudaiti, quando giocava nel Jeddah, quando si dice l’ironia delle parole, era capocannoniere del campionato. La polizia degli sceicchi lo ha arrestato perchè guerrigliero della jihad. Dichiarato. E pronto a immolarsi alla causa della guerra santa contro l'Occidente. Ai gendarmi, come fa qualunque calciatore pizzicato in fallo dall’arbitro, ha chiesto per quale motivo avrebbe dovuto essere punito. Non ho fatto nulla di male, arbitro, al massimo è un fallo di reazione, non sono io quello che ha cominciato. Perdona loro perchè non sanno quello che fanno. E tre calciatori dell’Al Rashid, quando sui cieli della patria scoccò l’ora del destino, abbandonarono i compagni di squadra per unirsi ai mujaheddin che si battevano in terra irachena. Majid Al Sawat, fu catturato mentre stava per lanciarsi in una missione suicida a Bagdad. Il più famoso di tutti però è Nizar Trabelsi, tunisino del Fortuna Duesseldorf, convertito all'Islam radicale, indottrinato in Afghanistan, indifferente all’integrazione, lui che viveva in un altro mondo, ricco, amato e famoso. In manette pure lui, beccato in un appartamento di Bruxelles due giorni dopo l' 11 settembre con i piani sul tavolo di un attacco ancora peggiore di quello di New York se invece che un dilettante fosse stato un professionista. Voleva colpire la base atomica di Kleine Brogel che, nel nord est del Paese, custodisce una dozzina di ogive nucleari con gli stessi esplosivi combinati usati contro gli americani a Nairobi e Dar es Salaam. Di Osama diceva: «Lo amo molto, come un padre». Le istruzioni per costruire l’ordigno gliele aveva date lui. Le colpe dei padri sono a volte le stesse dei figli. Pensare che anni fa i calciatori finivano in galera per motivi opposti. Saeed Al-Owairan, il Maradona del deserto, a Usa 94 segnò lo stesso gol che Diego infilò all’Inghilterra e fu coperto d’oro da re Fahd. Gli piacevano le donne però persino durante il Ramadan. L’aria del deserto cambiò. Tre anni di prigione per aver infranto la sharia. Gli piaceva vivere. Praticamente uno di noi. -
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il commento VENDERE UN DERBY È OLTRE OGNI MALE di GIUSEPPE DE BELLIS (il Giornale 03-04-2012) Adesso c’è di più della vergogna di vendersi una partita. Fare autogol per soldi in un derby significa essere al di là anche del male. Siamo oltre le peggiori intenzioni. Perché c’è solo una cosa che supera i valori dello sport ed è il valore della rivalità: perdere apposta la partita col peggior avversario dei tuoi tifosi e della tua città significa insultare due volte la gente. S’era capito che il Bari dello scorso anno fosse la squadra dei venduti, ma qui c’è ancora di più. Dicono i magistrati che nell’ultima parte del campionato gli ultrà baresi abbiano chiesto ai giocatori di perdere delle partite per guadagnare denaro. Potevano fallire di proposito tutte le sfide, tranne quella col Lecce. Ecco, siamo al paradosso dei paradossi: il giocatore Andrea Masiello diventa peggio di chi minaccia, peggio di chi mena. Segna volutamente nella sua porta per essere sicuro di uscire sconfitto anche in quella partita. Anzi, soprattutto in quella partita. Il bello è che tre giorni prima aveva parlato con i giornali e le tv: «Se le perdiamo tutte fino alla fine del campionato, ma vinciamo il derby col Lecce, ci metto la firma». Questo è troppo, davvero. È questo l’oltre di cui si parla. C’è un limite anche alla schifezza e quest’ultimo pezzo di verità sul calcioscommesse lo supera. Non c’è un solo tifoso normale, non del Bari, ma di qualunque squadra, che non si indigni al quadrato per una storia così. È la fine dell’ultima illusione. Si può perdere, nel pallone. Si può retrocedere. Abbiamo visto che si può anche scommettere vigliaccamente sulle proprie partite. Assuefatti come siamo alla cattiveria umana, abbiamo persino accettato l’idea che questo possa accadere. Ma di fronte a un autogol volontario nell’unica partita che devi giocare fino alla morte per statuto e per dignità, torna la rabbia collettiva. Vendersi un derby è come vendersi la mamma. Masiello non è uno che ha sbagliato e basta. Non più, mai più. Per nessuno. -
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Il pallone di Luciano Differenze con Calciopoli? Qui girano i quattrini... di LUCIANO MOGGI (Libero 03-04-2012) Masiello arrestato e il mondo del calcio è ancora in subbuglio. Speriamo che questa volta finisca diversamente rispetto a Calciopoli, quando a pagare sono stato principalmente io e la Juve che avevo costruito. Una netta differenza con “farsopoli” però c’è già. La sentenza di Napoli ha detto che non ci sono prove e non girarono mai soldi. Qui invece tutto l’affaire delle scommesse è basato sul passaggio di grosse somme di denaro. Masiello ha confessato e dunque possiamo dire che questa (e non l’inchiesta del 2006) è una brutta tegola sul già traballante mondo del pallone. Ma torniamo al calcio giocato. Effettivamente da un navigatore di lungo corso come Galliani ci saremmo attesi una vigilia meno nervosa. Volendo anche concedere le attenuanti del caso, per la rabbia seguita al torto (così ritenuto) per un gol non gol, chiarito poco o niente dalla vivisezione dei fotogrammi, non è con uno stato di tensione portato allo spasimo che si crea il clima adatto adunapartita col Barça, crocevia della stagione di Champions. Dentro o fuori stasera, giocando al Camp Nou non si può pensare che sia il Milan a partire favorito, e anche il risultato cautamente favorevole dell’andata non si presta ad illusioni. È vero comunque che al Milan basterebbe un pareggio con gol per superare il turno. Per farsi tornare il sorriso in campionato Āllegri si era aggrappato all’animoso Napoli, ma la truppa fin troppo lodata di Lavezzi & C. si è sciolta come neve al sole, partenopei senza anima, strapazzati da una Juve cinica e incisiva, una superiorità totale che non ha lasciato scampo. E le parole di Conte saranno suonate sicuramente ironiche al Milan, «abbiamo messo un puntello decisivo al secondo posto». Quasi un’irrisione, perché il puntello è naturalmente per la lotta al titolo. Il vantaggio milanista si è ridotto a due punti, e la Juve sembra avere una condizione fisica e mentale superiore, al punto che i rossoneri dovrebbero proporsi di ritrovare in fretta la forza e l’autostima in parte smarrite, magari conquistando la qualificazione. Non ci meraviglieremmo di una prestazione del Milan che con Ibra sorprendesse prima di tutti il Barcellona. Si può tentare partendo da presupposti ineliminabili: grande attenzione, determinazione e lucidità, quella che forse manca in questomomento al management. Basta quindi col caricare sui punti che mancherebbero ai rossoneri in campionato per effetto di errori arbitrali, almeno 5 ma anzi di più, forse 7 e forse 9, come se il Milan fosse stato vittima di un gigantesco surplus di disattenzioni. Anche le lamentele dovrebbero avere un limite, ma il gioco sembra quello a chi le spara più grosse. Un esempio? C’è anche l’Inter che si lamenta. Dice che le mancano punti per errori degli arbitri. È il lamento di Paolillo, non nuovo a queste esternazioni. Meglio farebbe ad indagare sui motivi di una stagione fallita, e a capire che le colpe discendono solo dall’alto, per il momento l’idea del giovanotto Stramaccioni alla guida dell’ex grande armata è servita a dirottare altrove i discorsi interisti, è tornata la vittoria, ma di striscio. La gara al Camp Nou non decide solo la Champions per il Milan, può riflettersi anche sul campionato. Così come il Napoli che è sembrato bloccarsi dopo l’eliminazione in Europa, potrebbe accadere anche alMilan, sebbene più abituato a questi scenari. Può avere ragione De Laurentiis, «La Juve ha surclassato il Napoli perché nulla ha speso quest’anno per la Champions», e la considerazione può valere in prospettiva anche per il duello finale Milan-Juve. Per ciò che riguarda il Napoli sarà però il caso di aggiungere, mutuando un detto napoletano, che ognuno dovrebbe misurarsi la palla, De Laurentiis doveva sapere che la squadra non aveva forze sufficienti per battersi su tutti i fronti, e se ha già fatto molto andando in finale di Coppa Italia, deve stare attento a non fallire l’obiettivo del terzo posto, per il quale le contendenti hanno fatto i gamberi. Il rallentamento ha avvicinato la Roma, che ha maramaldeggiato sul Novara ed è ad un punto da Napoli e Udinese e a 4 dalla Lazio: è tornata in pista. La Lazio è stata fatta fuori dal Parma ma anche dai suoi equivoci interni, e sabato prossimo c’è lo spareggio col Napoli. Come l’Udinese, che battuta a Siena ha perso la strada della vittoria. Quello che non ti aspetti: Mutti trova il primo successo in trasferta per il Palermo sul Bologna, così i rosanero ottengono la prima vittoria fuori casa e si portano al nono posto. Senza fine il dramma della Fiorentina, quart’ultima e buon per i viola che il Lecce non sia riuscito a vincere. Lentissima la marcia dei salentini, che ospiteranno sabato la Roma, ultima spiaggia per Cosmi. È tornato a vincere il Cagliari, salvezza assicurata. -
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L’ANTIDOTO DEI PLAY-OFF AI TRADITORI DEL PALLONE di MASSIMO GRAMELLINI (LA STAMPA 03-04-2012) Dunque sarebbe andata così. Gli ultrà del Bari si accorgono che i giocatori, praticamente retrocessi, vendono le partite. Ma anziché redarguirli o denunciarli si mettono in affari con loro. Scommettono contro la propria squadra del cuore. E per farlo non scelgono una partita qualsiasi. Scelgono il derby col Lecce. Provo a immaginarmi mentre scommetto contro il Toro in un derby e al solo pensiero vengo sopraffatto da brividi di sgomento per un simile atto contro natura. E questi sarebbero dei tifosi? I tifosi del Bari, quelli veri, entrano allo stadio ignari. Par di vederli prendere posto sui gradini con i figli appesi a bandieroni più grandi di loro. «Papà, oggi vinciamo, vero? ». E in quella domanda risuona ancora una fiducia totale nell’andamento lineare del mondo. Comincia la partita e le cose per il Bari si mettono male: il Lecce segna un gol. Ma si può sempre rimontare, niente è più bello di un derby vinto in rimonta. Poi il leccese Jeda spara un cross innocuo in mezzo all’area barese e il difensore Andrea Masiello si avventa sul pallone a gambe sguainate. Col primo piede lo manca, ma lo colpisce col secondo. E come lo spigolo di un flipper lo sospinge in fondo alla rete. Un autogol talmente sguaiato da sembrare sincero persino ai telecronisti più sgamati. Masiello perfeziona l’inganno con gesti da attore consumato: prima si butta all’indietro e poi si siede per terra, la testa reclinata sulle ginocchia. È una réclame della disperazione. Penso al bambino col bandierone sugli spalti, alle sue lacrime irrefrenabili, perché tutti i maschi da piccoli hanno pianto una volta alla fine di un derby perduto e per molti di loro - di noi - è stato il primo appuntamento con la durezza della vita e dei suoi verdetti spesso incomprensibili. In questo caso il verdetto è truccato. Il difensore infame ha preso duecentotrentamila euro per «cristallizzare» il risultato, come egli stesso ammette con linguaggio assurdamente forbito nella confessione controfirmata davanti agli inquirenti. Duecentotrentamila euro per far piangere tanti bambini e far guadagnare tanti soldi agli ultrà e ai compagni di squadra coinvolti nella truffa. E pare che non finisca qui. Grazie alla vittoria «cristallizzata» da Masiello, il Lecce infatti è salvo con una giornata di anticipo e alcuni suoi giocatori possono tranquillamente vendersi l’ultima di campionato contro la Lazio. Questa, almeno, la convinzione della magistratura. Sta di fatto che il giorno dopo l’allenatore del Lecce straccia il contratto e se ne va senza dare spiegazioni. Le scommesse nel calcio sono come il doping nel ciclismo: molti le praticano, tutti lo sanno, nessuno ne parla. Lo chiamano «quieto vivere», ma il suo nome vero è «omertà». A questo punto dovrebbe partire il pistolotto moralista contro il pallone, specchio e metafora di una società avida e sregolata: Masiello come i broker di Wall Street. Il quadro è disperante, perché a vario titolo coinvolge tutti gli attori (è il caso di dirlo): giocatori, allenatori, dirigenti e ultrà. Un sistema di professionisti cinici che campa sulle spalle di alcuni milioni di creduloni che continuano a pagare il biglietto o l’abbonamento televisivo per nutrirsi di emozioni sempre più edulcorate. Ma in attesa dell’illuminazione collettiva che cambierà la natura umana - o semplicemente dell’esplosione di questo giocattolo gonfiato da troppi soldi, partite, interessi - mi permetto di proporre una soluzione che ai ladri toglierebbe, se non la voglia, almeno l’occasione per rubare. I playoff. Un campionato a sedici squadre che finisca a Pasqua e poi lasci il posto a due tornei a eliminazione diretta: fra le prime otto per lo scudetto e fra le ultime otto per la salvezza. Così tutte le sfide di primavera diventerebbero decisive e sarebbe molto difficile architettare giochi sporchi. La condizione ideale per la truffa è che una delle due squadre, come il Bari di Masiello in quel derby, non abbia più stimoli sportivi. Solo i playoff garantiscono la par condicio. La garantiscono prima, quando le partite contano poco. E dopo, quando contano troppo, ma sempre per entrambi. Certo, che pena. Mi torna alla mente l’ultima intervista a Giorgio Bocca in casa sua. Dopo averlo sentito enumerare per due ore le nefandezze del mondo, gli chiesi: ma secondo te esiste ancora qualcosa di pulito in cui credere? Gli occhi di Bocca si illuminarono: «Oh sì! Un bicchiere di vino rosso e una bella partita in tv». Come tutti i vecchi, era tornato bambino. Non ebbi il coraggio di rovinargli l’incanto, suggerendogli di circoscrivere i suoi sogni di purezza al vino. -
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SE IL CAMPIONE PERDE LA FACCIA SE ANCHE SUL DERBY VENIAMO TRADITI L'INCUBO PEGGIORE DI OGNI TIFOSO Il calciatore che si presta a un simile gesto ha ingannato il bambino che è in lui di DONATO CARRISI (CorSera 03-04-2012) Durante Bari-Lecce del 15 maggio del 2011, un calciatore ha commesso un abominio sportivo nel proprio stadio, di fronte al pubblico di casa, o meglio: davanti a chi gli voleva bene. Perché il tifoso ha mille difetti, ma impara ad amare fin da piccolo. In fondo, la squadra del cuore è come la mamma: non la puoi cambiare. Bari-Lecce non è solo un derby, perché la Puglia è due regioni fuse in una. Due popoli, con accenti diversissimi che si declinano nel territorio in maniera precisa. Io sono nato esattamente sul confine. A Martina Franca, che affonda le radici in terra d'Otranto. E in più da padre salentino e madre figlia delle Murge. Perciò quel derby l'ho visto consumarsi in casa mia ogni giorno: a prescindere dalla passione calcistica, si ripeteva nel modo di educarmi, perfino in quello di volermi bene. Due culture, modi diversi di sentire le cose con il cuore, due anime. A volte prevaleva l'una, a volte era l'altra ad avere il sopravvento. I pochi lati del mio carattere veramente autentici sono il frutto sofferto di un pareggio fra i miei genitori. Per questo per me quella partita non può essere derubricata a mero scontro sportivo. L'autogol è la peggior infamia per un calciatore. È un rimorso destinato a inseguirti per il resto della vita, perfino quando appendi le scarpette al chiodo e indossi l'esistenza borghese che ti è stata predetta quando hai cominciato a prendere a calci un pallone. Quello no, non puoi celarlo nel ritrovato anonimato. È l'ombra nel sorriso del tifoso che ti riconosce al ristorante o mentre fai benzina, perché la memoria sportiva è granitica più di quella storica, perché è scritta coi sentimenti. E col cuore non si scherza. Il ricordo di quel gesto suicida viene a scovarti di notte, sotto forma di incubo cosciente, e non ti fa dormire al pensiero che un domani tuo figlio potrà chiedertene ragione dopo averlo appreso dal figlio di qualcuno che, in fondo, non l'ha mandata giù e non ha resistito al gusto di una piccola rivincita. E non conta quanto tu sia stato bravo, quanto abbia vinto in carriera: un autogol è una macchiolina indelebile sulla maglia. Per quanto piccola, sai che c'è e che non se ne andrà, perché non hai il potere di riportare indietro il tempo. E se pure ce l'avessi, non rivorresti la tua gioventù, ma solo quel momento. Per frenare il piede un attimo prima dell'impatto fatale, per non dover vedere le facce dei tuoi compagni che con uno sguardo ti escludono immediatamente dal gruppo. Anche se poco dopo ti perdoneranno, in quel momento, nel gioco di squadra per eccellenza, tu sei solo. E quella solitudine, una volta provata, non la dimenticherai mai più. Tutto per aver segnato nella porta sbagliata. Ma c'è di peggio. Perché un autogol nel derby non è soltanto un tradimento, è un atto incestuoso. E non c'è bisogno di amare il calcio per comprendere che tutto questo ha relativamente a che fare con lo sport. Perché quella calcistica è l'unica educazione che ci portiamo appresso fin da piccoli. Se il nostro campione tradisce i colori della maglia, sarà quello l'esempio che conserveremo per il resto della vita. È attraverso la squadra del cuore che avviene l'imprinting emotivo di certi valori. In fondo, la prima idea di giustizia o ingiustizia l'apprendiamo da un calcio di rigore. L'autogol a pagamento è lo stupro di certe virtù. Il calciatore che si presta a un simile inganno ha tradito non solo ogni piccolo tifoso, ma soprattutto il bambino che è in lui. Lo stesso che, in un tempo non troppo lontano, tirando calci a una palla sognava di giocare un derby in serie A. ------- BASTA INDULGENZA PENE PIÙ SEVERE Così l'Uefa può isolare i mascalzoni di DANIELE DALLERA (CorSera 03-04-2012) Non scommettere. Mai e poi mai. Lo dice (chiaro) la legge sportiva. Altrimenti il calciatore cade nel peccato e rischia sanzioni e squalifiche varie. La legge sportiva impone che il calciatore non scommetta. Mai e poi mai. Altrimenti cade nel peccato e rischia sanzioni e squalifiche varie. È il minimo, uno pensa. La storia, i fatti lontani e recenti, gli arresti all'alba dimostrano, ahinoi, che il calciatore è disposto a rovinarsi la carriera, presente e futuro, non solo scommettendo che è un piacere, ma falsificando anche partite e risultati. Così ingordo e immaturo, guadagna ancor di più. Procure di tutta Italia, da Cremona a Bari, passando per Napoli (ma queste tre sono solo le più vivaci) stanno dimostrando l'eterno viziaccio del calciatore. Fa bene Michel Platini a chiedere la radiazione di chi sporcando la coscienza e le mani, truffa gli sportivi, quelli che ci credono per fortuna ancora, quelli che si recano allo stadio superando ostacoli di ogni tipo, quelli che vanno in trasferta, quelli che impoveriscono le loro tasche abbonandosi alla pay tv, quelli che quando perde l'Inter o il Milan dicono che in fondo è una partita di calcio ma poi tornano a casa e picchiano i figli, oh yes (canta quel genio di Enzo Jannacci). Platini dovrebbe andare oltre le minacce e le proposte di radiazione. Per esempio lanciando un'opera di prevenzione antiscommesse che metta in grave crisi chi ha la puntata facile, isolando il mascalzone, colpendolo appena si muove: il grande capo dell'Uefa si attivi e spinga per mettere a disposizione delle varie federazioni maggiori mezzi, economici e d'indagine, non si limiti a stipulare accordi internazionali con le polizie europee, troppe volte scritti sulla sabbia. Tanti convegni si sono fatti in tal senso, ma la scommessa va in gol troppo facilmente. E senza cadere nel bigottismo, chissà forse è venuto il caso di impedire quei milionari contratti di sponsorizzazione a squadre e campioni che mettono a disposizione magliette e facce per promuovere il gioco online, dal poker alla teresina passando per la roulette. ------- Assemblea I presidenti di A hanno convocato Albertini per capire il significato del raduno azzurro del 23 e 24 aprile La Lega si fa pregare, ma dice sì allo stage di FABIO MONTI (CorSera 03-04-2012) MILANO — Il raduno dei nazionali, richiesto da Prandelli già a novembre, si farà. La data fissata: lunedì 23 e martedì 24 aprile. Si sarebbe potuto arrivare ad analoga conclusione già due mesi fa, ma i presidenti hanno voluto far cadere il sì dall'alto. Prima hanno pronunciato un no indignato; poi hanno atteso l'intervento di Abete e Petrucci; infine (ieri) hanno chiamato il vice-presidente della Figc, Demetrio Albertini, responsabile del club Italia, perché illustrasse in assemblea il senso di questo stage, che non rappresenta un'iniziativa venusiana, ma un semplice raduno di azzurri in vista dell'Europeo (8 giugno-1 luglio). Come si facevano già ai tempi di Sacchi (e persino di Vicini), quando i rapporti tra Figc e Lega erano di normale dialettica. La convocazione di Albertini alla fine è diventata un modo per rendere complicate le cose più semplici oppure per avere la garanzie che, in caso di forfeit di qualche giocatore, non ci saranno sanzioni (mano libera ai club), come sarebbe previsto dai regolamenti. Ovviamente allo stage non andranno i rossoneri se il Milan stasera riuscirà ad eliminare il Barcellona (il 24 e 25 aprile ci sono le semifinali di ritorno di Champions League). Si è molto parlato in assemblea della posizione di Lotito, già condannato (in primo grado) dal tribunale di Napoli per frode sportiva (Calciopoli) e in secondo grado dal tribunale di Milano per aggiotaggio. Oggi il tribunale civile di Roma è chiamato a pronunciarsi sul ricorso d'urgenza presentato dal presidente della Lazio contro la Federcalcio, che lo ha dichiarato sospeso dalla carica di consigliere federale, come previsto dalle norme. Gli avvocati della Lega ci andranno, ma da «convenuti». Lo stesso Lotito aveva chiesto che si presentassero con un documento di adesione totale al suo ricorso, nel quale chiede anche che sia impedito all'assemblea di Lega di nominare un consigliere federale «a termine» al suo posto. Una nomina che si sarebbe già dovuta fare, ma che è stata rinviata sine die per non dispiacere al dirigente che detta la linea politica della Lega, stante la posizione di Beretta, presidente dimissionario. Il documento era già stato scritto, in due differenti versioni non molto dissimili, ma è stato respinto dalla maggioranza dei presidenti, che si sono opposti alla decisione di Lotito di violare la clausola compromissoria. Unica concessione fatta dalla Lega a Lotito è una memoria nella quale si conferma che l'assemblea dei presidenti di A aveva chiesto alla Figc di modificare l'art. 22 bis della Noif, che prevedeva la sospensione anche dalle cariche di società di chi è stato condannato per frode sportiva. Modifica che è già stata approvata dal Consiglio federale. Lo Statuto federale (art. 9, comma 8) dice: «Le Leghe adottano tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal presente Statuto ovvero determinati dagli atti della Figc. Esse si astengono da qualsiasi atto o fatto contrario al principio di leale cooperazione con la Figc e le altre Leghe o associazioni». Il ricorso al tribunale di Roma, senza autorizzazione preventiva da parte degli organi competenti, configura la violazione della clausola compromissoria e questo può portare a sanzioni anche pesanti che riguardano il club (in ipotesi: tre punti di penalizzazione in classifica alla Lazio). D'altronde la Lega di serie A è in perenne violazione delle norme e delle regole e soltanto la linea morbida adottata dalla Figc le ha consentito fin qui di evitare il commissariamento. Su sollecitazione dell'a.d. dell'Inter, Ernesto Paolillo, anche la Lega si è accorta che esiste un problema gravissimo legato alle scommesse. Nell'assemblea del 20 aprile verrà messo a punto un sistema di controllo sui flussi di scommesse sulle partite del campionato di A sul modello di quanto sta facendo da tempo la Lega Pro. Perché al di là della tolleranza zero, è evidente che occorre prevenire, prima di finire nei guai per la responsabilità oggettiva, che resta il cardine dell'ordinamento sportivo. -
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LA COMMEDIA DEL FANGO di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 03-04-2012) TRA l’abbagliante bellezza di Barcellona-Milan, stasera al Camp Nou, e il putrido fango delle scommesse, il calcio italiano si scopre sempre al bivio, scisso e disorientato, a due passi dal sogno e a un millimetro dal precipizio. Non si fa in tempo ad aspettare i diamanti di Messi e Ibra, ed ecco che un Masiello qualsiasi confessa di avere segnato un autogol per soldi. Lui, che giocava nel Bari, l’anno scorso si vendette il derby contro il Lecce (e adesso è in carcere proprio a Bari, auguri). Mai un giocatore di pallone era arrivato ad ammettere una cosa del genere. E nella ripetizione seriale di quel filmato – Masiello che goffamente finge di inciampare, infilando la propria porta – c’è tutto il comico e il tragico di una vicenda infinita. Le autoreti sono buffe e ridicole sempre (si pensi a quelle storiche del cagliaritano Comunardo Niccolai, quando il calcio era povero ma non si prostituiva), ma questa è addirittura un paradigma: dentro si scorgono l’avidità e la scemenza, l’impunità (finché dura) e la protervia. Come se l’autore del gesto si sentisse protetto dagli dei, immune da qualsiasi accusa nei secoli dei secoli. Invece, come un furto di galline, il marcio è venuto fuori, e la confessione di Masiello con i 300mila euro ancora in bocca spalanca uno scenario inedito. Perché nel Totonero preistorico si scommetteva a perdere, si accomodavano risultati con la complicità di un fruttivendolo o di un oste. Adesso si tratta di intrighi internazionali, si aggiustano i punteggi e non solo i risultati, conta il numero dei gol segnati, pazienza se ci va di mezzo anche la discutibile sacralità di un derby. Pare che gli ultrà del Bari, a salvezza ottenuta, abbiano minacciato i loro giocatori di perdere apposta, per intascare i soldi della scommesse contro la squadra del cuore. Il sottoscala dell’inferno dev’essere così, triste e buffo insieme. L’unica cosa certa, adesso, è che lo scorso campionato è stato finto, almeno per quanto riguarda la retrocessione. La Sampdoria, tanto per dire, finì in B invece del Lecce: cosa deciderà la giustizia sportiva? Si parla tanto di campionati falsati dai gol fantasma, ma i giocatori delinquenti e scommettitori non sono mica spettri, esistono davvero e truccano assai più di una pur deprecabile svista del guardalinee. Stasera, a Barcellona, sarebbe bello dimenticare tutto questo almeno per 90 minuti (e magari oltre, fino ai supplementari, se il Milan sarà tanto bravo da arrivarci). Ma non si possono chiudere le fogne quando si guarda il cielo: la puzza arriva lo stesso. -
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LA REAZIONE PAROLE FORTI DELL’A.D. DELL’INTER Paolillo scuote i club «Siamo assenti» Se ne parlerà il 20 Società esposte alla responsabilità amministrativa: si sta studiando un modello di controllo di MATTEO BREGA & MARCO IARIA (GaSport 03-04-2012) Un piccolo sussulto dalla Lega di A, di fronte allo tsunami delle scommesse. In mattinata Ernesto Paolillo, amministratore delegato dell'Inter, aveva lanciato il suo j'accuse: «Se ne deve parlare di più anche in Lega, che invece su questo tema è assolutamente assente. Il mio rammarico è che quando è scoppiato il calcioscommesse, in Lega non si sia parlato di questo argomento. C'è chi parla di cambiare la responsabilità oggettiva forse perché pensa che la propria squadra possa essere coinvolta: il grave difetto del calcio è questo, si discute di cose personali e non di problematiche autentiche». Nel pomeriggio, al termine della riunione di Lega, Paolillo è passato all'incasso: coadiuvato dal Novara, ha convinto gli altri club a inserire il tema nell'ordine del giorno della prossima assemblea del 20 aprile. «Finalmente si parlerà di scommesse. La responsabilità amministrativa, con la 231, è molto più importante di quella oggettiva», le parole di Paolillo. Modello di autodifesa In Lega si sta ragionando su un meccanismo di autotutela per i club, nei casi in cui uno o più calciatori scommettano o, peggio, tarocchino una partita. Lo spauracchio è proprio il decreto legislativo 231 del 2001, che prevede per una serie di reati (la lista si fa sempre più numerosa) una potenziale sanzione penale anche a carico delle società: appunto, la responsabilità amministrativa. Come difendersi? Se si adotta un codice etico, si costituisce un organo di vigilanza interna, si dimostra insomma che la società fa tutto il possibile per controllare l'operato dei suoi dipendenti, allora si è al riparo da sanzioni. Attualmente in Serie A, a parte le società quotate (Juventus, Lazio e Roma), Inter, Milan e Udinese hanno adottato un simile modello organizzativo. Ma anche il Novara si è attivato, affidando tra l'altro il monitoraggio delle gare a una società esterna, per la segnalazione di flussi anomali. L'obiettivo è di implementare il modello in tutti i club di A, dotati a quel punto di un'arma preziosa che serva non solo a evitare condanne ma pure a rivalersi su chi tradisce la fiducia del datore di lavoro. ------- RICORSO OGGI L’UDIENZA MA LA GIUDICE È MALATA La Lega si è tirata fuori dallo scontro Lotito-Figc di MAURIZIO GALDI & MARCO IARIA (GaSport 03-04-2012) Claudio Lotito resta solo nella sua battaglia contro la Figc che l'ha sospeso dalla carica di consigliere federale. Ieri l'assemblea della Lega, con 16 voti a favore (Cagliari contrario, assenti Lecce e Atalanta, la Lazio è uscita dalla stanza), ha deciso che oggi, davanti al Tribunale civile di Roma, si costituirà solo in qualità di «convenuta». Ascoltato il parere dell'avvocato Stincardini, è stata approvata una memoria in cui non si traggono conclusioni e si ribadisce la volontà di non violare la clausola compromissoria. Nessuno scontro frontale con Federazione e Coni, grazie alla diplomazia di Inter, Roma e Siena: dagli ambienti romani filtra soddisfazione. Tra l'altro, è passato il testo più soft, per di più emendato: a esempio, il termine «aderisce» alla tesi del ricorrente è stato sostituito con un più neutro «ritiene che». In astratto La Lega non mancherà di sottolineare che, in linea di principio, le argomentazioni di Lotito restano condivisibili ricordando le precedenti deliberazioni (come la richiesta di modifica dell'articolo 22 bis delle Noif) e il parere della Corte di giustizia. Qualche giurista sostiene che una simile posizione potrebbe comunque portare al deferimento dei club firmatari. Il precedente è il lodo Dondarini. La sezione Aia di Finale Emilia è stata commissariata per aver nominato presidente l'ex arbitro condannato per Calciopoli. Il motivo? Il mancato rispetto delle sentenze penali. L'udienza è fissata per oggi ma la giudice è malata e potrebbe essere nominato un sostituto. ------- IlCommento SERVE LA RADIAZIONE Calcioscommesse la radiazione è l’unica strada Il rischio penale è limitato, resta l’arma della squalifica a vita di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 03-04-2012) È un salto di qualità. Ma in peggio. La nuova puntata del calcioscommesse arriva questa volta dalla Procura di Bari e ci dice che non si tratta più soltanto di calciatori infedeli che taroccano di qui e di là per aggiungere ai loro magri o grassi stipendi ulteriori entrate. Il procuratore capo Antonio Laudati è sicuro, dimezzo c’è finita anche qualche società, per giunta di serie A. Una la indica esplicitamente, il Lecce d’un Bari-Lecce 0-2 penultima giornata dello scorso campionato, partita sulla quale non si sarebbe nemmeno scommesso. Premeva il risultato che avrebbe garantito la aritmetica salvezza dei salentini. Pagata 300mila euro, secondo quanto affermano gli inquirenti. Calcolando che il Lecce non sarebbe la sola società in così imbarazzante situazione, questo Laudati non lo dice ma lo lascia intendere, si evince che i campionati che ci siamo lasciati alle spalle erano parzialmente farlocchi (più in basso che in alto, per fortuna) e, sulla base delle decisioni che la giustizia sportiva assumerà, che quelli in arrivo saranno giocoforza terremotati da queste miserevoli vicende. Non più responsabilità oggettiva, ma responsabilità diretta. Per il nostro malandato calcio è una brutta botta. Che la «tolleranza zero» una volta tanto tempestivamente affermata ieri da Abete e Beretta, con tanto di storica decisione della Lega di Milano di trattare l’argomento (senza fretta, però, il 20 aprile. . . ), rende appena meno intollerabile. Ha ragione Platini, quando dall’Uefa fa sapere che su scommesse e tarocchi la giustizia sportiva possiede una sola merce di scambio, la radiazione. E’ questo e soltanto questo il linguaggio che personaggi come l’attuale detenuto Andrea Masiello possono comprendere. In campo penale, si sa, questi sono reati che fanno notizia ma comportano un rischio sanzionatorio relativamente limitato. L’unica strada per tirarsi fuori da questa palude è quella di insistere col formidabile deterrente «sportivo» della squalifica a vita, sanzione peraltro già adottata in certa misura nelle sentenze 2011. E su quanti intendono collaborare, e così facendo avvalersi di riduzioni della pena, sarà bene d’ora in avanti distinguere bene tra chi lo fa per davvero e chi lo fa solo per finta. Come, a quanto sembra, è già avvenuto. Ieri Bari, per quella che è stata definita «prima tranche» di un lavoro assai più lungo e articolato. Tre arresti, una trentina di indagati tra i quali diversi calciatori dell’attuale serie A, questa miniretata, purtroppo, non sembra avere a che fare con la recente «profezia» del capo della Polizia Manganelli, che molto probabilmente nel preannunciare misure cautelari a gogò si riferiva più all’inchiesta della Procura di Cremona che a quelle di Bari e di Napoli. Siamo ancora, dopo un anno dalle prime avvisaglie, ai capitoli iniziali della storiaccia, insomma. Con la solita necessità propria dello sport e del calcio in particolare: il 25 e 26 agosto deve cominciare la nuova serie A. Già, ma quale? -
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IL CASO MUAMBA E L’ODIO CUPO DI INTERNET Il bullismo digitale ai tempi di Twitter di ALLISON PEARSON (The Daily Telegraph 28-03-2012) (il Fatto Quotidiano 03-04-2012 - Traduzione di CARLO ANTONIO BISCOTTO) Quando il 17 marzo Fabrice Muamba cadde a terra svenuto durante una partita di calcio, sullo stadio calò una cappa di silenzio e di angoscia. Mentre medici e paramedici si affannavano sul corpo esanime del ventitreenne campione del Bolton per strapparlo alla morte, in un’altra parte del Paese un giovane ebbe una reazione di segno opposto. Lo studente di Swansea Liam Stacey andò su Twitter e scrisse “E vai!!! Fabrice Muamba è morto!”. Quando, sempre sul social network, gli fu chiesta ragione della sua insensibilità, il ventunenne studente di Biologia rispose con una raffica di oscenità e di commenti razzisti. Poi, come fanno spesso i troll di Internet (il “troll” è una persona che su Internet interagisce con gli altri utenti in modo provocatorio, irritante, offensivo, ndt), quando vide la mala parata si giustificò dicendo che quei commenti erano stati postati da un hacker. Per fortuna è più difficile cancellare una pagina Twitter che ingannare la propria sporca coscienza e Liam Stacey è stato arrestato. Martedì scorso è comparso in tribunale, si è dichiarato colpevole ed è stato condannato a 56 giorni di reclusione. Una sentenza alquanto dura per un semplice imbecille. Debbo ammettere che, avendo passato qualche guaio a causa dei troll che agiscono in rete, me ne sono rallegrata. Una volta tanto un cretino, un malvagio era stato privato dello schermo garantito dall’anonimato e tutti hanno potuto vederlo per come realmente è: tremante e piagnucolante in tribunale. Niente più “e vai!”, eh Liam? QUESTO CASO è in qualche modo uno spartiacque. Siamo in presenza, come hanno detto alcuni, di una reazione eccessiva e di un attacco alla libertà di parola? Oppure la sentenza del tribunale è il segno che la nostra società ne ha abbastanza e comincia a imporre qualche regola di umana decenza anche nelle praterie di Internet dove non esistono né legge né diritto? C’è persino chi scomoda la famosa frase, attribuita a Voltaire, “disapprovo quello che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo”. Non mi unisco alla schiera dei voltairiani di complemento per aver visto sulla mia pelle che la cultura del “tutto è permesso online” è il passaporto dei bulli, degli amorali che terrorizzano i deboli, insultano i forti e dissacrano i morti. Vi racconto cosa mi è successo. Un paio di settimane fa mi sono occupata di Tony Nicklinson, l’uomo completamente paralizzato a causa di un ictus, che ha chiesto alla Corte Suprema di poter porre fine ai suoi giorni. È una questione delicata e controversa. Si trattasse di una persona che amo, avrei la tentazione di staccare la spina assumendomene responsabilità e conseguenze. HO SCRITTO onestamente quello che pensavo e cioè che il diritto di morire non può essere stabilito dalla legge. Liberi gli altri di non concordare con il mio punto di vista, naturalmente. Nei giorni seguenti sono stata sommersa da una valanga di email equamente divise tra chi concordava con me e chi si diceva in disaccordo. Poi su Twitter ho trovato un insulto pesante a me come persona e come donna. Ne sono rimasta sconvolta. Il tizio era un certo Doug Stanhope. Perché non poteva manifestare il suo dissenso senza darmi della tr**a? Risposi a Stanhope facendo presente che poteva definirmi disinformata, anche stupida, ma non tr**a. Sono poi venuta a sapere che Doug Stanhope è un “comico” americano, il cui mestiere evidentemente è quello di offendere ed essere sgradevole. Volete un esempio? Vi accontento subito. Ecco come in un suo numero Doug Stanhope parla del figlio di Sarah Palin affetto dalle sindrome di Down: “Scaraventa nel cesso quello spastico ritardato!”. Al confronto il successivo tweet a me indirizzato aveva il suono di una dichiarazione di Fred Astaire a Ginger Rogers: “Allison Pearson, sono diventato cristiano solo per pregare che ti venga un cancro alle ovaie”, mi ha scritto. Stanhope ha 83.000 followers su Twitter e ho avuto modo di tracciarne una sorta di identikit: per lo più maschi nordamericani intorno alla ventina o poco più con nomi quali Bradley, Ryan e Monster. Nemici della grammatica e della sintassi, nelle foto hanno il volto coperto, portano occhiali da sole smisurati e sfoggiano una espressione degna di Jack Nicholson in Shining. Non sto a ripetervi la pioggia di oscenità e volgarità che mi hanno rovesciato addosso arrivando ad augurarmi di avere un figlio tetraplegico e una morte lenta e dolorosa. A volte Twitter è come il bar vicino casa dove fare due chiacchiere e provare quella sensazione che il poeta Louis MacNeice definì “l’ebrezza alcolica della varietà delle cose”. Ma poi mi sono imbattuta nei troll che, chiedo scusa a MacNeice, definirei “l’oscenità di una varietà di mascalzoni ubriachi”. Liam Stacey evidentemente abita in un universo morale diverso da quello di Muamba e, virtualmente, si è comportato come chi prende a calci in faccia un uomo che giace a terra inerme. Io posso difendermi. Ma che ne è di chi è giovane, fragile, vulnerabile? LA BBC ha trasmesso di recente un eccellente documentario di Richard Bacon nel quale si parla di un fenomeno finora poco indagato: il numero crescente di adolescenti che si suicidano per avere subito una qualche forma di “violenza” su Internet. A quelli che vengono presi di mira dai troll do un consiglio: fate finta di niente e aspettate che il pazzo se la prenda con qualcun altro. “Internet era migliore quando non era frequentato dalla cosiddetta gente normale”, si è lamentato, con involontaria saggezza, uno dei miei troll. Naturalmente per migliore, intendeva peggiore. Come il Selvaggio West, Internet è una nuova, eccitante frontiera che ha bisogno di sceriffi. I troll debbono pensarci due volte prima di vomitare la loro immondizia. Eppure, malgrado tutto, credo che Liam Stacey non avrebbe dovuto essere messo in prigione. Gli avrebbe fatto meglio essere costretto ad andare in ospedale e vegliare accanto a quel bravo ragazzo di Fabrice Muamba che lottava tra la vita e la morte. -
03 04 2012 Partite truccate e gol falsi Meglio darsi all’ippica Ammetto di essere assai più colpito dal caso Laghat che dal caso Masiello. Il caso Masiello, Andrea Masiello, difensore dell’Atalanta oggi e del Bari la scorsa stagione incriminata, è da ieri noto dappertutto. È stato arrestato a Bari con altri due amici scommettitori, truccava le partite con autogol fulgidi, ha preso il posto di Doni come (immagino momentaneo) eponimo di “Scommettopoli” ecc. Il caso Laghat lo si conosce meno. Laghat è un cavallo di 9 anni che sta vincendo un Gran Premio dietro l’altro, si allena a San Rossore e soprattutto è praticamente cieco per una micosi. Però, dice il suo proprietario-fantino Federico De Paola, “ha una luce dentro, riesce a orientarsi perfettamente in pista, ha un sesto senso che gli consente di evitare i contatti con gli altri cavalli. E risponde perfettamente ai comandi”. Che c’entra Masiello con Laghat, vi chiederete voi? Intanto Masiello è esattamente l’opposto, ci vede benissimo a quanto ha confessato, ha un sesto senso che gli permette di vendersi le partite. E anche lui risponde perfettamente ai comandi. Solo che Laghat tira a vincere, mentre Masiello tira a perdere. Evidentemente poi anche Masiello ha una “luce dentro”, ma negativa, è una sorta di Lucifero nel Paradiso sputtanato del pallone. E infine che il cavallo cieco vinca e rivinca mi colpisce di più (anche senza scommetterci sopra) del Masiello “fraudolento” perché conosco poco l’ippica e invece so qualcosina del calcio. Quindi aspetto di vedere se escono nomi “grossi” di scommettitori tra i calciatori (ricordo che i tesserati non possono farlo né direttamente né indirettamente) in questo vortice di partite truccate e/o millantate, e soprattutto nomi di dirigenti di club che hanno innestato sulla vite marcia delle partite “scambiate” (cioè vendute e comprate) specie a fine stagione il vitigno delle scommesse, anche solo per ripianare i debiti colossali che assediano il Reame Rotondocratico. PER ORA, da Doni a Masiello passando per “zingari” e “meno zingari”, non mi stupisco affatto. Casomai continuo a ribadire che gli addetti ai lavori fanno di solito finta di niente e invece che contribuire a scoperchiare il marcio “tifano” per un calcio pulito e un campionato che salvi la verginità. Quindi per lo scandalo “barese” siamo al “tanto tuonò che piovve” con gli arresti a rate dall’estate scorsa, ma in attesa di meteorologi seri: magari con la domandina semplice semplice “ma invece questo campionato è pulito?”. E chi lo sa? Apparentemente sul palcoscenico si alternano i “duellanti”, dico Milan e Juventus, e poi i “reticenti”, cioè le quattro o cinque squadre ancora in odore di terzo posto Champions, e poi i “gamberi”, cioè chi va indietro, verso la retrocessione, come le tre squadre apparentemente segnate fin dalle prime mosse e oggi fortemente insidiate dalla Fiorentina peggiore degli ultimi sette anni. Anzi, forse il confronto con annate balorde da fondo classifica tipo quella dell’ultimo Cecchi Gori (il laureato allo zafferano) ci direbbe che c’era più gente allo stadio allora che oggi. Per dire di quello che sono riusciti a combinare i “brothers” con le loro moine da disaffezione. Anche Moratti fa la sua parte, per carità, ma non abbandona la plancia e anzi continua a impartire ordini alla ciurma cambiando nostromo a ogni vela issata. Vediamo che succede nel prossimo mese con il giovane e baldo “immurinato” Stramaccioni. Dicevo di Milan e Juve: se stasera il Milan passa a Barcellona, si galvanizza per il campionato ma pagherà dazio per lo stress e il doppio obiettivo, arbitri o non arbitri, palloni dentro o fuori. Se invece esce dal seminato europeo, può concentrarsi sullo scudetto, ma sconterebbe una delusione fortissima, da parte di tutta la famiglia milanista a partire dal presidente-allenatore. Insomma, è tutto aperto per merito anche della Juve che non molla e il cui eventuale titolo edulcorerebbe i postumi di Calciopoli pur senza contribuire a un “plus” di verità. SI AGGIUNGA che perlomeno per l’ultimo posto in Champions come per la salvezza, nessuno dovrebbe dirsi davvero tranquillo rispetto alle risultanze in fieri del calcio-scommesse. Quindi classifiche provvisorie, ma in tutti i sensi. E potature stagionali delle Parche, premature o longeve: dico di Giorgione Chinaglia e di Antonio Ghirelli, che molto hanno rispettivamente fatto scrivere e scritto di questo mondo rotondolatrico e rotondolalico. Di Antonio c’è oggi qui un ricordo cui non mi sovrappongo, se non per dire che assieme al rivale Gianni Brera ha “insanguinato” le rotative degli anni 60 e 70. Il “Fu Carlo” era un solista dello stile, alla Lutring, e degli altri non gliene poteva fregare di meno. “Totò” con tutta la sua napolitudine cercava almeno in parte eredi in una maieutica politica e culturale un po’ da diporto. Legava sport a società, cosa che nessuno o quasi fa più nella barbarie di ritorno da Colosseo calcistico (in questo caso il “restauro” pubblicitario di Della Valle non c’entra...). È quindi da rimpiangere. Così come mi piacerebbe che di “Chinaglione canaglione”, cui il cuore ha ceduto a 65 anni, non si dicesse troppo male per le sue ultime “licenze” paracamorristiche, che gli impedivano di tornare in Italia. L’uomo, un Depardieu più grezzo fisicamente e “minatore” quanto l’attore è un enologo... era davvero di buonissima pasta, con tutti i suoi eccessi. Il calciatore era un “gigante” che ha fatto volare l’aquila laziale in tempi più presentabili di quelli in cui si son cuciti un altro scudetto, nell’anno del Giubileo, con un presidente come Cragnotti (e – direbbe Totò – “ho detto tutto”). Un trascinatore, “cavallone di Gondrand” che aveva rimontato la china della vita. Uno vero, pur tra le nequizie, da non confondere con gli attuali falsificatori del calcio scommesse. Una specie di quel Laghat di San Rossore, almeno in campo. . . Ciao, Giorgio.
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Calcioscommesse: dopo gli arresti a Bari l'inchiesta segue tre filoni di MARCO BELLINAZZO dal blog Calcio & business (Il Sole 24 ORE.com 02-04-2012) "Primo tassello di un'indagine molto articolata". Così il procuratore della Repubblica di Bari, Antonio Laudati, ha commentato in conferenza stampa gli sviluppi dell'inchiesta sul Calcioscommesse. Sono tre - ha detto - i filoni d'indagine su cui si sta concentrando la Procura di Bari, coordinati da Laudati insieme ai pm Ciro Angelillis e Giuseppe Dentamaro, nati da una segnalazione sulla partita di Coppa Italia Bari-Livorno del primo dicembre 2010 finita 4-1, in cui si registrò un anomalo flusso di scommesse tra il primo e il secondo tempo. Il primo filone riguarda il ruolo di alcuni calciatori, definiti da Laudati "infedeli". "L'infedeltà di qualcuno - ha commentato Laudati- non inficia però il sistema del calcio italiano che è sano". Poi c'è un filone relativo alle infiltrazioni degli scommettitori esteri. Infine il terzo "per noi più rilevante" ha detto ancora Laudati, è il ruolo della criminalità organizzata nel sistema scommesse. "La criminalità organizzata - ha proseguito il procuratore - ha scoperto da molto tempo il mondo delle scommesse, soprattutto quelle giocate all'estero", anche per una facilità nel riciclare denaro. "Il nostro filone - ha detto il procuratore - riguarda solo le partite del Bari e le pressioni e interferenze sul nostro territorio per quanto riguarda il rapporto tra scommesse e risultato sportivo. Questo sistema, per quanto riguarda Bari è presente da tempo. Ricordo i sequestri di agenzie di scommesse a clan locali". Le indagini si sono basate sui flussi dei traffici telefonici, sugli accertamenti patrimoniali, sulle registrazioni dei nominativi per le scommesse che superano certi importi secondo la normativa antiriciclaggio. "Questo è il motivo per cui molte scommesse - ha concluso Laudati - vengono fatte all'estero, per aggirare il sistema delle identificazioni". ------- Calcioscommesse: a Bari in voga il "protocollo Masiello" a caccia di difensori di MARCO BELLINAZZO dal blog Calcio & business (Il Sole 24 ORE.com 02-04-2012) L'ex difensore del Bari, Andrea Masiello, ora all'Atalanta, ha creato un vero e proprio "protocollo Masiello" attraverso il quale «sfrutta le proprie conoscenze nel mondo calcistico professionistico e le proprie informazioni privilegiate per orientare le scommesse del gruppo, per condizionare le prestazioni calcistiche dei suoi compagni di squadra al cui indirizzo veicola le proposte illecite mirate ad addomesticare il risultato dei singoli incontri di calcio promettendo lauti compensi in denaro». Lo scrive il gip Giovanni Abbattista nel provvedimento cautelare. Difensori più esposti. "Il prestigio di Masiello - annota il giudice - deriva direttamente dal campo di calcio, dall'essere egli, terzino destro e anche capitano del Bari, il beniamino della sua tifoseria, dall'indossare ogni domenica sul tappeto verde la maglia biancorossa tra stuoli di giornalisti e fotografi al suo seguito mentre la tivù diffonde in diretta le immagini delle sue gesta, dal disporre, egli, calciatore professionista di successo, di una fitta rete di conoscenze all'interno dell'elite del movimento calcistico e della serie A nazionale da utilizzare all'occorrenza. Del mondo del calcio, peraltro, Masiello è abile nel cogliere i trucchi ed ottimizzarli in funzione della causa associativa: il calciatore avversario da avvicinare per manipolare l'esito delle singole partite deve essere, infatti, sempre un difensore (si vedano, ad esempio, le vicende relative ad Udinese-Bari e Bari-Bologna), perchè in grado di condizionare in ogni momento il risultato finale degli incontri di calcio, magari con un'autorete; le partite che meglio si prestano alla combine sono, per lo più, quelle di fine stagione, quando l'interesse dei tifosi, l'impegno dei calciatori ed anche la pressione mediatica sono ormai allentati". L'autogol per soldi. Dopo aver negato più volte, durante gli interrogatori, la combine del derby Bari-Lecce del 15 maggio 2011 (terminato 0-2), Andrea Masiello ha finito con l'ammettere al pm di aver fatto l'autogol che permise ai giallorossi di vincere la partita e di restare in A. L'ammissione è contenuta in una nota inviata da Masiello al pm Ciro Angelillis, pochi giorni fa: il 28 marzo 2012. La circostanza emerge dagli atti giudiziari alla base del provvedimento di arresto di Masiello che per la combine avrebbe intascato 50mila euro mentre i suoi amici-scommettitori arrestati, Gianni Carella e Fabio Giacobbe, avrebbero ricevuto durante in un incontro in un hotel di Lecce 180.000 euro da un faccendiere probabilmente vicino al Lecce che i carabinieri stanno per identificare. La confessione. "Voglio aggiungere - scrive l'ex difensore del Bari alla procura - che, quando il risultato era sullo 0-1, ho sfruttato un'occasione che mi si è posta per poter cristallizzare definitivamente l'esito di sconfitta per il Bari e per poter ottenere il pagamento promessomi, realizzando così l'autogol con cui si è concluso l'incontro". In precedenza Masiello aveva sempre detto agli inquirenti di aver fatto l'autorete perchè era turbato per il clima che circondava quell'incontro di calcio, caratterizzato da una trattativa con emissari leccesi prima e nella consegna del denaro in albergo di Lecce poi. ------- Calcioscommesse: la Procura di Cremona indaga su Lazio, Lecce e Genoa di MARCO BELLINAZZO dal blog Calcio & business (Il Sole 24 ORE.com 02-04-2012) Dopo aver raggiunto la quota record di 35 arresti e di oltre 100 indagati, l'inchiesta di Cremona, che si intreccia strettamente con quella di Bari che ha visto l'arresto del terzino dell'Atalanta Andrea Masiello (episodi diversi ma molti indagati in comune) potrebbe arricchirsi, anche se non in tempi brevissimi, di altri sviluppi. L'attenzione degli agenti della Squadra mobile della città lombarda e dello Sco (Servizio centrale operativo) da qualche tempo si concentra anche su due partite della Lazio del campionato 2010-2011: Lecce-Lazio (finita 2 a 4) e Lazio-Genoa (4 a 2). A parlarne per la prima volta fu il 'pentito' Carlo Gervasoni, ex Piacenza, nel suo interrogatorio dopo l'arresto del 27 dicembre scorso. Gervasoni ne ha riparlato, e sembra ancor più nel dettaglio, il 12 marzo scorso, quando è nuovamente comparso davanti al procuratore Roberto Di Martino in un interrogatorio il cui contenuto è stato secretato. Nel frattempo, è giunta agli inquirenti la rogatoria ungherese con la trascrizione dell'interrogatorio di Gabro Horvat, calciatore magiaro già arrestato in Ungheria per vicende simili. È infatti Hrovat a parlare in particolare di Lecce-Lazio come di una partita combinata. E così gli investigatori, con l'analisi del traffico telefonico delle persone chiamate in causa, accertamenti bancari e altre indagini tecniche, sembrano aver trovato delle conferme di massima al racconto dei protagonisti. Dati che potrebbero portare a una significativa svolta, e sarebbe la terza, dell'inchiesta. Sviluppi all'indagine potrebbero giungere anche in seguito al prossimo arrivo in Italia di altri due presunti componenti del gruppo degli scommettitori degli 'Zingari' colpiti da ordinanza di custodia cautelare nell'ambito dell'inchiesta cremonese. Si tratta di Admir Suljic e Dino Lalic, sloveni, tuttora latitanti. -
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Il rimedio Le Federazioni decidano da sole Blatter deve togliere il lucchetto alla moviola Marotta: «Visto in tv quello dei rossoneri era gol. D’accordo con Galliani» di FILIPPO GRASSIA (il Giornale 02-04-2012) Rieccoci a parlare di gol fantasma, di gol che c’erano e che per incapacità o miopia non sono stati concessi: a farne le spese è sempre il Milan, l’altro giorno a Catania come il 25 febbraio nella sfida scudetto con la Juventus. Ma c’è una differenza abissale fra i due episodi. A San Siro si era visto a occhio nudo che il colpo di testa di Muntari aveva superato la linea bianca, solo arbitro e assistente hanno fatto cilecca; al Massimino c’è voluta la tecnologia per avere la certezza della rete sul tiro di Robinho. In quest’ultima circostanza neanche i giudici di porta, tanto cari a Platini e ai nostalgici del pallone, ci avrebbero capito qualcosa. L’ha detto perfino Marotta a Sky :«Sì, era gol,in tv s’è visto che era gol. Ma anche un arbitro a bordo campo, avrebbe avuto le sue difficoltà. Condivido che bisogna, adesso, affidarsi ai mezzi tecnologici. Però, se si può migliorare, se si possono evitare questi episodi che, poi, portano sicuramente a delle critiche, se si può arrivare ad utilizzare un giudice di linea, io sono favorevole. E se Galliani ha intenzione di proporre una cosa del genere, penso che tante squadre potranno andargli dietro». Il calcio è rimasto a un secolo fa mentre tutti gli altri sport, nessuno escluso, si avvalgono di sistemi più o meno sofisticati per fare giustizia e aiutare (sì, proprio così, aiutare) arbitri e assistenti alle prese con interrogativi superiori alle loro possibilità di risposta. La Fifa deciderà solo a fine Europeo di aprire le porte del suo conservatorismo ottuso alla moviola sui gol fantasma, e beninteso solo a quelli, con un meccanismo che si avvale di un pallone dotato di chip e di sensori capaci di captarlo. E’ già qualcosa. Ma ci toccherà aspettare i Mondiali in Brasile per vederlo all’opera dopo qualche sperimentazione ufficiale. Nel frattempo la situazione resterà uguale a se stessa. Galliani se l’è presa di brutto, ha scritto una lettera pepata alla Federcalcio per invitarla a prendere posizione, ma dovrebbe anche prendersela con se stesso per non essersi fatto promotore a tempo debito ( e lui poteva, anzi può) di una rivoluzione che non è solo tecnologica, ma anche culturale. E tuttavia non basta pensarlo, bisogna fare qualcosa. Altrimenti ci troveremmo a parlare di gol fantasma all’infinito. Se i grandi club vogliono davvero cancellare i sospetti, debbono muoversi in altre direzioni. Ad esempio convincendo la Fifa a togliere il lucchetto alla moviola in campo e, almeno sui gol fantasma, permettere alle federazioni di comportarsi come meglio credono. E chissenefrega se quel che viene ritenuto necessario in Inghilterra, Spagna, Italia e Germania, non interessa nulla in Finlandia, Islanda, Tanzania o Pakistan. Il calcio non è uguale in tutto il mondo, di analogo ci sono i giocatori, le regole, il campo, le porte. Il business è profondamente diverso. Nei grandi campionati europei fa da volano a interessi enormi con fatturati di centinaia di milioni, cartellini e ingaggi milionari. E allora la Fifa consenta alle federazioni di usare nel loro interno la tecnologia preferita (in Italia è Mediaset, ndt) o i giudici di porta o l’una e gli altri, in piena autonomia. Anche questa è democrazia. È l’unico modo per uscire da un impasse che, soprattutto nei paesi latini, suscita polemiche, alza l’asticella dei sospetti a livelli ormai insostenibili, rende irrespirabile l’aria. La Figc, tanto per fare l’esempio a noi più vicino, potrebbe utilizzare il sistema sviluppato con il Cnr, che ha già dato risultati confortanti nei tanti test sostenuti da tre anni a questa parte. Nel giro di un secondo l’arbitro saprebbe come comportarsi grazie a una valutazione completamente automatica, cioè priva di condizionamenti umani. Sarebbe la fine dei gol fantasma con un costo tutto sommato accettabile: all’incirca 70mila euro a stadio, una tantum. A gioco lungo i giudici di porta costerebbero di più. I bordocampisti la finirebbero di fare i delatori per informare giocatori e tecnici di ciò che è successo. E, vivaddio, chi sta allo stadio non sarebbe penalizzato rispetto a chi vive la partita davanti alla tv. -
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Oggi assemblea a Milano Lotito cerca in Lega un aiuto esplicito nel ricorso anti-Coni ma non lo troverà di FABIO MONTI (CorSera 02-04-2012) MILANO — Oggi a Milano, l'assemblea di serie A si annuncia tempestosa, secondo vecchie e nuove abitudini. È atteso il sì al doppio stage della nazionale di Prandelli (le date 16-17 e 24-25 aprile), dopo l'intervento del presidente del Coni, Gianni Petrucci, che ha di fatto sconfessato la linea della diarchia (Beretta-Lotito) che comanda in Lega e che si era opposta alla richiesta del c. t. , con la formula: «Spiacenti, ma non ci sono date disponibili». E a proposito di Lotito, oggi il presidente della Lazio chiederà ai presidenti un appoggio esplicito nel ricorso presentato al Tribunale ordinario contro il codice etico approvato dal Coni, che ne ha imposto la sospensione dal ruolo di consigliere federale, dopo la condanna (in primo grado) del tribunale di Napoli per frode sportiva (Calciopoli). Per quanto in via Rosellini non manchino mai i colpi di scena, è difficile immaginare che Lotito possa ottenere il pronunciamento esplicito della maggioranza dell'assemblea, perché in molti non hanno alcuna intenzione di appoggiare il presidente della Lazio in un'operazione che rappresenterebbe una palese violazione dello Statuto della Figc. L'art. 9 (comma 8) spiega che «le Leghe adottano tutte le misure atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi determinati dagli atti della Figc. Esse si astengono da qualsiasi atto o fatto contrario al principio di leale cooperazione con la Figc». Comunque vada a finire, quello che appare evidente è che Lotito si sta muovendo in aperta violazione della clausola compromissoria, la norma che impedisce ai tesserati di rivolgersi alla giustizia ordinaria, senza autorizzazione preventiva (su richiesta). Non è invece chiaro perché il procuratore federale, Palazzi, non abbia ancora provveduto a deferire il presidente della Lazio, che ha violato l'art. 30 dello Statuto della Figc. In base all'art. 15 della Noif, il non rispetto della clausola compromissoria comporta una serie di sanzioni che vanno dalla penalizzazione di almeno tre punti in classifica per le società fino all'inibizione di un anno e alla multa. Anche per questo il presidente Abete, dopo aver commentato l'incredibile vicenda legata alla finale di Coppa Italia (Roma sì, Roma no e alla fine Roma sì), aveva detto: «La Lega di serie A ha scritto una brutta pagina, che per fortuna è stata superata con un rinsavimento finale. Leggendo l'ordine del giorno dell'assemblea di lunedì prossimo speriamo che di brutte pagine non se ne aggiunga un'altra». Abete avrebbe il potere di commissariare (dopo un richiamo-ultimatum al rispetto delle norme) la Lega di Milano, perché tra le varie violazioni in atto, c'è anche quella legata alla governance. Con un presidente dimissionario (Beretta), manca ancora dopo dieci mesi il vicepresidente e un componente del Direttivo (Garrone è decaduto per la retrocessione in B della Samp, avvenuta nel maggio 2011). Manca soprattutto l'Alto Comitato di vigilanza per l'etica, secondo quanto previsto dall'art. 7 dello Statuto. E nemmeno si ha traccia dell'«adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali, nonché di adeguati meccanismi di controllo». Il caos è assoluto. -
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SCUDETTO ROVENTE Galliani chiede giudici di porta La Juve concilia L'a.d. del Milan scriverà alla Federcalcio Marotta ammette: «Quel gol sembrava buono» di MARCO PASOTTO (GaSport 02-04-2012) Se non la pace, sembrava ci potesse essere almeno una tregua. Invece le relazioni fra Milan e Juve sono come il fuoco sotto la cenere: covano, covano e basta una scintilla per bruciare un armistizio evidentemente di carta velina. Chi pensava che non essendo più destinate a incrociarsi sul campo, le due società chiudessero la stagione senza ulteriori polemiche, si deve ricredere: è stato sufficiente un altro arbitraggio giudicato pessimo dal club rossonero per rispolverare i vecchi torti. Il gol fantasma di Robinho a Catania ha richiamato con prepotenza alla mente quello di Muntari e fatto infuriare Galliani e Allegri. Che poi nel dopogara hanno preso strade diverse: il vicepresidente ha cercato di evitare il più possibile la parola Juve nelle sue esternazioni, mentre Allegri è entrato in tackle duro. Specialmente su Marotta. Ma questa non è una novità. Atto ufficiale La novità semmai è che Galliani sta per prendere carta e penna per scrivere al presidente federale Abete. La raccomandata, che sarà stilata a breve e arriverà in Federcalcio nei prossimi giorni, contiene una richiesta ben precisa: il Milan richiederà di adottare, a partire dal prossimo campionato, gli assistenti di porta. Come sta già accadendo in Champions. Un atto ufficiale insomma, in modo che del dopogara di Catania non restino soltanto gli sfoghi e le amarezze. Pranzo con richiesta Ma non è tutto. Galliani sta lavorando sul progetto di «ausilio arbitrale» su più campi e dal pranzo con Michel Platini dello scorso 12 marzo emerge un'indiscrezione: l'a. d. rossonero avrebbe chiesto al presidente Uefa l'introduzione dei sensori nelle porte. Ciò che tormenta davvero Galliani infatti, come ha spiegato anche al Massimino, non sono i fuorigioco o i rigori dubbi, ma i gol fantasma. Da qui la due richieste: aiuto umano alla Figc, tecnologico alla Uefa. In modo da sgombrare il campo dai dubbi sia in campionato che nelle coppe europee. In questi casi il dirigente rossonero ama ricordare come la tecnologia sia preziosa in altri sport, come tennis e scherma. Il problema sarà convincere Platini, che proprio al termine di quel pranzo con Galliani si era detto «totalmente contrario a tutte le tecnologie» e aveva caldeggiato l'impiego degli assistenti di porta. La parola passa all'International Board, che affronterà l'argomento dopo l'Europeo. Marotta vota sì Questo per quanto concerne il futuro a medio termine. Poi c'è l'attualità. E l'attualità parla di una Juve che ha dimezzato il distacco. E' facile pensare che con un divario di due soli punti le strade dialettiche dei due club potrebbero scontrarsi ancora. Per il momento comunque la società bianconera non sembra intenzionata a continuare nelle polemiche. Anzi, Marotta si schiera accanto a Galliani: «Penso che quello di Robinho fosse gol — ha detto l'a.d. bianconero prima di Juve-Napoli —. Condivido la tesi che ora bisogna affidarsi ai mezzi tecnologici perché anche un arbitro a bordo campo avrebbe avuto le sue difficoltà. Visto e rivisto credo che la palla abbia oltrepassato la linea. Galliani chiederà gli assistenti di porta? Se si può migliorare, se si possono evitare questi episodi io sono favorevole. Se Galliani ha intenzione di proporre una cosa del genere tante squadre potranno andargli dietro». Infine, il capitolo Allegri: «Se parliamo dell'allenatore dico che è un ottimo allenatore, bravo e preparato. Però preferisco non rispondergli perché è un allenatore avversario e la mia filosofia prevede di non replicare a quanto dicono gli altri tecnici. Non voglio alimentare ulteriori polemiche». Quanto durerà? -
[ Serie A ] Juventus - Napoli 3-0
Ghost Dog ha risposto al topic di Morpheus © in Stagione 2011/2012
Tra tutte le immagini viste ieri sera, dopo essermi ripreso dai festeggiamenti alcolici, direi che: - Pagliuca sta invecchiando male male male: Cocoon - Cesari: che ti fulmini una diarrea - De Laurentiis: dove sono finiti i finanziamenti a fondo perduto per lo Juventus Stadium? (imbecille!) - Mediaset Premium: ridicolo reputare Maggio come neanche Garrincha e Bale messi insieme - Juventus: delirio! -
[ Serie A ] Juventus - Napoli 3-0
Ghost Dog ha risposto al topic di Morpheus © in Stagione 2011/2012
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Gli arbitri favoriscono la squadra di casa? La BBC ha provato a verificare con i numeri una vecchia questione del calcio, che ha prodotto grandi dibattiti e persino dei libri della redazione di il POST 01-04-2012 La BBC ha pubblicato ieri un articolo sui presunti favori che le squadre di calcio del campionato inglese, in particolare le più forti, riceverebbero inconsciamente dagli arbitri quando giocano in casa. Il problema è tornato di attualità dopo la partita di campionato tra Manchester United e Fulham, che si è giocata lunedì scorso allo stadio Old Trafford di Manchester. Il Manchester United ha vinto la partita per 1-0, ma al Fulham è stato negato un rigore piuttosto evidente nel corso della partita, e il suo allenatore Martin Jol ha detto che gli arbitri devono essere più “coraggiosi” in certe circostanze. Il caso dunque ha riproposto il problema della presunta “sudditanza psicologica” degli arbitri, sia nei confronti della grandi squadre, sia nei confronti del pubblico di casa. La BBC, con la collaborazione del centro statistico OPTA, ha pubblicato alcuni dati sulla frequenza della concessione dei calci di rigore nella massima serie inglese alla squadra ospite, dal 2006 a oggi. Dalla classifica che ne è venuta fuori, è confermato che pochi rigori vengono fischiati contro le squadre più forti quando giocano in casa: per esempio, il Chelsea, in testa alla classifica, si vede dare un rigore contro solo una volta ogni 18 partite, mentre il Liverpool una ogni 15 circa. Ma è anche vero che vengono fischiati pochi rigori contro anche quando giocano in casa le squadre meno forti: nelle prime posizioni di questa seconda classifica ci sono infatti squadre come l’Aston Villa, il Bolton, il Fulham, l’Everton e lo Stoke City. La situazione cambia quando si parla di rigori a favore concessi in casa. In questa classifica è in testa il Manchester City, con un rigore ogni 3,93 partite giocate in casa. Al secondo posto il Manchester United con un rigore ogni 4,4 partite, mentre qui le squadre più deboli scalano mediamente verso le posizioni più basse (al Wolverhampton, per esempio, viene assegnato un rigore ogni 13 partite). Da questi dati sembrerebbe che arbitrare in casa una squadra ai primi posti in classifica abbia un effetto sugli arbitri. Tuttavia, una squadra più forte occupa generalmente per più tempo l’area avversaria e dunque è piuttosto naturale che abbia più rigori. Questa idea è stata espressa recentemente anche dall’allenatore della Juventus, Antonio Conte, che si è lamentato del fatto che una squadra forte come la Juventus abbia avuto sino a questo momento un solo rigore a favore nel campionato in corso. L’anno scorso il problema della sudditanza psicologica degli arbitri nei confronti delle squadre che giocano in casa era stato analizzato anche da un libro diventato piuttosto celebre, ossia Scorecasting, scritto dal giornalista sportivo L. Jon Wertheim e dall’economista Tobias Moskowitz e pubblicato a gennaio del 2011. Il libro era stato oggetto di un lungo articolo (che conteneva anche alcune critiche) di David Runciman per la London Review of Books, tradotto in italiano da Internazionale. Runciman riporta il pensiero di Wertheim e Moskowitz, secondo i quali Il fattore campo dipende quasi completamente dai direttori di gara. I giocatori non si fanno condizionare dai fischi dei tifosi, ma gli arbitri sì. A pensarci è logico: se il nostro comportamento fosse sotto l’occhio vigile di decine di migliaia di persone isteriche, cercheremmo di compiacerle, almeno inconsciamente. Ma secondo Wertheim e Moskowitz il problema è più ampio. I giocatori ospiti non hanno nulla da guadagnare dai tifosi di casa: se giocano bene vengono insultati, se giocano male vengono presi in giro. Gli arbitri, invece, possono assecondare il pubblico e sfruttare la situazione a loro vantaggio. Le squadre in trasferta non hanno modo di alleviare la tensione che deriva dal giocare in un ambiente ostile. Gli arbitri invece sì. Nel calcio… …gli arbitri concedono quasi sempre più minuti di recupero quando la squadra di casa sta perdendo e meno quando sta vincendo (in media, quattro minuti nel primo caso e due minuti nel secondo, quanto basta per fare la differenza in molte partite). Le squadre di casa hanno molti meno espulsi e molti più calci di punizione a favore. Questo, magari, dipende semplicemente dal fatto che la squadra di casa gioca meglio e che gli avversari devono ricorrere alle maniere forti. Ma secondo gli autori è il pubblico che fa la differenza. Wertheim e Moskowitz, dunque, analizzano le differenze dei comportamenti degli arbitri nei vari paesi europei e quanto questi vengono influenzati dalla vicinanza del pubblico e delle tribune: Nella Bundesliga tedesca, per esempio, dove molte squadre giocano in stadi con la pista di atletica, che allontana molto la folla dall’azione, gli interventi arbitrali a favore della squadra di casa si riducono della metà. In Inghilterra, in Spagna e in Italia, il numero degli spettatori ha un effetto evidente sul numero dei cartellini rossi mostrati agli ospiti. Maggiore è l’affluenza, più è probabile che la squadra in trasferta finisca la partita con qualche giocatore espulso. Attraverso questo ragionamento, Wertheim e Moskowitz arrivano a due conclusioni: Ma la prova più evidente del condizionamento arbitrale viene dagli sport che hanno introdotto la tecnologia per verificare le decisioni dei direttori di gara. Nel baseball c’è un sistema chiamato QuesTec che permette di stabilire se un lancio è stato effettuato o meno all’interno della zona di strike. Gli autori hanno analizzato una serie di dati e hanno scoperto che quando un lancio è chiaro, l’arbitro non favorisce la squadra di casa. Quando invece il lancio è dubbio, la decisione è quasi sempre a vantaggio della squadra di casa. Questo dimostra due cose. La prima è che, se ne hanno la possibilità, gli arbitri preferiscono assecondare il pubblico che gli soffia sul collo (in molti stadi, quasi letteralmente). La seconda è che ne sono consapevoli, e limitano le decisioni a favore di chi gioca in casa alle situazioni non completamente ovvie (negli stadi in cui c’è il QuesTec, infatti, gli arbitri cominciano ad adeguarsi perché si rendono conto che un eventuale sbilanciamento a favore della squadra di casa sarebbe sotto gli occhi di tutti). Le partite equilibrate sono per definizione quelle il cui risultato può essere determinato da un paio di decisioni chiave. E a quanto pare, sono proprio quelle in cui gli arbitri fanno di tutto per aiutare la squadra di casa. Tanto basta a Wertheim e Moskowitz per indicarli come i responsabili quasi esclusivi del fattore campo. Tutto questo, secondo Moskowitz e Wertheim, si ripercuote sugli arbitri anche sulle decisioni da prendere all’ultimo minuto o secondo, come racconta Runciman: Oltre a evidenziare i vantaggi concessi alla squadra di casa, infatti, gli autori spiegano che gli arbitri preferiscono evitare decisioni plateali, soprattutto alla fine delle partite. Si tratta di un fenomeno diffuso, che vale per il calcio e per tutti gli altri sport. Come spiegano Moskowitz e Wertheim dopo aver analizzato quindici anni di dati della Premier League, della Liga e della serie A, “falli, fuorigioco e calci di punizione diminuiscono in maniera significativa man mano che una partita incerta si avvicina alla fine”. È il cosiddetto condizionamento da omissione, e ne soffriamo un po’ tutti: preferiamo lasciar correre invece di provare a fare il nostro dovere rischiando di prenderci la colpa. Se un arbitro interviene alla fine di una partita, sembra che voglia deciderne il risultato. E la gente si arrabbia.