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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Ronda attorno al palazzo del calciatore Zambrotta assume una «vedetta» contro i writer di DARIO ALEMANNO (Libero 05-01-2012) Il calciatore del Milan Gianluca Zambrotta ha deciso di difendere dai writers il suo palazzo situato nel centro storico di Como. Per essere sicuro che nessuno imbratti con scritte e disegni la facciata appena ristrutturata ha reclutato la vedetta notturna. Una guardia giurata piantona per tutta la notte lo stabile e lo sorveglia, assicurandosi che nessun ragazzo si avvicini con la vernice spray. La ricetta anti-writers di Zambrotta è l'estrema soluzione a un problema che da anni affligge la città murata del capoluogo lariano. Un problema che nell'ultimo mese è tornato prepotentemente a far parlare di sé a causa dei numerosi graffiti comparsi su muri, portoni ed edicole della città. Così Zambrotta, che può contare sul un lauto stipendio da calciatore, ha deciso di rivolgersi a sue spese alla ditta di vigilanza Vedetta 2 per salvaguardare l'elegante edificio che ha acquistato e ristrutturato nel centro storico. Ma non è l'unica soluzione a cui ha pensato. Il campio del Milan ha fatto installare un sistema di allarme che riconosce il suono della bomboletta spray qunado spruzza la vernice: in men che non si dica l'allarme suona e due fari si accendono puntando una forte luce sul muro e sugli eventuali writers. -
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Il caso Il vicepresidente Figc Albertini: "La politica ci aiuti". A Lecco calciatore reintegrato dal giudice "Diritti per i nuovi italiani deve intervenire il governo" di COSIMO CITO (la Repubblica 05-01-2012) Italiani per lingua, nascita, abitudini, residenza, extracomunitari per lo Stato e per il calcio. Il paradosso dei G2, gli immigrati di seconda generazione nati nel nostro paese da genitori stranieri, è un garbuglio di difficile soluzione, complicato da una politica tiepida sul tema e, dal punto di vista calcistico, da un regolamento internazionale che manda tra le fauci della burocrazia le speranze e il talento di trentamila ragazzi. «Per le leggi dello stato - racconta il vicepresidente federale Demetrio Albertini - i G2 sono extracomunitari finché la domanda di acquisizione della cittadinanza non viene accettata. Certo, questo può avvenire solo con la maggiore età, e a quel punto, quasi sempre, una carriera sportiva è già avviata e in molti casi, se non aiutata da un contesto normativo favorevole, già finita. Noi abbiamo le mani legate, aspettiamo che la politica avvii una revisione della norma dello ius sanguinis, troppo penalizzante per i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri. La norma anti-tratta della Fifa poi rende tutto più complicato, perché rende il concetto di extracomunitario troppo largo: di fatto mette sullo stesso piano chi lo è davvero e i G2, rendendo così complicatissimo l´avvento di questi ultimi nel calcio che conta, con grave danno per loro e anche per le nazionali italiane, private di tanti talenti. Chiediamo al Governo un dialogo su questo tema: noi siamo per l´integrazione, nel modo più largo e assoluto. Ma è lo stato che deve intervenire e metterci nelle mani gli strumenti giusti». La via giudiziaria, in mancanza di una regolamentazione generale e in attesa che la legge italiana pareggi il passo con la vita reale, è seguita da un buon numero di giovani calciatori, non solo G2, ma anche ragazzi stranieri adottati calcisticamente dall´Italia che sperimentano sulla propria pelle un´inaccettabile discriminazione. È il caso dall´attaccante senegalese del Lecco Ahmet Fall, che dopo aver battuto in tribunale la Figc è stato reintegrato nella rosa della squadra lombarda di Lega Pro, in quanto, secondo il giudice del Tribunale di Rimini, la sua formazione all´interno di un vivaio italiano (Fall, classe 1991, è in Italia dal 2007) lo equipara a calciatori italiani e gli concede uguali diritti ai fini del tesseramento in una società professionistica. -
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La Spagna non è più il paradiso fiscale del calcio: a rischio i campioni di Real e Barca di GIOVANNI CAPUANO dal blog "Calcinfaccia" 04-01-2012 Era il paradiso fiscale dei calciatori di tutto il mondo, il paese con una fiscalità così conveniente da essere stata studiata apposta per attirare i cervelli in fuga all’estero e pazienza se, nell’esercito dei beneficiari, c’erano anche i piedi nobili dei fuoriclasse strappati alla concorrenza europea. C’era una volta la Spagna della Ley Beckham, quella speciale deroga concessa nel 2003 dal governo Aznar in base alla quale i redditi prodotti in Spagna da lavoratori stranieri venivano tassati al 24%, poi trasformato in 25%, per i primi sei anni di permanenza. Una legge che ha consentito a Barcellona e Real Madrid di fare incetta di campioni facendo leva anche sulla possibilità di offrire ingaggi netti superiori del 25-30% rispetto agli altri maggiori club europei. Avete presente Galliani che schiumava di rabbia raccontando che difficilmente il Milan avrebbe potuto resistere davanti alla corte del Real per Kakà? Ecco, quello era il prodotto del regime fiscale spagnolo che dal 2010 non esiste più e che adesso, come per una legge del contrappasso, rischia di trasformarsi in un incubo per il Barcellona. La crisi economica ha costretto infatti il governo ad alzare le tasse facendo leva soprattutto sulle fasce più alte e a partire dal 1° gennaio 2012 i redditi oltre i 300mila euro dovranno lasciare allo stato la bellezza del 56% (in Catalogna) e del 52% nel resto del Paese. Un’autentica mazzata che cancella quasi definitivamente gli effetti della Ley Beckham già riformata nel 2010 quando - non con effetto retroattivo - gli ingaggi superiori ai 600mila euro erano stati allineati alle medie europee con aliquote dal 45 al 49 per cento a seconda delle regioni. La nuova stretta fiscale rischia di costare caro alle società spagnole e in particolare al Barcellona. Il problema è emerso nelle pieghe della trattativa per il rinnovo del contratto del francese Abidal in scadenza il prossimo 30 giugno. Guardiola e Rosell hanno deciso di confermarlo, a patto però che si riduca il suo peso sui conti. E il francese ha sin qui beneficiato della tassazione di favore al 25%. Rinnovarlo costerà al club quasi il doppio in tasse. E lo stesso accadrà - a Barcellona come a Madrid - alla prossima tornata di scadenze. La Spagna, dunque, smette di essere il paradiso fiscale dei calciotori di tutto il mondo e lascia il primato alla Francia dove l’aliquota massima è del 41% e scatta oltre i 71mila euro. Poco peggio va a Germania e Portogallo dove la tassazione tocca il 42% per le fasce più alte. In Italia l’aliquota per lo scaglione ricco (oltre 75mila euro) è stata confermata dal governo Monti al 43% e può arrivare con le addizionali varie al 45%. Meno di quanto accade ormai in Spagna e meno di quanto accade da tempo in Inghilterra dove Stato e calciatori fanno fifty-fifty (50%) quando i compensi superano le 150mila sterline (circa 170mila euro). Tralasciando paradisi fiscali più o meno leciti ed esotici, alla fine i più fortunati sono gli atleti professionisti statunitensi. Negli USA, infatti, nessuna aliquota supera mai il 35% e quella massima scatta a partire dai 370mila dollari (260mila euro). ___ Spagna, il premier Rajoy tassa i ricchi Stop al regime fiscale agevolato per i calciatori Per anni hanno attirato campioni allettandoli con una legge che permetteva loro di pagare imposte minime. Ora le grandi squadre della Liga fanno i conti con la nuova manovra lacrime e sangue del governo: i giocatori della Liga pagheranno più tasse di tutti nell'Europa pallonara di DARIO PELIZZARI (il Fatto Quotidiano.it 04-01-2012) La crisi economica internazionale potrebbe aver fatto un bel favore al calcio italiano. Il nuovo governo spagnolo di centrodestra del premier Mariano Rajoy, che in campagna elettorale aveva promesso ai suoi elettori di mettere a posto i conti del Paese anche a costo di varare misure impopolari, ha deciso di rivedere pesantemente la politica fiscale da applicare a coloro che possono vantare redditi superiori ai 300 mila euro. Dal primo gennaio 2012, i benestanti di Madrid e dintorni dovranno pagare, tra le altre cose, fino al 6 per cento di tasse in più sulle loro entrate. Sotto scacco, in tal senso, anche i calciatori più rappresentativi della Liga, la Serie A spagnola, che fino a ieri (o quasi) godevano di privilegi che non avevano eguali nel resto d’Europa. Per cinque anni, dal giugno 2005 al gennaio 2010, i club spagnoli hanno beneficiato della cosiddetta Ley Beckham, che ha permesso loro di muoversi sul mercato dei giocatori con proposte più allettanti della concorrenza. Il governo Aznar aveva approvato un decreto legge che prevedeva un’aliquota di tassazione “di favore” per tutti i lavoratori stranieri in Spagna con reddito superiore ai 600 mila euro all’anno. La sterzata non è stata di poco conto. Dal 43 per cento si è passati in un amen al 24 per cento, per cinque anni e con effetti retroattivi fino al 2004. Da qui, il collegamento con Beckham, il quale allora era stato protagonista di un trasferimento extra lusso che lo aveva consegnato al pubblico del Real Madrid dopo stagioni straordinarie con la maglia del Manchester United. Grazie alla Ley Beckham hanno raggiunto la Spagna alcuni grandi big del calcio mondiale. Robinho, Sergio Ramos, Diarra, Robben, Pepe, Sneijder, Huntelaar, Cristiano Ronaldo, Kakà, Benzema, ma anche Henry, Dani Alves e Ibrahimovic, soltanto per citare i più noti. Forti del regime fiscale agevolato, Real Madrid e Barcellona hanno fatto man bassa dei migliori talenti del pallone, offrendo loro ingaggi da nababbi, contando sul fatto che le altre società europee non avrebbero avuto i numeri per fare altrettanto. Per carità, le due corazzate spagnole fanno bene praticamente da sempre, ma certo il governo Aznar ha dato loro i mezzi per trovare uno spazio di tutto rispetto nel panorama calcistico internazionale. Un vantaggio più che evidente fino al gennaio 2010 e che da qualche giorno è stato praticamente annullato. Già, perché anche se la Ley Beckham è stata ufficialmente messa da parte nel 2010 i suoi benefici hanno avuto effetto per tutti i contratti che erano stati firmati prima del gennaio dello stesso anno. Per la gioia dei campioni che avevano scelto la Liga nelle stagioni precedenti. Con l’abrograzione del decreto, invece, tutto è cambiato. I redditi superiori ai 600 mila euro sono stati tassati dal 45 al 49 per cento, a seconda delle regioni, in linea con la media europea. Ma ormai i giochi erano fatti e i campioni avevano già trovato casa. Con la nuova manovra del governo Rajoy, lo scenario cambia ancora e questa volta in modo radicale. I fuoriclasse della Liga dovranno aprire il portafogli per consegnare alle casse dello Stato dal 52 al 56 per cento dei loro introiti. Più di quanto non viene prelevato ai giocatori che vivono e lavorano in Germania, Inghilterra, Francia e Italia. Per i francesi, ora è primato. Oggi guidano la classifica dei Paesi europei che possono proporre ai giocatori stipendi più alti per via di un’aliquota pari al 41 per cento che scatta per i redditi superiori ai 71 mila euro. L’Italia segue a ruota con il 45 per cento per introiti oltre i 75 mila euro. Almeno fino a quando il governo Monti non deciderà di varare la patrimoniale di cui si parla da settimane. -
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Il dramma (e lo scandalo) dei cosiddetti G2: italiani di seconda generazione, nati nel nostro Paese ma extracomunitari per la legge e per la burocrazia del pallone Solo tre di loro, finora, sono arrivati in A. Per tutti gli altri ragazzi under 18, cittadinanza, tesseramento e soprattutto diritti sono ancora sogni lontani Stranieri per forza Quei 12.000 piccoli Balotelli che per l´Italia non possono giocare di COSIMO CITO (la Repubblica 04-01-2012) Un campetto di Roma, piena periferia, una fredda sera d´inverno: i riflettori accesi, la terra battuta, due porte, un pallone da prendere a calci, il romanesco dei ragazzini che le danno e le prendono allegramente. Il romanesco non si lega ai visi, agli occhi a mandorla, alla pelle nera di questi ragazzi, alle loro storie. Yuan è Giovanni per gli amici, ha 15 anni, un bel talento, fa il portiere, è nato da genitori cinesi, ma in Italia, è un G2, un "italiano di seconda generazione". Mike è nato nel Ghana, esattamente come Mario Balotelli, i genitori hanno scelto l´Italia per il loro futuro e quello del bimbo, che ora ha 12 anni e vorrebbe fare di quell´oggetto tondo il suo mestiere, il suo futuro. Anche lui frequenta una scuola italiana, mangia italiano, parla un perfetto italiano, è bravo sulla fascia destra, potrebbe fare carriera. Come lui, secondo i dati del Settore giovanile e scolastico della Figc, sono più di trentamila i figli di genitori stranieri iscritti in società giovanili italiane, dodicimila dei quali sono nati in Italia, ma non hanno ancora la cittadinanza italiana. Molti di loro presto dovranno cambiare sport, aspirazioni e vita: una burocrazia iniqua, persino violenta, impedisce agli italiani di seconda generazione il salto verso il grande calcio. Di fatto, i G2 vengono equiparati dai regolamenti del calcio a extracomunitari e hanno le stesse limitazioni, gli stessi spazi, esigui, intollerabilmente esigui. Il peccato originale italiano è la norma sulla cittadinanza, basata sullo ius sanguinis, il diritto di sangue che prevede, per l´acquisizione dei pieni diritti, l´italianità di almeno uno dei due genitori. Per i nati in Italia da genitori stranieri la situazione è molto complessa. Fino a 18 anni il ragazzo non può fare richiesta della cittadinanza italiana. Dopo, ha appena un anno di tempo, fino al compimento del 19esimo anno, per farne domanda, e inoltre deve dimostrare di aver risieduto legalmente in Italia per almeno 10 anni, senza interruzioni. Il tesseramento per una società calcistica, poi, passa attraverso l´esibizione di una montagna di carte che scoraggerebbe chiunque: permesso di soggiorno, certificato di frequenza scolastica e residenza, permesso di soggiorno dei genitori, poi nuove carte in cui mamma e papà devono documentare il loro "stato occupazionale" e il reddito, infine il transfert. In altri sport, come il rugby, l´hockey o la boxe, è più facile: il calcio invece deve affrontare non solo problemi di natura politica, ma anche una direttiva Fifa, datata 2009, finalizzata al contrasto della tratta di giovani atleti, per la quale tutti i primi tesseramenti dei figli di immigrati possono avvenire solo dopo che una Commissione internazionale per lo status dei calciatori abbia dato il suo benestare. Tra la richiesta e l´ok a volte passano mesi, sette, otto, una vita. La linea seguita dalla Figc poi è volta alla tutela dei vivai, ma declinata sulla difesa dell´italianità degli stessi. Complicatissimo per i ragazzi non italiani o figli di non italiani inserirsi e vivere attraverso il calcio. In molti devono fermarsi prima del grande salto verso il professionismo. In paesi come Francia, Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna, vige lo ius soli: è cittadino chi è nato sul suolo nazionale. In Italia la sensibilità su questi temi è scarsissima e solo recentemente, dopo le parole del presidente Napolitano («Una follia che i figli di immigrati nati in Italia non abbiamo la cittadinanza», fine novembre) si è cominciato davvero a parlarne. Una situazione paradossale: sull´altare della tutela dei vivai vengono giustiziate le aspirazioni di trentamila ragazzi. Il sociologo Mauro Valeri, che ha dedicato studi e libri alla questione dei G2, fa un ragionamento complessivo: «Manca a livello politico la volontà di aiutare questi ragazzi. Non sono censiti dal Coni e non hanno quindi le stesse possibilità che hanno loro coetanei di nascita italiana. La federazione non ha, probabilmente a causa di pressioni politiche contrarie, una volontà forte, e il problema resta. La tendenza è quella di lavorare caso per caso: se c´è un ragazzo di qualità fenomenali, come Mario Balotelli, l´iter si accorcia e viene data la possibilità di superare senza problemi le lungaggini che invece la maggior parte dei ragazzi è costretta ad affrontare. Un discorso di struttura, complessivo, non è mai stato affrontato». Appena dodici, secondo il "1° annuario dei Black Italians nello sport" di Mauro Valeri, in uscita, sono stati gli italiani di colore capaci di mettere piede su un campo di serie A. Il primo fu Ibrahim Scandroglio, nel 1999, con la maglia dell´Empoli: un ragazzo nativo della Costa d´Avorio adottato da una famiglia italiana. Solo tre i G2, Mario Balotelli, Angelo Ogbonna e Stefano Okaka, nati da genitori stranieri in Italia. Due su tre hanno già esordito in Nazionale. Migliaia come loro non potranno mai farlo. ___ L'intervista Il presidente del settore giovanile Figc: "Battiamoci tutti per una conquista civile" Rivera: "Discriminazione spietata e il calcio paga il ritardo del Paese" di COSIMO CITO (la Repubblica 04-01-2012) Gianni Rivera è dall´agosto 2010 presidente del Settore giovanile e scolastico della Figc e da allora combatte una battaglia dura su due fronti distinti. «Ci battiamo soprattutto a favore dell´accoglienza e per il riconoscimento di un diritto sacrosanto. I ragazzi nati da coppie di stranieri e residenti in Italia sono italiani a tutti gli effetti. Quando riconosceremo questo principio avremo fatto il salto in avanti decisivo nel processo di integrazione dei G2 nel nostro sistema-paese. Ho apprezzato moltissimo le parole di Napolitano: la strada però è ancora molto lunga e non so quanto le forze politiche maggioritarie abbiamo voglia di percorrerla». Il vulnus del sistema è quindi la cittadinanza? «Purtroppo la mancanza dello status di italiani espone i G2 allo scontro con un aspetto del regolamento Fifa che impedisce di fatto il loro tesseramento». Parliamo della cosiddetta norma anti-tratta? «La federazione internazionale, per combattere la tratta di minori, pone infiniti paletti al tesseramento di ragazzi di diversa provenienza, mettendo di fatto sullo stesso piano extracomunitari e G2». Una discriminazione. «Le norme vigenti sono a favore non dei vivai in senso stretto, ma dell´italianità dei vivai: chi non ha la cittadinanza italiana deve combattere problemi di ogni tipo e un regolamento che ne limita l´impiego nel calcio professionistico. I ragazzi di sangue diverso ma nati qui sono duramente discriminati perché soggiogati da una burocrazia spietata». Lo ius soli, come in Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, in parte anche Germania, sarebbe una grande conquista di civiltà. «Una grandissima conquista civile. E di riflesso anche il mondo del calcio se ne gioverebbe, con forze nuove, fresche, con l´entusiasmo di tanti immigrati di seconda generazione che tifano azzurro e sognano sin da piccolissimi di vestire la maglia della nostra nazionale. Al momento il 3 per cento del nostro movimento è composto da ragazzi che per regolamento non potranno mai salire oltre la Lega Pro». -
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L'intervista Il numero uno del sindacato e i problemi del pallone: dai rapporti con la Lega di A e la Lega Pro alle scommesse «Non vogliamo le barricate ma solo un calcio migliore» Tommasi, leader dei calciatori: «Ci guardano male» di FABIO MONTI (CorSera 03-01-2012) MILANO — Il 2011 è stato l'anno di una storica staffetta: il 9 maggio Sergio Campana ha lasciato la presidenza dell'Associazione calciatori, da lui fondata il 3 luglio '68, a Damiano Tommasi, classe '74, una lunga e gloriosa carriera, dieci anni nella Roma e 25 presenze (un gol) in nazionale. Un cambio nel segno della continuità e dell'etica, con un presidente che ha continuato a puntare sulla linea della fermezza e del rigore nelle scelte. A cominciare dalla questione dell'accordo collettivo con la serie A, che ha portato al rinvio della prima giornata di campionato. Sono 12.000 gli iscritti all'Aic fra serie A, B, ex serie C e Dilettanti. Tommasi, è stata dura raccogliere la successione di Campana? «Ho avvertito subito il peso della responsabilità di un passaggio così importante e la necessità di non rovinare quello che era stato costruito in 43 anni. Ho messo in campo entusiasmo e voglia di fare, sapendo però di poter contare sull'aiuto della base e su un gruppo che sa davvero che cosa significhi fare squadra». Che 2012 si aspetta? «Complicato, e non mi riferisco soltanto a quanto può succedere al tribunale di Cremona, ma soprattutto per i problemi che ci aspettano. Purtroppo quando mi trovo in Consiglio federale avverto ancora un atteggiamento ostile nei nostri confronti, come se i calciatori fossero una controparte sindacale e non una componente tecnica importante. Noi non vogliamo essere ‘‘contro'', ma lavorare ‘‘con'' tutti per costruire un calcio migliore». Come sono i rapporti con le Leghe? «Buoni con la Lega di serie B, con la quale a novembre siamo riusciti a firmare un accordo collettivo della durata di tre anni. Con la Lega di serie A non ci sono rapporti ufficiali da quando a settembre abbiamo firmato l'accordo collettivo, che è stato definito innovativo, ma che dovrebbe durare soltanto fino a giugno. Una scadenza di dieci mesi che è già un'anomalia. Ci sarebbe da rimettersi intorno a un tavolo, ma non si riesce mai a trovare l'occasione per fissare una data. Il calcio va avanti se esiste una pluralità di componenti che hanno a cuore un unico obiettivo; invece siamo visti come il fumo negli occhi. Ad esempio, la Lega di serie A è uscita dal Consiglio federale nel luglio 2010 ed è rimasta fuori per un anno per la questione del secondo extracomunitario. Sarebbe interessante vedere dov'è finito il secondo extracomunitario». L'impressione è che con la Lega Pro i rapporti siano anche peggiori. . . Impressione sbagliata? «Ci sono nodi molto difficili da sciogliere. C'è una situazione economico-finanziaria dei club che rende problematica la sostenibilità della stessa Lega. Il 78% dei giocatori di Lega Pro guadagna meno di 40. 000 euro lordi eppure in molti casi gli stipendi arrivano in ritardo o non arrivano. Per questo è tuttora aperta la questione del Fondo di garanzia, con i calciatori che vantano un credito di 40 milioni di euro. C'è n'è per tutte le categorie e le situazioni, comprese quelle di squadre retrocesse dalla B alla Lega Pro, che sono sparite per problemi economici. La Lega di serie A e la Lega Pro lo hanno disdettato da tempo; con la Lega di B c'è un'intesa per creare un fondo e ripartire. Per quanto riguarda le altre componenti, speriamo di arrivare a definire una strategia con l'aiuto della Federcalcio, attraverso una serie di operazioni a stralcio. L'aspetto anomalo è che gli stessi soggetti che falliscono con una società si ripresentano dopo qualche mese da un'altra parte». La Lega Pro non vuole nemmeno le squadre B dei club di A, secondo il modello spagnolo... «Il disaccordo fra noi e loro deriva dal modo diverso di pensare a una politica per l'inserimento dei giovani. La Lega Pro insiste con gli incentivi economici per chi schiera gli Under 21, creando in questo modo una situazione anomala: i giovani vengono utilizzati per aumentare gli introiti dei club e non perché si creda davvero in loro. In questo modo si crea un gruppo di giocatori che a 22 anni si ritrovano senza squadra e con un futuro problematico oppure con squadre che pensano alla promozione e che non schierano nemmeno i giovani, salvo poi mancare l'obiettivo finale. Noi invece siamo convinti che sia necessario valorizzare e formare i giovani, e questo vale per tutte le squadre dalla A alla Lega Pro, con l'obiettivo di migliorare il calcio italiano nel complesso. Per questo siamo favorevoli a importare il modello spagnolo, creando lo spazio per quei club di serie A che vogliono creare le squadre B. Squadre composte dagli Under 23, con un eventuale numero (limitato) di fuoriquota. Senza una seria politica dei giovani non si va da nessuna parte». Il 2011 è stato anche l'anno del ritorno del calcioscommesse. Che effetto fa sapere che i protagonisti di questa storia sono proprio i calciatori? «In estate ho voluto fare un giro di ritiri, insieme con il segretario generale, Grazioli, perché ci tenevo a creare un rapporto diretto con i nostri associati. Mi ha molto colpito il fatto che, dopo tutto quanto era accaduto in estate, fra la procura di Cremona e i processi sportivi, c'era ancora chi girava per i ritiri in cerca di giocatori da ‘‘addomesticare''. Ai calciatori posso dire di non buttare dalla finestra l'orgoglio di chi è riuscito a diventare un calciatore, anche a costo di non pochi sacrifici». A Simone Farina, che ha denunciato di essere stato contattato da Zamperini e che si è rivolto a voi, che cosa ha detto? «Di comportarsi come deve fare un tesserato, in base alle norme esistenti: denunciare l'episodio. Una linea di coerenza da sostenere fino in fondo, evitando la beatificazione». ___ Lo show a tutti i costi è la condanna degli arbitri di PAOLO CASARIN (CorSera 03-01-2012) Il calcio nacque nel 1862 con 13 regole ed è cresciuto attraverso il loro aggiornamento; fin dall'inizio il gioco esigeva fair-play dai calciatori, ma erano anche previste sanzioni nel caso di scorrettezze. La regola del fuorigioco era decisiva: ricordando il rugby, imponeva il passaggio del pallone verso un compagno arretrato. Rimase un gioco difensivo anche dopo la modifica del 1866, che permetteva il passaggio del pallone ad un compagno più avanzato a condizione che tre avversari fossero tra lui e la porta: era l'handicap per gli attaccanti, molto più bravi dei difensori. Scozia-Inghilterra, 1872, finì senza gol: la difesa appariva insuperabile, il terzo difensore schierato a metà campo teneva l'attaccante lontano dalla porta. Crollo dei gol e calcio in crisi. Nel 1925 arrivava la modifica decisiva del fuorigioco: l'attaccante poteva giocare con due avversari tra sé e la porta: con questa soluzione, i gol aumentarono del 30 per cento! Quel tipo di fuorigioco, dopo circa 65 anni, aveva centrato l'equilibrio tecnico tra difesa e attacco. Per altri 65 anni, fino al 1990, le regole non avevano subito modifiche strutturali, ma erano cresciute a dismisura le sfumature che avevano dato molto potere all'arbitro-interprete delle regole che si sostituiva al primo arbitro-notaio. I gol, nel frattempo, erano passati dai 4 delle prime edizioni del Mondiale ai 2,2 di Italia 90. Il segnale che si vinceva con le difese. La televisione ha rivoluzionato tutto, introducendo il termine spettacolo da associare all'idea di calcio: «Bisogna incrementare i gol», era stato l'ordine. Come intervenire? Cercando di creare regole in grado di indebolire la difesa, ovviamente. Ecco nascere il fuorigioco «liberalizzato», quello che verifica soltanto la posizione di chi partecipa al gioco d'attacco e tollera anche chi si muove a due passi dal portiere, purché non tocchi il pallone. E ancora: dopo il '90, la regola dei falli è diventata più severa e ha permesso l'espulsione dei difensori e dei portieri che, attraverso falli volontari, impedivano agli avversari di concludere l'azione verso la porta. Una pioggia di rossi e gialli ha avuto l'effetto di destabilizzare l'assetto delle squadre e, quindi, di provocare gol. L'effetto «gol per tutti» (2,8 per gara) ha illuso tutti fino al 2000. Poi, e sono i giorni nostri, è iniziata la graduale discesa dei gol fino ala media di 2,4 reti per gara. Che cosa è successo negli ultimi dieci anni? Sui campi, si è verificata una progressiva attenuazione della disciplina: i giocatori, artefici dello spettacolo, «debbono restare in campo». Il rosso tende al giallo, il doppio giallo diventa raro; e qualche calcione viene assorbito attraverso norme surreali sul vantaggio. Meno fischi favoriscono lo spettacolo: è l'ultima raccomandazione che viene fatta agli arbitri; e la Fifa aggiunge: l'arbitro deve essere «sensibile». Da questa situazione escono arbitri-promotori di gol: un compito improprio che li può confondere. Il calcio, dopo gli ultimi dieci anni senza strategie chiare, sconta una deregulation strisciante e appare, oggi, in netto contrasto con una società civile alla ricerca della Regola perduta. -
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C'è un nuovo «pentito» L'inchiesta si allarga Una persona, forse uno straniero, rivela altri nomi e particolari Sartor passa ai domiciliari: il gip non lo ha ritenuto credibile di DAVIDE ROMANI (GaSport 03-01-2012) Il carcere di Cremona saluta l'ultimo arrestato della seconda trance dell'inchiesta Last Bet sul calcioscommesse, Luigi Sartor. Intanto si profilano all'orizzonte novità sul fronte investigativo, che potrebbero dare nuova linfa all'inchiesta che dal 2 giugno fa tremare il mondo del calcio, e non solo. Sartor alle 17.45 di ieri ha lasciato il carcere di Ca' del Ferro in direzione Parma accompagnato dal proprio legale, l'avvocato Antonino Tuccari, ma nel frattempo un nuovo «pentito» starebbe portando all'attenzione degli inquirenti nuovi particolari utili all'inchiesta. Dopo Vittorio Micolucci, passato dalla posizione di arrestato a quella di reo confesso-pentito, e dopo i racconti di Wilson Ray Perumal, singaporiano detenuto in Finlandia, gli inquirenti potrebbero attingere materiale prezioso dalle rivelazioni di una «gola profonda», presumibilmente straniera (forse uno dei due arrestati all'estero il 19 dicembre) che sarebbe a conoscenza di particolari utili rispetto all'organizzazione. Particolari che nell'interrogatorio del 29 dicembre di Sartor davanti al pm Di Martino potrebbero convincere gli inquirenti a risentire alcuni degli indagati anche della prima fase dell'inchiesta, oltre all'audizione di nuovi testi. Ragione per la quale il gip Guido Salvini, con questa ordinanza, ha deciso di «allontanare, per quanto è possibile, il rischio di contatti di ogni genere» tra Sartor e i prossimi «interrogati». Domiciliari A Sartor, dopo 15 giorni di detenzione, sono stati concessi gli arresti domiciliari «applicati in forma assai rigida»: potrà comunicare solo con il proprio legale o con i familiari conviventi. Niente libertà, dunque, come chiesto a gran voce dall'avvocato Tuccari e rispetto alla quale il pm Roberto Di Martino aveva dato parere favorevole. La «buona fede» sostenuta da Sartor rispetto alle proprie azioni secondo il gip si colloca «al di fuori di ogni criterio di credibilità». Il 29 dicembre l'ex difensore avrebbe ammesso che «a partire dal marzo 2011 avrebbe ricevuto, sul cellulare con scheda inglese che gli era stato consegnato, una serie di messaggi, anche da sconosciuti, che facevano riferimento a scommesse e a una somma di 300. 000 euro». Riesame Per gli inquirenti, ai fini dell'inchiesta, risulta significativa la «contestualità tra l'invio a Sartor di oltre 300.000 euro (in data 1/3/2011) e le partite Inter-Lecce, Benevento-Pisa e Brescia-Lecce (le prime due gare del 20 marzo 2011, la terza del 27 febbraio 2011, ndr) che sarebbero state manipolate dal gruppo di Bologna che garantivano agli «asiatici» che avrebbero potuto finanziare in sicurezza l'operazione investendo appunto 300. 000 euro». Ricostruzione in linea con le dichiarazioni di Erodiani, Bruni e Giannone, indagati nella prima fase dell'inchiesta. Resta da capire se la difesa di Sartor si avvarrà del Riesame. Ipotesi non da escludere, ma che al momento non sembra essere presa in considerazione per l'uomo che, secondo gli inquirenti «ha un ruolo accentuato all'interno del contesto associativo». Ruolo confermato anche, sempre secondo la Procura, dal tenore della conversazione tra l'ex giocatore della Roma e Bellavista. Conversazione che non lascia alcun dubbio «in merito alla consapevolezza da parte di Sartor del carattere illecito di un'attività che sembrava addirittura comportare il rischio di "ritorsioni" in caso di mancato soddisfacimento delle promesse». -
03 01 2012 Aspettando l’Europeo per salvare la faccia IL CALCIO CHE VERRÀ? TANTI AUGURI Che cosa c’entra Borriello con la Camusso, oppure Gilardino con Mario Monti, o addirittura Tevez con Airone Passera ? Nulla? E sì, magari, beati voi… Vi ci vedo a immaginarvi un bel pezzo epifanico (la Befana, non Guglielmo…) sul calcio-mercato invernale e i suoi primi botti, le squadre alla ripresa come le due scudettabili, Milan e Juve, sulla sabbia di Dubai, gli Europei all’orizzonte estivo (con scandali polacchi nella Federcalcio ospitante, tanto per non farci sentire in imbarazzo), insomma un pezzo calcistico come se niente fosse. Dove quel “niente” è appunto il versante politico-sociale che tanto influirà sull’attuale scandalo delle scommesse, quello di Doni e soci, per capirci. Vorrei essere ancora più chiaro, essendo ai primi dell’anno e quindi di buon auspicio per continuare a esserlo tutto l’anno… NON AVREBBE molto senso star qui a parlare di calcio giocato o giocabile con lo spadone di Damocle di scommesse e partite truccate (le prime, se effettuate da tesserati anche indirettamente, più che sufficienti a montagne di squalifiche, le seconde oggetto di reato penale per le varie Procure che indagano) sulla testa, se non avessimo di fronte il precipizio socio-economico italiano: di qui i due poli, di Monti e la Camusso, che cercano di riempire più o meno gradualmente un cratere dove ci arrabattiamo, nelle fasce più deboli sempre più numerose. Sono le “tensioni sociali” della leader sindacale, e il “coraggio, resistiamo” del bob a 2 Napolitano-Monti. In questa situazione pre-fallimentare come volete che si possano fare le pulizie “pasquali” ovvero post-natalizie di un calcio marcio fino al midollo? L’unica arma in mano a Doni e soci per duellare con la spada di Damocle (attaccante greco anche convocato in Nazionale) delle nefandezze pallonare è tristemente la seguente: l’Italia non può permettersi il lusso di fare pulizia in un settore putrefatto, perché il medesimo settore serve come “arma di distrazione di massa” a (quasi) tutto il Paese. Ce li vedete tifosi dei vari club, magari disponibilissimi a fare campagne contro Don Verzé fin troppo tempestivamente trapassato, vogliosi di chiedere l’interruzione del campionato per raggiunti livelli di guardia del fango nella palude rotondocratica e rotondolalica? Perché di questo si tratta: nella realtà, come scritto da tempo (qui e nei libri in merito…), il pallone accettabile è volato da un pezzo in cielo con i palloncini di Rascel. C’entra la serie A (come no… ne vogliamo parlare?), c’entrano dunque giocatori e club che da adesso in poi giocheranno in fondo alla classifica un campionato sfalsato in attesa di quello che verrà fuori e in alto un campionato traballante perché nessuno è più sicuro di nulla. BENE: questo è invece un articolo raggiante serenità. Tranquilli, grazie allo stato comatoso del Paese (cfr. il duo in testa Monti - Camusso…) non può succedere più di tanto, qualche squalifica, una radiazioncina, un po’ di penalizzazioni. E molte, moltissime “sabbiature”. Ma niente di definitivo, come la sospensione di un campionato arrangiato oltre qualunque livello di guardia. Dunque facendo finta di essere seri e rimpiangendo allitteralmente Giorgio Gaber, relazioniamo su Borriello alla Juve, che rinforza l’Imbattuta di Beethoven ma contemporaneamente apre un giro di attaccanti, e sulla cessione di Gilardino al Genoa. La seconda per certi versi più significativa della prima perché ci sta dicendo quello che sapevamo ormai da molto tempo, da quando rivolgemmo qui nell’ottobre 2009 con la Fiorentina in auge una serie di domande a D. DELLA VALLE senza risposta alcuna: e cioè che il re è nudo. Non nudo Della Valle, infoulardato come non mai, ma nudo il famoso “progetto” per la Fiorentina. Che, semplicemente, non esiste o non esiste più: come reciterebbe l’ex presidente onorario Andrea Della Valle, “…all’apparir del vero tu misera cadesti…”, ed eccoci qua con soldi buttati e squadra da rifare, e Corvino ridens. Il Milan aspetta Tevez ma la verità arriverà a febbraio, con la Champions, il Napoli fa incetta di ottimi giocatori aggiungendo Vargas (un altro, tal Eduardo cileno dai piedi buoni e magro, contrariamente all’omonimo peruviano strapagato). L’Inter naviga a fari spenti dopo essersi abituata così bene nei postumi di “Calciopoli”. La Lazio trema per le scommesse, l’Udinese è la più seria e oculata di tutte e andrebbe presa a esempio da Monti nell’equazione “l’Italia sta al governo dei tecnici come il pallone italiota sta all’Udinese”. Il resto è attesa degli Europei. Non li vinciamo dal 1968, due generazioni fa, e neppure nel 1980 con il primo grande scandalo delle “Ital-scommesse” riuscimmo a rimediarli per compensazione (il meccanismo non era ancora così oliato, ci vollero i Mondiali del 1982), anche se poi nel 2000 con Zoff, Totti e Toldo ci andammo vicinissimi. Forse dovremmo vincerli per il solito meccanismo amnistiale: il calcio italiano fa moralmente schifo, ma se si vincono gli Europei (purtroppo quest’anno non ci sono i Mondiali…) la facciata è salva. La faccia è un’altra cosa, anche se questo Paese rilutta a sentirsi dire le cose un po’ su tutto e specialmente in questo campo perimetrato dalla franchigia della passione che –come altri riferimenti innominabili – come è noto non vuole pensieri.
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La lettera (GaSport 02-01-2012) Giacobazzi: «Non sono l'anonimo» Tra le intercettazioni contenute nel faldone della Procura di Cremona sul calcioscommesse, ce n'è una in cui Cristiano Doni mette in dubbio il comportamento della giornalaccio rosa dello Sport e in particolare del collega Roberto Pelucchi, che avrebbe strumentalizzato le notizie per aggravare la sua posizione, in combutta con l'ex direttore generale atalantino Cesare Giacobazzi, accusato anche di avere inviato alla Procura federale una lettera anonima dal contenuto imprecisato. Nella telefonata Doni rivela anche che Percassi avrebbe acquisito i tabulati telefonici del giornalista e/o di Giacobazzi. L'Atalanta ha smentito e precisato di aver consultato i tabulati delle utenze della società quando Percassi non era ancora presidente. Su questo argomento abbiamo ricevuto una lettera di Giacobazzi. ___ La lettura dell'intercettazione telefonica del sig. Doni pubblicata dalla giornalaccio rosa il 31-12-2011 mi ha profondamente scosso e infastidito, per non dire altro. Sono stati acquisiti i tabulati della mia utenza telefonica? E' una pratica legale? E quale sarebbe il fine? Sono ancora un cittadino libero di chiamare chi voglio, quando voglio, oppure no? Sono un professionista serio e profondamente rispettoso delle normative vigenti: se mi accorgo di violazioni, mi rivolgo alle Autorità competenti. Non ho bisogno di mezzucci come lettere anonime, non mi appartengono. Chi mi conosce lo sa benissimo. Accusarmi di aver scritto fantomatiche lettere anonime costituisce una grave attività diffamatoria nei miei confronti, lesiva dell'immagine e della professionalità costruita in tanti anni di carriera, getta un'ombra sulla trasparenza dei miei comportamenti. Si può fare? E' legale diffamare? E' legale accusare gratuitamente le persone? Penso che solo i giudici possano dare risposte alle mie domande. Infine un'osservazione: sono uscito dall'Atalanta nel giugno 2010 dopo quattro anni ricchi di soddisfazioni professionali e di una difficile convivenza in città: non mi è mai stato perdonato di aver proposto ai Ruggeri la cessione di Doni nel 2007, e di aver rinnovato la proposta al termine di ogni stagione, proposta sempre rifiutata. Con i migliori saluti Cesare Giacobazzi -
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SCOMMESSOPOLI Sono un centinaio le partite “dubbie” E’ la convinzione del pm Di Martino: «Ma sarà già tanto se riusciremo a dare un giudizio certo su 20 o 30. Anche perché intorno alla A c’è molta omertà» di SIMONE DI STEFANO (Tuttosport 02-01-2012) ROMA. La Procura di Cremona odora ancora di polvere da sparo, non per i botti di capodanno, ma per quelli fatti dal pentito Carlo Gervasoni , che lo scorso 27 dicembre ha tirato fuori nuovi nomi e partite su cui indagare. In pratica molti sono ex compagni che l’ex difensore di AlbinoLeffe, Mantova, Cremonese e Piacenza ha incrociato dal 2009 a oggi. Si va dai già noti (alla procura) Rickler , Conteh , Mario Cassano e Bertani , a nuove piste che portano a Pellicori , Fissore , Ventola , Shala , Fontana , per approdare alla serie A, ai fratelli Cossato , Pellissier e Luciano del Chievo, e alle tre partite rivelate nella sua audizione fiume: Palermo-Bari 2-1 (Gervasoni ha citato tra i coinvolti: Padelli , Bentivoglio , Parisi , Andrea Masiello e Rossi ), Lazio-Genoa 4-2 ( Mauri , Milanetto e altri), Lecce-Lazio 2-4 (Mauri, Rosati , e forse Benussi ). L’indagine si allarga a macchia d’olio, il dopo-Gervasoni fa salire a 15 le nuove presunte combine, a partire da Pisa-AlbinoLeffe 2-0 del 7 marzo 2009. SERIE A? NON SACCIO. . . Con le dovute cautele, l’atteso (e temuto) sfondamento in serie A sembra appianato. A conferma delle «sensazioni» del pm Di Martino , che però su questo fronte si attendeva di più dagli interrogatori: «Ogni volta che viene sfiorata la Serie A - ha detto l’altro ieri - avverto una maggiore omertà dei calciatori e una levata di scudi da parte di tutti. C’è disagio e la A sembra innominabile. Mi lascia perplesso che della B e della Lega Pro si possa dire di tutto, mentre della A. . . ». In tutto, secondo il pm cremonese, tra atti e interrogatori, le partite “dubbie” sfiorano la centinaia: «Ma sarà tanto - aggiunge - riuscire a dare un giudizio certo su 20 o 30». Fino al 9 gennaio Cremona riposa, prossimo interrogatorio l’11, ancora con Cristiano Doni (mentre si attende la data per Santoni e la scarcerazione di Sartor , l’unico tra i tesserati ancora in cella). A Roma è già a lavoro il pm federale, Stefano Palazzi , che ha già ricevuto gli atti che porteranno, entro gennaio, a un primo calendario di audizioni in via Po. Le stangate potrebbero arrivare soprattutto ai tesserati, con squalifiche dai 3 anni alla radiazione. Rischiano anche i club: 3 punti di responsabilità oggettiva per ogni illecito (con l’aggravante dell’illecito consumato o plurimo), o retrocessione diretta nel caso fosse appurato il coinvolgimento di dirigenti con poteri di firma. Rischiano invece l’articolo 6 Figc (obbligo di denuncia), e quindi squalifiche non inferiori ai 18 mesi, tutti quei calciatori che sapevano ma non hanno denunciato le combine. -
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Nuove accuse su Blatter: “Diritti televisivi gratis come regalo per l’appoggio elettorale” Contro il numero uno della Fifa, questa volta, il suo ex alleato Jack Warner: ha raccontato di aver pagato appena un euro l'esclusiva tv per i Mondiali del 1998 in Francia. Erano la ricompensa per l'elezione dello svizzero a presidente del massimo organismo mondiale del calcio di LUCA PISAPIA (il Fatto Quotidiano.it 31-12-2011) Nuovo capitolo nella saga corruzione all’interno della Fifa, l’organo che governa il calcio internazionale, le regole, le competizioni mondiali e la conseguente vendita dei diritti televisivi, controllandone l’immensa quantità di denaro messa in circolazione. Una federazione che dal 1998 è guidata da un uomo solo al comando: lo svizzero Sepp Blatter, indiscusso padre-padrone del carrozzone pallonaro mondiale. E proprio dal complesso giro di compravendita dei voti che regola le elezioni del comitato esecutivo e del presidente, la scelta della nazione in cui vengono disputati i Mondiali, e la vendita dei diritti televisivi, parte l’ultima accusa nei confronti di Blatter. La affida ad un comunicato Jack Warner, discusso ex vicepresidente della Fifa, ex alleato di Blatter ed ex segretario della Concacaf (federazione del Nordamerica, Centroamerica e dei Caraibi, una delle sei federazioni suddivise su base geografica affiliate alla Fifa) da cui si è da poco dimesso. Warner denuncia di avere ricevuto nel 1998, come ‘regalo’ per aver aiutato Blatter a vincere le sue prime elezioni presidenziali, i diritti televisivi per trasmettere in centroamerica i Mondiali di Francia 1998 al prezzo simbolico di 1 dollaro. E proprio nel 1998, intorno all’elezione che vide l’allora segretario generale Blatter sconfiggere il presidente dell’Uefa (l’affiliata federazione europea) Johansson per diventare l’ottavo presidente della Fifa, cominciano ad addensarsi le nubi intorno al nome di Blatter. Le prime accuse arrivano nel 1999: una soffiata per cui venti membri della delegazione mediorientale avrebbero ricevuto all’hotel Meridien di Parigi delle buste contenenti 50 mila dollari l’una (per un totale di 1 milione di dollari) per votare Blatter, che vince 111 voti a 80. Non si riesce a dimostrare che i soldi siano pervenuti direttamente dallo svizzero, che resta saldo in sella e si appresta a vincere le elezioni del 2002. Alla vigilia di quelle elezioni arriva la prima accusa diretta: il presidente della federazione somala, e vicepresidente di quella africana, Farah Addo rivela di avere ricevuto 100 mila dollari da Blatter per votarlo. Una commissione speciale istituita dalla Fifa non riesce a fare luce sull’accaduto e Blatter trionfa anche nel 2002. Sempre nel 2002 il segretario generale della Fifa Zen-Ruffinen, ex delfino di Blatter, rende pubblico un dossier di 30 pagine in cui si accusa Blatter di cattiva gestione finanziaria della Fifa e del fallimento della controllata società di marketing ISL. Un tribunale svizzero rigetta tutte le accuse, assolve Blatter e condanna la Fifa a pagare le spese processuali. Una commissione interna della stessa Fifa esautora Zen-Ruffinen per aver reso pubbliche informazioni confidenziali. Nel 2006 spicca l’assenza di Blatter dalla cerimonia di premiazione che incorona l’Italia campione del mondo a Berlino. Girano voci che Blatter avrebbe preferito vincesse la Francia del suo amico Platini, in procinto di diventare l’anno dopo presidente dell’Uefa al posto dello svedese Johansson, vecchio nemico e più pericoloso avversario di Blatter. Nel 2010, quando tutti sono convinti che Platini sia pronto a succedere a Blatter alla guida della Fifa, l’ex juventino all’ultimo momento si tira indietro. All’ultimo esce allo scoperto un nuovo avversario per Blatter, il potente Mohammed Bin Hammam, qatariano e presidente della AFC (la federazione asiatica). Qui entra in gioco Jack Warner. Altro cittadino del mondo pallonaro al di sotto di ogni sospetto, anche Warner è coinvolto in numerosi scandali. La creazione di società che si occupano della costruzione di alberghi, campi di calcio e infrastrutture, regolarmente utilizzate a suon di milioni dalla nazionale di Trinidad e Tobago e ospitanti remunerative competizioni internazionali sotto l’egida Fifa. La gestione di agenzie che si occupano della vendita dei biglietti per i mondiali di calcio, che gli hanno fatto guadagnare oltre 1 milione di dollari. Fino alla sospetta gestione dei premi partita per la partecipazione della nazionale di Trinidad e Tobago ai mondiali del 2006. Nel dicembre del 2010, prima Warner promette agli inglesi di votare per loro per l’assegnazione del mondiale 2018 (e in cambio ottiene che la nazionale inglese disputi un’inutile ma per lui vantaggiosa amichevole a Trinidad), poi all’ultimo appoggia la lobby che sostiene la Russia per il 2018 e il Qatar per il 2022. Nel maggio del 2011, in vista dell’’lezione presidenziale della Fifa annuncia che sosterrà (insieme ai 35 voti di cui dispone, che ne fanno una superpotenza nonostante la relativa poca importanza del calcio nord e centroamericano) il qatariano Bin Hammam contro il suo ex alleato Blatter. Il 10 maggio, a soli 20 giorni dalle elezioni, dalla federazione delle Bahamas parte una denuncia per tentata corruzione contro Bin Hammam e Jack Warner. Blatter istituisce un’apposita commissione che in via preliminare accerta la colpevolezza di Bin Hammam. Il giorno prima delle elezioni il qatariano ritira la propria candidatura, lasciando campo libero a Blatter che vince come unico candidato. A giugno Bin Hammam è radiato mentre Warner si dimette per fare sì che l’inchiesta interna non possa proseguire, ma giura vendetta a Blatter. Ed eccoci alle nuove accuse, per cui Warner avrebbe ricevuto la gestione dei diritti televisivi in area centroamericana, tramite una società messicana da lui controllata, del mondiale 1998 e dei seguenti per il prezzo nominale di 1 dollaro. A conferma di questa tesi, a settembre di quest’anno la Fifa ha rescisso un accordo per la trasmissione delle partite dei mondiali 2014 con la società International Media Content Ltd’s Sports Max, dopo aver “da poco” scoperto che la sua proprietà era riconducibile a Warner. A quest’accusa, Warner aggiunge che ufficiali Fifa gli avrebbero fatto un’offerta se a maggio avesse deciso di appoggiare Blatter invece che Bin Hammam: oltre alla vendita a 1 dollaro dei diritti televisivi per i mondiali 2018 e 2022 anche 1 milione di dollari per non meglio specificati progetti di sviluppo del calcio a Trinidad. E non è finita qui. Mentre la Fifa annuncia un’indagine, Warner garantisce per settimana prossima nuove e scottanti rivelazioni. La saga della corruzione all’interno della Fifa promette di arricchirsi di nuovi capitoli. -
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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 31-12-2011) 2012: i piani di Abete e c. E i presidenti? litigheranno... Il 2012 sarà un anno cruciale per il rilancio del nostro calcio: il presidente Giancarlo Abete, che nel 2013 potrebbe essere riconfermato, gode della piena fiducia del Coni e ha avviato un importante programma di riforme che adesso però deve avere un'accelerata. Soprattutto con un appoggio più costruttivo di Leghe e componenti: non sempre c'è stata unità di intenti e anche il coordinamento delle quattro Leghe (A, B, Pro e Dilettanti) ha perso di peso, dopo l'accordo (peraltro non sempre rispettato), sulla ripartizione dei soldi dei diritti tv. E poi, il vero nodo da sciogliere è quello della Lega maggiore: non sarebbe corretto dare tutte le colpe a Maurizio Beretta. D'altronde il sistema di governo-dove tutto ormai passa dall'assemblea-ha svuotato di peso il ruolo del presidente. Beretta è dimissionario da marzo: il suo amicone Claudio Lotito vorrebbe che restasse in carica sino a settembre 2012... Non sarà semplice, coi veti incrociati, trovare qualcuno che possa sostituire Beretta ma intanto la Lega di A dovrà sostituire, e in fretta, Lotito come consigliere federale, "congelato" in base alle nuove regole stabilite di recente dal Coni. La Lega di A produce ricchezza, è vero: i diritti tv, dal 2012 al 2015, varranno circa 1 miliardo di euro a stagione, con un significativo aumento del 30 per cento. Molto probabile, a questo punto, che non ci sia più la Rai, con Novantesimo e Stadio Sprint. Troppi 25 milioni di euro all'anno per la tv pubblica che, a forza di tagli, dal 2012 non avrà più nemmeno la Champions. Ma chissà se davvero Mediaset è interessata ai diritti in chiaro del campionato, o preferisce puntare le sue carte sul digitale pay. Una cosa molta probabile è che i venti presidenti di A litigheranno per spartirsi il miliardo anno di diritti tv: la legge Melandri prevede che una parte prevalente (il 40 per cento) sia in parti uguali, sul resto (risultati sportivi e bacino d'utenza) chissà che potrà succedere. I club poi venderanno per conto loro i diritti di archivio, mentre la Lega, oltre ai soldi del main sponsor Tim (15,5 milioni a stagione) e del pallone ufficiale della Nike (4, 5 milioni), cerca adesso nuove risorse (esempio: videogioco del campionato di A per fare concorrenza a quello della Fifa), dopo aver aperto una importante strada in Cina. Insomma, una Lega, speriamo, dove i presidenti avranno più voce in capitolo degli avvocati. . . Molto è stato fatto, dopo il flop del Sudafrica, per rilanciare nazionali e settori giovanili. Ne va dato atto ad Abete: il Club Italia lavora a tempo pieno. Demetrio Albertini e Arrigo Sacchi hanno passione e competenza. Le Nazionali sono in ottime mani, e Cesare Prandelli e Ciro Ferrara hanno giù raggiunto buoni risultati (nel 2012 viene il difficile. . . ). Il settore giovanile è stato affidato al "ballerino" Gianni Rivera, che ha sempre avuto idee chiare sin da giovane talento del calcio. Lui sa cosa si può fare per i vivai. Stop invece al progetto di Demetrio Albertini e c. delle seconde squadre (Milan B, Juve B, Inter B, eccetera) da fare giocare in Lega Pro, per valorizzare i giovani e risolvere il problema del Campionato Primavera che così com'è non funziona. "Seconde squadre? Né oggi, né mai. Non se ne parla nemmeno", taglia corto Mario Macalli. Che propone un'altra strada: "Consentire ai presidenti di A di acquistare anche club della Lega Pro. Esempio: il Milan proprietario del Monza. Chiaro, che non dovrebbero giocare nella stessa serie". Non sarà semplice mettere d'accordo Albertini e Macalli. Viaggia ancora a scartamento ridotto, purtroppo, il settore tecnico: nell'ultimo consiglio federale del 2011, Roberto Baggio, insieme con Bacconi e Petrone, hanno presentato il piano di rilancio di Coverciano. Piano assai costoso e impegnativo: il governo del calcio ha preso tempo prima di decidere. Ma siccome è da agosto del 2010 che dovrebbe "partire" a pieno regime anche il settore tecnico, importante scuola dei nostri tecnici, credo che ormai sia arrivato il momento di uscire da questa empasse. Ricordando che uno come Robi Baggio può diventare una ricorsa per il nostro calcio. Ma non può e non deve restare nell'ombra. -
HO FATTO SESSO PERSINO A TOKYO SALACE, IRRIVERENTE, SCHIETTO E TALVOLTA SCORBUTICO. IL CARATTERE DI STEFANO TACCONI CE LO RICORDIAMO TUTTI. MA CI SONO ALCUNE COSE CHE NON SAPEVAMO. A PARTIRE DA QUELLA VIGILIA DI COPPA INTERCONTINENTALE DI 26 ANNI FA. «ERO NERVOSO, PER CINQUE GIORNI SOLO ALLENAMENTI, MANGIARE E DORMIRE. ALLORA HO PRESO UNA GEISHA. OH, IN CAMPO ERO L'UNICO SENZA STRESS». E QUESTO È SOLO L'INIZIO. PERCHÉ IN QUESTA SCOTTANTE INTERVISTA NE HA PER MAIFREDI, IL TRAP E TANTI ALTRI di NICOLA CALZARETTA (GUERIN SPORTIVO - GENNAIO 2012) In mano ha una busta della spesa con un peperone rosso appena acquistato dal verduraio di fiducia. «Oggi preparo un bel sugo ai peperoni, tanto se non cucino io, in casa mia non ci pensa nessuno». È in perfetta forma, Stefano Tacconi, gli occhi azzurri scintillanti e la solita lingua tagliente. Siamo a Cusago, periferia sud di Milano. Mattinata brumosa, ma non fredda. L'appuntamento è in un bar del centro. Tuta nera, capelli biondo cenere spettinati come tendenza comanda e solito pizzetto ben curato. Un Campari, qualche patatina e via libera ai ricordi. Che sono tanti, perché lunga e ricca di eventi è stata la carriera di Tacconi, nato a Perugia il 13 maggio 1957. L'Inter, che lo aveva adocchiato da bimbetto, lo mette alla prova tra Spoleto, Busto Arsizio, Livorno e San Benedetto del Tronto. Poi, però, lo lascia libero. Ogni anno, uno scatto in avanti, fino alla Serie A con l'Avellino nel 1980. Ha una montagna di riccioli, il baffo precoce e una voglia matta di arrivare. Nel 1983 ecco la Juventus per il dopo Zoff, hai detto nulla. Spaccone e irriverente, si prende la maglia da titolare e scrive pagine storiche in bianconero. Conquista scudetti, ma soprattutto tutte le coppe possibili e immaginabili. Quella di più alto grado, la Coppa Intercontinentale, giusto ventisei anni fa, l'8 dicembre 1985 a Tokyo contro l'Argentinos Juniors. «L'ho vinta da protagonista, come avevo sempre sognato. Per un portiere è il massimo arrivare a giocarsi un trofeo ai calci di rigore. Quando l'arbitro ha fischiato la fine dei supplementari, ho detto: "E ora vado a prendermi la coppa". Ero convinto, sicuro che quello sarebbe stato il mio momento. E difatti ho parato due rigori su quattro e siamo diventati Campioni del Mondo». Detta così, più facile che bere un bicchiere d'acqua. «La partita è stata dura. Non quanto la preparazione, però». In che senso? «Siamo arrivati a Tokyo praticamente una settimana prima della gara, dopo un viaggio in aereo che non finiva più. Boniperti, tirato come sempre, ci faceva viaggiare in economica, mai in business. Io, Brio e Serena sembravamo dei ricci, raggomitolati tra una fila di seggiolini e l'altra. Facemmo scalo in Alaska, atterrando su una montagna di neve. Il fuso orario ci ammazzò. E questo è stato il viaggio». E a Tokyo? «Un casino. La città stava aspettando da mesi l'evento. Eravamo sempre imbottigliati nel traffico. Trapattoni, poi, era una belva perché avevano messo sia noi che gli argentini nello stesso albergo. La tensione saliva a vista d'occhio. Non c'era altro che allenamento, mangiare e dormire. Io ho resistito fino al quinto giorno». Dopodiché? «Sono scappato e sono andato a cercarmi una geisha». Trovata? «Sì e posso dire che dopo sono stato parecchio meglio». Nessuno si è accorto di nulla? «No, o per lo meno nessuno mi ha detto niente. Mancavano due giorni alla partita. Erano tutti stressati. Io no». Avevate qualche timore? «Era la finale di una coppa, gara secca. Non puoi mai stare tranquillo. Noi, comunque, eravamo abituati agli scontri diretti. Non come adesso che è tutto a gironi. Certo, qui ci giocavamo il mondo. Per la società poi c'era l'ulteriore traguardo di diventare l'unica squadra ad avere vinto tutte le coppe internazionali ». Ci furono particolari accorgimenti tattici? «Si doveva vincere. E basta. Noi eravamo la Juve». Il tuo pre-gara come è stato? «Quello di sempre. Da solo, nello spogliatoio, alla ricerca della concentrazione. Non sono mai uscito a fare riscaldamento. Non concepisco i portieri di oggi che stanno fuori un'ora prima della partita. E poi i saluti, i sorrisi nel sottopassaggio, ma che storia è? Io ero un orso. Dovevo stare da solo. Con la mia Marlboro e il caffè». E la testa in quei momenti dove è andata? «È andata a mio fratello che, insieme a tanti tifosi della Juventus di tutta Italia, è partito con il pullman da Lucca per raggiungere Milano». Per seguire in diretta tv la partita? «Sì. I diritti li acquistò Canale 5, ma la diretta avrebbe coperto solo la Lombardia. Noi giocammo a mezzogiorno, le quattro di notte in Italia. La differita l'avrebbero trasmessa nel pomeriggio dell'8 dicembre (tra l'altro l'ho vista anch'io). Prima della partita pensai a lui e a tutti quelli che stavano facendo chilometri per vederci in televisione». Tokyo, ore dodici. Ci siamo. «Lo stadio era tutto bianconero, sembrava di stare a Torino. In panchina, accanto al Trap, c'erano tutti i dirigenti, perfino Edoardo Agnelli che, però, non aveva l'autorizzazione per stare in campo. Alla fine del primo tempo fu cacciato, ma lui trovò il modo di tornare dentro lo stesso». Che rapporto avevi con lui? «Ottimo. Un bravo ragazzo, malinconico, ma genuino. Ricordo che prima della partita dell'Heysel, quando ancora fuori non era successo niente, prese una sedia, ci salì sopra e fece un discorso a tutta la squadra. Ci fece piacere. Si sentiva accolto da noi. Qualche volta è venuto persino in ritiro a Villar Perosa, come suo cugino Giovanni Alberto. Ma il calcio non era nelle loro corde: avevano i piedi pieni di vesciche». Intanto le squadre sono schierate e il tedesco Roth fischia l'inizio. «La partita fu bella, tirata, sempre in bilico, con continui cambi di fronte. Di là c'era gente come Olguin, Batista e Borghi, che era fortissimo». Due gol per parte, più qualche altro annullato. «Ci siamo trovati a rincorrere, ma quella squadra poteva ancora contare su uno zoccolo duro di qualità, da Cabrini a Brio, da Scirea a Platini. Erano andati via Tardelli, Rossi e Boniek, ma era arrivata gente giovane come Mauro, Laudrup e Serena, oltre a Manfredonia, un leone. A un certo punto si fece male Scirea ed entrò Pioli, che aveva vent'anni. Fu bravissimo, dimostrò una personalità incredibile. Questa era la Juventus». Tutto bello, ma a dieci minuti dalla fine siete sotto di un gol. «E lì c'è stato il capolavoro di Laudrup. Un pazzo scatenato. Anch'io ho urlato dalla mia porta di buttarsi per terra quando il portiere lo ha ostacolato. Il danese era un puledro purosangue. Quel gol lì, dalla linea di fondo, solo lui poteva farlo». Fine dei novanta minuti, ecco i supplementari. «A quel punto non me ne importava più niente. Volevo i rigori. Dovevo entrare in scena io, da protagonista vincente. Fremevo dalla voglia». Come ti sei preparato alla lotteria finale? «Io non avrei fatto nulla, come era mio solito. Non ho mai visto cassette sugli avversari, non avevo dossier sugli attaccanti. Mi bastava l'istinto, la forza e la convinzione. In quel caso, invece, Romolo Bizzotto, il vice di Trapattoni, mi fece vedere per decine di volte la cassetta della finale della Libertadores tra Argentinos e America di Calì, finita anche quella ai rigori. Non ne potevo più, quella cassetta diventò un incubo». Ma ti è servita o no? «Servita, servita. Imparai a memoria tutto, chi erano i rigoristi, come calciavano, da che parte avrebbero tirato. Anche se poi, a Tokyo, non mancarono le sorprese». Tipo? «Intanto Olguin, il primo rigorista, cambiò l'angolo. Io andai deciso sulla mia sinistra e lui la buttò dall'altra parte. Mi alzai e mandai a quel paese Bizzotto e la sua maledetta cassetta». Con Batista invece tutto filò liscio. «Fu un ċoglione! Non cambiò nulla nell'esecuzione, piattone sulla mia sinistra. Io, in verità, anticipai un po' il tuffo, tanto che presi il pallone con la mano sotto il corpo. Esultai come un centravanti, iniziai a non capire più nulla. Ero carichissimo, dovevo sfogare tutto, gioia compresa. Anche perché con la mia parata eravamo in vantaggio di un gol, visto che Brio e Cabrini avevano segnato». E così arriviamo al terzo rigorista, tale Juan Josè Lopez. «E chi lo conosceva? Era entrato a tre minuti dalla fine dei tempi supplementari, solo per tirare il rigore. Iniziai a guardare la panchina, ma il Trap fece finta di non vedere, nemmeno lui sapeva chi fosse. Ma porca miseria, possibile che nessuno lo conosca? Oltretutto, mentre si avvicinava al dischetto, mi guardava con aria incazzata perché avevo preso il tiro di Batista. Ma che cavolo vuoi? Fece gol, ma con il piede per poco non gliela prendevo». La situazione si fa incandescente. Laudrup sbaglia. Per te c'è Pavoni: se segna, l' Argentinos pareggia. «Lui c'era nella cassetta. Era un tipo massiccio, dal tiro forte e centrale. Devo dire che sono stato bravo, riuscendo a muovermi solo un istante prima del calcio. Feci un piccolo spostamento sulla destra, riuscendo però a ritrovare la posizione eretta e a respingere con il corpo. E lì ho esultato come un matto. Sapevo che era l'ultimo ... ». Non è vero, c'era ancora Platini. «Appunto». Non avevi dubbi su Michel? «Nessuno. Platini disputò la sua più bella finale con la Juve. Anzi, direi l'unica finale giocata da star. Ad Atene non era lui, ma neanche a Basilea brillò. Sull'Heysel meglio non dire nulla. A Tokyo era in vena, oltretutto gli annullarono un gol magnifico». Per colpa di chi? «Di Brio, che era in fuorigioco, ma che non c'entrava niente con l'azione. Michel ancora oggi lo maledice. Ma in realtà l'arbitraggio non fu all'altezza, così come il campo: buche, zolle, ciuffi d'erba qua e là, una pena». E le trombette? «Non le sentivo. La testa era per quella coppa. Sull'aereo, nel viaggio di ritorno, ci ho dormito insieme. Una gioia immensa». Anche per le tasche? «A testa ci toccarono centoventicinque milioni, non male». In quei casi Boniperti pagava volentieri? «Boniperti non pagava mai volentieri, ma era molto bravo a riscuotere, specie con me». Quanti soldi hai speso in multe? «Credo duecento milioni, anche se quella sugli elicotteri di Berlusconi per metà la pagò l'Avvocato Agnelli che mi disse: "Avrei detto le stesse cose"». Perché ti multava così spesso? «Perché io ero diverso dagli altri. Se avevo qualcosa da dire, la dicevo, non guardavo in faccia nessuno. Se volevo fumare, fumavo. Fumavo e vincevo, però. Fuori dal campo volevo fare come mi pareva: dal lunedì al sabato non volevo rotture di scatole». Torniamo al trionfo di Tokyo: con la conquista dell'Intercontinentale la Juventus continua a dettare legge. «Ancora per poco, a dire il vero. La partenza in campionato fu da urlo, otto vittorie consecutive, un record. Per essere pronti per la finale, infatti, avevamo cambiato la preparazione, accelerando i ritmi e i tempi. L'idea, o meglio la speranza, era che si potesse prolungare il grande ciclo bianconero che durava dal 1977. In realtà quella squadra fu pensata quasi esclusivamente per vincere l'Intercontinentale». Ma a maggio del 1986 "quella squadra" conquistò lo scudetto. «Sì, ed è stato l'ultimo prima di Lippi! Quel campionato l'abbiamo ripreso per i capelli grazie al Lecce alla penultima giornata. La verità è che si chiudeva una storia, il decennio di Trapattoni». A proposito del Trap, con lui hai fatto fatica? «È stato il mio primo allenatore alla Juve. C'era rispetto, forse un po' di distanza. Era un martello pneumatico, non ti mollava mai. Nella mia seconda stagione mi ha tenuto fuori per sei mesi, ma ancora oggi non so il perché». Non avete mai chiarito questa cosa? «Quando mi vede, mi dice sempre: "Tu lo sai il perché?". Ma io non so un cavolo. L'unica cosa che posso dire è che sono uscito di squadra che eravamo quarti e sono rientrato con la Juventus quinta. Solo colpa mia?». Come si sta in panchina? «Fa freddo». Come hai reagito alla decisione di metterti fuori squadra? «All'inizio l'ho messa in vacca. Ho mollato. Ero incazzato nero. Parlavo male di tutti. Poi è scoccata la scintilla e ho tirato fuori l'orgoglio. Fino al rientro in squadra». Hai mai pensato di lasciare la Juve? «Dissi di no al Napoli che mi offrì un miliardo e duecento milioni quando ne prendevo settecento. Volevo dimostrare che ero da Juve. Dicevo: gioco e rivinco. Ho tirato fuori il meglio di me, come feci nel 1980 alla mia prima stagione con l'Avellino». Perché, in quel caso cosa successe? «Semplice: l'allenatore, Luis Vinicio, voleva farmi fuori. Eravamo nel precampionato e io, francamente, pensavo a tutto tranne che al pallone. Poi feci un partitone a Palermo, il 24 agosto, e da lì tutto è filato liscio come l'olio. E sempre il campo che fa la differenza». Ma intanto la domenica giocava Bodini. «Ma io ero convinto che prima o poi sarei tornato. In una squadra c'è il numero uno e il dodici. E il dodici di quella Juve era Bodini. Lo so che c'è rimasto male, ma io dovevo tornare a giocare. Rientrai a tre giornate dalla fine e poi feci la finale di Coppa Campioni all'Heysel. Senza nessuna spiegazione da parte di Trapattoni». Dai "non detti" del Trap passiamo alle coccole di Zoff. «Dino mi voleva bene, ricambiato da me. L'ho avuto il primo anno come preparatore dei portieri alla Juve, poi due anni con l'Olimpica e altre due stagioni come allenatore alla Juve. Ha sempre puntato su di me, mi ha messo dentro anche quando non stavo bene». Quando è successo? «Quella volta che mi fratturai due costole, prima di una gara di Coppa Uefa. Lui andò dal dottore che confermò la diagnosi. Sai che rispose? "Io ho giocato con tre costole rotte". E allora gioco anch'io, risposi». Cosa ti ha insegnato Zoff? «Mi ha dato tranquillità, psicologicamente mi ha rafforzato molto. Dal lato tecnico, niente. Non gli ho mai chiesto consigli, né lui mai li ha dati a me. Mi diceva sempre: che ti devo insegnare? Quello che hai accumulato ce l 'hai, io ti devo allenare. Che errore cacciarlo». Che gusto hanno avuto le due coppe vinte con lui? «Per me ancora più saporito di tutte le altre. Perché erano quelle che mi mancavano per entrare nella storia e perché le ho tirate su io per primo come capitano». Curiosità: com'è che la fascia era finita sul tuo braccio? «All'inizio della stagione 1988-89 Zoff la dette a Tricella, facendo fuori Brio. Ma Tricella cosa c'entrava? Era alla Juve da pochissimo. L'anno dopo mi sono imposto, ne ho parlato con Zoff e tutto è tornato nell'ordine. Ero io il più anziano della rosa». Invece Maifredi? «Alla prima intervista da allenatore della Juventus dichiara: "Tacconi con me non sarà capitano". Carino, eh?». E tu? «Quando ci siamo incontrati per la prima volta gli dissi che tra uomini si parla guardandosi negli occhi. Poi gli dimostrai che avevo tutti i requisiti per portare la fascia». Cosa facesti? «Chiamai l'Avvocato Agnelli e poi passai la telefonata a Maifredi: "Mister, c'è qui qualcuno che vorrebbe parlarle". Diventò rosso, si infuriò, ma capì che l'aveva fatta fuori dal vaso. Maifredi partì malissimo. Dopo la figuraccia in Supercoppa con il Napoli, chiesi alla società di cacciarlo, ma Montezemolo mi rispose: "L'ho portato io". I risultati alla fine si sono visti». Tatticamente l'idea era buona. «Quando Maifredi parlava di tattica e schemi andavo a giocare a tennis con Sorrentino, il preparatore dei portieri». Cos'è che non funzionò davvero? «Maifredi aveva sfasciato lo spogliatoio. Per lui c'era solo Baggino. Sai quante volte gli ho detto: "E gli altri?". L'aria era elettrica. C'erano continue litigate. Qualche giorno prima della partita di Coppa contro il Barcellona, con Dario Bonetti arrivarono alle mani. Era inevitabile che accadesse». Chiusa la parentesi Maifredi, tornano il Trap e Boniperti e tu, però, chiudi il tuo ciclo bianconero. «Puntarono su Peruzzi e io non avevo nessuna voglia di stare in panchina. Non avrei mai fatto il dodicesimo, non l'avrei fatto neanche a Zoff a suo tempo. E lo dichiarai pure». Già, quella volta lì l'hai sparata veramente grossa! «La Juve mi aveva di fatto preso nell'aprile 1983, il sentore era che Zoff avrebbe smesso. Poi lui, in un'intervista dopo Atene, fece capire che forse avrebbe continuato. Allora io dissi: "O me o lui". La sparai grossa, può darsi. Ma questo è il mio carattere. Spregiudicato, spaccone, un po' presuntuoso. Ma se non sei così, muori». Diciamo che il carattere ti è servito per resistere ai massimi livelli per molti anni. «Ho iniziato nel 1976 a Spoleto in Serie D e ho chiuso al Genoa a 38 anni, vincendo tutto. Ho giocato con fuoriclasse assoluti alla Juventus. Ho affrontato tutto il meglio del calcio mondiale di quegli anni: Zico, Maradona, Vialli, tanto per metter lì un podio. Se penso ai portieri di oggi della Serie A, mi chiedo che cosa racconteranno». Chi ti ha insegnato i segreti del ruolo? «Gino Merlo, al Livorno. Lo chiamavano il portiere ballerino. Un giorno mi prende e mi fa: Conosci il valzer? No, perché? Il valzer ti dà i tempi. Un, due, tre . . . e fai il movimento. Che lezione». Quale è stata la più bella parata che hai fatto? «Ce ne sono tante. Dal mucchio prendo quella al novantesimo contro il Colonia nel ritorno della semifinale di Coppa Uefa 1990. Se entrava quel pallone, eravamo fuori. Tiro da dentro l'area, Brio che mi copre la visuale, io schizzo sulla sinistra e devio in angolo. Lì ho esultato come a Tokyo». E tra le tante maglie indossate in bianconero, a quale sei più legato? «A tutte quelle con cui ho giocato le finali. A Basilea quella grigia me la prestò Zoff perché le mie avevano lo sponsor, mentre l'Uefa imponeva la divisa pulita. Mi è sempre piaciuto curare il look, molti dei modelli che ho portato li disegnavo io stesso». È tua anche l'idea delle mezze maniche? «Io le mezze maniche me le mangio oggi a pranzo. Con un bel sugo ai peperoni».
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Calciopoli, incredibili rivelazioni di una gola profonda! dal blog di SIMONA AIUTI 30-12-2011 Sembra che Calciopoli abbia la sua “gola profonda”, una specie di Buscetta del duemila, e ciò che snocciola in tanti lo sospettavamo da un pezzo. Il testimone dice di doversi liberare da un peso e sciorina la sua verità. Si tratta di un uomo che, in quell’inchiesta si sarebbe occupato delle indagini, un investigatore che ha delineato i profili dei suoi superiori e il modo di lavorare. All’inizio dell’inchiesta, che a quanto pare per un pezzo non è decollata per mancanza di elementi, da due telefoni si è passati a poter ascoltare oltre centosettantamila intercettazioni, con un impiego di dodici ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. Per questo tipo di lavoro sono stati usati computer con password personali e ognuno seguiva una singola utenza. Il testimone conferma appieno le telefonate che riguardavano l’Inter, dice che non c’erano tagli durante le indagini, che s’inglobava tutto il registrato, e poi erano il colonnello Auricchio e il maresciallo Di Laroni che decidevano cosa mettere nell’informativa. Noi sappiamo bene che moltissime intercettazioni non sono finite nell’inchiesta e in quell’informativa, nelle indagini però la “gola profonda” conferma che c’erano perché ci sono le registrazioni. Alcune telefonate non sono finite nell’inchiesta, perché secondo il “testimone” evidentemente non ci dovevano andare. A quanto pare il lavoro di scrematura veniva fatto dopo, e il testimone misterioso conferma che sarebbe avvenuto nella seconda fase. Inoltre, intercettando una sim straniera, nel nostro caso svizzera, si deve chiedere l’autorizzazione. Sembra che i superiori del testimone l’abbiano chiesta, ma nello stesso tempo avevano già attaccato il telefono, ma quel telefono era muto, ed era una scheda di Moggi. Poi sempre secondo il presunto testimone, son accadute cose strane come il caso di Martino Manfredi (ex segretario della Can A-B, ndr) che portato in ufficio era spaventatissimo, tremava, dicendo di non sapere nulla piangendo come un vitello, disperato per il lavoro che gli spariva, e poi all’improvviso da un momento all’altro è andato a lavorare in Federcalcio! Quando poi ha cominciato a essere interrogato, di colpo è uscita la storia delle palline scrostate. Prima non sapeva niente, poi sapeva tutto, di questo, di quell’altro, di Pairetto, della Fazi ecc. Ma il mistero s’infittisce. Relativamente all’intercettazione ambientale a Villa La Massa, vicino Firenze, durante il pranzo che secondo l’accusa era il fondamento del patto per salvare la Fiorentina, c’erano i Della Valle da una parte, Mazzini e Bergamo dall’altra. Quel giorno c’era telecamera e un microfono direzionale. Se la cosa fosse stata fatta in un locale dove c’era gente, si sarebbe sentito quello che uno avrebbe detto e si filmava con la telecamera. Però la voce non s’è mai sentita! Alla faccia dell’architrave dell’inchiesta diciamo noi! Dunque i Della Valle non avrebbero detto niente di rilevante. Ci sono le immagini, Diego e Andrea che scendono dal furgoncino e che si sono incontrati con Bergamo, però nessun audio! Secondo il testimone l’audio c’è ma non si sa niente, tutto fumo. Dunque la “gola profonda”, che ricordiamo avrebbe preso parte a questa indagine, ma non in modo decisionale, ovvero aveva dei capi a cui rendere conto, le indagini sarebbero state un po’ raffazzonate e di veramente importante, non ci sarebbe niente. Il testimone anonimo parla di cene tra Auricchio, Arcangioli, Narducci, e anche altri personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli, chiedendosi che importanza poteva avere andare a mangiare con Narducci e perché. Sarebbero andati a cena a Napoli di fronte al Vesuvio, a Castel dell’Ovo da Zi’ Teresa. Sembra anche che ad un certo punto, non vedendo nulla di penalmente rilevante, Arcangioli avrebbe detto basta, e da lì sarebbe nato lo scontro con Auricchio, arrivando ai ferri corti. Ora Auricchio e Arcangioli stanno uno alla scuola Ufficiali, e uno alla scuola Allievi. Queste informazioni le abbiamo avute dall’intervista ottenuta dall’ottimo Edmondo Pinna del Corriere dello Sport, davanti al quale ci togliamo il cappello. Pertanto il soggetto intervistato non sarebbe un testimone qualunque, ma uno di quelli che hanno partecipato alle indagini e delle scelte fatte nella caserma di via in Selci, avrebbe dunque una conoscenza diretta delle questioni in esame. Arcangioli era il superiore di Auricchio e se l’allora maggiore poté continuare le indagini contro il parere superiore viene da chiedersi il come e il perché. E poi perché Arcangioli non firmò la seconda informativa? L’intervista riporta in auge per i più distratti anche il ruolo di Manfredi Martino, per capirci quello del “colpo di tosse”, e i famigerati otto interrogatori, due condotti dagli investigatori e sei dai pm. Una bronchite sembra un po’ poco per finire in sanatorio però, infatti, a maggio 2006 gli investigatori dovevano poter provare l’ipotesi dei sorteggi truccati, ipotesi che non era stata ancora provata con un fatto o filmato inconfutabile, e serviva una pezza d’appoggio, un pentito perché potesse essere plausibile in aula. Un colpo di tosse ricordato dopo otto interrogatori sembra friabile. L’investigatore ha spiegato, finalmente, anche perché di molte telefonate si avessero i brogliacci e non si trovassero i files audio: il server spesso non funzionava e finché non lo riparavano perdevano molte intercettazioni. Insomma, cenette a Napoli da “Zi’ Teresa”, Auricchio, Arcangioli, Narducci, anche altri personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli. E ci piacerebbe sapere che altro saprebbe la “gola profonda”, e anche quanti caffè presero veramente insieme Auricchio e Baldini, per esempio, dopo tutto i numeri e le risposte che hanno dato in aula non combaciano affatto. A pensar male si fa peccato, però…. se l’Arma avesse chiesto al colonnello di rendere conto di tutto, Baldini sarebbe rientrato in Italia? Perché non farsi anche questa domanda? Forse questa indagine supplementare bisognerebbe aprirla, per cercare di dare le risposte a molte domande su fatti e personaggi fumosi, e poi Collina dov’è? Insomma il processo d’appello si profila polposo e interessante e noi saremo là, noi sì “nei secoli fedeli”! -
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Scommesse, nessuna pietà per chi ha calpestato la passione dei tifosi dal blog di XAVIER JACOBELLI 30-12-2011 Leggi i verbali del calcoscommesse, sezione Gervasoni e sezione Sartor; le cronache sul conto segreto svizzero Cannonau, grande vino sardo ignobilmente usato per bollare i traffici bancari degli uomnini di Singapore con la Confederazione elvetica; i resoconti sulle incursioni degli Zingari nei ritiri delle squadre per taroccare le partite. Leggi tutto questo e altro e la rabbia si mescola con il disgusto. Provi ad illuderti che sia tutto falso, ma temi sia tutto vero perchè il lavoro degli investigatori è minuzioso, certosino, implacabile anche se aspetti nuovi riscontri oggettivi perchè non puoi fare altro. E apprezzi che nessuno, fra gli stessi investigatori, cerchi le luci della ribalta con dichiarazioni roboanti, interviste a uso e consumo del tritacarne mediatico. La sobrietà e il rigore abitano negli uffici dei giudici di Cremona che affondano il bisturi nel bubbone, sempre più esteso e sempre più pericoloso per il calcio italiano. Ma, aspettando il diluvio del 2012, che si annuncia tremendo per molti club e molti tesserati fra squalifiche, penalizzazioni e retrocessioni annunciate, c'è un sentimento alla fine del 2011 che nasce da questo obbrobrio e non ti lascia più. E' l'umiliazione. L'umiliazione della passione dei tifosi, del loro amore per il gioco pulito, per il gesto tecnico, per il gioco, per la lealtà, per la correttezza, per il fair play. Per tutto ciò che è il calcio e dentro Scommessopoli non è più. E' vero che questo non è il primo scandalo e, presumibilmente, non sarà l'ultimo. E' vero che anche altri Paesi calcisticamente evoluti devono solo stare zitti perchè il più pulito ha la rogna. E' vero tutto. Ma non riesci ad accettare che un pugno di falliti abbia avvelenato i pozzi in A, in B e dovunque fosse possibile farlo, per imbrogliare e lucrare denaro sporco. Le cronache di Cremona riferiscono che, ieri, alle sette della sera, il procuratore Stefano Di Martino abbia ricevuto un sms dal procuratore federale Stefano Palazzi: "Grazie per le carte". Quattro parole accompagnate da una serie di smile (io sto ancora ridendo, infatti, per le possibili gag - ndt). Aggiungono, le cronache, che Palazzi abbia ricevuto tutti gli incartamenti dell'inchiesta penale, compresi i verbali degli ultimi interrogatori. Ora, la giustizia della Figc può entrare in azione. Che lo faccia. Senza guardare in faccia a nessuno, senza ritardi, senza il campionario di lacune che ha accompagnato i cinque anni e mezzo di Calciopoli coi risultati che sono stati certificati dal Tavolo del Nulla e dei quali, un giorno o l'altro, Abete e Rossi Guido dovranno rendere conto. Stangare senza pietà chi ha taroccato le partite e i tesserati che, anche se non hanno taroccato le partite, hanno scommesso sulle partite, pratica rigorosamente proibita dai regolamenti. Non ci deve essere nessun perdono per chi ha calpestato la passione dei tifosi. I bambini ci guardano. Anche quelli che, a Bergamo, ricevevano in regalo le maglie numero 27. Doni da buttare. -
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Il karma è un piatto che va gustato freddo...piano piano piano. -
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I botti che fan tremare mezza serie A di LUCA FAZZO (Il Giornale.it 31-12-2011) Penalizzazioni in classifica per «responsabilità oggettiva», quando a truccare le partite siano stati giocatori, tecnici o dirigenti di basso livello. Retrocessione per «responsabilità diretta» quando siano coinvolti dirigenti apicali (presidenti, amministratori delegati, direttori generali). Queste sono le conseguenze cui possono andare incontro davanti alla giustizia sportiva le società coinvolte nella nuova ondata dell'inchiesta della Procura di Cremona sui rapporti incestuosi tra il mondo del calcio e i signori delle scommesse. L'ufficio inchieste della Federcalcio ha già acquisito quasi tutte le carte. Ecco, allo stato degli atti, una panoramica sulle squadre principali. LAZIO La società biancoceleste è sotto tiro per due incontri, Lazio-Genoa e Lecce-Lazio. In entrambi i casi, il canale per addomesticare l'incontro sarebbe stato il centrocampista Stefano Mauri: a sostenerlo è Carlo Gervasoni, smentito però da Alessandro Zamperini (intimo amico di Mauri). La posizione della società potrebbe venire aggravata se si confermasse che emissari del clan hanno potuto accedere al centro sportivo di Formello. Entrambi gli incontri figurano nell'esposto del sito Skysport 365 che denuncia impressionanti quantità di scommesse anomale. GENOA Complice della combine di Lazio-Genoa sarebbe stato nelle file rossoblù Omar Milanetto che avrebbe coinvolti altri compagni non precisati. Non si fa cenno a responsabilità dirigenziali. Nell'elenco delle partite sospette compaiono anche Genoa-Roma, Genoa-Lecce e Genoa-Cesena, tutte contraddistinte da inconsueta abbondanza di gol. ATALANTA É la società di A in posizione più difficile, perché il suo ex capitano Cristiano Doni ha confessato in pieno almeno una combine, quella con il Piacenza, dicendo «l'ho fatto per l'Atalanta». Non dice di avere agito su ordine della società, ma il passo è breve. Doni ammette l'esistenza di un accordo per il pareggio di Padova-Atalanta mentre nega un «biscotto» nell'incontro con l'Ascoli. CHIEVO Situazione pesante, perché è il club con il maggior numero di incontri sospetti (sei tra gennaio e giugno scorsi) e perché a venire coinvolto direttamente è il giocatore maggiormente rappresentativo, il capitano Sergio Pellissier. Pellissier è indicato in un verbale dello scommettitore Massimo Erodiani come il garante dell'over (sconfitta con più di tre gol) in occasione di Inter-Chievo del 2010. BOLOGNA Nelle partite segnalate alla magistratura dai siti di scommesse ci sono quattro goleade subìte dal Bologna. Della partita con il Brescia del 2 aprile 2011 si dice «lo svolgimento è una farsa». Nelle carte però non compaiono nomi di tesserati tranne quello dell'ex direttore sportivo Stefano Pedrelli, in contatto con l'arrestato Nicola Santoni. BARI Ben cinque giocatori della società pugliese, secondo la testimonianza di Gervasoni, avrebbero venduto la partita con il Palermo dell'8 maggio 2011: Bentivoglio, Parisi, Masiello, Rossi e il portiere Padelli (che effettivamente ci mise del suo, provocando un rigore a favore del Palermo: ma Miccoli si fece parare il penalty). Il numero dei giocatori coinvolti rende più verosimile che al Bari possa essere contestata la responsabilità oggettiva. Il pentito malese dell'indagine, Wilson Jay Perumal, ha dichiarato: «Tan Seet Eng (il capo dell'organizzazione, ndr) ha manipolato delle partite della Serie A, il risultato della partita Brescia-Bari del 6.2.2011 è stato 2-0». Sospetti anche su Bari-Livorno di Coppa Italia. LECCE La squadra giallorossa è nel mirino per le sconfitte con Inter, Lazio e Genoa che sarebbero state commissionate dai clan delle scommesse. Un suo tesserato, Daniele Corvia, è stato inquisito. Ma i guai peggiori per il club potrebbero venire da un dettaglio messo a verbale da Gervasoni: «qualcuno mi riferì che nel campionato 2007-08 il Lecce avrebbe dato dei soldi all'Ascoli perché giocassero "alla morte" contro l'Albinoleffe». SAMPDORIA É uno dei buchi neri dell'inchiesta: chi fu a vendere al clan la partita col Napoli del 30 gennaio 2011, persa dai blucerchiati per 4-0? A comprare la partita, secondo il pentito Perumal, fu direttamente il capo dell'organizzazione, Dan Seet Eng. Ma nelle intercettazioni non si dice altro. INTER Unico potenziale grattacapo, l'accordo con il Chievo, attraverso il suo capitano Pellissier, in occasione dell'incontro del 9 maggio 2010. Chiede il pm a Erodiani: «Ma lui (Pirani, ndr) le ha detto questo fatto del goal che voleva fare il Chievo?» «Sì, sì». «Quindi aveva ricevuto il benestare della squadra avversaria?» «Sì, sì». ALBINOLEFFE Delle squadre minori la compagine bergamasca appare nella posizione peggiore, non solo perché nelle sue file hanno giocato numerosi giocatori corrotti dal clan (Gervasoni, Carobbio, Lalic, Suljic) ma perché secondo l'ordine di custodia «Tan Seet Eng avrebbe ottenuto il controllo finanziario, seppure in modo occulto, dell'intera società calcistica Albinoleffe che milita nel campionato di serie B». -
Il Bar Sulla Riva Del Fiume - Parte Diciannovesima
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Buon anno a tutti, anche a quelli che [ci] hanno fatto del male. P.s. Che il nostro anno bianconero sia [il] migliore! -
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«Ogni volta che la sfioro avverto maggiore omertà da parte dei calciatori Presto nuovi indagati» di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 31-12-2011) CREMONA - Roberto Di Martino, il pubblico ministero che sta conducendo l’inchiesta sul calcio scommesse, si accomoda sul divano di casa sua e risponde alle nostre domande. Dopo settimane di duro lavoro, una mattinata senza interrogatori da condurre o accertamenti da portare a termine lo ha ricaricato. Si inizia così, con il pm che si rilassa e ci racconta della sua passione per il calcio, ma soprattutto dell’inchiesta che ha scosso il mondo del pallone. Non può entrare nei dettagli («I nomi fatti da Gervasoni? Sono tanti, non li ricordo neppure...» dribbla con astuzia), ma racconta «l’omertà» rilevata tra gli imputati nel parlare delle partite di A coinvolte, anticipa l’iscrizione di nuovi calciatori nel registro degli indagati e fa capire che entro un anno la fase istruttoria potrebbe essere chiusa. Da sportivo sogna un calcio diverso, più pulito. Lui, deluso da quello che ha dovuto constatare negli ultimi mesi, lavora con questo intento. Gli appassionati di calcio dovrebbero ringraziarlo. Dottor Di Martino, che idea aveva del calcio prima di questa inchiesta? «Diversa e, se devo dire la verità, non mi aspettavano che le cose stessero così. Mi sono un po’ meravigliato. Si può immaginare che qualche gara possa essere combinata, ma pensavo che si trattasse di casi più rari. Lo confesso, ci sono rimasto male. Ora veramente quando guardo una partita ho qualche perplessità e mi chiedo sempre se ci sia qualcosa dietro. Mi sa che aveva ragione mia moglie...». Cosa diceva sua moglie? «Lei non segue il calcio eppure in passato si chiedeva “chissà quanti incontri sono truccati”. Da sportivo mi ribellavo all’idea e le spiegavo che negli eventi internazionali più importanti difficilmente si possono fare combine». I primi sei mesi dell’inchiesta che sta conducendo insieme al capo della Squadra Mobile Lo Presti dimostrano il contrario. «L'esito dell’inchiesta è stato positivo: sono state accertate tante cose e tante altre verranno accertate. Avverto comunque un senso d’impotenza perché non potrò portarla avanti tutta la vita e rimarranno molti interrogativi che non avranno una risposta definitiva. Se si mettono insieme atti e interrogatori finora sono state attenzionate, non so, cento partite, ma sarà tanto riuscire a dare un giudizio certo su 20 o 30. E poi c’è il discorso sulla Serie A... Ogni volta che viene sfiorata, avverto sia una maggiore omertà dei calciatori sia una levata di scudi da parte di tutti. C’è disagio e la A sembra innominabile. Mi lascia perplesso che della B e della Lega Pro si possa dire di tutto, mentre della A...». A giugno quando illustrò la sua «sensazione» che il giro delle scommesse si sarebbe allargato alla Serie A fu molto criticato. «In quell’occasione ammetto di aver sbagliato la scelta della frase e quando parlai di sensazione mi saltarono tutti addosso. In realtà volevo solo essere... prudente. Adesso ci troviamo di fronte a 7, 8, 10 partite di Serie A che rimarranno almeno con interrogativi pesantissimi. Alcune le ha indicate Gervasoni, altre i “collaboratori” in Finlandia e in Germania, altre gli zingari... E poi basta leggere gli atti: se ci sono nominate anche le gare di A, e più volte, è difficile che si tratti di una combinazione. E’ impossibile pensare che tutti parlino a vanvera». Prevede ulteriori sviluppi sulla Serie A? «Penso che qualcosa debba ancora venir fuori. Penso e spero.. . Questa non è un’inchiesta in cui dici “se viene fuori tutto, mettiamo tutti in galera”. Sarebbe bello chiarire ogni aspetto e ripartire da zero, con un calcio pulito. Magari con gli stessi giocatori che hanno sbagliato perché sono anche dei grandi calciatori e sarebbe sciocco perderli. Però è necessario un quadro con maggiori certezze. Questo lo dico più da sportivo che da magistrato. Forse è un’illusione perché il fenomeno è mondiale e non è facile ottenere un risultato del genere. Non possiamo risolvere i problemi delle altre nazioni, ma c’è una collaborazione internazionale che è importante e fruttuosa». Peccato che non sia ancora servita ad arrestare Gegic. . . «Penso che sia difficile che Gegic si sottragga molto a lungo all'arresto. Dovrebbe non giocare più, non tornare più in Svizzera e, anche se risulta avere due nazionalità diverse, il rischio di essere arrestato per lui è molto forte». Ci saranno nuovi indagati delle prossime settimane? «Senz'altro. Gli indagati ci sono già, ma non ho avuto il tempo materiale di procedere alla loro iscrizione. Ci sono persone seriamente coinvolte, soprattutto quelle indicate per una pluralità di partite, non una sola. Il problema è che a febbraio dovrò occuparmi della strage di Piazza della Loggia e per me non sarà facile trovare il tempo per fare tutto». A febbraio di cosa avrà bisogno per portare avanti questa inchiesta? «Che l’organico della mia Procura sia completato perché fatico a fare il procuratore con inchieste del genere. Così non riusciamo ad andare avanti. Non posso seguire solo il calcio...». Due giorni fa ha smentito che nell’inchiesta fossero coinvolti Buffon, Fabio Cannavaro e Gattuso. Conferma? «Anche in passato quando c’è stato da dire (intende da smentire, ndi) l’ho fatto. I nomi non erano inventati, ma appaiono nelle carte in contesti che non autorizzano né a iscrizioni nel registro degli indagati o né ad approfondimenti». E’ giusto considerare Gervasoni il grande pentito di questa seconda fase dell’inchiesta? «Secondo me Gervasoni ha detto la metà di quello che poteva dire. Ha assunto un atteggiamento di collaborazione, ma di Doni ha parlato solo quando gli è stato comunicato che l’atalantino aveva parlato di lui. I pentiti veri e propri non esistono o io non ne ho mai trovati: ci sono persone che assumono un comportamento più collaborativo e altri che raccontano solo il minimo indispensabile». Su cosa si concentrerà nel 2012? «Sono stati fatti tanti nomi e bisogna trovare dei riscontri su quello che ha detto Gervasoni. Ora però è più urgente chiarire i contorni di alcune partite ancora da definire». Che tempi prevede per arrivare ad un processo? «Non escludo che ci siano degli “stralci”, che le cose “mature” siano mandate avanti (a processo, ndi), ma penso che la fase istruttoria andrà avanti ancora un annetto». Il processo rimarrà di competenza del tribunale di Cremona? «Per ora sta a Cremona e legittimamente. I criteri che ho seguito sono ripresi dal Codice e poi è difficile stabilire dove viene consumato il reato associativo. Ricorrono dei criteri, uno di questi è chi ha proceduto per primo all'iscrizione (la Procura di Cremona appunto, ndi)». Che calcio vorrebbe vedere in futuro? «Pulito e spettacolare, con più reti e meno catenaccio. Mi ricordo che negli anni ‘60 quando l'Inter e il Milan vincevano la Coppa dei Campioni nelle partite di ritorno c’erano grandi catenacci, 0-0 eroici con difese strenue. Anche quella era una prova di bravura, ma per gli esteti non era il massimo. A me piacciono più i pareggi per 3-3 rispetto agli 0-0. Basta però che non sia tratti... Over. Perché, capitemi, adesso quando vedo un 3-3 in campionato penso male. E quest'anno ce ne sono state parecchie di gare con tante reti...». ___ MAGISTRATI DIFFERENTI STESSE TEORIE di EDMONDO PINNA (CorSport 31-12-2011) Era il giugno del 2006. E’ l’ultimo giorno del 2011. Allora, bloccando il traffico sotto la Federcalcio in via Po, l’allora capo degli 007 federali, Francesco Saverio Borrelli, ex numero uno del pool di Mani Pulite, disse: «E’ stato eretto un muro difensivo, probabilmente anche concordato da più persone». Indagava, Borrelli, su quella Calciopoli che azzerò metà del nostro calcio. E si trovò davanti l’omertà negli interrogatori. Oggi, come allora, un altro magistrato, il pm Di Martino da Cremoma, ammette: «Ogni volta che sfiori la A avverto maggiore omertà». Un altro muro di gomma. Magistrati diversi, stesso teorema. -
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GOL A PERDERE Prandelli, quello che resta del calcio di MARCO BUCCIANTINI (l'Unità 31-12-2011) Un anno di calcio, un anno di tutto. Di gol bellissimi e gol di troppo, comodi per arrotondare un punteggio in favore di scommessa. Di stadi vuoti e applausi veri. Di paradossi, come i debiti che si trasformano in vittorie, ma quello che resta è la voragine etica di uno sport che somiglia ad un malato grave che non può morire. Il calcio si è accucciato dentro il suo crepuscolo: non riesce a far passare il tempo, si accontenta di una luce fasulla, fioca e di rimbalzo. Teme la notte e il buio, e non si fida dell’alba del giorno dopo. La squadra che ha fatto più punti nell’anno solare 2011 è il Milan: 80. Un pezzo di questi servirono per vincere il campionato scorso, gli altri per appaiare la Juventus in quello in corso. Dopo il Milan, l’Inter: 79. Punteggi simili, ma i nerazzurri - logori dopo anni pieni di vittorie - non ci hanno cavato niente, distribuendoli male: 53 (comprese due partite vittoriose recuperate nel 2011 per l'impegno incontinentale - ndt) per l’inutile rimonta dello scorso anno, 26 per galleggiare al quinto posto odierno. Questo “inserto” numerico serve solo per spostarsi davanti allo specchio di questi risultati: Milan e Inter sono le due società di calcio italiane con i maggiori debiti. Nei risultati d’esercizio pubblicati dal Sole 24ore il derby s’inverte: prima è l’Inter, con 224 milioni di euro di passivo, secondo è il Milan con 84 milioni. In breve: nel calcio italiano (ma è un discorso esportabile) si vince facendo i debiti. Chi ha maggiori possibilità patrimoniali di accumulare debiti, parte avvantaggiato. Il calcio, dunque, è il contrario della normalità. Della regola. Della serietà, della buona gestione. Si è ormai viziato a tal punto che la perversione è diventata strutturale. Qualsiasi scelta capace di invertire l’andazzo viene rimandata, come la legge sugli stadi. I luoghi dove si produce ed esaurisce questo sport sono i più brutti e scomodi del mondo occidentale: lo sentiamo dire da decenni, ma è una discussione che langue in quel crepuscolo. Altrove hanno venduto alle televisioni il prodotto di una cultura, una sua parte spettacolare e popolare: il calcio, appunto. In Germania, Inghilterra e Spagna le televisioni non hanno affatto eroso le presenze allo stadio. In Italia è accaduto perché quel prodotto era fine a se stesso, con l’accesso complicato dalle leggi sulla sicurezza e la prospettiva di consumarlo su spalti comunque pericolosi, indifesi perfino dalla pioggia e in mezzo a gente maleducata. La televisione ha offerto così lo stesso prodotto a prezzi minori e maggiore conforto. Il resto, plusvalenze, scommesse, fallimenti.. . sono tutti “normali” sintomi di questo organismo malato. Ma questo è un “pezzo” che attraversa un ponte. Chiude un anno e ne saluta uno nuovo. Un buon atteggiamento è aspettare con speranza le cose che arriveranno. Questa camminata ideale da una parte all’altra la facciamo con Cesare Prandelli. Gli chiedemmo perché fosse diventato un uomo condiviso, in un paese diviso, su tutto, per scelta e anche per posa. «Forse la gente cercava un po’ di normalità, un po’ di serietà, anche». Questa fu la risposta. Il calcio è anche il mestiere, una vita che si può scegliere di vivere, se si è capaci di trasformare una passione in un lavoro. Quindi è anche un posto da costruire, e proteggere. Un posto migliore. Dovrebbe essere così per ogni persona che abita questo spaccato fortunato. E l'istinto più naturale, quello di conservazione, di sopravvivenza. Mai protagonisti stanno mortificando questa suprema legge, preferendone altre più facili. Prandelli ci prova con la sua normalità, dentro un mondo enorme. Ha “ridotto” il calcio ai suoi valori “primitivi”: tecnici e umani. Ha convocato Cassano in Nazionale, quello che non c’era mai perché stava antipatico agli allenatori. Però sapeva giocare. Ma il calcio è una combriccola di belli e simpatici e corrotti. E Cassano è brutto, antipatico e isolato. Prandelli lo ha fatto giocare: 6 gol in 10 partite. L’Italia vince e gioca bene. C’è anche Balotelli - quello maleducato, certo, con la sua storia diversa, il nero nato disgraziato e che s’impone, in terra padana. Ma anche il miglior talento del calcio italiano degli ultimi 30 anni. In Italia era trattato come un caso umano. In Inghilterra è semplicemente un calciatore e gioca (spesso) nella squadra più forte, il Manchester City. Anche lui era fuori dal giro. Ora è dentro, ed è importante che ci sia. Questi sono i valori tecnici riscoperti, la strada più bella da battere, l’unica dove reincontrare i tifosi, gli appassionati. Poi parlavamo di qualità umane. Prandelli ha convocato in Nazionale Simone Farina, il calciatore del Gubbio che disse «No» davanti alla combine, alle scommesse. Quella convocazione si è poi attenuata in un invito a Coverciano, ai raduni azzurri, così ha scelto la Federcalcio, perché in fondo «Farina ha fatto solo il suo dovere, una cosa normale, prevista dalle regole per i tesserati della Figc». Una precisazione zelante: in questo slittamento di senso, dove il normale è eccezionale, Farina ha fatto una cosa importante, decisiva per il calcio italiano. E meritava anche per un solo giorno, la maglia azzurra. -
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L'INTERCETTAZIONE Doni, Percassi e quei tabulati che scottano L'Atalanta smentisce: «Mai pratiche illegali» Dall'ex capitano sospetti sui contatti tra l'ex d.g. Giacobazzi e un nostro cronista di ALEX FROSIO (GaSport 31-12-2011) Tra le intercettazioni telefoniche nel faldone della Procura di Cremona, ce n'è una datata 7 settembre 2011 in cui Cristiano Doni parla con Serse Pedretti, proprietario della Onis Sportswear, rivendita ufficiale di magliette e gadget dell'Atalanta. L'intercettazione è già stata pubblicata da alcuni siti internet e dal quotidiano Tuttosport. L'ex capitano mette in dubbio l'operato della giornalaccio rosa dello Sport e in particolare del collega Roberto Pelucchi (vorrebbe «vederlo strisciare»), che - in combutta con l'ex d. g. Cesare Giacobazzi, il cui contratto fu risolto a giugno 2010 con l'arrivo del nuovo presidente Percassi (come confermato dal bilancio del club 2009-10) - avrebbe «strumentalizzato» la situazione per aggravare la posizione di Doni. Le ultime rivelazioni danno ragione al limpido lavoro del collega. Parlando di una lettera anonima inviata al procuratore federale Palazzi (scritta da Giacobazzi, secondo Doni), si trova un passaggio inquietante su «tabulati» in possesso di Percassi riguardanti Pelucchi e Giacobazzi. L'intercettazione Doni: (ride) Senti la bomba... senti la bomba... praticamente il Presidente dopo la lettera anonima... anche perché, come si è comportata la Ģazzetta. . . e Pelucchi. . . ha fatto delle ricerche. . . dei tabulati. . . no. . ? Serse: perché...? D: ti parlo di un mese fa, fino a venti giorni fa, Pelucchi e il signor Giacobazzi hanno avuto sei ore di conversazione, in un mese, ma ti rendi conto? S: allora gli ha fatto... fiume praticamente... D: eh, per questo vedi...? Il Presidente è convintissimo che sia Giacobazzi! Ma convintissimo... S: chi vuoi che sia? D: lui è convintissimo, io non sapevo un ċazzo di 'sta lettera anonima, sinceramente, me l'han detta dopo... lui è convintissimo, tant'è che ha fatto fare 'ste robe qua... Pelucchi, perché comunque lui è stato sbattuto. . . proprio a calci nel ċulo ehh... 'na robaccia ehh... pensa te, si è vendicato perché. . . poi non so se sia vero o no però. . . è assurdo. ... S: sei ore scrivi un libro... D: sei ore, sei ore, quotidianamente... eh sì, capito? Quasi impostare. . . tutte le cose... S: eh. . . l'altro è andato via con il dente avvelenato. . . D: quello là si... ... D: perché era troppo sporca... era la Ģazzetta dello Sport strumentalizzata in maniera (incomprensibile-ride)... Cioè una cosa che doveva essere positiva per me metti, adesso non voglio parlare, però lui, loro riuscivano a farla. . . S: diventare negativa... D: sì... S: la giravano a modo loro... I tabulati di cui parla Doni si dovrebbero riferire a telefonate dell'agosto 2011 («Fino a venti giorni fa...», dice il 7 settembre), quando Giacobazzi non era più da tempo dirigente del club. In serata, la versione dell'Atalanta: «Con riferimento alle intercettazioni pubblicate tra il tesserato Doni e il signor Serse Pedretti, nelle quali gli intercettati parlano di una presunta acquisizione di tabulati telefonici da parte del Presidente della Società, il Presidente Percassi smentisce categoricamente quanto emerge dal contenuto delle conversazioni riportate. Mai il Presidente Percassi ha posto in essere pratiche illegali volte all'acquisizione di non meglio precisati tabulati telefonici. Gli unici tabulati consultati sono quelli relativi al traffico telefonico delle utenze intestate alla Società, regolarmente depositati presso l'amministrazione della stessa, e riferiti ad un periodo in cui il Presidente Percassi non era ancora, con il suo gruppo, entrato nella compagine societaria». ___ il commento Episodio grave C'è molto da spiegare art.non firmato (GaSport 31-12-2011) L'episodio è grave: un giornalista della Ģazzetta è stato trasformato prima in una sorta di bersaglio e poi, se Doni dice il vero, addirittura spiato. A prescindere dagli sviluppi che la vicenda potrà avere anche in sede giudiziaria, è bene chiarire subito che la Direzione della Ģazzetta dello Sport, insieme con la redazione, tutelerà con ogni mezzo e in ogni sede l'ottimo lavoro svolto da Roberto Pelucchi e da tutti gli altri cronisti che stanno seguendo le indagini sul calcio-scommesse. Un lavoro di inchiesta che ogni giorno di più trova riscontro nell'azione della Magistratura. In serata, di fronte alla pubblicazione dell'intercettazione di Doni, l'Atalanta è intervenuta con un comunicato, integrato da una seconda versione, in cui si afferma che mai è stata presa visione di tabulati recenti ma solo precedenti all'arrivo di Percassi e relativi al periodo in cui Cesare Giacobazzi era direttore generale della società. Ne prenderemmo atto con sollievo non fosse che resta un punto oscuro: il comunicato dell'Atalanta è in contraddizione con quanto affermato da Doni il 7 settembre 2011: e cioè che Percassi gli aveva riferito di telefonate risalenti a un mese prima, anzi a 20 giorni prima. Più o meno agosto 2011. E qui c'è ancora molto da spiegare. -
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La ripartenza Parla il n. 1 della Figc: il 2011 è stato l'anno della rinascita azzurra L'Italia s'è desta Abete tra Europeo e Under 21 «Con Prandelli e Ferrara passione e grandi progetti» di FABIO MONTI (CorSera 31-12-2011) ROMA — Giancarlo Abete, 61 anni, romano, studi classici (una cultura sterminata, con citazioni che spaziano da Cicerone a Musil, passando per Cardinal Ravasi) e laurea in economia, è nel calcio dall'88. È stato presidente del Settore Tecnico, della Lega di serie C, capodelegazione al Mondiale vinto nel 2006 in Germania ed è presidente della Figc dal 2 aprile 2007. Alle elezioni per la presidenza federale del 2000 aveva ottenuto il 67% dei voti, ma era stato bloccato dalla clausola di largo consenso (il diritto di veto). Una storia vecchia, ma significativa. Questa è la sua visione del calcio italiano all'inizio del 2012. Presidente, dodici mesi fa avrebbe immaginato che il 2011 azzurro sarebbe stato così positivo, dopo la disastrosa spedizione al Mondiale in Sudafrica e l'eliminazione dalla fase finale dell'Europeo e dall'Olimpiade da parte dell'Under 21? «La qualificazione europea con la nazionale maggiore e il positivo percorso dell'Under 21 sono due risultati importanti. Molto merito va a Prandelli e Ferrara. In situazioni diverse, hanno saputo dimostrare una positività nel loro lavoro in netto contrasto con la diffusa tendenza nel Paese alla negatività. Ho visto nel loro lavoro entusiasmo e voglia di costruire. Ed è importantissimo, perché le partite si possono vincere o perdere anche all'ultimo minuto o ai rigori, ma il lavoro, se è fatto bene come nel loro caso, resta e lascia un segno». Prandelli ha fatto più in fretta del previsto a ricostruire o è soltanto un'impressione? «Avevamo trovato l'accordo con Prandelli, prima di andare in Sudafrica. Il fatto che l'intesa fosse per un contratto di quattro anni spiega che tutti noi, comunque fosse andata in Sudafrica, eravamo convinti della necessità di impostare un progetto di medio periodo. La qualificazione ha cominciato a maturare già alla fine del 2010, nonostante esistesse una situazione stressata, nel senso che il nostro calcio ha sempre sofferto non soltanto quello argentino e uruguaiano, più di quello brasiliano, ma anche la scuola della ex Jugoslavia. Avere nello stesso girone anche Slovenia e Serbia poteva essere un problema, ma la squadra se l'è cavata bene. E poi voglio ricordare che Prandelli ha dovuto lavorare su una base diversa rispetto a un tempo. Si è passati da un campionato in cui il 28 per cento del totale dei minuti veniva giocato da chi non era selezionabile per la nazionale a uno dove il tetto per i non selezionabili ha superato il 50 per cento». Adesso c'è la fase finale dell'Europeo. Prandelli ha detto: in partenza non mi accontento della semifinale. Esagerato? «No, direi in linea con la storia del nostro calcio. Io sono con lui, nel senso che mi avvicino all'Europeo senza presunzione, ma senza pormi dei traguardi. Senza presunzione, perché so che l'Europeo è una manifestazione più stressata del Mondiale, dove non c'è spazio per l'errore. Ma senza la logica di chi si accontenta di un quarto posto in partenza, perché questo non farebbe parte del ruolo di chi guida una federazione che ha vinto nella sua storia quattro titoli mondiali, un titolo europeo e cinque volte il campionato continentale con l'Under 21. Se dicessi in partenza che va bene il quarto posto, la gente non capirebbe». I risultati e soprattutto il gioco dell'Under 21 hanno sorpreso tutti. Anche lei? «C'è una differenza fondamentale rispetto al passato, quando i giocatori della Under 21 avevano uno spazio importante nei loro club. Il rendimento della Under 21 è stato particolarmente brillante anche tenendo conto che il 50% degli azzurri viene dalla serie A e il 50% dalla B. In generale, credo sia importante tutto il lavoro che è stato fatto con le nazionali con il club Italia, guidato da Albertini e con le giovanili, dove, con la supervisione di Sacchi, abbiamo ridato vita a una serie di rappresentative, dalla Under 20 alla Under 15, affidate a tecnici con un passato importante da giocatori». Il 2012 sarà l'anno in cui Calciopoli uscirà dalla cronaca per entrare nella storia? «In questo momento la valutazione delle sentenze è più concentrata su quella di Napoli, che è al primo grado, piuttosto che su quella sportiva. Sono convinto che tutto quanto è stato deciso in ambito calcistico nel 2011 sia stato fatto nel più assoluto rispetto delle regole della Figc, che sono diverse da quelle della giustizia ordinaria e che sono quelle che consentono all'istituzione di essere credibile. La riunione del 14 dicembre al Coni non avrà prodotto risultati immediati, ma ha rappresentato comunque una semina importante. Ora aspettiamo con serenità gli sviluppi delle situazioni in essere, compreso il ricorso della Juventus al Tar del Lazio». Il vero problema adesso è quello delle scommesse... «Ed è un problema enorme, perché è di portata mondiale. In prima fila in questa lotta ci sono il Cio (e ci riuniremo di nuovo a Losanna il 2 febbraio), la Fifa, l'Uefa, i governi. Noi cerchiamo di fare tutto il possibile per contrastare questo fenomeno, però con i mezzi che abbiamo. Sottolineo soltanto che gli arresti di questi giorni hanno coinvolto personaggi ai quali la giustizia calcistica aveva già inflitto squalifiche pesanti. Segno che è stata quantomeno tempestiva». Il 2012 dal punto di vista della politica federale sarà un anno di battaglie pesanti? «Non credo. Il punto centrale è spingere per la legge sugli stadi, a costo zero per la comunità. Arrivare agli stadi di proprietà è un fatto non più differibile, perché rischiamo davvero di restare indietro rispetto al resto d'Europa. Il caso della Juve spiega bene quanto sia importante arrivare agli impianti di proprietà: ci sono più abbonati per il nuovo stadio di Torino rispetto a quanti erano i paganti nel vecchio Olimpico. Di questo, insieme con il presidente del Coni, Petrucci, abbiamo già parlato con il ministro Pietro Gnudi. E poi lavoreremo per la tutela dei marchi e per una revisione della legge 91, fermo restando che qui i margini di manovra sono ridotti e che il problema fiscale è un falso problema. Che il calciatore sia un lavoratore subordinato o autonomo cambia poco dal punto di vista del costo del lavoro. Del resto anche in Spagna il vecchio regime fiscale è stato cancellato; sopravvive solo per i contratti in essere. Il nostro riferimento è il Coni, trattandosi di problematiche che investono diverse federazioni». In compenso sarebbe ora di parlare di ridurre il numero delle squadre professionistiche. Erano 132, quest'anno sono scese a 119, ma sono comunque tante. Perché non interviene direttamente il presidente federale? «La Figc ha operato con due commissioni presiedute da Tavecchio e da Macalli e ha approfondito l'ipotesi di nuovi format, ma ricordo che lo statuto toglie qualsiasi potere in questo senso al presidente della Figc. Non posso essere io a procedere d'ufficio, perché non ne ho il potere. La Lega di serie B e la Lega Pro si sono mosse...» Quella di Milano sembra preoccupata solo di litigare e basta. . . «La legge Melandri, con il ritorno alla vendita centralizzata dei diritti tv e la separazione dalla B, hanno creato una situazione nuova, che ha tolto potere alle grandi squadre, quelle che rappresentano il calcio italiano nel mondo e ne ha dato a quelle che chiamiamo medio-piccole. E da questo dipende anche il format della serie A. Si è passati da un campionato a 18 squadre con quattro retrocessioni a uno di 20 con tre. Secondo voi, la maggioranza vorrebbe tornare indietro?» È contento del rendimento degli arbitri? «Il livello generale è buono, anche se non sono mancati alcuni errori importanti. Mi sembra che rispetto al passato questi errori, quando ci sono, vengano letti e giudicati con maggiore tolleranza». Ha già deciso se si ricandiderà alla presidenza della Federcalcio all'inizio del 2013, alla scadenza del quadriennio olimpico per un terzo mandato? «C'è ancora tutto un intero anno di lavoro, poi alla fine del 2012 valuterò se ripresentare la mia candidatura. Una cosa però deve essere chiara: il mio tipo di operato prescinde da quello che potrà avvenire nel 2013. Intendo fare tutto quello che il mio ruolo mi imporrà di fare. La dignità non ha prezzo e penso di averlo dimostrato in tutti questi anni». -
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NON ERA MEGLIO LA COPPA ITALIA? di FABRIZIO BOCCA (la Repubblica 31-12-2011) È giusto difendere i diritti dei calciatori quando è necessario, ma è anche ora di dire chiaramente che le loro vacanze di Natale sono un privilegio senza senso nel calcio iperprofessionistico e iperpagato di questi anni. Se il calcio è uno spettacolo - o almeno: anche uno spettacolo - non si vede perché intere categorie di lavoratori di cinema, musica, teatro e tv debbano raddoppiare gli sforzi per accontentare le persone comuni che durante le feste di fine anno vogliono divertirsi e svagarsi, mentre i calciatori, per un falso diritto acquisito, pretendano addirittura la pausa Maldive. Sono circa 20 anni che le tre settimane di stop - 17 giorni quest´anno, ma senza il recupero della prima di serie A rinviata per sciopero sarebbero stati almeno 20 - sono diventate un totem intoccabile: prima poteva capitare benissimo di giocare a Natale o Capodanno e nessuno si sentiva "sfruttato" per questo. Il sindacato deve difendere diritti, non tutelare privilegi fuori luogo. Giusto non spremere i calciatori, giustissimo che abbiano le loro ferie e i loro riposi, ma ruolo, super-ingaggi e collocazione al vertice dello sport di oggi non possono garantire lo stesso diritto di un impiegato o di un operaio alle feste di fine anno in famiglia. Alle Maldive o a Miami possono andare in altra data: subito dopo le feste, ad esempio. Non certo durante, quando il lavoro abbonderebbe. È vero che anche altri campionati si fermano, ma è anche vero che in Inghilterra invece il calcio di fine anno è un appuntamento imprescindibile, che richiama ancor di più le famiglie allo stadio. Altri sport, come il basket (prima di tutti l´Nba) non si fermano affatto a Natale: perché il calcio italiano deve per forza farlo, a rischio di una rivoluzione? E´ così lunga questa pausa che i club ne approfittano per riempirla con ritiri esotici. Ma perché far soldi con gli Emirati Arabi quando si potrebbero fare qui in maniera naturale, e cioè giocando? Normalmente, al pomeriggio, senza per forza vendersi al gelo delle notturne. Come in Inghilterra, dove si va in campo anche oggi. Negli ultimi due anni quando si tentò, senza riuscirci, di reintrodurre il calcio a Natale, circolava una proposta interessante: quella di disputare nelle feste di fine anno l´intera fase finale di Coppa Italia. Quarti nei giorni di Natale, semifinali in quelli di Capodanno, finale all´Epifania. Manifestazione in due città collegate (Milano e Torino, oppure Roma e Firenze, Napoli e Bari) a rotazione ogni anno, con squadre in ritiro sul modello di Europei e Mondiali. Si rilancerebbe la Coppa Italia, che da noi è figlia di nessuno, trovandole una collocazione prestigiosa e concentrando il cuore del torneo; grande attenzione e fascino; si sgombrerebbe il delicato finale di stagione quando la Coppa Italia diventa un problema; si taglierebbe qualche partita dal calendario (gare uniche a eliminazione diretta, e non andata e ritorno non si sa mai quando). La gente correrebbe volentieri allo stadio e le tv avrebbero il loro goloso zuccherino. -
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Il commento Calciopoli, un’inchiesta da riaprire di ENZO BUCCHIONI (La Nazione 24-12-2011) art.scoperto grazie a Franco Del Re Il colonnello Auricchio ha cambiato lavoro, alla divisa di carabiniere ha preferito la forse più comoda poltrona di capo di gabinetto del sindaco di Napoli, ma qualcuno prima o poi dovrà comunque chiedergli conto dei troppi inquietanti interrogativi che ruotano intorno all’inchiesta da lui condotta tra il 2005 e il 2006 passata alla storia come Calciopoli. L’ultima domanda l’ha fatta proprio un uomo del team di Auricchio. L’investigatore che riferisce dell’incontro tra il designatore Bergamo, il vice presidente della Federcalcio Mazzini e i fratelli Della Valle, si chiede dove siano finite le trascrizioni di quel colloquio e, soprattutto, perché non siano mai state messe agli atti. Già, perché? E perché le intercettazioni che riguardavano l’Inter (ma anche di altre squadre) sono state cestinate? E ancora: perché altre 130 mila telefonate non sono state trascritte? Ormai questa è l’inchiesta dei Grandi Perché e quando Guido Rossi pretende di tappare la bocca a tutti barricandosi dietro le sentenze sportive e penali, non può non sapere che le sentenze si fanno sulle carte prodotte dall’inchiesta e se le carte sono parziali le sentenze diventano ingiuste. Non siamo qui a cercare di difendere Moggi o sminuirne il ruolo: le responsabilità dell’ex DG della Juve sono chiare . Ma interrogativo dopo interrogativo si rafforza la sensazione che questa inchiesta nata male sia stata condotta ancora peggio. C’era un teorema da seguire e perseguire a tutti i costi? Questa volta siamo noi a porre una domanda alla quale non è difficile rispondere: i sospetti non mancano. E se anche il presidente del CONI Petrucci ha scritto nel documento poi non approvato dal tavolo della pace che nel 2006 “gli organi federali sono stati condizionati dal momento”, è arrivato il momento di una revisione di quell’inchiesta, di quei processi, di quelle sentenze in nome e per conto di una verità più vera. ___ Calciopoli, un’inchiesta da riaprire e capire di FRANCO DEL RE (GIÚleMANIdallaJUVE 30-12-2011) Essendo nato in Toscana ed essendo ivi residente in casa si legge il giornale locale, ovvero La Nazione testata per la quale spesso scrive il Signor Bucchioni. Il giorno di vigilia, accompagnando l’articolo riguardante le rivelazioni del cosiddetto “pentito” di Calciopoli, Bucchioni scriveva l’editoriale “Calciopoli, un’inchiesta da riaprire”, al quale mi permetto di criticarne in toto lo spirito e di confutarne il senso punto per punto. 1) Se un colonnello dei carabinieri dovesse “render conto” di una delazione anonima riportata a mezzo stampa credo che la ben poca rimanente dignità di questo paese e della sua sgangherata giustizia andrebbe definitivamente in malora, visto che il colonnello Auricchio ha reso ampia (e lacunosa) testimonianza già durante il processo di Napoli; e questo lo dice uno che di Auricchio non ha la benché minima stima. 2) Le intercettazioni che riguardavano l’Inter non sono state cestinate: all’inizio il PM Narducci, mister “piaccia o non piaccia”, aveva dichiarato che non esistevano, per poi dover clamorosamente ritrattare quando queste intercettazioni furono scovate dal team difensivo di Moggi; queste telefonate a livello sportivo hanno portato a un documento incriminatorio ex art. 6 del c.g.s. da parte del procuratore-tartaruga Palazzi nei confronti dell’Inter, mentre nel processo penale i PM, ricordatisi stranamente della loro esistenza dopo che gli avvocati di Moggi gliele hanno sbattute sotto il muso, le hanno considerate ininfluenti al fine di un quadro probatorio di colpevolezza, ovvero irrilevanti. Peccato che alcune di esse i carabinieri le avessero marchiate coi celeberrimi “baffi rossi” che testimoniavano contenuti tutt’altro che “irrilevanti” … 3) Guido Rossi parla giustamente trincerandosi dietro le sentenze penali e sportive; ma non perché queste siano dogma di fede, come sento dire spesso da chi ritiene che “le sentenze vadano rispettate”, ma perché nessuno è mai entrato nel merito di quelle sentenze, ovvero nessuno le ha mai analizzate attraverso il metro di giudizio dell’ascolto delle varie udienze. Infatti, le sentenze non si rispettano, ma si analizzano, si commentano e se sono sentenze aberranti come quelle partorite da tutta la vicenda Farsopoli (sì: Farsopoli, iniziamo intanto a chiamare le cose col proprio nome) si criticano ferocemente e si disconoscono addirittura. Il problema è averne piena conoscenza per far ciò: altrimenti ci si riduce ad una serie di sterili “Grandi Perché” ai quali i Guido Rossi di turno risponderanno sempre a modo loro, ovvero: “fate tacere le ştronzate”. 4) Che nell’articolo non si difenda Moggi mi pare evidente, lapalissiano; è scritto per un giornale fiorentino che difende gli interessi della Fiorentina e dei suoi proprietari; legittimo, e ci mancherebbe altro, ma in questo caso, e non solo in questo, clamorosamente fuorviante: da un giornalista ci aspettiamo che non si presti a vellicare gli istinti vendicativi della tifoseria viola, ma che faccia seriamente il mestiere per il quale viene profumatamente pagato: informazione e giornalismo. Perché se solo avesse assistito ad una delle tante udienze del processo di Napoli una frase inutile e demagogica come quella su Moggi non l’avrebbe mai scritta (“le responsabilità dell’ex DG della Juve sono chiare” ); difatti è nell’ascolto delle udienze che avrebbe capito che Calciopoli è Farsopoli, per tutti: Della Valle come Moggi; Mazzini come De Santis. Avrebbe visto forse l’Italia moralmente ed eticamente peggiore, ma innocente di fronte alla legge; avrebbe visto tutti e dico: tutti i testi dell’accusa di fatto contraddire le tesi dell’accusa stessa; avrebbe scoperto che le SIM sizzere possono essere intercettate, contrariamente a quanto affermato dagli inquirenti e allora si sarebbe chiesto perchè tali intercettazioni non siano state eseguite, ma si sia lasciato il popolino nella convinzione che "chissà cosa tramassero ai telefoni non intercettabili... "; avrebbe ascoltato le palle, anzi: le palline di Manfredi Martino su come “non” truccavano i sorteggi; avrebbe scoperto come le mitiche ammonizioni preventive dell’Udinese in previsione del match con la Juve fossero state comminate a giocatori che non erano diffidati, mentre l’unico squalificato fu Jankulovsky, che aveva preso a pugni un avversario; si sarebbe accorto che la telefonata fra Moggi e Della Valle era stata di fatto alterata, ovvero tagliata proprio in quel pezzo in cui si capisce che fra i due non c’è alcun accordo truffaldino; avrebbe scoperto come la Juve avesse una media punti inferiore quando diretta dagli arbitri affiliati alla presunta cupola rispetto a quelli ritenuti onesti; e poco importa se quelli onesti in realtà si incontravano con dirigenti di altre squadre a mò di carbonari nei ristoranti fuori orario di apertura. Insomma: avrebbe avuto modo di “togliersi la sete col prosciutto”, come si dice dalle mie parti e sviscerando gli atti del processo, che ci sono e sono sotto gli occhi di tutti, anche di quelli che stranamente oggi li richiedono, capirebbe l'incongruità dell’affermazione su Moggi, in quanto è chiaro come il sole che la procura e i giudici hanno considerato Moggi e Della Valle sodali di una cupola e che salvare l’uno continuando ostinatamente a ritenere colpevole l’altro è esercizio impossibile da risolvere. 5) Alla teoria degli organi federali “condizionati dal momento” non crede neanche Petrucci. Chi ha condizionato pesantemente questa vicenda sin dal 1998 è sempre stata la giornalaccio rosa dello Sport, che se per propria bocca “nasce interista”, nell’anima è juventina, o meglio: “agnellina”, visto che la Exor ha una quota rilevante di RCS, leggasi: Corriere della Sera e giornalaccio rosa. Per non parlare de La Stampa, giornale della “real casa” da subito arroccatosi su posizioni colpevoliste. Per concludere questa disanima lascio lì un consiglio spassionato, quasi da arci-italiano: ci si chieda perché la categoria dei giornalisti italiani, quella dei Montanelli, dei Bocca, dei Brera, dei Viola langue placida e grassa al settantaduesimo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa. Ci si chieda come mai per tanti, per troppi casi giornalistici la "categoria" ha demandato il lavoro e l’arte di informare a semplici dilettanti: forumers di siti di appassionati che ricercano la verità e non la compiacenza del proprio editore; ci si chieda perché l’informazione sulla farsa l’abbia dovuta fare un sito come Giulemanidallajuve.com, del quale mi vanto e mi onoro di essere redattore; ci si chieda come mai un gruppo di avvocati, architetti, operai, dottori, salumieri, casalinghe, ecc., ecc. abbia svolto, da dilettanti, il lavoro che si richiede ai professionisti e soprattutto ci si chieda come mai l’abbia fatto molto meglio dei professionisti stessi; infinitamente meglio; ci si chieda come mai a distanza di cinque anni da quei fatti possa ancora uscire un editoriale ricco di errori (Auricchio le indagini le iniziò molto prima del 2005) e di domande ovvie e scontate che neppure si danno l’apparenza del “pezzo d’inchiesta” come quello di Bucchioni della Vigilia di Natale. E mi credano tutti coloro che leggeranno queste righe: far parte di un sito di tifosi juventini non ci sminuisce affatto nel ruolo di ricercatori della verità, anzi: abbiamo talmente conosciuto e sviscerato la Farsa che se avessimo avuto coscienza della colpevolezza degli ex dirigenti bianconeri ce ne saremmo accorti noi per primi, visto che noi, ed altri siti come il nostro, e solo noi appassionati bianconeri, per causa di forza maggiore ci siamo impegnati strenuamente nella ricerca di quella che Bucchioni chiama “verità vera” -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Gimli, mi spiace ma il paginone n.13 con le confessioni del non-giovane Gervasoni non è editabile tramite browser ed in pratica bisognerebbe andare di ocr per poi integrare manualmente se tutto va bene, altrimenti tutt'a mano. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Si potrebbe notare, confrontando le due versioni (quella cartacea qui riportata con quella completa leggibile online), il taglio preciso e finale su Calciopoli impresso sull'edizione cartacea. I Think I'm Paranoid