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Ghost Dog

Tifoso Juventus
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  1. 24 07 2012 STANNO NEL PALLONE Il mercato del Milan legato alle elezioni, la Juve alle decisioni su Conte. I Viola ai Della Valle Il tifo rossonero rumoreggia e celebra i funerali del club; gli Agnelli attendono decisioni C’era una volta la Selezione del Reader’s Digest, un mensile assai ricco di temi tra cui una rubrica che suonava all’incirca così: “Sono il fegato di Pierluigi”, oppure “Sono il cervello di Mario”, o ancora “Sono il malleolo di Angelino”. E si raccontava il corpo umano in prima persona. Ebbene, mi piacerebbe leggere qualcosa del genere oggi, tra calcio e politica elettoralistica, una specie di “Sono il cuore di un tifoso milanista”, riferito a che cosa pensino adesso che Silvio (“Sono il portafoglio di...”) vende e non compra e addirittura liquida campioni. Oggi che il tifo rossonero rumoreggia e celebra sardonicamente funerali del club pluridecorato internazionalmente, e intravede un futuro in entrata solo nell’ipotesi di elezioni in autunno, dopo un’e ventuale sveltina legislativa per le modalità di voto. SÌ, AVETE letto bene: un Berlusconi inopinatamente costretto alla “sobrietà” anche dal punto di vista del Milan potrebbe essere tentato a reinvestire denaro in nomi altisonanti in vista di elezioni anticipate. Di qui la mia curiosità in veste “Reader’s Digest”: nel tifoso milanista non appiattito sul centrodestra del Nostro (ce ne sono, ce ne sono) prevarrebbe l’istinto civico o il tifo pallonaro? Per dire, come siamo ridotti... E se qui si impastano rotondolatria e partitolalia, nel caso dei campioni d’Italia della Juve il pasticcio è invece ancora tra legalità (anche solo sportiva) e risultati del campo: sto parlando ovviamente dell’effetto-Conte, sul piano dei singoli il caso più scabroso per la Procura Federale chiamata a deferire una simpatica congrega nello scandalo di Scommettopoli, sulla traccia delle indagini delle Procure di Cremona e Bari. Anche solo soppesando ciò che si è letto sulla stampa, abitualmente “protezionista”, la vicenda Conte in qualità di allenatore del Siena nella stagione 2010-2011, con relativa promozione in A, non torna proprio. Diciamo alla Mischa Auer che “puzza”. Innocente come una mammola a strisce di bianco su bianco (dal Siena alla Juve)? Distratto Mister che ha omesso le relative denunce su partite combinate per scommetterci sopra? Complice del losco “affaire”, peraltro in linea con la maggior parte del pallone contemporaneo? La prima ipotesi sembrerebbe armonizzarsi con il mantra juventino del “abbiamo già dato”, riferito al buio di Calciopoli illuminato solo in parte. Come a dire “non era neppure il nostro allenatore, dovremmo pagare per eventuali reati commessi altrove? Perderemmo il tecnico in campionato e in Champions”, dopo che l’azzardato Agnelli aveva rinnovato contratti e fiducia leggermente in anticipo (anche qui, consueti ritardi della giustizia sportiva...)? Anche perché in caso di “omessa denuncia” Conte se la potrebbe cavare con un lieve patteggiamento, che però lo sputtanerebbe irrimediabilmente (ma davvero? Ma figurati, in un Paese in cui chi ha la fedina immacolata è sospetto quantomeno di “inadeguatezza professionale”...). Se invece risultasse l’ipotesi peggiore, apriti cielo juventino. Regolatevi voi dunque sulle previsioni del caso. NEL FRATTEMPO la stagione del campo è cominciata, e le squadre più interessanti sono proprio Juve, Napoli, Inter e Roma, per motivi diversi tra loro, grazie a De Laurentiis, Stramaccioni e Zeman. Alla Juventus già rinforzata manca uno Jovetic, che la Fiorentina dei Della Valle bros. non vede l’ora di vendere a caro prezzo per far cassa. Ormai del tutto ridimensionato per la diversificazione degli investimenti del suo proprietario marchigiano, il club farebbe benissimo a vendere, se non è in grado di seguire né il modello Berlusconi (vedi sopra...) né il modello Pozzo che all’Udinese fa i soldi e la Champions con vivai e osservatori in tutto il mondo. Solo che dopo aver ceduto Behrami, amatissimo dai tifosi e in grande spolvero nelle gigantografie del nuovo sponsor solo due settimane fa, forse gli abbonati si aspetterebbero rinforzi: per intenderci, se parte Jovetic ma arrivano Marrone, Poli e Quagliarella allora Della Valle D. avrebbe investito sul futuro. Altrimenti sta facendo cassa. E basta. Non si usi Montella come parafulmine annunciato, dopo Mihajlovic e Delio Rossi. Prenda esempio dal Berlusca, che quando vuole vende, e vende bene. La cessione di Ibra è stata fenomenale, mentre il corrucciatissimo svedese da bravo animale mitologico passava dagli insulti all’onirico “Il Paris S.G. è sempre stato il mio sogno”. Tanto paga lo sceicco, e lo paga 90 volte quel che incamera il Presidente Hollande… Si è stagliata, in questa come in altre trattative, la corpulenta figura del suo procuratore, Mino Raiola, di cui ormai i giornali tessono l’epopea. Il web è prodigo di notizie contrastanti su di lui, età esatta compresa. Lui afferma di avere la maturità classica, tutti ne registrano burocraticamente le affermazioni. PERSONALMENTE ne ho un ricordo romanzesco. Era l’estate del 1998 (o ’99?), quando mi imbarcai su un aeretto privato con un alto dirigente della Fiorentina di Cecchi Gori, quella meravigliosamente catenacciara di Trapattoni, Batistuta ed Edmundo campione d’inverno e liquefatta in Primavera perché in gennaio il laureato allo zafferano non volle comprare i gemelli De Boer. La missione era visionare a Maastricht, in un incontro agostano di B olandese, un centrale difensivo risultato poi modesto e scartato all’istante, anche grazie alla mia consulenza (mi ricordo che se non sbaglio l’AZ Alkmaar aveva piuttosto un portiere gigantesco e agilissimo, ventenne, quello sì...). Tale difensore era rappresentato in un bar di Maastricht da un tarchiato in difficoltà con la lingua (italiana), più a suo agio con un inglese gesticolato. Venne immediatamente ribattezzato “Mazzancolla” per quel suo modo di muoversi, tra corpo e braccia. Era Raiola, ma tu dimmi. . . All’epoca più addentro a bar e ristoranti che calciatori. Doveva comprare lui direttamente, Berlusconi, magari candidandolo... Forse fa ancora in tempo, se si vota prima del previsto: nella degregorizzazione parlamentare, chi noterebbe la differenza?
  2. Le ’ndrine nel pallone Padrini e presidenti. Da tempo la mafia calabrese ha messo le mani sullo sport nazionale. Attraverso un club si può riciclare denaro e persino legalizzare le estorsioni. Viaggio tra i campi di periferia per scoprire dove nasce il consenso attorno alle cosche di ALESSIA CANDITO (left-AVVENIMENTI n. 28 - 14 luglio 2012) Un secondo posto non sembra bastare a scatenare la patriottica euforia che all’ombra di insperate vittorie tutto cancella e tutti assolve. E allora – forse – tornato in patria, Gianluigi Buffon non si potrà limitare a spiegare come e perché gli spagnoli abbiano bucato quattro volte e da quattro differenti angolazioni la sua porta. Ai pm di Cremona, il portierone azzurro dovrà chiarire se quei milionari trasferimenti di denaro a favore di uno sconosciuto tabaccaio di Parma, stanati dalla Guardia di finanza, siano davvero «un aiuto ad un amico, legittimo perché – come dice Buffon – con i miei soldi faccio ciò che voglio» o piuttosto, come sospettano i magistrati, un rudimentale sistema di scommesse per interposta persona. E Buffon non sarà l’unico chiamato a dare lunghe e dettagliate spiegazioni a giudici che difficilmente si accontenteranno di disquisizioni su sistemi di gioco o schemi. L’inchiesta non è che l’ennesima mazzata su un sistema calcio che ormai sa di marcio. E di ’ndrangheta. Perché il pallone non è solo una straordinaria macchina di consensi, ma anche un business che – lontano da occhi indiscreti – fa girare miliardi. Riciclaggio di soldi mediante sponsorizzazioni, partite truccate, scommesse clandestine, presidenti prestanome, il mondo ultrà, le scuole calcio: sono migliaia i canali che la malavita di ogni ordine e grado utilizza per fare soldi con il pallone. E come dimostrano le ultime inchieste, clan differenti nella genesi, ma uniti nel comune obiettivo del profitto, sono in grado di utilizzarli tutti. Al di là delle singole posizioni di giocatori e società, l’ultimo filone d’inchiesta sul calcioscommesse parla chiaro: sul pallone c’era e c’è l’ombra lunga delle ’ndrine. Fra i protagonisti c’è infatti anche l’ex stellina della Nazionale under 21, Giuseppe Sculli, nonché nipote prediletto del boss di Africo Giuseppe Morabito, “U tiradrittu”. Un parente ingombrante, che Sculli – già casualmente pizzicato a combinare partite nell’ambito di un’indagine della Dda sulla sua famiglia – ha sempre difeso in modo netto: «Vergognarmi? Io vado a testa alta, per me mio nonno non ha fatto nulla di male». E il nonno, feroce e sanguinario boss della Jonica, per quel ragazzino che si voleva fare strada palla al piede, ha sempre avuto una predilezione particolare, tanto che gli investigatori durante la sua latitanza hanno girato gli stadi di mezza Italia nella speranza di trovarlo a veder giocare il campione di casa. Una passione, quella per il calcio, che è costata cara a un altro boss, Rocco Aquino, tradito da un sms inviato a una trasmissione televisiva in cui contestava l’espulsione dei due figli in una gara della squadra della quale era stato presidente, il Marina di Gioiosa Ionica. Un undici giovanissimo che militava nel campionato di promozione calabrese e che poteva vantare non solo un mammasantissima come presidente, ma anche i figli del boss – i gemelli Aquino – come onnipresenti e inquestionabili titolari. E proprio l’espulsione dei due rissosi fratelli ha spinto il papà-presidente – carica ricoperta fino a quando il mandato di cattura spiccato dalla Dda, nel corso dell’operazione Crimine, non lo ha costretto a una precipitosa latitanza – a inviare a una tv locale quel messaggio firmato “un dirigente” che ha permesso agli investigatori di localizzarlo. Ma Rocco Aquino non è l’unico boss della ’ndrangheta ad aver sperimentato la carriera di presidente di club. Perché in Calabria il calcio è anche una macchina di consenso che affonda le radici nelle speranze di chi vede nel pallone la strada di una vita diversa e migliore. E si ritrova schiavo di un clan. Che magari vende una partita in cambio di una fornitura di kalashnikov. Dieci maggio 1997: sul campo ci sono il Locri e il Crotone. I pitagorici hanno bisogno di un punto per approdare alla C2 e cominciare la scalata al calcio che conta. La partita si chiude con un pareggio che basta al Crotone per conquistare la tanto agognata serie superiore. Ma che non è frutto né del caso né di opposti agonismi. Lo rivelerà 13 anni dopo il pentito Vincenzo Marino, che ai magistrati confesserà il prezzo di quella scalata alla C2: un carico di bazooka e kalashnikov da centinaia di migliaia di euro che i Vrenna di Crotone hanno acquistato dai Cordì, padroni per oltre 15 anni – ha dimostrato l’inchiesta Giano e confermato l’indagine Leone – del Locri calcio. Una circostanza confermata anche dai testimoni di giustizia Luca Rodinò e Rocco Rispoli nel corso del processo Shark, secondo i quali il clan, attraverso Guido Brusaferri, non solo era riuscito a mettere le mani sulla squadra, ma faceva anche da “garante” ai calciatori che considerava vicini. E dalla Jonica alla Tirrenica, il copione in Calabria non cambia. Se a Crotone a dettare le leggi - anche sul rettangolo verde – erano i Vrenna, a Locri i Cordì, a Rosarno anche il calcio si muove secondo le regole decise dal clan Pesce. «Francesco ha amici nel pallone e ci portano affari. Ha uno che compra e vende: questo è l’inserimento che dovete fare. Bisogna inserirsi e investire al Nord… Ci sono 22 giocatori, quelli portano pane, portano novità. Così è e così va bene». Antonino Pesce, “U testuni”, è dietro le sbarre, ma questo non gli impedisce di dettare la linea a tutto il clan. Sulla squadra di casa, o meglio “di famiglia”, quella vecchia Rosarnese diventata Interpiana dopo la fusione con il Cittanova, bisogna continuare a investire. Perché crea consenso e garantisce rispetto. Ma soprattutto perché è un business che permette di drenare fondi dai commercianti locali sotto forma di sponsorizzazioni. Quasi estorsioni legalizzate. E “ripagate” con i giocatori della rosa che mangiano, dormono, fanno la spesa, lavano i vestiti e persino si tagliano i capelli lì dove il clan indica e non altrove, e gli ospiti spediti a soggiornare dove ai Pesce più conviene. I calciatori, inoltre, possono dare una mano a risolvere “problemi” . «Il calcio serve ad allargare le conoscenze. Hai un casino per della droga da consegnare? Il calciatore avrà pure un amico o un parente pulito… Io tramite Ciccio Testuni (Francesco Pesce, ndr) ho risolto una questione nel brindisino attraverso un giocatore», racconterà al sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria Alessandra Cerreti, il collaboratore di giustizia Salvatore Facchinetti. Estorsioni quasi legalizzate, un indotto drogato, uomini puliti da utilizzare all’occorrenza: per i Pesce, il calcio era un business vincente. Da esportazione. Nel 2005 la cosca reggina cerca addirittura di rilevare il Cosenza, all’epoca in B, ma l’affare va in fumo. Più fortuna il clan di Rosarno la avrà un anno più tardi con il Sapri, in provincia di Salerno, lì dove la camorra regna e fa affari anche – soprattutto – con la ’ndrangheta. Ma il 21 Aprile 2011, la scalata al calcio giocato dei Pesce di Rosarno viene spazzata via dagli arresti e dai sequestri dell’operazione All Clean, condotta dal pm Cerreti. O almeno così lo Stato ha tentato di fare. Perché la ’ndrangheta non ci sta mai a perdere. Neanche sul rettangolo verde. Dopo il provvedimento di confisca, seguito al sequestro e confermato in primo grado, la squadra si sbriciola. La tifoseria sparisce. L’Interpiana non ha più uno stadio di casa ed è costretta a disputare gli incontri “pellegrinando” tra i campi limitrofi. Alla presidenza spunta quell’antico sponsor e sospetto prestanome Vincenzo Condomiti, che nel giro di poco farà le valigie, i finanziatori si dileguano, l’allenatore Mommo Misiti lascia e dall’ultima domenica di febbraio 2012 lo faranno anche i giocatori. In molti, pur di non giocare, presenteranno certificati medici che attestano le più diverse malattie: dai disturbi neurovegetativi alla dissenteria. Secondo indiscrezioni, nei mesi precedenti tutti avevano protestato per quella parte di stipendio “a nero” che il clan versava regolarmente e che dopo la confisca pretendevano di continuare a percepire. La squadra comincia a perdere, e male – 5 a 0, 6 a 0 – crolla dai primi posti della classifica alla zona retrocessione. Arriva qualche nuovo giocatore, alcuni anche del gruppo Aquanera dalla Lombardia, cui la società può promettere solo un rimborso spese e l’ex stella del calcio argentino Pedro Pablo Pasculli – campione del mondo nell’86 con gli undici di Diego Armando Maradona – si offre come nuovo allenatore. Ma non basta. L’Interpiana retrocede. E strangolata dalla mancanza di fondi, l’anno successivo rischia di non potersi iscrivere neanche al campionato di Eccellenza. Il titolo potrebbe essere venduto, certo, ma è un’ipotesi che non viene neanche tenuta in considerazione: nessuno se non i Pesce, o chi per loro, si presenterebbe per comprarlo. Una sconfitta per lo Stato, che ha strappato la squadra alla ’ndrangheta, una sconfitta per Rosarno, dove la scomparsa dell’Interpiana potrebbe diventare la prova plastica di una città che solo sotto il giogo delle ’ndrine può sopravvivere. Nei mesi scorsi, la Provincia reggina aveva promesso una donazione di 40mila euro, che nel corso dei mesi si è miseramente ridotta a 4mila. Il tentativo di organizzare una partita di beneficenza con la più nota e blasonata Reggina, è andato in fumo. Insieme al sogno di strappare alla ’ndrangheta una straordinaria macchina di denaro e di consenso.
  3. LE VERITÀ NASCOSTE Che fine ha fatto la responsabilità oggettiva? Nel calcio il vil denaro cancella il baluardo etico della “responsabilità oggettiva”, senza cui la giustizia sportiva non ha senso. I precedenti scandali dal 1980 confermano l'evoluzione amorale del pallone. di GIOVANNI ARMILLOTTA (Limes 16-07-2012) «Ma a chi invece non resta nulla - oltre le umiliazioni, la miseria, l’affitto oneroso, la famiglia da mantenere, la disoccupazione, gli invivibili quartieri dormitorio, l’aria malsana, l’immondizia straripante - la squadra di calcio amata diventa l’unico valore». Per cui se il club per cui si tifa trionfa, i tifosi, gli sportivi - ossia quasi tutti gli italiani - il giorno dopo si alzano di buon umore. O meglio, non tutti, ma quelli che hanno vinto. E non parlo soltanto dei nostri connazionali. A che prezzo? I guadagni nella stagione 2010-2011 hanno raggiunto una quota di 16,9 miliardi di euro, in crescita del 4% rispetto alla stagione precedente. I ricavi della Serie A sono passati a 21 milioni di euro (+1%) toccando gli 1,55 miliardi di euro. Hanno mantenuto il quarto posto avanti alla Ligue 1 francese, i cui ricavi hanno raggiunto i 1, 04 miliardi di euro, unici in calo (-3%) tra le prime cinque leghe del Continente - inglese, tedesca, spagnola, italiana e, appunto, transalpina. Il calcio è uno Stato nello Stato, con tanto di apparati e vertici “politici” e amministrativi, presidenti, giudici, avvocati, medici, norme legali e “cittadini” stessi di Serie A (tifosi organizzati che contano) e Serie B (sportivi abbonati e non, che si recano allo stadio e contano molto meno). A Bari, addirittura, alcuni ultras il 20 marzo 2011 hanno avvicinato «i calciatori biancorossi per imporre loro di perdere le successive partite di campionato». Aggiungiamo a tale entità “statuale” una stampa qualificata e specifica e un “ordine professionale” di validi e preparati radio-telecronisti - sia pure umiliati da imposti “commentatori tecnici”. Oltre a ciò mettiamoci i grandi capitali aggirantisi fra le nomenclature calcistiche e gli sponsor, i quali si estendono dall’abbigliamento, ai gadget, alle tv, con tanto di diritti di trasmissione Rai, Mediaset, alta definizione, digitale terreste e satellitare. È sin troppo facile capire che tutto ciò non può non intaccare quella che una volta era “sana” per definizione: la tenzone sportiva. Gli scandali relativi alle scommesse clandestine fanno parte di una totalità devastante che si sviluppa in modo esponenziale a cui non partecipano solo calciatori, arbitri e organizzatori degli illeciti. Si trascende dal mondo “sportivo” propriamente detto, toccando ambienti quali le mafie e il riciclaggio. All’illecito come sempre seguono prima l’indignazione poi l’impegno di punizioni esemplari, ma in fin dei conti paga solo qualcuno per tutti - come la Juventus tempo fa. La questione preoccupante è piuttosto un’altra. Molto tempo addietro il calcio aveva sane e granitiche consuetudini. Se un calciatore, un arbitro o un funzionario fosse stato riconosciuto reo, sarebbe stato espluso dal mondo del pallone. Un giusto metro d’altronde: nel momento stesso in cui un cittadino fosse colto in flagranza di reato laddove lavora o altrove, perde ‘ipso facto’ l’incarico ed è segnalato al casellario giudiziario, con pochissime successive occasioni di essere reintegrato in quell’ambiente. Oltre a ciò la società in cui operavano i colpevoli era colpita con vigore; anche se non fosse stata a conoscenza dei fatti, essa poteva pure pagare il fio con la retrocessione. Il concetto e lo strumento chiave in questo ragionamento era la "responsabilità oggettiva": per i tribunali operanti in seno alle federazioni sportive, esso rappresenta un validissimo strumento d’equità, non potendo i giudici costringere i convenuti ad ammettere i fatti acclarati e nemmeno comminare sanzioni relative agli ordinamenti penali ordinario o militare. Senza “responsabilità oggettiva”, la giustizia sportiva non avrebbe senso poiché “libererebbe” qualsiasi membro di una società a delinquere assieme a chiunque. Facciamo un esempio: il funzionario X con il calciatore Y fanno in modo di decidere ex ante il risultato di un incontro; nel caso il tutto venisse a galla, X d’accordo con Y darebbe la colpa al secondo, dando ad intendere di essere all’oscuro; così salverebbe la società, mentre Y avrebbe avuto già delle garanzie sottobanco in previsione della scoperta dell’illecito. Già dopo il primo grande scandalo-scommesse del campionato 1979-80, l’istituto della “responsabilità oggettiva” iniziò a scricchiolare pericolosamente. A seguito della vittoria dell’Italia ai Mondiali di Spagna del 1982, evento atteso da 44 anni, una grande amnistia portò i protagonisti di quello scandalo a calcare nuovamente i campi di calcio, al contrario del cittadino-paria di cui sopra. Un po’ come gli antichi monarchi: quando nasceva il primo figlio maschio, aprivano le carceri. Negli anni gli scandali si sono ripetuti regolarmente e le sanzioni sono decisamente meno severe e quindi maggiormente attaccabili dalla difesa con bizantinismi e busillis. Appare evidente la maniera in cui la “responsabilità oggettiva” sia stata sconfitta irreversibilmente. Alcune società hanno evitato la retrocessione e molti sono tornati sul manto erboso al prezzo di pochi mesi di allontanamento; per non parlare delle varie prescrizioni atte a dimostrare Moggi quale male assoluto. Mi chiedo: se è dimostrato il reato commesso, la compravendita della partita e tutto il resto, quale valore morale può essere rappresentato da pentimenti e patteggiamenti di cui si sta facendo largo uso? Non siamo in un confessionale o nell’animo di un terrorista sinceramente contrito per il male che ha fatto. Perché equiparare i casi di individui che cercano di investire i 30 anni e passa del loro squallido tramonto con i momenti giudiziali più dolorosi della Repubblica? Cosa importa al calciatore a fine carriera di una pena anche di 24 mesi o dell’amore dei tifosi, quando può invece raggranellare tanti soldi subito e in nero? Quando finirà questo circo Barnum di pagliacci corrotti e senza scrupoli?
  4. Calcioscommesse La settimana dei deferimenti, attesa per Conte Il tecnico della Juve in caso di “rinvio a giudizio” rischia l’omessa denuncia o l’illecito sportivo di MATTEO PINCI (la Repubblica 23-07-2012) ROMA — La settimana dei deferimenti. La Procura Federale prepara le carte per il nuovo processo sportivo, quello che porterà davanti alla Commissione Disciplinare molti “big” del calcio italiano: il presidente del Siena Mezzaroma, l’ex presidente del Lecce Semeraro, il presidente del Grosseto Camil-li, tre club potenzialmente a rischio retrocessione per responsabilità diretta. Ma soprattutto l’allenatore della Juventus Conte. Tremano anche il Bari, il pentito Masiello, Bonucci (ma la sua posizione potrebbe essere stralciata), Stellini e forse Pepe. E se le maglie dovessero allargarsi, nella rete finirebbero anche gli spogliatoi al completo di Bologna e Siena, a rischio omessa denuncia generale. Il procuratore federale Palazzi e i suoi vice si riuniranno oggi, in via Po: un lieve impasse, dovuto ad alcune posizioni delicate (ad esempio quella dei giocatori del Bologna messi al corrente da Portanova del rischio combine) ha rallentato i lavori, ma da stasera a mercoledì ogni momento è quello buono per i “rinvii a giudizio”. Poi dal 2 agosto il via al procedimento (si chiuderà in 2-4 giorni). Dovrebbe restare fuori il filone di Napoli, valutato poi con le posizioni di Lazio e Genoa. L’attenzione generale è concentrata soprattutto sulla situazione di Conte. Tre strade possibili: deferimento per omessa denuncia, rischio di illecito sportivo per Novara-Siena e infine il doppio deferimento per entrambe le contestazioni. L’illecito rimane ipotesi reale, anche se meno semplice da sostenere rispetto a un mese fa, alla luce degli sviluppi d’indagine che hanno indebolito – nel caso specifico – le accuse del pentito Carobbio. Rischia Mezzaroma e con lui il Siena. Delicatissimo il caso Lecce: quasi impossibile evitare la responsabilità diretta. E il rischio serie C (Lega Pro ndt). ___ CorSera 23-07-2012 ___ CALCIOSCOMMESSE Conte, Siena e Lecce Ansia per i deferimenti art.non firmato (CorSport 23-07-2012) ROMA - Parte la settimana più calda dello scandalo scommesse. Da oggi, il procuratore federale Stefano Palazzi si riunirà con i suoi più stretti collaboratori per chiudere i deferimenti più delicati e complessi di questa brutta vicenda. Con il fiato sospeso, soprattutto, Conte (e con lui la Juve), il Siena e Mezzaroma, ma anche le altre società che rischiano la responsabilità diretta per illecito sportivo. E dunque in ansia pure il Grosseto (per la partita contro l’Ancona) e soprattutto il Lecce, con l’ex presidente Semeraro che è stato ascoltato giovedì scorso, ma che non avrebbe convinto gli investigatori federali (ci sono le carte arrivate da Bari a pesare sulla combine del derby). E a rischiare potrebbe essere anche il Bari, gli interrogatori di gran parte dei vertici societari ad inizio giugno, dal direttore generale Garzelli in giù, potrebbero essere un indizio. LAVORO - Palazzi ha già studiato le carte, il lavoro che gli uomini a lui più fedeli hanno svolto fino ad oggi, spesso sacrificando le proprie attività. Adesso è arrivato il momento di tirare le somme, di mandare alla sbarra (sportiva) chi si è macchiato del delitto più grave, l’illecito sportivo, ma anche chi sapeva e ha taciuto. Il tutto sullo sfondo delle scommesse, nuova frontiera delle combine nel mondo del calcio, la partita truccata non (o non solo) per acquisire vantaggi in classifica, ma soprattutto economici. Una fitta rete di faccendieri e giocatori, di criminalità organizzata che vede nel football una nuovo orizzonte di guadagno. Palazzi starebbe preparando i deferimenti, alcuni a sorpresa. Da questa sera, ogni giorno è buono, anche se i rinvii a giudizio sportivo sono attesi per mercoledì. Allora sapremo. . . ___ Scommesse Entro la settimana si parte: rischiano Lecce, Siena e Grosseto. Conte in bilico Palazzi prepara i deferimenti di SIMONE PIERETTI (IL TEMPO 23-07-2012) Sarà la settimana dei deferimenti, quella decisiva per riscrivere la geografia del calcio italiano. Il procuratore federale Stefano Palazzi giovedì scorso ha ultimato le audizioni ascoltando l'ex presidente del Lecce Pierandrea Semeraro. Ora manca soltanto il ds del Cittadella Marchetti, che con ogni probabilità comparirà davanti agli 007 della Procura Federale mercoledì 25. L'inchiesta sportiva, basata sui filoni della Procure di Cremona, Bari e Napoli, è arrivata al capolinea. Domani, al massimo dopodomani, il procuratore federale renderà noti i rinvii a giudizio per avviare il procedimento. Due le società che rischiano la responsabilità diretta, Lecce e Grosseto: rischia anche il Siena che - tuttavia - potrebbe comunque evitare tale capo di imputazione. Molto ruoterà intorno alla figura del presidente Mezzaroma che durante l'audizione pare aver convinto della propria innocenza gli inquirenti. Scontata la responsabilità diretta per Grosseto e Lecce, visto il presunto coinvolgimento diretto del presidente dei toscani Camilli e dell'ex presidente dei salentini Semeraro. I due club rischiano la retrocessione. Ancora dubbi - invece - sulla situazione dell'ex tecnico del Siena Conte, chiamato in causa a più riprese dall'ex giocatore Carobbio. La Procura ritiene che le affermazioni di Gervasoni e dello stesso Carobbio siano attendibili. Per questo la posizione all'attuale allenatore della Juve non è semplice. Nel processo che partirà all'inizio di agosto, i giudici potrebbero essere chiamati a valutare solo i club chiamati alla sbarra per responsabilità diretta, gli altri casi dovrebbero essere valutati successivamente. Tutto ciò per facilitare la compilazione dei campionati e la formulazione dei calendari. ___ la Repubblica - Genova 23-07-2012 ___ GLI ALTRI CASI Siena, Lecce e Grosseto: club a rischio di FRANCESCO CENITI (GaSport 23-07-2012) Non solo Antonio Conte. L'ansia deferimenti è di molti tesserati, ma soprattutto di club che rischiano la responsabilità diretta (e quindi la retrocessione). A forte rischio Lecce e Grosseto, mentre il Siena di Mezzaroma potrebbe cavarsela con la oggettiva. I toscani, però, potrebbero avere un altro problema: se la Procura darà seguito all'accusa di Carobbio per la gara col Novara, allora molti suoi giocatori sono passibili di squalifica. Tutti questi motivi hanno spinto la Procura a dividere in due tronconi i deferimenti: la precedenza sarà data ai casi che non possono essere rimandati. E tutte le situazioni che in qualche modo gravitano intorno a questa orbita saranno «attratte» nella prima parte. Non ci sono molti margini: il processo dovrebbe iniziare il 2 agosto (nel primo giorno ci saranno anche i patteggiamenti) e finire dopo circa 4 giorni. Entro Ferragosto sentenza d'appello in modo da consentire l'avvio regolare dei campionati. Dovrebbero restare fuori, invece, partite come Lazio-Genoa e tutto il filone di Napoli. Le eventuali penalizzazioni (e le squalifiche) potranno essere date anche a campionato in corso. Tutti gli altri conosceranno ad ore il loro destino: da Bonucci a Pepe, da Portanova ai suoi compagni del Bologna, dall'Udinese al Bari.
  5. Il caso Corsa del Comune contro il tempo. Persi 70 giorni. Nota della Corte dei conti sul canone San Paolo, stop della prefettura lavori urgenti per la sicurezza Per la convenzione sullo stadio il Napoli dovrebbe assumere gli 80 lavoratori di ANTONIO CORBO (la Repubblica - Napoli 23-07-2012) LO STADIO della lite è inagibile. Ufficialmente chiuso. Il San Paolo riapre stamane solo per una ispezione degli inviati dall’Uefa, in vista dell’Europa League. Sono prescritti urgenti lavori per la sicurezza dell’impianto dalla commissione di vigilanza. Per la prossima partita domenica 29, l’amichevole Napoli- Bayer Leverkusen, mancano il collaudo per la staticità e un sistema antiincendio certificato. L’ultima gara al San Paolo si giocò il 13 maggio, Napoli- Siena. L’assessore allo sport, Pina Tommasielli, nell’ultimo incontro in prefettura ha attivato le procedure. Il viceprefetto Giovanna Via, che guida la commissione di vigilanza, aiuterà il Comune in questa corsa contro il tempo. Ma sono stati persi 70 giorni e le norme sulla sicurezza vanno rispettate. Riprende il dialogo tra il sindaco e De Laurentiis dopo l’incidente diplomatico dei giorni scorsi. Il presidente del Napoli, in un confidenziale discorso con i tifosi, registrato da qualcuno e diffuso sul web da “napolista.it”, ha riferito in toni spinti la verità: il Napoli boccia Ponticelli come sede del nuovo stadio. Vuole ristrutturare il San Paolo. Per una clausola della convenzione in vigore fino al 2014, il Napoli ha un vantaggio: può subentrare a chi si aggiudica una gara di evidenza pubblica sul restyling del San Paolo rimborsando le spese al vincitore. Per rinnovare la convenzione sono al lavoro i rispettivi tecnici e legali da un anno: sospesi intanto i rapporti economici. Il Comune non ha rimborsato il Napoli per lavori urgenti eseguiti nello stadio, il Napoli ha smesso di pagare il fitto. La Corte dei conti ha già sollecitato l’amministrazione de Magistris a recuperare il canone. Circa due milioni. Cifra che doveva essere già da tempo compensata con i crediti del Napoli. Anche la polizia con il vicequestore Luigi Peluso ha indicato opere a basso costo ma da eseguire presto: è troppo facile scavalcare. La questura deve disporre plotoni di agenti per separare settori con tifosi rivali, mancando le barriere prescritte. Più complessa la concessione per 99 anni. Il Napoli dovrebbe in questo caso assumere gli attuali 80 dipendenti comunali del San Paolo. Vuol ristrutturare a sue spese lo stadio con la vendita del terzo anello inagibile ai cinesi. Il progetto prevede di abbassare il campo di gioco per ottenere sotto l’anello inferiore una nuova tribuna circolare. Idea che ebbe anche Ferlaino 23 anni fa. Ma un primario pneumologo del Cardarelli lo fermò: su un campo interrato vi sarebbero problemi di ossigenazione per i calciatori, quindi muscoli strappati. ___ San Nicola a pezzi Dopo il trofeo Tim, critiche sul Comune. Il sindaco: non possiamo buttare 20 milioni in lavori Stadio, Emiliano si difende e rilancia «La manutenzione del campo tocca al Bari non a noi. Collaboriamo» di SAMANTHA DELL'EDERA (Corriere del Mezzogiorno - Bari 24-07-2012) BARI — «Le condizioni del manto erboso dello stadio San Nicola non dipendono dal Comune ma dalla società del Bari che gestisce la struttura da 22 anni». Il sindaco Michele Emiliano, all'indomani delle polemiche sul trofeo Tim e sullo stato del campo, respinge le accuse. E punta il dito contro l'As Bari. «Il Comune non ha nessun ruolo né nella manutenzione dell'erba né riguardo alla decisione se giocare o non giocare il torneo. Decisione che spetta esclusivamente all'arbitro, alle società e agli organizzatori del trofeo. Le polemiche che tirano in ballo il Comune per le cattive condizioni dell'erba sono totalmente infondate. Ricordo che noi abbiamo fatto il nostro dovere in questo fine settimana, gestendo ottimamente le manifestazioni in contemporanea. Non ci tiriamo indietro ma non assumiamo responsabilità che non sono nostre». Il primo cittadino ha poi fatto il punto su quella che è stata la storia del San Nicola. «La costruzione di quella struttura fu imposta all'amministrazione comunale ed è stata una decisione sbagliata perché Bari non aveva bisogno di due stadi — continua Emiliano —. L'amministrazione l'ha poi ceduto in gestione all'As Bari, ma è evidente che la società non è più in grado di gestirlo né noi siamo in condizioni di spendere altri soldi per una struttura che serve solo a un campionato. Al momento servirebbero 20 milioni di euro per risistemarla. Soldi che non abbiamo considerando anche che dobbiamo 18 milioni di euro al Consorzio Stadium per una sentenza legata proprio alla costruzione del San Nicola». Il Comune però tende comunque la mano alla società. «Noi siamo disposti a sostenere il Bari per questo campionato — aggiunge Emiliano — ma è l'ultima volta. Siamo pronti a collaborare e ad aiutare la società anche nel riparare il manto erboso, intervento che costerebbe diverse migliaia di euro. Ma è arrivato il momento di vendere il Bari e non voglio proprio credere che non ci sia nessun imprenditore interessato». L'amministrazione ha anche contattato l'architetto Renzo Piano chiedendo di predisporre un progetto di risistemazione dello stadio (sottoposto a vincolo d'autore) che prevede la demolizione di una parte e la successiva ricostruzione, fornendo lo stadio di nuove strutture accessorie come negozi e alberghi. «Siamo pronti a venderlo — continua Emiliano — ma a patto che la società decida di vendere il Bari. Non ha senso anticipare i tempi. Chi riporterà il grande calcio a Bari si assumerà anche il compito di gestire i costi di manutenzione dello stadio San Nicola. Ora come ora questa società non è più in grado, a causa dei debiti, di provvedere alla manutenzione dello stadio così come alla gestione della squadra e quindi deve fare un passo indietro». L'assessore allo Sport, Elio Sannicandro, comunque, garantisce: «Lo stadio non è pericoloso». L'amministrazione sta valutando invece la possibilità di intervenire sul vecchio stadio della Vittoria. «Preferirei ristrutturare quella struttura piuttosto che il San Nicola — dice Emiliano —. Il Della Vittoria viene usato per tanti progetti sociali ed è preferito dalle società per i concerti. Ma ora è il momento di risolvere la questione San Nicola: spero la società prenda in considerazione la mia offerta di collaborazione. Per il bene della città».
  6. L'OSSERVATORIO di GIANFRANCO GIUBILO (IL TEMPO 22-07-2012) Anche senza Moggi lo «stile-Juve» non è cambiato Sono tramontati i tempi dell'impero Moggi, ma la Juventus non vuole assolutamente rinunciare alla sua antica prerogativa, quella di rompere le palle al prossimo. Non limitandosi ai signorili atteggiamenti perseguiti anche durante lo scorso campionato, quando si producevano dossier su presunti torti subiti e si zittiva cinicamente chi era stato truffato, vedi il gol di Muntari e i tre-rigori-tre negati al Cagliari. La strada tracciata dal vecchio direttore generale, rimasto nel cuore della nuova dirigenza, viene intrapresa anche sulle operazioni di mercato. Chi non ha memoria corta potrà ricordare quando Franco Sensi, sicuro di avere portato a Roma Paolo Sousa e Ferrara, se li vide soffiare dalla Juve con un'operazione limpida come una palude. Le interferenze, che ben poco hanno di eleganza, si ripropongono nella trattativa destinata a portare alla corte di Zeman il giovane Destro, le cui titubanze sulla chiusura di un contratto già definito in ogni particolare si possono facilmente far risalire a pressioni in serie: sullo stesso giocatore, sul papà tifoso bianconero, su qualche procuratore in caccia di speculazioni odiose. Fa onore a Preziosi, che altre volte aveva operato scelte poco condivisibili, la decisa presa di posizione a difesa degli accordi con la Roma. Se il giovane Mattia dovesse ancora puntare i piedi, si farà una bella stagione al Siena, guadagnando meno di un terzo di quanto gli ha offerto Sabatini. Con la prospettiva di doversi battere per la salvezza, di appannare il suo recente prestigio, con riflessi negativi anche per il futuro in azzurro. L'auspicio, nell'interesse di tutti, è che l'attaccante ritrovi la via del buonsenso, decidendo da maggiorenne e vaccinato e sfuggendo alle suggestioni di consiglieri ambigui. Se poi decidesse che Roma e la Roma non lo meritano, stia sereno: il sentimento diverrebbe reciproco. ___ SCIENZA E SPORT La logica matematica del pallone Due ricercatori hanno applicato la teoria dei grafi al calcio per valutare lo schema e l'equilibrio di ogni squadra. E il contributo di un giocatore al modulo di MARCO PASSARELLO (nòva - Il Sole 24 ORE 22-07-2012) Il calcio è sempre stato uno sport piuttosto allergico alle statistiche. Se nel basket il gioco delle squadre e dei singoli giocatori è abitualmente quantificato da una serie di dati, nel calcio di solito non si va molto al di là del numero di goal segnati (nonostante la Fifa registri statistiche molto precise). Si potrebbe pensare, del resto, che in uno sport dove un singolo tiro in porta azzeccato può rovesciare una partita in cui la squadra avversaria aveva dominato per un'ora e mezzo senza mai segnare, le statistiche significhino poco. Non sono di questa opinione Javier López Peña e Hugo Touchette, due ricercatori di matematica dell'Università di Londra, appassionati di calcio, che si sono chiesti se non ci fosse un modo per analizzare le squadre da un punto di vista statistico per decidere quale fosse la più forte. Hanno così sviluppato un metodo che sfrutta la teoria dei grafi per quantificare lo stile di gioco di una squadra. Il metodo può essere usato per stabilire quali siano i punti forti e deboli e l'importanza dei singoli giocatori, e anche per valutare quanto sia probabile la sua vittoria. Presentando la ricerca, López Peña si era spinto a prevedere la vittoria della Spagna nei campionati europei. Forse c'era anche un conflitto di interessi, vista la nazionalità del ricercatore, ma ha indubbiamente avuto ragione, come purtroppo sappiamo. Un grafo è un insieme di elementi, detti nodi, rappresentati come punti, collegati da linee. Quando le linee hanno una direzione, il grafo si dice orientato. I due ricercatori hanno rappresentato ciascuna squadra con un grafo orientato, detto rete dei passaggi, in cui ogni giocatore è un nodo, e la sua posizione dipende dal ruolo giocato. Il giocatore è collegato a ogni altro da due frecce che rappresentano i passaggi nei due sensi, il cui spessore rappresenta la frequenza dei passaggi. Già questa rappresentazione permette di valutare a occhio se il gioco della squadra è "bilanciato" o se ci sono delle aree in cui è insufficiente. Tuttavia, con la teoria dei grafi, è possibile fare valutazioni più accurate. Per esempio, calcolando un invariante detto "edge connectivity", che corrisponde al numero minimo di frecce che è necessario togliere perché il grafo smetta di essere connesso, cioè perché ci siano dei nodi che non sono più raggiungibili da altri, si ottiene una valutazione sulla coesione del gioco della squadra. Se infatti il valore di questa quantità è basso, significa che basta intercettare pochi passaggi (cancellare alcune frecce) per spezzare il gioco. Valutazioni ancora più precise possono essere fatte sui singoli giocatori. Analizzando il grafo si possono calcolare quantità come la «centralità di vicinanza», che misura quanto è facile passare la palla a un giocatore; la «centralità di tramite», che misura l'effetto di un giocatore nel facilitare i passaggi tra gli altri; e la «centralità di pagerank». Quest'ultima si chiama così perché è calcolata in modo simile a quello che usa Google per calcolare l'importanza di una pagina web a partire dal numero di pagine che la linkano: è la probabilità che dopo un certo numero di passaggi un giocatore riceva la palla. López Peña e Touchette valutano alcune partite dei mondiali di due anni fa, mostrando come la loro rappresentazione permetta di effettuare valutazioni in accordo con quello che è stato il gioco effettivo. I due sottolineano che il loro metodo non è esaustivo, e che può essere approfondito, per esempio aggiungendo un nodo in più per rappresentare i tiri in porta o tenendo in considerazione anche l'accuratezza dei passaggi. Già così comunque, il metodo può essere utile ad allenatori e giornalisti per affinare le loro valutazioni. È difficile che questi si mettano a studiare la teoria dei grafi. Ma la passione calcistica può fare questo e altro (ved. esempio cristallino subito sopra ndt) . LO SCHEMA SCIENTIFICO DEL «TIKI TAKA» Rappresentando ogni squadra con un grafo in cui ogni nodo è un giocatore, con frecce il cui spessore è proporzionale alla frequenza dei passaggi, si visualizza "l'impronta" del suo gioco, com'è stato fatto per le squadre della finale del Mondiale di calcio 2010, Olanda e Spagna: dallo schema emerge visivamente il "tiki taka" eseguito della squadra spagnola, fatto di una fitta rete di passaggi soprattutto in fase d'attacco
  7. L’esperto, l’intervista «Meglio costruire nuovi stadi che ristrutturare quelli vecchi» Colantuoni, docente e arbitro al Tas di Losanna «Più garanzie sui tempi» di GERARDO AUSIELLO (IL MATTINO 22-07-2012) «La legge sugli stadi può essere un’opportunità ma va migliorata. In generale, comunque, oggi è più sostenibile costruire un impianto ex novo che ristrutturarne uno obsoleto». Ne è convinto l’avvocato Lucio Colantuoni, docente di diritto sportivo all’Università di Milano, arbitro al Tas di Losanna e tra i massimi esperti della materia. Professore, in Parlamento si sta discutendo delle nuove norme in materia di impiantistica sportiva. Quali sono le prospettive? «Dopo il via libera della Camera, il provvedimento dovrà ora tornare al Senato perché a Montecitorio è stato oggetto di modifiche. Salvo ulteriori cambiamenti, l’approvazione definitiva potrebbe arrivare in tempi brevi. Si tratta di una legge che punta a colmare il gap accumulato dall’Italia rispetto agli altri Paesi dell’Europa e del mondo soprattutto in termini di procedure burocratiche». Cosa non la convince nel testo? «Occorre un maggiore raccordo tra la normativa nazionale e quelle regionali perché altrimenti ci potrebbero essere problemi di incostituzionalità relativi alle competenze tra Stato ed enti locali. Bisogna altresì limitare l’arbitrarietà nell’assegnazione degli appalti prevedendo procedure di evidenza pubblica e avviare una riflessione sul regime di proprietà e le eventuali conseguenze derivanti dal fallimento delle società sportive». L’Italia non ha ottenuto l’assegnazione degli Europei di calcio anche a causa dei problemi infrastrutturali. Come ripartire? «È necessario garantire tempi certi e condizioni appetibili. Altrimenti ogni progetto è destinato a naufragare. Lo stadio della Reggiana, ad esempio, fu progettato per essere utilizzato solo come campo sportivo ed è stato una delle cause del fallimento del club». Nel disegno di legge c’è una norma che agevola le società sportive nel percorso di costruzione degli impianti. Un limite o un’occasione in più? «La ratio è prevedere una corsia preferenziale per i club che poi possono inserire nel proprio patrimonio i nuovi stadi. Ma non dimentichiamo che anche con le regole attuali è stato centrato l’obiettivo: penso allo Juventus Stadium con cui è stato raggiunto un buon equilibrio tra le esigenze sportive e quelle commerciali». Ristrutturare o costruire impianti con fondi pubblici è impensabile? «Con la crisi economica attuale è una follia. Ecco perché i progetti devono prevedere fonti di reddito per imprenditori e società come ad esempio centri commerciali, parcheggi, merchandising e la possibilità di utilizzare le strutture anche quando non si svolgono le partite». A Napoli è in atto un’accesa discussione sull’ipotesi di dar vita a un altro impianto accanto al San Paolo. Il suo giudizio? «Non conosco nei dettagli la questione ma in generale le ristrutturazioni possono determinare maggiori diseconomie, oltre che problemi organizzativi».
  8. Non si uccide così anche il gioco del calcio? Per Pasolini era l’ultima rappresentazione sacra, oggi è diventato la variante più perniciosa del Pensiero Unico ALTRO CHE SPORT Un format planetario, la merce da rivendere ai devoti di una fede totalmente secolarizzata UN MODELLO CHE FA SCUOLA Ormai anche Mentana conduce il tg con il ritmo scalmanato di una telecronaca di Caressa di MASSIMO RAFFAELI (LA STAMPA 22-07-2012) A chi gli chiedeva della sua passione per il calcio, Pier Paolo Pasolini una volta rispose in maniera spiazzante: «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro». Pasolini pronunciava queste parole nel 1970, solo pochi mesi prima di iniziare sui giornali, solitario e largamente inascoltato, la sua battaglia contro il neocapitalismo all’italiana in cui vedeva, come è noto, tanto i segni del genocidio delle culture particolaristiche quanto l’omologazione all’«universo orrendo» della società dei consumi. Se tuttavia salvava il calcio, si può immaginare vi notasse i residui del ludus primordiale e la viva permanenza dell’opera d’arte popolare. Pasolini, ormai cinquantenne, era rimasto un tifoso, giocava ancora da ala destra in accanitissime partite amatoriali e sempre rammentava il tempo della sua giovinezza (a Bologna, nei prati di Caprara che la sua poesia avrebbe immortalato) quando andava così forte che i compagni lo chiamavano Stukas. Non era il primo dei nostri scrittori a struggersi e persino a delirare per il calcio: Umberto Saba, Vittorio Sereni e Alfonso Gatto gli avevano già dedicato delle poesie, Mario Soldati alcuni memorabili racconti, Salvatore Bruno un libro che equivale alla educazione sentimentale di un artista-tifoso (L’allenatore ,1963, poi Baldini & Castoldi 2003) e Giovanni Arpino, anni dopo, il romanzo Azzurro tenebra (1977, poi Rizzoli 2010) capace di tradurre la disfatta della Nazionale italiana ai Mondiali tedeschi del ’74 nella allegoria di quello che uno storico, Guido Crainz, avrebbe definito il Paese Mancato. C’è di più: Pasolini aveva colto l’importanza e recepito il lessico della critica calcistica propriamente detta, dialogando con Antonio Ghirelli e specialmente con Gianni Brera che aveva sfidato sul suo stesso terreno, in un celebre articolo uscito sul Giorno , immaginando una semiotica del gioco dove i calciatori fossero «podemi» e lo sviluppo della partita, come succede nel testo letterario, fosse determinato dalla prevalenza dei «lirici» oppure dei «prosatori», che per lui corrispondevano idealmente a Gianni Rivera e a Luigi Riva. Ora, Pasolini non solo non poteva immaginare che l’estrema forma della sacra rappresentazione si sarebbe per sempre dissacrata, anzi sconciata in effigie, la notte dell’Heysel (cui lo scrittore belga Pol Vandromme dedicherà il bellissimo, dolente, Le gradinate dell’Heysel, in uscita da Luca Sossella editore), ma nemmeno poteva sospettare che proprio il calcio sarebbe divenuto la conferma tangibile della sua nera profezia. Non più un gioco e nemmeno uno sport, ma un format planetario, la merce per antonomasia da rivendere ai devoti di una religione infera e peraltro totalmente secolarizzata: nessuno infatti assocerebbe mai un Ibrahimovic al colore di una maglia sempre avventizia e, meno che mai, alle funzioni di un «podema». Così grande, invasivo e si direbbe ubiquitario è diventato il gioco del calcio da impedire un’autentica oggettivazione e, di riflesso, una distanza critica. Uno degli autori del nostro tempo, Henrique Vila-Matas, acerrimo tifoso del Barcellona, ha dichiarato tempo fa che il calcio è una realtà autocentrata, un fenomeno auto-evidente, e che pertanto raccontarlo non è più possibile. Trattandosi di una narrazione perfettamente autonoma e unilaterale, non è un caso che grandi cantori del calcio come Osvaldo Soriano e Eduardo Galeano guardino per lo più al passato e che al passato volentieri si rivolgano, per non essere accecati o ammutoliti, i medesimi scrittori italiani, da Carlo D’Amicis a Darwin Pastorin, da Giuseppe Culicchia al poeta Fernando Acitelli. Lo stesso giornalismo specializzato, pure in presenza di alcune notevoli eccezioni, tende alla parafrasi, cioè a chiudersi nello stretto orizzonte della disamina agonistica e della valutazione puramente tecnica. Se il calcio è divenuto una variante del Pensiero Unico, talora la più perniciosa e asfissiante, è perché si è indebolito e via via è venuto meno un pensiero critico all’altezza della sua esorbitanza. Per fare un minimo esempio e per scendere un attimo sulla terra: se si ritiene normale, oramai, il fatto che Enrico Mentana conduca il Tg della 7 con il pathos e il ritmo scalmanato con cui Fabio Caressa racconta o presume le partite di calcio su Sky, dovremmo intanto cominciare a domandarcene il perché.
  9. Padiglione Italia di ALDO GRASSO (CorSera 22-07-2012) Il manager di Ibra e Balotelli che dà lezioni di economia Il giudizio più severo sull'Italia non l'ha dato un'agenzia di rating, né la Borsa, né Lady Spread. L'ha dato un signore che parla un italiano stento, veste alla maniera di Tony Soprano, quando indossa le polo fantasia Walmart, inforca occhialoni neri da camperista in festa. Si chiama Carmine Raiola, opera nel settore calcio, sezione intermediazioni (i suoi affari sono i quattrini degli altri). Il signor Raiola ha detto che non possiamo più permetterci top player. Detta così, sembra una battuta da bar. Tradotta in termini economici significa che il calcio italiano è messo male, molto male: «Sono finiti i tempi in cui vedevamo arrivare in Italia Maradona e Platini. Non siete stati capaci di investire in nulla: gli altri campionati sono delle industrie che funzionano, dei marchi importanti. Se oggi dovessi chiedere ad un giocatore di andare in Italia, soprattutto al Sud, scapperebbe». Eppure, Mino Raiola è uomo del Sud. Nato a Nocera Inferiore (Salerno), emigrato ad Haarlem in Olanda al seguito della famiglia, vanta una maturità classica, parla sette lingue (i mercanti non hanno patria), è ricco sfondato, la pancia extra large da ex emigrante, domicilio fiscale a Montecarlo. Il padre faceva panini, poi pizze, adesso ha un ristorante di lusso. Per questo, i suoi nemici gli hanno dato del «pizzaiolo chiacchierone», persino del «mafioso», ma ogni volta si sono dovuti ricredere. Anche il suo protetto numero uno, Zlatan Ibrahimovic, nella sua biografia descrive Mino come «il meraviglioso ciccione idiota». Chiamalo idiota: lo ha appena piazzato al Paris Saint Germain con un contratto triennale da 12 milioni di euro a stagione. Che con i bonus salgono a 14 o giù di lì. Alla scuderia appartiene anche Mario Balotelli e la sua ex, Raffaella Fico, se potesse, caverebbe gli occhi a Mino. La filosofia di Raiola, applicata ai campioni, è molto semplice: gioca bene, fatti pagare meglio, cambia squadra. Più squadre riesci a cambiare più soldi entrano: per il calciatore e per lui, con una percentuale che varia dal 4 al 10%. Se il Mercato avesse un'identità non potrebbe che riconoscersi nella faccia qualunque del Meraviglioso Ciccione Idiota.
  10. Scommesse, i verbali Pentiti, su Conte non tutto torna di ANDREA ARZILLI (CorSera 21-07-2012) Chi è Antonio Conte? L'uomo dagli occhi spiritati e abituato alla raucedine post gara per i 90' passati a sgolarsi con un piede sulla fascia inseguendo nient'altro che la vittoria o quello degli accordi sottobanco con AlbinoLeffe e Novara che vìola il tempio dello spogliatoio per aggiustare il risultato? Due profili opposti, in meno di un mese emergono entrambi, dalle carte che raccolgono le parole dei pentiti: convergono sugli aneddoti, ma le loro parole alimentano una sorta di contraddizione morale sulla figura del tecnico che ha vinto lo scudetto con la Juventus. Dalla partita col Novara (1° maggio 2011, 2-2, su cui pende il rischio illecito) a quella con il Varese (23 maggio, 5-0, non contestata all'allenatore), Conte cambia se stesso, passando da tecnico che il «tarocco» lo apparecchia e lo comunica ai giocatori a ostacolo da aggirare per avviare la combine. O Conte è bipolare oppure qualcosa non torna. Maggio 2011: il Siena vede la A e gioca l'ultima in casa con il Varese. I pentiti ammettono nelle Procure, sportive e non, l'impossibilità di inserire la partita nel pacchetto tarocchi. Parla Carobbio: «Non c'erano le condizioni, in quanto era la nostra ultima partita in casa e quindi l'ultima in cui Conte faceva l'allenatore». Conferma Gervasoni: «Carobbio mi disse che non si poteva fare nulla, perché era l'ultima partita casalinga del Siena con Conte in panchina ed inoltre venivano da una brutta sconfitta ad Ascoli dove avevano perso 3-2 dopo che stavano vincendo per 0-2», dando l'idea anche di una sonora strigliata causa inopinata rimonta. In ogni caso il profilo tratteggiato è comune, quello di un personaggio con cui il circuito dei combinatori deve fare i conti, non certo un interlocutore. Il che va di pari passo ai 23 giuramenti (dei giocatori che si legano al tecnico anche nella sorte giudiziaria, visto che rischiano l'omessa denuncia di massa) portati dal pool di avvocati della Juventus davanti ai federali insieme al tabellino della sfida (Conte levò due attaccanti e fece entrare altri due attaccanti) e alla dichiarazione resa da Ferdinando Coppola, il portiere del Siena, che parla dell'integrità morale del suo tecnico di allora, aggiungendo enfasi alla famosa riunione tecnica pre-Novara: «Mi ricordo dell'emozione che ho provato ad ascoltare le parole del mister (...) perché la posta in palio era importante e perché venivamo da una sconfitta col Portogruaro». Una reazione, è il Conte versione Juve, insomma. Eppure, nello stesso spogliatoio e nella stessa riunione tecnica, Carobbio ne ha visto un altro, diverso dal famelico dittatore che pretende impegno massimo dai suoi: «Si limitò a dire che avremmo pareggiato la partita e che era stato raggiunto l'accordo per il pareggio». Lo stesso viscidume rappresentato dal pentito nel presunto accordo con l'AlbinoLeffe, ancora più melmoso se si considera che alla stipula Conte avrebbe mandato il fedelissimo Cristian Stellini, che, infatti, rischia di essere scaricato. Qual è il vero Conte? Lo stesso uomo incline al compromesso che ha esplicitamente detto «no» ai suoi legali quando gli è stata prospettata l'uscita d'emergenza del patteggiamento? Si era detto dell'acredine personale di Carobbio nei suoi confronti, roba di mogli o di panchina. La prima domanda dei federali è stata proprio «perché Carobbio ce l'avrebbe con lei?». E il tecnico della Juve ha sparato tutte le cartucce a disposizione, ma non basteranno a evitargli il deferimento. I criteri che hanno condotto l'indagine della Procura sportiva sono costruiti sulla credibilità dei pentiti e sul riscontro anche indiretto che le ammissioni trovano nell'incrocio dei vari verbali. Ma chi è davvero Antonio Conte? ___ CALCIOSCOMMESSE Coppola, Conte e i ricordi a metà Su Novara-Siena il portiere parla del discorso del tecnico ma sbaglia giorno e orari Poloni e Passoni lo smentiscono anche per la presunta combine con l'AlbinoLeffe di MAURIZIO GALDI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 22-07-2012) La credibilità di Filippo Carobbio è stata oggetto di grande dibattito, soprattutto nel momento in cui è stato tirato in ballo Antonio Conte, mentre c'è molto meno clamore attorno a quella di altri protagonisti. Per esempio, il portiere Ferdinando Coppola, colui che con maggiore trasporto ha difeso il suo vecchio allenatore. Ecco che cosa ha dichiarato a verbale l'8 marzo a Stefano Papa della Procura federale: «Per quanto concerne la gara Novara-Siena del 30.4.2011 dichiaro di non essere a conoscenza di accordi fra giocatori o fra società volti a concordare il risultato di parità. Non mi risulta che durante la riunione tecnica prepartita il nostro allenatore avesse detto alla squadra che la partita fosse concordata. Ho partecipato a tale riunione tecnica svoltasi dopo pranzo, verso le 12, tre ore prima dell'inizio della partita, e mi ricordo dell'emozione che ho provato ad ascoltare le parole del mister che ha esortato la squadra a impegnarsi al massimo perché la posta in palio era importante e perché venivamo anche da una sconfitta con il Portogruaro». Amnesie Coppola ricorda bene il discorso di Conte, ma non il resto. Sbaglia il giorno della partita (non era il 30 aprile, ma l'1 maggio, in posticipo) e soprattutto l'orario. La riunione tecnica non può essersi svolta a mezzogiorno, visto che si è giocato alle 12.30. Un orario insolito per una partita di B, difficile da dimenticare, anche perché cambiano radicalmente le abitudini del prepartita (dal pranzo alla riunione tecnica, appunto). In Procura federale questa «differenza» di ricordi non è sfuggita. Così come a Palazzi e ai suoi collaboratori non è sfuggito il fatto che per AlbinoLeffe-Siena il portiere è smentito da Poloni e Passoni, che hanno confermato le parole di Carobbio, autoaccusandosi di avere in qualche modo partecipato alla progettazione dell'illecito. Combine o no? Coppola sostiene di essere andato con Carobbio e Vitiello a fare shopping in centro a Bergamo e poi di aver visto fuori dall'albergo in cui il Siena era in ritiro Poloni, Sala e un altro giocatore dell'AlbinoLeffe, ma nega che si parlò di combinare la partita. Poloni, invece, dice di essere rimasto in disparte, ma di aver sentito i giocatori «che si mettevano d'accordo, nel senso che si sarebbe concessa la vittoria dell'AlbinoLeffe nel caso in cui nel corso della partita gli altri risultati avessero configurato un vantaggio dell'AlbinoLeffe a vincere la gara». Anche Passoni ammette: «Ricordo che fra tutti noi venne preso un accordo per il quale l'AlbinoLeffe avrebbe dovuto vincere la gara anche se non mi ricordo se si parlò del risultato esatto». Resta da capire se nell'audizione di luglio Coppola ha corretto il tiro (e gli errori). A quel punto si potrà «pesare» la sua credibilità.
  11. La polemica Affondo del presidente del Napoli. La replica del primo cittadino: “Parole gravi” Stadio, De Laurentiis accusa “Il sindaco ha avuto i voti della Faraone Mennella” di DARIO DEL PORTO (la Repubblica - Napoli 21-07-2012) Lo stadio a Ponticelli? Un favore del sindaco a Marilù Faraone Mennella, secondo Aurelio De Laurentiis. «Lei ha fatto lo sponsor dei voti del sindaco e quindi adesso lui gliela deve dà calda», dice il presidente del Napoli rispondendo ai tifosi a Dimaro, dove la squadra è in ritiro. All’incontro non sono ammessi giornalisti. Ma l’audio integrale viene pubblicato sul sito “Il Napolista”. E così le bordate di De Laurentiis diventano pubbliche, provocando in serata la piccata replica del sindaco: «Sono affermazioni gravi, ma da parte mia non c’è alcuna polemica», dice de Magistris a Radio Kiss Kiss Napoli. Già in conferenza stampa il presidente aveva affermato di essere contrario alla realizzazione di un nuovo impianto a Ponticelli. «La nostra casa è il San Paolo». Ma con i tifosi, ci va giù molto più duro: «Il sindaco si è messo in testa che prima di tentare la sua carriera politica dovrà lasciare un segno tangibile a Napoli», attacca il produttore, che contesta a de Magistris di non conoscere il disegno di legge, tuttora fermo in Parlamento, in base al quale «può fare lo stadio solo il club». E affonda: «De Magistris ha avuto i voti della Mennel-la, che è una torrese, quella ha da farsi uno sviluppo a Ponticelli e gli ha fatto mettere un sì su questa ipotesi». Quindi De Laurentiis rivela: «Lei mi è venuta a trovare tre anni fa. Le ho detto che a noi lo stadio serve per fare fatturato, comprare i giocatori. Non si può farlo fare a un altro. Che facciamo, gli paghiamo pure il fitto? Non mi ha voluto ascoltare». Nella sua risposta, il sindaco pesa le parole, con l’obiettivo di schivare la polemica. Ma non rinuncia a mettere in chiaro alcuni punti: «Tutti a Napoli siamo d’accordo che così com’è lo stadio non va bene, compreso il presidente, del resto ne abbiamo parlato. Poi siccome queste sono cose serie e si valutano i progetti, al Comune di Napoli è stato presentato un progetto. Potevamo andare avanti con quello e fermarci — aggiunge de Magistris — Ma siccome costruire lo stadio a Napoli è molto importante, abbiamo fatto una manifestazione pubblica d’interesse. Abbiamo detto a chiunque volesse di presentare offerte per il nuovo stadio, sia esso il San Paolo, oppure uno nuovo. Poi si deciderà sulla migliore offerta. De Laurentiis sa perfettamente che le cose stanno così. Secondo me non c’è motivo di essere nervosi, bisognerebbe essere contenti». Assicura, de Magistris, che lo stadio «si farà e si farà insieme alla società, perché abbiamo sempre detto che c’è grande apertura verso il Calcio Napoli». Ma sottolinea: «Queste cose bisogna deciderle secondo le regole. Non possiamo decidere se è simpatico o antipatico un imprenditore, non sto al gioco della lotta tra imprenditori. Il sindaco ha solo un impegno da onorare, mi hanno chiesto i cittadini di fare un grande stadio e lo faremo. Io mi auguro più offerte, così sarà più bello decidere». E conclude: «Siccome De Laurentiis si lascia andare ad affermazioni sulla trasparenza, voglio ricordare che, al contrario, abbiamo avuto un eccesso di zelo: abbiamo fatto la manifestazione d’interesse pur senza essere obbligati». ___ Lo stadio La mossa di De Laurentiis “Ristrutturerò il San Paolo in 2 anni con l’aiuto dei cinesi” Il Pdl: chiarezza sul patto sindaco-Mennella per Ponticelli di DARIO DEL PORTO (la Repubblica - Napoli 22-07-2012) Bastano due anni di lavori, assicura De Laurentiis, continuando a giocare a Fuorigrotta e sfruttando le pause del torneo. «Poi posso ottenere la gestione dello stadio, comprarlo o firmare un contratto per 99 anni». La polemica con de Magistris, dopo la telefonata di ieri, sembra alle spalle. «Insieme abbiamo confermato il rapporto di grande lealtà tra la società e l’amministrazione», fa sapere il Napoli. Ma non si spegne il caso politico acceso dalle bordate del produttore. Attacca il Pdl. Gianni Lettieri, ex presidente dell’Unione industriali e leader in consiglio comunale, chiede di «approfondire in ogni sede le affermazioni di De Laurentiis su un presunto scambio di favori tra de Magistris e Marilù Faraone Mennella, moglie di Antonio D’Amato», ex presidente di Confindustria. Rincara la dose il commissario regionale Nitto Palma: «La questione mi pare grave. Mi auguro che gli organi competenti, con lo stesso impegno che li caratterizza in minor questioni che riguardano altri amministratori, vogliano fare chiarezza». «La Mennella — aveva detto il presidente del Napoli incontrando i tifosi a Dimaro — ha fatto lo sponsor dei voti del sindaco e quindi adesso lui gliela deve dà calda ». Non replica l’imprenditrice, alla guida della cordata che ha presentato il progetto per il nuovo impianto a Ponticelli. De Laurentiis ora smorza i toni: «Con le mie parole non ho voluto in alcun modo mettere in dubbio la trasparenza che caratterizza l’azione amministrativa del sindaco, soprattutto conoscendo la sua storia politica e personale». Intanto Raffaele Ambrosino, di Fli, parla di «discutibile capacità politico-amministrativa». E ci sono malumori anche nella maggioranza. «La vicenda sta assumendo toni surreali», commenta Carlo Iannello, di “Napoli è tua”, presidente della commissione Urbanistica. «Come si svolge il dibattito in giunta? Che ruolo hanno gli assessori? Il sindaco e la giunta non hanno ascoltato il consiglio, non credo abbiano ascoltato le municipalità, né coinvolto gli uffici competenti. Di certo non è stata attivata una procedura di variante e non mi risulta abbiano ascoltato le associazioni ambientaliste, sportive e nemmeno quelle dei supporter del Napoli. E non hanno ascoltato il presidente della società sportiva che dovrebbe utilizzare il nuovo stadio». ------- Il retroscena La verità sulla plateale ma fragile amicizia: il sindaco annuncia uno stadio impossibile e il presidente aspetta una legge per costruirne un altro da solo La lunga recita che ha illuso la periferia Est di ANTONIO CORBO (la Repubblica - Napoli 22-07-2012) Sindaco e presidente del Napoli hanno finalmente smesso di recitare. De Magistris dal 30 dicembre annuncia lo stadio dei sogni a Ponticelli, De Laurentiis ha finto di non sentire. Questa è la storia di due che per sette mesi hanno ballato sulle nuvole. Le confidenze del presidente ai tifosi nel borgo trentino di Dimaro sono state sgradevoli nella forma, ma leali: è la verità. Il Napoli non andrà a Ponticelli. È la fine di una utopia che ha illuso la periferia Est. Ne sarà convinto anche Luigi de Magistris che annunciò il 31 dicembre scorso lo stadio nuovo in una intervista a tutta pagina sul suo 2012. Secondo annuncio il 28 febbraio, stavolta con un termine: «Entro il 2016». E una notizia: «Il Napoli è d’accordo». Davvero? Sorprese il silenzio del Napoli. Fu solo cortesia istituzionale. De Laurentiis non poteva confermare, né volle smentire. Glissò. Perché i due, sempre vicini in tribuna e persino nel giro del campo con un saluto plateale al pubblico in stile Achille Lauro, erano in perfetto disaccordo. Il sindaco, secondo De Laurentiis, voleva offrire lo stadio a Marilù Faraone Mennella, moglie di Antonio D’Amato, e ricambiare così il sostegno elettorale della primavera 2011. L’imprenditrice guida un consorzio per 16 progetti a Napoli Est, area già liberata dall’incubo del termovalorizzatore. Ma De Laurentiis solo due settimane prima, il 14 febbraio, era stato spinto da altri presidenti nell’ufficio del ministro Piero Gnudi per sollecitare la Legge Stadi. L’incontro fu molto favorevole. Altro che Comune e Ponticelli, De Laurentiis progettava uno stadio nuovo, ma tutto suo, e magari neanche a Napoli. I due però non deviano. Tirano dritto. A maggio, il Comune fa balenare anche un plastico: splendido. Sembra di vederlo, questo stadio a Ponticelli. Il Napoli tace, ma segue la Legge Stadi che intanto accelera. È definita “Salva Calcio”. Disegnata nel 2009 da Lolli (Pd) e Butti (Pdl), affidata a Rocco Crimi sottosegretario con delega allo sport, ripresentata da Barbaro (Fli) riflette lo spirito del governo Monti: a costo zero, può salvare i club sul ciglio del burrone. La serie A ha un miliardo di debiti, le banche sono impazienti, persino i faraoni di Milan e Inter si adeguano, la legge è quindi una via d’uscita: il club può costruire un suo impianto, come la Juve, e ricavare altri soldi. «La legge ha lo scopo di favorire e incentivare la realizzazione di nuovi impianti o la ristrutturazione, secondo criteri di sicurezza, fruibilità e redditività. Con semplificazione e accelerazione delle procedure amministrative». Consente, ecco il vantaggio, di costruire edifici, locali, palestre intorno, superando ogni barriera burocratica. Una società con la vendita o il fitto delle costruzioni adiacenti si ripaga dello stadio e argina i debiti. La legge, superato il vaglio del Senato va alla Camera, agli inizi del 2013 può essere varata. Il Napoli riceve già offerte da altri Comuni distanti, magari casertani, come Grazzanise, con linea ferroviaria per lo stadio e l’aeroporto promesso. La legge vale anche per ristrutturazione. Nei giorni della Coppa America, parlano infatti del San Paolo in tre: de Magistris, De Laurentiis e Graziano. L’improvviso gelo tra sindaco e leader degli industriali per il mancato invito all’incontro con Passera ha bloccato ogni intesa. Sgradevoli i toni, ma De Laurentiis ha capito l’altro giorno che doveva svincolarsi dalla finzione e dire la verità. È stato anche un modo per bloccare in sindaco, che affascinato dal suo sogno impossibile proseguiva nel bandire concorsi. Trascura forse la realtà: Ponticelli non ha collegamenti come Fuorigrotta, il Vesuvio è vicino con inevitabile incrocio tra vie di fuga e vie per lo stadio, ancora peggio lo scetticismo delle banche su un “project financing”. Il Comune non può investire un euro, aspetta solo i privati, ma ce ne sono davvero e con un piano finanziabile? La ristrutturazione è una ipotesi fondata. Anche urgente. De Laurentiis confida nella Legge Stadi, ma a sua volta deve rendersi indipendente dal Comune. Si spiega la pace di ieri, fragile come la troppo esibita amicizia di un anno. Arriva intanto l’Uefa domani, ispezione in vista dell’Europa League. Il vicequestore Luigi Peluso ha già preparato una richiesta di lavori a basso costo per migliorare la sicurezza. Almeno quella. In attesa di servizi decenti e tabellone.
  12. Il caso Il Napoli contro l’ex Gianello «Non deve più parlare di noi» art.non firmato (IL MATTINO 21-07-2012) Intervistato nei giorni scorsi, l’avvocato di Gianello, Eduardo Chiacchio, aveva parlato dei possibili rischi per l’ex portiere azzurro Matteo Gianello e dell’eventuale riflesso per il club delle dichiarazioni sulla tentata combine in Samp-Napoli del 16 maggio 2010. Il club di De Laurentiis ha reagito con un duro comunicato: «Preso atto delle dichiarazioni del difensore, in ambito di giustizia sportiva, del signor Gianello, relative alle possibili conseguenze disciplinari, nei confronti della società, nell’ambito del procedimento disciplinare davanti agli organi della Figc, la Ssc Napoli intende dissociarsi da tali affermazioni, censurandole in toto, in quanto destituite di qualsivoglia fondamento giuridico. La Ssc Napoli invita il signor Gianello e i suoi rappresentanti ad astenersi da apprezzamento o commento sulle strategie e sorti della società. È ferma intenzione del club porre in essere il massimo impegno e non lasciare nulla al caso per assicurare non già “una buona difesa”, bensì la migliore difesa possibile dei propri diritti e ragioni».
  13. CALCIO & FINANZA Piazza Cordusio sposa la dottrina Milan-Inter sui tagli dei costi Unicredit, nessun aumento per la Roma Della ricapitalizzazione prevista (tra 10 e 30 milioni) se ne riparla a fine stagione, d’accordo con l’azionista Usa ENTRO IL 2013 La banca cerca un nuovo socio al 20%, da trovare in Asia o nell’immobiliare di MARCELLO ZACCHÉ (il Giornale 21-07-2012) Unicredit non spende altri soldi per la Roma: «Per ora nessun aumento di capitale », dice al Giornale Paolo Fiorentino, direttore operativo della banca. Per l’iniezione di risorse finanziarie la squadra di calcio della capitale dovrà aspettare il giugno prossimo. I grandi soci (gli americani che hanno rilevato il controllo della società, James Pallotta e Thomas Di Benedetto, hanno il 60%, mentre Unicredit detiene il 40% della holding Neep, che a sua volta custodisce il 78% di As Roma) non hanno intenzione di tirare fuori né punti né pochi dei 30 milioni di capitale aggiuntivo previsti come impegno futuro un anno fa, al passaggio di proprietà della società venduta dai Sensi. La prima parte della ricapitalizzazione, pari a 50 milioni, era contrattuale ed è già stata effettuata proquota. Ma per i restanti 30, che i tifosi e forse lo stesso allenatore Zeman avrebbero voluto vedere subito, se ne riparlerà sulla base del bilancio sportivo e finanziario della stagione 2012-13. D’altra parte per Unicredit -che è socio di minoranza, ma è la banca che ha gestito l’intera operazione, avendo ereditato da Capitalia le sorti del gruppo Italpetroli - rimane concentrato a rientrare dell’esposizione sia azionaria (circa 60 milioni), sia creditizia (almeno 30 milioni) e questo non è certo il momento per mettere nuovi milioni nel calcio. L’ad Federico Ghizzoni ha già quantificato in 12 milioni la svalutazione della Roma: prima di tirare fuori altri soldi ci vuole vedere chiaro. E ai soci Usa (che finora hanno investito in tutto 70 milioni) va bene così. La banca rimane comunque il punto di riferimento per i giallorossi, con il proprio coo (chief operating officer), Paolo Fiorentino appunto, che siede nel cda e nel comitato esecutivo della Roma per tenere ogni sviluppo sotto controllo. Anche perché per Unicredit l’obiettivo è quello di trovare un terzo socio forte, da far entrare riducendo la propria quota di almeno il 20%, magari il 30%. Lo conferma Fiorentino che punta «a chiudere l’operazione entro il giugno prossimo». Individuando «un azionista o secondo un criterio geografico (magari dalle parti di Asia, Golfo persico, dove cresce l’interesse per il calcio europeo, ndr ), o settoriale, puntando per esempio sul partner immobiliare con il quale affrontare la partita del nuovo stadio». In proposito Fiorentino non si sbilancia perché troppi sono gli interessi, nella capitale, intorno alla costruzione di un nuovo impianto. Per questo il dossier-stadio è stato affidato a un’agenzia, Cushman & Wake­field, per individuare sito e modalità più opportune, in attesa che la legge sugli stadi, già passata alla Camera, sia licenziata anche dal Senato. Le location possibili sono un paio, ammette Fiorentino, che però non vuole dire di più. Nell’attesa i tifosi (che giovedì sono andati in 15mila all’Olimpico per la presentazione) si preparino a una stagione costruita su Zeman e De Rossi (per il quale la società ha fatto già una la «pazzia», rinnovando il contratto con un costo aziendale stimato in 60 milioni in 5 anni); naturalmente su Totti; su qualche giovane della Primavera da lanciare come Verre e Tallo; e su Burdisso punto fermo. Poi la possibilità di qualche colpo sul mercato dipenderà dalla capacità di tagliare gli ingaggi considerati insostenibili, come già deciso per Cassetti, Pizarro, Gago, Juan e qualcuno dei tanti portieri. Destro sembra a un passo. Poi si vedrà. D’altronde Fiorentino è convinto che la strategia di Unicredit per la Roma debba essere in linea con la dottrina Milan-Inter. Ed è quella di abbassare subito il monte ingaggi dai 105 milioni di partenza almeno sotto ai 100. Per poi arrivare al prossimo anno a quota 86-87, puntando su giovani con costi bassi e contratti lunghi. Una sorta di asset management della squadra che comunque richiederà nel giugno prossimo la ricapitalizzazione, da quantificare tra i 10 e i 30 milioni. Anche perché, nel frattempo, la banca punta ad aver chiuso con il progetto dello stadio e con il nuovo socio, e quindi essere scesa al 20% o forse anche meno, in modo da partecipare alla ricapitalizzazione in misura minima. Quasi fuori da una partita ereditata da altri, di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
  14. Il caso Vendute le stelle, il popolo rossonero in rivolta contro la nuova campagna «Ci avete ingannato» Gli abbonati pensano a una class action Azione legale Il Codacons contro il club di via Turati: «Se i top player vengono venduti, farsi ridare i soldi è un diritto» di GIACOMO VALTOLINA (CorSera 21-07-2012) MILANO — Mancano solo due giorni al via della vendita libera per l'abbonamento alla stagione 2012-13. È il 2 luglio. Come per magia arriva l'annuncio atteso da tutti i tifosi rossoneri: Thiago Silva rinnova, fino al 2017. Due settimane e qualche migliaio di abbonamenti dopo, il centrale brasiliano fa le valigie, destinazione Parigi. Controvoglia, insieme con il compagno Zlatan Ibrahimovic.Diretta conseguenza: adesso, gli abbonati vogliono i danni. Contro la società di via Turati è pronta una class action, mentre la campagna abbonamenti finisce davanti all'Antitrust: «Pubblicità ingannevole». Tutto comincia a fine campionato. Il pokeristico slogan scelto dal marketing rossonero è «Milan is all in», tutto sul piatto. La réclame campeggia per tutta Milano, sulla Rete e tra le pagine dei giornali. Ci sono cinque giocatori, le divise nuove di zecca addosso, il colletto bianco, l'aria gladiatoria, lo stadio Meazza sullo sfondo: capitan Ambrosini con Nocerino e Boateng alla sua destra, e lo svedese e il brasiliano alla sua sinistra. Gli ultimi tra i top player rimasti in serie A. «All in», tutto dentro. E se poi, sorpresa, qualcuno invece di entrare «esce»? E se la mano è persa? «Un'offerta come quella del Psg è irrinunciabile» allarga le braccia Silvio Berlusconi. Valide ragioni, bilanci alla mano. Non abbastanza per placare l'ira dei tifosi: quelli che si lasciano incantare dai manifesti e quelli che allo stadio ci vanno solo per vedere gli interpreti migliori, proprio come al cinema per ammirare i premi Oscar. Così, i più agguerriti si sono rivolti alle associazioni dei consumatori per intraprendere la class action. E molti altri s'informano sul se e sul come farsi rimborsare la carta prepagata dal romantico nome di Cuore rossonero. «È evidente — si fa portavoce del malcontento il presidente Codacons, Marco Maria Donzelli — che se un tifoso paga l'abbonamento allo stadio per vedere le stelle della sua squadra e queste vengono vendute ha tutto il diritto di farsi ridare i soldi». Ma quello che più scatena la rabbia dei tifosi milanisti, è il modus operandi societario: una politica degli annunci reputata ambigua, in particolar modo per la meticolosa puntualità rispetto alle scadenze: il 2 luglio arriva il rinnovo di Thiago Silva, proprio a ridosso dell'apertura degli abbonamenti prevista il 4; e durante i giorni di prelazione, invece (4-22 e 25-29 giugno), le dichiarazioni d'ottimismo si erano sprecate. Di per sé, basta l'immagine pubblicitaria — con i cinque gioielli diventati di colpo tre, o magari due, in attesa del destino di Boateng che le notizie di mercato vedono ancora incerto — per far additare la strategia come un escamotage per incassare i soldi delle tessere: «La vendita era già nei piani, si è atteso solo per batter cassa». Così parte anche l'esposto. «Affinché l'Antitrust accerti il carattere ingannevole del messaggio pubblicitario e perché venga pubblicata idonea rettifica del messaggio diffuso». Tuttavia, la class action — l'azione legale collettiva con effetti ultra partes — in Italia ha origine sportive tra l'aneddotico e il grottesco. Dai tifosi del Genoa che nel 2005 citarono la Federcalcio per i problemi di salute originati dalla retrocessione in C (ancora non esisteva lo strumento legale odierno) agli ultrà dell'Atalanta, uniti contro il loro ex beniamino Cristiano Doni dopo lo scandalo del calcioscommesse. Fino ai supporter del Foggia, che si fecero rimborsare abbonamenti per la sopravvenuta inagibilità dello stadio Zaccheria. All'estero, invece, il peso specifico dell'azione collettiva aumenta. Soprattutto oltre Oceano. Come nel caso del campione Nhl, Alexei Yashin, che scioperando contro la sua squadra, Ottawa (colpevole di pagarlo troppo poco), rischiò davvero di pagare di tasca sua gli abbonati dei Senators. Curiosa, invece, fu la pretesa dei tifosi inglesi del Leicester, per un rigore inesistente fischiato contro la loro squadra. L'esito dell'azione legale contro il Milan è incerto, dato che non esistono precedenti, neppure quando i tifosi dell'Inter videro sfumare in una notte la magica coppia Vieri-Ronaldo. Si preannunciano battaglie su clausole contrattuali e cavilli da Azzeccagarbugli. C'è chi sostiene esista un peccato originale e che gli abbonamenti dovrebbero partire soltanto a fine calciomercato. Troppo, forse. Ma illudere i tifosi con i «non si preoccupino», gli «atti di amore», e le promesse di fasce al braccio e numeri sulle spalle, magari, si potrebbero evitare. Per il rispetto di quel «Cuore» che era rossonero ben prima di diventare il nome di una carta prepagata. ___ IL TEMPO 22-07-2012
  15. Il caso All’improvviso si è fatta delicata la posizione del n. 1 del calcio mondiale. Cresce il partito delle dimissioni La calda estate del presidente Blatter barricato in difesa del trono Fifa Doppio colpo Prima le accuse ad Havelange per tangenti, poi l’assoluzione di Bin Hammam: il dirigente costretto a giocare in difesa di FABIO MONTI (CorSera 21-07-2012) Sembrava un'estate serena per Joseph Blatter, inamovibile presidente della Fifa, eletto per la prima volta l'8 giugno 1998 e in carica (almeno) fino al giugno 2015, dopo la rielezione del 1° giugno 2011 a Zurigo. La decisione dell'International Board (5 luglio), con il via libera alla tecnologia sulla linea di porta, sembrava un'iniziativa destinata a garantirgli consensi universali (e soprattutto britannici). Negli ultimi dieci giorni la situazione è cambiata in modo radicale. Il 10 luglio, la Corte federale svizzera ha autorizzato la Fifa a divulgare i documenti relativi al dossier Isl, società di marketing sportivo che avrebbe pagato tangenti ad alti dirigenti della Fifa per assicurarsi la commercializzazione dei diritti tv dei Mondiali degli anni Novanta. Dai documenti è risultato che Joao Havelange, presidente dal '74 al '98 (e ora presidente onorario), 96 anni, ha ricevuto 1, 5 milioni di franchi svizzeri (1, 24 milioni di euro) e che il presidente della Federcalcio brasiliana, Ricardo Texeira, ha incassati 12, 74 milioni di franchi (più i conti connessi). I due dirigenti avevano pagato a loro volta 5, 5 milioni di franchi, perché la loro identità non fosse rivelata; l'Isl era andata in bancarotta nel 2001, trascinando nello scandalo la Fifa prima del Mondiale 2002. Queste rivelazioni avevano acceso la reazione indignata di uomini politici e di dirigenti sportivi tedeschi (nonché del Cio), che chiedevano a Blatter un immediato passo indietro, visti gli stretti rapporti esistenti fra Havelange e quello che era il potentissimo segretario della Fifa, prima dell'elezione del 1998. Blatter ha pensato di essere nella condizione di mettere all'angolo i tedeschi. In un'intervista allo svizzero Sonntagsblick, aveva detto: «Mi ricordo dell'assegnazione del Mondiale 2006, dove all'ultimo momento qualcuno lasciò la sala e alla votazione finì 10-9 per la Germania e non 10-10. Io non suppongo; io constato». Ma questa frase si era trasformata in un boomerang. Franz Beckenbauer, il presidente del Comitato organizzatore del Mondiale 2006, aveva precisato che il risultato della votazione «non era stato di 10-9, ma di 12-11» e che il voto del presunto astenuto (il delegato neozelandese Charles Dempsey, morto nel 2008) era già stato assicurato per iscritto alla Germania. Blatter era stato costretto ad una precipitosa retromarcia, con lettera aperta alla Bild: «Intendevo dire che si può sempre trovare un appiglio per mettere in dubbio la legittimità di una decisione. Persino in relazione alla Germania, che ha organizzato un Mondiale perfetto». Nonostante questo, molti dirigenti tedeschi hanno chiesto l'annullamento della Croce al merito data a Blatter da Angela Merkel proprio nel 2006. Martedì scorso, Blatter aveva cercato di recuperare consensi, facendo approvare dai 24 membri dell'Esecutivo Fifa l'introduzione di una Commissione etica, che comincerà a lavorare da mercoledì prossimo e che è guidata dal giudice tedesco Joachim Eckert (giudizi) e dal pubblico ministero americano Michael Garcia (indagini). Con una precisazione dello stesso Blatter: «La Fifa accetterà tutte le decisioni prese della commissione senza interferire». E su questa base, era partito al contrattacco: «C'è una campagna di stampa contro di me? Qualche giornale vuole che me ne vada? Io sono stato eletto dal congresso e se il congresso mi manderà via, me ne andrò. Io non sapevo nulla delle tangenti legate all'Isl e la posizione di Havelange è materia sulla quale deve esprimersi il congresso». Tutto finito? No. Perché giovedì, il Tas di Losanna (tribunale arbitrale dello sport) ha revocato la squalifica a vita inflitta dalla Fifa al dirigente del Qatar, Mohamed Bin Hammam, 63 anni, ex presidente della Federcalcio asiatica. Nel marzo 2011, Bin Hammam si era candidato alla presidenza della Fifa in opposizione a Blatter, ma prima del congresso del 1° giugno era stato accusato di avere comprato voti durante una riunione che si era svolta a metà maggio, con buste contenenti 40 mila dollari (circa 29 mila euro). Bin Hammam aveva ritirato la propria candidatura alla presidenza; Blatter aveva avuto via libera alla rielezione e il dirigente qatariota era stato squalificato a vita nell'agosto 2011: dopo aver contestato le accuse, aveva presentato appello al Tas, che ha spiegato l'assoluzione con la «mancanza di qualsiasi prova certa», avallando anche se in forma indiretta l'idea che Blatter si fosse attivato per mettere fuori gioco un pericoloso avversario e avere la strada spianata verso la conferma alla guida della Fifa. Bin Hammam, per ora, è stato morbido nella reazione: «La verità è venuta a galla e io ho la coscienza tranquilla; per me non è una rivincita sulla Fifa; gli avvocati mi diranno che cosa è meglio fare». Blatter si è affrettato a far diffondere un comunicato impersonale, spiegando che «non si è dimostrata l'innocenza di Bin Hammam e che è molto più che probabile che il ricorrente fosse la fonte del denaro circolato». Per ora il dirigente qatariota resta sospeso su indicazione della Confederazione asiatica, ma è chiaro che la decisione del Tas rende più delicata la posizione di Blatter, costretto a fare i conti con un avversario riabilitato. Ha detto il presidente del Bayern, Uli Hoeness: «Per Blatter l'aria diventa sempre più pesante. Non vedo come possa restare al suo posto». Non è una bella estate per il presidente, che già stava pensando di ricandidarsi nel 2015, con un cambio di direzione rispetto a quanto aveva lasciato intuire nell'ultimo anno: ultimo mandato e spazio a Platini.
  16. Scommesse “Venduto il derby di Genova” indagati Palacio e altri tre “Colletta nella Samp per salvarsi: 1,8 mln ai genoani” a rischio squalifica il neo interista di MARCO PREVE & MATTEO PINCI (la Repubblica 21-07-2012) Attacco al derby “comprato”. Criscito e Milanetto, Dainelli e Palacio: la procura di Genova mette nel mirino quattro ex genoani, iscritti da ieri nel registro degli indagati per frode sportiva. E altri calciatori, della sponda sportiva opposta, potrebbero aggiungersi presto all’elenco. È il primo risultato della trasmissione al procuratore del capoluogo ligure Biagio Mazzeo del faldone di Cremona sul derby Genoa-Sampdoria dell’8 maggio 2011, ma non solo. E che fa tremare la Genova del calcio, con possibili conseguenze gravissime anche a livello sportivo. Addirittura «devastanti», per citare il pm di Cremona Di Martino: perché se confermate, le accuse porterebbero il deferimento per illecito sportivo dei quattro rossoblù coinvolti, ma anche di un gruppo di 18 sampdoriani. Un danno che rischia di ripercuotersi anche sull’Inter, che soltanto poche settimane fa ha speso 11 milioni per acquistare Palacio, che oggi (ma i tempi della giustizia sportiva sarebbero tutt’altro che immediati, dovendo attendere la chiusura dell’indagine genovese) rischia una pesante squalifica. In ansia anche lo Zenit di Criscito, cui l’inchiesta è già costata l’Europeo in Polonia. I nomi dei quattro ex giocatori del Genoa emergono da un’intercettazione telefonica in cui l’ultrà rossoblù Massimo Leopizzi, anche lui indagato, raccontava ad un proprio amico di aver saputo nel ritiro della Lazio ad Auronzo da Luciano Zauri – in campo con la Samp quel giorno – di una colletta organizzata dai blucerchiati per vincere il derby salvezza con il Genoa: 100 mila euro a testa per diciotto persone. Un’offerta formulata durante una cena a cinque colleghi genoani: il capitano Marco Rossi, che avrebbe declinato l’offerta («Ma siete matti?»), poi un titubante Criscito («Quello che fanno i vecchi faccio anche io», le sue parole riferite da Leopizzi al telefono), Milanetto, Dainelli e Palacio. E l’occhio della procura stringe anche intorno ad alcuni giocatori (ed ex) di quella Sampdoria. Praticamente, una squadra intera di undici titolari e sette riserve si sarebbe auto tassata mettendo insieme un milione e ottocentomila euro per ottenere un risultato che avrebbe assicurato la permanenza in serie A. Circostanza però che l’ultrà, nell’interrogatorio con il pm Di Martino, avrebbe ridimensionato a frutto di “voci riportate”. A Genova hanno appena iniziato a muoversi. Ma nel fascicolo trasmesso al procuratore Mazzeo compare anche il presidente rossoblù Preziosi, e il suo rapporto con gli ultrà. Legato ancora una volta al nome di Leopizzi, che in una telefonata con il suo amico ed ex giocatore del Genoa Beppe Sculli, dopo la discussa Genoa-Siena del maggio scorso, si pentiva di aver “coperto” il presidente con una falsa testimonianza in merito all’inchiesta sulla valigetta per Genoa-Venezia, conclusasi con la condanna per frode sportiva di Preziosi. Ma soprattutto per il colloquio in cui raccontava come il presidente lo avrebbe sollecitato a dare “una lezione” ad Alberto Lari, il pm che indagò e lo fece condannare. Preziosi che, attualmente, non risulta indagato, anche se intorno al suo nome potrebbero comunque essere svolti a breve accertamenti preliminari. ------- Derby, una cena e mille sospetti la procura indaga sulla presunta combine Incontro sospetto tra i giocatori di Genoa e Samp, il pm sentirà Zauri L’ex doriano secondo l’intercettazione di Leopizzi avrebbe rivelato il tentato accordo. Indagati Palacio, Milanetto, Criscito e Dainelli di MARCO PREVE (la Repubblica - Genova 21-07-2012) A PARTE un probabile rialzo della pressione, per Enrico Preziosi la trasmissione degli atti dalla procura di Cremona a quella di Genova in merito ad un suo coinvolgimento nelle attuali inchieste e sul calcio scommesse, non avrà conseguenze. Ieri mattina i vertici della procura genovese hanno spiegato che non solo Preziosi non è indagato ma che neppure sarà interrogato. Troppo evanescenti e lontane nel tempo le parole pronunciate al telefono - e intercettate - da Massimo Leopizzi il capo “ultràchiacchierone”. Da suoi colloqui registrati dalle forze dell’ordine infatti, sono tanti altri filoni d’inchiesta e in particolare quello sulla presunta combine del derby della Lanterna che vede già indagati, oltre allo stesso Leopizzi, quattro ex giocatori del Genoa Domenico Criscito, Rodrigo Palacio, Dario Dainelli e Oscar Milanetto, ai quali presto dovrebbero aggiungersene altri, questa volta di sponda sampdoriana. Andiamo con ordine. Il nome di Preziosi finisce nelle carte giudiziarie perché Leopizzi, in una delle telefonate successive ai disordini di Genoa-Siena (gli ultrà costrinsero i giocatori a sfilarsi le maglie in campo in segno di disonore) parlando con alcune amici tra i quali il calciatore Giuseppe Sculli, insultava pesantemente Preziosi colpevole di aver voltato le spalle agli ultrà. Così, Leopizzi si pentiva di “averlo coperto” con una presunta falsa testimonianza ai tempi dell’inchiesta Genoa-Venezia, conclusasi con la condanna per frode sportiva di Preziosi, di recente diventata definitiva. Non solo, in un altro colloquio Leopizzi racconta all’interlocutore che all’epoca, Preziosi lo avrebbe sollecitato a dare “una lezione” ad Alberto Lari il pm che indagò e fece condannare il presidente genoano. Leopizzi, difeso dall’avvocato Stefano Sambugaro, avrebbe sminuito il tono di quelle frasi e in ogni caso, senza considerare che non è accaduto nulla al pm Lari, l’intenzione, seppur illecita, non è perseguibile. Quindi, anche se il pm Biagio Mazzeo potrebbe comunque svolgere alcuni accertamenti preliminari, per Preziosi il discorso si dovrebbe chiudere qui. Un fascicolo per frode sportiva è stato invece aperto a Genova sulla base di quanto trasmesso dalla procura di Cremona, e vede indagati per la presunta combine del derby i quattro calciatori genoani e Leopizzi. Anche qui all’origine c’è un’intercettazione del capo ultrà in cui racconta di aver appreso da terze persone di una clamorosa rivelazione dell’ex sampdoriano Luciano Zauri. Avrebbe raccontato che ad una cena di calciatori rossoblù e blucerchiati questi ultimi avrebbero offerto denaro ai colleghi per vincere il derby (furono in realtà sconfitti seppur tra sospetti e polemiche). Cinque i genoani presenti. Marco Rossi che avrebbe rifiutato, e gli altri quattro (Palacio, Milanetto, Criscito e Dainelli) che invece avrebbero accettato e oggi sono indagati. La procura vuole ora scoprire se la cena sia davvero esistita e chi eventualmente fossero i giocatori sampdoriani presenti. E’ quindi probabile che presto vi siano nuovi indagati. Una delle prime mosse degli inquirenti potrebbe essere l’interrogatorio di Zauri. ------- Il personaggio E ora Preziosi va al contrattacco “Nel mirino perché non ho padroni” L’ironia sulla combine: “Calciatori che pagano? Non ci credo...” di GESSI ADAMOLI (la Repubblica - Genova 21-07-2012) BORMIO — Non molla, Enrico Preziosi. Del resto quello è stato a lungo il suo cavallo di battaglia. Ma questa volta è diverso: non molla non per convinzione, ma perché nessuno si è fatto avanti per rilevare la società. «E all’orizzonte — confida — non intravedo nessuno che voglia o possa farlo. Perché questi sono in generale momenti economici durissimi, tanto che il Milan ha dovuto vendere Ibrahimovic e Thiago Silva ed anche l’Inter sta ridimensionando. Il Genoa non lo lascio al primo farlocco che si dovesse presentare. Cedo solo a gente che a questa squadra è in grado di garantire un futuro. Sono pronto alla massima collaborazione, se ci fosse qualcuno che volesse davvero investire, sarei disposto a restare anche come socio di minoranza. E il Genoa, in ogni caso, l’avrò sempre nel cuore perché questi nove anni, con tutto quello che abbiamo patito, non li potrò mai dimenticare. Ma credo di essere destinato a restare al Genoa ancora a lungo, anche se certamente ridurrò le mie presenze allo stadio». Per Preziosi, arrivato giovedì in serata nel ritiro della squadra a Bormio, avrebbe dovuto essere un weekend di assoluto relax. «E invece — racconta — la mattina, appena letti i giornali, la pressione mi è salita a 200. Ma come si fa a sostenere che sono indagato dalla procura di Cremona, quando non ho mai ricevuto un avviso di garanzia? I giornali devono fare informazione: i fatti devono comunque essere raccontati. Ma i fatti, non le illazioni. Credo che in uno Stato di diritto debbano contare le prove e allora non si può fare il titolone e poi nell’articolo usare il condizionale. E nemmeno credo che in una situazione così delicata possano esserci equivoci: o sono indagato o non lo sono. E agli inquirenti dico: se avete bisogno di sentirmi, io arrivo da qualunque posto dovessi trovarmi. Altrimenti mi lascino in pace e smettano questo tiro al piccione nei confronti del Genoa». Ad essere sentito ci terrebbe soprattutto in relazione ai fatti relativi a Genoa-Siena. «La Procura Federale mi ha convocato per giovedì prossimo, mentre non ho ricevuto ancora alcuna chiamata da parte della Procura della Repubblica. Io sostengo che se un poliziotto è presente quando si sta consumando lo scippo ad una vecchietta, è suo dovere intervenire. Quella domenica a Marassi c’era pieno di agenti di polizia, ma non è stato impedito che i nostri giocatori subissero vessazioni e umiliazioni. Le forze dell’ordine non sono intervenute per evitare guai peggiori perché in uno stadio pieno ci poteva essere il rischio che ci andasse di mezzo qualcuno che non c’entrava niente? Benissimo. Sono il primo ad essere d’accordo. Ma perché allora rovesciare su di noi tutte le responsabilità? Io avevo subito raccontato com’erano andate realmente le cose. Salvo poi ricevere una telefonata: “Presidente, per favore rettifichi”. E io ho rettificato. Poi, però, è passata la linea che sono stato io a dare l’ordine di levarsi le maglie». La prima telefonata del giorno l’ha fatta a Maurizio Mascia, il suo avvocato: «Adesso basta, parti con le querele». Ha un obiettivo preciso: «Far finire questo stillicidio nei confronti del Genoa. E sino a quando rappresenterò questa società, dovrò curarne gli interessi. Anche se mi verrebbe da dire: chi me lo fa fare di stare ancora qua, andate tutti a quel paese». A questo punto la domanda è scontata: presidente Preziosi perché sempre lei nel mirino? «Perché — incalza Preziosi — sono una preda facile. Non ho i potentati a difendermi e nemmeno appartengo ad una corrente politica. E i cani sciolti sono i più facili da colpire. Però è troppo semplice sparare sempre e soltanto su di noi. Per esempio il caso del derby di Boselli. Per un attimo prendiamo per buona la teoria della colletta da parte dei 18 giocatori della Sampdoria in favore dei nostri quattro. Ma perché si indaga solo sui quattro giocatori del Genoa? Perché i nomi che sono usciti sono solo quelli di Milanetto, Criscito, Dainelli e Palacio? E quelli di Zauri e Palombo? E quello di Guberti? A parte che io i calciatori li conosco bene e non ce li vedo proprio mettersi la mano in tasca e fare una colletta da 100 mila euro ciascuno. Una cosa del genere sarebbe come la scoperta dell’America, succede una volta nella storia dell’umanità. Ma proprio perché sono arciconvinto che si tratti di una bufala colossale, non è corretto che il mostro da sbattere in prima pagina sia solo quello con la maglia rossoblù». Il futuro sportivo del Genoa? «Vado avanti nonostante le critiche, molte formulate anche da persone assolutamente disinformate. Sapete per esempio qual è stata la valutazione di El Shaarawy, un ragazzo che per il momento in serie A ha segnato appena due gol? Ve lo dico io: 25 milioni. E ho anche preteso che nella trattativa fosse inserito Merkel. Chi l’ha fatto l’affare: il Genoa o il Milan?». «Dov’è il dottor Gatto?». Terminato il suo lungo e accorato sfogo, Preziosi chiede del medico sociale del Genoa: «Dottore, mi rimisuri la pressione. Mi deve essere di nuovo salita alle stelle…». ___ Le indagini Rossi e lo strano derby “Mai sentito di accordi delle polemiche non so nulla” di MARCO PREVE (la Repubblica - Genova 22-07-2012) Marco Rossi, l’attuale capitano del Genoa, non solo nega che vi siano stati accordi tra suoi compagni e i “cugini” blucerchiati, ma addirittura sostiene di non essersi neppure accorto delle polemiche successive al derby dei veleni, quello giocato nel maggio 2011 e oggi al centro di uno dei filoni d’inchiesta partiti dalla maxi indagine sul calcio scommesse della procura di Cremona. Che i calciatori vivano in una torre d’avorio è cosa risaputa, ma pare che gli investigatori siano rimasti sorpresi di fronte alle risposte del capitano. Le domande sulla presunta combine gli sono state fatte dal pm Biagio Mazzeo e dai poliziotti della Digos pochi giorni fa, quando il magistrato e gli agenti sono andati a Bormio dove il Genoa è in ritiro, per interrogare i calciatori, in veste di testimoni, sull’episodio dell’irruzione degli ultrà nello spogliatoio del campo di allenamento. Blitz durante il quale sarebbero volati schiaffoni, insulti e minacce nei confronti dei giocatori. A Rossi, sentito per ultimo, sono state fatte anche alcune domande sul chiacchierato derby dello scorso anno, ma lui avrebbe negato di essere a conoscenza di qualsiasi combine, così come si sarebbe detto all’oscuro di successive polemiche. Il suo nome compare nell’elenco che compila, durante una telefonata intercettata, il capo ultrà rossoblù Massimo Leopizzi. Come è ormai noto, Leopizzi, riferisce una rivelazione di terza mano, secondo la quale l’ex sampdoriano Luciano Zauri avrebbe raccontato che, prima del derby, vi fu una cena in cui 18 calciatori della Sampdoria avrebbero manifestato la propria disponibilità a pagare i colleghi del Genoa se gli avessero fatto vincere il derby salvezza. La partita finì con la vittoria del Genoa, ma nei giorni e mesi successivi, sospetti e illazioni su un fantomatico accordo si susseguirono. Sempre a stare alle parole pronunciante da Leopizzi, alla cena erano presenti cinque genoani. Marco Rossi, che avrebbe rifiutato l’accordo e infatti non è indagato, e poi Domenico Criscito, Rodrigo Palacio, Dario Dainelli e Oscar Milanetto. Questi quattro avrebbero semprechè tutta questa storia non sia una bufala - , invece, accettato la combine e per questa ragione sono stati indagati a Cremona e ora anche a Genova dove il fascicolo è stato trasmesso per competenza. L’esito dell’indagine è piuttosto incerto visto il tempo passato, e poi perché anche a credere alla “torta” difficilmente i sampdoriani potrebbero aver pagato per una sconfitta. E’ comunque probabile che la procura sentirà prima di tutti - non si sa se nella veste di indagati o testimoni - Luciano Zauri, e poi i giocatori della Samp che erano nella rosa della società ai tempi del derby. ------- Il personaggio Il capo ultrà nell’inchiesta di Cremona Leopizzi indagato “Favoreggiamento nella frode sportiva” di MARCO PREVE (la Repubblica - Genova 22-07-2012) Massimo Leopizzi, l’«ultrachiacchierone » come è stato soprannominato dagli inquirenti il capo della tifoseria al centro delle indagini di Cremona e Genova, è indagato per l’ipotesi di favoreggiamento nei confronti di Enrico Preziosi. L’imprevedibile sviluppo giudiziario è di queste ore. La trasmissione degli atti da Cremona a Genova conteneva infatti la famosa intercettazione telefonica in cui Leopizzi, infuriato con Preziosi, confida all’amico calciatore Giuseppe Sculli un retroscena sulla combine Genoa-Venezia del 2004: «Ti dico una cosa, chi ti paga è un infame, tu prendi i soldi da un infame, questo p***o... Questo qua nel 2006 si è salvato dal carcere grazie a questo signore con cui sei al telefono. Rischiava nove anni di condanna sulla ,schiena... domani mattina sai cosa faccio? Vado in procura e dico ho fatto falsa testimonianza io nel 2006, mi butto pentito come Buscetta, gli dico scusate ho mentito, ma come si permette quello str..., ti ho salvato io». Leopizzi nell’inchiesta dell’epoca fu sentito come teste in merito ad un summit di capi ultrà a cui partecipò Preziosi, che venne anche registrato di nascosto. Preziosi fu condannato a 4 mesi per frode sportiva passata in giudicato, e nega un qualsiasi accordo. Anche Leopizzi, sentito a Cremona dalla procura disse che si trattava solo di parole in libertà. In ogni caso, anche se il pm Biagio Mazzeo dovesse scoprire che effettivamente nel 2005 Leopizzi non raccontò la verità, il reato risulterebbe coperto dalla prescrizione.
  17. Il caso Le regine del calcio europeo sostenute dalle stesse banche che adesso chiedono gli aiuti per salvarsi dal fallimento. La campagna acquisti è ferma Real e Barcellona, ora in bilico gli ingaggi d’oro Il rosso dei club tocca i 5 miliardi ma all’orizzonte non ci sono possibilità di fallimento di ALESSANDRA RETICO (la Repubblica 21-07-2012) ROMA — Ne avevano fatto a meno, con fierezza, per 111 anni. Poi si sono dovuti piegare: si era capito un anno fa che il calcio di lusso spagnolo era davvero fragile. Il Barcellona il 1 luglio 2011 aveva firmato il primo contratto nella sua storia con uno sponsor, la Qatar Foundation, organizzazione internazionale no profit araba. Nelle casse del club catalano 150 milioni di euro in 5 anni. Fu la fine di un mito di indipendenza. Niente in confronto con la crisi profondissima del paese dove il calcio è re. Le sue regine, Barcellona e Real Madrid, come stanno? Sono sostenute dalle banche, le stesse che l’Unione europea sta cercando di salvare dal fallimento. Uno degli istituti che più ha finanziato le operazioni dei Merengues, Bankia-Caja Madrid, è oggi nazionalizzata: i crediti sono quindi sostenuti da tutti i cittadini spagnoli. Con Bankia si pagano gli ingaggi di 10, 5 milioni per Messi, 13 per Cristiano Ronaldo, 14,8 per Mourinho. Come? Con prestiti a un interesse agevolato dell’1,5 per cento. Gli acquisti milionari, per forza di cose, andranno frenati. Mercato fermo, anzi paralizzato. Niente Maicon al Real. Eppure sono le società con il più alto fatturato al mondo (circa mezzo miliardo all’anno). Eppure non navigano nell’oro. Il debito del calcio spagnolo, prima e seconda divisione, è altissimo: si aggira attorno a 5 miliardi, di cui 4 con le banche, un mezzo punto del deficit nazionale. Il Real Madrid è indebitato per 660 milioni; il Barcellona per 548. Cifre da interpretare: leggendo con la lente dei debiti finanziari e bancari, i debiti lordi delle due squadre scenderebbero a 146 milioni per il Real Madrid e 150 per il Barcellona. Minori rispetto a quelli di molti top club europei, italiani compresi. E poi: ai club è stata concessa una dilazione di 8 anni per rientrare dei debiti entro il 2020, a partire dalla stagione 2014-15. Nel frattempo, e in controtendenza, le due squadre vantano anche un fatturato in crescita. Il Barca: 494,9 mln di euro (21,5 più dello scorso anno). Real e Barcellona sono al top del calcio europeo con un fatturato, rispettivamente, di 479 e 450 milioni. Ciascuna genera entrate per 180 milioni dai diritti tv, 123 milioni e 110 dalla biglietteria, 172 e 156 da sponsor e dal settore commerciale. Flussi così rigogliosi da non generare al momento particolari pericoli. Certo, la crisi del sistema bancario iberico con il maxi-prestito dall’Unione europea da 100 miliardi di euro renderà più complesso il finanziamento, in passato assai generoso, alle società. All’orizzonte non c’è un rischio default, insomma. Però logica vorrebbe che Messi, Mourinho e Ronaldo si tirino su le maniche e collaborino alla politica di austerità di Rajoy. Real e Barca emettono buste paga floride (216 e 241 milioni nel 2011). Ma adesso niente giocattoli nuovi, niente capricci. L’Europa soffre e non ce la farebbe, neanche moralmente, a fare una sottoscrizione alleata. Neanche per il suo più bel calcio.
  18. L’INCHIESTA SPORTIVA Palazzi studia i deferimenti Nubi sul Bari Il Procuratore federale focalizzerà le responsabilità dirette: Siena, Lecce e Grosseto in ansia di ALBERTO ABBATE & EDMONDO PINNA (CorSport 21-07-2012) ROMA - Ultime ore prima dei deferimenti. Stefano Palazzi sta studiando le carte, i risultati di mesi di lavoro. Sul tavolo le relazioni dei suoi più stretti collaboratori. Lavora, Palazzi, perché il tempo stringe, la nuova stagione è alle porte e non si può partire col piede sbagliato. Saranno le società che rischiano la responsabilità diretta (e le posizioni a loro collegate), le prime ad essere deferite, il 25 luglio, ma si agita il fantasma di qualcosa che possa precedere questa data, anche a livello informale. Bisognerà vedere dove porterà il lavoro degli inquirenti federali, soprattutto nel caso del derby pugliese, l’ultima situazione ad essere focalizzata. Semeraro è stato ascoltato giovedì, per la Procura di Bari l’ex presidente del Lecce (il rischio è la retrocessione in Lega Pro) è l’uomo che ha comprato quella partita. Però, il 13 giugno era stata ascoltata mezza dirigenza del Bari, dal dg Garzelli al ds Angelozzi, per non parlare del segretario Doronzo e del team manager Vino. Che qualche nube si possa addensare anche sui biancorossi? SENZA MACCHIA - La Federcalcio vuole un inizio di campionati senza macchia, ecco perché verrà data precedenza alle responsabilità dirette. La rischia anche il Grosseto (che ancora ieri, con un comunicato sul suo sito, proclamava la sua innocenza e quella del presidente Camilli). E’ in ansia pure il Siena e il suo presidente, Massimo Mezzaroma. Le parole di Coppola sembrerebbero scagionarlo, anche se la conferma di essere stato avvicinato da qualcuno (al quale il portiere non avrebbe dato importanza) potrebbero rappresentare, nei ragionamenti della Procura, una mezza corrispondenza con quello che ha dichiarato Carobbio ( «Coppola entrò negli spogliatoi sbiancato in volto rappresentandoci che poco prima, all’esterno degli spogliatoi, era stato avvicinato da una persona» ), anche se con una successiva correzione di rotta (non nello spogliatoio, ma in privato). Insomma, una situazione complicata, che si porta dietro anche Antonio Conte, l’allenatore della Juventus all’epoca dei fatti sulla panchina del Siena. Deferimento subito anche per lui, bisognerà scoprire con quale capo d’accusa. In ballo c’è il futuro. . .
  19. UN REBUS CHIAMATO FIAT La strategia finora vincente di Marchionne deve fare i conti con le vendite che calano, i dubbi che aumentano e una strana voglia di soluzioni stataliste Per la Fiom di Landini serve un piano statale: perché il governo francese si interessa di Peugeot e Monti si disinteressa di Fiat? Lo storico Berta, osservando il bilancio Exor, dice che la famiglia Agnelli guarda ormai fuori l’Italia, anzi fuori l’Europa L’ipotesi in ballo di un interesse tedesco di Volkswagen per il marchio Alfa Romeo (e non solo per il marchio) La strategia all’americana di Marchionne che adesso però vede con timori le aperture dell’Ue all’import di auto giapponesi di UGO BERTONE (IL FOGLIO 20-07-2012) Giorgio Airaudo, responsabile nazionale della Fiom per l’auto, attacca con la solita litania. “Sergio Marchionne – dice al Foglio – in Fiat non ne ha azzeccata una: piano, tempi, prodotti”. Poi però cambia tono: “Marchionne, che mi è pure simpatico, fa quel che può con quello che ha…”. Carlo Callieri, uno dei grandi protagonisti della Fiat dell’Avvocato nelle battaglie degli anni Ottanta, almeno sotto questo profilo, la vede in maniera quasi simile: “Marchionne è un manager tenuto a stecchetto”, ha commentato ieri in un’intervista a Repubblica. Insomma, il vero problema non è il manager con il maglioncino che quando ha potuto disporre, accanto alle tecnologie Fiat, dei quattrini prestati da Barack Obama, ha saputo fare miracoli in Chrysler. Intanto, per colpa del mercato (ma non solo) la Fiat italiana è deperita a livelli impensati: nell’anno bisesto 2012 in Italia non si produrranno più di 400 mila macchine, un milione in meno di quanto previsto dal piano Fabbrica Italia, 800 mila in meno di quel 2004, pure un anno disgraziato, in cui il manager mise piede al Lingotto per la prima volta. Il problema, insiste Callieri, non è lui, ma la mancanza di quattrini a sua disposizione per gli investimenti che ci vorrebbero. Roba che riguarda la proprietà: “Se c’è batta un colpo – ironizza Callieri – Ma per ora non vedo niente”. “Ormai Exor ha compiuto le sue scelte – commenta Giuseppe Berta, storico dell’economia e grande cultore di Fiat dalle origini a oggi – Basta vedere il portafoglio per capire che la famiglia guarda fuori Italia, anzi fuori Europa”. E allora? Se non ci pensa la famiglia, non resta che pensare alla mano dello stato? Assieme, o in alternativa, “all’ingresso di altri produttori”, come dice il leader della Fiom. L’ipotesi di un coinvolgimento del pubblico, in una qualche forma, insomma non è più un tabù. Per il sindacato non è una novità. Per il mondo politico e per buona parte del mondo degli addetti ai lavori, sì. Proprio ieri lo stesso Corrado Passera (uno che con Marchionne non si è mai preso fino in fondo) si è spinto a dire che “noi del governo dobbiamo seguire con grande attenzione quelle che possono essere le conseguenze sul nostro paese della trasformazione importante del settore dell’automobile”. Messa così la dichiarazione può significare molto o molto poco. Ma c’è molta differenza tra questa posizione e la solidarietà sfoderata dal premier Mario Monti anche dopo la visita lampo in Serbia, dove Fiat ha dirottato l’investimento per la 500L, inizialmente previsto a Mirafiori. Certo, al di là degli umori o delle preoccupazioni, le munizioni finanziarie a disposizione del governo, qualora si volesse metter mano a una qualche forma di incentivo accettabile anche in sede comunitaria (i motori verdi, per esempio, in cui l’Italia conta ancora un discreto vantaggio) sulla falsariga di quanto intende fare Parigi per Psa, sono davvero poca roba. “Per ora – spiega Berta – gli unici soldi sul totale di cui sono a conoscenza sono gli 80 milioni messi a disposizione dalla regione Piemonte: sono pochi pure per aiutare l’industria locale che, mi dicono, sta perdendo rapidamente le competenze accumulate negli anni al punto che non è più in grado di progettare e produrre, in base alle sole competenze locali, una vettura di classe C. Ma in chiave nazionale sono uno sputo nell’oceano”. Vero, ma spesso la volontà in politica conta più dei mezzi. Nel 2008/09, quando Marchionne tirò fuori dal cilindro la carta Chrysler, nessuna forza politica e sindacale italiana era disposta a sborsare un euro per gli “Agnelli che hanno avuto tanto”. E oggi? “Mi viene voglia di lanciare un’idea bizzarra – replica Airaudo – facciamo come in America. Diamo alla Fiat i soldi che chiede all’interesse del 9-10 per cento. Così Marchionne li restituirà il più in fretta possibile, dopo aver fatto gli investimenti. A differenza del passato, quando gli Agnelli non hanno restituito nulla”. Ma non si poteva fare prima, quando magari c’era ancora qualche spicciolo per dare una spinta all’industria dell’auto? “Forse sì, ma in quegli anni anche nei sindacati ha pesato la spinta leghista”. Difficile che certi ragionamenti facciano breccia nel Marchionne pensiero. Il numero uno di casa Fiat/Chrysler è più impegnato a occuparsi della crescita del gruppo in Cina e Russia e a tamponare l’inevitabile frenata del mercato brasiliano, in crescita geometrica ormai da troppi anni che ai tempi di sviluppo e realizzazione dei nuovi prodotti per la vecchia Europa. “Riteniamo – ha detto in occasione del lancio della 500L il responsabile del marketing Olivier François ribadendo il pensiero del capo – che lanciare oggi altri nuovi modelli su questo mercato sia una grande cazzata”. Meglio godersi i successi della sua Chrysler, ormai beniamina della grande stampa Usa. Il Wall Street Journal ha appena dedicato un servizio affettuoso alla Dart “l’auto che ha salvato Chrysler”, senza dimenticare di far notare che l’ultima nata di Detroit “è stata sviluppata sulla piattaforma dell’Alfa Romeo”. Il che ha il sapore della beffa: in Europa, in attesa delle nuove Alfa (Marchionne ha confidato ad Automotive News di averne bocciate quattro perché troppo Fiat style), il marchio del Biscione venderà quest’anno meno di 100 mila vetture. Intanto gli Stati Uniti si abituano al ritorno della vettura che sarà prodotta in Michigan o in Canada. Piuttosto che ai coupé Alfa che saranno sfornati da Fiat presso gli stabilimenti di Mazda in quel di Hiroshima per poi raggiungere la California. “Secondo voi – è il parere di Airaudo – per l’Italia conta di più un modello Alfa sviluppato da un’azienda a proprietà straniera ma con lavoro italiano od operazioni di questo genere?”. Conta il rispetto della proprietà privata, visto che il marchio Alfa è degli azionisti Fiat. “Vero, Marchionne cerchi di trarre tutto il vantaggio possibile. Ma lo stato non può più essere assente: Fiat ha firmato contratti con il governo in Brasile, Serbia e Usa. Ma da noi non c’è nemmeno un post it”. Intanto, proprio oggi, il giorno dopo l’annuncio che, causa l’invenduto di nuove Panda sui piazzali, nello stabilimento gioiello di Pomigliano scatterà dopo le ferie la Cassa integrazione, Volkswagen pianta in forma definitiva la sua bandierina sulla Ducati, dopo il via libera dell’Antitrust. Da Wolfsburg è arrivato un bell’assegno da 860 milioni, tanto per dimostrare che l’ammiraglia dell’auto tedesca, impegnata nella sua scalata al primato mondiale (dieci milioni di vetture nel 2018), non ha paura a puntare sul Bel Paese, dove già contano più di un piede grazie al controllo di Lamborghini, L’Italdesign di Giorgetto Giugiaro e, più ancora, grazie a una fitta rete di fornitori destinata a crescere dopo la sessione di incontri che De Silva, assieme allo stesso Giugiaro, hanno avuto con una fitta schiera di medie e piccole aziende cresciute a suo tempo nell’indotto Fiat. Oltre a una folta schiera di emigrati di lusso che non vedono l’ora di rimetter mano al Biscione. Primo fra tutti Walter De Silva da Como che, prima di sbattere la porta e approdare alla corte di Ferdinand Piech (che gli ha affidato il design di tutti i 12 marchi del gruppo), ha disegnato la linea delle Alfa che ancora caratterizza la Giulietta. “Gli incontri tra Volkswagen e Marchionne a suo tempo ci sono stati – commenta lo storico Berta – Da quel che ne so io i tedeschi erano interessati solo al marchio per cui hanno offerto una bella cifra, un miliardo almeno. Marchionne ha sparato molto più in alto. Non solo, ha posto come condizione la cessione di uno stabilimento in Italia, mentre il gruppo Volkswagen era interessato solo al marchio”. Fin qui le trattative passate. Ma, anche nel mondo dell’auto, non bisogna mai dire mai. Lo stesso De Silva ha fatto notare che Volkswagen ha pure investito in paesi ad alto costo del lavoro, vedi il Belgio. “Sarebbe un fatto nuovo – riconosce Berta – anche se non penso che i tedeschi siano interessati a uno solo degli stabilimenti Fiat in Italia. Semmai potrebbero aprirne uno nuovo. Ma è presto per parlarne”. Intanto, la casa di Wolfsburg ha appena introdotto per i suoi mille e passa dipendenti italiani il contratto alla tedesca. Se domani si aprisse un tavolo a Palazzo Chigi o presso il ministero di Passera sul futuro dell’auto in Italia, il colosso che affida una bella parte dei componenti dell’Audi ai fornitori del nord est potrebbe far la parte del convitato di pietra. O anche dell’ospite ufficiale, nel nome di un’amicizia industriale che frau Angela Merkel, a dire il vero, non dimostrò quando scartò l’ipotesi Lingotto per la Opel: visto com’è andata (tre anni dopo aver incassato i contributi governativi, Gm si prepara a chiudere almeno uno stabilimento oltre Reno), forse valeva fidarsi di Marchionne, come ha fatto Obama. Ma bando al futuribile. La sensazione è che molte decisioni, le più importanti, dovranno essere prese nei prossimi mesi. “Io mi fido di Marchionne – chiude Airaudo – lui aveva detto che i conti si sarebbero tirati con l’ultimo trimestre. Siamo vicini”. Le prospettive? “E’ stato lui a spiegarci al tavolo delle trattative che con una quota di mercato inferiore al 7 per cento fai fatica a tenere in piedi una rete distributiva e di assistenza a livello continentale”. Non meno drastico lo storico bocconiano Berta: “E’ arrivato il momento delle scelte. Ovvero di tirar fuori un progetto per l’Italia che oggi non c’è. A partire dai suoi attori: la Fiat, il sindacato, il governo e tutti gli altri che sono disposti a mettere quattrini e tecnologie su un progetto integrato. Non escludo nemmeno, in linea di principio, il modello Giugiaro, cioè la collaborazione a livello di indotto e di componenti. Insomma, un progetto in cui sia senz’altro la Fiat ma non solo più la Fiat”. Cosa risponderanno i vertici del Lingotto? La linea è ben nota: finché il mercato dell’auto resta quello che è (le vendite in Italia sono scivolate ai minimi dal ’79, meno di 500 mila vetture) la strategia non cambia: primo non prenderle. La sorpresa sarà relativa: Marchionne ha già fatto sapere che, di questo passo, alla Fiat cresce almeno uno stabilimento in Italia. Quale? Secondo Mediobanca Securities, i candidati più probabili alla chiusura sono Melfi (destinato alla nuova Punto, rinviata a data da destinarsi) e Cassino. Ma, a parte le linee della ex Bertone di Grugliasco, destinata alla Maserati, l’incertezza regna sovrana, anche in quel di Mirafiori dove gli investimenti per le linee dei primi Suv di casa Fiat, a detta dei sindacati, segnano il passo. Nel frattempo, Marchionne potrà continuare a interpretare la parte del Messia dall’altra parte dell’oceano, dove non passa mese senza che Chrysler non macini qualche nuovo record. E quella di Cassandra a Bruxelles, dove gli altri costruttori (non i tedeschi) stanno prendendo atto che il ceo di Fiat diceva il vero quando aveva previsto che la guerra dei prezzi, in assenza di interventi sulla capacità produttiva, avrebbe mandato all’aria i costruttori che più avrebbero confidato nella ripresa del mercato. Su un punto non è lecito nutrire dubbi: se Marchionne non avesse stretto i cordoni della borsa in Italia, concentrandosi su Chrysler, la Fiat, troppo fragile per reggere alla seconda ondata di crisi dopo aver resistito alla tempesta Lehman Brothers, sarebbe andata all’aria ben prima di Peugeot. E in Italia? La battaglia per assicurare agli impianti italiani condizioni in linea con il resto del mercato è ben lungi dall’essere vinta. La flessibilità, rispetto ai concorrenti, resta un miraggio lontano. Anche perché, come ha ricordato lui stesso, l’ultima vague del mercato è il contratto che le unions inglesi hanno accettato di firmare pur di ottenere il trasferimento ad Ellesmere della produzione della Opel Astra: 51 settimane di lavoro, tre turni, sabato lavorativo a richiesta della direzione aziendale. Un gioco pesante, non c’è che dire. Chissà, però, se dall’altra parte del tavolo il capo azienda Marchionne, che è un ottimo giocatore di poker, non troverà stavolta un ministro disposto ad andare a vedere le carte del numero uno del Lingotto prima che il baricentro del gruppo non sia del tutto spostato sull’altra riva dell’Atlantico. “Parliamoci chiaro – ha detto ieri sera il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini – il Piano Fabbrica Italia non c’è più. Non è possibile che se la Peugeot in Francia annuncia licenziamenti interviene il presidente francese in persona oltre al governo e ai ministri interessati, mentre in Italia il premier Mario Monti ha detto che la Fiat è libera di investire dove vuole”.
  20. Così Agnelli ha surfato sull'umore dei tifosi per fare di nuovo grande la Juve di FRANCESCO CAREMANI (IL FOGLIO.it 20-07-2012) “Abbiamo ancora fame”. Uno slogan, una promessa, quella della Juventus per la nuova campagna abbonamenti, che ha fatto storcere la bocca (e non solo quella) a tanti tifosi e blogger juventini. “Siete peggio di Monti. A quando l’Imu sul seggiolino?”, “Avete ancora fame? Ce ne siamo accorti”, “… la passione non è un business. Noi non siamo clienti… Noi siamo la Juve”. Questo il tenore di alcuni striscioni affissi in Corso Galileo Ferraris alcune settimane fa e, se come diceva Nanni Moretti “le parole sono importanti”, quel “Noi siamo la Juve” la dice lunga su come ancora i curvaioli percepiscono il calcio e su come il football contemporaneo sia distante anni luce da passione e ricatti psicologici tipici degli anni Ottanta e Novanta. L’aumento della curva è sintomatico: da 275 a 350 euro, per i vecchi abbonati, per i nuovi il costo sarà di 390, compresa la prima di Coppa Italia, il derby e la prelazione sulle partite di Champions League. Costi che arrivano ai 1.090 euro per l’Est Centrale 1° Anello: “Se il prezzo aumenta ma ottengo una crescita dei servizi in termini qualitativi allora può anche essere giusto e chiaramente si va in questo modo a fare una selezione della clientela/tifoseria. Più alzo l’asticella del pricing, più avrò come club un target elevato di utenti/spettatori” sottolinea Marcel Vulpis direttore dell’agenzia sporteconomy.it. In molti dimenticano, infatti, che lo Juventus Stadium è di proprietà del club; è come entrare in casa d’altri, sono loro che decidono chi può accedere e come. Nella stagione appena conclusa la società bianconera ha registrato dall’impianto un incasso di circa 26 milioni di euro, soldi non sufficienti a segnare il passo verso una vera crescita. Lo stesso ad Giuseppe Marotta ha sottolineato come fino ad ora lo stadio sia stato sfruttato solo al 50 per cento delle sue potenzialità. Obiettivo non dichiarato? Quaranta milioni di euro, partendo dall’aumento degli abbonamenti e sperando in una Champions League entusiasmante oltre che lunga. Ma c’è di più. Calciopoli ha lasciato il segno sul tifoso juventino più di quanto lo abbia lasciato nella società. C’è stata una mobilitazione senza precedenti, c’è chi s’è costruito una professione, scavando un solco profondo tra curva e club, come se la prima si fosse appropriata armi e bagagli del secondo. La curva voleva Conte? E' arrivato Conte (per fortuna di tutti, visti i risultati e il gioco espresso). La curva vorrebbe indietro i due scudetti tolti dalla giustizia sportiva? Ed ecco Andrea Agnelli alla carica di Lega e Federazione per riavere indietro ciò che a suo tempo gli avvocati bianconeri "restituirono". La curva vuole la terza stella sulla maglia? E per tutto l’anno si parla quasi esclusivamente di quello. Anzi ci sono juventini che ritengono questi aspetti più importanti dello scudetto vinto e della rinascita sportiva della Juventus, errore di valutazione di non poco conto, quando molti campioni bianconeri hanno più volte sussurrato (Buffon in testa) quanto sia importante guardare avanti e godersi le nuove vittorie. Andrea Agnelli ha preso in mano una società debole, rasa al suolo da Calciopoli e da molti errori di mercato. Con pazienza la sta ricostruendo, sia dal lato sportivo, quello più evidente, sia da quello economico e politico. La terza stella non è mai stato un oggetto, semmai uno strumento per cercare di riequilibrare il peso bianconero all’interno dei palazzi del calcio, un peso in questi ultimi anni spostato tutto sul rossonero. Ma questo i tifosi non l’hanno capito, restando fortemente delusi su ciò che considerano un dietrofront. Che poi la scritta “30 sul campo” sia la soluzione migliore è tutto da vedere: di sicuro andranno a ruba queste maglie, così come quelle dove poter attaccare la terza. Jean-Claude Blanc, incompreso da tutti, ha lasciato la grande eredità dello stadio (sta facendo la stessa cosa al PSG col Parco dei Principi e i petrodollari), eredità che la nuova dirigenza ha saputo cogliere alla grande e che vuole sviluppare ulteriormente. Andrea Agnelli ha saputo surfare sugli umori della curva, smarcandosi (anche con l’aumento degli abbonamenti, come già accaduto per certi versi in Inghilterra) appena possibile da una deriva pericolosa, sia come presidente che come club moderno e lanciato verso la sostenibilità economica. Uno degli slogan preferiti dai tifosi bianconeri recita più o meno così: “Noi siamo la Juve, gli altri no”. Sì, ma noi chi?
  21. SCOMMESSOPOLI Semeraro e Preziosi nel mirino Il presidente del Genoa risulta indagato (con Palacio) a Cremona per Genoa-Samp. E la versione del Lecce sui 250 mila euro per il derby col Bari non convince Palazzi di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 20-07-2012) ROMA. Ha smentito su tutta la linea: le parole di Masiello , la sua credibilità. Per Pierandrea Semeraro il derby Bari-Lecce fu gara regolare. L’ex presidente del Lecce ha deposto ieri in procura federale, chiamato a smentire le accuse che lo vedrebbero committente di circa 250mila euro in diverse tranche versati nelle tasche di Andrea Masiello e dei suoi complici Carella e Giacobbe, per comprare il derby. Semeraro è rimasto quasi tre ore, in cui ha spiegato una tesi che agli inquirenti del calcio non ha convinto. I suoi legali (Andrea Sambati e Saverio Sticchi Damiani ) mirano a scardinare la credibilità del pentito e di Carella , che indicano proprio Semeraro in compagnia di Carlo Quarta in Piazza Mazzini il giorno in cui venne pattuita la combine. Le diverse versioni di Masiello e un dettaglio, sono gli ultimi appigli dell’ex presidente per allontanare un’accusa che ora pende anche in sede penale: Quarta - sostengono i legali - è socio di Semeraro per altri affari che non riguardano il calcio, circa tre mesi prima di Bari-Lecce ci fu un altro passaggio di denaro e questo dimostrerebbe che anche gli altri soldi furono girati per motivi estranei alla combine. Come andrà a finire lo sapremo a breve, perché il caso Semeraro comporterebbe al Lecce l’ingresso della «corsia preferenziale» del prossimo processo alle sole responsabilità dirette. Quella eventuale di Semeraro porterebbe il club salentino dritto in Lega Pro. Per Grosseto-Crotone e Portogruaro-Crotone, è stato ascoltato ieri anche il ds del Crotone Giuseppe Ursino . Mentre per precisare la sua posizione e dichiararsi estraneo ai fatti, si è fatto ascoltare Pierpaolo Sganga , membro del cda del Siena. PREZIOSI INDAGATO. Dopo l’irruzione al ritiro del Genoa, ieri è seguita la trasmissione degli atti da Cremona alla procura di Genova. Si viene così a sapere che risultano indagati dal pm di Cremona, Roberto Di Martino , oltre a Milanetto , Dainelli e Criscito , anche Palacio e il presidente del Genoa, Enrico Preziosi . I giocatori per frode sportiva relativa al derby Genoa-Sampdoria, il patron per i rapporti con il capo ultrà Massimo Leopizzi. La procura di Genova al momento non indaga nessuno, ma sotto consiglio di Di Martino potrebbe presto approfondire il caso-Preziosi. A Cremona ieri è stato riascoltato Laszlo Strasser , che ha confermato di essere a conoscenza delle presunte combine Palermo-Bari, Novara-Siena e Lazio-Genoa. ___ Scommesse Il Lecce rischia la Lega Pro ora è Preziosi nel mirino di MATTEO PINCI (la Repubblica 20-07-2012) L’ombra del calcioscommesse si allunga rapidamente sul presidente del Genoa Enrico Preziosi. Dopo la doppia inchiesta di Cremona, il faldone è stato ricevuto alla procura di Genova dove, nelle mani del procuratore Biagio Mazzeo, promette di dar vita a un terzo terremoto giudiziario, di eguale magnitudo rispetto ai due precedenti. La prima mossa, una volta ricevuti gli atti firmati dal pm Di Martino, sarebbe l’iscrizione al registro degli indagati di cinque persone per frode sportiva. Ma l’idea è ambiziosa: ripartire dalle carte di Cremona per riconsiderare sotto un unico occhio vari episodi discussi: il derby Genoa-Samp dell’8 maggio 2011, quello dagli «effetti devastanti» secondo Cremona, ma anche il sequestro della squadra rossoblu nello spogliatoio da parte di una quarantina di ultrà con minacce e aggressione a Dainelli, e infine quel Genoa-Siena dello scorso maggio quando la curva impose ai giocatori di restituire le maglie da gioco. Aprendo un nuovo fascicolo, onnicomprensivo delle attività degli ultrà e dei rapporti con i giocatori rossoblù. In cui il nome di maggior rilievo intorno a cui si catalizza l’attenzione è quello del presidente Preziosi. Da un presidente all’altro: l’ex presidente del Lecce Pierandrea Semeraro era chiamato ieri a rispondere davanti alla Procura Federale dell’accusa di aver “comprato” il derby Bari-Lecce del 2011. Risposte che, però, non avrebbero convinto gli uomini del pool del procuratore Palazzi. All’ormai ex numero uno del club è stato chiesto di spiegare in particolare un assegno da 50 mila euro in favore di Carlo Quarta, uomo vicino a Semeraro, che poi avrebbe ritirato quei soldi per girarli a Carella, il tramite con l’ex difensore del Bari Masiello. Semeraro, assistito dai legali Sticchi Damiani e Sambati, ha a sua volta mostrato agli 007 federali assegni risalenti ai mesi precedenti alla data del derby e di entità simile per «attività svolte da Quarta per Semeraro». Spiegando anche di non aver avuto contatti diretti con l’organizzazione, citando le dichiarazioni messe a verbale dallo stesso Carella. Elementi che però non avrebbero convinto la procura, forte di tabulati e celle telefoniche che confermano la mappa di incontri con Quarta per i ricevere i soldi disegnata dallo stesso Carella. Difficile quindi che il Lecce possa evitare il deferimento per responsabilità diretta della società: sarà poi il giudice Artico a dover valutare se trasformare l’indicazione in retrocessione del club in Lega Pro. ___ IL CASO GLI ATTI DELL’INCHIESTA PASSATI ALLA PROCURA LIGURE: LA PRESUNTA COMBINE SAREBBE ALL’ORIGINE DELLE SUCCESSIVE MINACCE COMPIUTE DAGLI ULTRA’ Preziosi indagato per il derby, ma non da Genova Il provvedimento preso da Cremona: adesso sarà valutato dal pm Mazzeo di FRANCESCO CENITI & LUIGI PERNA (GaSport 20-07-2012) Ci sarebbe anche il nome di Enrico Preziosi negli atti trasmessi dalla Procura di Cremona ai colleghi di Genova sull'inchiesta relativa al derby del maggio 2011. Indagato per frode sportiva, dovrebbe essere questa l'ipotesi di reato contestata al presidente del Genoa. Ma la sua posizione è particolare, tecnicamente «sospesa». L'incartamento, infatti, ha cambiato «titolare»: ora è nelle mani del pm Biagio Mazzeo che oltre al procedimento sul calcioscommesse col coinvolgimento della Samp, segue anche quello su Genoa-Siena (già eseguite 10 misure cautelari a carico di ultrà) e il filone sulle presunte minacce subite dai giocatori dopo l'irruzione dei tifosi nel centro d'allenamento a Pegli. Toccherà dunque a Mazzeo confermare l'iscrizione di Preziosi nel registro degli indagati oppure, una volta valutati i documenti, archiviarla. Ci sarebbero altre 4 persone indagate: le decisioni forse nella prossima settimana. Gli sviluppi Di sicuro il pm Mazzeo sembra intenzionato ad andare fino in fondo per sbrogliare una matassa complicata. All'origine di tutto ci sarebbe l'ipotesi che i giocatori della Samp avessero tentato di comprare il derby, circostanza emersa grazie all'intercettazione dell'ultrà Leopizzi operata dalla Procura Cremona. In quella telefonata si raccontava come 18 doriani avevano raccolto 1,8 milioni di euro per corrompere 5 genoani. Particolare svelato da Zauri. Combine sarebbe saltata per il rifiuto del capitano Marco Rossi. L'episodio avrebbe avuto lo stesso un effetto dirompente: la curva rossoblù avrebbe saputo della proposta. Ecco spiegato, secondo la ricostruzione di chi indaga, la convocazione di Criscito (sentito dal pm Mazzeo) all'osteria del Coccio alla presenza dell'ultrà Fileni (arrestato lo scorso 21 giugno). Il ruolo di Sculli Quel giorno era presente anche Leopizzi che in un'altra intercettazione si scaglia contro Preziosi. E proprio i rapporti tra club e tifoseria potrebbero aver spinto la Procura di Cremona a inserire tra gli indagati anche il patron del Genoa. Ora, come scritto, il pm Mazzeo, valuterà tutti gli atti. Magari intrecciandoli all'aggressione degli ultrà dello scorso 12 gennaio a Pegli con minacce ai giocatori, in particolare a Jorquera e Dainelli (colpito con uno schiaffo). Solo qualche mese più tardi i tifosi fermano Genoa-Siena. E anche su questa sfida il pm l'altro ieri a Bormio ha chiesto spiegazioni ai 13 calciatori rossoblù, portati in caserma e interrogati. Gli inquirenti non disdegnano il materiale raccolto. Ci sarebbero alcune dichiarazioni poco convincenti sui motivi che hanno portato alla ripresa della gara. Forse potrà fornire maggiori spiegazioni Beppe Sculli (presente all'Osteria del Coccio insieme al pregiudicato Altic, poi arrestato): trattò con gli ultrà durante la sospensione. La procura di Cremona aveva chiesto il fermo per Sculli (negato dal gip), ritenendolo il regista della combine Lazio-Genoa. Sculli a Cremona non è stato mai sentito, ma adesso una chiamata dalla Procura di Genova è scontata.
  22. Tre gradi di giudizio Slittano i campionati? di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 20-07-2012) ROMA. Colpo di scena, entra in ballo il terzo grado e l’inizio dei campionati è a rischio. Ieri la procura federale ha chiuso l’indagine con Semeraro ed entro mercoledì prossimo emetterà i deferimenti che riguarderanno i casi di responsabilità diretta (sulle spine Lecce, Grosseto e Siena), la famosa «corsia preferenziale» di cui si parla da tempo. Ballano retrocessioni e promozioni d’ufficio, e proprio per questo tutti (Figc, procura e Leghe) vogliono agire con il massimo della cautela. I campionati inizieranno solo dopo che si sarà espresso il Tnas nei casi di eventuale ricorso di club retrocessi. Le Leghe non possono permettersi di iniziare il campionato prima che il Tnas non abbia convalidato le sentenze. I tempi diventano strettissimi se si pensa che nella migliore delle ipotesi di secondo grado prima di Ferragosto, occorrerà attendere le motivazioni della CGF e dipanare i dibattimenti al Coni in soli 10 giorni. La Figc lo dice da tempo: «Vanno garantiti tre gradi entro l’inizio del campionato». La Serie A partirà il 26 agosto, la Serie B ha ufficializzato ieri l’inizio al 25 (ultima giornata il 18 marzo 2013). Si parlava del 18, troppo presto. Palazzi corre contro il tempo. ___ IL PROCESSO In arrivo i deferimenti i giudici dovranno correre di CARLO SANTI (Il Messaggero 21-07-2012) ROMA - L asettimana prossima la Procura della Federcalcio emetterà i deferimenti inerenti gli ultimi interrogatori. Stefano Palazzi dovrà definire le posizioni di club come Lecce, Grosseto e Siena chiarendo se nei loro confronti ci sarà la responsabilità diretta. Per il Napoli, invece, la situazione appare diversa e il club, in merito alla vicenda portata alla luce da Gianello, rischia una multa. Tra i tesserati, con Semeraro in primis, c’è Antonio Conte che rischia il deferimento. I tempi del processo, che potrebbe cominciare nei primi giorni di agosto, si allungano poiché dopo la sentenza della Commissione Disciplinare occorrerà attendere quella della Corte di Giustizia sportiva e, infine, del Tribunale nazionale arbitrale dello sport. Occorre fare in fretta perché con i campionati al via (il 26 agosto la serie A, il 25 la B) non si può rischiare di far cominciare un torneo con club la cui posizione non è chiara.
  23. CREMONA IERI L’UNGHERESE INTERROGATO DAL GIP Strasser conferma Le partite sospette hanno i «registi» Coincidono le date: Lazar e Ilievski visti a colloquio con i calciatori di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 20-07-2012) Laszlo Strasser porta altra acqua al mulino della Procura di Cremona, da tempo convinta che Novara-Siena e Lazio-Genoa siano state combinate. L'ex calciatore ungherese ieri è stato sentito di nuovo dal gip Guido Salvini e in un paio d'ore ha fornito i chiarimenti necessari, soprattutto sulle date. La sua presenza in Italia con altri indagati coincide con le gare sotto inchiesta. I viaggi Strasser, sposato, due figli, gestore di un ristorante a Budapest, sarà scarcerato nelle prossime ore. Nei due interrogatori ha confermato di essere venuto nel nostro Paese per la prima volta l'8 e 9 aprile 2011 assieme a un altro degli indagati, Matyas Lazar, e di avere conosciuto Ilievski a Cernobbio. «Laszlo per questa gente faceva il factotum — hanno precisato gli avvocati Krisztina Molnar e Andrea Di Giuliomaria — non era a "libro paga" di nessuno e non ha alcun ruolo nei presunti comportamenti illeciti di queste persone». Strasser ha riferito che «in alcuni alberghi c'erano dei giocatori di calcio con i quali Ilievski e Lazar parlavano. Io, però, stavo in disparte, rimanevo in camera o seguivo altre cose legate al viaggio. Non ero al corrente o lo sono stato mai dei contenuti di questi colloqui». Ma ha aggiunto: «Percepivo che loro in questi viaggi avevano un interesse legato al calcio e alle scommesse». L'allenatore misterioso Tra l'1 e l'8 maggio Strasser è stato con Lazar a Como, Bari, Bologna, Milano, e l'ungherese ha detto di avere incontrato Almir Gegic, Mauro Bressan, Antonio Bellavista e Vittorio Gatti, quest'ultimo in un ristorante di Bergamo «la sera dell'8 maggio». Il giorno prima si era giocata Palermo-Bari e Gatti fu spedito dagli Zingari in Puglia a ritirare dal portantino Angelo Iacovelli i 250 mila euro della fallita combine. Soldi che, anche alla luce delle parole di Strasser, sarebbero stati restituiti a Gegic e Ilievski proprio a Bergamo l'8 maggio. Strasser ha rivelato, inoltre, che Lazar avrebbe incontrato anche «se non sbaglio un allenatore che aveva lavorato in Ungheria con tale mansione». Chi è? Partite sospette Che Lazar e Strasser fossero in Italia l'1 maggio, giorno di Novara-Siena, non ci sono dubbi. Ma sulla partita che vede coinvolto anche il tecnico della Juve, Antonio Conte, Strasser non ha portato altri elementi oltre a quelli già conosciuti. Strasser e Lazar sono tornati in Italia il 14 maggio, giorno di Lazio-Genoa, e hanno preso una camera all'Una Tocq di Milano. Lo stesso hotel dove erano alloggiati amici e compagni dell'ex genoano Dainelli per il suo addio al celibato, tra cui Milanetto (secondo l'accusa erano lì per ritirare il denaro per la combine, ma i due calciatori hanno sempre negato). «Ilievski non era con noi — ha detto Strasser — ma ricordo che Lazar era in contatto con lui e gli parlava per telefono. In albergo c'era Bellavista, che era in un gruppo di persone». E poi: «Qualche giorno dopo il nostro rientro in Ungheria, Bourgulya e Schultz sono andati in Italia. Mi sembra siano andati a Lecce». Per gli inquirenti è il viaggio finalizzato alla combine di Lecce-Lazio. ___ SI RAFFORZANO LE ACCUSE DELLA PROCURA DI CREMONA Strasser non convince il gip Salvini L’ungherese nega di aver taroccato le partite: «Facevo solo da autista a un amico» di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 20-07-2012) MILANO - Il secondo interrogatorio davanti al gip Guido Salvini di Laszlo Strasser ha confermato l’impianto accusatorio costruito dalla Procura di Cremona. L’ex calciatore ungherese ha tentato di dribblare le contestazioni (su tutte, quella di far parte dell’organizzazione criminale che truccava le partite di A e B), ma le sue spiegazioni non hanno convinto e certe risposte, giudicate evasive o palesemente poco credibili, non hanno fatto altro che rafforzare le certezze di Salvini. Nel secondo faccia a faccia con Strasser, che al termine dell’ora e mezzo di colloquio ha chiesto la revoca della custodia cautelare o in subordine i domiciliari (forse oggi il gip darà l’ok), gli inquirenti hanno sottolineato che l’ungherese si trovava insieme ad alcuni connazionali e a Ilievski in alberghi di Cernobbio, Bari, Milano, Bologna e Malpensa in concomitanza con alcune delle partite taroccate (Lazio-Genoa, Novara-Siena e Palermo-Bari). Per dimostrarlo hanno portato una serie di contatti telefonici con altri componenti dell’organizzazione e altri riscontri. Strasser, più volte in Italia tra l’aprile e novembre 2011, non ha negato i viaggi, ma si è difeso dicendo di aver fatto solamente da autista dell’amico Matyas Lazar e di non aver taroccato nessun match. «Guidavo l’auto - ha fatto mettere a verbale - gestivo gli ingressi e i check out negli alberghi. I miei compagni di viaggio non mi hanno coinvolto nelle loro attività ma percepivo che loro in questi viaggi avevano un interesse economico legato al calcio e alle scommesse». Ha spiegato di essere un ex calciatore e di aver interrotto la carriera (per intraprendere quella del ristoratore) solo a causa di un infortunio a un ginocchio. Con i trascorsi nel mondo del pallone ha spiegato la conoscenza con altri indagati, mentre ha negato di aver ricevuto soldi da Choo Beng Huat in un rapido incontro a Malpensa considerato... molto sospetto (eufemismo) dagli inquirenti. Ha infine definito superficiali le conoscenze con Gegic, Gatti e Bressan. ___ CALCIOSCOMMESSE Il factotum degli «zingari» getta nuove ombre su Conte, Lazio e Siena di GILBERTO BAZOLI (Libero 20-07-2012) CREMONA Laszlo Strasser, il factotum della cellula ungherese del calcioscommesse, era in Italia in concomitanza con alcune delle partite al centro dell’inchiesta: Lazio-Genoa, Palermo-Bari e Novara-Siena, uno dei match che ha inguaiato Antonio Conte, allora allenatore della squadra toscana. La circostanza, emersa dai tabulati telefonici e dalle registrazioni negli alberghi, è stata confermata da Strasser, interrogato ieri dal gip Guido Salvini per la seconda volta nel giro di una settimana: «L’impianto accusatorio è confermato», sostiene il gip. Ex giocatore molto conosciuto in patria dove ha militato in tre società di serie A, Strasser ha detto d’aver conosciuto Almir Gegic e Hristiyan Ilievski, i capi degli “zingari”, e Vittorio Gatti, il camionista bergamasco che riportò da Bari i 250. 000 euro delle puntate per la mancata combine dell’incontro con il Palermo. Strasser, che sarà scarcerato nei prossimi giorni, ha affermato di non essere «coinvolto nelle attività» degli altri ungheresi «ma percepivo che loro in questi viaggi avevano uninteresse economico legato al calcio ealle scommesse». «Non era a libro paga», hanno sostenuto i suoi avvocati, Andrea Di Giuliomaria e Kristina Molnar.
  24. Il mercato non c’entra Ibra e la teoria del giusto stipendio di DARIO DI VICO (CorSera 20-07-2012) Nell’anno IV della Grande Crisi è quasi scontato indignarsi per il superstipendio che il signor Zlatan Ibrahimovic percepirà dal suo nuovo club, il Paris Saint Germain. I 16,2 milioni di euro l’anno di ingaggio fanno a pugni con l’etica e persino con il buon senso. Del resto una corrente di pensiero piuttosto ampia sostiene che proprio la pessima distribuzione del reddito sia una delle cause della mancata ripartenza delle economie occidentali. Quindi non ci resta che consegnare Ibra al Fisco transalpino e vedere che cosa ne esce fuori, fino a che punto i Befera parigini si spingeranno a tassarlo in nome dell’égalité e fino a dove i suoi datori di lavoro, la Qatar Investments, si faranno carico delle imposte pur di non contrariare l’irascibile Zlatan. Siccome però considero l'indignazione un sentimento quanto meno parziale, varrà la pena affrontare il caso Ibra-Psg anche da un altro punto di vista. La domanda clou potrebbe essere questa: se il calciatore svedese con il suo lavoro creasse valore e ricchezza attorno a sé e questo surplus si spalmasse su un consistente numero di persone perché dovremmo indignarci davanti al suo super emolumento? Anzi, dovremmo ringraziare il nuovo Re Mida cresciuto nei sobborghi di Malmoe. Il guaio, però, è che il mercato dell'intrattenimento calcistico è largamente imperfetto. Tale da rendere difficile anche la risposta «contabile» al quesito di prima. Un calcolo assolutamente spannometrico ci porta a dire che il Psg per rientrare dei soldi dati a Zlatan dovrebbe vendere in un anno 450 mila magliette in più. Ma è chiaro che i vantaggi della squadra parigina non possono essere solo misurati con il metro delle magliette vendute e comunque lo stipendio di Ibra è una delle spese previste dal presidente Nasser Al Khelaifi (si parla di un budget di 200 milioni) per sperare di vincere la Champions League. Ed è proprio qui che si nasconde la verità. Come ha spietatamente sottolineato il procuratore Mino Raiola, una sorta di Gordon Gekko del calcio, ci sono solo tre squadre che oggi possono girare con il portafoglio aperto: il suddetto Psg, il Manchester City dello sceicco Mansour e il Chelsea dell'oligarca russo Roman Abramovich (tutte e tre allenate, guarda caso, da italiani). Per le altre, comprese le spendaccione Barcelona e Real Madrid, il futuro è quantomeno grigio e anzi lo stesso Raiola ha predetto che nel giro di un paio d'anni le due squadre iberiche falliranno visto che le banche che le hanno ampiamente sussidiate dovranno comunque rientrare dei loro soldi. Delle squadre tedesche manco a parlarne, nel novero dei club più prodighi di ieri e di oggi non compare nessuna squadra germanica nonostante la supremazia economica che il Paese di Frau Merkel esercita pressoché incontrastata sul Vecchio Continente. Né il Bayern Monaco né i rivali del Borussia Dortmund si sarebbero mai avventurati a pagare uno stipendio simile. Morale della favola: quella del calcio nonostante il suo straordinario appeal — l'Unicredit sponsorizza Champions ed è molto soddisfatta — è una non-industria. E la teoria della creazione del valore applicata a Ibra non funziona. La Qatar Investments, Abramovich e lo sceicco Mansour sono dei soggetti extra sistema, possono amabilmente infischiarsene dell'equilibrio tra costi/ricavi e del fair play finanziario professato dalla Uefa di Michel Platini. Zlatan in questo contesto è un mero oggetto del desiderio e quindi il prezzo della sua prestazione può essere calcolato solo in termini di affezione. Il mercato (purtroppo) non c'entra, non si riuscirà mai a dimostrare se quello stipendio alla fine avrà prodotto valore aggiunto o no. Ps. Samuel Eto'o prende ogni anno dai russi dell'Anzhi 20 milioni ma l'opinione pubblica locale, si sa, in materia di cattiva distribuzione del reddito è più disattenta di quella francese. ___ IL FISCAL COMPACT DEL PALLONE di FAUSTO PANUNZI (LAVOCE 20-07-2012) L'ultimo caso è il passaggio di Ibrahimovic e Thiago Silva dal Milan al Psg. Ma sono ormai diverse le stelle del calcio vendute da squadre italiane in nome del fair play finanziario, una sorta di fiscal compact del calcio, imposto dalla Uefa per ridurre drasticamente le enormi perdite dei club. Ma ai tifosi sembra che valga solo per le squadre del nostro campionato, visto che altri continuano a spendere e a garantire ingaggi milionari. È possibile che la regola sia aggirabile. Le società italiane, però, rimangono troppo legate ai ricavi dai diritti televisivi. I trasferimenti di Zlatan Ibrahimovic e Thiago Silva dal Milan al Paris Saint-Germain per una cifra complessiva intorno ai 65 milioni di euro, a cui vanno aggiunti gli ingaggi milionari dei due giocatori (per Ibra si parla di quasi 14 milioni l’anno per tre anni), hanno sollevato perplessità nei tifosi milanisti e italiani. La scorsa estate c’era stata la cessione di un altro top player come Eto’o, venduto dall’Inter all’Anzhi, una squadra che gioca nel campionato russo, priva di tradizione calcistica, ma ricca di risorse finanziarie. Si può ormai dire che nessuna delle grandi stelle del calcio mondiale giochi oggi in Italia. IL FISCAL COMPACT DEL CALCIO Uno degli argomenti che viene avanzato dalle società che vendono i loro calciatori più importanti è che le cessioni servono per rispettare il fair play finanziario imposto dall’Uefa, l’organo che gestisce le competizioni calcistiche in Europa. Il fair play finanziario, introdotto per ridurre le enormi perdite che gran parte dei club europei hanno avuto in questi ultimi anni, è una specie di fiscal compact calcistico. Impone che, fino al 2014-15, le società che intendono partecipare alle competizioni europee debbano chiudere i loro bilanci nel triennio precedente con un deficit complessivo non superiore ai 45 milioni di euro (con una tolleranza di altri 5 milioni). Il deficit complessivo tollerato nel triennio scende entro il 2018 a 30 milioni di euro, fino poi, in teoria, ad azzerarsi (sempre fatta salva la tolleranza dei 5 milioni) negli anni successivi. In altre parole, l’obiettivo del fair play finanziario è quello di ancorare le spese ai ricavi delle società stesse. È importante aggiungere che nei costi non vengono conteggiate le spese per costruire uno stadio nuovo e l’investimento in calciatori giovani, così da incentivare le società a investire in attività che diano dei frutti nel futuro. Quali sono le sanzioni imposte dall’Uefa alle società che non rispettano il fair play finanziario? Si va dalle multe, alla perdita dei premi Uefa previsti per le competizioni europee, al blocco del mercato per una o più sessioni, fino all’esclusione dalle competizioni europee. UNA REGOLA CHE NON VALE PER TUTTI? La domanda che i tifosi italiani si pongono è la seguente: ma il fair play finanziario non vale anche per il Psg dello sceicco Al Thani, il quale non solo si è preso campioni celebrati come Ibra e Thiago Silva ma anche giovani promesse come Marco Verratti, arrivando a spendere in due anni quasi 200 milioni? Ovviamente anche il Psg, che è un club francese, è soggetto alla normativa Uefa. Come è possibile allora che Milan e Inter debbano vendere per il fair play finanziario, mentre il Psg, come il Manchester City dello sceicco Al Mansour, continuano a spendere, apparentemente senza limiti? Ci sono almeno tre possibili spiegazioni. La prima è che la capacità di generare ulteriori ricavi sia maggiore per il Psg rispetto al Milan. In altre parole, grazie a Ibra e Thiago Silva, la squadra francese potrebbe aumentare i suoi ricavi da diritti televisivi, incassi dallo stadio, premi Uefa, merchandising. Il fatturato del Psg è oggi molto più basso di quello del Milan (non è tra i primi venti club europei come ricavi secondo Deloitte, mentre il Milan è al settimo posto, dunque questa ipotesi può avere qualche validità. Ma è altamente improbabile che i ricavi futuri del Psg cresceranno nei prossimi anni di una cifra vicina alle spese sostenute in questi anni. La seconda spiegazione è che il Psg sia convinto che alla fine le sanzioni Uefa non saranno applicate. È difficile escludere dalle competizioni le squadre con le stelle calcistiche mondiali, dato che l’Uefa stessa sarebbe danneggiata da una Champions senza City o Psg. Inoltre, il principale promotore del fair play finanziario, il presidente Michel Platini, potrebbe presto rimpiazzare Joseph Blatter alla guida della Fifa e non è detto che il suo successore abbia la stessa determinazione. La terza è che il fair play finanziario sia aggirabile. Supponiamo che una società controllata direttamente o indirettamente dallo sceicco Al Thani decida di offrire una sponsorizzazione generosissima al Psg, ad esempio in cambio del nome sulle maglie o allo stadio. Questo farebbe aumentare i ricavi e quindi ridurre il deficit, magari fino ai 45 milioni previsti dal fair play finanziario. L’Uefa ha previsto il caso stabilendo che per queste voci occorre mettere a bilancio il fair value. Ma può stabilire qual è il valore “equo” di una sponsorizzazione? Insomma, come tutte le regolamentazioni, forse anche per il fair play finanziario esistono delle modalità per aggirarlo. Lo vedremo tra pochi mesi. Quello che è chiaro è che in Italia ormai le società sono sempre più legate ai ricavi delle televisioni e che le altre fonti di ricavi (proventi da stadio, merchandising, sponsorizzazioni) non sono al livello di quelle dei migliori campionati europei. Ci vorranno anni per rovesciare questo trend e quindi per un po’ dovremo rassegnarci a vedere i migliori calciatori giocare all’estero. Per fortuna le televisioni fanno già vedere anche la Premier, la Liga e la Bundesliga. E, c’è da scommettere, dal prossimo anno, anche la Ligue 1. ___ salaryCap LA FOLLIA NON È LO STIPENDIO DI IBRA MA IL COSTO DEL LAVORO NEL CALCIO di MARCO IARIA (GaSport 21-07-2012) Lo stipendio strappato da Ibrahimovic allo sceicco del Psg — 14 milioni compresi i bonus — ha suscitato indignazione in Francia e riaperto il dibattito dappertutto sui compensi iperbolici che girano nel calcio. Un déjà vu. Cedere al moralismo sarebbe facile, ma pure fuorviante. È sotto gli occhi di tutti la distanza siderale che passa tra un giocatore d'élite e l'operaio che dagli spalti lo vedere tirare quattro calci a un pallone. Ancor più in tempi di crisi come questi, divorati da un senso comune di precarietà. Ma la domanda da farci è un'altra: Ibra quei soldi li vale davvero tutti? Posto che a scorrere la classifica di Forbes sugli sportivi più ricchi il primo calciatore (Beckham) è solo all'8o posto, il fenomeno va guardato attraverso una prospettiva industriale. Perché il calcio è a tutti gli effetti un'impresa dello spettacolo. Con una specificità: a differenza degli attori, i giocatori non sono soltanto prestatori d'opera, ma fanno parte del patrimonio di un club, per chi non ha uno stadio di proprietà ne costituiscono addirittura l'unico vero asset. Significa che ai gol e ai chiari di luna di un campione sono legati a doppio filo i destini della squadra. Che gode e incassa se indovina un acquisto che la porta in trionfo, per poi magari rivenderlo a prezzo maggiorato. Ma che piange e s'inguaia in caso di flop. La parabola di Ibra è esemplare. Tra il 2006 e il 2009 l'Inter ha riempito le tasche dello svedese col sorriso tra i denti: l'ha preso dalla Juve travolta da Calciopoli per 25 milioni, se n'è servita per vincere tre scudetti di fila, l'ha dato al Barcellona ottenendo una plusvalenza da 54 milioni. Provate, invece, a chiedere notizie di Ibra agli spagnoli: schiumeranno rabbia pensando ai litigi con Guardiola e agli oltre 40 milioni di buco che ha lasciato nel bilancio andandosene in saldo al Milan. Fin qui l'esempio singolo. Che non mette a fuoco il problema. Come non può farlo il caso limite di David Beckham: il Real ha venduto un milione di magliette nei primi sei mesi dall'arrivo dell'inglese (estate 2003) e segnato un +137% alla voce merchandising (per introiti totali di 440 milioni) durante la sua permanenza a Madrid. Un ritorno dell'investimento in piena regola, a fronte dei 26 milioni netti percepiti in quei quattro anni dallo Spice Boy, per di più con la tassazione agevolata del 24% (la Ley Beckham, appunto). Il problema, tuttavia, è strutturale. E di strettissima attualità vista l'incongruenza tra le spese pazze di Al Thani e la stretta annunciata da Platini col fair play finanziario. Non è che sia eccessivo il compenso di Ibra, è eccessivo l'intero costo del lavoro del calcio europeo: otto club su dieci di prima divisone hanno un monte-stipendi pari al 100% del fatturato. Una follia. L'impennata delle spese figlia della sentenza Bosman e dei denari della tv è arrivata a un punto di non ritorno. Tutti noi vorremmo il salary cap. Non è possibile, ma a suon di dismissioni (vero Berlusconi e Moratti?) ci si arriverà coi fatti. Unito a una bella cura dimagrante delle rose. Perché in A 38 tesserati per squadra sono davvero troppi.
  25. IL CASO Accordo collettivo Adesso c'è l'intesa fra la Lega e l'Aic di MATTEO BREGA (GaSport 19-07-2012) La firma arriva tra qualche giorno: il punto di incontro tra Lega Calcio e Assocalciatori per il rinnovo dell'accordo collettivo è stato raggiunto. L'assemblea dei club ha dato la disponibilità a togliere quell'«anche» che nero su bianco aveva insinuato dubbi sull'interruzione del pagamento degli stipendi ai calciatori «anche» in situazioni differenti dal calcioscommesse. Risolte le divergenze, si firmerà l'accordo valido per la stagione 2012-13. La Lega vorrebbe legarlo al rinnovo della convenzione promo-pubblicitaria. Passi avanti ce ne sono stati e l'Aic ha accettato. Nella gestione collegiale dei diritti d'immagine rientreranno diverse novità tipo le card, a cui è interessato Preziosi che ieri ha cenato a Milano con Bogarelli (Infront). Assemblea Cancellata l'assemblea prevista per lunedì: in calendario resta solo il Consiglio per motivi legati alle tempistiche di lavoro. Le bozze sullo statuto e sulla ripartizione dei proventi sono state licenziate dalle commissioni. Lunedì il Consiglio le valuterà, poi verranno inviate ai club e ai primi di settembre torneranno in assemblea per l'approvazione definitiva. Andiamo nello specifico. Il presidente di Lega (elezioni entro dicembre) manterrà il diritto di voto e gran parte dei poteri operativi verranno trasferiti dall'assemblea al consiglio. Per la ripartizione dei proventi, l'intento è quello di non stravolgere l'impianto attuale dando più peso alla meritocrazia e in particolare alla classifica dell'ultimo anno premiando chi staziona nelle zone alte e proteggendo chi invece retrocede, con un maggiore paracadute. Le divergenze ancora ci sono, ma si sta lavorando per appianarle. Infine la tv. Per la parte dei diritti in chiaro rimasti invenduti il bando verrà rifatto dopo che è andato deserto l'ultimo giro di offerte. Il canale della Lega invece rimane un tema sotto traccia perché al momento resta solo una prospettiva futuribile e non immediata. ___ LA LEGA DI SERIE A Nuovo accordo con l’Aic Beretta promette la firma di PIETRO GUADAGNO (CorSport 19-07-2012) MILANO - L'appuntamento è per il Consiglio Federale in programma oggi a Roma. Beretta da una parte, Tommasi dall'altra e, sul tavolo, l'accordo collettivo. «C'è un assenso di massima, quindi arriveremo a chiudere in tempo», ha garantito ieri il presidente di Lega. Insomma, ci sono tutti i segnali per una rapida conclusione, come recentemente si è augurato Abete. Poi si apriranno le trattative per la convenzione promo-pubblicitaria: se ne occuperà la commissione creata ad-hoc in via Rosellini, che ieri ha presentato i suoi lavori. Ad esempio, c'è stata un'interessante presentazione di Preziosi sui diversi canali di sfruttamento per l'immagine di ciascun calciatore: non solo le classiche figurine, ma anche giochi in scatola e non, oltre che video-games. In questo senso, dall'Assocalciatori c'era già stata un'apertura rispetto ai vecchi accordi del 1981. NODO POPOLAZIONE - A margine dell'Assemblea, si è riunita anche la commissione dedicata alla riformulazione dei criteri per la ripartizione dei proventi per la vendita dei diritti tv. Pare che uno dei nodi principali riguardi il 5% legato agli abitanti del Comune che ospita la squadra. Fino all'anno scorso, in caso di città con 2 squadre, la popolazione veniva conteggiata di fatto 2 volte. Con ben 4 derby nel prossimo campionato (Milano, Roma, Torino e Genova), invece, il nuovo progetto prevede una divisione a metà del totale degli abitanti. L'incidenza maggiore, a questo punto, sarà per Roma e Lazio, visto che la popolazione della Capitale è quella più vasta. Normale, quindi, che Lotito stia cercando un modo per attenuare gli effetti della modifica. TV DELLA LEGA - Lunedì prossimo si parlerà anche del nuovo statuto, mentre il nuovo calendario dovrebbe essere varato giovedì 26 luglio. Per chiudere, la questione dei diritti tv ancora invenduti: l'offerta di Cielo per il pacchetto utile per il format di "Quelli che il calcio..." è stata respinta ed è stato formulato un nuovo prezzo. Nel frattempo si lavora al progetto della tv della Lega, attraverso cui verrebbero diffuse sul digitale le partite che rimarranno fuori dal pacchetto già ceduto a Mediaset. Proprio quest'ultima, insieme a Telecom e Centro Europa 7, ha già dato la sua disponibilità ad ospitare il canale della serie A.
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