Vai al contenuto

Ghost Dog

Tifoso Juventus
  • Numero contenuti

    11014
  • Iscritto

Tutti i contenuti di Ghost Dog

  1. Sussurri & Grida Saras si finanzia e risale dell’11% di S.AGN. (CorSera 30-06-2012) Alla fine anche per la Saras deiMoratti la giornata di ieri si è chiusa con un bel balzo: quasi l’11% a Piazza Affari dopo che il titolo aveva toccato nei giorni scorsi i valori minimi di sempre. A dare ossigeno alla quotazione (e all’intero gruppo) non sono state tanto le notizie dal vertice europeo che hanno sostenuto indiscriminatamente tutto il listino, quanto la firma di un contratto di finanziamento da 170 milioni di euro con un pool di banche. Lamossa avviene proprio in coincidenza con la partenza dell’embargo verso l’Iran, che scatterà il primo luglio. Ma il gruppo dei Moratti ha già provveduto da tempo a sostituire l’import di greggio da Teheran con forniture da altri Paesi (come ad esempio l’Arabia Saudita). Sullo sfondo, però, restano sempre due fattori negativi: la crisi strutturale dell’industria della raffinazione europea e il calo dei consumi di carburante. ___ Il Sole 24 ORE 30-06-2012
  2. Eurodeliri in libertà: “Ora lo spread lo decidiamo noi” QUELLI CHE CONFONDONO IL PALLONE E LA REALTÀ di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 30-06-2012) “Cani randagi”. Non quindi i “Rabid dogs” di Mario Bava, i cani arrabbiati e banditeschi del cinema italiano più amato da Quentin Tarantino, ma Antonio Cassano e Mario Balotelli “persone non autosufficienti” descritti con eleganza da Reinhold Beckmann e dall’ex Bayern Mehmet Scholl, dai microfoni della tv pubblica tedesca. Eccolo il partito dell’amore, il primo prodotto di Euro 2012, la grottesca riedizione del 13 ottobre 1943. Italia e Germania in guerra e interpreti meno convincenti del professor Kranz di Villaggio: “Chi viene voi adesso?” o di Busacca e Jacovacci, Gassman e Sordi, in una precedente puntata dell’eterno conflitto con l’univer so asburgico. “Fegato dicono, conoscono solo quello alla veneziana”. Gli attori di oggi sono caratteristi. Macchiette. E la partita virtuale, disturbata dalle rifrazioni reali, c’è da giurarlo, continuerà a lungo. Gianni Petrucci, in delirio mistico, detta il proclama alla patria: “Potete dire ufficialmente” concede “che lo spread lo detta la Nazionale”. Poi con afflato da bonifica pontina, il “Duce” del Coni ora neosindaco di San Felice Circeo lancia la campagna per la raccolta del grano: “Le chiacchiere stanno a zero. Questa è la realtà: facciamo divertire e per questa Nazionale non finisce qui”. Aulico: “La vittoria più bella” filosofeggia: “è quella che deve ancora venire”. Cronache marziane da un Paese piegato dal caldo, dall’ebrezza improvvisa, dai colpi di fucile e dalle notti magiche. Carnevali fuori stagione. I Pm che tra Cremona, Napoli e Bari hanno indagato sul calcioscommesse cambino passaporto. Foglio di via immediato. Riprovazione. Come nel 2006, quando Marcello Lippi partì da Giordano Bruno e ritornò da Torquemada, l’onda d’urto è violenta. I dubbi bruciati in piazza. Forza Italia. Lo urlano i dirigenti sportivi all’ultimo giro che si riscoprono felici, gli zingari della dichiarazione a gettone che rinunciano al nomadismo e piantano la tenda nel campo dei vincitori e i politici preoccupati di strappare lo 0, 1% alle prossime elezioni. Mentre Monti fa sapere che domenica sarà a Kiev, il più querulo, come a volte gli capita è Daniele Capezzone. In piena sindrome ormonal-pallonara, il portavoce del portavoce del portavoce, alza il timbro: “Fino a qualche giorno fa fioccavano i commenti giustizialisti e manettari, c’era chi si spingeva a chiedere l’esclusione di Buffon, dopo una campagna mediatica di insinuazioni e sospetti privi di valenza giuridica”. NEL DUBBIO di essere ignorato, Capezzone rispolvera la categoria preferita dal capo. Amore e, soprattutto, odio: “Resta ancora qualche isolato pasdaran che, sempre in nome del giustizialismo, proclama di tifare contro l’Italia di Buffon (E ammettetelo che avete il capo dei de-menti in redazione... ndt). Chi fa così dà la misura di un approccio distruttivo, di chi sa solo odiare, e vorrebbe ballare sulle macerie del Paese, molto al di là del calcio”. Meno ecumenico di Cesare Prandelli: “Adottati da Napolitano” (che a sua volta aveva parlato di “impresa che riempie di gioia”), di Papa Ratzinger: “Come Vescovo di Roma, Il Papa gioisce con la gente”, ma in linea con l’ elegante carrello delle fantasie bollite e dei revanchismi che ieri mattina, sui quotidiani nazionali, ci facevano insultare la Germania. Avvicinandoci più di quanto non sospettassimo alla demenza del duo Beckmann-Scholl e al ruolo sacrificale della Grecia e al comprensibile livore ellenico. Più odioso di certe copertine di Der Spiegel di un’epoca lontana e oltre qualsiasi piatto di spaghetti, pistola fumante, stilizzazione di penisola, ecco Il Giornale di Feltri, enigmatico: “Ciao, ciao culona”. Poi Libero di Maurizione Belpietro: “Vaffanmerkel” e, romanocentrico, il Tempo di Sechi: “Due pizze e via”. Poi gli altri. Da Tuttosport: “Li abbiamo fatti neri” a Il Corriere dello Sport: “Le abbiamo fatto uno Spread così” padre legittimo di un editoriale dal titolo sublime: “Restituita felicità a un Paese”. E, anche se le possibilità esistono, non abbiamo ancora vinto. In attesa di beatificare Buffon, santificare Bonucci (“Linciato” secondo Capezzone) e rivedere le scene del 2006 con pullman aperti e sabba popolari, ci si può accontentare di quelli telematici. Su Facebook , vetrina dell’insulto libero in cui trasfigurare Angela il cancelliere alternativamente in Hitler o Nosferatu, si esercita un ragazzo dalle grandi speranze. Di contumelie è un sommo esperto (suo l’indimenticabile tomo “Berlusconi ti odio. Le offese della sinistra a B.”) e di nome fa D’Alessandro. Luca D’Alessandro. Il capo ufficio stampa del Pdl, preoccupato dal contropiede di Capezzone, ha voluto giurare fedeltà alla nazione. A modo suo. Un post delicato. Un’ironia lieve: “E la culona inchiavabile lo prende in quel posto”. Statisti si nasce, tifosi si diventa, saltimbanchi si resta per tutta la vita. Palla al centro. Abbasso il mafioso. Dagli al crucco.
  3. CALCIOSCOMMESSE Genova, spuntano altri nomi nell’indagine La procura ligure chiede gli atti a Cremona. Intanto Palazzi ancora non ha fissato l’interrogatorio per Conte di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 30-06-2012) CREMONA - La sua volontà di tornare in Italia per chiarire la sua posizione si è limitata a una telefonata un paio di settimane fa ai magistrati cremonesi, poi il silenzio e nessun viaggio nel nostro Paese. Almir Gegic ha deciso di trascorrere un'estate in patria evitando per almeno un altro paio di mesi il carcere della città sul Po. Forse arriverà a settembre, cercando di limitare il numero di giorni dietro le sbarre (le vacanze dei magistrati in estate gli avrebbero fatto rischiare un soggiorno «importante»). Nessuna notizia invece da Ilievski, l'altro boss degli zingari. NUOVI NOMI - Due giorni fa intanto la Procura di Genova ha chiesto a Cremona gli atti relativi all'inchiesta sui tifosi rossoblù per Genoa-Siena, un'indagine che però ha risvolti anche sul derby dell'8 maggio 2011. Entro una decina di giorni in Liguria saranno inviate anche intercettazioni inedite (alcune devono essere ancora trascritte) nelle quali emergono responsabilità di nuovi calciatori che finora non erano stati citati per la famosa colletta milionaria che sarebbe stata organizzata per comprare la gara (5 «premi» da 350.000 euro l'uno per altrettanti giocatori rossoblù). Gli inquirenti di Cremona viste le cifre in ballo hanno qualche perplessità, ma non considerano quelle di Leopizzi semplici chiacchiere da bar. Adesso però il compito di approfondire spetterà alla Procura di Genova. MEMORIE DI CONTE - Il tecnico della Juventus non è stato ascoltato a Cremona, ma in compenso i suoi legali hanno presentato voluminose indagini difensive per chiarire l'estraneità ai fatti del loro assistito. La stessa documentazione è stata fornita a Palazzi che per il momento non ha ancora fissato l'interrogatorio di Conte. Gli inquirenti cremonesi avevano pensato di chiamare sia il presidente del Siena Mezzaroma sia l'ex portiere dei toscani Coppola (che non a caso non è stato ancora ascoltato da Palazzi...), ma per il momento hanno temporeggiato. Su Bertani, che il Tribunale del Riesame di Brescia non ha «catalogato» come membro fisso dell' associazione, è probabile il ricorso in Cassazione della Procura di Cremona che riguardo all'attaccante della Samp ha una serie dettagliata di contatti telefonici e incontri con Ilievski e altri personaggi chiave della vicenda. A settembre Di Martino definirà qualche posizione procedendo allo stralcio di alcune di queste. Approcci per arrivare a un patteggiamento ci sono già stati. Per il processo sarà necessario attendere oltre un anno, possibile che per l'associazione siano una trentina le persone a giudizio. ------- L’INTERVENTO Il pm Di Martino «Buffon? Il migliore E ce l’abbiamo noi» di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 30-06-2012) CREMONA - Chi pensava che il pm Roberto Di Martino avesse qualcosa contro l’Italia o contro Gigi Buffon dopo l’inchiesta sul calcio scommesse che sta portando avanti da oltre un anno, ieri ha capito di sbagliarsi perché il magistrato cremonese ha voluto fare i complimenti alla Nazionale e al capitano azzurro: « Buffon è il miglior portiere del mondo - ha detto - ma non l’ho scoperto in questi Europei perché lo sapevo già da tempo. E’ stato decisivo anche contro la Germania e senza di lui non saremmo arrivati in finale. E’ un plus: noi ce lo abbiamo e gli altri no». C’è chi sostiene che l’inchiesta di Cremona abbia dato la spinta alla squadra, che abbia ancora più cementato il gruppo. Di Martino, però, non la pensa così: « Io a queste cose credo poco perché quando uno gioca, si libera la mente. La concentrazione in certe competizioni è tale che non hai in testa altro. A questa inchiesta qualcuno avrà pensato il primo giorno, ma la nostra operazione non credo abbia influito nel bene o nel male sui risultati dell’Italia. Se siamo arrivati in finale è perché siamo i migliori e la nostra squadra ha qualità». ___ il Giornale 30-06-2012
  4. Palazzo di Vetro di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 30-06-2012) PRIMA RIPUDIATI, ORA SANTI SUBITO CRONACA DI UN EUROPEO SPECIALE Da presunti appestati a «santi subito», il percorso di Giancarlo Abete e Antonello Valentini è ormai ultimato. Partiti sotto la cattiva stella di uno 0-3 amichevole con la Russia, di una gestione bifronte dei casi Bonucci e Criscito, di qualche mancato controllo sulle esternazioni di Prandelli e di qualche eccessiva interferenza sui patteggiamenti di scommessopoli, presidente e direttore generale della Federcalcio tornano stravincitori dall’Europeo, a prescindere da come andrà a finire domani con la Spagna. Cambiale in bianco per una riconferma alla guida della Federazione che, vedrete, finirà con l’avvenire per acclamazione proprio a cura di tutti quelli che erano già pronti, sotto sotto, a scatenare in caso di fallimento la tempesta perfetta. Cose che capitano nelle migliori famiglie. D’altra parte, questo degli appestati o se preferite dei ripudiati che diventano vincenti è proprio il leit motiv di un Europeo mai così azzurro, e la cosa non può non indurre a qualche riflessione. Prendete i tre grandi protagonisti: Prandelli ripudiato dalla Fiorentina dei Della Valle, Balotelli ripudiato dall’Inter di Moratti (e di triplete Mourinho), Pirlo ripudiato dal Milan di Galliani e/o Allegri. Sono constatazioni oggettive, mica invenzioni. E dicono che il calcio italiano e la grande maggioranza dei suoi dirigenti di club, afflitti da eccessive insofferenze e da stranierismo acuto, spesso e volentieri prendono memorabili cantonate. Succede. Che fare? Intanto come ha già fatto la Juventus di Agnelli, che all’atto della sua ennesima rifondazione ha con decisione virato, pur senza rinunciare a guardare oltreconfine, sul prodotto italiano. Nella Nazionale che ha schiantato la Germania di juventini ce n’erano in campo sei, un numeromostruoso se solo pensiamo che Inter, Milan e Roma, per citare qualche nome tra i club più in vista, sei italiani contemporaneamente in campo li riescono a schierare solo in casi eccezionali (l’Inter, per la verità, neanche in quelli visto che sei italiani proprio non ce li ha). Una bella riconversione industriale, magari con occhio più attento ai vivai e un po’ meno sensibile ai procuratori, specie quelli che promuovono senza tregua le suggestioni del calcio sudamericano, non guasterebbe. E l’Europeo non sarebbe passato invano. E’ una convinzione della quale già da tempo stanno facendo tesoro in Federcalcio. Non solo Prandelli, ma anche Albertini e Sacchi, il dopo Sudafrica è stato un susseguirsi di persone giuste al posto giusto. Grazie all’andamento dell’Europeo, ora queste persone possono e devono essere messe nelle condizioni di poter lavorare meglio di quanto non abbiano potuto fare finora. Abete lo sa e oggi ha la forza per persuadere anche i più refrattari tra i presidenti dei club. E’ necessario che Prandelli esca da questo Europeo vincitore «oltre» la finale con la Spagna. Sperando che poi quello non decida, proprio perché vincitore, di sfilarsi. «Alternative inesistenti», sussurrano in Federazione. Tremando un po’. ------- GaSport 30-06-2012
  5. Il caso Fontana? Un assist a Conte «Spero di ribaltare la condanna e dare una mano a chi vive la mia situazione» di STEFANO LANZO (TUTTOSPORT 30-06-2012) TORINO. Il mondo era improvvisamente crollato addosso ad Alberto Jimmy Fontana, portiere del Novara condannato il 18 giugno dal primo grado della giustizia sportiva a tre anni e sei mesi di squalifica per la vicenda Scommessopoli. «E questo perché sono stato tirato in ballo da una persona che io non conosco e non ho nemmeno mai visto, Carlo Gervasoni . Il quale, negli interrogatori del 22 e del 23 dicembre, non ha mai fatto il mio nome. Poi, cinque giorni dopo, il 27 dello stesso mese, mi ha citato, perché avrebbe sentito una terza persona parlare di me. Ciò mi ha lasciato completamente di stucco, paralizzato». SIMILITUDINI Ma Fontana non si è abbattuto, non ha nemmeno gridato allo scandalo. Ha cercato dentro se stesso e nel costante affetto dei familiari la forza di andare avanti, confidando nella giustizia, convinto che alla fine la verità verrà fuori. Nessuna polemica, nessuno sfogo scomposto né tantomeno furia cieca contro il sistema. Semplicemente la consapevolezza, unita alla speranza, che il secondo grado di giustizia possa ribaltare tutto. E magari dare una mano a chi, in situazioni più o meno simili a quelle di Fontana, attende di scoprire quali saranno i nuovi sviluppi degli altri filoni di indagine. Con i conseguenti provvedimenti. E’ il caso di Antonio Conte , finito nel calderone perché direttamente citato da un altro pentito, Filippo Carobbio , per la partita Siena-Novara del campionato 2010-11 di serie B. PROVE CONCRETE Sono situazioni differenti, però con un denominatore comune, come spiega il portiere del Novara: «Il punto è che la mia difesa non vuole screditare la posizione dei pentiti, ma ha l’obiettivo di evidenziare che la parola di un pentito possieda valore soltanto se confermata da riscontri. Da prove concrete. Non essendoci appunto riscontri, tutto questo castello di accuse dovrebbe cadere. Nel mio caso poi il pentito non riporta un’esperienza diretta, ma parla per sentito dire. Il mio non è un grido di disperazione: io continuo a nutrire rispetto e fiducia nella giustizia sportiva e ho la speranza che la condanna che mi è stata inflitta possa essere cancellata, perché la verità è che ci sono soltanto la citazione di un pentito, peraltro di seconda e terza mano, e l’assoluta mancanza di riscontri a queste affermazioni». IL PARADIGMA La partita più lunga della carriera di Alberto Fontana riparte lunedì, dal processo di appello che si terrà all’ostello della gioventù di Roma: via alla prima udienza della Corte di giustizia federale. Un passaggio cruciale, anche e soprattutto per le sanzioni che arriveranno successivamente, sulla base degli altri filoni di indagine e del lavoro delle altre procure, non solo quella di Cremona. Fontana sarà difeso dall’avvocato Davide Gatti , del foro di Asti, il quale presenterà una memoria difensiva che punterà a dimostrare l’inconsistenza di un’accusa che, secondo il legale dell’ex portiere del Torino, «non è supportata da prove, per di più trattandosi di una testimonianza non diretta». C’è in bilico la carriera di un ragazzo di 37 anni che aveva firmato un rinnovo di contratto quinquennale con il Novara, con la prospettiva, una volta appesi i guantoni al chiodo, di vestire gli abiti da dirigente. Fontana è a un bivio: dal secondo grado potrà uscire la conferma della prima sentenza oppure l’assoluzione completa. Non ci sono vie d’uscita. E, considerata la vicenda del portiere, paradigmatica per valutare casi similari, la speranza di Fontana va a braccetto con quella di chi attende gli sviluppi di un’estate torrida per il calcioscommesse. Ecco perché il granatissimo Jimmy potrebbe, per così dire, dare una mano alla Juventus e al suo allenatore. La nuova partita è appena cominciata. ------- Ma il tecnico finora non è stato deferito Il procedimento “Cremona ter” che coinvolge Conte sarà esaminato a fine luglio, però il bianconero potrebbe starne fuori del tutto di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 30-06-2012) ROMA. Sono passati 4 mesi da quando per la prima volta Filippo Carobbio accusò Antonio Conte sulle presunte riunioni galeotte del Siena. Da quel giorno il pm federale Stefano Palazzi si è concentrato su altro (processo Cremona bis e ora inchiesta di Bari e Napoli), ma Conte quando intende sentirlo? TER Rientrando nel Cremona ter, nel caso in cui Palazzi decidesse di procedere prima con Bari e Napoli, è possibile uno slittamento dell’audizione tra fine luglio e i primi di agosto (l’ultima audizione napoletana è il 9 luglio). Palazzi attende tuttavia riscontri anche dalla perquisizione subita da Conte il 28 maggio nella sua abitazione. Quello stesso giorno vennero perquisite anche le abitazioni dei suoi ex giocatori senesi Vitiello , Coppola, Terzi , del suo vice Stellini , e dei dirigenti del Siena Perinetti e Faggiano , oltre che del patron Massimo Mezzaroma . Hard disk, schede telefoniche, tutto copiato dalla Polizia. Da Cremona è già stata trasmessa l’ultima ordinanza, ma Palazzi vorrebbe avere in mano tutto il materiale prima di aprire il caso-Siena, che vede poche prove: Carobbio da una parte, i senesi compatti dall’altra. NOVE NO Qualcuno ha ventilato il rischio che Conte possa essere eventualmente deferito con l’articolo 9 (associazione), mandando a processo (seppur con una sola multa) anche la Juventus come accaduto per Samp, Siena e Spezia con Bertani e Carobbio. Una strana applicazione estensiva della responsabilità oggettiva che la Disciplinare ha accolto, ma che ora rischia di cadere in secondo grado. Le recenti sentenze del Tribunale del riesame di Brescia offrono in questo un assist ai club, visto che sia a Turati che a Bertani è stato tolto il capo d’accusa associativo. L’avrebbero detto anche a Milanetto e Mauri se il Gip Salvini non li avesse scarcerati prima, per questo il laziale ricorrerà in Cassazione e l’ex genoano potrebbe fare altrettanto. Intanto gli avvocati tuonano contro il «mostro giuridico» della responsabilità oggettiva. Ieri all’Università di Milano, al corso di perfezionamento in diritto sportivo, c’erano anche il legale della Juve, Chiappero, e quello del Milan, Cantamessa, i quali ritengono l’oggettiva una norma che «tutela un solo soggetto: il sistema».
  6. La testimonianza L’ex capitano della Nazionale campione del mondo ascoltato a Napoli in una causa per diffamazione Fabio Cannavaro contro la Rai: danneggiato da un falso scoop Il processo «Un video scherzoso su una flebo mi ha danneggiato perché sono stato definito un dopato» di LEANDRO DEL GAUDIO (IL MATTINO 29-06-2012) La sera prima della finale di coppa Uefa, la vigilia in un albergo di Mosca, un video amatoriale in cui scherza con i compagni di squadra, era il Parma del 1999. Poi, qualche tempo dopo, la diffusione di quel video e una serie di contraccolpi: un fascicolo aperto dalla Procura federale, poi l’archiviazione, ma anche l’associazione del suo nome al doping. Una storia raccontata ieri pomeriggio dall’ex campione del mondo Fabio Cannavaro, ascoltato ieri in aula nel corso di un processo che vede imputati due giornalisti Rai - Giovanni Masotti e Massimiliano Parisi - gli autori dello scoop sulla notte prima della finale di coppa, quella del Grand hotel Marriott a Mosca, 11 maggio 1999, prima della finale di coppa Uefa vinta dal Parma per 3-0 contro il Marsiglia. Tredici anni dopo, il caso torna attuale. Aula 220, parla Fabio Cannavaro. È parte lesa in un processo per diffamazione e violazione della privacy, sostiene di essere stato danneggiato dalla pubblicazione di quel servizio. Che storia è questa? Cosa ha spinto Cannavaro a sporgere querela e a presentarsi in un’aula di tribunale? Dinanzi al giudice monocratico Sassone, lo spiega l’ex campione del mondo: «Eravamo in ritiro, in un albergo di Mosca, era la notte prima della finale Uefa, era un video amatoriale nel quale comparivo anch’io, oltre ad alcuni miei compagni di squadra». È così che Cannavaro si mette a recitare la parte del finto «tossico» napoletano, nella scena in cui gli viene applicata una flebo mentre è disteso su un lettino. Non erano sostanze dopanti - come venne dimostrato dinanzi agli organi disciplinari - eppure, a sentire il racconto reso ieri da Cannavaro, quel servizio televisivo lo avrebbe danneggiato anche negli anni successivi. Difeso dal penalista napoletano Roberto Guida, Cannavaro ha ricostruito la sua versione: «Ancora oggi c’è un giornalista di Roma che insiste a definirmi dopato o ad associarmi a storie di doping. Quel video mi ha creato problemi anche nei rapporti con gli sponsor». Difesi dal penalista Carmine Ippolito, i due giornalisti Rai sostengono invece di aver agito in modo corretto, dal momento che nel servizio non era stato mai associato il nome di Fabio Cannavaro al doping o all’uso di sostanze vietate. ___ GaSport 29-06-2012
  7. Le opinioni Lode ai bravi giornalisti sportivi Anche se scrivono solo di partite di calcio, i giornalisti sportivi britannici sono più efficienti e professionali dei loro colleghi. La loro qualità più apprezzata è la velocità di DAVID RANDALL senior editor del settimanale Independent on Sunday di Londra (Internazionale 955 | 29 giugno 2012) Quasi tutti i settori hanno le loro misteriose gerarchie interne, per cui persone che prendono lo stesso stipendio e hanno la stessa età, per motivi che dall’esterno non sembrano chiari, hanno uno status sociale diverso. Questa curiosa gerarchia la troviamo anche nel giornalismo, dove i cronisti politici e i corrispondenti dall’estero, per esempio, godono di un prestigio che i loro colleghi esperti di sport (e in particolare di calcio) non hanno. Forse questo potrà sembrare strano ai milioni di persone convinte che essere ben pagati e spesati per seguire gli Europei di calcio sia il massimo. E in effetti lo è, ma il giornalismo sportivo non è una cosa seria. E perciò, senza il prestigio che conferisce raccontare le guerre, la politica e le crisi finanziarie, nell’ambiente è considerato frivolo, cosa su cui i giornalisti sportivi scherzano volentieri. Spesso si definiscono “i ragazzi in fondo all’autobus”, immagine che evoca un ipotetico viaggio in pullman dei redattori di un giornale in cui i cronisti politici e i corrispondenti discutono di cose serie nelle prime file, mentre in fondo i ragazzi del calcio se la spassano bevendo birra e facendo gestacci alle auto che li seguono. Eppure, anche se scrivono solo di partite, i cronisti sportivi britannici sono più efficienti e professionali di qualsiasi altra categoria di giornalisti. La loro qualità più apprezzata è la velocità. In Gran Bretagna le partite di calcio di solito si giocano di sabato pomeriggio. Quando questo sport cominciò a diventare popolare, verso la fine dell’ottocento, in tutte le grandi città di provincia nacquero giornali chiamati football specials, che riportavano i risultati e le cronache, e si vantavano di essere in edicola un’ora dopo la fine delle partite. Per far arrivare più in fretta i loro articoli, i cronisti sportivi avevano in dotazione un cesto di piccioni viaggiatori. Scrivevano le loro cronache a puntate su fogli di carta velina e li legavano alle zampe dei piccioni, che volavano alla redazione del giornale, dove era stato creato un ufficio speciale sul tetto per riceverli. Incredibile, ma vero. Con il passare del tempo i telefoni hanno sostituito i piccioni e, alla fine degli anni settanta, quando lavoravo nella redazione sportiva di un giornale della domenica, il sistema per far arrivare le cronache sportive era ben rodato. Le partite finivano alle 16.50 e il pezzo doveva essere in redazione alle 17.05. Scrivere circa 600 parole in 15 minuti non è facile, così le prime 200 venivano dettate al telefono durante l’intervallo, le seconde 200 al 75° minuto, e le ultime 200 (divise in 100 di introduzione e cento di conclusioni) alla fine della partita. Era un ottimo modo non solo per imparare a strutturare un articolo, ma anche per scrivere cose che non potessero essere smentite da quello che sarebbe successo dopo (come, per esempio, un paio di gol all’ultimo minuto). I computer portatili e internet hanno reso tutto più facile, ma non hanno cambiato molto la situazione. Quello che invece ha influito di più è stata la tv e tutti i soldi che ha portato con sé. Nell’entusiasmo del momento i cronisti di calcio descrivono quello che succede sapendo che i loro lettori, grazie ai replay al rallentatore da tutte le angolature, sicuramente avranno visto più dettagli. Una sensazione che gli altri cronisti non conoscono. Probabilmente è questo che ha prodotto la deprimente tendenza del giornalismo sportivo di oggi a sprecare più parole per le cose dette dopo la partita che per le cose successe in campo. Come ha detto una volta un mio collega: il peso dato alle interviste del dopopartita è talmente esagerato che molti giornalisti sportivi potrebbero continuare a fare il loro lavoro anche se diventassero ciechi. Le conferenze stampa in cui si raccolgono perle di saggezza sembrano un passo avanti rispetto ai tentativi del passato di strappare un commento a un commissario tecnico o a un giocatore mentre lasciava lo stadio, ma in realtà non è così. Prima i singoli giornalisti potevano avvicinarsi a un tecnico o a un giocatore, farci amicizia e passare memorabili serate insieme, mentre oggi esistono solo gli agenti e le dichiarazioni accuratamente preparate. Tutto questo fa parte dell’attuale gestione del calcio e riflette il fatto che i giocatori un tempo guadagnavano più o meno quanto i giornalisti che scrivevano di loro, mentre oggi dal punto di vista economico vivono su un altro pianeta. E poi c’è Twitter, che non solo fornisce una serie ininterrotta di notiziole (di solito scritte da curatori di immagine) ma fa anche lavorare di più i giornalisti, alcuni dei quali sono costretti a twittare una trentina di volte durante una partita. Eppure, dato che vivono in questo mondo magico e si occupano di cose che, nel quadro generale della realtà, non sono poi troppo importanti, i cronisti sportivi possono essere molto più creativi di altri reporter. È per questo che li leggiamo, che il loro lavoro attira le penne migliori e che gli articoli sportivi sono raccolti in antologie e continuano a essere letti anche a distanza di decenni.
  8. Milanetto: «Su di me solo errori e infamità» Il centrocampista va all'attacco: «Incarcerato con zero prove Genoa-Samp combinata? Ma se ho fatto io l'assist per il 2-1» di MAURIZIO GALDI (GaSport 28-06-2012) Omar Milanetto, si sente un giocatore ancora in attività o le vicende processuali l'hanno allontanata dal calcio? «Ciò che mi è capitato ha dell'incredibile, non ha un senso logico. Prelevato, senza sapere nemmeno perché, alle cinque della mattina da casa, davanti a mia moglie e ai miei figli. Tutto questo avrebbe abbattuto anche un toro, non me, tanto è vero che sono carico e prontissimo a iniziare la stagione 2012-13». Prima Lazio-Genoa poi Genoa-Sampdoria, che cosa ci può dire di queste partite? «Posso giurare su quello che ho più caro al mondo di avere sempre giocato con il massimo impegno in tutte le squadre in cui ho militato, dai pulcini fino all'ultima gara giocata con il Padova. Mi ripugna il solo pensare che il mio nome possa essere accostato a combine». Ma allora il pm di Cremona ce l'ha con lei? «Guardi, non so se Di Martino ce l'ha con me, non voglio nemmeno pensarlo, ma, anche se non sono un avvocato, questa vicenda insegna come nessuno, anche se non ha commesso nulla di male, si possa sentire tranquillo dalle iniziative della legge. Una carriera onesta, senza macchia, infangata in questo modo. Non esiste, ma qualcuno, alla fine, ne risponderà». L'ombra del derby non si allontana, però «Questa è l'infamia più grossa, specie per chi, da giocatore, ha vinto più derby nella storia del Genoa. Vogliamo ricordare alla gente, e ai giudici, che in quel derby ho fatto l'assist al 97' a Boselli, per il gol vittoria, e che alla fine sono stato contestato pesantemente per una mia reazione volgare nei confronti della curva che ci accusava di scarso impegno?». Quindi niente combine, nemmeno tentata? «Io all'Osteria del Coccio di Genova, dove si sarebbe parlato di questa cosa, non ci sono mai stato in vita mia, non so nemmeno dove si trova esattamente, quelle persone non le ho mai incontrate prima del derby. Si figuri che le carte su Genoa-Sampdoria pubblicate da voi ieri, e che tanto clamore hanno generato, sono state prodotte due giorni fa da Di Martino, in udienza, davanti al Tribunale del riesame, dove si doveva discutere solo di Lazio-Genoa. Infatti non sono state nemmeno prese in esame. Perché tutto questo, mi domando io?» Safet Altic, ora in carcere, era noto per essere un pregiudicato. Lei lo sapeva? E, se sì, le sembrava normale frequentarlo? «Non sapevo che era pregiudicato e non lo frequentavo. Mi sono rivolto a lui, anche se la faccia non era proprio delle più raccomandabili, perché rappresentava l'ala più moderata del tifo, uno con cui cercare di confrontarsi dopo le violentissime contestazioni a seguito della mia parolaccia rivolta ai tifosi al termine del derby che mi aveva scatenato contro l'intera curva». Ma si è fatto un'idea del perché di tutto questo e del perché lei? «Ci ho pensato giorno e notte dal 28 maggio, ho cercato motivazioni e spiegazioni, mi sono letto decine di volte l'ordinanza del gip che mi ha mandato in carcere, senza trovare nulla, ripeto nulla, a mio carico. Date, orari e dati sbagliati su di me, semplici sentito dire e presunzioni, testimonianze in seconda, terza persona, mai nessuno che dicesse "ho visto Milanetto fare questo". Ho prodotto agli investigatori centinaia di pagine di estratti conto, tabulati telefonici, telepass, ho messo a nudo la mia vita, ma non è servito a niente. Spero l'incubo possa finire al più presto e senza ulteriore fango sulla mia persona». Sul fronte sportivo che cosa si aspetta? «Che la magistratura sportiva sia più prudente e riflessiva di quella penale. Sbattere il mostro in prima pagina è facile per chiunque, specie se si esercita un certo tipo di potere, ma bisogna avere rispetto delle persone, della loro storia, e muoversi solo quando si hanno prove certe, valutate attentamente e riscontrate. Davanti alla Procura federale ho già reso un interrogatorio di tre ore, dicendo tutto quello che sapevo. Mi auguro che si chiuda qui e che Palazzi capisca che sono una vittima, non un carnefice. Ho già dato e tanto». ------- L’AVVOCATO GRASSANI «Al summit con gli zingari lui non c'era» art.non firmato (GaSport 28-06-2012) Avvocato Mattia Grassani, come giudica la vicenda che ha coinvolto Milanetto? «Una situazione con tante ombre e pochissime luci». Qualche esempio? «In sede di interrogatorio di garanzia, dopo l'arresto, Milanetto doveva rispondere della sola partita Lazio-Genoa, ma il pm ha contestato fatti nuovi, mai emersi prima, su Genoa-Sampdoria. Il gip ha stoppato subito il pm, per cui non è stato affrontato il tema, ma la cosa più assurda è che, nella pubblicazione del verbale di interrogatorio, nessun omissis è stato inserito in corrispondenza di queste domande che non potevano avere alcuna attinenza con l'arresto di Milanetto». E l'incontro all'hotel di Milano con gli zingari? «Ecco un altro passaggio incredibile: secondo il gip, il giorno dopo Lazio-Genoa, a Milano, in un noto hotel molto di moda, si sarebbe svolto un "summit di eccezionale valenza investigativa" a cui avrebbero partecipato Milanetto, gli slavi e l'organizzazione dedita alle scommesse. A riprova di ciò si legge della contemporanea presenza, in albergo, di Ilievski, Zamperini, due ungheresi e Bellavista. Ebbene di questi 5, nel periodo in cui Milanetto, Dainelli e altri 10 amici festeggiavano l'addio al celibato del difensore, era presente solo il Bellavista, già alloggiato lì da 4 giorni. Nel verbale il gip dice "questo mi era sfuggito"». ------- GaSport 28-06-2012
  9. PROCESSO TELECOM «Archiviavamo tutti i report» Dossier Ladroni nel pc di Tavaroli? di MARCO IARIA (GaSport 28-06-2012) MILANO Udienza senza sussulti al processo Telecom sui dossier illegali. Pierguido Iezzi, ex vice di Tavaroli alla sicurezza del gruppo, ha raccontato, tra l'altro, che tutti i report dei fornitori «venivano conservati nei nostri archivi». Un particolare che l'avvocato Paolo Gallinelli, legale dell'ex arbitro De Santis, ritiene «importante perché confermerebbe che nel pc di Tavaroli poteva essere contenuto il dossier Ladroni». Quello stesso pc sequestrato nel 2005 dalla procura di Milano, nell'ambito dell'inchiesta Telecom, e ispezionato dagli stessi carabinieri romani che si occupavano pure di Calciopoli. Ora l'attesa è per l'interrogatorio dell'investigatore privato Emanuele Cipriani, fissato per il 18 luglio. Alla sua società, la Polis d'istinto, venne delegata una parte del dossier Ladroni, che secondo Tavaroli fu commissionato dal patron dell'Inter Massimo Moratti per trovare conferme alle rivelazioni di Nucini su possibili frodi sportive. Nella causa milionaria mossa dallo «spiato» Christian Vieri contro Inter e Telecom (sentenza entro l'estate), Cipriani ha fatto mettere a verbale: «Tavaroli telefonò in mia presenza almeno una volta a Moratti e almeno una volta a Ghelfi e riportò l'esito degli aggiornamenti intermedi dell'operazione Care (quella su Vieri e altri calciatori nerazzurri, ndr). Quando consegnai il rapporto, ho sentito personalmente Tavaroli chiedere alla segreteria di Moratti di fissare un appuntamento per riferire l'esito dell'indagine. Poi Tavaroli mi disse di essersi incontrato con Moratti, che era rimasto soddisfatto del lavoro svolto».
  10. Libro e moschetto, calcio e fischietto di GABRIELE VENDITTI Direttore della Biblioteca "Michele Romano" di Isernia dal blog FÚTBOLOGIA 27-06-2012 «Italia piccola e triste, carica di monumenti in redingote, nella cui capitale il gioco del calcio, italianissimo, dovevano essere i primi a giocarlo, con gran fuga di bambinaie e contravvenzioni di guardie municipali, i seminaristi inglesi, nei prati di Villa Borghese» (O. Vergani, 1928) Quando Vergani nella prefazione di Vita al Sole di De Marchi ci consegna il bozzetto di una Villa Borghese messa a soqquadro dalle tonache svolazzanti di albionici chierici albini che inseguono la palla come in una fotografia di Giacomelli, ci sta in realtà traviando l’immaginario consegnandoci una fotografia di primo Novecento, giacché alla fine degli anni Venti l’italianissimo, e quindi fascistissimo, gioco del calcio non è più bizzarro passatempo per seminaristi inglesi, quanto passione matura e popolare, che si gioca negli stadi e si legge sui giornali. Nel calcio, il Fascismo c’è già entrato prepotente così come ha, del resto, fatto in tutti gli altri ambiti della società italiana, dalla radiodiffusione all’uncinetto. Si comincia nel 1926, a (meno di) quattro anni dalla Marcia su Roma – nota manifestazione podistica dagli sviluppi infausti per il Paese. A quella data, la squadra in nero è già pesantemente intervenuta in tackle sulle deboli caviglie dello Stato liberale. La società italiana si è già fascistizzata, mostrandosi – salvo i pochi noti – felicemente conquistata dai nuovi istituti introdotti dal Regime: l’omicidio di Stato, come continuazione della politica con altri mezzi (Giacomo Matteotti, ucciso nel giugno del ’24); la soppressione della libertà di stampa; lo scioglimento dei sindacati; la mortificazione del Parlamento e dell’idea democratica di rappresentatività; la creazione del Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato, giudice inappellabile chiamato a sanzionare ciò che si è, non ciò che si è fatto. Se il Fascismo si immischia di calcio lo fa – oltre che per l’horror vacui tipico delle dittature – perché, lungimirante, comprende che la fascinazione popolare per il calcio può essere usata a scopo di propaganda, come collante del consenso al Regime. Il calcio crea identità, unisce individui. Le vittorie della squadra, sono la vittoria del Paese. Le sconfitte della squadra, non esistono. Sulle maglie attillate dei campioni, accanto al tricolore sabaudo compare immancabile il fascio littorio. La cosa, del resto, funziona bene con tutti gli sport. Nel bene come nel male, il Regime s’identifica con i suoi figli sudati: i Mussolini boys alle Olimpiadi californiane del ’32; il gigante Carnera, del quale non si pubblicano foto da sconfitto. Dal punto di vista del potere, il calcio è la più abbordabile delle droghe, è oppio dei popoli, acquavite dello spirito: distrae chi potrebbe magari decidere di orientare altrove le sue energie da ultras. Già: poiché il calcio, su cui ogni discorso non può non farsi carico delle mille contraddizioni, – oltre che unire – divide, separando in tifoserie. Allora immischiarsene può significa controllare la valvola di sfogo del conflitto sociale, comunque esistente in una società irreggimentata. Il monopolio della violenza, del resto, deve rimanere allo Stato-partito. Per dire: nel 1925, alla stazione di Torino Porta Nuova, dopo l’ennesimo spareggio per lo scudetto, tifosi bolognesi prendono a pistolettate i pari del Genoa. Se non ci scappano i morti, è solo per fortuna. Ma poiché c’è contiguità tra squadra e squadraccia, l’inchiesta viene archiviata contro ignoti. Non è successo nulla. Miccette. Il documento programmatico con cui si interviene a riformare il calcio italiano è la Carta di Viareggio, parto rapido di un triumvirato di tecnici fedelissimi al Regime, che viene adottato dal Comitato Olimpico Italiano – si è detto – nell’agosto del 1926. S’introducono regole che sono calco, anche stupito e innecessario, dei fondamenti mistici del Fascismo. Per dire, quella stessa sprezzante considerazione mostrata verso tutti gli istituti della rappresentatività democratica – e che altrove porta, per es. , i podestà a sostituirsi ai sindaci, il Parlamento a evaporare – determinerà la designazione dall’alto, e a tempo indeterminato, per tutte quelle cariche federali che precedentemente erano elettive e determinate circa la durata. Così come, ispirato al più becero nazionalismo – l’Italia agli italiani – è il divieto di tesseramento di giocatori stranieri, che diviene operativo dal campionato 1928-29; non uno scherzetto: le società iscritte ai due gironi del campionato italiano 1926-27 hanno, tutte insieme, quasi un centinaio di portieri, terzini, centromediani e attaccanti che vengono per lo più dalla Mitteleuropa. Esodati. Senza più ungheresi e austriaci – la “Scuola danubiana” allora per la maggiore – i vertici del calcio italiano dovranno ricorrere alla formula paracula dell’oriundo che salvando la purezza del sangue italiano, porta campioni sudamericani a vestire financo la maglia azzurra. La Carta tenta di porre ordine e disciplina anche nella formula del campionato, che risulta alquanto caotica, e ha visto nel corso degli anni alternarsi gironi interlocutori su base regionale, spareggi, ripescaggi, salti e capriole; finanche una scissione di club ribelli che ha portato ad un doppio campionato nazionale (1921-22). In più, c’è il problema di un campionato da sempre sbilanciato a vantaggio delle élite del calcio settentrionale contro le arrangiate schiere romano-napoletane della Lega sud, nella quale militano le mediocri squadre romane (altro che Roma doma). Il campionato va quindi riformato obliterando formule divisionali su base regionalistica – che cozzano con l’idea fascista di Patria una e indivisibile – e nel contempo va ridimensionata la schiacciante superiorità delle squadre del nord, disegnando una nuova Divisione Nazionale nella quale i posti vengano attribuiti tenendo conto anche delle esigenze politiche: per es. una Trieste italiana, dopo il 1918, impone una Triestina in massima divisione. La formula tracciata in Versilia – divisione unica organizzata su due gironi, con successivo torneo ristretto ai primi tre di ciascun girone – durerà per tre campionati, ma aprirà al girone unico nazionale di tipo inglese del primo campionato davvero unitario, quello del 1929-30 (la prima Serie A). Passare da quasi un centinaio di iscritti – molti con dimensione di club di quartiere – ai pochi posti nel nuovo girone determinerà una serie di fusioni societarie operate d’ufficio, spesso inaudita altera pars. Difficile per una stessa città, mantenere più squadre. Nascono così club moderni – la Fiorentina, la Roma – o fossili come l’Ambrosiana, la cui vicenda è emblematica e va raccontata. L’Internazionale – l’Inter – è una blasonata squadra milanese, che nel ’27 ha già vinto due titoli nazionali e diversi piazzamenti; meno brillante è l’Unione Sportiva Milanese, che però ha come presidente una ambiziosa camicia nera, Ernesto Torrusio, salita su da Salerno a conquistarsi cariche e prebende; per inciso, Torrusio è vice podestà di Milano e segretario dell’Ente Sportivo Provinciale Fascista (E.S.P.F.), di cui è presidente il federale della città, Rino Parenti, suo sodale. Va detto che l’E.S.P.F. è l’organo destinato ad attuare, in periferia, le direttive della Carta di Viareggio, compiendo la semplificazione del numero dei club chiamati a giocare nella massima serie. Torrusio, così, si prende l’Inter con un golpe: si presenta ai vertici nerazzurri – fascistissimi pure loro, ma meno sgamati – con la nomina a dirigente della nuova società Ambrosiana, firmata da sé stesso in qualità di segretario dell’E.S.P.F.. La cosa, va da sé, non viene rilevata in anni in cui il conflitto di interessi è cosa esotica quanto l’ananasso. Alla semplificazione resistono, invece, i due club torinesi, protagonisti, nel 1928, del primo scandalo del calcio italiano. È l’affaire Allemandi, che vede un terzino della Juventus avvicinato da emissari granata perché sia indulgente, lasciando filtrare qualche pallone in più, assicurando al Torino il risultato nel derby, utile allo scudetto. È il 5 giugno 1927 e il pretium sceleris è di 50.000 lire, che vanno versate per metà all’inizio e per metà a fine gara. Il Torino vince per 2-1 – e conquista lo scudetto davanti al Bologna – tieni a mente – ma Allemandi ha fatto così bene il suo lavoro da essere stato il migliore in campo e i corruttori non gli versano la seconda tranche. Pazienza. A distanza di un anno, voci del fattaccio arrivano alle orecchie di Leandro Arpinati, a un tempo presidente Federcalcio e – qui casca l’asino – podestà di Bologna. Ne segue una pilotatissima inquisizione, compiuta dallo stesso Allemandi Arpinati, che porterà alla revoca dello scudetto ai granata ma non alla sperata assegnazione al Bologna che-tremare-il-mondo-fa, pare per intervento dello stesso Duce, preoccupato della possibile perdita di credibilità degli organi di governo del calcio. Si dirà pure – e qui la dietrologia assume i connotati tipici delle vicende italiane – che il buon Allemandi – squalificato a vita, poi amnistiato – fu comodo fesso su cui far ricadere tutta la colpa, che andava invece distribuita anche su altri non sputtanabili uomini-nazionale.
  11. La mafia ordinò: “Fermi” E la bomba non scoppiò GENNAIO ‘94: LA STRAGE ALL’OLIMPICO PROGETTATA, RINVIATA E ANNULLATA di ENRICO FIERRO (il Fatto Quotidiano 27-06-2012) “Fate sapere a madre natura che bisogna fermare il Bingo”. Usano codici cifrati i mafiosi di rito corleonese. Siamo nel biennio di sangue che è iniziato il 12 marzo 1992 con l’omicidio di Salvo Lima. Totò Riina non si ferma, uccide Falcone e Borsellino, sbarca sul Continente con le bombe a Roma, Firenze e Milano. È una lunga stagione di sangue che a un certo punto si deve fermare. Perché lo Stato ha capito. Ed è venuto a patti. Oppure, come sostengono mafiosi trasformatisi in pentiti, è cambiato il potere, al governo ci sono i nuovi, gli amici. Madre natura è Giuseppe Graviano, re di Brancaccio e componente influente della direzione strategica di Cosa Nostra. È il 12 gennaio 1994, quando Francesco Tagliavia, boss di Corso dei Mille, durante un processo avvicina suo padre e gli affida un messaggio da trasmettere a Graviano: “Fermate il Bingo”. Le stragi mafiose. Ma per capire dobbiamo rileggere quegli anni di fuoco illuminandoci con le cose che sappiamo oggi grazie al lavoro delle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze. Bisogna andare ai mesi che separano l'estate del 1993 dall'inizio del 1994. Al governo c'è Carlo Azeglio Ciampi, ministro dell'Interno è Nicola Mancino, alla Giustizia c'è Giovanni Conso. Il 27 luglio, appena due mesi dopo la strage di Firenze, è scoppiata la bomba di via Palestro a Milano, il 28 quella di San Giovanni Laterano a Roma. È la fine di luglio quando Giovanni Brusca incontra Leoluca Bagarella e gli chiede se se ci sono novità, segnali, disponibilità istituzionali dopo le bombe. “LE COSE SONO un po’ ferme. Non ho contatti”, risponde Bagarella. Brusca detta la linea: “Luchino a questo punto non ti conviene fermarti, vai avanti, perché se ti fermi ora è come se tu hai cominciato e non hai fatto niente”. Insomma, i vantaggi acquisiti dopo le stragi e le bombe in Continente, rischiano di essere vanificati da una strategia attendista. È lo stesso Brusca, anni dopo, a spiegarlo ai magistrati: “I motivi per andare avanti erano sempre quelli. Cercare le persone per andare a contatti con lo Stato, per portare avanti un vecchio progetto che noi pensavamo che era già attivato”. Alleggerimento del carcere duro, ridimensionamento del ruolo dei collaboratori di giustizia, introduzione, anche per i reati mafiosi, della “dissociazione” (mi pento e confesso tutti i miei reati senza fare rivelazioni sull'organizzazione), revisione di alcuni processi importanti. Quando Brusca e Bagarella si confrontano Cosa Nostra sta già lavorando a un nuovo progetto stragista. Una bomba allo stadio Olimpico di Roma da far esplodere durante una partita di campionato e destinata a lasciare sul terreno un centinaio di carabinieri. Una cosa grossa che avrebbe piegato in due lo Stato e gettato il Paese nel terrore. “All'Olimpico – rivela anni dopo il mafioso pentito Gaspare Spatuzza – dove vamo usare una tecnica esplosiva che neppure i talebani avevano mai usato”. Una Lancia Thema imbottita di esplosivo e pezzi di ferro stipati in un bidone da 50 litri. Il commando è già a Roma il 5 giugno 1993. Otto giorni dopo la strage dei Georgofili, fa i primi sopralluoghi. Sono tutti uomini di Cosa Nostra che nella capitale dispongono di due appartamenti (zona Tuscolana) e una villetta sul litorale. Tutto è pronto, a ottobre l'esplosivo arriva da Palermo. Ma a un certo punto il meccanismo così preciso, così oleato, si blocca. “Ricevemmo un contrordine e tornammo tutti in Sicilia”, rivela un pentito. Confermano i magistrati della procura di Firenze: “Vi furono due momenti diversi di operatività del gruppo. Il primo durò 4-5 giorni e fu interrotto da un contrordine, il secondo iniziò subito dopo le feste di Natale del 1993 e si protrasse fino all'esecuzione dell'attentato”. AGLI INIZI di gennaio la Lancia Thema viene parcheggiata allo stadio Olimpico in una zona dove sicuramente sarebbero passati i bus con a bordo i carabinieri di servizio. Ma qualcosa va storto. Quando Salvatore Benigno, 'o picciriddu, aziona il telecomando, la macchina non esplode. Riprova, ma è inutile. La Thema è lì, al suo posto, imbottita di esplosivo. È arrivato un altro contrordine? E perché? Anni dopo, da pentito, Gaspare Spatuzza offre una spiegazione che non convince i magistrati. Le bombe si fermarono perché stava cambiando tutto. Ora in politica c'erano gli amici. “Quello di Canale 5 e il nostro paesano che ci stanno mettendo nelle mani l'Italia”.
  12. Il caso Il Csm: per l’ex assessore Narducci niente incarichi da pm in Campania Ieri la conferma ufficiale Il magistrato potrà indicare le sedi di destinazione art.non firmato (IL MATTINO 27-06-2012) Non può tornare ad esercitare le funzioni di pm in Campania, né ottenere il trasferimento a Roma, che è competente sui procedimenti che riguardano i magistrati del capoluogo campano, l’ex assessore alla legalità della giunta De Magistris, Giuseppe Narducci. Lo ha stabilito la Quarta commissione del Csm, che ha ricevuto la richiesta di Narducci di tornare a svolgere le funzioni giudiziarie, dopo che si è interrotta bruscamente la sua esperienza nella giunta comunale di Napoli. La commissione ha invitato l’ex assessore ad indicare le sedi dove vorrebbe essere destinato. E solo dopo stabilirà in quale ufficio giudiziario assegnarlo. Dunque Narducci non potrà rientrare nel suo vecchio ufficio del centro direzionale, in Procura. La prassi dice questo, l’ex assessore potrà tornare alla sua funzione di pubblico ministero ma in un in un’altra regione. Fa testo, suggeriscono al Csm, la decisione presa a proposito del collega palermitano Giovanni Ilarda, nel 2008 nominato assessore esterno della giunta Lombardo, rientrato in magistratura e destinato ad altra sede, trasferimento da lui stesso sollecitato per ragioni di opportunità. Narducci - a onor del vero - aveva fatto sapere di avere la stessa intenzione. Lo aveva detto anche un anno fa, al momento della discussione della sua richiesta di aspettativa. Lo ha ribadito subito dopo le sue dimissioni. Il plenum di Palazzo dei Marescialli lo reintegrerà nella professione visto che al momento è un magistrato in aspettativa ma non a Napoli o Roma. Pino Narducci, il pm di Calciopoli e del processo Cosentino - che ha abbandonato all’indomani dell’elezione di De Magistris e tre mesi dopo l’apertura del dibattimento - lascia Palazzo San Giacomo tra le polemiche. E così era avvenuto anche un anno fa, quando aveva detto sì all’amico de Magistris condividendo il suo progetto politico e amministrativo. Da più parti, compreso il Quirinale, era stata sollevata la questione dell’opportunità della sua scelta: era un pm in vista, da sempre sulle barricate.
  13. Il derby malato L'ultrà al telefono: «Zauri mi raccontò come volevano combinare Genoa-Samp» «Diciotto doriani raccolsero 100 mila euro a testa per Milanetto, Criscito, Dainelli, Palacio e Rossi, che rifiutò». I dubbi della Procura La scottante intercettazione del tifoso Leopizzi che però dal pm ha smentito tutto di MAURIZIO GALDI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 27-06-2012) «Zauri mi disse che 18 giocatori della Sampdoria misero 100 mila euro a testa per pareggiare il derby con il Genoa. Soldi che servivano a pagare Milanetto, Criscito, Dainelli, Palacio e Marco Rossi, ma quest'ultimo si oppose alla combine. L'accordo prevedeva anche che, in caso di salvezza della Samp, i due derby dell'anno successivo sarebbero stati vinti dal Genoa». Questo è, in soldoni, il riassunto dell'intercettazione che ha fatto saltare sulla sedia il procuratore capo di Cremona, Roberto di Martino, tanto da fargli prevedere «effetti devastanti», «la cosa peggiore» tra quelle emerse nell'inchiesta sul calcioscommesse. A parlare è Massimo Leopizzi, capo ultrà genoano, poche ore dopo l'arresto di Milanetto, il 28 maggio, quando i siti internet avevano già diffuso le sue foto con Domenico Criscito davanti all'Osteria del coccio di Genova. La conversazione con un altro tifoso di nome Davide è stata intercettata dalla squadra mobile di Alessandria nell'indagine che ha coinvolto il pregiudicato Altic, amico di Sculli, e trasmessa a Cremona. Qualche particolare era già emerso, ma adesso la giornalaccio rosa ha potuto leggere la trascrizione dell'intera conversazione. Avvertenza: Leopizzi al pm ha negato di aver incontrato Zauri, ha detto di avere riferito «discorsi da bar», ma al tifoso Davide fa capire il contrario. La Procura sta ancora indagando, non crede alla seconda versione di Leopizzi, ma ha dubbi sull'enormità della cifra che sarebbe servita per la combine (1 milione 800 mila). Nessuno, per ora, sa con certezza se quello che l'ultrà dice al telefono è la verità, se l'incontro con Zauri c'è stato davvero. Tocca ai magistrati verificarlo. L'incontro con Criscito Quando tra le 17.22 e le 17.49 del 28 maggio Leopizzi parla con Davide, il capo ultrà è irritato e preoccupato per la diffusione delle fotografie in cui lo si vede con Criscito, pochi giorni dopo il derby. In quel periodo era sottoposto all'affidamento in prova e non poteva lasciare la sua casa di Urbe, in provincia di Savona. Questa violazione avrebbe potuto spingere il magistrato di sorveglianza a chiedere la detenzione in carcere: «Il mio avvocato mi ha già detto di preparare la borsa». Leopizzi dice che l'incontro tra lui, l'altro ultrà Filippo Fileni e Criscito era finalizzato «a fare il ċulo» al difensore («M'ha detto: perché non mi dai la mano? Gli ho detto: perché sei un uomo di ɱerda... Perché ti sei venduto il derby. Lui m'ha cominciato a raccontare la storia del derby») e che Sculli era lì per caso e non per progettare con loro la combine di Lazio-Genoa, come sospettato dagli inquirenti. Dice Leopizzi: «Io pago perché ho sbagliato a essere lì perché non dovevo esserci e pagherò, pazienza, non è un problema... Però da un punto di vista etico e morale io non voglio... anzi, peraltro sto facendo un comunicato, lo faccio stasera, dove non racconto tutto perché non posso, non voglio raccontare tutto su una persona che è in carcere, perché un incarcerato non si butta ancora più nella ɱerda». (chi ascolta la conversazione annota: dice di voler essere ascoltato dal dottor Salvini). Leopizzi racconta che i capi ultrà sono andati a «interrogare» tutti i giocatori sospettati. Da questo punto in poi è opportuno riportare l'intercettazione quasi integralmente. Davide: però allora bisogna dare i nomi. Leopizzi: raccontiamo tutto... raccontiamo tutto. D: e poi il discorso è: il prossimo anno Sculli se ne deve (andare), qua non ci deve stare. L: fuori dal ċazzo, però ti dico una cosa Davide.. . Sculli quella sera non c'entra niente, non è lì per il derby. Sculli è della Lazio quella sera. D: va beh. L: è lì con un amico suo (il pregiudicato Altic, ndr) col quale parla forse di macchine, di Ferrari, di assicurazioni. Io e Fabri andiamo lì perché Fabri mi dice: ho sentito Criscito e mi ha detto che è lì. Bene, dico, andiamo a chiedere spiegazioni. Sculli il derby non l'ha giocato. Eravamo lì per Criscito come il giorno prima eravamo io e Marco in Piazza Paolo da Novi con Marco Rossi, mi spiego? D: certo. L: a noi interessava il derby. E di fatti poi abbiamo saputo come era la storia del derby e poi insomma i ragazzotti se la cantano (...) D: lo sappiano chi c'è ancora (nella presunta combine, ndr) e dovrebbe uscire perché se fosse un uomo sarebbe il primo a dire "Signori vi dico la versione". L: ma ragazzi, cioè, ma il quinto, il quinto del giochetto è Palacio. D: e appunto... a posto no, ma ce n'è un altro. L: non Kaladze sul derby. D: no no è Scarpi. L: io a 'sto giro non so un ċazzo. D: Massi è Scarpi. L: ma sul derby ti dico i nomi, te li dico a voce alta. I contattati sono Marco Rossi che dice "siete matti" ok? Dice: siete dei pazzi, non accetterei mai, e difatti Marco è l'unico pulito. Criscito che dice uhm. D: (ride). L: quello che fanno i vecchi... dice nì, dice: quello che fanno i vecchi facciamo anche noi. Ma queste sono cose che sappiamo tutti cioè io, Roberto, Marco... Puoi domandare... E dice: se lo fanno i vecchi lo faccio anche io. E poi ci sono Palacio, Dainelli e Milanetto. Punto chiuso. Il derby è questo. Ti do i dettagli. D: il derby sì, però c'è anche il signor Scarpi se vogliamo parlarne. Perché poi allora veramente se facciamo pulizia togliamo tutto. L: assolutamente. D: perché se no allora ci troviamo sempre qualcuno che sa qualcosa di più e non va bene. L: parli con quello che ne sa più di tutti, te lo dico io. Ho detto che Milanetto se ne deve andare non perché me l'ha detto qualcuno. . . un giornalista... un amico al bar. Perché me l'ha detto il suo compare, hai capito? D: sì. L: e ti aggiungo un pezzo. Io quest'estate, quando facemmo la contestazione a Milanetto, quel pomeriggio ero a Auronzo di Cadore, al ritiro della Lazio... E l'uomo che racconta tutto te lo dico qua... E' Zauri. Non Mauri... Zauri. Che Zauri quel giorno era in campo (con la Sampdoria, ndr). D: ah ah L: Zauri racconta dei 100 mila euro per diciotto da spartire per 5 giocatori del Genoa. Che facevamo 350 mila euro a giocatore, e poi Zauri dice anche (che) l'accordo era: l'anno prossimo il Doria in Serie A due derby. . . Cade la linea, ma gli inquirenti interpretano così la frase: in cambio del pareggio, in caso di salvezza il Genoa avrebbe avuto in cambio anche la vittoria nei due derby dell'anno successivo. Per la cronaca, Zauri nel 2001 fu prima squalificato dalla Disciplinare per un anno e poi prosciolto per la presunta combine (con scommesse) di Atalanta-Pistoiese. Ma Cristiano Doni di recente ha confessato che quella partita fu davvero taroccata (il reato è prescritto). Scuse Intanto, ieri gli ultrà genoani (7 ai domiciliari, 3 con obbligo di dimora) ascoltati dal gip Nadia Magrini che indaga sulla sospensione di Genoa-Siena del 22 aprile hanno spiegato che la contestazione sarebbe andata oltre le loro reali intenzioni e hanno chiesto scusa alla città. ___ Scommesse Filone Napoli Palazzi chiederà di Lecce e Inter di MATTEO PINCI (la Repubblica 27-06-2012) ROMA — Quando dalla prossima settimana la Procura federale avvierà le audizioni sul calcioscommesse in merito al filone di Napoli, non sarà soltanto la partita Samp-Napoli 1-0 del 2010 a finire sotto la lente d’ingrandimento. Gli uomini di Palazzi lavoreranno anche sulle posizioni archiviate perché prive di “rilevanza penale” ma di interesse sportivo: Lecce-Napoli e Napoli-Inter del 2011. Durante la quale Gianello aveva individuato “9 fighe”: giocatori «disponibili ad avere un atteggiamento tranquillo». Soltanto però «in base a una personale sensazione nel riscaldamento ». L’ex portiere potrebbe collaborare per poi patteggiare l’eventuale pena: «La sua posizione — ricorda il legale Chiacchio — è legata indissolubilmente a quella del Napoli che abbiamo a cuore». Nuova ipotesi intanto per il processo sportivo: possibile vengano scorporati i filoni di Napoli e Bari da quello di Cremona (che dovrebbe coinvolgere i “big” Conte, Mauri e Mezzaroma), per il quale devono ancora partire le audizioni. I tempi coincidono: già il 25 luglio si potrebbe dare il via al dibattimento, spostando ad agosto il processo sportivo a Cremona-bis. ___ Calcioscommesse Frase sui pareggi, Mazzarri da Palazzi ma Platini disse le stesse cose di FRANCESCO DE LUCA (IL MATTINO 27-06-2012) Venerdì 6 luglio Mazzarri e due calciatori del Napoli, Cannavaro e Grava, dovranno presentarsi presso gli uffici della Procura federale a Roma per rispondere alle domande di Stefano Palazzi e dei suoi collaboratori. Quelle per Cannavaro e Grava riguarderanno la proposta fatta dal portiere Gianello per una combine alla vigilia di Samp-Napoli del 16 maggio 2010, secondo le dichiarazioni rese dall’ex azzurro ai magistrati napoletani: un’ipotesi respinta subito e con forza dai due calciatori, che però non denunciarono formalmente l’episodio alla Procura della Figc e per questo rischiano il deferimento per omessa denuncia. Il tecnico del Napoli, invece, è stato convocato non soltanto per dare ulteriori chiarimenti sulla posizione di Gianello all’interno del suo gruppo, ma anche per una dichiarazione sulla partita contro l’Inter del 15 maggio 2011. I nerazzurri, già sicuri del secondo posto e qualificati per la Champions League, andarono in vantaggio con Eto’o. Alla fine del primo tempo il pareggio di Zuniga. Secondo la Procura di Napoli, Gianello e i suoi soci in scommesse erano interessati anche all’esito di quella partita, che però fu regolare e giocata su ritmi sostenuti, soprattutto nel primo tempo. Interrogato dai pm napoletani, Mazzarri - da uomo di calcio - ha ricordato: «Se a fine campionato a due squadre serve un pareggio, difficilmente c’è un risultato differente. Una regola sportiva non scritta». È quello che tutti nel mondo del calcio pensano. Il procuratore della Figc chiede al tecnico di chiarire, però non lo ha fatto con Buffon, che prima di essere investito dai sospetti su quel milione e mezzo girato a un amico di Parma aveva detto: «A volte un pareggio può fare due feriti e due feriti sono meglio di un morto». Stesso tono e parole di Platini, il presidente dell’Uefa, che a poche ore di Italia-Irlanda e di Spagna-Croazia, il match del presunto biscotto, aveva detto: «Nel calcio se ne sono viste tante e tante squadre fare un risultato utile». Lo dice Platini, lo dice Buffon, ma se lo dice Mazzarri viene convocato dal procuratore della Federcalcio. Intanto, ieri Gianello - ha ricevuto dalla Procura di Napoli l’avviso di chiusura indagini ed è assistito dall’avvocato Vincenzo Maria Siniscalchi per la parte penale - ha scelto come legale per il processo sportivo un esperto napoletano, Eduardo Chiacchio. Anche l’ex portiere del Napoli sarà ascoltato il 6 luglio a Roma. Il consulente del club azzurro, Mattia Grassani, ha dichiarato di non nutrire preoccupazioni per l’iscrizione all’Europa League 2012-2013: «Società e squadra non c’entrano in questa vicenda, siamo molto ottimisti. L’Uefa ha potere discrezionale». L’esclusione di una squadra coinvolta direttamente o indirettamente in un procedimento per scommesse non è automatica, ma viene stabilita dall’ente calcistico europeo valutando i singoli casi: autonomia attribuita al Comitato esecutivo dall’articolo 50 dello statuto.
  14. Il rigore di Monti Buffon è nero per i 125mila euro di Imu La scure della tassa sulla casa si abbatte su Gigi: fra affari e famiglia possiede 89 fabbricati e 99 terreni di CHRIS BONFACE (Libero 27-06-2012) Non sono le polemiche sul calcio scommesse. Il portiere della nazionale italiana, Gianluigi Buffon non ha festeggiato la vittoria sull’Inghilterra e si è mostrato nero in volto anche alle interviste tv perché è furioso come molti altri italiani. Lui e la sua famiglia hanno appena dovuto staccare la prima rata di un assegno da 125.808 euro per l’Imu di Mario Monti. E gli viene difficile sorridere. Certo, la maxi stangata fiscale indica che Buffon ha un tetto dove dormire in ogni stagione. Qualcosa anche di più: perché direttamente intestate a lui o alle società controllate insieme ai familiari di origine, il portiere della Juventus e della Nazionale controlla 89 fabbricati e 99 terreni. Qualcosa lui direttamente a Torino e Parma (Imu prevista 13.500 euro), qualcosa altro (a Massa e a Carrara) attraverso una società controllata, la Suolo e Ambiente srl (Imu prevista 12.795,17 euro), ma il grosso attraverso la società immobiliare di famiglia. Si chiamava Buffon &C (poi trasformata in GVG immobiliare) e ha come azionisti tutti in parti uguali Gianluigi, le sorelle Guendalina e Veronica, papà Adriano e la mamma Maria Stella Masocco. È per loro tutti insieme che la cura Monti ha significato quasi 100 mila euro di Imu da pagare. Certo, le proprietà non sono da poco: appartamenti, ville, garage, soffitte per un totale di 79 fabbricati a cui si aggiungono 35 terreni. Ce ne sono in città a Torino, Massa, Carrara e Parma. Ce ne sono in montagna a Limone Piemonte e al mare, sia in Versilia (Forte dei Marmi) che in Sardegna (Arzachena). Sicuro che buona parte dei guadagni da calciatore Buffon li avesse investiti nel mattone, dividendo con la famiglia di origine la fortuna. Fra l’altro insieme hanno anche costituito una società di gestione di un albergo, l’Hotel Stella della Versilia a Massa. Ma l’Imu rappresenta una bella stangata anche per uno che guadagna molto come il portiere della nazionale. E quei 125 mila euro sono un ottimo motivo per spegnere il sorriso di chiunque. Tanto più che si aggiungono alle continue risorse finanziarie che da un anno a questa parte il calciatore sta iniettando nella Zucchi, società tessile (proprietaria del marchio Bassetti) quotata in piazza Affari e da qualche tempo in crisi di bilancio e di liquidità. Buffon ha messo dentro quasi 3 milioni di euro nel 2011 sottoscrivendo un aumento di capitale che lo ha portato ad essere il primo singolo azionista della quotata (con il 19,61%). Non ha comunicato la sua crescita azionaria alla Consob, e si è preso pure una bella multa da 60 mila euro che il Tar ha confermato il 22 giugno mentre lui era in Ucraina. Nella Zucchi è stato anche consigliere di amministrazione, fino al 14 maggio scorso quando ha rassegnato le sue dimissioni. Scelta lungimirante, perché da lì a 15 giorni Buffon avrebbe potuto trovarsi in conflitto di interessi: la Zucchi ha firmato il 4 giugno scorso un triennale con la Federazione italiana gioco calcio per diventare partner ufficiale della nazionale azzurra, dagli europei fino ai mondiali in Brasile. Ed era già pronto un catalogo di lenzuola, copri piumino, accappatoi azzurri. Meglio evitare polemiche in una società quotata. Anche per questo Buffon ha scelto la trasparenza: lui e la sua famiglia hanno girato lo spot per la Zucchi-Bassetti. Ma quando alla moglie Alena la società ha staccato un assegno da 60 mila euro per quel filmato, è stato segnalato nei «rapporti con parti correlate. . . ».
  15. Il Romanista 26-06-2012 Una vergogna da evitare, per il bene del calcio Caro Presidente Napolitano, Mi rivolgo a Lei con la stima e l’affetto che ben conosce. Mi rivolgo a Lei affinché eserciti la sua autorevole capacità di persuasione sui vertici del calcio italiano e ci eviti dunque una figuraccia in campo internazionale che contraddirebbe la splendida prova di orgoglio nazionale che stanno dando i ragazzi di Prandelli cui Lei è voluto essere vicino rappresentando il sentimento di tutto il paese. Con i Suoi gesti simbolici, carissimo Presidente, con quella commozione trattenuta a stento mentre consegna la bandiera ai nostri atleti olimpici, Lei ha saputo ben interpretare lo spirito di riscatto e di lealtà che muove ogni vero sportivo, mostrandosi ancora una volta interprete dei più profondi sentimenti di coesione e di moralità di cui oggi il nostro paese ha un estremo e disperato bisogno. Ebbene, mentre i nostri ragazzi riscattano sul campo la brutta pagina di Scommessopoli, mostrando che il nostro calcio è fatto in grande maggioranza da ragazzi per bene e puliti, i vertici del calcio italiano, in testa Giancarlo Abete, stanno cercando di coinvolgere anche Platini in una operazione che, se andasse in porto, ci coprirebbe di una vergogna che inevitabilmente ricadrebbe sull’intero paese. I fatti possono anche esserLe sfuggiti, dal momento che in queste ore ha ben più drammatiche e dolorose vicende cui pensare, a cominciare dalla morte di un nostro carabiniere in Afghanistan. Ci permettiamo allora di rammentaLe quanto scritto da noi e da altri giornali in merito all’iscrizione nelle competizioni europee delle squadre italiane coinvolte in Scommessopoli. Tre di esse, Lazio, Udinese e Napoli, probabilmente in tempi diversi, saranno deferite alla giustizia sportiva. Orbene, il regolamento Uefa parla chiaro e dice che in caso di "coinvolgimento diretto o indiretto", in illeciti sportivi le squadre coinvolte non possono disputare i tornei ai quali dovrebbero accedere secondo la posizione raggiunta nei rispettivi campionati. Non si fa alcuna menzione né alla colpevolezza, né all’entità della sanzione poiché si tratta di un codice etico al quale basta "il coinvolgimento" per decretare l’esclusione. Del resto, è in base a un codice etico che il capitano della Lazio, Mauri, è stato escluso della lista dei convocati di Prandelli. I codici etici, infatti, servono proprio a definire comportamenti che rispettino la legalità a prescindere dalle sanzioni e dalle responsabilità penali. Non dovrebbe dunque esserci alcun dubbio sull’interpretazione della norma e invece il presidente della Figc Giancarlo Abete sta facendo pressing su Platini affinché ne dia una lettura "elastica" nel solco di quel relativismo morale che fa parte di una certa immagine dell’Italia che Lei in questi anni ha sempre e giustamente combattuto. La lettura "elastica" della norma si fonda sul fatto che i processi non termineranno prima che scada l’iscrizione delle squadre ai tornei europei e quindi, dicono i fautori dell’"elasticità", le squadre coinvolte devono essere ammesse perché vanno considerate innocenti fino all’ultimo grado di giudizio. E se arrivasse una condanna nel corso dei tornei? Non c’è problema: basta concordare condanne lievi e ottenere da Platini un trattamento "morbido". Dopo aver inveito contro il "Biscotto" che, a detta di coloro che misurano i comportamenti altrui con i propri metri (im)morali, stavano per somministrarci Spagna e Croazia (le quali ci hanno invece fornito ma bella prova di lealtà e correttezza sportiva), come possiamo adesso chiedere alla stessa istituzione, l’Uefa, cui chiedevano di vigilare con inflessibile durezza sui presunti accordi illeciti altrui di sorvolare sulla corruzione che purtroppo non risparmia il nostro calcio? Si immagini, signor Presidente, quale disonore cadrebbe sul nostro paese se si mostrasse non solo incapace di combattere la corruzione nel mondo dello sport, ma se addirittura ne esibisse i protagonisti, freschi freschi di carcere, sui palcoscenici internazionali. Certo della Sua sensibilità, Le invio miei più deferenti saluti, Carmine Fotia
  16. Il mercenario (da Demostene a Borriello) di MARCO BETTALLI Professore Ordinario di Storia Greca all'Università di Siena dal blog FÚTBOLOGIA 26-06-2012 Chi segue il calcio, sa che un giocatore può venire a un certo punto della sua carriera bollato come mercenario. Anzi, come ho letto in uno striscione qualche tempo fa, riferito a un noto calciatore di serie A, mercenario senza onore né dignità. La circostanza merita una riflessione. I calciatori – non solo le poche centinaia della Serie A, ma molti altri di campionati assai più oscuri – sono professionisti e quindi giocano tutti in cambio di uno stipendio, spesso elevato; per quale motivo dunque solo alcuni vengono tacciati di questo epiteto, che etimologicamente – lo ricordiamo – si riferisce appunto a chiunque svolga un qualsiasi lavoro in cambio di una mercede? Rispondere a questa domanda ci aiuterà a comprendere un po’ di cose, non legate solo al mondo del calcio. Credo che il ragionamento sia il seguente: giocare a calcio è sì una professione, non lo si può negare, ma il calciatore deve, nel corso della sua carriera, mostrare anche l’attaccamento alla maglia. Solo pochissimi riusciranno nel corso della loro carriera a legarsi a una sola squadra, sublimando così il loro lavoro in una sorta di matrimonio mistico senza tradimenti, diventando una bandiera. Altri saranno costretti dalle contingenze della professione a cambiare tre-quattro maglie, ma dovranno comunque dimostrare con il loro comportamento – e qui si entra in terreni difficilmente esplorabili da menti normali e non ultras – che nella loro professione hanno il senso dell’onore e rispettano la famosa maglia (tipico esempio di rituale legato a quest’esigenza: chi segna un gol alla sua ex-squadra non esulta mai e compie questo non-gesto in modo eclatante). Insomma, dovranno dissimulare il fatto che lavorano perché ben pagati e che cambieranno anche spesso la famosa maglia perché pagati meglio altrove; dovranno mostrare che hanno un cuore (non a caso, il toccarsi il cuore è uno dei segni più usati dai calciatori, per esempio alla fine della partita, per rivolgersi ai propri tifosi). In un certo senso, chiamare mercenario un giocatore è un’operazione nostalgica: il mondo di oggi è brutto, dominato dalla mercificazione, ma esisteva un giorno, e forse un giorno esisterà di nuovo, un mondo dominato da valori veri. Inutile ironizzare sul fatto che il mondo agognato da molti tifosi potrà sembrare rozzo e per nulla migliore: sognare un mondo migliore è un diritto inalienabile, lo si pone di solito nel futuro (l’opzione più gettonata), ma spesso ispirandosi a un fantomatico passato (*). Abbandonando il calcio, ne abbiamo comunque ricavato la lezione promessa. Mercenario è colui che fa vedere con troppa chiarezza che lavora esclusivamente per un guadagno; che non ha alcun apparente scopo superiore per fare ciò che fa; e che quindi sarebbe pronto in ogni momento a cambiare maglia pur di guadagnare di più, poiché ragiona con la testa (o meglio, con la calcolatrice) e non con il cuore. Visti da un’ottica più razionale, i mercenari sembrano in realtà i più onesti, non i peggiori: come il bambino della fiaba, sono gli unici a vedere che l’imperatore è nudo, che nessuno in realtà è coperto dal mantello di uno scopo più alto; semplicemente tutti gli altri fanno finta. Venendo alla guerra, che è l’ambito dove la parola ha maggiormente attecchito, è facile vedere come vi regni una certa confusione, un po’ come nel calcio (l’accostamento non è casuale; il calcio è una buona metafora della guerra e ha sostituito in questo prestigioso ruolo la caccia: un bel miglioramento, almeno per chi abbia un minimo di sensibilità nei confronti degli animali). I nazisti non minacciano più il mondo, i paesi europei e gran parte dei paesi del mondo non hanno nemici alle loro frontiere, né è probabile che li avranno in futuro. Chi, in Italia o in Francia o in Inghilterra fa il soldato, lo fa come professionista, pagato abbastanza bene: la leva è stata abolita in gran parte dei paesi sviluppati. Lo scopo superiore è di fatto assente. Le faticosissime definizioni di mercenario elaborate dalla Convenzione di Ginevra e poi via via perfezionate impediscono ovviamente di definire mercenario un italiano che militi nell’esercito italiano. E – che diamine – lo impedisce anche il senso comune. Ma più di quest’ultimo, lo impedisce un apparato retorico in caduta libera, ma comunque sempre vivo (specie in paesi come gli Stati Uniti, un po’ meno in Europa) e sostenuto da millenni di storia appassionata e condivisa; apparato che quanto meno riuscirà utile al soldato per farsi celebrare funerali di stato e farsi dedicare piazze e strade se per caso muore in un’azione di peace-keeping. E la morte è importante, e come sei trattato dopo la morte: lo sapeva anche Giasone di Fere, che circa 2380 anni fa, in Tessaglia, invogliava i mercenari a servire presso di lui garantendo loro splendidi funerali in caso di morte. Ma alla fin fine i soldati sono tutti mercenari. Tutti combattono – e uccidono, pur con tutte le cautele riservate oggi all’atto che costituisce l’essenza del soldato – in cambio di una paga. E molti soldati – soprattutto inglesi, tanto per fare un esempio – si trasformano dopo anni di servizio in mercenari, per guadagnare di più. Faranno sempre le stesse cose: a ragionare come gli ultras dello striscione contro Borriello, in questo trasferimento perderanno l’onore. Ma la parola non fa più alcun effetto a nessuno e ha ormai una valenza semantica un po’ traballante, che tende a deviare verso la vaghezza, se non addirittura verso un coté paradossale che nulla avrebbe a che fare con l’etimologia originaria. Forse non ha perso l’onore, che tutti hanno perso di vista: ma, seguendo vie misteriose, invece, il mercenario ha conservato la sua fama negativa. Ce l’aveva anche nell’antica Grecia: Demostene e Isocrate parlavano dei mercenari come della feccia dell’umanità, e questi poveri disgraziati non erano neppure ben pagati come oggi. Eppure, se i due grandi e ricchissimi personaggi avessero fatto una passeggiata fino ai moli del Pireo, avrebbero visto molti poveri, eppure loro concittadini e quindi formalmente membri del club più esclusivo del mondo greco, imbarcarsi come rematori nelle triremi, affollandosi alle banchine per strappare un ingaggio. Erano mossi dallo stesso bisogno dei mercenari – forse qualche pazzo ama combattere, ma dubito siano mai esistiti pazzi che abbiano servito con passione come rematori nelle triremi o nelle galere – ma non erano considerati mercenari: perché era possibile trovare per loro uno scopo superiore, il combattere e morire per la propria patria. Millenni dopo, studi approfonditi svolti durante la II guerra mondiale o la guerra del Vietnam dimostreranno che non si combatte – e si muore – per la propria patria, ma per difendere i propri compagni di sventura; l’impellenza della fedeltà e del patto non scritto con il proprio commilitone sono molto più importanti di un’astratta fedeltà a una bandiera. I Greci non avevano studiato – la sociologia non l’avevano ancora inventata – ma lo sapevano già, e facevano combattere, se possibile, i parenti e i compagni di quartiere uno accanto all’altro, quando addirittura non crearono battaglioni di coppie omosessuali che morivano avvinte nell’estrema difesa dell’amato (c’è un po’ di letteratura in questa storia, ma sicuramente anche qualcosa di vero) – e lo spirito di corpo esisteva sicuramente anche nelle compagnie mercenarie. Eppure ai mercenari non sarà mai riconosciuto alcun bonus. Sorprende come le nostre società abbiano ormai accettato da un bel po’ il ruolo centrale, fondamentale, decisivo del denaro per determinare gerarchie, status e quant’altro, ma si ribellino, in ambiti circoscritti, quasi senza rendersene conto, a questo ovvio dato di fatto, condannando senza appello, in nome di obsolete “ragioni del cuore”, coloro che hanno preso alla lettera ciò che è condiviso da tutti. Nessuna parola è più di moda di professionalità: eppure, il marchio dell’infamia sfiora ancora chi la ossequia senza tentennamenti. (*) I laudatores temporis acti sono un’infinità e nessuno si rende conto di come il passato sia inventato quanto il futuro. Gli storici, in questo gioco, svolgono un ruolo fastidiosissimo, di guastafeste. Infatti non è di una conoscenza del passato che la gente ha bisogno, ma della evocazione di un passato immaginario. Sono uno storico, scusate lo sfogo).
  17. SPY CALCIO di FULVO BIANCHI (Repubblica.it 26-06-2012) I tempi del calcioscommesse campionato a rischio rinvio Una volata contro il tempo: chiuso il processo bis del calcioscommesse (il 2 luglio inizia l'appello), ecco che lo staff di Stefano Palazzi si sta concentrando sul nuovo filone, quello che potrebbe riguardare anche molti club di serie A e illustri calciatori e tecnici. Sino al 9 luglio sono previsti gli interrogatori in merito alla gara fra Napoli e Sampdoria, poi toccherà ancora alla trance che arriva da Cremona, e saranno sentiti, fra gli altri, Antonio Conte e il presidente del Siena, Mezzaroma. Il grande accusatore è Filippo Carobbio, ex del Siena, un pentito considerato, almeno sinora, attendibile da Palazzi. Carobbio ha parlato il 29 febbraio con la procura federale, ma da allora Conte e c. non hanno avuto ancora la possibilità di replicare, di difendersi. E' normale? Quando si chiuderà questa inchiesta? Probabile che il processo possa iniziare soltanto intorno al 25 luglio, non prima: con sentenza di primo grado, quindi, verso il 10 agosto (se va bene). E secondo grado verso fine agosto. Il vero problema si potrebbe avere nel caso ci siano club deferiti (e condannati) per responsabilità diretta: due sono quelli che stando alle indagini sinora svolte a Cremona e Bari potrebbero rischiare. Sono Siena e Lecce. Il Siena si è salvato in serie A, il Lecce è retrocesso in B. Come fare per gli organici (e i calendari) dei campionati se la sentenza, di primo grado, dovesse arrivare solo il 10 agosto? Il 25 scatta il campionato di serie A: che fare? Rinviare la data di partenza? Non è del tutto escluso, ma dovrà decidere anche la Lega di serie A (se esiste ancora. . . ). Bisogna vedere appunto se ci saranno club coinvolti per responsabilità diretta che, come noto, in caso di condanna prevede la retrocessione all'ultimo posto in classifica. La serie B è pronta a fare un campionato a 21 squadre, la Lega Pro è nei guai seri fra calcioscommesse e soprattutto club (tanti) che rischiano di non iscriversi per problemi economici. Più semplice invece sarebbe se ci fossero "solo" penalizzazioni dei club da scontare nella prossima stagione e squalifiche dei tesserati: in questo caso il processo potrebbe concludersi anche a settembre, a stagione già iniziata. E anche per quanto riguarda le norme Uefa non sono così automatiche nell'escludere dalle Coppe i club coinvolti (vedi Spy Calcio del 20 giugno) e possono essere decise sanzioni anche quando le competizioni sono già iniziate (ma in questo caso, a nostro avviso, rischierebbero di falsarle). Che sarà un'estate caldissima, comunque, è dimostrato dal fatto che la Figc ha già prenotato l'ex Ostello della gioventù per i mesi di luglio e agosto, e che i rappresentanti di Procura, Disciplinare e Corte di giustizia federale sono stati avvisati che quest'anno le loro ferie sono ad altissimo rischio di... slittamento. Il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, e il direttore generale Antonello Valentini, nel rispetto della piena autonomia della giustizia sportiva, hanno chiesto a Palazzi solo una cosa. Di fare "presto e bene". Sul "presto", c'è qualche dubbio. Sul "bene" non resta che sperare.
  18. La faccia tosta dell’intoccabile Capitano DOPO L’INVESTITURA DI NAPOLITANO E I RISULTATI AZZURRI, BUFFON SI VENDICA DELLE CRITICHE SFODERANDO L’“IRA FUNESTA” di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 26-06-2012) La paura del portiere prima del calcio di rigore è non poter riscrivere la storia. L’esultanza successiva, la certezza di avercela fatta. Osannato dai media, abbracciato al Presidente della Repubblica, nell’assoluta condiscendenza della platea. L’Italia ha appena vinto. È in semifinale. “Sono felice, ma irritato” dice invece Gigi Buffon. Un muso lungo, offeso, tesissimo. Una maschera grottesca. Buffon espone la Sindone con sacro tempismo. Ostenta la lesa maestà e sposta l’orologio in avanti. Ai tempi in cui l’oblìo sarà assoluto, città e province un’unica esultanza di clacson e tricolori, la controrivoluzione completata. Un sogno possibile, così vicino e così lontano a quello già vissuto nel 2006, lo stesso che Buffon ha intenzione di godersi rielaborando la realtà. Niente più versamenti alle tabaccherie di Parma. Nessuna ombra. Un buffetto per gli scommettitori, biasimo per i giornalisti cattivi e il breviario di fine stagione: “Meglio due feriti che un morto” elevato a religione unica. NEL FANGO del dio Pallone, San Gigi, la divinità padana in mutande verdi, ha perso il senso delle proporzioni. Non più il difensore estremo che nella filosofia di Boskov rivestiva un ruolo preciso: “Portiere è lì per parare e stare zitto” né “l’optional” con cui Giovanni Galeone bastonava le proprie groviere pescaresi, ma il pensatore livido. Il protervo allievo di una scuola antica (Mourinho, Lippi, Moggi) convinto che abbia ragione solo chi passa al turno successivo, alza una Coppa, copre con il silenzio le domande inopportune. Buffon, già campione del mondo, è persuaso di vantare crediti e di godere di assoluta intangibilità. Normale che accada quando il Capo dello Stato si fa baciare nello spogliatoio. Naturale che succeda quando lo stesso Napolitano intervenendo come un qualunque avventore del bar sport all’1-1 ottenuto con la Spagna: “In tribuna mi hanno detto firmiamo per il pareggio” consente il contropiede ironico e gli sghignazzi a un atleta in delicata posizione: “Non lo dica Presidente che ci metton dentro”. Buffon aveva già dimostrato il proprio punto di vista cazziando brutalmente i cronisti poco prima di atterrare in Polonia. Battendo le nocche sul tavolo, ascoltando annoiato le legittime domande sul milione e mezzo versato al suo amico Alfieri (83% di vincite, nel caso Buffon avrebbe visto bene), stendendo il suo personale Piave con linguaggio marziale: “Mi dispiace che da gente come voi che frequenta il calcio da millenni, tocchi subire certe paternali. Se avete la forza di farle, non parliamo più. Chiedetemi solo il risultato della partita”. Oggi, con il risultato in ghiacciaia e il podio nel mirino, se è lecito, è anche peggio. Dopo aver sostenuto serio, lamentandone l’assenza non più di 20 giorni fa, che la cose più importanti da preservare in Italia fossero “democrazia e libertà” e che la spettacolarizzazione della giustizia fosse giunta, per due volanti giunte al centro tecnico dove Prandelli e i suoi attendevano l’alba, a livelli intollerabili, Buffon si è diretto altrove. TRAVESTENDOSI da imitatore. Il modello di Gigi sarebbe stato un altro capitano, Dino Zoff. Il portavoce di Bearzot che all’epoca delle bugie sentimentali che avrebbero visto avvinghiati Rossi e Cabrini nel ritiro mundial di Pontevedra, decretò il silenzio stampa più proficuo di un secolo di Nazionale. Buffon invece parla. E, poveri noi, medita vendetta. Prima di partire per la Polonia, con la Polizia sull’uscio di Coverciano, aveva maldestramente recitato da dissidente politico: “Non posso dire quello che realmente il mio cuore e la mia mente pensano, ma ho avuto l’ennesima conferma che le persone perbene prive di scheletri nell’armadio, qui non possano esprimere il proprio pensiero”. Oggi ha cambiato idea. Complice la semifinale, il caldo, la fatica, Buffon brandisce il manganello e ordina la carica. In nome del popolo. Forza Italia, sempre.
  19. Con Gianello, Palazzi chiama pure Cannavaro e Mazzarri Filone campano, dal 2 luglio le audizioni per Samp-Napoli: oltre all'ex portiere saranno ascoltati il capitano, il tecnico, Grava e Mascara di MAURIZIO GALDI (GaSport 26-06-2012) L'attenzione della Procura federale si sposta sul Napoli. Al centro del mirino Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010. Gli investigatori federali hanno completato l'esame dei documenti che il Procuratore aggiunto di Napoli, e capo del pool reati da stadio, Giovanni Melillo ha trasmesso. Atti che portano a una probabile richiesta di rinvio a giudizio per il terzo portiere del Napoli (all'epoca dei fatti) Matteo Gianello e per l'ex calciatore e osservatore del Chievo Silvio Giusti. L'accusa è associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva. L'inchiesta sportiva Stefano Palazzi, però, non si ferma alle conclusioni della magistratura ordinaria e preferisce farsi una propria idea dei fatti per questo chiama per la prossima settimana 15 persone. Si comincia il 2 luglio (stesso giorno dell'apertura dell'appello davanti ala Corte di giustizia federale del primo procedimento) con Claudio Furlan, Luca Ariatti, Dario Passoni e Marco Zamboni. Tutti citati nelle informative perché legati ai principali soggetti della vicenda: i fratelli Federico e Michele Cossato e Silvio Giusti. Questi tre saranno sentiti il 5 con Gianfranco Parlato. Venerdì 6 sarà il giorno del Napoli. Sono infatti convocati Gianello, l'allenatore Walter Mazzarri, Gianluca Grava, Paolo Cannavaro e anche l'ex Giuseppe Mascara. Infine il 9 sarà la volta di un amico dei Cossato, Giuseppe Santorum, e di un altro ex del Napoli, Fabio Quagliarella. L'inchiesta penale Circa due anni è durato il lavoro della Procura di Napoli con la squadra mobile della questura. Tutto parte dalla presenza sul terreno di gioco del San Paolo del figlio del boss della camorra Lo Russo, ora latitante, per Napoli-Parma (il padre si è pentito). Secondo gli investigatori ci sarebbe stato un flusso anomalo di scommesse per quella gara. Risalendo la corrente vengono messi sotto controllo i telefoni di Gianello, dei Cossato e di Giusti. Da queste intercettazioni si alza un velo su alcune giocate e soprattutto sulla possibilità che ci siano stati tentativi di combine. Cinque sofferte ore di interrogatorio un anno fa portarono Gianello a fare delle ammissioni. «Ricordo che Giusti mi prospettò la possibilità di ricompensare i compagni che avessero aderito alla richiesta (di rendere maggiormente sicuro il risultato della partita a favore della Sampdoria, ndr) con somme di denaro», ammette ai magistrati. Poi parla di quattro o cinque compagni presenti nello spogliatoio, ma non ricorda i nomi, ma poi riflettendo... «Mi rivolsi a Paolo Cannavaro e a Grava e a nessun altro». Esclude infatti la presenza di Santacroce, De Sanctis o di averne parlato con Quagliarella, ma specifica: «Cannavaro e Grava diedero immediatamente e con estrema decisione una risposta negativa». Ora Palazzi deve verificare cosa avvenne davvero in quello spogliatoio. La partita terminò con la vittoria della Samp per 1-0.
  20. FINANZA LETTERA ALL'INVESTITORE di ALBERTO NOSARI (Repubblica - AFFARI&FINANZA 24-06-2012) ------- Saras vede un Ebitda stabile nel 2012 sarà di 400 milioni PER L’ESERCIZIO IN CORSO SI PUNTA SULLA RIDUZIONE DEI COSTI. IN DIMINUZIONE L’INDEBITAMENTO SCESO DI 100 MILIONI, A QUOTA 550 MILIONI. L’EBIT DOVREBBE RIPROPORRE I 180 MILIONI DEL 2011 SALVO SORPRESE SU CAMBI, CONGIUNTURA E MARGINE DI RAFFINAZIONE Milano «Lo scenario congiunturale si conferma decisamente complesso e proprio per questo noi resteremo concentrati sulla riduzione dei costi e sull’aumento dell’efficienza, implementando il programma di eccellenza operativa chiamato “Progetto Focus” in attesa che passi la tempesta che da oltre tre anni imperversa sul nostro settore ». Questo anche perché, precisa Gian Marco Moratti, presidente e maggiore azionista di Saras con il fratello Massimo, che è ammini-stratore delegato, «la nostra struttura patrimoniale e l’articolazione reddituale, con i relativi flussi di cassa, ci permettono di affrontare il permanere di uno scenario macro negativo ancora per molto tempo, ma anche senza nessuna soddisfazione per gli impegni sino ad ora profusi». Uno scenario negativo da cui, prosegue il presidente, «dobbiamo trovare una via di uscita in tempi ragionevoli, anche tramite l’intervento delle autorità comunitarie. Intervento volto a salvaguardare un’attività considerata “strategica” da molte economie occidentali, eliminando le distorsioni oggi presenti sul mercato e ricreando le condizioni di una “corretta” concorrenza». Intervento senza il quale il settore della raffinazione in Europa è destinato ad un progressivo arretramento. Noi comunque, aggiunge Gian Marco Moratti, «possiamo fronteggiare le attuali difficoltà meglio di altri concorrenti europei, grazie alla tradizionale solidità patrimoniale del nostro gruppo, ed ai confortanti flussi di cassa derivanti dagli investimenti realizzati nel recente passato, anche per sviluppare la generazione di energia elettrica con l’utilizzo dei prodotti meno nobili del ciclo di raffinazione». Ed è anche per tutto ciò che noi, prosegue il presidente, «parteciperemo attivamente, insieme a tutte le altre società del settore, alla ricerca di opportunità e di alternative per affrontare al meglio un quadro congiunturale che si conferma oggettivamente complesso », con pesanti ricadute sui margini reddituali come testimoniano i risultati delle aziende del settore in Europa. Più in particolare, precisa Massimo Moratti, amministratore delegato di Saras, «il nostro comparto è in difficoltà da diversi anni in quanto i prezzi dei prodotti petroliferi, principalmente benzina e diesel, hanno riflesso solo parzialmente i notevoli rialzi della materia prima, ovvero il petrolio grezzo. In tale contesto, i margini di raffinazione si trovano sotto pressione, e non sempre risultano adeguati a coprire i costi», ma sovente generano perdite. Nel contempo, prosegue il Ceo, «domanda e produzione sono distribuiti in modo asimmetrico nel mondo. In Europa, per esempio, la produzione locale di diesel non è in grado di coprire i consumi, e ciò costringe ad importare circa il 20-25% del fabbisogno ». Ma ciò non si traduce in una opportunità per le società europee e il gruppo italiano in quanto Saras, «pur facendo leva su importanti vantaggi competitivi, merito anche ai massicci investimenti realizzati nel passato, non ne può beneficiare perché l’industria della raffinazione europea subisce la “scorretta concorrenza” delle raffinerie Indiane, Medio-Orientali, Cinesi ed Americane». La competizione infatti, prosegue Massimo Moratti, «è fortemente squilibrata in quanto le raffinerie orientali beneficiano di varie forme di esenzione fiscale ed incentivi economici, oltre ad avere delle normative sulla sicurezza e sull’ambiente assai meno vincolanti di quelle europee, mentre gli Usa invece, il costo d’acquisto del petrolio è decisamente inferiore a quello che devono sostenere le raffinerie europee. Ciò, poiché il prezzo del grezzo di riferimento per il Nord America, il Wti, che abitualmente trattava a livelli simili al Brent (circa 1 o 2 dollari al barile di premio), in questi ultimi 2 anni è passato ad essere fortemente a sconto rispetto al grezzo di riferimento europeo; uno sconto che in certi momenti è giunto fino a 25 dollari al barile, e che attualmente sembra essersi stabilizzato nell’intorno dei 15 dollari. Ed ecco perché le raffinerie americane del Mid-West e del Golfo del Messico possono inviare i loro prodotti nel Vecchio Continente, compensando ampiamente gli oneri di trasporto verso l’Europa». A complicare ulteriormente la situazione, vi sono state poi le crisi geo-politiche in Nord Africa, in Sudan, in Siria ed Iran, solo per citare le principali; uno scenario che hanno messo particolarmente in tensione i mercati del grezzo, comprimendo ulteriormente i margini. Un quadro di riferimento oggettivamente complesso, a cui il gruppo, come ricordato, ha risposto focalizzandosi ancora di più sulla ricerca di efficienze, utilizzando anche la leva commerciale in modo proattivo proprio per sfruttare le opportunità che si creano in una fase di forte oscillazione dei prezzi come puntualizza Dario Scaffardi, direttore generale di Saras, che aggiunge: «data l’impossibilità di influenzare lo scenario di mercato abbiamo dovuto porre l’enfasi sui programmi di “self-help” tesi al miglioramento interno». E i risultati fin qui ottenuti «sono decisamente positivi nella razionalizzazione dei costi, con circa 23 milioni di benefici nel 2011, oltreché nell’ambito dell’efficacia operativa, mentre il progresso nell’efficienza energetica continua a richiedere sforzi importanti ed offre ancora margini di miglioramento». Nel contempo, prosegue Scaffardi, «il “Project Focus” è stato esteso anche alle aree commerciali, al fine di cogliere maggior valore dalle opportunità che sorgono in un contesto di mercato forte e con elevata volatilità dei prezzi petroliferi. Grande enfasi viene posta anche sul controllo del capitale circolante, delle scorte petrolifere, e sulla rigorosa selezione degli investimenti». Ma c’è pure altro poiché, completa il direttore generale, «in considerazione di logiche di lungo periodo secondo le quali l’Europa continuerà ad essere un importatore netto di diesel, abbiamo deciso di completare il progetto di potenziamento dell’impianto MildHydroCracking2 (MHC2). Tale unità è dedicata alla produzione di gasolio a bassissimo tenore di zolfo e, con un investimento di circa 60 milioni da completarsi entro la prima metà del 2013, sarà in grado di incrementare la produzione di diesel per circa 600 mila tonnellate/anno, generando anche un incremento della lavorazione di raffineria per circa 650 mila tonnellate, cogliendo la relativa marginalità, che risulta rilevante anche nell’attuale congiuntura». Iniziative i cui effetti si dispiegheranno appieno nel prossimo futuro, mentre il presente resta condizionato dagli scenari macro sopra delineati come testimoniato dai dati 2011, dal primo trimestre 2012 e dalle proiezioni per fine anno. Le aspettative sul 2012, nell’ipotesi di stabilità nel tempo del cambio euro/dollaro, dello scenario macro, e dei margini di raffinazione, riproducono nella sostanza le dinamiche dello scorso anno. E se si confermeranno tali ipotesi di stabilità, il 2012 potrebbe chiudersi con un Ebitda nell’intorno dei 400 milioni e un Ebit in linea con i 181 milioni dello scorso anno, mentre l’indebitamento dovrebbe diminuire di circa 100 milioni e collocarsi a fine 2012 in prossimità dei 550 milioni. ------- Continua l’altalena in Borsa ma il trend resta discendente SARAS SOTTOPERFORMA A CAUSA DEL DIFFICILE CONTESTO ARRIVANDO MARTEDÌ 19 GIUGNO A FISSARE LA QUOTAZIONE A 0,73 EURO, CON UN GAP DI CIRCA IL 50% SUI MASSIMI DELLO SCORSO ANNO. TREND ORMAI IN ATTO DAL 2007 OSSIA DA QUANDO GLI EVENTI MACRO HANNO RIVOLUZIONATO L’ECONOMIA REALE Milano Saras conferma un andamento contrastato, anche se caratterizzato da una progressiva erosione dei valori. Il titolo ha così inaugurato il 2012 con un trend positivo da quota 0,998, ma già dal 6 gennaio si è innestata una inversione a cui ha fatto seguito un’altra ripresa, seppur contrastata, sino al massimo di 1,238 dell’8 febbraio. Un saliscendi proseguito nei mesi successivi, anche se ogni volta il pendolo si è fermato a valori inferiori sino a raggiungere il livello attuale 0,73 con un calo dell’1,15% rispetto a lunedì 18 giugno. Novantacinque giorni borsa nel corso dei quali Saras ha perso il 41% sottoperformando sia il Ftse Mib che l’indice oil&gas dell’Euro Stoxx. Scenario sostanzialmente analogo se il confronto viene attuato sulla base dell’andamento delle quotazioni degli ultimi dodici mesi poiché le azioni della società milanese hanno perso oltre il 52% passando da 1, 524 euro del 4 luglio 2011 agli attuali 0,725 euro. Un trend che prosegue sostanzialmente inalterato sin dal 2007 e cioè pochi mesi dopo l’ingresso al listino, avvenuto il 19 giugno 2007 a 4,637. Saras è infatti salita nelle prime settimane sino a raggiungere il massimo storico il 9 luglio 2007 a 4,891 prima di innestare la retromarcia e sforare progressivamente i tre euro nel marzo del 2008 per poi scivolare inesorabilmente sotto i due euro 12 mesi dopo, all’inizio di marzo del 2009, e infine scendere sotto un euro il 21 novembre del 2011. Una caduta a cui ha contribuito l’avversa congiuntura e la progressiva erosione di una redditività che in alcune occasioni ha segnato valori negativi poiché i margini di raffinazione non sono risultati sufficienti a coprire i costi. Lo scenario macro si conferma difficile e fra gli analisti domina la cautela Equita è passata da hold a buy a inizio anno perché Saras «aveva sottoperformato in misura marcata e abbiamo percepito una accelerazione nel processo di ristrutturazione dell’industria della raffinazione». Intermonte conferma il neutral perché «i margini di raffinazione sono destinati a restare sotto pressione in quanto il settore continuerà ad essere penalizzato a lungo dal tema della sovracapacità». Cheuvreux rilancia l’underperform perché «ci attendiamo un 2012 ancora molto debole sul margine di raffinazione in quanto l’eccesso di capacità continuerà a penalizzare il settore e lo scenario macro si conferma difficile». Banca Imi ripropone l’add «per motivi valutativi in quanto tratta a multipli eccessivamente penalizzati se non assumiamo un peggioramento dello scenario macro, mentre noi dal 2013 ci attendiamo una certa ripresa e una riduzione della sovracapacità». Mediobanca conferma il neutral perché «in questo momento il business della raffinazione tratta a equity value negativo e quindi non riteniamo che il titolo possa scendere al di sotto dei valori attuali, anche se non ci sono elementi macro per poter ritenere un’inversione in positivo dei margini di raffinazione». Centrosim ripropone il buy perché «apprezziamo le qualità degli asset, con un portafoglio di attività in grado di stabilizzare i flussi di cassa e una raffineria fra le più grandi ed efficienti del Mediterraneo, mentre i prezzi attuali scontano già valori impliciti negativi del business della raffinazione». ------- [LE CRITICITÀ] La recessione avanza e l’euro resta in bilico mentre la redditività rasenta valori negativi La domanda di carburanti resta depressa mentre il prezzo del petrolio dipende da variabili geo-politiche e ciò si scarica su quel margine di raffinazione che potrebbe restare molto penalizzante ancora a lungo. La congiuntura si conferma infatti difficile e gli interventi sul rilancio appaiono deboli poiché i leader europei stentano a trovare una quadra per farci uscire da una recessione che trova terreno fertile, mentre gli emergenti rallentano. Permane inoltre il timore sulle sorti dell’euro e l’euforia originata dalle elezioni greche potrebbe essere effimera se non verranno avviati a soluzione i nodi strutturali e se non verrà condiviso un percorso di rilancio delle economie. La domanda di carburanti quindi ristagna e potrebbe riproporsi per lungo tempo quell’eccesso di offerta aggravatosi per la sovra-capacità: fenomeno acutizzatosi con l’entrata a regime delle nuove maxiraffinerie e sul quale permane il timore di altre iniziative analoghe nei Paesi ricchi di petrolio. Saras si deve poi confrontare con il tema della dimensione perché i suoi impianti sono un gioiello, ma restano “piccoli” per un mondo popolato da colossi, mentre il rifinanziamento del debito scadente nelle prossime settimane tarda a chiudersi, anche se le dimensioni sono contenute e la struttura patrimoniale resta solida. C’è infine un tema di trasparenza e governance per una realtà famigliare che vede molti dei suoi membri al vertice e ben pagati mentre da tre anni i soci devono rinunciare ai dividendi.
  21. L’ufficio di due Agnelli diventerà un superattico Nella casa di corso Vittorio capolavoro dell’architettura degli anni Trenta di MAURIZIO LUPO (LA STAMPA 21-06-2012) Il finanziere Riccardo Gualino negli anni Trenta si riservò uno spettacolare studio «presidenziale » con vista sulla collina e sul Valentino, che divenne poi quello del senatore Giovanni Agnelli e in seguito anche del nipote Umberto. Si trovava al numero 8 di corso Vittorio Emanuele II, al sesto piano del palazzo per uffici che Gualino aveva commissionato nel 1928 agli architetti Gino Levi Montalcini e Carlo Pagano Pogatschnig. L’edificio, considerato un capolavoro dell’architettura razionalista, diverrà un prestigioso complesso di 40 appartamenti. Li realizza l’immobiliare Klg Torino, che ha affidato il progetto delle opere agli architetti Armando Baietto, Sebastiano Battiato e Beppe Bianco. Devono riplasmare 6500 metri quadri, distribuiti su sette piani in corso Vittorio Emanuele e su sei in via della Rocca, ai quali aggiungeranno una rimessa sotterranea di 80 box su tre piani. Il cantiere in 24-30 mesi trasfigurerà un edificio che oggi soffre di degrado, ma che rappresenta un importante pezzo di storia di Torino e dell’architettura. Per fondarlo vennero impiegate tecnologie innovative per gli anni Trenta. Levi Montalcini e Pagano colsero le grandi opportunità che offriva il cemento armato. Ne fecero un immobile d’avanguardia. Per questo è tutelato dalla Soprintendenza. L’intervento, annunciato come un recupero scrupoloso delle caratteristiche originarie, mette mano a un palazzo che da Gualino passò al Gruppo Fiat, poi al Comune. E’ stato quindi acquisito da Klg Torino. Vi investe «circa 30 milioni di euro». Il cantiere manterrà inalterati gli esterni, riportati agli equilibri originali. Gli interni verranno ridistribuiti, per avere anche caratteristiche antisismiche. I prezzi? La proprietà parla di «5900 euro al metro quadro, al netto delle parti comuni». Ma precisa che «il prezzo di ogni appartamento dipende dalla posizione e dalla vista». L’ex ufficio di Gualino diverrà un attico di 650 metri quadri, con terrazza «a parco» e vista dalla collina alla Mole, fino alle Alpi. Dicono che abbia già ricevuto un’offerta «da un bel nome piemontese. Manon è stata accettata».
  22. Banche e fondi a caccia di giocatori Il nuovo mercato arriva in Europa Tutto è cominciato in Brasile, da oltre un decennio Mecca degli investitori che vogliono fare soldi facili con il calcio. Ma ora il modello è sbarcato nel Vecchio Continente: il Portogallo è il nuovo Eldorado (già ci sono i casi di David Luiz o Moutinho). La Uefa per ora si limita a vigilare, ma anche i club sono preoccupati di STEFANO SCACCHI (Repubblica.it 25-06-2012) MILANO - Come in una colonizzazione al contrario, ora è il Brasile a trasferire l'ultima frontiera dell'affarismo calcistico in Portogallo. Da oltre un decennio il Paese sudamericano è diventato la Mecca degli investitori che vogliono guadagnare col pallone. Il grimaldello per soldi quasi sicuri è acquistare percentuali dei cartellini dei giocatori: l'ideale è farlo quando sono in rampa di lancio per incamerare milioni al momento della cessione in Europa. Ma adesso il modello è sbarcato anche nel Vecchio Continente. Non solo di rimbalzo attraverso l'arrivo nei nostri campionati dei talenti sudamericani. Ma direttamente perché qualcuno ha iniziato a comprare quote dei giocatori anche in Europa. Tutto è cominciato proprio in Portogallo, la nazione dove nascono i Re Mida del pallone: l'allenatore e il calciatore più pagati del mondo, Josè Mourinho e Cristiano Ronaldo, assistiti dall'agente più ricco del pianeta, Jorge Mendes, quello che nel corso della carriera, attraverso la sua 'Gestifute',ha incassato più commissioni di tutti (369,8 milioni di euro, secondo un recente studio dell'Osservatorio europeo sui calciatori professionisti). A entrare in questo settore in Portogallo è stata addirittura la principale banca lusitana: il Banco Espirito Santo che quattro anni fa ha creato un fondo di investimento basato sul controllo di quote di proprietà dei calciatori del Benfica, squadra sponsorizzata dall'istituto di credito insieme alle altre due grandi portoghesi, Sporting Lisbona e Porto. Il veicolo si chiama 'Benfica Stars Fund' e le sue operazioni hanno pubblicità assoluta, essendo il club della capitale quotato in Borsa. Così si scopre che il Banco Espirito Santo nell'estate 2011 ha ottenuto profitti notevoli dalla cessione al Chelsea di David Luiz: 1,6 milioni di euro, grazie alla plusvalenza rispetto al costo pagato un anno e mezzo prima per acquistare il 25 per cento del difensore brasiliano. Non a caso molti milionari in giro per il mondo, stufi di perdere cifre notevoli tra Borsa o hedge fund, stanno iniziando a prendere seriamente in considerazione di buttarsi in questo business calcistico per tutelare i propri cospicui risparmi. Il Portogallo è l'Eldorado di questi fondi. Prima del 'Benfica Stars Fund', erano stati creati il 'First Portuguese Football Players Fund' e il 'Soccer Invest Fund' che hanno acquistato quote dei principali calciatori lusitani di Porto, Boavista e Sporting Lisbona: ad esempio, il 37,5 per cento di Moutinho, titolare della Nazionale semifinalista agli Europei. Il 'First Portuguese Football Player Fund' è stato però chiuso a gennaio 2008 dopo l'entrata in vigore dell'articolo 18 bis del Regolamento sullo status e il trasferimento dei calciatori della Fifa. Questa norma vieta l'influenza di "parti terze" sui club calcistici. E' stata dettata proprio per arginare il potere sempre maggiore di questi gruppi privati sui calciatori (in alcuni casi queste operazioni insospettiscono anche per tempistica con il calciatore venduto dal club pochi mesi dopo l'entrata in scena del gruppo privato che così monetizza rapidamente grazie alla preveggenza). Non a caso in Inghilterra, il controllo delle "parti terze" è vietato da quando Kia Joorabchian provocò scandalo in Premier League muovendo come pedine i "suoi" campioni: Carlos Tevez e Javier Mascherano. Proprio in relazione a queste normative, la Fifa ha avviato un'indagine sull'attività del 'Quality Investment Fund' con sede nell'isola di Jersey (una delle Isole del Canale scelte da molte società per la loro fiscalità vantaggiosa), creato da Jorge Mendes insieme all'ex manager del Chelsea, Peter Kenyon, e alla Creative Artist, gigante statunitense del settore delle procure nel mondo dello sport e dello spettacolo. Ma ormai è difficilissimo fermare questi investitori che hanno cominciato a corteggiare anche alcuni talent-scout dei grandi club europei per cercare di ridurre i rischi di errori nella scommessa finanziaria sui giovani calciatori. Anche la Uefa ha iniziato a insospettirsi. In una recente riunione della commissione sulle strategie del calcio professionistico, alla vigilia della finale di Champions a Monaco di Baviera, è stata avanzata la proposta di vietare ai calciatori controllati da "parti terze" di scendere in campo nelle coppe europee. Sarebbe uno sconquasso. Se ne riparlerà a settembre. Ma non sono preoccupati solo i puristi dello sport e le autorità calcistiche. Anche i dirigenti dei club non approvano queste derive. Per un motivo molto semplice che si aggiunge al già consistente drenaggio economico da parte degli agenti (in Premier League ai procuratori, tra commissioni e intermediazioni, va il 10 per cento del totale delle somme mosse dal calciomercato): "Il problema è che in questo modo molti soldi delle società escono dal calcio per essere investiti altrove. La Uefa vigila ma non sempre ha una conoscenza approfondita delle vere dinamiche del fenomeno", spiega un manager di lungo corso di un importante club europeo. Nel trasferimento di un calciatore, controllato da "parti terze", una parte consistente del prezzo finisce nelle tasche dei proprietari del fondo o della banca, come nel caso del Banco Espirito Santo in Portogallo. E non esiste garanzia che rientri nel pallone. L'unica certezza è che tanti hanno capito come guadagnare in modo fulmineo col calcio mentre l'economia va a rotoli. Ma non sembra che lo sport sia destinato a fare un grande affare. ___ MONEY Goaaal? MANCHESTER UNITED'S IPO IS NO WINNER. by ROB COX (Newsweek | JULY 2 & 9, 2012) IF MANCHESTER United kicks off a public stock offering in New York this year, it will likely be touted as a triumph for U.S. capitai markets. This is, after all, England's top soccer team, and of all the listing venues the club could have chosen, not least London's, it looks like Man U is coming to America. But this apparent financial score isn't worth cheering like an extra-time win. While U.S. exchanges dwarf the competition in raising capital this year, there's a dark side to this distinction that investors should heed. Man U won't be choosing New York because Americans are gaga for the sport (just 1 percent of respondents in a recent Harris Interactive poll said their favorite sport was soccer). Rather, the Glazer family, which also owns the NFL's Tampa Bay Buccaneers, will be taking advantage of the leeway America's listing standards offer companies to practice poor corporate governance. New York's stock markets permit companies to sort their shareholders into different classes, allowing founders and owners to sell shares while maintaining control. In London, such a setup gets you excluded from key indexes. It's an aberration of democratic capitalism, which in its purest form gives one vote per share. The mechanism lets Mark Zuckerberg hold shares in Facebook with 10 times the voting power of those available to the investing masses. Similar structures enable Rupert Murdoch, the Sulzbergers at The New York Times, the Ford family, and dozens of others to keep a grip on their companies that is far greater than the capital they have at stake. While this practice has been tolerated for years, it has lately gained considerable ground. This year there have been 21 IPOs on the NYSE and Nasdaq that have sold more than $200 million in shares. All told, they have reaped $24.2 billion, according to Thomson Reuters data. Nearly 80 percent of the money, through nine of the deals, came from the sale of securities with subpar ownership rights. Facebook, which raised $16 billion and promptly saw its shares tumble, was the biggest of the bunch, but it wasn't alone. Carlyle Group, the private equity firm tbat owns Dunkin' Donuts and 200 other companies, harvested $671 million by selling securities that give investors almost no say. Oaktree Capital, an investment firm, did the same in April. All of this is amply disclosed ahead of time, so buyers can beware. And there are sometimes perfectly good reasons, such as tax advantages, for buying the sort of coach-class securities that Manchester will likely offer. But winning a race to the bottom by selling out the rights of shareholders is hardly worth celebrating.
×
×
  • Crea Nuovo...