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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Calcio & business. Nel torneo degli incassi la Serie A italiana è quarta L'Inghilterra ha già vinto per ricavi DISTANZE INCOLMABILI Le "big five" generano un giro d'affari di 8,4 miliardi pari a oltre l'80% dei ricavi dei tornei da cui vengono le nazionali di Euro 2012 di MARCO BELLINAZZO (il Sole 24 ORE 10-06-2012) Se un giorno, anzichè un torneo per squadre nazionali, la Uefa dovesse organizzare un campionato europeo per Leghe, con i dream team di Premier, Bundesliga, Liga Spagnola e Serie A non ci sarebbe storia. Almeno a scorrere la classifica dei fatturati. Le distanze appaiono davvero incolmabili. Segnale, anche questo, di un Vecchio Continente che viaggia a più velocità. Le "big five" generano, infatti, un giro d'affari di 8,4 miliardi, pari a oltre l'80% dei ricavi prodotti nelle 16 leghe da cui provengono le nazionali che animeranno "Euro 2012". La Premier resta la regina con i 2,5 miliardi incassati nel 2011, mentre Bundesliga e Liga si contendono il secondo posto con fatturati di 1,7 miliardi, ma con opposte prospettive. Il campionato tedesco è in grande ascesa. I club hanno pochi debiti e tanti punti di forza (a partire dagli stadi di proprietà) e sono riusciti a crescere gradualmente, mantenendo il rapporto tra costi e salari intorno al 50 per cento. La Liga invece dipende eccessivamente da Real Madrid e Barcellona, le due società europee leader per fatturati (rispettivamente con 479 e 451 milioni nel 2011). Due società che se producono molta cassa potrebbero dover ridurre le proprie ambizioni qualora le banche iberiche in crisi di liquidità che le hanno sostenute in questi anni chiedessero un rientro immediato dai debiti (660 milioni per i Blancos e circa 550 per i Blaugrana). La serie A ormai può solo guardarsi alle spalle. È vero che rispetto alla Ligue 1 francese ci sono ancora 500 milioni di vantaggio, ma i transalpini potranno contare sulla spinta dei prossimi europei di Francia 2016. Gli investimenti negli stadi che le società d'Oltralpe stanno programmando e l'iperattivismo del Psg acquisito dalla Qatar Investment Authority fanno presagire un sorpasso non troppo in là nel tempo. Sempre in chiave futura va registrata la crescita della Russia che ospiterà la Coppa del mondo nel 2018). In quasi tutte le leghe i bilanci delle società sono però appesantiti da un rapporto salari/ricavi oltre il 60% (a parte la Germania, questo rapporto si mantiene virtuoso in Repubblica Ceca dov'è al 35% e Ucraina, dov'è al 37). «Il controllo dei costi – spiega Dario Righetti, Partner Deloitte e responsabile Consumer Business – continua a essere la sfida più grande per le società di calcio europee. Il rapporto costo dei tesserati/ricavi delle big five, principale indicatore di performance finanziaria, è incrementato di 6 punti percentuali nel corso degli ultimi cinque anni, passando dal 60 per cento al 66. Va dunque accolto con favore l'intervento della Uefa su base pan-europea per aiutare i club a controllare i costi operativi in un'ottica di maggiore sostenibilità». -
il Fatto Quotidiano 10-06-2012
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BORDOCAMPO L’ARIA FRITTA DI BUFFON (L’ONOREVOLE) di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 10-06-2012) Dall’altare di Sky, Mario Sconcerti pontifica. E con notevole faccia di bronzo, circondato da cronisti che ammoniscono: “Bisogna prendere con le pinze i collaboratori di giustizia” sostiene che “i giornali”, incapaci di continuità tra la Vandea dei giorni scorsi e l’attuale clima ecumenico che abbraccia Prandelli “siano un po’ vigliacchi”. Aspettano di vedere se al ritorno saranno allori o pomodori. Come nel 2006, quando i figli di Moggi partirono per l’Alexander Platz e riportarono a casa un pezzo di muro utile all’edificazione di un’altra realtà. Non l’alterazione sistematica dei campionati dimostrata in sede dibattimentale, ma “il così fan tutti” utile a confondere e imbandire la tavola con vino e tarallucci. Anche stavolta i prodromi sono già in dispensa e sulla linea di porta, allungando il gesso tra sciovinismo e retorica, danza Buffon. L’uomo che spediva bonifici alla ricevitoria del Paese dei balocchi, quella della vincita garantita. Adesso, trascorso qualche giorno, forte del provincialismo che rende valido un argomento se confinato nei limiti nazionali e debole ogni soffio che spiri oltrefrontiera, Gigi si sente meglio. Trafigge i cuori di tenebra smarriti nella giungla delle suggestioni e straparla, attività nella quale, va riconosciuto, da sempre eccelle. Sogna di rivedere “Un’Italia in festa” e “gente orgogliosa”. Aria fritta per poi arrivare al punto: “Cominciate a ragionare con la vostra testa, gente, non fatevi depistare da chi di mestiere fa il semina-zizzania”. Un discorso da statista. Scarpe al chiodo. Candidatura garantita. ------- il Fatto Quotidiano 10-06-2012 -
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PASSAMONTI GUIDA GLI OPERATORI IN REGOLA «Vogliamo scommesse credibili al 100% ma senza controlli a tappeto, è tutto inutile» Il presidente di Sistema Gioco Italia, parte civile al processo di Cremona: «L’ultimo scandalo ha fatto perdere fiducia alla gente» di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 10-06-2012) ROMA. Si troverà alla sbarra, un giorno, anche Confindustria (il cui presidente è Squinzi, il patron del Sassuolo) a chiedere i danni ai “signori del tarocco”. La decisione di proporsi come parte civile nei procedimenti di Cremona è di Massimo Passamonti, presidente di Sistema Gioco Italia, che confedera gli operatori in regola, quelli che denunciano, quelli che “il gioco trasparente vince sempre”. Ce l’avete con questi del Calcioscommesse? «Certo, siamo parte lesa: dopo 10 anni di crescita, ecco la prima flessione, -12%. La crisi c’entra, la credibilità persa ancora di più. Noi, nelle agenzie in regola coi protocolli italiani, d’esempio nel mondo, vogliamo un prodotto di divertimento credibile al 100%. In Italia il sistema legale tiene». Eccesso di tentazione: troppe chance di giocare e taroccare? «La domanda di divertimento il più variabile possibile c’è. Il problema è come tenere sotto controllo la domanda di gioco. Il sistema delle concessioni italiane, coi controlli che imponiamo a chi gioca legale, coi limiti di giocata a 1.000 euro e la tracciabilità, disincentivano chi vuole barare. Di quanti galoppini avrebbero bisogno quelli che taroccano le gare a decine di migliaia di euro se la giocata massima senza lasciare i dati è 1.000 euro?». Contro chi combattete? «Contro chi raccoglie scommesse senza i controlli di legge, contro l’on line gestito fuori dal sistema dei Monopoli. Che è fuori da ogni controllo e ruba quote di mercato legali, sottrae entrate all’Erario e apre le porte ai criminali. Un sistema che genera ricavi da 4 miliardi di giocate fisiche e 4 dall’on line nel sistema legale, ma 4 miliardi da on line e 2 dalle giocate “fisiche” sul mercato parallelo». Cosa chiedete? «Controlli a tappeto, c’è attesa per la gara per la concessione di 2. 000 nuovi punti vendita: speriamo che tanti del mercato parallelo emergano alla luce». Coi singaporiani come la mettiamo? «Nel sistema legale le combine sono difficilissime. In Italia escono gli scandali perché ci sono le segnalazioni, c’è un sistema di controllo e si fanno le indagini. Altrove non so. Eppoi ha presente la tabaccheria dell’amico di Buffon? Era tutto legale e in 30 secondi hanno verificato anni di giocate. Posso dire una cosa che mi dà fastidio?». Prego. «Ci chiamano quelli del gioco d’azzardo: no, questo è gioco pubblico, in reti di raccolta ultra-controllate. Se poi vediamo giocate che sono un investimento, allora non è quel che dovrebbe essere - un divertimento - ma un’altra cosa». -
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Stoccate di de Magistris all’assessore Narducci “Resta in giunta ma non ho necessità di vederlo” di ROBERTO FUCCILLO (la Repubblica - Napoli 10-06-2012) «LA presenza di Narducci in giunta non è mai stata messa in discussione, né da me né da nessuno». Però, se non si fa vivo, «è lui che sta riflettendo». Inseguito dal fantasma dell’assessore ormai con le valigie in mano, il sindaco prova a esorcizzare il problema, ma la sua esternazione conferma che il destino di Narducci è nelle mani dell’assessore stesso, che questi ha ovviamente facoltà di scegliersi un’altra via e che, in sostanza, quando vorrà, se ne prenderà atto. «Narducci l'ho scelto - dice de Magistris - non mi è stato imposto, è una risorsa come tutti gli assessori, e devono lavorare come lavora il sindaco ». Prima stoccata: Narducci è uguale a tutti gli altri. Di diverso dagli altri ha che, come da lui stesso ammesso, sta meditando di chiudere l’esperienza a Palazzo San Giacomo. De Magistris commenta con citazioni arboriane: «Che lui voglia un domani tornare a fare il magistrato, come direbbe Catalano, mi sembra ovvio. Si dice pronto a tornare a fare il pm? Giusto che dica così, è magistrato ed è sempre pronto a tornare. Solo io non lo posso fare, perché una volta che ho scelto di fare politica ho smesso di fare il magistrato, ma questa è un'altra storia che appartiene alla mia etica personale». Seconda stoccata: c’è una differenza fra la scelta radicale del sindaco, che si è dato tutto alla politica, e il doppio binario che invece l’assessore si è riservato. Ce n’è abbastanza per attendersi un incontro chiarificatore fra i due. Invece il sindaco aspetta: «Io ricevo tutti spiega de Magistris - e lui non ha bisogno di una convocazione. Se non viene, evidentemente è lui che sta maturando una riflessione. Per conto mio, mettiamola così: non ho necessità di vederlo in questo momento». Volendo mantenere la metafora della squadra, cara a de Magistris, è come se un allenatore di calcio dichiarasse di non avere bisogno di far allenare un suo giocatore, specie se questo è in trattativa con un’altra squadra. E in Comune non si aggirano solo le ovvietà di Catalano, ma anche le immagini di «separati in casa» di Pazzaglia. Condizione dietro la quale de Magistris evita di fare il primo passo. Una mossa su Narducci riaprirebbe i giochi del rimpasto, ma Realfonzo deve almeno portare a compimento l’approvazione del bilancio in Consiglio, e il Pd non può decidere alcunché prima della celebrazione del suo congresso. Intanto de Magistris mette sul piatto il suo attivismo. Ieri ha annunciato l’acquisto entro l’anno di venti stazioni di rifornimento e 400 bici elettriche. Domani ci sarà la presentazione del World urban forum. Martedì infine trasferta a Roma, per la presentazione del rapporto Svimez sui Comuni e per un probabile incontro con Pierluigi Bersani. ___ Il caso Il sindaco e la giunta De Magistris: per ora non ho necessità di vedere Narducci art.non firmato (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 10-06-2012) NAPOLI - «La presenza di Narducci in Giunta non è mai stata messa in discussione nè da me nè da nessuno». Lo ha detto il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, parlando dell'assessore comunale alla Sicurezza, Pino Narducci, e, in merito, sottolinea di «voler essere sincero» spiegando che «tutto questo proliferare di dichiarazioni sul nulla, mi lascia perplesso». «Narducci l'ho scelto, non mi è stato imposto - ha ribadito - è una risorsa come tutti gli assessori e devono lavorare come lavora il sindaco». «Che lui voglia un domani tornare a fare il magistrato, come direbbe Catalano, mi sembra ovvio - ha affermato - Solo io non lo posso fare perchè una volta che ho scelto di fare politica ho smesso di fare il magistrato, ma questa è un'altra storia che appartiene alla mia etica personale». Sulle voci che vorrebbero il gelo tra il sindaco e l'ex pm di Calciopoli, de Magistris fa sapere di «ricevere tutti». «Narducci non ha bisogno di una convocazione - ha proseguito - Ricevo tutti gli assessori, se non viene evidentemente è lui che sta maturando una riflessione». «Io lavoro e devono lavorare anche i miei assessori - ha concluso - Mettiamola così: non ho necessità di vederlo in questo momento». «Noi lavoriamo e questa polemica, che leggo solo sui giornali, con molta attenzione, non mi interessa perchè per quanto mi riguarda discutiamo del nulla». Il sindaco evidenzia che fu lo stesso Narducci a chiedergli di entrare nella sua giunta, lo scorso anno, a giugno, ma che non poteva comunque avocare a se la rappresentanza della legalità nella squadra di governo della città. Il magistrato di Calciopoli ha riferito al «Corriere» che non aveva contatti con il sindaco da settimane e la situazione sembra non essere cambiata. -
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Where’s Darth Vader Gone? Is the age of football as a substitute for war coming to an end? By SIMON KUPER (THE Blizzard ISSUE FIVE | June 2012) -
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E alla fine Moggi attaccò Del Piero di SEBASTIANO VERNAZZA dalla rubrica NON CI POSSO CREDERE! (SW SPORTWEEK 09-06-2012) Senti chi parla. A fine maggio Luciano Moggi si è occupato di Alessandro Del Piero. Lo ha fatto su radio Manà Manà, emittente romana dove l’ex d. g. conduce una trasmissione, Ieri, Moggi e domani. Lucianone si è ritagliato i suoi spazi su tv e radio locali. A volte appare di notte, tra vendite di pentole e di aggeggi per il fitness. Ecco un estratto del Moggi pensiero sull’ex capitano bianconero: «Qualche giorno fa ho letto una dichiarazione di Del Piero che non è stata smentita. Del Piero diceva che vanno rispettate le sentenze sportive e che gli scudetti sono 28”. A Del Piero consiglio di ripassarsi bene l’evoluzione del processo (. . . ). Sono rimasto perplesso, visto che Del Piero usufruì di tutti i bonus dei vecchi scudetti. Capisco l’acredine di una persona che dopo 19 anni lascia la Juve, ma è pur vero che bisognerebbe andarci piano con le dichiarazioni. La Juventus ha aspettato Del Piero per due anni dopo il suo infortunio a Udine (nel ’98, ndr) e, mentre recuperava, lui prendeva lo stesso stipendio di sempre. Lui non ha regalato nulla alla Juventus e non dovrebbe dire che bisogna rispettare le sentenze sportive. Del Piero dice che ha dato anche di più? Ci sono stati dei momenti in cui non ha dato niente». Tutti quegli juventini che adorano Del Piero e che ritengono Moggi un martire della giustizia – sono tantissimi: migliaia di migliaia, forse milioni di tifosi bianconeri – non hanno niente da dire? Quanti stanno con Ale e quanti col radiato”? Fateci sapere. -
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La Juve si mette il 30 sulle maglie. Scudetti? No, denari di MASSIMILIANO GALLO dal blog MI CONSENTO (LINKIESTA 08-06-2012) Lo scoop è della Ġazza, proprio la rosea detestata dagli juventini moggiani (cioè la stragrande maggioranza) perché nel 2006, all’epoca degli scandali, il direttore Verdelli condusse una battaglia per il valore dello sport e loro si offesero. Ma, si sa, i bianconeri sono fatti così. Magari esultano realizzando un rigore che non c’è con 39 morti a terra e poi diventano presidenti Uefa. Comunque, sì, avete ragione, sto perdendo tempo. Veniamo al dunque. Allo scoop. Sulle magliette della Juventus, il prossimo anno, pur essendoci solo due stelle, ci sarà una scritta con la parola trenta. Secondo i beninformati si tratta di una scelta per ricordare che sul campo gli scudetti vinti dalla vecchia signora sono due in più rispetto a quelli riconosciuti dalle autorità sportive. Almeno questo è il pensiero dominante. Per quel che ne so io, invece, il riferimento è a una delle prime trattative di mercato della gloriosa società torinese. Comprarono un giocatore, non ricordo bene il nome, per trenta denari. E lui, juventino doc, passò alla storia. Ricordarlo mi sembra il minimo. I più vivi complimenti ad Andrea Agnelli. -
Finanziarie. Conti Cmc in rosso di 3,6 milioni Massimo Moratti fa pulizia nella holding di ANDREA GIACOBINO (Il Sole 24 ORE 09-06-2012) Massimo Moratti fa pulizia di bilancio e riduce i debiti verso banche nella sua holding Cmc attraverso la quale è socio di Marco Tronchetti Provera nelle quotate Camfin e Prelios. Qualche giorno fa, infatti, l'assemblea degli azionisti ha dovuto utilizzare la voce di patrimonio “altre riserve” per coprire i 3,64 milioni di perdite registrati nei conti 2011, che si confrontano con i 730.416 euro di passivo del precedente esercizio. Il rosso è dovuto a svalutazioni per 2,87 milioni che hanno riguardato diversi asset della holding del presidente dell'Inter: nel dettaglio 236.638 euro di writeoff sulla controllata Almata Servicos de Consultadoria (che deteneva una piccola partecipazione nella Digital Television fallita recentemente), altri 240.000 euro di minor valore su una manciata di titoli del Banco Popolare, 1,8 milioni di svalutazione sull'1,49% in Camfin (con un valore di carico unitario ridotto da 0,61 a 0,46 euro per azione) cui si sommano 400.000 euro di minor valore della quota dello 0,4% in Prelios (passata in carico da 0,43 a 0,32). Durante l'esercizio, peraltro, Moratti ha venduto anche parte delle azioni Pirelli, circa un milione di titoli che gli hanno consentito di realizzare una plusvalenza di 331.173 euro, riducendo la partecipazione allo 0,48%. Su un totale di attivo sceso così da 75,17 a 67,6 milioni, Cmc mantiene significativi asset immobiliari che valgono oltre 12 milioni, come un immobile nella centrale via Laghetto a Milano, un altro edificio a Parigi detenuto attraverso la Emcedeux che è stata finanziata per 380.000 euro, oltre a immobili a Londra, Madrid e Cortina d'Ampezzo. Ci sono poi attività finanziarie per 12,1 milioni che comprendono 10 milioni investiti su un fondo hedge collegato al gruppo Sator di Matteo Arpe e una quota del Sator Private Equity Fund. A fronte di un patrimonio netto di 28,5 milioni Moratti ha visto ridursi i debiti anno su anno da 45,8 a 41,6 milioni; diminuzione ascrivibile quasi interamente all'esposizione verso banche. Questa è costituita, fra l'altro, da un mutuo ventennale con Unicredit Banca del valore residuo di 1,8 milioni e da un finanziamento a tasso variabile del valore iniziale di 35 milioni ottenuto da Mps.
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E arriva una minaccia per la Supercoppa: «Potremmo non giocarla» di DARIO SARNATARO (IL MATTINO 09-06-2012) «Se non c’è accordo sulla Supercoppa non la giocheremo proprio, si può anche saltare un’edizione». Una chiara provocazione da parte del presidente De Laurentiis per una telenovela che sembrava dovesse formalmente aver fine ieri, con la formalizzazione della data e del luogo di disputa della sfida con la Juventus. Ed invece tutto è rimandato, nonostante la UVS (United Vansen International Sports), la società cinese licenziataria dell’evento, aspettasse una risposta proprio entro la giornata di venerdì. La data più probabile, e anche quella che sembra l’unica possibile, è sabato 11 agosto. Entro lunedì potrebbe arrivere l'ufficializzazione. Juventus e Napoli sono state divise da esigenze diverse: i bianconeri avrebbero voluto disputare la sfida il 19 agosto a Torino, il club azzurro a Pechino. Le resistenze juventine, legate soprattutto ai programmi tecnici impostati da Conte, sono state superate, anche perché il settore marketing bianconero condivide con il Napoli le esigenze di commercializzare in Oriente il brand del calcio italiano. La diplomazia della Lega di serie A ha nel frattempo lavorato a dovere. «Mi sono sentito più volte con Andrea e con il dg della Lega Brunelli – ha precisato il presidente del Napoli – e stiamo per decidere. C’è un’ipotesi per il 25 agosto che non ama la Juventus, c’è un’altra per l’11 agosto che crea problemi a noi. Per essere cortesi stiamo cercando di aggiustare le cose per giocare l’11, se non ci riusciamo possiamo anche evitare di giocarla, per noi è più importante prepararsi bene al prossimo campionato». Il problema è che il Napoli ha in animo di presentare la nuova squadra con un’amichevole di lusso al San Paolo l’8 o il 9 agosto: De Laurentiis lavora da tempo al colpo grosso, ospitare il Barcellona a Fuorigrotta. Ecco perché il Napoli sta provando ad anticipare il test con i blaugrana, tenendo conto che anche la Juventus è scesa a patti: i bianconeri hanno sfide programmate in Usa il 28 luglio (contro il Dc United), il 31 (contro il Psg) e il 5 agosto a Las Vegas contro il Real Madrid e, dunque, partirebbero direttamente dagli Usa per la Cina. Non essendo possibile giocare la Supercoppa il 19 agosto (il 15 ci sono gli inderogabili impegni dei vari Nazionali delle due squadre), ci sarebbe il 25, ma la Vecchia Signora è contraria nel saltare la prima giornata di campionato, dovendo poi preparare la seconda (fissata il 2 settembre) con ancora i postumi del jet leg. Ed allora tutto lascia pensare che la Supercoppa si giocherà l’11 agosto a Pechino: in ballo ci sono più di 3,6 milioni di introito netto (il 45% a testa alle due squadre), 3,3 da contratto con la UVS e 200/300mila euro di ulteriori diritti tv. -
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Cani, zoccole e altri luoghi comuni di JACK O’MALLEY (IL FOGLIO 09-06-2012) Si è iniziato a giocare, ma non sono sicuro che sia una buona notizia. Vedere sulla Rai Polonia-Grecia, con il portiere ellenico più confuso delle riforme del suo governo e l’intera squadra nel ruolo già recitato in Europa – la vittima sacrificale che non ci sta – è pur meglio della sfilza di luoghi comuni che prima di ogni manifestazione sportiva siamo costretti a leggere. Nell’ordine: qualche maltrattamento sugli animali che di sicuro viene fatto nel paese ospitante (in Corea i cani se li mangiavano, qui li ammazzano), l’aumento dei prezzi degli alberghi, le puttane che da tutto il paese si trasferiscono in zona stadio, le infrastrutture non finite (c’è sempre una curva con i seggiolini montati all’ultimo e male), la piaga dei bagarini e i biglietti falsi per la finale che qualche idiota compra spendendo i risparmi di una vita da un contrabbandiere ungherese, i soldi intercettati dalla mafia. Adesso la smetteranno. In attesa del primo svarione di Buffon, che farà partire una retata della GdF nelle ricevitorie di Cracovia (per scommesse sospette in dracme sulla vittoria della Germania). -
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Poteri morti di MARCO TRAVAGLIO (il Fatto Quotidiano 09-06-2012) -
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Avvocati e sport: quali prospettive per il futuro? di EDOARDO REVELLO dal blog SPORT & LEGGE (Ġazzetta.it 08-06-2012) Nella giornata di ieri, si è tenuta la lezione conclusiva del Corso di perfezionamento post laurea in “Diritto Sportivo e Giustizia Sportiva”, organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano. Come da tradizione, sono stati invitati nomi di spicco del panorama giudico-sportivo nazionale (dal Professor Sandulli all’Avvocato Calcagno fino agli Avvocati Cassì e Durante per citarne alcuni) con l’intento di riferire circa loro esperienza personale e ragionare sulle prospettive future di sviluppo della professione. Un’occasione sicuramente ghiotta per fare il punto della situazione in merito alle tante tematiche che ruotano attorno al diritto sportivo e che riempiono ogni giorno pagine intere dei quotidiani nazionali. Non potevano certo mancare riferimenti relativi al calcioscommesse e ai suoi continui sviluppi quotidiani. Essendo gran parte delle indagini tutt’ora in corso, non ci si è potuti addentrare sugli scenari sanzionatori (che forse maggiormente interessano i tifosi), ma si è riflettuto sull’importanza della responsabilità oggettiva. Tale principio viene ad oggi, infatti, contestato da alcuni presidenti di club, i quali ritengono di non dover pagare per gli illeciti commessi dai propri tesserati (soprattutto quando la combine ha generato una sconfitta sul campo), non potendo effettuare sugli stessi una sorveglianza in stile Grande Fratello. Aldilà di tali rivendicazioni, non si può mettere in discussione quello che viene definito un pilastro portante dell’intero sistema di giustizia sportiva a livello internazionale. Si potranno, semmai, parametrare le sanzioni sulla base dei comportamenti concreti adottati dalle società, specie in termine di prevenzione. Il tutto, comunque, non potrà che essere eventualmente discusso quando le acque, attualmente tempestose, si saranno calmate. In generale, aldilà degli illeciti sotto i riflettori in questi giorni, l’intera essenza del diritto sportivo è profondamente mutata rispetto al passato. Gli interessi in gioco, non soltanto nel calcio, sono aumentati esponenzialmente da un punto di vista economico e necessitano, di conseguenza, di un’assistenza legale qualificata e specializzata per affrontare il crescente numero di contenziosi. Il c.d. “doping legale” di cui parlava il presidente del Coni nel novembre scorso in merito alle iniziative giudiziarie a tutto campo della Juventus, rappresenta il naturale corollario di un’industria – quella sportiva – che muove numeri sempre più significativi senza subire apparentemente i contraccolpi della crisi globale. In questo scenario, è fondamentale che la giustizia, tanto domestica quanto ordinaria, possa efficacemente porre rimedio a tutte le situazioni patologiche del sistema. La Corte Costituzionale, con l’ormai famosa sentenza n.49/2011, è intervenuta sulla ripartizione di competenze tra i due ordinamenti sulla scia di quanto espressamente previsto dalla legge n. 280/2003 al fine di fare – definitivamente (?) – chiarezza a riguardo. Tutte le componenti del mondo dello sport devono cercare di trovare un’intesa e, a riguardo, viene salutato in maniera positiva l’inserimento delle associazioni rappresentative degli atleti all’interno della governance delle singole federazioni. E’, infatti, ancora troppo fresco nella memoria il ricordo delle roventi polemiche legate al rinnovo dell’accordo collettivo dei calciatori con la Lega di Serie A per non pensare che l’intero movimento debba cercare una qualche forma di pacificazione. Tenuto conto di tutto ciò, e alla luce della delicatezza del momento attraversato dall’avvocatura in generale, è auspicabile, quindi, che un numero sempre crescente di giuristi volga il proprio sguardo in direzione del settore sportivo, un ramo del diritto senz’altro fertile per poter sviluppare la propria professionalità. -
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NO, GRAZIE di PINO CORRIAS (VANITY FAIR | 13.06.2012) Soldi e scommesse: dai, Buffon, adesso non fare il Bossi Non abbiamo fantasia di gioco, non abbiamo il senso della squadra, non abbiamo attacco. E se è per questo non abbiamo neanche difesa. Vi sarete accorti anche voi - dopo il 3 a 0 che ci hanno impartito i mediocri calciatori russi - quanto assomigli la nostra Nazionale di calcio al Paese che le siede mormorando intorno, l'Italia. Tutti e due stanno, stiamo, ai bordi dell'Europa, quasi ultimi nella classifica delle qualificazioni per i prossimi Europei, penultimi in tutto il resto, dal baratro dello spread a quello della disoccupazione, senza dimenticarci la vergogna della corruzione. Siccome quando si tratta di essere i peggiori ce la mettiamo tutta, non ci siamo neanche negati il terzo, il quarto, anzi l'ennesimo scandalo scommesse, questa volta esibendo un mercato globale della truffa, che va da Bergamo a Napoli, passa per la Romania e Singapore. Abbiamo i calciatori più milionari del mondo, così come abbiamo il personale politico più pagato di ogni altro in Occidente. Ma evidentemente i soldi non bastano mai. Oppure sarà colpa della noia: troppi tatuaggi, troppi benefit, troppe spider, troppe pupe, troppa televisione. Buffon, pescato a versare un milione e mezzo di euro l'anno a una sala scommesse, dice che dei suoi soldi ne fa quello che vuole, almeno fino a quando non viola il codice sportivo e quello etico. Deve essersi distratto, ultimamente. Non si è accorto che Umberto Bossi, pescato con il Trota in bocca, ha detto più o meno la stessa cosa, parlando dei soldi della Lega. Che da allora è scomparsa. Speriamo che Buffon non faccia la stessa fine tra i pali della Nazionale. -
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CONTROMANO di CURZIO MALTESE (IL VENERDI DI REPUBBLICA | 8 GIUGNO 2012) LO SCANDALO DEL CALCIO? DA NOI CHI È LIMPIDO NON HA MOLTA FORTUNA Mario Monti ha avuto il merito, da commissario europeo, di bloccare la vergognosa legge «salva calcio» proposta dal governo Berlusconi per ridurre i debiti del Milan e incidentalmente anche di tutte le altre squadre di calcio italiane, a spese dei contribuenti. Già all’epoca fu un bersaglio degli strali del popolo del calcio. Tanto più in questi giorni, dopo aver proposto il blocco del campionato per due o tre anni, come risposta agli scandali a ripetizione. È evidente che al professore il calcio non piace. Bloccare il campionato sarebbe una follia. Non saprei, fra l’altro, come spiegarlo a mio figlio di dieci anni che ha scoperto la passione per il pallone e ormai parla di tattiche come Caressa. Ma non mi piace nemmeno la totale assenza di reazioni da parte degli appassionati al fatto che il calcio italiano, come evidenziano le inchieste, è per buona parte in mano alle mafie. Intendiamoci, il business delle scommesse, esploso a livelli incredibili negli ultimi anni (il 60 per cento del commercio sulla rete), costituisce una minaccia per tutti i campionati del mondo. Ma negli altri Paesi gli scandali scoppiano ogni dieci, quindici anni. In Italia ogni due o tre. Segno che il sistema è marcio. Segno anche che il governo del calcio è del tutto inadeguato ad affrontare il problema. La federazione non ha fatto nulla dopo il primo, il secondo, il terzo scandalo. Il capitano della nazionale, Buffon, se ne esce con una filippica contro i magistrati che sembra presa da una registrazione di Ghedini. In passato i pochi che hanno osato denunciare le storture del calcio, dalla corruzione al doping, hanno pagato con l’ostracismo dall’ambiente. Uno di questi è il meraviglioso Zdenek Zeman, una delle poche figure di persone limpide. Ma Zeman, che è italiano, e anzi un italiano di cui andare fieri, viene comunque da fuori. Ora, perché la corruzione in politica evoca strali comuni e quella nel calcio trova tante complicità? Perché in politica ha vinto questa strana idea populista per cui gli italiani brava gente non sono responsabili delle malefatte della classe dirigente. Loro vorrebbero eleggere dei galantuomini capaci, ma per colpa del fato a ogni elezione vincono dei manigoldi, piovuti da Marte, frutto di un complotto ordito altrove. Ma il calcio no, il pallone è sacro. Non si può ammettere che anche il nostro campionato sia il più corrotto d’Europa, il peggio amministrato, popolato di mafiosi e delinquenti a tutti i livelli, dai capi ultras ai presidenti. Perché allora bisognerebbe riflettere sulla complicità di massa che circonda l’illegalità. Meglio dire che si tratta di poche mele marce, piccoli clan, probabilmente stranieri infiltrati. ------- PER POSTA di MICHELE SERRA (IL VENERDI DI REPUBBLICA | 8 GIUGNO 2012) COSA RESTA DEL CALCIO TRA SCANDALI E RICATTI NEGLI STADI Caro Serra, mentre la parte più debole del Paese arranca, i calciatori, categoria di miliardari, strapagati, mediaticamente sovraesposti, idolatrati e tenuti in ostaggio da gang di ultrà non meno che da un giornalismo «specializzato» ai confini della realtà, non paga dei propri guadagni e averi, trucca le scommesse e si fa corrompere per brama di possesso ancora superiore, per smania di ulteriore lucro, per autentica e patologica «lussodipendenza». L’avidità dei ricchi genera la rabbia dei poveri, ma credo sia da temere assai più la prima della seconda. Roberto Pugliese | email Caro Pugliese, non bisogna generalizzare: sicuramente ci saranno calciatori muniti di etica sportiva, e perfino di etica in senso lato. Ma va detto che l’ambiente, nel suo insieme, qualcosa di respingente e di poco simpatico ce l’ha. Presidenti dispotici e prepotenti, che licenziano gli allenatori dopo un paio di sconfitte (dimostrando, loro per primi, di non sapere perdere) e danno, della figura del padrone, un’immagine vecchia e desolante. Calciatori che appaiono tanto narcisi quanto fragili, attaccati ai quattrini molto più che alla maglia, terrorizzati all’idea di esprimere anche una mezza idea politica (ammesso che ne abbiamo una). Frequentazioni spesso compromettenti, quel démi-monde di trafficoni, starlette, mediatori, scommettitori che pullula nei locali notturni. E su tutto (e peggio di tutto) l’incombente, orrenda intrusione delle tifoserie di curva, molto spesso pesantemente infliltrate dalla malavita, che ricattano le società, tengono in pugno i calciatori di minor carattere, condizionano la vita del calcio in maniera permanente e inaccettabile. L’episodio di Genova (i giocatori che consegnano a capo chino le maglie ai capobastone della curva, immagine circolata in tutte le televisioni) è uno dei punti più bassi mai raggiunti dallo sport mondiale. Quasi peggio del Calcioscommesse. -
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CARTA CANTA I biscotti non sono tutti uguali Quando l'Italia fu buttata fuori dagli Europei con un pareggio sospetto i nostri gridarono allo scandalo. Compreso Buffon. Che ora s'indigna per le indagini sul calcio e perdona chi "fa i conti" sui risultati di MARCO TRAVAGLIO (l'Espresso | 14 giugno 2012) Il 22 giugno 2004, allo stadio di Oporto, Danimarca e Svezia disputano il quarto di finale degli europei di calcio in Portogallo. Se una delle due vince, passa il turno con l'Italia di Trapattoni. Se invece pareggiano, si qualificano entrambe e l'Italia torna a casa. Alla vigilia il portiere della Nazionale azzurra avverte: "Se fanno davvero 2-2, altro che Ufficio inchieste: direttamente le teste di cuoio in campo ci vogliono!". Quella sera, sugli spalti di Oporto, le due tifoserie srotolano striscioni beffardi: "2-2 e ciao Italia". In campo i calciatori scherzano sul pareggio annunciato e sugli italiani che sospettano il "biscotto". Finisce puntualmente 2-2, dopo una partita molto combattuta, risolta però all'ultimo minuto con il gol dello svedese Jonson favorito da una mezza papera del portiere danese Sorensen. Seguono quattro minuti di melina, prima del fischio finale dell'arbitro. Le due squadre vanno in semifinale, gli azzurri sono eliminati. Del Piero alla fine non vuol fare polemiche: "Non cerchiamo scuse". Anche Trapattoni, subito esonerato, dice: "Non voglio credere a una combine". Ma gli altri azzurri, da Panucci a Zambrotta, da Pirlo a Cannavaro, fremono di sdegno e sparano a zero sui colleghi scandinavi e il loro "biscotto" ammazza-Italia. Il più indignato è sempre il portiere: "Il 2-2 è uno schifo, uno scandalo a livello mondiale. Ha perso soprattutto lo sport. Provo vergogna, ma non per noi: per gli svedesi e i danesi. L'hanno fatta proprio sporca. E pensare che il calcio, non essendo solo soldi e business, dovrebbe dare insegnamenti ed esempi. Ma dopo questo pareggio che cosa penseranno i giovani? Che è giusto mettersi d'accordo anche a 13 anni per vincere la coppa della parrocchia". E chi è questo portiere, autentica reincarnazione di Catone il Censore? Gianluigi Buffon: toh, lo stesso che l'altro giorno se l'è presa con i pm che indagano sul calcio scommesse e con i giornalisti che lo raccontano denunciando la "vergogna" della presunta giustizia a orologeria. Poi ha giustificato i pareggi in saldo da fine stagione: "Se a due squadre va bene il pareggio, possono anche pareggiare. Sono affari loro. Alcune volte, se uno ci pensa bene, che cosa devi fare? Meglio due feriti che un morto. E chiaro che le squadre le partite se le giocano. Ma ogni tanto anche qualche conto è giustificato farlo". Ohibò: pareggiare per convenienza non è più uno schifo? E, dopo queste dichiarazioni, che cosa penseranno i giovani? Che allora è giusto mettersi d'accordo anche a 13 anni per vincere la coppa della parrocchia? Anziché convocare Buffon e dargli qualche ripetizione di lealtà sportiva, il presidente della Figc Abete s'è affrettato a giustificarlo: "Buffon ha sempre adottato una linea di trasparenza: un conto è la necessità di vincere o pareggiare, altro l'accordo che non è accettabile". Sarà, ma in un paese meno smemorato, Buffon dovrebbe spiegare a cosa si deve e a quando risale la sua improvvisa conversione al cinismo machiavellico. O aggiungere: "Il pareggio di convenienza va bene solo se conviene a me". In attesa delle prove sulla giustizia a orologeria, ecco una bella prova di moralismo a orologeria. P. S. Nell'ultima giornata del campionato 2004-2005, il Parma pareggiò a Lecce 3-3: la Fiorentina si salvò e, dopo lo spareggio, il Bologna retrocesse. Molti giocatori leccesi, tra i fischi dei tifosi e gli urli dell'allenatore Zeman, s'impegnarono ben poco. Nel processo di Calciopoli, per quel biscotto, il tribunale di Napoli ha condannato i fratelli Della Valle, il designatore Bergamo e l'arbitro De Santis. Sentito come teste, Zeman ha spiegato: "Secondo me qualcuno del Parma ha pregato i miei giocatori di desistere, questo capita spesso. Ma salvare qualcuno per condannare un altro non è nella mia mentalità e quindi volevo che la mia squadra, che aveva giocato bene per un'ora, continuasse a giocare". Sarà mica per questa mentalità deviata che Zeman non allena in serie A da dieci anni? -
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Il Sole 24 ORE 08-06-2012 Holding. Sale la cedola per l'accomandita Exor riduce la quota Sequana L'OPERAZIONE Aumento da 150 milioni per l'azienda francese, entra il fondo sovrano Fsi Ieri i soci G.Agnelli & C. approvano i conti 2011 di A.MAL. (Il Sole 24 ORE 08-06-2012) I soci della Giovanni Agnelli & C. , la società in accomandita che custodisce le quote di controllo di Fiat e Fiat Industrial, hanno approvato ieri il bilancio 2011. I circa 50 soci presenti, dei vari rami della famiglia Agnelli, hanno dato ieri via libera ai conti nell'assemblea presieduta da John Elkann; la riunione è stata l'occasione, come ormai di consueto da qualche anno, di fare il punto sull'andamento dei vari business del gruppo e sulle prospettive. I conti 2011 della società non sono stati resi noti; la principale fonte di ricavi è il dividendo pagato da Exor – la holding controllata al 59% che ha in portafoglio le partecipazioni di controllo in Fiat e Fiat Industrial; il dividendo 2011 di Exor è aumentato rispetto all'anno precedente (a complessivi 75 milioni da 68) e salirà ulteriormente a circa 80 milioni quest'anno, come appena deliberato dal l'assemblea. Proprio ieri Exor ha annunciato una riduzione della quota nella società cartaria francese Sequana in occasione di un aumento di capitale da 150 milioni di euro annunciato sempre ieri da quest'ultima. La finanziaria degli Agnelli – maggiore azionista con il 28, 4% – ha deciso di partecipare solo in parte all'operazione accettando una diluizione e lasciando spazio all'ingresso nella compagine azionaria di Sequana di Fsi, il fondo sovrano francese di investimento strategico. La partecipazione di Exor nella società – guidata da Tiberto Ruy Brandolini D'Adda – «risulterà diluita in funzione delle caratteristiche dell'aumento di capitale che saranno definite nei prossimi giorni». Sequana non ha dato di recente grandi soddisfazioni ai soci: dopo una perdita di 77 milioni di euro nell'esercizio 2011, nel primo trimestre 2012 è tornata in utile per 2,6 milioni di euro (in netto calo rispetto ai 26, 3 dello stesso periodo del 2011). Tornando alla due giorni torinese, la giornata di mercoledì ha visto gli interventi al Lingotto del direttore de «La Stampa» Mario Calabresi e di quello della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto. Ieri la riunione si è trasferita al nuovo stadio della Juventus – uno dei maggiori investimenti del gruppo in Italia degli ultimi anni – dove ha fatto gli onori di casa il presidente Andrea Agnelli. In quella cornice Sergio Marchionne e i tre amministratori delegati di Iveco, Cnh e Fipt hanno illustrato l'andamento e le prospettive rispettivamente di Fiat spa (con Chrysler) e di Fiat Industrial, ovvero i due investimenti "storici" della famiglia (ma non i due maggiori, poiché la quota nella svizzera Sgs vale oggi più di quella in Fiat). Al meeting hanno partecipato, tra gli altri, Lapo e Ginevra Elkann, fratelli di John; Maria Sole Agnelli – sorella dell'Avvocato – con il marito Pio Teodorani Fabbri e il figlio Eduardo; Alessandro e Tiziana Nasi, Ruy Brandolini, Oddone Camerana, Luca Ferrero Ventimiglia e parecchi esponenti dell'ultima generazione della famiglia. Come si conviene a una delle maggiori dinastie aziendali italiane, gli Agnelli hanno ascoltato ieri una relazione di un esponente di un'altra famiglia imprenditrice: Jorge Paulo Lemann, terzo nella classifica dei miliardari brasiliani e guida della famiglia che controlla il colosso delle bevande InBev e che nel 2010 ha rilevato la Burger King. -
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Tessile. A rischio la continuità aziendale della società partecipata da Buffon Il bilancio Zucchi bocciato da Kpmg di SIMONE FILIPPETTI (Il Sole 24 ORE 08-06-2012) Non ci saranno solo i tiri in porta della Spagna campione del Mondo da parare, domenica sera. Per Gianluigi Buffon il campionato più difficile da giocare non sono gli Europei in Polonia ma quello a Piazza Affari e lì dovrà mettere una toppa a ben altri buchi. Quelli di bilancio della Zucchi, di cui è oggi il primo azionista singolo (con una quota del 19%, pari a quella della famiglia fondatrice, divisa però tra i vari discendenti). La storica griffe tessile e arredo casa viene da anni di crisi e bilanci in perdita. Come se la situazione non fosse già abbastanza difficile, ieri è arrivata anche la bocciatura dei revisori dei conti: il bilancio del 2011, chiuso con una perdita di 11 milioni, non è stato certificato. Kpmg non è stata in grado di esprimere un giudizio: troppe le incertezze, a detta dei revisori, che mettono a rischio la continuità aziendale, ossia la capacità di andare avanti. Il 2011 è stato nero e poiché Zucchi ha bruciato più di un terzo del capitale dovrebbe, per legge, ripianare le perdite. Ma siccome di capitale non ce n'è più (il patrimonio netto risulta in rosso per 8 milioni), non si può compensare il passivo abbattendo il capitale stesso. Zucchi dovrebbe incassare soldi dalla vendita degli immobili, ma la stessa Kpmg osserva come questo non sia un obiettivo così facile nell'immediato, vista la recessione e la crisi del settore immobiliare. L'anno scorso era stato raggiunto un piano di salvataggio, ricorrendo alla legge fallimentare, una sorta di default pilotato per negoziare i debiti. In più era stato chiesto ai soci di mettere dentro l'azienda nuovo denaro, con un aumento di capitale. Ma ora il peggioramento dei primi mesi dell'anno rischia di mandare tutto all'aria e di rendere vana la ricapitalizzazione: sulla base dei numeri a fine marzo, tra due settimane è probabile che i covenant fissati dalle banche a garanzia della road map salteranno. L'unica strada possibile è quella di chiedere una moratoria alle banche: una tregua per evitare il dissesto. Dal canto suo il cda ritiene invece che ci sia ancora la continuità aziendale e che ci siano «ragionevoli» aspettative di ottenere «adeguate risorse». Sta di fatto che da anni Zucchi promette un risanamento che non arriva mai. Finora il portiere della Juventus e della nazionale è stato il cavaliere bianco che ha investito nell'azienda, versando nuova liquidità. C'è il fondato timore che possa doverne metterne ancora. __________ Attualità CAMPIONI DI OGGI / IL CAPITANO Che tesoro di Buffon Il gruzzolo milionario al titolare di una ricevitoria. Il patrimonio immobiliare. Gli investimenti in Borsa. Ecco il Paperone del pallone di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 14 giugno 2012) Salvo imprevisti giocabili a quote molto alte, domenica 10 giugno nello stadio di Danzica due portieri si presenteranno a centrocampo per scambiarsi i gagliardetti. Iker Casillas consegnerà la bandiera spagnola e riceverà il tricolore da Gianluigi Buffon, detto Gigi. Due campioni, due simboli che cercheranno di alleviare la depressione psicoeconomica dei loro Paesi con il metodo più rodato: un pallone da football. L'italiano ha un compito ancora più ingrato. Fare dimenticare lo scandalo del calcioscommesse. Non facile, soprattutto per chi ha consegnato 1,6 milioni di euro al tabaccaio parmense Massimo Alfieri, titolare di una ricevitoria. Secondo il legale del campione, il denaro era destinato all'acquisto di Rolex (forse dieci, forse venti), a imprecisate attività finanziarie e immobiliari o, chi sa, a scommesse su basket e curling islandese. A un tesserato della Federcalcio come Buffon è vietato soltanto scommettere sul suo pane quotidiano. Ma se il Capitano voleva giocarsi l'over su un match di polo in Argentina, allora non è chiaro perché ci sia stata l'interposizione di Alfieri e della sua miracolosa ricevitoria in Strada Garibaldi. Lì, secondo le prime analisi della Guardia di Finanza che ha sequestrato tre anni di puntate da Alfieri, la proporzione delle giocate vincenti era dell'83 per cento. È una proporzione sufficiente a dichiarare il fallimento della scienza statistica e del calcolo delle probabilità. Né è chiaro perché Alfieri, in viaggio negli Usa in questi giorni, abbia agito da intermediario su investimenti di altro genere. Il tabaccaio di Parma, città dove Buffon è cresciuto difendendo la porta del club emiliano ai tempi di Calisto Tanzi, ha un breve passato di agente finanziario. Otto mesi nel 2009, poi è stato cancellato dagli elenchi della Banca d'Italia. In attesa di approfondimenti sulle matrici delle giocate, Buffon guiderà i compagni nella spedizione agli Europei di Polonia e Ucraina. Alle controversie è abituato e quella della tabaccheria di Parma è soltanto l'ultima in carriera. Poco prima degli assegni ad Alfieri c'è stata la frase "meglio due feriti che un morto" riferita alla consuetudine del calcio italiano per cui, a fine campionato, si evita di inguaiare colleghi di altre squadre e si regalano pareggi e vittorie. Prima ancora, la storia del falso diploma per iscriversi a Giurisprudenza. E un'archiviazione della giustizia sportiva per avere scommesso su cinque partite nel 2004-2005. Infine, una passione dichiarata per il gioco che, a detta dell'interessato, gli è costata oltre 2 milioni di euro fino al 2006. Poi c'è il ramo politicamente scorretto: la scritta "Boia chi molla" sulla maglietta, la scelta del numero 88 che i neonazisti usano come simbolo di Heil Hitler, lo striscione guarnito di croce celtica e scritta "Fieri di essere italiani" esposto al Circo Massimo dove l'Italia governata da Romano Prodi festeggiava il quarto titolo mondiale. Troppa ideologia per nulla. Gigi non è di sinistra, questo è sicuro. Ma, all'atto pratico, è più sul me ne frego che sul tireremo dritto. Quando è capitato di fare affari bipartisan, come per un investimento in terreni nella sua Carrara, ha versato 400 mila euro su invito del socio Giuliano Lucetti, un immobiliarista targato Pd. Se c'è una cosa che Buffon sa fare, oltre a parare, è investire. Sotto il profilo patrimoniale, non c'è dubbio che il numero uno della Nazionale e della Juventus sia il calciatore italiano più ricco della storia. Altri fuoriclasse come Totti, Del Piero, Cannavaro, al confronto, si arrabattano. A differenza dei colleghi, Buffon non ha perso troppo tempo a vendere magliette o altri gadget effimeri. La sua unica avventura, in società con Simone Sidoti del marchio A-style, è stata chiusa un paio di anni fa con la liquidazione della società. Mattoni, altro che jeans. Ettari, non felpe. Messe da parte le scommesse perdenti, Gigi ha costruito un impero immobiliare, con proprietà stimabili oggi in oltre 20 milioni di euro. Erano 6 milioni del 2005. Sono tutte cifre a valore di libro, registrate per difetto. In termini di prezzi di mercato, bisogna calcolare più del doppio, oltre i 40 milioni. Il catalogo è impressionante. La holding del capitano, un'azienda a conduzione familiare gestita insieme ai genitori e alle sorelle ex pallavoliste Veronica e Guendalina, possiede cinque villette nella stazione sciistica di Limone Piemonte, cinque appartamenti a Parma, una villa di 14 vani a Forte dei Marmi, altri 20 appartamenti sparsi nelle aree più pregiate della Sardegna settentrionale (Cannigione, Palau, Porto Rotondo, Santa Teresa di Gallura, Liscia di Vacca) per un totale di 63 vani, due case a Rivoli e una a Torino. A questo bisogna aggiungere parcheggi, esercizi commerciali, un ristorante in centro a Pistoia (Zerosei), terreni a non finire in Toscana, lo stabilimento balneare della Romanina a Ronchi in Versilia e, sempre a Ronchi, un hotel a quattro stelle (Stella della Versilia) inaugurato a luglio dell'anno scorso e affidato, anche questo, a un familiare. È Stefano Turi, marito di Veronica Buffon, testimone di Gigi alle nozze con Alena Seredova ed ex calciatore della Carrarese, il club del cuore che gioca nell'ex C1 e che ha tra i suoi azionisti il campione del Mondo di Germania 2006 con una partecipazione del 20 per cento. Questo è il tesoro della Buffon & Co srl. A livello personale, Gigi è proprietario di due case a Parma e di una villa di 20 vani in strada Val San Martino a Torino, sulla collina torinese, a breve distanza dalla residenza dell'ex amministratore delegato della Juve Antonio Giraudo, gestore immobiliare del presidente juventino Andrea Agnelli, e non molto lontano da villa Frescot, la residenza dell'Avvocato e di donna Marella Agnelli. A parte l'hotel e il lido in Versilia, è roba che rende poco. Poco in senso relativo, si capisce. I ricavi complessivi della holding sono di circa un milione di euro all'anno. Quanto serve per coprire le spese senza rimetterci. Il resto lo fanno i contratti pubblicitari e, soprattutto, l'ingaggio. L'ultimo stipendio annuale del capitano juventino raggiunge i 6 milioni di euro netti, anche grazie al premio scudetto. Se, come appare certo, Buffon rimarrà alla Juve oltre la scadenza del contratto nel giugno del 2013, dovrà accettare una riduzione salariale drastica. Il suo agente, l'ex portiere genoano Silvano Martina, si è accordato con il club per prolungare fino al 2015 con un salario annuale netto di 3,5 milioni di euro. L'annuncio ufficiale sembrava imminente a fine maggio. Poi il caos degli arresti per le partite truccate ha fatto passare tutto in secondo piano. Nonostante la buriana, il giocatore non sarà abbandonato dal suo datore di lavoro, come non sono stati abbandonati l'allenatore Antonio Conte e il difensore della Nazionale Leonardo Bonucci, indagati per associazione a delinquere per la stagione 2010-2011, quando non erano tesserati della Juve. Sul passaggio di denaro tra Buffon e Alfieri, che risale al 2010, Agnelli si è ispirato al collega Silvio Berlusconi e ha citato la giustizia a orologeria che colpisce proprio prima degli Europei e dopo lo scudetto della Juve. Il settore orologeria, inclusi i Rolex che Buffon dice di avere acquistato, non c'entra niente. Se il portiere ha giocato per interposto tabaccaio, niente può salvarlo da una squalifica sportiva in base a una norma introdotta dalla Federcalcio nel 2005. Ma nei momenti difficili la solidarietà è gradita. Buffon ha un rapporto profondo con la proprietà della Juventus dai tempi bui di Calciopoli, quando la Juventus ha dovuto affrontare il primo campionato in B della sua storia. Quell'anno c'è chi ha cambiato squadra per non retrocedere e c'è chi è rimasto. Buffon è rimasto, si è fatto la serie B e a Torino non se lo sono dimenticato. La fedeltà alla Zebra ha aperto a Gigi porte che non tutti i campioni bianconeri riescono ad aprire. Lo dimostra l'unico investimento finora sbagliato di Buffon, quello nella Zucchi. La storica società di biancheria per la casa, che è anche uno dei partner ufficiali della Nazionale di calcio, è stata praticamente salvata dall'intervento in uscita spericolata del capitano italiano. Buffon ha investito oltre 6 milioni di euro nel capitale dell'azienda quotata in Borsa. Insieme a Gigi, che ha comprato il 19,6 per cento della Zucchi, un altro socio di area bianconera è Riccardo Sebastiano Grande Stevens, figlio di Franzo, cioè "l'avvocato dell'Avvocato", come lui stesso si definiva con tipico senso dell'umorismo. Grande Stevens junior ha comprato una quota oltre il 2 per cento della Zucchi, non è chiaro se a titolo di investimento personale. Più probabilmente è un acquisto per conto terzi dato che Riccardo Grande Stevens fa il promotore finanziario per la Pictet & compagnie, la banca svizzera utilizzata dalla famiglia Agnelli per i suoi investimenti all'estero attraverso la Simon fiduciaria della famiglia Grande Stevens. L'esordio di Buffon in Borsa ha comportato, una volta di più, qualche incidente di percorso sotto forma di alcune multe della Consob per 70 mila euro complessivi tra giugno e settembre del 2011. L'infrazione è chiamata "market abuse". In parole povere, ogni volta che Gigi superava le soglie di partecipazione fissate dall'organo di vigilanza si dimenticava di dichiararle. Quisquilie. Non sono i verbali della Consob a fare male. Il titolo Zucchi è stato acquistato a più del doppio di quanto vale adesso e la capitalizzazione di Borsa della società è di 15 milioni di euro. Insomma, Gigi ha perso oltre la metà di quello che ha investito in un'azienda che vale quanto un anno e tre mesi del suo stipendio lordo corrente. Cose che possono capitare quando si scommette sul capitale di rischio. Altrimenti, uno va a giocare alla tabaccheria di Massimo Alfieri. Sul curling islandese, a quanto pare, non c'è modo di perdere. -
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il Fatto Quotidiano 08-06-2012 -
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Ucraina, caccia ai bambini fantasma Operazione pulizia, migliaia di piccoli homeless spostati nelle periferie di ANDREA SORRENTINO (la Repubblica 08-06-2012) Col manganello che penzola e sbatte sul fianco, i due gendarmi salgono a tre a tre i gradini che dai sotterranei di Maidan conducono alla luce, alla grande piazza dell´Indipendenza, l´anima di Kiev. In cima alla scalinata si fermano, guardano in tutte le direzioni, parlottano. Poi spariscono tra la folla. Altri ne abbiamo visti, in questi giorni di vigilia, affannarsi per le vie del centro, guardinghi, sospettosi, furtivi e all´inseguimento. Si immergono nel mondo sommerso e buio delle enormi isole pedonali che stanno sotto la piazza più famosa di Kiev e vanno a caccia. Di bambini. Bambini che bisogna allontanare dalle vie dello struscio, dei negozi griffati, per spingerli in periferia. I bambini vagabondi di Kiev, che sono migliaia ma che nessuno, per almeno un mese, deve vedere. Hanno sei, otto, nove, dodici anni. Facce annerite dalla vita, raggrinzite dalle privazioni e dalle notti all´addiaccio, anime perse nel ventre della città.Vivono di elemosine, furtarelli e razzie nei bidoni della spazzatura, folletti solitari che si animano quando fa buio, ed è in quel momento che inizi a vederli in giro: «Prima regola: dormire di giorno e vivere di notte», perché di sera aumentano le possibilità di raccogliere mance o elemosine, fuori dai locali alla moda, fuori dai ristoranti che costano un sacco. Se va male, ci sono sempre i bidoni della spazzatura all´esterno dei fast food, e di quelli con la M stilizzata a Kiev ce ne sono a decine. Se va malissimo, qualcuno vende il proprio corpo, e un´altra notte è passata. I bambini vagabondi di Kiev, in una città da tre milioni di abitanti, sono migliaia, anche se nessuno è mai riuscito a censirli perché è impossibile: molti non esistono perché non sono mai stati registrati all´anagrafe. Dicono che sarebbero almeno diecimila in questo periodo, ma anni fa erano il triplo, il quadruplo. Ora sono di meno solo perché in parecchi vivono, anzi sopravvivono da homeless in altre città ucraine e non vengono più a Kiev, un tempo l´unica grande metropoli del paese. È la Londra di Dickens centocinquant´anni dopo, e a due ore e mezza d´aereo dall´Italia. I bambini di Kiev vengono da famiglie disgraziate, con genitori poverissimi o alcolizzati, o entrambe le cose. Un giorno se ne sono andati di casa, semplicemente perché i loro genitori non li volevano, o li picchiavano, o peggio. Alcuni sono andati negli orfanotrofi e sono scappati anche da lì, hanno preferito la libertà alla prigione. Dormono dove capita, e neppure troppo distanti dalle vie del centro, spesso a poche centinaia di metri dal grande stadio Oliympiysky: vicino ai canali, sotto i ponti, nei vagoni dei treni abbandonati, nei pressi degli enormi tubi di riscaldamento sotterranei, perché qui d´inverno si scende anche a -25. Ci sono organizzazioni non governative che si occupano del problema, da anni provano a svuotare il mare di disperazione accogliendo i bambini, provando a inserirli nella società o a ricongiungerli con le proprie famiglie. Tra le altre, c´è "Father´s Care", con due donne americane che vivono qui da vent´anni, Jane Hyatt e Barbara Klaiber. La loro struttura è nella periferia ben curata di Kiev, a nord, tra boschi di betulle, ospita alcune decine di bambini per volta, non c´è alcun aiuto dal governo ma autofinanziamento con donazioni dagli Usa e dalla Svizzera: «Abbiamo restituito alle famiglie circa 150 bambini negli ultimi anni. Sappiamo che è poco rispetto all´enormità del problema, ma è qualcosa. Rispetto alla fine degli anni Novanta ci sono meno bambini per strada, perché il governo ha iniziato a muoversi, ma rimangono tantissimi lo stesso». Adesso, comunque, nessuno li vedrà. Perché le città ucraine devono apparire belle, vivibili, senza problemi o fastidi. Arriva l´Europeo e l´immagine è tutto, anche se la vicenda della prigionia dell´ex premier Tymoshenko l´ha sporcata assai (ieri anche il governo inglese ha annunciato che non sarà presente alle partite in Ucraina). La bonifica, com´è noto, è iniziata da mesi: via i cani randagi dalle periferie delle città, fatti scomparire in un modo brutale che ha sollevato le proteste degli animalisti di tutta Europa; via addirittura, è storia di oggi, i baracchini coi venditori di caffè lungo le vie, stanno lì da sempre ma non danno un´immagine glamour della città. Ora via anche i bambini vagabondi: tra poco si gioca, e il mondo non deve sapere che oltre il pallone c´è altro, c´è tutto questo dolore. ------- Ultras contro l´Olanda è già allarme razzismo di FRANCESCO SAVERIO INTORCIA (la Repubblica 08-06-2012) Lo slogan non ha bisogno di traduzioni: "Fuck Euro". Al diavolo l´Europeo 2012 e tutti questi turisti che vengono alla partita mangiando popcorn come al cinema. La frangia calda del tifo polacco non è per nulla contenta di ospitare il torneo. Quelli del Wisla Cracovia si sono imbucati al primo allenamento dell´Olanda e hanno portato la protesta all´interno della manifestazione. Il resto dello stadio all´inizio ha pensato a un´accoglienza calorosa, poi si è dissociato quando ha inteso il senso dei cori. Ieri, di nuovo, gli ultras hanno accompagnato l´allenamento degli Oranje con insulti e versi della scimmia per i calciatori di colore. Il ct van Marwijk ha ironizzato: «Almeno adesso sappiamo cosa ci aspetta: un ambiente stupendo». L´Uefa è informata, ma non ha ricevuto denuncia dall´Olanda. Nel frattempo le famiglie di Oxlade-Chamberlain e Walcott hanno deciso di rimanere in Inghilterra per paura di aggressioni razziste. Cracovia è ribattezzata "la città dei coltelli" per l´abitudine degli ultras di Wisla e Ks di usarli negli scontri. Una lama lanciata dagli spalti del Wisla ferì Dino Baggio in Coppa Uefa, quattordici anni fa: cinque punti di sutura al giocatore del Parma e un anno di squalifica al club polacco. La protesta contro Euro 2012 è verso le regole imposte dalla federazione polacca per estirpare gli hooligans. I kibole, come li chiamano i media, odiano i nuovi stadi in cui è vietato tifare in piedi, portare fumogeni, appendere striscioni. Per la polizia sono cinquemila i facinorosi polacchi da tenere d´occhio. Un mese fa ha arrestato 35 tifosi dopo gli scontri fra Pogon Szczecin e Piast Gliwice, seconda divisione. E a due settimane dal via, altri 42 arresti. Fra i divieti c´è anche quello di bere alcolici in strada e di avvicinarsi allo stadio a volto coperto. Gli agenti hanno in dotazione pistole 9 mm, bastoni elettrici, fucili a pompa che sparano proiettili di gomma, diffusori acustici che possono essere settati anche sul tono deterrente ad alta frequenza (usati in Iraq, arriveranno anche ai Giochi di Londra), un cannone ad acqua blindato noto come Typhoon e soprattutto "cani addestrati a mordere direttamente nei testicoli", come avvisa il Kracow Post, esagerando un po´. ___ Hooligan avvisati Armi a ultrasuoni contro i teppisti In Polonia tolleranza zero: fucili ad acqua, legacci per ubriachi, cani-poliziotto in libertà Sarà vietato bere alcolici all'aperto Il tifo violento e razzista qui è ormai un pericolo di STEFANO BOLDRINI (GaSport 08-06-2012) Sono pronti a prenderli per le palle. Non è uno scherzo: tra le misure che la polizia polacca ha preparato per fronteggiare gli hooligans, ci sono cani addestrati per azzannare i testicoli. È il Krakov Post, giornale bilingue con una versione in inglese, a fornire una serie di dettagli sulle tecniche che le forze dell'ordine sono in grado di usare. Cannoni a ultrasuoni. Cannoni ad acqua. Fucili armati per uccidere. Celle equipaggiate con letti dove gli ubriachi saranno legati come nei manicomi lager, in attesa che passi la sbronza. «La polizia sarà durissima. Meglio non trovarsi da quelle parti quando scoppieranno i disordini», avverte il giornale. Rabbia Cracovia Le camicie nere della polizia stanno già pattugliando Cracovia, esclusa come sede del torneo, ma scelta come campo base da diverse nazionali, compresa quella italiana. Da queste parti si allenano anche inglesi e olandesi. «Una scelta politica», dicono a Cracovia, dove ieri pomeriggio il sindaco Jacek Majchrowski ha invitato la delegazione inglese a un aperitivo di benvenuto alla 19th Century Polish Art Galery. La risposta di Cracovia allo smacco degli organizzatori è invadere festosamente le tribune dei campi di allenamento: in 25 mila per l'Olanda, 10 mila per l'Italia. Scarfers Cracovia è la culla del «movimento» hooligan. Qui, il 2 giugno 1935, dopo la gara Cracovia-Ruch Chorzow, gli agenti dovettero intervenire e circondare il campo. E sempre qui, nel pieno della tragedia dell'occupazione nazista, il 17 ottobre 1943 i tifosi di Wisla Cracovia e del Cracovia si scontrarono durante un derby, giocato nonostante il divieto dei tedeschi. Nei decenni della dittatura comunista, l'hooliganismo fu compresso, ma con la caduta del regime e sotto l'influenza della cultura skinhead sono ricominciati i problemi. In Polonia, gli hooligans sono definiti «scarfers», dall'inglese scarf (sciarpa). Negli anni Novanta, il fenomeno è degenerato. Le battaglie tra tifosi, denominate «ustawka», si svolgono nei parchi e in campagna. Il 2006 è stato l'anno peggiore: l'hooliganismo polacco è stato giudicato più grave di quello inglese del periodo più violento. Ha assunto connotati razzisti vergognosi. Nell'allenamento di ieri dell'Olanda si è avuto un primo assaggio, con i «buuu» ai giocatori di colore che hanno indignato l'allenatore Van Marwijk e Van Bommel: «Ora sappiamo che bell'ambientino troveremo qui». Euro 2012 I report sui tifosi in arrivo tranquillizzano però le autorità. La crisi economica colpisce le tasche. Le difficoltà negli spostamenti tra Polonia e Ucraina, oltre alla limitata disponibilità degli alberghi, fanno il resto. Dall'Inghilterra sbarcheranno solo 3 mila tifosi. La brutalità della polizia è un deterrente e qui ci vuole poco per finire in cella. Nel decalogo pubblicato dal Krakov Post, s'invitano i pedoni a non attraversare le strade all'infuori delle strisce pedonali: scatta una multa pesante. È vietato bere all'aperto. Il pacchetto di misure potrebbe ridurre alla ragione gli hooligans stranieri. Ma a preoccupare bastano, e avanzano, quelli di casa. -
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L’Uefa insiste: «Niente Coppe col -1» Il segretario generale Infantino: «Valutiamo caso per caso, esclusioni pure a torneo in corso» di FABIO LICARI (GaSport 08-06-2012) Domanda da un milione di zloty (visto che l'Uefa è qui in Polonia): chi andrà alle prossime coppe? Quanto rischiano i club coinvolti, o sfiorati, dal calcioscommesse? Nel regolamento disciplinare è stato introdotto, cinque anni fa, un articolo molto rigoroso. Che si può sintetizzare così: 1) per giocare le coppe un club non deve essere coinvolto direttamente o indirettamente nella «manipolazione» di un risultato; 2) l'Uefa può estendere il divieto anche a chi non è punito dalla federazione se, con le sue indagini, pensa che la squadra sia in qualche modo coinvolta. Ne parliamo con il numero 2 dell'Uefa, il segretario generale Gianni Infantino. Preoccupato per quello che accade in Italia? «Tanto. Le scommesse non sono un fenomeno soltanto italiano, vanno prese con serietà. Complimenti a magistrati e federazione: non è facile agire con fermezza». Oltretutto, per l'Interpol, l'Italia è la migliore al mondo. «Perché c'è una legge dello Stato. L'Uefa chiede che la frode penale in campo sportivo sia legge: il che consente a magistrati e federazioni di lavorare assieme e applicare sanzioni penali e sportive. Le partite truccate non sono doping, non basta un esame medico: qui c'è di mezzo la criminalità, serve la polizia». Andiamo all'articolo del 2007. Perché? «Per garantire un'uniformità di giudizio in Europa. Altrimenti sa cosa poteva accadere? Dentro le coppe club di federazioni che controllano male, fuori invece squadre di federazioni che fanno il loro dovere. Tutti sanno: se un club è coinvolto direttamente o indirettamente, deve essere escluso». Esclusione possibile anche senza punizione federale? «Sì, la Disciplinare può analizzare un caso e non iscrivere un club perché lo considera coinvolto. Comunque senza giocatori e/o arbitro una gara non si può truccare, il club va valutato a parte». Una penalizzazione, anche -1, significa niente coppe? «In linea di principio, sì. A meno che il club non dimostri alla Disciplinare la sua completa e totale estraneità. Ma ogni caso va valutato singolarmente». Com'è la procedura? «Ogni club deve dichiarare per iscritto di non aver partecipato ad alcuna manipolazione di gare. Se questo succede, va alla Disciplinare. Che può decidere subito o aver bisogno di tempo». Come si esclude un club? «Se la responsabilità è accertata subito, niente iscrizione. Se le indagini sono più lunghe, può partecipare sub-judice ed essere escluso a torneo in corso: è appena successo ai greci del Volos. Erano nelle coppe, poi la federazione li ha penalizzati di 10 punti e noi li abbiamo esclusi. Se infine le indagini sono lunghissime, la penalizzazione può essere inflitta l'anno dopo». Platini chiede la radiazione anche per omessa denuncia. «Abbiamo già squalificato a vita due arbitri che sono stati contattati e non hanno denunciato il fatto. In Italia è diverso e rispettiamo le regole interne, però la nostra politica è: tolleranza zero». -
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L’INCHIESTA Una colletta per il pari nel derby la “storia devastante” di Genova Ipotesi di frode sportiva: nel 2011 i giocatori della Samp raccolsero soldi da versare ai cugini di FABIO POLETTI (LA STAMPA 08-06-2012) Più che un «biscotto» una torta. Una torta bella grande, forse addirittura milionaria, così grande da ingolosire i giocatori del Genoa. Nelle pieghe dell’indagine sul calcioscommesse spunta una colletta organizzata negli spogliatoi tra i calciatori della Samp per «comperarsi» il derby sotto la Lanterna dell’8 maggio dell’anno scorso ed evitare di finire in serie B. «Se avessimo le prove ci sarebbe da azzerare le due squadre...», si fa scappare un investigatore alla ricerca di tutti gli elementi su questa «storia devastante», anche se non inedita per la serie A, già sentita nell’inchiesta di Bari sul derby Bari-Lecce comperato dai leccesi. Un reato grande così per il passaggio di danaro, figuriamoci il problema etico. Ma in questa «storia devastante», per dirla con le parole del pubblico ministero Roberto Di Martino, devastato pure lui nella sua veste di tifoso della Samp, le questioni etiche sono davvero le ultimissime. Il capitolo del derby della Lanterna è l’ultimo a spuntare in questa storia infinita. E ci spunta quasi per caso a fine maggio, dopo la terza retata di arresti, in una intercettazione telefonica, una delle tante. Al cellulare è Massimo Leopizzi, uno dei capi degli ultrà del Genoa. Al telefono ricorda i tanti capitoli di questa vicenda e parla pure del derby dell’anno prima, rivelando di avere personalmente incontrato uno dei calciatori coinvolti che gli avrebbe raccontato della combine, con un pagamento di 350 mila euro a testa per cinque calciatori del Genoa, una cifra talmente esagerata che in procura la stanno ancora verificando. La chiamata gli costa l’iscrizione nel registro degli indagati per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Ma davanti al pubblico ministero Roberto Di Martino, in due ore di interrogatorio, Massimo Leopizzi, vestito di nero dalla testa ai piedi, nega tutto o quasi: «Mai avuto quell’incontro.. . Quel giocatore non lo conosco nemmeno... Devo avere solo riportato una voce che girava tra noi tifosi. . . », la sua difesa minimalista, che convince meno di niente gli investigatori. Il nome di quel calciatore mai uscito in questa inchiesta è agli atti, quel giorno non aveva nè la maglia del Genoa nè della Sampdoria ma era un ex. Ed è su di lui che ora stanno lavorando gli investigatori. Il calciatore potrebbe essere interrogato ma gli inquirenti per ora vanno cauti. Preferiscono ricostruire i contorni di questa vicenda che, allo stato degli atti, non coinvolge i vertici delle squadre ma solo i calciatori. E tra loro pure Domenico Criscito, il difensore della Nazionale che si è fumato gli Europei dopo aver ricevuto un avviso di garanzia. I contorni della vicenda sono tutti da chiarire ancora, anche perché alla fine il derby si concluse non come avevano sperato i giocatori della Sampdoria che puntavano al pareggio e vennero travolti da un gol al 96’ segnato dall’attaccante del Genoa Mauro Boselli. Un gol accolto dagli spalti con cori di scherno - «Non lo sapeva, Boselli non lo sapeva...», gridavano i tifosi tanto erano di dominio pubblico le combine. Partite manipolate che agli ultrà non sono mai andate giù. Tanto da far partire proprio dagli spalti le contestazioni dopo Genoa-Siena dello scorso aprile. Con i giocatori genoani costretti a togliersi la maglia perché «indegni» di indossarla. Con le minacce, l’anno prima, a Omar Milanetto del Genoa che poi corre a chiedere protezione a uno degli ultrà in un incontro dove sono presenti pure alcuni degli «zingari» del calcioscommesse. Una presenza casuale sembra di capire. Perché l’ultrà Massimo Leopizzi nel suo verbale chiede che venga messa nero su bianco una cosa sola: «Gli ultrà del Genoa sono totalmente estranei ad ogni partita combinata per il calcioscommesse». ___ Per i Monopoli nessun sospetto sui dati del 2010 art.non firmato (GaSport 08-06-2012) Nei giorni scorsi sembrava che le indagini sull'agenzia di scommesse di Parma di Massimo Alfieri (salita agli onori della cronaca per l'amicizia con Buffon e gli assegni girati dal portiere) dovesse portare a chissà quali scoperte. In realtà, sebbene a due anni dalla segnalazione, è stata fatta una verifica del movimento scommesse e della regolarità della gestione della documentazione antiriciclaggio. Le notizie degli investigatori parlavano di attenzione sulla percentuale di «scommesse vincenti» vicine all'80%. Secondo quanto emerge dai dati dei Monopoli di Stato, come riporta Agipronews, nel punto vendita sono state effettuate nel 2010 scommesse per oltre 7 milioni di euro, con una percentuale di vincite (e non scommesse vincenti) pari al 77%, giudicata sospetta dagli investigatori ma in realtà inferiore a quella riscontrata presso migliaia di punti scommessa in tutta Italia: 81%. In linea con il dato nazionale è anche il numero di ticket vincenti (contenenti scommesse singole e multiple): 7% del totale, contro un dato nazionale del 5%; in sostanza, su 100 ticket giocati nel 2010 7 sono risultati poi vincenti. ___ Portanova conferma tutto Il Bologna paga in blocco? «Misi al corrente l’intera squadra». Si rischia l’omessa denuncia Per Bologna-Bari rifiutò le proposte di Masiello senza avvertire la Figc Almiron e Gillet parlano del loro ex compagno di ETTORE INTORCIA (CorSport 08-06-2012) ROMA - Il Bologna è in ansia e quanto accaduto ieri in Procura Federale non fa che legittimare le preoccupazioni del club rossoblù. Perché, inutile girarci intorno, se il metro utilizzato da Palazzi sarà severo e inflessibile, la società emiliana si ritroverà a correre davvero il rischio di un maxi deferimento collettivo per omessa denuncia, un episodio senza precedenti. La gara che metterebbe nei guai i rossoblù è Bologna-Bari 0-4 del 22 maggio 2011, quella dell’incontro, a pochi giorni dal match, tra i faccendieri legati a Masiello e Daniele Portanova, difensore rossoblù che oppone un netto rifiuto a qualsiasi proposta illecita. Ieri il giocatore è stato ascoltato dagli 007 di Palazzi. Cosa ha detto? Il suo legale, l’avv. Gabriele Bordoni, dopo due ore e mezza di interrogatorio, ha spiegato che Portanova «ha raccontato le cose in maniera trasparente e leale, niente di diverso rispetto a Bari, con qualche approfondimento per le necessità della giustizia sportiva». LA CONFERMA - Dunque, Portanova ha confermato quanto dichiarato ai pm di Bari nell’interrogatorio del 5 marzo. E qui può nascere il problema sul profilo sportivo, perché ai magistrati pugliesi Portanova disse anche questo: «Di tutta questa vicenda io misi al corrente l’intera squadra del Bologna il venerdì, cioè il giorno dopo l’incontro con i tre baresi, intimando a tutti di stare attenti (...) Vorrei precisare che feci queste affermazioni palesando chiaramente il mio dubbio su quello che era stato il senso di quell’incontro (.. . )» . E sono proprio quelle parole «l’intera squadra» ad esporre potenzialmente tutti i rossoblù alla contestazione di omessa denuncia. Sanzioni? Sei mesi di stop, ma collaborando si può patteggiare una squalifica di 4 mesi. Nel caso del Bologna, sarebbe una contestazione senza precedenti: un’intera squadra nei guai per una leggerezza. Sul punto, ieri l’avvocato Bordoni ha precisato la linea rispetto all’eventuale addebito di omessa denuncia: «Non c’era una percezione tale che imponesse a Portanova l’attivazione. Se il dato percepito non è una certezza, non si possono fare denunce che potrebbero avere poi conseguenza penali» . Come dire: non poteva denunciare Masiello per un timido sospetto, rischiando una querela per calunnia. Ed è su questo punto che si basa la difesa di Portanova e del Bologna. GLI ALTRI ROSSOBLU’ - Sull’episodio raccontato da Portanova ieri sono stati ascoltati anche Mudingayi e Morleo (assistiti sempre dall’avv. Bordoni, il che ha fatto sollevare alla Procura dubbi di un conflitto d’interesse, dubbi messi a verbale) e Della Rocca. Poche domande, le loro audizioni sono durate una ventina di minuti. Oggi toccherà ad altri due rossoblù del presente, Cherubin e Gimenez, più un rossoblù di ieri, Viviano. La domanda, per tutti, sarà sempre la stessa. ALMIRON E GILLET - In Procura è stato ascoltato anche Gillet, ma in “quota” Bari, visto che quella gara l’aveva giocata in biancorosso. Con lui gli 007 di Palazzi si sono soffermati sulle partite contestate al Bari ma, probabilmente, anche sui rapporti con Andrea Masiello. Si spiega così anche l’audizione di Almiron, uno dei leader di quel Bari, oggi in forza al Catania che gli ha messo a disposizione il suo pool di avvocati (Chiacchio e Cozzone). Con l’argentino le domande si sono concentrate sui rapporti con il “pentito” più che sulle partite. Anche alla polizia giudiziaria Almiron aveva già negato di aver accusato esplicitamente Masiello di condotte illecite, confermando però che, dopo un litigio, i suoi rapporti con il difensore si erano interrotti definitivamente e nello spogliatoio vivevano da separati in casa. Come ex Bari oggi saranno ascoltati Bentivoglio e il tecnico Mutti. E, a sorpresa, oggi sarà ascoltato anche il ds Andrea Iaconi (ex Grosseto) che nel processo aveva chiesto lo stralcio durante l’ultima udienza. TUTTI PER MICCOLI - Un po’ di rapporto con la sana realtà lo ha ristabilito Fabrizio Miccoli, ascoltato su Palermo-Bari 2-1 per sentire le sue impressioni. «Vuol dire che farò una vacanza a Roma» , scherza all’ingresso, accompagnato dal manager Caliandro e poi dall’avvocato Malagnini. Prima di entrare in procura, si era fermato con una scolaresca di Aprilia ospite in Figc. Quei ragazzi sono rimasti ad aspettarlo per due ore, intonando cori nel silenzio di via Po. -
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L’ANTICIPAZIONE NELLA NUOVA DIVISA NON COMPARIRÀ LA TERZA STELLA PER EVITARE SCONTRI ISTITUZIONALI Il segreto di Agnelli: c’è un trenta sulla maglia Il riferimento solo implicito ai titoli: sotto lo stemma un motto del tipo «Trenta sul campo» di MARCO IARIA (GaSport 08-06-2012) Andrea Agnelli aveva promesso una «sorpresa» per i tifosi, in spasmodica attesa della nuova maglia della Juventus 2012-13. Quella sorpresa siamo in grado di anticiparvela, a qualche giorno di distanza dalla presentazione ufficiale, che dovrebbe avvenire la prossima settimana. Non ci sarà la terza stella, evocata nelle celebrazioni del post-scudetto dagli stessi dirigenti ed elevata dal popolo bianconero a vessillo della stagione del riscatto, dopo l'inferno di Calciopoli. Né verrà modificato il logo della società per mettercela dentro, sfruttando il fatto che quello è un territorio privato della Juve, dove le istituzioni non potrebbero intervenire. E nemmeno diventerà un elemento grafico del design della maglietta, non fosse altro che per una questione di tempi: Nike aveva già avviato da parecchi mesi l'iter progettuale ed esecutivo. No allo scontro Agnelli, che nelle ultime interviste, a freddo, aveva già smorzato i toni, ha voluto evitare lo scontro frontale con Coni e Federcalcio. Ma per accontentare i sostenitori e perpetuare la battaglia legale sulla «parità di trattamento», ecco la soluzione che sa di compromesso: nello spazio riservato allo stemma e alle due stelle, cioè sul lato sinistro della divisa, troverà posto una scritta contenente la parola «trenta». Riferimento implicito al numero degli scudetti che la Juventus «sente» di avere vinto, sebbene due le siano stati revocati dalla giustizia sportiva per i fatti del 2006. Implicito perché il «trenta» non sarà accompagnato da alcun sostantivo: né scudetti né stelle né campionati o quant'altro. Trenta come l'incipit di uno slogan del tipo (possiamo immaginare) «trenta sul campo». Che poi è ciò che società, calciatori, staff tecnico hanno ripetuto ossessivamente subito dopo l'ultimo trionfo. Trenta sul campo o trenta nel cuore, o comunque qualcosa di simile. Quel che è certo è che la scritta, diventerà una specie di refrain, come il motto del Barcellona «Més que un club». Tecnicamente, si tratta del nuovo payoff del brand Juventus, elemento verbale che accompagna nelle iniziative di comunicazione e marketing il logo di un'azienda e che ne esprime, in maniera concisa e suadente, la filosofia. Se il Barça fa stampare la sua frase all'interno del colletto, i bianconeri la piazzeranno presumibilmente sotto lo stemma (alla maniera della dicitura «il club più titolato al mondo» sulle divise del Milan), o in alternativa tra le due stelle e lo stemma stesso. Riflessioni La scelta definitiva è giunta al termine di un percorso non facile. Valutazione di fattibilità e rischi che ha portato a ritardare il varo ufficiale: la Figc, per dire, non avrebbe mai avallato la terza stella. Agnelli ne ha tenuto conto, anche considerato che è in predicato di diventare consigliere federale. E ha trovato il grimaldello per uscire dall'impasse: la scritta con il trenta. -
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Mi pare che... Tavaroli ha «cantato», ora tutti sanno: con le Sim mi difendevo di LUCIANO MOGGI (Libero 08-06-2012) L’articolo di martedì era titolato «tanto tuonò che piovve» in riferimento alle nefandezze perpetrate dalla Giustizia Sportiva su Calciopoli. Dopo la testimonianza di Tavaroli, possiamo dire tranquillamente che adesso «grandina». Di fronte ad affermazioni così nette e decise, dette sotto giuramento, c’è poco da arzigogolare, significa che Moratti non ha detto il vero. L’«operazione ladroni», i dossieraggi illegali sull’arbitro De Santis, il sottoscritto, le utenze Juve e quant’altro, fu tutto commissionato direttamente dal patron dell’Inter e rinviato a Facchetti solo per i dettagli operativi. Tavaroli, l’ex capo della security Telecom, l’aveva più volte dichiarato, noi avevamo avvertito dell’esistenza di uno spionaggio industriale ancor prima che venisse fuori la bufera Telecom, nessuno di noi fu creduto, meno che mai dalla Figc e dal procuratore Palazzi: ora dovrebbero spiegare perché hanno giudicato come verità le bugie di Moratti senza tenere conto di chi lo chiamava ripetutamente in causa con narrazioni di fatti precisi, dettagliati e mai contestati. L’«operazione Ladroni» risale alla fine del 2002, ben prima delle indagini di Napoli, quelle monitorate ad personam e a nostro esclusivo riferimento da Auricchio e Company, che vollero vedere nelle utenze riservate il passepartout di chissà quali magagne ed erano invece un tentativo di difendersi da chi spiava in maniera abusiva e illecita fatti commerciali e di mercato della Juve. Che fosse solo una difesa della politica aziendale l’hanno dimostrato prima la sentenza sportiva Sandulli («non c’è traccia di partite alterate») e successivamente le motivazioni del processo ordinario di primo grado («campionato regolare , sorteggio regolare»). Ma anche loro (Moratti e Tronchetti), nonostante il grande dispiego di mezzi per cercare “fatti” che non esistevano, avevano capito che tutto era regolare, ma tacevano la verità perché, come dice una celebre canzone «la verità fa male». Non si leggono finora reazioni di Moratti, le vediamo difficili. Quelle dichiarazioni sono un duro scorno per chi si è ammantato sempre dalla figura di Ottimo e Massimo, nascondendosi tutte le volte in cui ha portato l’Inter e se stesso oltre la legalità. Per chi non lo sapesse c’è stato anche un risibile tentativo contenuto in una memoria difensiva, «se c’è stato qualcosa, l’ha fatto Facchetti, che però non ne aveva le deleghe». Così intaccata la figura in precedenza sempre corazzata del dirigente dell’epoca e nessuna reazione da parte del figlio, sempre causidico in altri casi. Gli sviluppi del processo sono uno svegliarino per Palazzi da una parte e per Abete dall’altra. Significa che le conclusioni prese nel giugno 2007 dal procuratore federale, archiviazione del procedimento per «la non emersione a carico dell’Inter e dei suoi dirigenti di fattispecie di rilievo disciplinare procedibili ovvero non prescritte» e anche per improcedibilità per la prematura scomparsa di Facchetti, allora indicato come il principale tramite dell’operazione ladroni, non sono corrette ed impongono un giudizio di revisione in sede sportiva per il ruolo ora definito di Moratti, quale “mandante” smascherato dei dossieraggi. Ad Abete ricordiamo la frase dell’etica che non va in prescrizione. Se è così, il presidente della Figc ha il dovere di riprendere in mano tutta la pratica. Su Carraro che ha fatto un richiamo ad Agnelli sui 28 scudetti e non 30, ma che nella realtà ha voluto fare piaggeria alle tesi di Blatter, ci limitiamo a dire che chi si è salvato da Calciopoli nella maniera che sappiamo (è sempre quello che ebbe a dire al designatore «mi raccomando che non si aiuti la Juve, per carità di Dio» - e ancora «bisogna aiutare la Lazio fin dalla prossima domenica») avrebbe fatto bene a starsene zitto. Su una cosa possiamo convenire: la Juve non patteggiò la pena da un punto di vista formale, ma in misura sostanziale sì, per bocca dell’avv. Zaccone. Quella posizione significò mancata difesa e fu un grande sbaglio. E se l’Inter ha potuto sconfinare nell’illecito (così configurato da Palazzi) ammantandosi nello stesso tempo dei panni dell’onestà, così facendosi assegnare anche uno scudetto di cartone, ciò è avvenuto sempre in conseguenza di quella mancata difesa della Juve che, così facendo, espose i suoi dirigenti alla gogna. Il risultato è quello che sappiamo, potrebbe correggerlo solo una Figc capace di riconoscere i propri errori... Dice JU29RO: «Le parole di Tavaroli sono uno schiaffo alla credibilità dei vertici della Figc, uno schiaffo alla credibilità di tutto il sistema, un sistema che archivia o condanna in base al colore della maglia». Che fine ha fatto l’etica? -
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Il fastidio del fastidio di ROBERTO BECCANTINI dal blog Beck is Back 07-06-2012 Deve essere stata grave, la deposizione di Giuliano Tavaroli, se ne hanno parlato perfino Sky e la giornalaccio rosa. Titolo della rosea: «Spiavo De Santis per conto di Moratti». Sommario: Tavaroli in aula ammette: «Il dossier Ladroni mi venne ordinato dal patron dell’Inter e lo gestii con Facchetti». Ho controllato: Facchetti, non Tronchetti. Ho ricontrollato: non Tronchetti, Facchetti. Siamo nel 2003, su per giù a tre anni dallo scoppio di Calciopoli. Con Claudio Sabelli Fioretti (prima lui, poi io) intervistammo Moratti sull’argomento. Fu vago. Agli inquirenti federali, negò. In attesa di essere pesata e verificata, la deposizione di Tavaroli – in tribunale, sotto giuramento, al processo Telecom – conferma la mia tesi della guerra per bande. Lo è sempre stato, il calcio italiano, ma con l’accelerazione imposta da Berlusconi da una parte e dalla Triade dall’altra lo è diventato ancora di più. In mezzo, l’Inter e le romane. Ognuno, per giustificare le proprie mosse e il proprio marcio, ha invocato il diritto alla legittima difesa: l’ho fatto prima che lo facessero a me. Ci sono sentenze sportive (definitive) che hanno fissato il podio; e verdetti penali che, in attesa degli appelli, hanno riportato Calciopoli a Moggiopoli. Ci sono prescrizioni che, come nel caso dei farmaci evitarono alla Juventus il tormento di un altro processo, così hanno salvato l’Inter dal rinvio a giudizio (sportivo) per articolo 6 (Facchetti) e articolo 1 (Moratti). Ci sono dirigenti imbelli come Abete, con gli aggettivi al posto degli attributi. [...] Ogni tanto ripenso a una frase di Massimo Fini: «Ci sono i carnefici, le vittime e le finte vittime. Queste sono le peggiori perché hanno l’apparenza delle seconde e la sostanza delle prime». Una cosa però mi dà fastidio: il fastidio di Moratti quando si nomina «invano» il grande Giacinto. Ma se sono loro, i primi.