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Ghost Dog

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  1. Inchiesta La grande truffa del pallone Lo sport più popolare del mondo è anche il più corrotto. Indagini in 25 paesi rivelano un giro d’affari illegale da centinaia di milioni di dollari di BRETT FORREST, ESPN The Magazine, Stati Uniti (Internazionale 952 | 8 giugno 2012) La mattina del 20 febbraio 2011 un uomo di Singapore è entrato in un commissariato di polizia di Rovaniemi, in Finlandia. Rovaniemi è una città vicino al circolo polare artico. L’uomo ha detto agli agenti che un altro cittadino di Singapore, Wilson Raj Perumal, si trovava a Rovaniemi con un passaporto falso. Poi è scappato senza aggiungere altro. Nonostante le perplessità per una soffiata apparentemente senza senso, gli agenti di Rovaniemi hanno deciso di sorvegliare Perumal. Tre giorni dopo lo hanno seguito in un ristorante francese vicino allo stadio di calcio dove il Rovaniemen Palloseura aveva appena pareggiato una partita per 1-1. I poliziotti hanno osservato Perumal mentre era seduto al tavolo con tre giocatori del Palloseura. Lo hanno visto rimproverare i calciatori, che sembravano aver paura di lui. Il giorno dopo, con la scusa del passaporto falso, la polizia finlandese ha fermato Perumal. Gli agenti hanno avvertito la federazione calcistica finlandese, che a sua volta ha contattato la Fédération internationale de football association (Fifa), il più importante organismo di governo del calcio. Una settimana dopo Chris Eaton, il responsabile della sicurezza della Fifa, è arrivato a Rovaniemi. Eaton sapeva molto bene chi era Perumal: gli investigatori finlandesi avevano appena catturato l’uomo che aveva truccato più partite di calcio nel mondo. Eaton gli dava la caccia da sei mesi. Perumal aveva truccato centinaia di partite, facendo vincere centinaia di milioni di dollari in scommesse alle organizzazioni criminali asiatiche ed europee. Alla fine era stato preso. Ed era stato proprio uno dei suoi complici a consegnarlo alla polizia. Lo sport più popolare del mondo è anche quello più corrotto. In più di venticinque paesi ci sono inchieste in corso su partite truccate. Ecco alcuni piccoli esempi di quello che sta succedendo dall’inizio del 2011: l’operazione Last bet ha travolto la federazione calcistica in Italia, dove ventidue club e 52 giocatori sono in attesa di essere processati per varie combines. L’Associazione gioco calcio dello Zimbabwe, invece, ha già escluso 80 giocatori corrotti dalle selezioni per la nazionale. Lu Jun, il primo arbitro cinese di un incontro dei Mondiali, è stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere per aver condizionato alcune partite della massima serie del campionato cinese, incassando 128mila dollari. Il mercato cinese In Corea del Sud, invece, i magistrati hanno incriminato 57 persone per presunte combines nella K-League e quattro di queste sono poi state trovate morte in apparenti suicidi. Il manager della squadra Reac di Budapest (che gioca nella seconda divisione ungherese) si è buttato da un palazzo dopo che sei giocatori sono stati arrestati per aver truccato delle partite. Infine, in un'amichevole tra nazionali under 21, il Turkmenistan avrebbe vinto 3-2 contro le Maldive in quello che è stato definito un “match fantasma”: nessuno dei due paesi, infatti, era a conoscenza della partita per il semplice fatto che non è stata mai giocata. Nonostante questo i bookmaker l’hanno quotata e le organizzazioni criminali ci hanno lucrato sopra. Per la criminalità, truccare le partite di calcio è diventato un business su scala mondiale, come il narcotraico, lo sfruttamento della prostituzione e il commercio illegale di armi. Secondo i dati dell’Interpol, le scommesse sportive sono diventate un affare da mille miliardi di dollari e il 70 per cento di queste scommesse riguarda il calcio. Le scommesse online hanno trasformato degli allibratori locali in uomini d’affari globali pieni di denaro proveniente da ogni continente. Secondo Eaton, i bookmaker asiatici hanno un giro di affari di due miliardi di dollari a settimana. “È diventato un mercato gigantesco e con molta liquidità”, dice David Forrest, professore di economia dell’Università di Salford a Manchester. “Questo giro di denaro favorisce le combines. Si possono scommettere molti soldi senza rischiare più di tanto”. Chi scommette sul calcio può scegliere tra molte opzioni. Su Sbobet. com, uno dei siti di scommesse legali più importanti del sudest asiatico, si può puntare su decine di partite ogni giorno, dalla Premier league inglese alla Super league indonesiana, fino ai campionati giovanili ucraini. E le possibilità crescono esponenzialmente se si considerano le propositional bets, le puntate in tempo reale durante una partita. Intorno alla metà degli anni novanta le organizzazioni criminali cinesi, dette “triadi”, hanno creato un sistema internazionale di scommesse truccate. Ma perché tutto è partito dalla Cina? L’economia in grande espansione e la sua intrinseca cultura del rischio hanno fatto sì che la Cina diventasse il mercato ideale per le scommesse. Ma per sfruttare questo mercato a livello mondiale le triadi avevano bisogno di emissari per truccare le partite all’estero. Avevano bisogno di persone che parlassero un inglese fluente e che potessero viaggiare liberamente. Per questo si sono rivolte alle organizzazioni criminali di Singapore, lo snodo occidentalizzato del business asiatico. Dalla criminalità di Singapore proviene il personaggio più abile: Wilson Raj Perumal. Carismatico e di bell’aspetto, Perumal è un ex ladruncolo che si è dedicato alla missione di truccare le partite di tutto il mondo. Non si è dovuto sforzare più di tanto per trovare degli obiettivi raggiungibili: basta considerare che ci sono diecimila squadre professionistiche nel mondo. Ai giocatori, poi, si aggiungono gli arbitri, i dirigenti dei club e quelli delle federazioni. Per un esperto di combines come lui chiunque poteva essere comprato al giusto prezzo. Grazie a intermediari come Perumal le organizzazioni criminali cinesi e di Singapore hanno truccato tante di quelle partite da mettere in discussione l’integrità del calcio. Per risolvere il problema gli appassionati di questo sport si sono rivolti all’unica organizzazione che sembra avere l’autorità per farlo: la Fifa. Il 28 marzo, a poco più di un anno dall’arresto di Perumal in Finlandia, Chris Eaton è salito su un palco a Manchester, in Gran Bretagna, durante SoccerEx, la più grande fiera mondiale del settore. Il superpoliziotto della Fifa era stato invitato a parlare del fenomeno delle scommesse nel gioco più bello del mondo. “È impossibile gonfiare la portata del problema, perché stiamo parlando di una quantità enorme di denaro”, ha affermato Eaton. Sessant’anni, caparbio e con alle spalle una carriera da poliziotto lunga più di quarant’anni, Eaton è entrato nell’Interpol nel 1999. Con la Fifa ha cominciato a lavorare nel 2009 come consulente per la sicurezza di un torneo giovanile in Egitto. Alla Fifa ha fatto un’impressione così buona che l’organizzazione lo ha strappato all’Interpol per dargli un ruolo a tempo pieno ai Mondiali di calcio in Sudafrica nel 2010, visto che i dirigenti della Fifa temevano attacchi terroristici e truffe. Dopo che il torneo si è concluso senza intoppi, Eaton è diventato il capo della sicurezza della Fifa, con l’obiettivo di creare una nuova divisione all’interno dell’organismo internazionale per combattere il fenomeno delle partite truccate. Ingannare le federazioni All’inizio della sua nuova sida, Eaton ha messo su una squadra di investigatori, tutti poliziotti come lui, scegliendoli in base alla loro “energia e al loro odio per il crimine”. Li ha disseminati in tutto il mondo lasciandogli ampia libertà di azione. Gli investigatori di Eaton sono entrati in contatto con alcuni informatori, che alla ine li hanno fatti arrivare a un’organizzazione criminale di Singapore. Piano piano hanno scoperto in che modo personaggi come Perumal erano riusciti a iniltrarsi nel mondo del calcio. “Avevano smesso di condizionare le partite e hanno cominciato a condizionare le persone”, dice Eaton. Secondo gli investigatori, Perumal aveva perfezionato le sue tattiche criminali alla fine degli anni novanta in Ghana e Zimbabwe. Il suo obiettivo non era solo corrompere i singoli calciatori ma ingannare intere federazioni. Fingendosi rappresentante di società fittizie dai nomi come Footy Media e Football4U, Perumal si rivolgeva ai dirigenti delle federazioni per organizzare amichevoli tra le nazionali. “Gran parte delle federazioni calcistiche sono in rosso”, ha poi scritto Perumal al giornalista di Singapore Zaihan Mohamed Yusof dal carcere in Finlandia. “Quando ti presenti con una squadra che è pronta a giocare un’amichevole, ti accolgono a braccia aperte. Non sanno cosa c’è sotto”. Mentre la sua rete criminale cresceva, Perumal firmava accordi regolari con federazioni nazionali di paesi dove non era conosciuto, come Bolivia e Sudafrica, pagando anche centomila dollari per le amichevoli, spesso contro nazionali di livello superiore che volevano risparmiarsi la fatica di organizzare un incontro. Perumal si occupava dell’organizzazione, della pubblicità e della scelta degli arbitri. Molte amichevoli si giocano senza l’ok della Fifa. Dunque, spesso tutto quello che doveva fare Perumal era trovare uno stadio e pagare l’affitto per un giorno. Queste partite attiravano l’attenzione dei bookmaker internazionali nonostante un numero insolito di espulsioni, rigori concessi o fuorigioco fischiati. Per match del genere, gli arbitri sono pagati dalla Fifa solo 350 dollari, quindi era facile corromperli. “Ogni federazione calcistica iscritta alla Fifa è responsabile dell’organizzazione e della supervisione delle partite nel suo paese”, spiega il portavoce della Fifa Wolfgang Resch. “Il controllo degli arbitri e dei dirigenti rientra nei doveri delle singole federazioni”. Corrompere gli arbitri era un modo per manipolare i risultati, ma per raggiungere quello che i criminali chiamano un lavoro eccellente, Perumal doveva accordarsi anche con giocatori e allenatori. Per riuscirci ha vestito i panni del Robin Hood del calcio, pagando oltre cinquemila dollari a partita a molti giocatori di Africa, America Centrale e Medio Oriente che con i loro compensi regolari riuscivano a stento a sfamare le famiglie. Perumal si è infiltrato così bene nei campionati professionistici che, secondo fonti di Singapore, parlava con gli allenatori in panchina durante le partite. Perumal si è vantato del fatto che “controllava il calcio siriano più di quanto Assad controlli il paese”. Di fronte a organizzazioni criminali che operavano in piccoli centri africani e negli spogliatoi del Medio Oriente, Eaton ha deciso che bisognava combatterle con un approccio da “antiterrorismo”. Ma quando ha proposto due iniziative – un numero di telefono speciale per le soffiate e l’amnistia per chi confessava le truffe – la Fifa le ha subito scartate. “La Fifa è un’organizzazione non profit che vigila sulle squadre, le istituzioni e i vari campionati. La sua autorità si applica solo ai suoi affiliati, è impossibile per l’organizzazione controllare chi agisce fuori dal sistema”, dice Resch della Fifa. Ogni volta che ne ha l’opportunità, il presidente della Fifa Sepp Blatter sottolinea il suo impegno nell’estirpare il fenomeno delle combines nel calcio. Ma Eaton alla fine si è ritrovato con le mani sempre più legate. “L’approccio di Chris è di tipo olistico”, sostiene Ronald Noble, un suo ex collega all’Interpol. “Vuole un programma di protezione dei testimoni e una squadra di investigatori della Fifa pronta a volare in ogni parte del mondo, in qualsiasi momento. Ma tutte queste cose sono impossibili per istituzioni come la Fifa che non hanno compiti di polizia”. Eaton, invece, la pensa così: “Stiamo parlando dello sport più diffuso del mondo, dunque deve essere un modello. Il punto è la sua gestione. Allora c’è solo un business con un pizzico di controllo o c’è un sistema di controllo con un pizzico di business?”. A Singapore il fenomeno delle partite truccate si è trasformato in un’impresa strettamente controllata dalla criminalità. Alla sua guida ci sono quattro boss, con a capo un uomo di nome Dan Tan Seet Eng. Una volta che si è deciso come finirà una partita, le triadi cinesi usano delle “fabbriche di scommesse” nel sudest asiatico dove schiere di persone davanti a un computer fanno puntate da circa tremila dollari ognuna il più velocemente possibile, per non insospettire i bookmaker. I boss spesso agiscono insieme, usando il sistema hawala, una struttura di credito clandestina a cui si affidano le organizzazioni criminali internazionali per scambiarsi denaro senza lasciare tracce. La crescita del giro delle scommesse truccate ha fatto aumentare i gruppi criminali con organizzazioni simili in altri paesi, come Italia, Ungheria, Croazia e Bulgaria. Ignorati dalla polizia, i boss di Singapore sono diventati sempre più spudorati al punto da organizzare partite fantasma come quella tra le nazionali under 21 di Maldive e Turkmenistan. Visto che sono le federazioni dei singoli paesi, e non la Fifa, ad annunciare le amichevoli, i bookmaker si basano su osservatori locali per ottenere le informazioni su queste partite. Ma gli osservatori sono corrotti dalle organizzazioni criminali per imbrogliare gli allibratori, che ricevono i resoconti di partite mai giocate. Un folle megalomane Per Wilson Raj Perumal truccare le partite stava diventando troppo semplice. Così ha preso anche lui il vizio di scommettere, puntando sui Chicago Bulls o sul Manchester United; squadre che per quanto ne sapeva non erano corrotte. Ma come scoprì presto, Perumal era molto più bravo a truccare le partite che a scommetterci sopra. Secondo un investigatore del gruppo di Eaton, in tre mesi Perumal ha perso circa dieci milioni di dollari. Per recuperare i soldi persi Perumal ha deciso di ingannare l’organizzazione criminale di cui faceva parte. Ha cominciato a tenere per sé i 500mila dollari che i suoi capi gli davano per organizzare le combines, sperando che la squadra giusta vincesse regolarmente e con il punteggio che serviva. Presto, però, Perumal si è ritrovato nei guai: secondo alcune fonti della Fifa, doveva un milione di dollari a un boss, 500mila a un altro e un milione e mezzo a un altro ancora. A quel punto era disperato e ha cominciato a commettere degli errori. Il 7 settembre 2010 ha pensato di far passare alcuni impostori come calciatori della nazionale del Togo e fargli giocare un’amichevole contro il Bahrein. Ma la messinscena è stata così sfacciata che dalle cronache dei giornali sembrava proprio una partita truccata. Il commissario tecnico del Bahrein, Josef Hickersberger, disse a fine partita che la nazionale del Togo non “era abbastanza in forma per giocare i 90 minuti”. La finta nazionale del Togo prima dell’incontro con il Bahrein, 2010 Qualche mese dopo Perumal era già in Finlandia, dove truccava le partite con la squadra del Rovaniemi almeno dal 2009. Doveva seguire un affare per conto di Dan Tan. Negli anni il club del Rovaniemi aveva procurato all’organizzazione criminale tanto di quel denaro che Dan Tan aveva deciso di rilevare la squadra per garantirsi introiti costanti. Ma, visto che aveva ancora bisogno di soldi per finanziare le sue scommesse, Perumal ha fatto saltare l’affare. I proprietari finlandesi, infatti, avevano accettato di vendere il club per 500mila dollari. Ma Perumal ne ha offerti solo 200mila, tenendosi il resto per sé. Dopo alcune telefonate infuocate tra i dirigenti del Rovaniemi e i boss di Singapore, è stato subito chiaro dove erano finiti i 300mila dollari scomparsi. Perumal aveva troppi contatti con il Rovaniemi, che era una gallina dalle uova d’oro, perché Dan Tan potesse tagliarlo fuori. Ma perfino prima che saltasse l’acquisto del club, i boss avevano voluto incontrare i due assistenti di Perumal, Danny Jay Prakash e Anthony Santia Raj. I due avevano confessato che Perumal ormai era diventato un folle megalomane. Aveva perfino creato una pagina Facebook con le foto che ritraevano lui e i giocatori corrotti, per non parlare delle informazioni che aveva postato online per contattare altri criminali in Europa. Con i suoi azzardi Perumal si era giocato la credibilità. Mentre la sua reputazione andava a rotoli, il suo vice Santia Raj stava organizzando la più grande combine della sua carriera, ovvero due amichevoli nella località turistica di Adalia, sulla costa turca: Lettonia contro Bolivia ed Estonia contro Bulgaria. Quello che Santia Raj non sapeva è che le due partite avevano fatto nascere dei sospetti prima del fischio di inizio. Janis Mezeckis, segretario generale della Federazione calcistica della Lettonia, era preoccupato per il modo in cui erano stati scelti gli arbitri: l’inesperto Santia Raj, infatti, si era rifiutato di rivelare i nomi dei direttori di gara prima del match. Allora Mezeckis aveva contattato la Fifa. A sua volta Chris Eaton aveva contattato Sportradar, un osservatorio sulle scommesse con sede a Londra che, tra i suoi clienti, ha anche la Fifa, l’Uefa e le federazioni calcistiche di Germania, Francia e Repubblica Ceca. I nodi stavano venendo al pettine. Sportradar sorveglia trecento siti di scommesse nel mondo, sfruttando degli algoritmi per indentificare i flussi insoliti delle puntate. Quando lo staff di Sportradar ha controllato quello che succedeva ad Adalia si è accorto che le scommesse su entrambe le partite erano identiche. “C’era un grande flusso di giocate per più di tre gol su tutti e due i match”, racconta Darren Small, il direttore operativo di Sportradar. “La cosa era piuttosto strana, considerando i cinque milioni di euro puntati su ogni partita”. Alla fine nelle due partite furono segnate complessivamente sette reti, tutte su calci di rigore. E quando un giocatore lettone aveva sbagliato un calcio di rigore, l’arbitro glielo aveva fatto ripetere. Dopo i match di Adalia, la Fifa ha contattato Santia Raj via email attraverso la società di facciata del truffatore. Dan Tan e gli altri boss hanno pensato che Perumal avesse fatto una soffiata alla Fifa. È stato questo il momento in cui Dan Tan ha autorizzato Santia Raj a consegnare Perumal alla polizia. Per farlo, Santia Raj ha spedito un suo uomo al commissariato di Rovaniemi, mettendo la parola fine alla lunga carriera di Perumal. Perumal ha deciso di collaborare con gli inquirenti, mentre le prove contro di lui si accumulavano . Ha rivelato diversi segreti sulle combines che nel dicembre 2011 hanno portato un tribunale italiano a incriminare Dan Tan. Perumal è stato un anno in carcere in Finlandia, poi è stato consegnato a febbraio alla polizia ungherese, il primo dei paesi dell’Unione europea che lo vogliono processare per aver truccato le partite. Perumal ora si trova in un luogo sicuro di Budapest, dove, dicono i ben informati, starebbe svelando le operazioni dell’organizzazione di Singapore con altri gruppi criminali. La Fifa deve imparare Eaton non sarà alla Fifa per vedere come finirà questa faccenda. Il primo maggio ha lasciato il massimo organismo del calcio mondiale per lavorare all’International centre for sport security, un osservatorio finanziato generosamente con sede nel Qatar. Mentre è al bar del Radisson Edwardian hotel di Manchester dopo un giorno passato a SoccerEx, Eaton sembra sollevato dal suo nuovo lavoro: “La Fifa deve imparare ancora molto sul crimine organizzato e le scommesse”, dice. “Il business del calcio è diventato così grande che ha soffocato la sportività. Ecco perché quando vuoi andare a fondo nel mondo del calcio, c’è chi storce il naso”. Perumal ora ha una nuova e lunga lista di nemici. Da Singapore un suo ex collega lancia un avvertimento: “Custodia cautelare. Se rimane quindici minuti da solo e va al bagno, è un uomo morto. Non ci vuole niente. Mi hanno offerto 300mila dollari per andare in Ungheria, mettermi su un tetto con un cecchino e dirgli chi è Perumal”. Ma Perumal gioca ancora d’azzardo. Come ha scritto dal carcere: “Sono io che ho la chiave del vaso di Pandora. E non ci metto nulla ad aprirlo”.
  2. INTERVISTA A TITO BOERI "Vittoria non aiuta l'economia ma all'Italia servirebbe, a patto che..." L'economista della Bocconi parla di bilanci pubblici e di conti delle società, di rigore economico e di fair play finanziario dei club. Quanto all'ipotesi di un successo degli azzurri, dice: "Può essere un'occasione di crescita, ma solo se non sarà minimizzato lo scandalo scommesse" di TIZIANA TESTA (Repubblica.it 07-06-2012) ROMA - L’Europa del calcio riunita, per tre settimane, intorno a un pallone mentre quella della politica si incontra – e si scontra – al capezzale della moneta unica. Non è un campionato come gli altri, quest’Europeo 2012, vissuto in bilico tra gioco e dramma della crisi. “Di sicuro le partite non saranno un collante”, dice con un sorriso amaro Tito Boeri, economista alla Bocconi e autore di Parlerò solo di calcio, libro sui mali del football nostrano. “Anzi – aggiunge - c’è il rischio di ravvivare ulteriormente le identità nazionali. E non ne abbiamo certo bisogno”. Comincia così una chiacchierata - a metà tra economia e sport - in cui si passa dai bilanci pubblici a rischio ai conti in rosso dei club, dall’impatto dei successi calcistici sul Pil al loro effetto sulla mentalità di un Paese. Fino all’ipotesi di una vittoria degli azzurri, che però “rappresenterà un’occasione di crescita solo se non ci saranno sconti e minimizzazioni sul calcioscommesse”. Secondo uno studio della banca olandese Abn Amro, per un rafforzamento dell’identità europea dobbiamo augurarci un successo della Francia perché è un membro originario dell’euro e perché si tratta di un Paese di frontiera tra Stati ricchi e poveri dell’Ue. Che ne pensa? “In generale non credo che si possano applicare al calcio modelli econometrici. Già nel 2006 questa banca olandese ci aveva provato, accreditando al Paese che vince i mondiali una percentuale in più di crescita del Pil. Su Lavoce.info abbiamo dimostrato invece che la tendenza è opposta e che il Paese vincitore cresce meno, in media, dell’altro finalista. Esiste semmai un effetto psicologico sulle popolazioni: ci sono studi epidemiologici che provano l’incremento del tasso di suicidi in occasione di disfatte calcististiche, soprattutto in Paesi come il Brasile. E viceversa la riduzione di questa percentuale, durante i mondiali, quando la propria squadra si qualifica per la fase finale della Coppa del mondo”. E quindi non crede neppure che una vittoria della Germania agli Europei darebbe più forza al modello tedesco fondato sul rigore? “Calcio e rigore? Parlerei al massimo della maggiore lucidità dei tedeschi nel tirare dal dischetto, anche se nella finale del Bayern contro il Chelsea in Champions non sono stati all'altezza della loro fama. A parte le battute, smettiamola di credere in un nesso tra affermazioni sul campo e scelte economiche, tra vittorie e crescita. Tra l’altro l’industria del calcio viene spesso sopravvalutata: nell’Ue, come ricavi complessivi, vale solo lo 0,1 per cento del Pil. E poi non è un buon affare. Basta chiedere ai presidenti di club che hanno per lo più i bilanci in rosso. Il calcio insomma, dal punto di vista economico, non conviene. Serve piuttosto a garantire un buon ritorno d’immagine, a catalizzare l’attenzione, a suscitare passioni. In questo senso può influenzare i comportamenti del Paese". Quindi il calcio ha un impatto più sulla cultura che sull’economia? “Sicuramente”. E allora che effetto potrebbe avere una vittoria degli azzurri in questo momento particolare per l’Italia? “Può essere un’occasione di crescita per il Paese, ma dipende dalla linea che la nazionale saprà tenere sull’ultimo scandalo: la vicenda calcioscommesse. In particolare, conta quello che farà Prandelli. Il nostro ct finora si è dimostrato molto attento, ha dato un messaggio importante invitando Simone Farina, il calciatore del Gubbio che ha denunciato un tentativo di corruzione. Ma deve essere coerente fino in fondo. C’è stata qualche incertezza sul caso dei giocatori indagati: con Criscito che è andato a casa mentre Bonucci resta nel gruppo. Certo, si è parlato di un ritardo nella notifica per il giocatore juventino, ma insomma è stato tutto un po’ strano. Ricordiamoci che i nostri giovani plasmano i loro comportamenti sul modello dei campioni”. Esiste una simmetria tra finanze pubbliche allegre e campionati dalle spese pazze, in cui cioè i club non rispettano il fair play? “Non direi, per fortuna nel caso dell’Italia. Perché le assicuro che le società di calcio da noi sono molto più indebitate, in media, delle imprese nazionali”. E’ stato calcolato che 20 calciatori su 100 – tra quelli convocati per il prossimo Europeo - giocano nella Premier League. Un successo per il campionato inglese. E la Gran Bretagna è fuori dall’euro. Solo un caso? “Più che l’euro contano le difficoltà fiscali dei singoli Paesi. Quelli costretti ad aumentare la tassazione indubbiamente diventano meno attrattivi anche agli occhi di certi campioni. Per esempio, quando sono state introdotte riduzioni fiscali, il calcio spagnolo ha avuto grossi benefici almeno per i primi tre anni”. Torniamo al calcio italiano. Nel suo libro lei analizza alcuni suoi mali cronici: dalla corruzione, alla sottovalutazione dei giovani, al potere enorme dei media, ai conti fuori controllo. Crede che il nostro mondo del pallone riuscirà mai ad autoriformarsi? “L’attuale governance del pallone riproduce i rapporti di forza esistenti nel mondo del calcio. Io credo che anche in questo campo ci sarebbe bisogno di un governo tecnico, per interventi urgenti: innnanzitutto per la situazione del debito che è incontrollabile, a cause delle spese correnti e non degli investimenti. E poi, tecnici a parte, sarebbe già importante se il governo del calcio avesse un volto un po’ più giovane”.
  3. Di accomandita in accomandita, visti i livelli riproduttivi della famiglia, avranno bisogno a medio termine di ulteriori magie. Però son d'accordo: bisogna tutelare i gioielli di famiglia (preferibilmente non a qualsiasi costo). Ma Franzo non è tifoso napoletano? Solo simpatizzante per linea di sangue?
  4. I paradossi del mercato Il sistema creditizio spagnolo finanzia i debiti della Liga. E ora sarà salvato dall’Europa I maxiprestiti di Bankia al Real Gli aiuti Ue? Per Cristiano Ronaldo di ANDREA NICASTRO (CorSera 07-06-2012) MADRID — Dal punto di vista del tifoso (milanista) la buona notizia è che, probabilmente, il Barcellona non avrà i soldi per comprare Thiago Silva. A metà maggio, quattro giorni dopo la nazionalizzazione di Bankia e nell'imminente «scoperta» del nuovo buco da 19 miliardi, il Barça bussò alla porta delle banche finanziatrici alla ricerca del contante per la campagna acquisti post Guardiola. Nel pool ci sono dieci istituti, dai più grandi e solidi come Bbva e Santander, agli indebitati e claudicanti Caja Madrid e Cam. Ma alla richiesta del presidente Rosell di alzare il fido milionario della squadra, tutti hanno risposto «no». Un sussulto di dignità di fronte alla prospettiva di dover chiedere all'Europa 100 miliardi di aiuti per tenere in piedi il sistema finanziario spagnolo. La cattiva notizia (per italiani, spagnoli e tutti gli altri contribuenti dell'Eurozona) è che i 10,5 milioni di stipendio per Messi la «pulce», i 13 per la stella del Real Madrid Cristiano Ronaldo, i 14, 8 del suo irascibile allenatore Mourinho e gli altri mega stipendi della Liga arriveranno dalle loro tasche. Dalle nostre tasche, attraverso il pacchetto che l'Europa dovrà concedere. Il debito del calcio spagnolo, prima e seconda divisione, ronza attorno a 5 miliardi, un mezzo punto del deficit nazionale. Fosse una famiglia (o anche solo un'azienda normale) avrebbe già i libri in tribunale visto che gli incassi annuali sono dell'ordine dei 1,8 miliardi, ma le spese correnti sono di 300 milioni più alte. Per andare in pari (senza neppure cominciare a restituire i debiti) bisognerebbe liquidare i calciatori di un terzo della Liga oppure il Real Madrid dimezzare il monte stipendi ai vari Ronaldo, Kaka e co. Solo di tasse arretrate e oneri sociali il futbol deve un miliardo al Regno di Spagna. Il ministro dell'Educazione e dello Sport, José Ignacio Wert, ha appena firmato un accordo con la Liga de Fútbol Profesional in base al quale, dal prossimo campionato, il 35% dei diritti tv andrà a garanzia degli arretrati. Per mettersi in regola con il Fisco, Real, Barça e gli altri hanno tempo però fino al 2020. Otto lunghissimi anni. Cominciando a pagare dalla stagione 2014-2015. «E' diffusa la sensazione - ha ammesso il ministro - che il calcio abbia ricevuto un trattamento di favore». I restanti 4 miliardi di debiti sono un altro «favore» che le banche spagnole hanno concesso alle loro squadre: la commistione politico-finanza ne è la causa. Le varie casse locali dipendenti dalle giunte regionali o dalle grandi municipalità concedevano prestiti a imprenditori perché amici del partito o, nel migliore dei casi, perché utili all'occupazione nel bacino elettorale, indipendentemente dalla sostenibilità dei progetti. Il calcio con il suo seguito popolare rientrava (rientra?) nelle priorità politiche. Questioni spagnole? Non più visto che saremo tutti noi dell'Eurozona a coprire l'insolvenza delle banche che finanziano la Liga. Bruxelles deve ancora decidere come, ma di alternative ce ne sono poche. Real Madrid e Barcellona sono le società più indebitate, 660 milioni uno, 548 il secondo, ma paradossalmente le più solventi grazie a fatturati in crescita e a entrate appena inferiori al debito. Diverso il caso del Valencia che ha un debito da 380 milioni e entrate per soli 120. Caso vuole, però, che sia il fallimentare Valencia sia il galattico Real siano clienti di Bankia, l'istituto che ha scoperchiato il vaso di Pandora. Florentino Peres, patron dei blancos, ottenne 76,5 milioni da Caja Madrid per comprare Cristiano Ronaldo e Kaka (90 e 67 milioni) nel 2009. Ottimo il tasso d'interesse: 1,5 più dell'Euribor. Nella stessa estate il Valencia evitò il fallimento grazie a un maxi prestito di Bancaja. Entrambe le banche vennero poi fuse in Bankia per salvarle dall'esplosione della bolla immobiliare. Allora fu lo Stato spagnolo a mettere i 4 miliardi necessari, ma siccome la palla è rotonda e, soprattutto i soldi sono finiti, ora toccherà agli europei metterne 19. Dall'Ue hanno sollecitato più volte una rottura del triangolo Liga-politica-finanza. Il Bayern Monaco, finalista di Champions e, da buon tedesco, con i conti in ordine, ha parlato di concorrenza sleale. A che squadra terrà l'arbitro, Angela Merkel?
  5. Platini: «Razzismo? Non si gioca più» «Appoggeremo l'arbitro se sospende la gara». Sulle scommesse: «Radiato chi è coinvolto» di FABIO LICARI (GaSport 07-06-2012) «Se tutto va bene, il merito è mio. Se va male, colpa loro... ». E indica il segretario Gianni Infantino e l'organizzatore dell'Euro, Martin Kallen, che un mese fa s'era lasciato scappare: «Non esiste un piano-B». Dopo cinque anni di ultimatum, tornei a rischio e scandali, Michel Platini può sospirare di sollievo: «Ucraina e Polonia non si rendevano conto dei problemi quando l'Esecutivo gli ha dato l'Euro: li abbiamo aiutati, ora anch'io so più di aeroporti che di calcio. Non siamo lontani dalla perfezione: sarà una grande festa e, per l'Ucraina, un salto di 30 anni. Parliamo di Tymoshenko, di razzismo, di scommesse in Italia. Poi, però, solo calcio». C'è uno spietato reportage della Bbc sul razzismo in Polonia e Ucraina: preoccupato? «Il nazionalismo cresce dovunque in Europa. Anche in Francia, in Inghilterra. E negli Usa. Facile attaccare Varsavia e Kiev con un servizio a pochi giorni dall'inizio. Noi abbiamo fatto tanto, sosterremo gli arbitri che sospendono le partite per fatti gravi. Ma il razzismo è un problema della società. Non del calcio». Balotelli ha detto: «Se mi insultano, vado via». «Spero sia titolare, ma non può lasciare il campo: anche perché, per regolamento, andrebbe ammonito...». Caro-biglietti, caro-hotel, caro tutto qui? «Abbiamo preso critiche per i prezzi della Champions e siamo corsi ai ripari. Invece i biglietti qui non sono costosi. Ma se uno spende 30 euro per la partita, e poi parecchie centinaia per hotel e volo, rivolgetevi alle autorità politiche». C'è chi ha minacciato il boicottaggio per Yulia Tymoshenko. «Il calcio non sia coinvolto in questioni politiche e religiose. I politici decidano quello che vogliono, noi organizziamo tornei». Per non farsi mancare niente, l'ennesimo scandalo scommesse italiano. «Ora parlo da presidente Uefa: chi è coinvolto in scommesse e partite truccate non deve giocare più! Fuori per sempre. Tolleranza zero. Noi l'abbiamo fatto e spero succeda anche in Italia». Cosa pensa di chi scommette, magari cifre enormi, su altri sport? «Mah, se uno vuole puntare sul tennis, faccia pure: ma dobbiamo essere severissimi con chi lo fa sulle proprie gare». Giusto convocare giocatori in qualche modo «coinvolti»? «I convocati li decide Prandelli, non io...». Prandelli aveva detto: «Se serve, non andiamo all'Europeo». «Gli piace scherzare... Inconcepibile che l'Italia decida di non partecipare all'Euro». Chi vince? «Ah, bello, parliamo di calcio! Se sono al massimo, Spagna o Germania, le più forti. Altrimenti, vedo tante pretendenti. E sorprese: ricordate Grecia e Danimarca?». Blatter ha detto: «I rigori sono una tragedia». E lei? «Non so se l'ha detto, però ci abbiamo provato con silver e golden gol e le nazionali ci hanno detto: preferiamo i rigori. Per fare più soldi la soluzione è facile: ripetere la partita e vendere altri 70 mila biglietti... Ma, scherzi a parte, credo non ci siano alternative». Questo è l'ultimo Europeo a 16 squadre: dal 2016 si passa a 24. Troppe? Nel 2008 non c'è stato grande spettacolo. . . «No, credo ci potremo permettere 24 buone squadre: qui già mancano Svizzera, Norvegia e altre. E poi è importante per lo sviluppo del calcio nei piccoli paesi. Dello spettacolo parliamo alla fine. Ma, lo so, tutti i giocatori sono un po' stanchi». ------- ilCaso di FABIO LICARI (GaSport 07-06-2012) RAZZISMO E ALTRI GUAI DEL MONDO TOCCA ALLA POLITICA NON AL CALCIO Fateci caso. Un lutto nazionale? Silenzio negli stadi. Succede qualcosa di grave? Il «calcio» deve fermarsi. Si avvicina un Europeo o un Mondiale? Puntuale, l'avviso che la prostituzione si organizza per «accogliere» i tifosi e quindi va combattuta negli altri undici mesi dell'anno, liberi tutti. E poi: le minacce di boicottaggio per razzismo, per deficit di democrazia, per animali maltrattati… Insomma, lo sport — e naturalmente il calcio che fa circolare più soldi e interesse – è l'alibi morale di un sistema mondiale che fatica a risolvere i suoi problemi con la «cosa pubblica» e si nasconde dietro il gesto demagogo e ruffiano. C'è finito dentro anche uno serio come Mario Monti: il quale, se avesse applicato il suo paradigma anche alle inchieste sui parlamentari, avrebbe chiuso le due camere per un paio di secoli. Dimenticata per un po' la povera Timoshenko – sulla cui triste situazione le diplomazie mondiali hanno fatto poco o zero – spunta ora il razzismo. Non poteva mancare il servizio-denuncia della Bbc finito al centro della conferenza di Michel Platini di ieri con sottinteso: perché l'Uefa va a giocare in due stati così xenofobi? Già. E allora perché fare affari con chi nega il voto alle donne, pratica la pena di morte, nega diritti civili, lascia sterminare le foche… Ma l'Europeo, e il calcio in genere, che cosa c'entrano? L'Uefa ha l'obbligo di organizzare bene il torneo e in futuro di assegnarlo magari rispettando di più i dossier tecnici e di evitare immagini sbagliate, questo sì, perché il calcio è ancora un esempio. Se poi in partita arrivano i «buuu», il regolamento prevede la sospensione, anche definitiva. Più di così? Forse un po' di educazione civica nelle scuole e in tv.
  6. DAL CASO TELECOM UNA NUOVA GRANA PER PALAZZI Tavaroli ribadisce «Operazione Ladroni ordinata da Moratti» di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 07-06-2012) ROMA. Clamoroso a Milano: al processo Telecom depone, dopo un’udienza andata buca per malore, Giuliano Tavaroli. E manda in frantumi la tesi di Moratti e dell’Inter sul dossieraggio illegale ai danni dell’arbitro De Santis e di altri attenzionati nell’Operazione Ladroni. Ricordiamo che in un appunto della segretaria dell’ex investigatore Telecom, Adamo Bove (morto suicida nel 2006 allo scoppiare dello scandalo), comparivano come utenze telefoniche da attenzionare quelle intestate alla Juventus in uso a Giraudo e Moggi, quelle targate Figc in uso a Bergamo e Pairetto, due telefoni della Gea e il numero dell’ex arbitro di Tivoli intestato all’amico e assistente Ceniccola, quella di Mariano Fabiani. «L’Operazione Ladroni mi venne commissionata dall’Inter nella persona di Moratti, poi la feci con Facchetti», ha detto sotto giuramento lo spione al centro dello scandalo Telecom. Esattamente il contrario di quanto riferito da Moratti all’Ufficio Indagini della Federcalcio il giorno 3 ottobre 2006 a Francesco Saverio Borrelli, allora capo degli investigatori Figc, ai suoi vice Loli Piccolomini, Leonelli e Scquicquero. «Non ricordo se avvenne o meno un incontro a tre, vale a dire con Tavaroli, il Facchetti e il sottoscritto - mette a verbale il numero uno dell’Inter -, non ho mai dato alcun mandato al Tavaroli per redigere un dossier sull’arbitro De Santis né ho mai visto un documento in merito. Ho appreso solo dalla recente lettura dei giornali dell’esistenza del cosiddetto “Dossier Ladroni”. In termini più espliciti confermo di aver contattato il Tavaroli per consultarmi su quanto stava avvenendo col Nucini, m a escludo di avergli dato alcun mandato per svolgere indagini sul De Santis (?) l’incontro col Tavaroli (avvenne, allora? Ndr) non aveva avuto alcun concreto seguito». ARTICOLO 39 Quanto basta perché la Procura federale chieda (sono emersi fatti nuovi) la revisione ex articolo 39 di quell’archiviazione e creare i presupposti per rivedere il criterio di illibatezza previsto dal parere federale del 2006, anche se a posteriori. Una contraddizione che poteva emergere molti anni fa, questa: sarebbe bastato chiedere a Moratti di commentare nel marzo 2007, prima dell’archiviazione per prescrizione e improcedibilità nei confronti del già defunto Facchetti, gli interrogatori di Tavaroli che la stessa versione fornita ieri sotto giuramento la sciorina da sei anni. Ma la Figc non lo fece. Bastò la versione Moratti. E archiviò la pratica col procuratore Palazzi a fine giugno del 2007. Certo, viene in mente che di recente - il 30 marzo 2011 - Palazzi si scomoda e va a Milano a sentire Moratti sulle telefonate scoperte da Moggi e dalla sua difesa, sulla vicenda Calciopoli 2: la questione Nucini era stata sviscerata in aula a Napoli, aveva già riempito i giornali dal 2006 (mai attenzionata e creduta sui rapporti segreti con Facchetti). Ha, Palazzi, fatto la domanda a Moratti sul Dossier Ladroni? E ora, di fronte a tutto questo cosa farà la Figc, in attesa del duello al Tar con la Juventus proprio sulla dis-par condicio investigativa e sullo scudetto assegnato a Moratti? CONTRADDIZIONE Un’udienza, quella di ieri, che andrà aggiornata a mercoledì prossimo, quando Tavaroli - dopo le domande dei pm e delle parti civili che chiedono i risarcimenti per le azioni di intelligence illegale del gruppo guidato proprio da Tavaroli nella gestione Tronchetti Provera - dovrà rispondere alle domande degli avvocati difensori. Riduce la portata delle responsabilità ascritte a molti chiamati in causa. Amplia a dismisura, invece, la posizione relativa al dossieraggio illegale effettuato ai danni dell’arbitro De Santis, ma anche di quelli che vennero attenzionati da Adamo Bove. Insomma, a Moratti non fa sconti, Tavaroli. LE DIVERSE VERSIONI E manda in pesantissima contraddizione anni di versioni interiste e di Moratti soprattutto sulla vicenda dello spionaggio ai danni delle utenze dei dirigenti juventini Giraudo e Moggi, dell’arbitro De Santis (che chiede all’Inter 21 milioni di risarcimento per lo spionaggio Telecom), i designatori Bergamo e Pairetto e alcune utenze Gea. Tavaroli sotto giuramento ai giudici di Milano conferma quanto asserito in fase d’indagine e contestato (con la Figc a credere al numero 1 interista) che fu proprio Moratti e l’Inter a commissionare l’Operazione Ladroni. «L’operazione Ladroni mi venne commissionata dall’Inter nella persona di Moratti, poi la feci con Facchetti»: lo ha detto Tavaroli rispondendo alla domanda dei legali dell’ex arbitro De Santis, Irma Conti, che assiste la parte civile De Santis con Paolo Gallinelli. DOMANDE Ora le domande che riemergono sono tante: quell’indagine privata illegale venne datata dallo stesso Moratti alla Figc tra il 2002 e il 2003, due anni prima dell’inizio del lavoro di Auricchio e dei pm di Napoli. Che attorno alle stesse identiche figure si muovono: Moggi, Giraudo, Bergamo, Pairetto, De Santis (unico arbitro intercettato), la Gea? Un caso? E perché la pm Bocassini non ha mai voluto rendere pubblico il contenuto dell’archiviazione della “chiacchierata” in Procura con Nucini? E la Figc ha mai chiesto copia di quell’atto? E perché da ultimo il vicepresidente interista Ghelfi, in rappresentanza del club milanese nella recente causa civile promossa da De Santis ha dichiarato - come da memoria depositata - che Facchetti avrebbe agito autonomamente nella vicenda Tavaroli-Nucini? E negato ogni interessamento dell’Inter? Le risposte a queste domande interessano molto alla Juventus, che in sede Tar chiede un maxirisarcimento da 443 milioni alla Figc. Certo, la Procura federale è ora in altre faccende affaccendata, ma un quarto d’ora per rispondere prima della chiamata al Tar del Lazio, forse è il caso che lo si trovi. ___ IL CASO «Spiavo De Santis per conto di Moratti» Tavaroli in aula ammette: «Il dossier Ladroni mi venne ordinato dal patron dell'Inter e lo gestii con Facchetti» Fatti prescritti per la giustizia sportiva, ma si riapre la questione etica di MARCO IARIA (GaSport 07-06-2012) «L'operazione Ladroni mi fu commissionata da Massimo Moratti, poi io la gestii con Giacinto Facchetti». Nel bel mezzo di una deposizione-fiume al processo sui dossier illegali Telecom ai danni di politici, imprenditori, giornalisti, sono bastate queste parole di Giuliano Tavaroli a riaprire il pentolone delle polemiche su Calciopoli. Perché per la prima volta l'ex capo della sicurezza di Telecom e Pirelli ha detto in un'aula di tribunale, in qualità di testimone (dopo aver patteggiato 4 anni) e quindi sotto giuramento, ciò che aveva riferito ai pm di Milano nell'autunno del 2006. A porgergli la domanda i legali dell'ex arbitro Massimo De Santis, parte civile nel procedimento in Corte d'assise, che nella causa per risarcimento danni rinviata ad ottobre chiederà all'Inter 21 milioni di euro. De Santis è stato oggetto di investigazioni riservate tra il 2002 e il 2003, realizzate anche dall'agenzia Polis d'Istinto di Emanuele Cipriani, sulla cui scrivania fu trovato il dossier Ladroni: l'input sarebbe partito dopo una denuncia dell'ex arbitro Danilo Nucini all'allora presidente nerazzurro Facchetti sull'esistenza di una presunta combriccola romana. Meccanismo È stata una dipendente Telecom, Caterina Plateo, a raccontare agli inquirenti come funzionava il dossieraggio, producendo gli appunti manoscritti sui tabulati «spiati» (con orario, durata e destinatari delle telefonate), in particolare «gli sviluppi del traffico in entrata e in uscita su utenze telefoniche intestate a Figc, Ceniccola (ex guardalinee, ndr), Juventus e Gea World. Mi sono stati richiesti come al solito da Adamo Bove (allora dirigente Telecom, poi suicidatosi, ndr) in data 11-2-2003 e dopo la mia elaborazione sono stati consegnati allo stesso». Non intercettazioni, cioè ascolto delle conversazioni, ma dati sui traffici magari per scoprire connessioni tra vari soggetti, attraverso il cosiddetto sistema Radar, programma antifrode nelle intenzioni, rivelatosi strumento di controllo illecito in grado di non lasciar traccia in azienda. Tavaroli, in uno degli interrogatori, aggiunse che l'attività sul calcio riguardava anche accertamenti bancari. Moratti L'Inter ha sempre respinto qualsiasi addebito. Ascoltato il 3 ottobre 2006 dall'allora capo dell'ufficio indagini Figc Francesco Saverio Borrelli, Massimo Moratti dichiarò che sulla scia delle rivelazioni di Nucini a Facchetti «ritenni opportuno fare delle verifiche in merito e a tal fine mi rivolsi al Tavaroli, che conoscevo come persona capace che curava la sicurezza della Pirelli (...) Non ho mai dato alcun mandato al Tavaroli per redigere dossier sull'arbitro De Santis né ho mai visto alcun documento in merito». Per l'Inter nessun coinvolgimento in sede penale e un fascicolo aperto dai procuratori federali (relativo anche a presunti pedinamenti di Vieri, Mutu, Jugovic e Ronaldo) e archiviato il 22 giugno 2007, con un'ulteriore coda senza esito dopo l'esposto della Juventus sullo scudetto 2006 revocato ai bianconeri e assegnato all'Inter a tavolino. È vero che la fattura da 50 mila euro per l'operazione Ladroni venne pagata a Cipriani da Pirelli e non dall'Inter, ma lo stesso investigatore privato ha fatto mettere a verbale: «Tavaroli spiegò che era opportuno che l'investigazione non risultasse». A quei tempi, tra l'altro, Pirelli era socia dell'Inter col 19,5% delle azioni. Intrecci Anche se ieri Tavaroli non ha fatto che confermare la deposizione resa ai magistrati, la portata delle sue dichiarazioni è evidente. Innanzitutto per il contesto (davanti ai giudici) ma anche e soprattutto per l'eco sull'opinione pubblica. Sullo sfondo dei tradizionali legami tra Inter e Pirelli-Telecom, dossieraggi illegali su una serie di soggetti (compreso Mariano Fabiani, ex d.s. di Messina e Genoa) vicini all'ex direttore generale della Juve Luciano Moggi, avvenuti tra il 2002 e il 2003. Poi, nel 2004, l'avvio delle indagini della Procura di Napoli che svelarono l'esistenza di una cupola tale da condizionare arbitri e apparati delle istituzioni calcistiche e condussero nel 2006 alla retrocessione in B della Juventus e alla decapitazione dei suoi vertici dirigenziali. È una successione di fatti che, agli occhi del popolo bianconero, rimette in discussione perfino la genesi di Calciopoli. Quel che è certo è che si riapre l'eterna questione etica sottesa a cavilli e formalismi. Per la giustizia sportiva i fatti riemersi ieri sono coperti da prescrizione. L'Inter non rischia nulla. Moratti, semmai, deve preoccuparsi per la richiesta milionaria di risarcimento danni di De Santis (oltre a quella di Vieri). E per il dibattito che giocoforza si riaccende sull'opportunità di aver assegnato il titolo 2006 all'Inter. ------- LE REAZIONI Club in silenzio Ma sul web i tifosi si scatenano di ANDREA FANÌ (GaSport 07-06-2012) Quella testimonianza, sulle operazioni di dossieraggio ai danni dell'ex arbitro De Santis e altri soggetti «per conto di Moratti e dell'Inter» che ieri Giuliano Tavaroli ha rilasciato al Tribunale di Milano, ha scatenato una serie di reazioni uguali e contrarie. Il silenzio Zero movimenti dai canali ufficiali dei due club, il cui antagonismo si è decisamente inasprito dopo i fatti di calciopoli. Né la Juventus né l'Inter ieri hanno commentato la testimonianza dell'ex capo della sicurezza di Telecom e Pirelli, società riconducibili entrambe a Marco Tronchetti Provera all'epoca dei fatti rivelati da Tavaroli (primi sette mesi del 2003). Il rumore A fare da contrappunto al silenzio delle società, le numerose reazioni dei tifosi, specie in rete. «È finalmente arrivata l'ora di dire la verità su calciopoli: è stata tutta una montatura» sostiene la maggioranza del popolo juventino, che chiede ai vertici dell'Inter, di «rinunciare alla prescrizione» che ha congelato il fascicolo aperto la scorsa estate dal procuratore Figc, Stefano Palazzi. «Ho sempre creduto nell'operato e nell'onestà della Juventus» si spinge a dire Vincenzo su un forum. Fanno muro, compatto, i tifosi dell'Inter, la cui «strategia» difensiva è sintetizzata da quel «Tavaroli getta fango su Tronchetti Provera solo per vendetta», postato da Davide su un sito di sostenitori nerazzurri. «Piuttosto la Figc ci assegni anche gli altri scudetti rubati dalla Juve negli anni precedenti» ha scritto un altro tifoso interista. ___ IL CASO DE SANCTIS Tavaroli: «I dossier me li chiese Moratti Li feci con Facchetti» L’ex responsabile della sicurezza di Pirelli e Telecom coinvolge il mitico giocatore scomparso di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 07-06-2012) MILANO - «L’“Operazione Ladroni” mi venne commissionata dall'Inter nella persona di Moratti, poi la feci con Facchetti» : ecco l’accusa lanciata ieri da Giuliano Tavaroli durante il processo sul caso dei dossier illegali celebrato nell'aula bunker della Corte d'Assise di Milano. L’ex responsabile della sicurezza di Pirelli e Telecom, rispondendo come testimone a una domanda di Irma Conti, legale di De Santis (l’ex arbitro ha chiesto 21 milioni di euro come risarcimento danni per essere stato spiato), non ha avuto incertezze nel sottolineare che l’input proveniva dal patron nerazzurro e ha ribadito un’accusa che aveva già formulato nell’ottobre 2006 quando era in carcere a Voghera. I FATTI - Agli atti dell'inchiesta, risultano più dossier, tra i quali quelli di De Santis, dell’ex direttore sportivo di Messina e Genoa Mariano Fabiani e del guardalinee Enrico Cennicola, confezionati tra il gennaio e il luglio del 2003. Della vicenda ha parlato anche l'investigatore privato Emanuele Cipriani che aveva portato avanti parte dell’opera con la sua società, la Polis d’Istinto. «Tavaroli si limitò a dirmi che De Santis era un arbitro che probabilmente prendeva i soldi - ha fatto mettere a verbale Cipriani - e che occorreva controllare società sportive in Calabria per verificare un possibile collegamento con De Santis. L'incarico mi venne conferito da Tavaroli in Pirelli e io fatturai alla Pirelli su richiesta espressa di Tavaroli» . Moratti ha più volte spiegato, anche davanti alla giustizia sportiva, che «un uomo si offrì di mettere sotto osservazione De Santis sottolineando che conosceva alcune persone in grado di darci informazioni, ma non ne uscì nulla. Zero su tutta la linea. L’Inter però non ha dato nessun mandato per seguire qualcuno» . IRRITAZIONE - Dalla sede dell’Inter nessun commento ufficiale, ma viene fatto rilevare che Moratti non ha mai ordinato qualcosa di illegale, tanto meno l’Operazione Ladroni, e che quel dossier non è mai stato visionato né pagato. In corso Vittorio Emanuele, insomma, non c’è preoccupazione, trattandosi di una vicenda sulla quale la giustizia sportiva ha fatto accertamenti a ripetizione, piuttosto profonda amarezza perché viene coinvolta ancora una volta la figura di chi (Facchetti) non c’è più. ___ PROCESSO TELECOM, TAVAROLI CONFERMA IN AULA “Fu Moratti il mandante del dossier De Santis” Nelle carte riferimenti anche a utenze Juve Il presidente dell’Inter ha sempre negato di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 07-06-2012) L’operazione «Ladroni» parte da lontano, ha l’ex arbitro Massimo De Santis come protagonista, o meglio, vittima di spionaggio (dai conti bancari alle uscite a cena) e, da ieri, un mandante, secondo quanto affermato sotto giuramento in un aula di tribunale - quello di Milano - da Giuliano Tavaroli, ex capo della security di Telecom e Pirelli. «Sì, l’input per confezionare il dossier Ladroni venne da Moratti. Per l’Inter...», la risposta di Tavaroli, testimone-imputato al processo sui dossier illegali, alle domande dei legali dell’ex fischietto De Santis, Irma Conti e Paolo Gallinelli. Tavaroli racconta la sua verità, la stessa fatta mettere a verbale nell’interrogatorio del 29 settembre del 2006 nel carcere di Voghera. «...Attorno alla fine del 2002 ebbi un incontro con Moratti e Facchetti presso la sede della Saras. Facchetti rappresentò a me e a Moratti di essere stato avvicinato da un arbitro della delegazione di Bergamo che in più incontri aveva rappresentato un sistema di condizionamento delle partite di calcio facente capo a Moggi ed avente come perno essenziale l’arbitro De Santis... Si raggiunse l’accordo - così Tavaroli - nel corso di quella riunione che Facchetti dovesse incontrarsi nuovamente con l’arbitro (Nucini, ndr). . . . Contestualmente, sulla base di alcuni numeri cellulari che Facchetti mi diede dicendomi che erano riferibili a Moggi, chiesi a Bove (responsabile della sicurezza della Tim, ndr) di verificare se quei numeri fossero attivi. . . ». Eccoli i protagonisti: Tavaroli, l’investigatore privato Cipriani, a cui fu dato il compito di agire, e la segretaria di Bove, Caterina Plateo, i cui appunti contenevano riferimenti ad accertamenti sulle utenze anche intestate alla Juve e alla Gea. Moratti ha sempre ammesso di «non aver mai commissionato altre indagini oltre a quella fatta svolgere su Vieri». Il patron nerazzurro davanti all’allora capo dell’Ufficio Indagini della Federcalcio, Francesco Saverio Borrelli - interrogatorio del 3 ottobre del 2006 - ha negato «di aver dato alcun mandato al Tavaroli per redigere un dossier sull’arbitro De Santis o di aver mai visto alcun documento in merito. Ho appreso - raccontò il patron nerazzurro Moratti agli inquirenti federali - solo dalla recente lettura dei giornali dell’esistenza del cosiddetto “Dossier Ladroni”. In termini più espliciti, confermo di aver contattato Giuliano Tavaroli per consultarmi su quanto stava avvenendo con Nucini, ma escludo di avergli dato alcun mandato per svolgere indagini su De Santis.. . ». La Figc, nel giugno del 2007 arrivò ad archiviare il procedimento e lo fece l’attuale capo della procura Stefano Palazzi. ___ Milano «Ecco cosa feci per Moratti e l’Inter» Dossier, Tavaroli difende Tronchetti di LUIGI FERRARELLA (CorSera - Cronache 07-06-2012) MILANO — Una difesa totale di Marco Tronchetti Provera, un pizzicotto calcistico a Massimo Moratti, un accenno ma solo in generale a un ordine dell'ex amministratore delegato di Telecom Carlo Buora, un attestato di estraneità ai Ds: è la deposizione ieri di Giuliano Tavaroli al processo per i dossier illeciti della Security di Pirelli-Telecom, dove torna in parte teste avendo già patteggiato 4 anni. Inter L'avvocato di parte civile dell'arbitro Massimo De Santis gli chiede da dove nel 2002 venisse l'ordine dell'«operazione Ladroni», dossier a base di pedinamenti e ricerche patrimoniali realizzato dall'investigatore privato Emanuele Cipriani (e fatturato non all'Inter ma alla Pirelli, all'epoca secondo azionista di Inter col 19%) a caccia di incongruità che nell'arbitro potessero svelare o condizionamenti dal sistema-Moggi o prevenzioni verso l'Inter: «Venne da Moratti, e poi io gestii la pratica con Facchetti» (morto), è l'asciutta risposta di Tavaroli. Moratti, invece, alla Federcalcio nel 2006 e poi sempre, ha affermato d'avergli chiesto solo un consiglio, senza ordinare nulla. Oak Fund Era il dossier stilato nel 2002 con 13 report da Cipriani tramite inverificabili carte bancarie internazionali di una sua asserita «fonte» ex agente di Scotland Yard, e prospettava che dietro un fondo azionista della Bell (protagonista nel 2001 della scalata a Telecom) vi fossero dirigenti dei Democratici di sinistra, partito costituitosi parte civile per tutelarsi da quello che denuncia come un clamoroso falso. L'operazione, premette Tavaroli, partì perché Tronchetti voleva verificare voci che accreditavano profitti di infedeli manager Telecom dietro l'Oak Fund: invece «solo all'ultima pagina dell'ultimo rapporto mi resi conto che riguardava un partito. Cipriani alla fine di un lavoro professionale giunse a una ipotesi di proprietà» (appunto i Ds) «che riferii oralmente solo a Tronchetti». Ma costui «immediatamente decise di non utilizzare la circostanza, dimenticare, "bruciare"». È proprio quanto Tronchetti ha sempre affermato. L'avvocato dei Ds, Luongo, obietta però a Tavaroli l'intervista a Repubblica in due puntate nel luglio 2008 in cui diceva che a ordinargli un dossier sui Ds era stato Tronchetti: «Non l'ho mai dichiarato — asserisce Tavaroli —, non ho mai indicato il senatore ds Nicola Rossi come beneficiario, nelle carte che vidi non c'era alcuna prova di soldi ai Ds, non ho mai fatto quell'intervista, erano conversazioni di mesi prima e con molte cose inesatte e false. Non la smentii dietro consiglio del mio legale e perché avevo altre preoccupazioni. Forse ho sbagliato. Ma deve essere chiaro che Tronchetti mai mi ha chiesto di indagare su alcun partito del mondo». Giornalista Quanto al dossieraggio su Massimo Mucchetti del Corriere, praticato dallo 007 privato Marco Bernardini e dall'hacker Fabio Ghioni, Tavaroli attribuisce all'allora amministratore di Telecom «Buora e a De Conto» solo l'ordine di «capire chi-come-quando dentro le aziende stesse alimentando fughe di notizie alla base di articoli» sgraditi ai vertici aziendali, come uno di Mucchetti. Ma Tavaroli scarica su Bernardini e Ghioni «le modalità aggressive» sul giornalista e su Colao, quali l'intrusione informatica del novembre 2004 ai pc del Corriere: «Non l'ho né ordinata né saputa, i dati presi non sono stati mai letti o condivisi in azienda, fu una stupidaggine sesquipedale di Ghioni, della quale come omesso controllo mi assumo la responsabilità. Ma nessuno, né io né il management che pure aveva un interesse per Mucchetti, ha mai ordinato a Ghioni un'attività così fuori luogo e priva di senso». ___ la Repubblica ne parla, in un piccolo riquadro, solo per il riferimento a Mucchetti, sull'edizione nazionale: più realista del re. ___ LO DICE TAVAROLI «Moratti mi ordinò di spiare l’arbitro De Santis» art.non firmato (Libero 07-06-2012) MILANO L’incursione nei pc di Rcs fu una stupidaggine «sesquipedale di cui mi prendo la responsabilità per difetto di controllo. Nessuno del management ha ordinato mai a Ghioni (Fabio Ghioni, ex capo dell’ex Tiger team, ndr)di fare un’attività così intrusiva. Purtroppo è successo, ma i dati prelevati non furono mai divulgati a nessuno». A dirlo Giuliano Tavaroli, ex capo security di Telecom sentito ieri nell’aula-bunker di San Vittore al processo sui dossier illegali. Tavaroli è stato ascoltato come testimone imputato di procedimento connesso. «L’ex ad di Telecom, Carlo Buora, e l’allora direttore amministrativo, Claudio De Conto » ha detto, «chiesero di indagare sulla fuga di notizie interne all’azienda e poi pubblicate sulla stampa». Tavaroli ha aggiunto che all’epoca dei fatti fu convocato negli uffici della presidenza di Telecom dove gli fecero vedere un articolo del Mondo che ipotizzava la cessione del gruppo Pirelli Cavi. «La notizia anticipava decisioni in corso, estremamente riservate, cui i manager potevano essere chiamati a rispondere alla Consob». Sempre ieri Tavaroli ha affermato che Massimo Moratti gli ordinò la pratica «Ladroni», quella che riguarda in particolare l’ex arbitro De Santis. Moratti disse che era «per l’Inter». Oltre a De Santis il dossier - confezionato tra il gennaio e il luglio 2003 - riguardava altre 4 persone. Per i termini organizzativi Tavaroli prese contatti con l’allora dirigente neroazzurro Giacinto Facchetti. ___ TELECOM TAVAROLI TIRA IN BALLO TRONCHETTI E MORATTI di ANTONELLA MASCALI (il Fatto Quotidiano 07-06-2012) Giuliano Tavaroli, l’uomo chiave dei dossier illegali targati security Pirelli-Telecom ieri ha deposto al processo di Milano. Ha tirato in ballo Marco Tronchetti Provera, l’ex Ad di Telecom, Carlo Buora e il presidente dell’Inter, Massimo Moratti. Tavaroli, che ha patteggiato, per la prima volta esplicita chi gli diede l’ordine di spiare la società brasiliana Kroll: “L’operazione di controsorveglianza su Kroll fu richiesta da Buora che era il mio capo e dal dottor Tronchetti (indagato, ndr)”. Interrogato dagli avvocati Mario Zanchetti e Domenico Pulitanò, per la parte civile Massimo Mucchetti, racconta la genesi del dossier sul vicedirettore del Corriere della Sera: “Un giovedì sera sono stato convocato in via Negri (presidenza Telecom, ndr) dove mi fecero vedere un articolo del ‘Mondo’ che ipotizzava la cessione del gruppo Pirelli Cavi. Anticipava decisioni estremamente riservate… Anche Carlo Buora mostrò determinazione nel dire: voi della sicurezza dovete capire da dove escono queste infor mazioni...”. Tavaroli, poi, scarica su Ghioni l’intrusione nel Pc di Vittorio Colao, ex Ad di Rcs: “Fu una stupidaggine sesquipedale di cui mi prendo la responsabilità per difetto di controllo. Nessuno del management ha ordinato a Ghioni di fare un attività così intrusiva”. In aula viene rievocato poi Calciopoli ai tempi di Moggi. L’avvocato Irma Conti, per l’ex arbitro Massimo De Santis, parte civile, chiede chi gli commissionò l’operazione “Ladroni”. Tavaroli coinvolge Moratti: “Mi venne commissionata dall'Inter nella persona di Moratti. Per le questioni organizzative presi contatti con Facchetti (lo scomparso dirigente neroazzurro, ndr)”. ___ Il caso Il processo sui dossier illegali Tavaroli: «Nessuno ordinò lo spionaggio in Rcs» L’ex capo della security Telecom: «Da Tronchetti mai avuto incarichi su partiti italiani o esteri» di LUCA FAZZO (il Giornale 07-06-2012) Si erano mossi mari e monti per evitare che Giuliano Tavaroli venisse a testimoniare nell’aula del processo per i dossier illegali di Telecom: come se dalla deposizione del vecchio capo dell’Ufficio sicurezza del colosso telefonico dovessero arrivare chissà quali altre rivelazioni. Invece nell’aula bunker, davanti alla Corte d’assise, si è materializzato un tranquillo manager di mezza età, vistosamente privo di voglia di fare sfracelli. E anche le domande che gli sono state poste sono suonate pacate e quasi timorose. Così l’unico affondo lo ha tentato il legale di Massimo Mucchetti, vicedirettore del Corriere della sera , vittima - insieme ai vertici dell’azienda - delle incursioni informatiche del Tiger Team, gli hacker al servizio di Tavaroli. Chi fu a dare l’ordine? Tavaroli racconta che Carlo Buora, ad di Telecom, esasperato per le continue fughe di notizie, chiese di scovare le talpe: «Buora mostrò grande determinazione nel dire: voi della sicurezza dovete capire da dove escono queste informazioni e come vengono trasferite all’esterno, trovate il sistema di capire chi, come e quando». Ma le modalità dell’operazione furono un’iniziativa del team: «Una stupidaggine sesquipedale di cui mi prendo la responsabilità». È ben vero che tutte le attività della Security «venivano richieste dall’interno dell’azienda», dice Tavaroli, ma la gestione poi era di mia competenza; in ogni caso «Tronchetti non mi diede mai nessun incarico di indagare su alcun partito italiano o estero». E racconta di come Tronchetti reagì malissimo alla scoperta che il misterioso Oak Fund, che controllava una parte di Bell e che si temeva appartenesse a manager Telecom infedeli, era in realtà riconducibile - secondo il dossier dell’investigatore Cipriani - al partito dei Ds: «Tronchetti si sorprese molto e decise di dimenticare questa circostanza e del dossier non venne fatto alcun utilizzo». Tavaroli è apparso soprattutto desideroso di fare chiarezza sugli uomini che lavoravano per lui, da Cipriani al giornalista Guglielmo Sasinini, «erano dei veri professionisti ».Sul resto (Inter e Moratti a parte) non ha offerto scoop. Ma una cosa, ha detto, Tronchetti e Buora la vollero: l’incursione («controsorveglianza», la chiama) contro l’agenzia investigativa Kroll, che ribaltò a favore di Telecom la guerra per il controllo della telefonia mobile in Brasile. ------- calcio nella bufera Al processo Telecom parla l’ex capo della Security «Moratti ordinò il dossier sugli arbitri» Scommesse, il pm di Cremona e la verità sul derby di Genova: «Avrà effetti devastanti, sarà la cosa peggiore dell’inchiesta» di LUCA FAZZO (il Giornale 07-06-2012) «L’operazione Ladroni mi venne commissionata dall’Inter nella persona di Moratti, poi la feci con Facchetti»: sono le due di ieri pomeriggio, quando nell’aula bunker davanti al carcere di San Vittore, Giuliano Tavaroli risponde senza tanti giri di parole alle domande dell’avvocato di Massimo De Santis, ex arbitro,spiato e dossierato dall’ufficio Security di Telecom. Tavaroli, che di quell’ufficio era il capo, aveva già detto la stessa cosa nel corso delle indagini preliminari, durante i lunghi faccia e faccia con i pubblici ministeri nel supercarcere di Voghera. Ma ieri è la prima volta che Tavaroli appare in aula e risponde da uomo libero. Alle altre domande sui dossieraggi di Telecom - dai fondi dei Ds ai rapporti con i servizi segreti - risponde dicendo il minimo indispensabile. Ma quando l’avvocato di De Santis si alza per chiedergli dell’inchiesta sul mondo del calcio risponde senza complimenti. E chiama in causa il presidente dell’Inter Massimo Moratti, che quando nel 2006 fu interrogato dall’ufficio inchieste della Federcalcio (diretto allora da Francesco Saverio Borrelli) diede della faccenda una versione assai diversa, raccontando in sostanza di essere stato contattato da Tavaroli a cose già fatte. Invece ieri Tavaroli va giù duro. E attribuisce senza sfumature a Moratti l’iniziativa della inchiesta sotterranea contro il «giro» di Luciano Moggi. Dalle risultanze di quella indagine Moratti partì per mandare Giacinto Facchetti alla Procura della Repubblica di Milano, bussando alla porta di Ilda Boccassini. L’inchiesta morì sul nascere. Chi ha ragione? Moratti che nega ogni responsabilità nell’incarico a Tavaroli? O Tavaroli? Giacinto Facchetti purtroppo non più dire la sua. Ma nel 2005, avvicinato da due cronisti, non negò di avere incontrato Ilda Boccassini. E della circostanza che Moratti possa avere dato una disposizione a Tavaroli la spiegazione più logica restano i comuni rapporti con Marco Tronchetti Provera, che era all’epoca presidente di Telecom- e quindi datore di lavoro di Tavaroli - ma anche vicepresidente e principale sponsor della squadra nerazzurra. Sull’altro fronte caldo del pallone, quello dello scommesse, il pm di Cremona, Roberto Di Martino, dice che la verità sul derby Genoa-Sampdoria dell’8 maggio 2011 «avrà un effetto devastante. Sarà la cosa peggiore di quella che è capitata in questa inchiesta». ___ Dossier illegali. L'ex capo della security di Telecom e Pirelli: «Nessun ordine di indagare su alcun partito» Tavaroli: «Da Tronchetti nessun incarico sui dossier» di R.FI. (il Sole 24 ORE 07-06-2012) «Tronchetti non mi diede mai nessun incarico di indagare su alcun partito italiano o estero o extraplanetario». Lo ha affermato in aula Giuliano Tavaroli, l'ex capo della security di Telecom e Pirelli, sentito come testimone imputato di reato connesso nell'ambito del processo sui dossier illegali. Vicenda per cui Tavaroli ha patteggiato poco più di 4 anni di carcere. Rispondendo alle domande dell'avvocato dei Ds, parte civile nel procedimento, l'ex capo della security delle due società ha negato che l'allora presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, gli avesse commissionato qualsiasi tipo di attività di dossieraggio sui Ds in relazione all'Oak Fund che, stando ai report confezionati dall'investigatore privato Emanuele Cipriani, sarebbe stato riconducibile al partito allora guidato da Massimo D'Alema. «Il dossier - ha proseguito Tavaroli - fu chiesto da Buora e Tronchetti in quanto esistevano sospetti che dietro il fondo ci fossero manager di Telecom e Pirelli. Tavaroli è interventuo anche sull'intrusione nel sistema informatico di Rcs, affermando che è stato un errore, «una stupidaggine». Davanti alla corte d'assise del Tribunale di Milano, Tavaroli ha spiegato: «nessuno ha mai chiesto a Ghioni di fare l'intrusione, non aveva ragione di esistere, non era stata chiesta da nessuno, tantomeno dal management». Un giovedì sera Tavaroli viene convocato e gli viene mostrata la copertina de Il Mondo in edicola l'indomani in cui si da' notizia della cessione di Pirelli Cavi. «Incaricai Ghioni di fare luce sulla fuga di notizie», ricostruisce l'ex capo della sicurezza. Da chi arrivò l'ordine di fare chiarezza? «È partito da Lamacchia e poi Buora e De Conto che volevano capire come queste informazioni uscissero dall'azienda». Per Tavaroli, quindi, nessuno autorizzò l'intrusione che fu «un grave errore» di cui «mi assumo la responsabilità» in quanto responsabile della sicurezza. Quei documenti, in ogni caso, «non sono mai stati consultati da nessuno, nemmeno da me». Tavaroli inoltre, rispondendo a una domanda di Irma Conti, legale dell'ex arbitro De Santis, ha affermato che Massimo Moratti commissionò la pratica "Ladroni". ___ La rivelazione L'ex capo della security di Telecom e Pirelli e il «rapporto Ladroni» «Moratti mi ordinò di spiare De Santis» art.non firmato (IL MATTINO 07-06-2012) MILANO Clamoroso rivelazione nel corso di un’udienza del processo Telecom in corso di svolgimento al tribunale di Milano: in aula depone, dopo una convocazione andata buca per malore, Giuliano Tavaroli. L'ex capo della security di Telecom e Pirelli manda in pesantissima contraddizione anni di versioni interiste e di Moratti soprattutto sulla vicenda dello spionaggio ai danni di De Santis, ma anche di utenze dei dirigenti juventini Giraudo e Moggi, dello stesso arbitro De Santis (che chiede 21 milioni di risarcimento per lo spionaggio Telecom), i designatori Bergamo e Pairetto e alcune utenze Gea. Tavaroli sotto giuramento ai giudici di Milano conferma quanto asserito in fase d'indagine su Calciopoli e contestato (con la Figc che credette al numero uno interista) che fu proprio Moratti e l'Inter a commissionare la cosiddetta «Operazione Ladroni». Il presidente dell’Inter, insomma, diede mandato a Giuliano Tavaroli di preparare un rapporto illegale e di relazionarlo su ciò che riguarda in particolare la vita dell'ex arbitro De Santis. Tavaroli lo ha ammesso rispondendo a una domanda di Irma Conti, legale di De Santis. Tavaroli, testimone-imputato di reato connesso, all' avvocato, parte civile nel processo, che gli ha domandato da chi fosse stato contattato per il dossier intitolato «Ladroni», ha risposto «da Moratti» aggiungendo che era stato commissionato per conto «dell’Inter». Inoltre ha precisato di aver preso contatti con l'allora dirigente neroazzurro Giacinto Facchetti per i termini organizzativi dell’operazione. E quando il legale ha chiesto se dunque l’input provenisse da Moratti, Tavaroli ha confermato con un deciso «sì». Come risulta agli atti dell'inchiesta, il dossier che riguardava De Santis e altre quattro persone, tra cui l'ex direttore sportivo del Messina e Genoa, Mariano Fabiani, ed il guardalinee Enrico Cennicola, è stato confezionato tra il gennaio e il luglio del 2003. Dell'operazione aveva anche parlato l'investigatore privato Emanuele Cipriani, ora imputato al processo milanese con una decina di persone. Cipriani, il 13 ottobre 2006, aveva messo dichiarato a verbale: «Tavaroli si limitò a dirmi che De Santis era un arbitro che molto probabilmente prendeva i soldi e che occorreva controllare società sportive in Calabria per verificare un possibile collegamento con De Santis. L'incarico - aveva sottolineato nel corso della sua deposizione l’investigatore privato - mi venne conferito da Tavaroli in Pirelli ed io fatturai alla Pirelli su richiesta espressa di Tavaroli». ___ L’INTERROGATORIO Tavaroli e dossier illegali: nessuno ordinò l’incursione nei computer di Rcs Moratti chiese all’ex capo della security di Telecom un report sull’arbitro De Santis art.non firmato (Il Messaggero 07-06-2012) MILANO - L'incursione nei computer di Rcs, fu «una stupidaggine sesquipedale di cui mi prendo la responsabilità per difetto di controllo. Nessuno del management ha ordinato mai a Ghioni di fare un attività così intrusiva. Purtroppo è successo, ma i dati che vennero prelevati non furono mai divulgati a nessuno». Lo ha affermato l'ex capo della security di Telecom, Giuliano Tavaroli, che per la vicenda ha patteggiato 4 anni, sentito ieri nell'aula-bunker di San Vittore al processo sui dossier illegali, come testimone imputato di procedimento connesso. L'ex ad di Telecom Carlo Buora e l'allora direttore amministrativo Claudio De Conto, ha detto Tavaroli, chiesero di indagare sulla fuga di notizie interne all'azienda e poi pubblicate sulla stampa. È in sostanza la genesi dello spionaggio ai danni del giornalista del Corriere della Sera Massimo Mucchetti e dell'ex sindaco di Telecom Rosalba Casiraghi. Rispondendo alle domande dei legali di Mucchetti, che è parte civile, Tavaroli ha spiegato: «Un giovedì sera sono stato convocato in via Negri (uffici della presidenza di Telecom) dove mi fecero vedere un articolo del Mondo che ipotizzava la cessione del gruppo Pirelli Cavi e che anticipava decisioni in corso estremamente riservate di cui i manager potevano essere chiamati a rispondere alla Consob. Buora mi chiese di trovare il modo di capire come nascono e vengono trasferite dall'interno dell'azienda queste informazioni». Da qui i due dossier commissionati all'investigatore Marco Bernardini chiamati Mucca pazza e Clarabella. Tavaroli ha però affermato che nè lui nè il management sapevano la modalità con cui vennero commissionati. Convocato come testimone-imputato di reato connesso al processo sul caso dei dossier illegali, per i quali ha patteggiato 4 anni, Tavaroli ha detto che fu Massimo Moratti a commissionargli la pratica Ladroni, quella che riguarda l’ex arbitro Massimo De Santis. Così ha risposto ad una domanda di Irma Conti legale di De Santis. Inoltre ha precisato di aver preso contatti con l'allora dirigente neroazzurro Giacinto Facchetti per i termini organizzativi dell'operazione. E quando il legale ha chiesto se l'input provenisse da Moratti, Tavaroli ha confermato con un «sì». Aggiungendo che «era per l’Inter». Come risulta agli atti dell'inchiesta, il dossier che riguardava De Santis e altre quattro persone, tra cui l'ex direttore sportivo di Messina e Genoa Mariano Fabiani e il guardalinee Enrico Cennicola, è stato confezionato tra il gennaio e il luglio del 2003. Dell'operazione aveva anche parlato l'investigatore privato Emanuele Cipriani, ora imputato al processo milanese. Non è la prima volta che Tavaroli racconta la vicenda, sempre smentita dal presidente dell’Inter e anche dall’ex presidente di Telecom Marco Tronchetti Provera che, sentito come teste durante l’udienza preliminare nel marzo di due anni fa, aveva parlato di «iniziativa autonoma» della Security.
  7. SCENARI ITALIA (Panorama | 13 giugno 2012) TALK SHOW Qual è la ricetta giusta per salvare il calcio Le ultime inchieste sul calcioscommesse accrescono delusione e irritazione nei tifosi. Ci si chiede quali strade bisogna intraprendere per risanare lo sport più amato del mondo. ------- Eliminare i contatti con il mondo degli ultrà e fissare penali salate a carico dei giocatori di GIUSEPPE CRUCIANI, giornalista Ricominciamo da Gigi Buffon. Il portierone ha suggerito piccole regole per limitare i danni (il calcio non è un mondo a parte, i truffatori ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre): penali economiche fortissime nei contratti dei calciatori, se sgarrano, e bloccare le giocate sulle partite che alla fine del campionato sono più facili da truccare. Cose di buon senso, ma nessuno ne parla. La chiave sono i soldi. Se rischia di perderli, anche il più disonesto può avere un ripensamento. Va vietato ogni contatto col mondo ultrà. Vie-ta-to. Sono raccapriccianti le immagini di calciatori (e dirigenti) in balia del primo delinquente che passa E se certi figuri dominano le curve, l'unica ricetta è quella di chiuderle per un lustro lasciando quello spazio ai bambini. E poi stadi privati, sicurezza affidata alle società, cancellare quella roba medioevale che è la responsabilità oggettiva nel processo sportivo. Se un giocatore è un malandrino, perché devono pagare tutti? ------- Credibilità perduta da riconquistare, ricordando che il gioco è divertimento di RINO GATTUSO, calciatore del Milan dal 1999 al 2012 L'obiettivo del calcio italiano dev'essere quello di riconquistare credibilità. Innanzitutto è desolante vedere le condizioni in cui sono ridotti gli stadi, paragonati a quelli di altre nazioni. Ma soprattutto occorre più attenzione verso i bambini. Quando ero piccolo giocavo parecchie ore al giorno e fino a 12 anni nessuno mi ha insegnato la tecnica. Oggi, invece, i bambini sono tesserati dalle scuole calcio che, a pagamento, li fanno giocare al massimo tre ore la settimana facendoli correre fra i birilli e di fatto annoiandoli. Secondo me è sbagliato: dai 6 agli 11 anni devono giocare per divertirsi. Andrebbe a tutto vantaggio delle stesse scuole calcio, con un duplice risultato: sarebbe più facile scovare i talenti di cui abbiamo bisogno, riuscendo magari a ridurre le ore passate davanti ai videogiochi, e toglieremmo molti ragazzi dalle strade. Nel nostro sport i problemi seri esistono da tempo, da prima di Calciopoli. Anche se la gente ci seguirà sempre, è nostro dovere costruire una base solida per riconquistare la credibilità. ------- Giustizia ordinaria diffusa e capillare. Così il male sarà debellato di RAFFAELE GUARINIELLO, procuratore aggiunto della Repubblica di Torino Bisogna fare un'analisi spietata dei fatti: dopo i casi di condizionamento degli arbitri, di doping e di scommesse, il calcio è malato. Bisogna dunque combattere una battaglia contro la frode sportiva. Questa battaglia si può combattere su due fronti: quello della giustizia sportiva e quello della giustizia ordinaria. Sarebbe molto bello se il calcio fosse capace di rigenerarsi con le sue forze, però oggi non ci riesce. Come non mi sembra che la giustizia sportiva sia in grado di combattere fino in fondo questa battaglia. Resta allora la giustizia ordinaria, che sta lavorando bene e sta scoprendo molte cose che non vanno. Quel che si deve fare è rendere l'azione della giustizia ordinaria molto più diffusa, capillare, sistematica. Solo così riusciremo a debellare la malattia. Le procure devono continuare a lavorare e a smascherare i colpevoli, ma il mondo del calcio deve sapere cogliere questi segnali e fare qualcosa per difendere quello che è ancora il gioco più bello del mondo.
  8. INTERVISTA FRANZO GRANDE STEVENS L'uomo che ha salvato gli Agnelli spiega perché l'impresa familiare è come la Chiesa. Una controrivoluzione attraversa l'Europa per garantire continuità alle aziende. «Un Michele Ferrero, un Leonardo Del Vecchio, un Luigi Cremonini hanno qualità che altri non hanno, c'è poco da fare». E se lo dice lui, Franzo Grande Stevens, c'è da credergli. Da cinquant'anni fra i giuristi d'impresa più affermati d'Europa, è stato per oltre quattro decenni «l'avvocato dell'Avvocato», cioè il principale consulente di Gianni Agnelli; ha assistito clienti eccellenti come l'Aga Khan, lo Ior e il Vaticano; è autorevole consigliere del gruppo Ferrero e lo studio di cui è tuttora (a 83 anni) presidente onorario conta circa 50 avvocati fra Torino, Milano e Roma. di SERGIO LUCIANO (Panorama | 13 giugno 2012) A fianco della famiglia Agnelli, e con Gianluigi Gabetti, ha anche gestito la discussa operazione dell'equity swap, che permise alla dinastia di conservare il controllo della Fiat dopo la conversione del maxiprestito bancario che la salvò nel 2005. Insomma, Grande Stevens sta all 'impresa familiare come il Papa a San Pietro. «Gli uomini che hanno fondato le imprese le amano ben al di là del loro valore patrimoniale» afferma «Ne ho conosciuti tanti e so per certo che sono catalizzati dall'esigenza di assicurare per le loro creature il futuro migliore». Grande Stevens non ha mai cercato cattedre universitarie e ha rilasciato due o tre interviste in tutta la sua carriera, per un understatement che attinge più alla matrice britannica (madre) che a quella partenopea (padre) del suo dna. Il suo cavallo di battaglia è l'impresa familiare. Il suo capolavoro risale al 1987, quando per primo in Europa applicò al gruppo Agnelli uno strumento giuridico rivoluzionario, poi adottato da quasi tutti i grandi gruppi economici a controllo familiare: la società in accomandita per azioni, una cassaforte a prova di scalata e di dissidi intestini. Oggi Grande Stevens è, se non l'autore, certo l'ispiratore di una seconda rivoluzione, che anticipa a Panorama con questa intervista, e che s'impernia su due novità giuridiche che porteranno a una nuova stagione di consolidamenti delle famiglie imprenditoriali, una delle quali è appena stata utilizzata anche da casa Agnelli, nella fusione tra la Fiat Industriai e la Cnh. Avvocato, quali sono queste due novità? La più nuova è un perfezionamento del principio dell'accomandita. L'ha appena applicato per la prima volta la famiglia Hermès. Al vertice di quel gruppo c'è ora una società a responsabilità limitata, la Emile Hermès sarl, che è accomandataria della società in accomandita. La sarl naturalmente fa capo al gruppo familiare di riferimento. Insomma, la volontà di chi controlla e vuol continuare a controllare il gruppo è stata racchiusa a un livello superiore a quello dell'originaria accomandita di famiglia, dove forse non era più così sicuro che si potesse continuare a lavorare con stabilità. Insomma, un sistema di scatole cinesi, di società a responsabilità limitata e in accomandita per azioni ... Consentita dall'ordinamento europeo. E per un obiettivo preciso. Quale? L'imprenditore ha due esigenze, e il caso Hermès non fa eccezione: la prima è che la proprietà resti in famiglia; la seconda è che la gestione rimanga affidata a mani capaci, che possono essere anche estranee alla famiglia purché scelte con il criterio meritocratico più rigoroso. Nel presupposto, da dimostrare, che l'imprenditore sappia valutare il meglio ... Sicuramente ha l'intenzione onesta di farlo. L'imprenditore che ha avuto successo ama la sua azienda perché l'ha creata o comunque ingrandita, potenziata. Quindi non guarda solo al patrimonio, guarda alla stabilità dell'impresa. Ma perché il meccanismo dell'accomandita dovrebbe garantire stabilità? Non direi garantire, ma rafforzare le possibilità di ottenerla. Il socio accomandatario è responsabile illimitatamente con il suo patrimonio dei risultati della gestione. Questo scoraggia l'avventurismo. Chi si impegna non può farlo con intenti speculativi, deve mettersi in gioco completamente. Del resto, l'accomandita imita la Chiesa. Come sarebbe? Garantisce quel principio di cooptazione che funziona da 2 mila anni e ha permesso alla Chiesa di diventare l'istituzione più longeva e stabile dell'umanità. I soci accomandatari devono essere d'accordo sulla cooptazione di nuovi soggetti. Ma non bastano i patti di sindacato per tutelare la stabilità di un'impresa? Si sono dimostrati insufficienti. L' approvazione degli accomandatari in carica è necessaria invece per nominare nuovi accomandatari. Tutti sono responsabili patrimonialmente di quel che fanno. Questo meccanismo garantisce un imbattibile tasso di adesione ai valori, alle finalità aziendali. Quando un soggetto aderente a un patto di sindacato ne viola le regole, può semmai risarcire il danno cagionato, ma gli effetti non vengono cancellati. Nell'accomandita ogni accomandatario risponde personalmente di quel che fa e gli altri accomandatari possono prevenire l'insorgere della scorrettezza, non rettificarla a cose fatte. Torniamo al caso Hermès: cos'hanno fatto in quel gruppo? Dopo l'attacco da parte del gruppo Lvmh, nel 2010, la famiglia Dumas, che controlla circa il 70 per cento della Hermès, costituì un'accomandita cui conferì il pacchetto di maggioranza dell'azienda: la chiamò H51 proprio perché controllava il 51 per cento del capitale. Ora il ruolo di socio accomandatario nella H51 è stato attribuito non più a una persona fisica, ma a un'ulteriore accomandita: così si è ulteriormente circoscritto il potere d'indirizzo, e si è riunita una componente maggioritaria della famiglia. Forse perché cinque mesi fa è mancato Jean-Louis Dumas, e questo ha creato qualche crepa tra i 60 eredi? Non so. Posso dire però che lo strumento della srl come accomandataria della società in accomandita per azioni ha subito fatto proseliti presso un'altra famiglia storica del capitalismo mondiale, i Rothschild. E aggiungo che la Francia ha un ordinamento molto difensivo nei confronti della proprietà familiare, al quale ha appena aggiunto un secondo istituto determinante. L'altro strumento innovativo di cui si parla. Di che cosa si tratta? Il voto doppio per i possessi azionari stabili, di cui si avrà applicazione anche nel caso della fusione tra la Fiat Industriai e la Cnh. Una norma che permette alle società di prevedere nello statuto che i pacchetti azionari posseduti stabilmente, cioè da oltre due anni, dagli stessi proprietari acquistano voto doppio in assemblea. Diritto speciale che perdono se vengono venduti. Un premio fedeltà? Sì, che funziona anche in caso di opa, l'offerta pubblica d'acquisto. Che è la vera novità francese, visto che anche in Danimarca, Paesi Bassi e altri stati esiste qualcosa di simile, ma in caso di opa decade. Il pacchetto con voto doppio, invece, in Francia continua a votare per due. Ma l'Unione Europea consente una norma così dannosa per la contendibilità delle società quotate? La consente, anzi ha un orientamento favorevole. E non è una novità: la direttiva cui risale è del 2004, ma come sempre lasciava discrezionalità applicative agli stati membri. Ma alla fine è sano tanto fervore difensivo attorno alle proprietà familiari? La storia dimostra che il ruolo dell'individuo alla fine sovrasta sempre qualsiasi semplificazione, qualsiasi istituzionalizzazione giuridica. Quindi un'equivalenza granitica tra le imprese familiari e le imprese ben gestite non c'è. Certo, però, queste novità legislative rafforzano l'impresa familiare nel suo ruolo di cardine del sistema. Forse, in mancanza di meglio: perfino Facebook o Google, per parlare di società colossali e fondate da giovanissimi, tutelano la continuità proprietaria con lo strumento delle doppie categorie di azioni. Che poi l'impostazione delle imprese familiari regga, che resista alla globalizzazione, che sia prevalentemente proficua per il futuro delle imprese, beh, dipende dalla qualità delle persone. Per lei, insomma, l'impresa s'identifica con l'imprenditore che l'ha creata? Entro certi limiti, sì. L'impresa è l'attività nella quale una persona s'identifica davvero, se ha avuto un particolare successo, e s'innamora del suo lavoro amandolo anche più del patrimonio raccolto. Allora il suo interesse profondo è che l'impresa continui nel tempo con le stesse capacità di successo. Lei conosce imprenditori così? Per esempio Michele Ferrero: so bene che non ha interesse solo a conservare il patrimonio, ma a garantire il futuro dell'impresa. Ecco perché uomini come lui devono trovare il modo per assicurarsi che quelli che continuano abbiano lo stesso amore per il lavoro, le stesse capacità e qualità. La crisi della finanza colpisce più le family company o le public company? Insisto, dipende dagli uomini. I fattori esterni, il mercato, il credito, la concorrenza sono gli stessi per tutti. Le imprese familiari hanno le loro risorse tipiche, le public company ne hanno altre, ma su tutto prevale il ruolo dei singoli, dei gestori. Che siano imprese familiari o pubbliche, dove il metodo della cooptazione assicura la qualità del management le cose funzionano, altrove meno. Sa qual è una public company molto ben gestita? La Reale mutua di assicurazioni: è una mutua, quindi non ha un padrone tipico, tutti gli assicurati sono soci; e non distribuisce utili, naturalmente. C'è un meccanismo rigorosissimo di cooptazione manageriale. Va avanti benissimo dal 1828. Bio Nato a Napoli nel 1928, l'avvocato Franzo Grande Stevens a Torino è stato per anni il primo contribuente, anche davanti al suo miglior cliente, Gianni Agnelli. La Consob nel 2007 lo sanzionò per l'equity swap che due anni prima aveva permesso agli Agnelli di conservare il controllo della Fiat. Dall'accusa penale di aggiotaggio fu però prosciolto nel 2011. Civilista, ha sconfinato nel penale una sola volta, nel '76, come difensore d'ufficio dei capi storici delle Br (nessuno li voleva difendere), con l'allora presidente degli avvocati di Torino Fulvio Croce, poi assassinato dai terroristi. Padre di tre figli e nonno di svariati nipoti, è zio del nuovo amministratore delegato delle Generali, Mario Greco.
  9. Le tre stelle lasciamole ai tifosi di MATTEO MARANI (GUERIN SPORTIVO.it 30-05-2012) Prima che tutto il dibattito venisse assorbito dal Calcioscommesse, l’unico altro tema degno di interesse sembrava la terza stella della Juventus. In questi giorni, tra una chiusura e l’altra del giornale, mi è capitato di ripensarci a lungo, quasi come se dello straordinario successo di Conte rimanesse come unico ricordo l’ossessione dei 30 scudetti, ragione di spaccatura tra juventini e antijuventini. Alla cosa aveva contribuito molto la società, almeno fino alla frenata di qualche giorno fa. I dirigenti bianconeri hanno ideologizzato secondo me all’eccesso quel 30, arrivando a fissarlo nelle insegne del nuovo stadio, nelle bandiere fuori dalla sede e persino nello champagne stappato dopo la vittoria. Lo dico oggi, per non arrivare tra i ritardatari: è stato, almeno fino a un certo punto, un errore grossolano quello compiuto da Andrea Agnelli, in questo nipotino ideale di Antonio Giraudo. Esattamente come sbagliò Massimo Moratti nel volere dare una connotazione di superiorità morale allo scudetto 2006, quello che lui considerava un risarcimento del complotto subito. Ricordo ancora Materazzi in smoking bianco, poi è arrivata la prescrizione per illecito. Su quel titolo – d’onestà per gli uni, di cartone per gli altri – si è spezzato il calcio italiano. E oggi si corre lo stesso rischio su questa guerra delle tre stelle. Ognuno si forma una propria verità personale e ne esiste persino una storica più ampia, che impegna la ricerca negli anni e nei decenni. Voglio dire che ogni juventino è libero – forse anche con fondati motivi – di ritenere gli scudetti vinti 30 e non 28. La Juve del biennio di Capello avrebbe vinto anche senza le telefonate di Moggi, colpito a sua volta dalla paranoia di una congiura milanese. Però rimane una verità istituzionale, riconosciuta, che nel nostro caso passa dalla Federcalcio e si riassume in un albo d’oro valido per tutti. Anch’io ritengo che il Bologna abbia moralmente otto scudetti e non sette, perché nel 1927 Arpinati (bolognese, per dire dei tempi cambiati) non fece quanto fatto da Guido Rossi nel 2006. Però mi devo piegare all’albo ufficiale e quando conteggio i titoli rossoblù, ne riporto sette. Lo abbiamo fatto anche nel poster della Juve Campione d’Italia, fissando i 28 ufficiali e non i 30 della propaganda. Apriti cielo. Oltraggio al popolo bianconero. Anzi, per diretta conseguenza, servi noi tutti di dentimarci Moratti. Così va l’Italia nel 2012. In cui la pubblicità è pronta a sostenere la tesi del 30 pur di accontentare i tanti clienti bianconeri. Chi se ne frega se pure questo sgretola l’unità? Non ho voluto accodarvi il Guerin Sportivo. Nelle nostre pagine, si discute di storia più che in qualunque altra testata. Ma in maniera seria, profonda. Abbiamo sollevato noi, e non altri, il discorso relativo agli scudetti della Juve 1908 e 1909, chiedendo alla Federcalcio una risposta in merito. Ma finché questa non avverrà, nessuno potrà mai arrogarsi il diritto di autoproclamare il proprio numero di titoli. Altrimenti salta il tavolo, svanisce un piano condiviso, un codice comune. E si va ognuno per la propria strada, senza più grammatica che ci faccia riconoscere gli uni con gli altri, producendo la violenza verbale di siti internet trasformati in latrine di odio. Per questo, e lo ripeto, Andrea Agnelli ha sbagliato a fare il capopopolo, a cercare il consenso con la facile demagogia. Ho preferito le parole di Antonio Conte: «Per me è lo scudetto numero 1 come allenatore». Se un principio non sta più bene, si esce da quel mondo, si va altrove. Chi non accetta un sistema, ancorché ingiusto e fallace, lo abbandona. Lo ha fatto la stessa Juve all’indomani della condanna di Luciano Moggi, scaricandolo alle sue responsabilità. Non possiamo francamente assistere a un club che si appone 30 scudetti sulla maglia, magari con un espediente di marketing grafico, e che fa parte di una Federazione che gliene attribuisce 28. È incoerente. Di più: è schizofrenia. Le tre stelle lasciamole ai tifosi, i tesserati hanno altri obblighi. In tutto questo ho tenuto in fondo la Federcalcio, la sempre più accerchiata Federcalcio. Da anni assiste in beata solitudine alla protervia dei grandi club, disquisendo come i savi dottori di Bisanzio sulla liceità degli atti. A volte spiace che Abete sia una persona troppo perbene.
  10. Fifa alarmed at widespread 'abuse' of painkillers By MATT McGRATH, Science reporter (BBC World Service 05-06-12 Last updated at 01:24 GMT) Fifa's chief medical officer has said the "abuse" of painkillers is putting the careers and long-term health of international footballers in jeopardy. Dr Jiri Dvorak found that almost 40% of players at the 2010 World Cup were taking pain medication prior to every game. Ahead of Euro 2012, Dr Dvorak has urged football to wake up to the problem. He told the BBC that younger players are imitating the seniors and taking painkillers far too frequently. Fifa's medical team asked team doctors to provide a list of medications that players were taking ahead of each game in the 2010 World Cup. Previous surveys at international tournaments established that many players were using large numbers of pain killing and non steroidal anti inflammatory drugs (nsaids). But the results from South Africa 2010, published recently in the British Journal of Sports Medicine, show higher levels of use than ever before. Thirty-nine percent of all players took a painkilling agent before every game. There were huge differences between countries with some teams doling out over three medications per player per game. Teams from North and South America had the highest reported use of medications per match and per player. "I think we can use the word abuse - because the dimension is just too much, " Dr Dvorak told the BBC. "Unfortunately, there is the trend to increase the intake of medication. It is something that we have to really take seriously and ask what is behind it?" Experts say that painkilling medication can be particularly dangerous in professional sport. In high-intensity exercise like football, a player's kidneys are continuously working hard, making them more vulnerable to damage from strong drugs. Dr Dvorak believes that a major factor in the growing use of painkillers in football is the pressure on team doctors to get injured players back on the pitch quickly. "The team doctors, most of them they are under pressure between the diagnosis and the appropriate treatment between the pressure to bring the player on the pitch, if they take them too long out they might be out of a job. " Former German international player Jens Nowotny knows from his own experience that there is pressure on everyone. "It's hard when someone from the club comes and says it's important that you play and the team and the club needs you - it's your decision but the pressure from people around - you can't ignore it. "And the doctors are under pressure too." Other scientists agree that the Fifa research is concern. Dr Hans Geyer, deputy director of the Wada (World Anti-Doping Agency) accredited anti-doping laboratory in Cologne, said: "This is an alarming signal. We have co-operated with Fifa also in this field and we can confirm their data." "What we have seen from the Fifa studies is that often athletes take the pain killers as a preventive. They take them to prevent a pain which may occur, to be totally insensitive. "The problem is, if you switch off alarm systems that protect your tissues, you can have irreversible destruction of tissue." Jens Nowotny says players want to play more than anything. To be out injured means someone else is playing and you may not get your place back. In his view, footballers are willing to do what ever it takes to stay on the pitch. "It's part of the job - maybe it would be better to take no pain killers, to not ignore the body' s signal to stop, but it is part of the job and we earn a lot of money - it's part of the business." Other forms of football are also coming to terms with the use of painkilling medications. In the United States, 12 former NFL players are now suing the league over the use of the powerful anti-inflammatory drug Toradol. They argue that the medication masked the pain of head injuries and led them to play on and suffer concussions as result. The players say that sometimes they were lined up in what they termed a 'cattle call' and injected with the drug whether they were injured or not. Dr Tanya Hagen is from the University of Pittsburgh medical centre. She works with many teams in different sports and has acted as a consultant to the Pittsburgh Steelers in the NFL for 10 years. She says that the easy availability of powerful pain medications contributes to the problem of abuse. "Even though the use of painkillers is a hot issue for me, I guarantee that many of the athletes I work with are taking nsaids without my knowledge or I'm not even asking them about it. "Sometimes we don't even see the athletes unless they think it's a severe enough injury to come see the doctor." And the risks of using nsaids are not just confined to the kidneys and liver. There are also worries over their impact on hearts. Dr Stuart Warden from the University of Indiana is an expert in the use of these drugs by athletes. "There is an elevated risk of cardio vascular side-effects with almost all nsaids and the risk increases with duration of use. It is best to limit nsaid use to when it is indicated - such as the treatment of acute pain and inflammation. However, cardio vascular side effect risk does depend on the presence of other risk factors and the type nsaid being taken. " As well as concerns about senior players using pain medications at tournaments like the upcoming Euro 2012, Dr Dvorak is increasingly worried about younger players. "Football has to wake up because the youngsters are mimicking the older ones. We have nsaid abuse in the under-17 age competitions by something like 16-19% of players. This for me is even more alarming." "We have to change the attitude. It is a cultural phenomenon because the medications are so easily accessible." ------- Is pain medication in sport a form of legal doping? By MATT McGRATH, Science reporter (BBC World Service 05-06-12 Last updated at 00:32 GMT) The deputy director of the World Anti Doping Laboratory in Cologne says that painkillers fulfil all the requirements of a doping substance. Dr Hans Geyer has been evaluating doping control forms and urine samples for a decade looking for evidence of pain medication. He found that athletes in many fields are taking large quantities of these drugs both in and out of competition. He says that controlling these drugs in sport is impossible. Dr Geyer says that as well as the analytical data he has been told directly by players that abuse of medications is widespread. "In a world championship in handball I have an original citation from one of the best players who said 50% of the team that won the championship took diclofenac - therefore we have to ask what is going wrong? Is the training too hard? Can a normal person not do these sports without painkillers? This is very alarming. "It's well known that Andreas Erm who won a bronze medal in the 50km walk in the 2003 world athletic championship in Paris received pain killers several times during the walk - can you tell me this is not performance enhancing? "His body was not able to walk 50km on this day in such a speed but he won the bronze medal because he was treated with pain killing medications!" Doping grey zone Dr Geyer says that competitors like Erm were not doing anything wrong. There is obviously a need to treat competitors in an event if they are in pain. But out of competition he is worried that about the use of medicines. Athletes may be able to improve their training performance because they don't need such a long recovery time after a hard session. "It is a grey zone. In my opinion pain killers fulfil all requirements of a doping substance because normally pain is a protection mechanism of the body and with pain killers you switch of this protection system, like if you switch off fatigue, which is also a protection mechanism of the body. "Painkillers really enhance performance but they have negative effects on body tissues, maybe irreversible effects." But while pain killing medications may have performance enhancing effects, Dr Geyer believes it will not be possible to limit their use in sport. "I think the control of these substances is impossible, as they are easily available in society. Therefore it is not possible to treat the use of painkillers in the same way as other doping substances. " Who is responsible? There are issues relating to the supply of these medications as many of the most powerful pain killing drugs are available only on prescription. Dr Geyer argues that the medical community often has no choice but to give in to the demands of high profile athletes. "Doctors know that there may be problems with tissues and bones and the knees and they also know that if they allow the athlete to continue his training and competing with pain killing medications there will most probably be irreversible or long-term effects. "This should be discussed. There a question of ethical responsibility and the motivation of sports medicine. "But you know if an athlete doesn't receive the medication from one doctor he goes to the next and if he is a famous athlete he will receive everything. This is also a question that should be discussed."
  11. L’uomo della ricevitoria: “Buffon? Gli assegni provano la buona fede” Parma, giocate e vincite record: “Puntiamo su sport minori” di NICCOLÒ ZANCAN (LA STAMPA 06-06-2012) Arriva trafelato da Parma, via Milano-New York, dov’era in vacanza con la famiglia: «C’era mia figlia piccola, quando mi hanno detto della perquisizione... Si immagini che situazione. Ero lontano e non riuscivo a capire. È stato tremendo. Davvero. Non sono abituato a cose del genere». Arriva sotto lo studio del suo avvocato con in mano l’avviso di garanzia appena notificato dalla Guardia di finanza di Torino. L’ipotesi di reato è frode sportiva. Massimo Alfieri è il titolare della ricevitoria di Parma dove si concentra questo sospetto. Scommesse facili su partite combinate. «Non esiste - dice Alfieri - in queste pagine si parla di calcio, ma il calcio rappresenta poco più del 5% del nostro giro d’affari. La nostra ricevitoria ha un flusso di scommesse importante, ma ci dedichiamo soprattutto agli sport minori...». Gli investigatori arrivano ad Alfieri seguendo 14 assegni del portiere della Juve Gianluigi Buffon, che non è indagato e neppure citato nel decreto di perquisizione. Scoprono la ricevitoria di Parma. Controllano i versamenti a Lottomatica, chiedono lumi alla banca su cui si appoggia il conto della tabaccheria. Girano molti soldi. Cifre notevoli giocate anche nello spazio di due giorni. E una clamorosa percentuale di vincita, sempre intorno all’83% negli ultimi tre anni. Ed è su questo presupposto, su questa fortunata «anomalia», che sono andati a perquisire negozio e abitazione di Massimo Alfieri: «Posso spiegare qualunque movimento. Sono tranquillo. Quanto a Gigi Buffon, è un’altra cosa che non esiste e mi amareggia. Siamo amici. Mi sono occupato di alcuni acquisti per lui. E proprio il fatto che mi abbia girato degli assegni dimostra l’assoluta buona fede dell’operazione. Tutto a prova di fraintendimenti». Alfieri va a parlare con il suo avvocato di fiducia, il professor Gilberto Lozzi. Passano la mattinata insieme a discutere ogni dettaglio, poi riparte per Parma. L’avvocato Lozzi: «Finora non abbiamo ricevuto convocazioni da parte della Procura, siamo in attesa. La ricevitoria movimenta importi rilevanti. Ma pochi soldi, percentualmente, sul calcio». Il punto però, per gli investigatori del nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza, è il doppio flusso: entrata e uscita. Cifre quasi da record raccolte per le scommesse. Cifre senza uguali incassate dalle vincite. Qui si gioca il mistero di questa storia. ------- Processo sportivo, nel mirino Udinese-Bari del 2010 Al via la fase 2: convocati Pepe e Stellini, poi toccherà a Conte di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 06-06-2012) Chiuso il dibattimento, da venerdì la camera di consiglio della Commissione Disciplinare esaminerà le posizioni degli imputati nel primo procedimento sportivo sulle scommesse. I verdetti sono attesi all’inizio della prossima settimana quando saranno in pieno svolgimento gli interrogatori che porteranno ai deferimenti per il secondo processo sulle partite truccate. La procura della Figc convocherà tutti i tesserati, o ex, al centro del filone d’inchiesta di Bari. Le audizioni cominceranno domani per finire il 14 giugno: nel mirino del pool di Palazzi 8 partite del Bari del campionato 2010/11. Fra i convocati, lo juventino ed ex friulano Pepe per Udinese-Bari del 9 maggio 2010 e Stellini. Dopo la metà di giugno, la procura si dedicherà agli atti di Cremona non entrati nel primo processo e quindi alle audizioni, fra gli altri, del presidente del Siena Mezzaroma e di Antonio Conte. «Sono tranquillo, tutto si risolverà», dice il tecnico bianconero da Ibiza. «C’è grande sintonia con il lavoro della procura di Cremona», così l’avvocato Antonio De Renzis, legale di Conte, dopo l’incontro, ieri, con il pm DiMartino. Per Conte non è in vista alcun interrogatorio da parte dei magistrati lombardi: la Juve ne affiancherà la difesa con l’avvocato Luigi Chiappero.
  12. SCOMMESSOPOLI LA PAROLA ALLA DIFESA «Si risolverà tutto» Conte si rilassa a Ibiza con la famiglia: «Sono sereno» Intercettato da “Chi” l’allenatore ribadisce il suo ottimismo. Ieri i suoi legali hanno incontrato a Cremona il procuratore Di Martino. «C’è grande sintonia con il lavoro che sta svolgendo» di MARCO BO & GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 06-06-2012) TORINO. Prove tecniche di avvicinamento, chiamiamole così. Sono passati sette giorni dalla conferenza stampa di Vinovo, al fianco di Andrea Agnelli , in cui Antonio Conte gridava al mondo, commosso, la rabbia provata nel vedersi sbattere in prima pagina come mostro per «situazioni che non mi riguardano essendo estraneo ai fatti». E il fatto, secondo l’ex calciatore senese Filippo Carobbio , sarebbe stato una riunione tecnica con la squadra, prima di Novara-Siena, in cui l’allenatore avrebbe rassicurato sul fatto che la partita sarebbe finita in parità per volontà dei due club. Ieri, una settimana dopo, i legali del tecnico campione d’Italia, gli avvocati Luigi Chiappero , torinese e Antonio De Renzis , bolognese, si sono mossi in direzione di Cremona per incontrare il procuratore che conduce le indagini di Scommessopoli, il dottor Roberto Di Martino . «Un incontro che rientra nei rapporti normali tra le parti quando c’è un’indagine in corso - spiega l’avvocato emiliano -. Del resto il procuratore ha dimostrato gentilezza e sensibilità per come sta lavorando su una situazione articolata che richiede grande impegno. C’è un grande rispetto per il lavoro della Procura e una grande sintonia». Sulle tempistiche che potrebbero riguardare un’eventuale chiamata di Conte per illustrare la propria posizione non si sente di fare previsioni. «Al momento posso dire che insieme al collega Chiappero lavoreremo con grande determinazione per dimostrare l’estraneità di Antonio Conte ai fatti contestati». FRONTE FIGC Dal punto di vista sportivo, i tempi potrebbero essere più brevi. Nei prossimi giorni verrà reso l’elenco delle audizioni per la nuova tranche della Scommessopoli che si celebra davanti alla Disciplinare della Figc. In quella lista potrebbe esserci anche Antonio Conte che, in teoria, potrebbe essere sentito da Palazzi nel corso delle prossime due/tre settimane. Poi, qualora arrivasse anche il deferimento, dovrebbe affrontare il processo sportivo che, anche in questo caso nulla è ancora ufficiale, si dovrebbe celebrare nella prima metà di luglio. Al momento, tuttavia, non c’è neppure il deferimento. E tutti i giocatori del Siena finora sentiti hanno smentito la circostanza raccontata da Carobbio e riguardante la famigerata riunione tecnica nella quale il tecnico avrebbe annunciato la combine con il Novara. QUI IBIZA Lo stesso tecnico, che ha scelto Ibiza per rilassarsi e provare a staccare la spina, anche se internet è un diavolo maledetto come il cellulare, che se vuoi ti rincorre pure in capo al mondo, è stato intercettato dal settimanale “ Chi ”. E il rotocalco rosa propone questa sua dichiarazione sotto il sole: “Sono tranquillo, tutto si risolverà. Abbiamo scelto questa meta per rilassarci”, riferendosi alla moglie Elisabetta e la figlia Vittoria. E a proposito di vittoria è ovvio che il popolo Juve aspetti la sua, in tribunale, qualora dovesse passare da indagato a imputato. LA MOGLIE DI CAROBBIO A proposito di Carobbio, ieri su un altro settimanale, stavolta si tratta di “ Oggi ”, è stata pubblicata una intervista alla moglie dell’ex calciatore del Siena in cui prende le difese del marito in questo modo: «Antonio Conte era il mito di Filippo – spiega la signora Elena Ghilardi -. Mio marito mi ha sempre parlato benissimo di lui… Adesso passa per essere il grande accusatore di Conte e la rovina del calcio, ma lui ha solo descritto un sistema. In un interrogatorio di tre mesi fa, si è vuotato la coscienza, ha parlato per ore e ha detto, per fare un esempio, che anche Conte sapeva di una partita aggiustata. Filippo ha sbagliato, non voglio difenderlo a tutti i costi, ma so che ha fatto, almeno ora, la scelta giusta: collaborare. E invece passa per un ‘infame’. Io sono orgogliosa di lui. So che non sono credibile, con quel che è successo, però Filippo è sempre stato semplice, fin troppo umile, attaccato alle cose vere della vita. Le sue cavolate, non le ha fatte per soldi ma per ingenuità, perché è stato influenzato da gente con la personalità più forte. Avete presente quando sei in branco, e hai la spalla che ti tenta e allora dici: ‘Ma sì dai, faccio questa ca....ta’. Se lo mandano al fresco scendo in piazza, faccio lo sciopero della fame. Ma credo nella giustizia. Carobbio non è la pecora nera del calcio, perché il calcio è fatto di pecore nere». ------- «Buffon non scommette sulle partite di calcio» Marco Valerio Corini, legale del portiere: «Sconcertante ciò che è successo attorno alla sua persona. Si è innescato un processo mediatico che non corrisponde a uno reale» di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 06-06-2012) TORINO. L’avvocato Marco Valerio Corini , legale di fiducia di Gianluigi Buffon, in una situazione del genere non si è mai trovato. Se difendere i suoi assistiti è senza dubbio il suo mestiere, trovarsi a praticarlo al di fuori di un procedimento legale di qualsiasi tipo è una strana novità per lui. «Non esiste nessun procedimento a carico di Buffon, né sotto il profilo penale, né sotto quello sportivo», sospira: «Vale la pena ricordarlo, visto che dopo l’impatto mediatico avuto in questi giorni sembra che Gigi sia al centro di un processo. Anzi, stando alle ultime dichiarazioni delle varie procure la sua posizione non risulta di essere di alcun interesse per la magistratura». Effettivamente ha fatto molto rumore la storia del milione e mezzo di euro versato alla tabaccheria di Parma. «Si tratta di un’informativa che si riferisce al 2010 e che gli inquirenti di Cremona avevano ricevuto circa sei mesi fa dalla Procura di Torino. In questi sei mesi, né la Procura di Torino, né quella di Cremona hanno indagato Buffon. Al momento, quell’informativa è stata solo resa pubblica... Non c’è niente di illegale e se un magistrato fosse mai interessato a conoscere i dettagli di quei movimenti, Gigi è pronto a spiegare». Quei soldi sono legati a delle scommesse? Buffon non ha mai fatto mistero di amare il gioco d’azzardo... «Buffon non è stupido e conosce molto bene i regolamenti, quindi non ha mai scommesso su partite di calcio. Nell’informativa c’è scritto: “Non è possibile escludere a priori che Buffon abbia posto in essere un’intensa attività finanziaria legata al mondo delle scommesse sportive”. E vale la pena sottolineare che la formula “non è possibile escludere a priori” si può applicare virtualmente a qualsiasi cosa. Tant’è che quell’informativa non ha avuto seguito». Buffon è tranquillo? «Gigi è sconcertato per quanto è successo. E molti dovrebbero interrogarsi. Non solo è stata calpestata la privacy, ma è stato innescato un processo mediatico che non corrisponde a un processo reale. Di solito c’è un avviso di garanzia, un’indagine e in seguito a quello si scatena il meccanismo dei media. Oggi mi trovo nella paradossale situazione di giornalisti che mi chiamano per sapere se è arrivato l’avviso o se è scattata un’indagine. E’ folle...» ___ A Torino cercano un'altra cricca Giocatori nel mirino Sospetti sulla ricevitoria di Parma, Buffon non è indagato. Può spuntare una centrale di scommesse in più di LUIGI PERNA (GaSport 06-06-2012) Viene da pensare che le scommesse siano un virus che si riproduce. Non fai in tempo a cercare il rimedio, come provano a fare i pubblici ministeri di Cremona, Bari e Napoli che indagano da un anno sul fenomeno, ed ecco che spuntano nuovi sospetti. Ora anche la Procura di Torino ha aperto ufficialmente un'inchiesta sul calcio scommesse. L'ipotesi dei pm è che potesse esistere un altro giro di personaggi, calciatori ma non solo, che puntavano sulle partite avendo informazioni certe sul risultato. Così si spiegherebbe la perquisizione di venerdì nella tabaccheria di Parma di cui è titolare Massimo Alfieri, finora l'unico iscritto al registro degli indagati con l'accusa di «frode sportiva». E i sospetti potrebbero essere legati al flusso intenso di denaro e all'ammontare altissimo delle somme vinte rispetto a quelle giocate nella ricevitoria (circa l'83%) negli ultimi 14 mesi. Un dato «anomalo». Spunto Si è partiti dagli assegni (14 bonifici tra 50 mila e 200 mila euro, per un totale di 1 milione e 585 mila euro) versati da Gigi Buffon ad Alfieri tra gennaio e settembre del 2010 (secondo la difesa «soldi a un amico per acquisti privati»), ma poi si è andati oltre. Tanto che il portiere della Juventus e della Nazionale non è indagato né citato nel verbale di perquisizione consegnato ad Alfieri, e alla fine potrebbe anche risultare estraneo alla vicenda. Di sicuro la Procura di Torino lavorava sotto traccia da tempo. Il controllo della Guardia di Finanza sui conti correnti del portiere azzurro sarebbe stato ordinato il 13 giugno 2011, a pochi giorni dallo scoppio dello scandalo scommesse di Cremona. Mentre la richiesta da parte del pm Cesare Parodi di trasmettere gli atti, in particolare l'intercettazione in cui l'ex allenatore dei portieri ravennate Nicola Santoni (coinvolto con Doni nelle presunte combine dell'Atalanta) cita Buffon dicendo «gioca anche lui... 100-200 mila euro al mese», è datata 29 dicembre 2011. Fase calda Nel frattempo le indagini a Torino sono continuate. Non è escluso che vi siano state anche intercettazioni. La perquisizione di venerdì (anche in casa di Alfieri) sarebbe legata alla necessità di «blindare» la situazione. Sequestrando scontrini, ricevute di pagamento, moduli anti-riciclaggio, che ora sono al vaglio della Finanza. Presto sapremo se è stato scoperchiato un altro vaso di Pandora. E se c'era un'altra «centrale» per giocate come quelle scoperte da Cremona oppure no. Su Buffon bisognerà invece capire se abbia scommesso, anche avvalendosi di soggetti terzi, e che tipo di scommesse eventualmente abbia fatto: l'illecito sportivo scatta infatti solo per le puntate sul calcio. Avere usato assegni — «il modo più sicuro per farsi tracciare», ha detto l'avvocato difensore Marco Corini — è un punto a suo favore. Sbalordito Intanto Alfieri ieri era a Torino per formalizzare la nomina a difensore dell'avvocato Gilberto Lozzi, noto docente universitario. Per ora il pm non l'ha convocato per interrogarlo, aspetterà l'esito degli accertamenti sul materiale sequestrato. «Sono sbalordito», ha detto Alfieri al legale. «Ritiene di essere perfettamente in regola — spiega Lozzi —. Ha ricevuto delle scommesse sportive del tutto lecite. Tra l'altro quelle sul calcio erano solo il dieci per cento del totale». L'avvocato considera «discutibile» l'attribuzione della competenza territoriale a Torino ed è pronto a fare ricorso contro il decreto di perquisizione. Inoltre Alfieri gli avrebbe confermato di conoscere da tempo Buffon, spiegando che i Rolex acquistati dal portiere con una parte delle somme provenivano da una sua collezione privata.
  13. È finita un’epoca? Fondi tagliati: ma per Moratti e Berlusconi big più lontane Negli ultimi 5 anni 777 milioni versati dai soci di Inter e Milan: ora c'è lo stop Juve diversa, però occhio al deficit C’è la recessione e incombe il fair play ma sceicchi e russi continuano a spendere Bilanci in rosso e stipendi esagerati rispetto ai ricavi: le italiane sono in un circolo vizioso di MARCO IARIA (GaSport 06-06-2012) Il mecenatismo all'italiana è al crepuscolo, come se volesse adeguarsi allo spirito del tempo. Recessione, spread alle stelle, allora basta con le spese folli. E poi fair play finanziario, pareggio di bilancio da rincorrere, taglia di qua, guadagna di là. Altrove, però, la trottola dei soldi continua a girare impazzita. Gli sceicchi e gli oligarchi, adesso pure i cinesi. La domanda è: come faranno a resistere le nostre squadre nello scenario internazionale? Con una puntualizzazione doverosa: mentre Inter e Milan si sono votate all'austerity, la Juventus ha investito a più non posso per potenziare la rosa e rientrare nel giro. Tutte e tre le big, a ogni modo, fanno una fatica terribile a competere con gli Abramovich e i Mansour nelle aste dei top player: magari ti sveni per pagare uno stipendio da favola industriandoti per abbassare il costo del cartellino (Ibrahimovic), il gioco però non può funzionare sempre. Quel che più preoccupa è lo sguardo in prospettiva. Perché se il nostro calcio è già retrocesso da ristorante di lusso a pizzeria (copyright Galliani), cosa ne sarà una volta che Berlusconi e Moratti — come hanno annunciato — limiteranno le iniezioni di denaro nei rispettivi club? Coperta corta È un circolo vizioso quello che stiamo per raccontarvi. Parla di due società, Inter e Milan appunto, che sono state storicamente sostenute dagli azionisti di riferimento. Limitandoci agli ultimi cinque anni, i soci nerazzurri hanno effettuato versamenti in conto capitale (o ricapitalizzazioni) per 567,3 milioni; quelli rossoneri per 209,5. Nonostante ciò, nella giostra del mercato hanno dovuto fare di necessità virtù vendendo pezzi pregiati e puntando su qualche scommessa. Basta guardare il saldo acquisti-cessioni dal 2009-10 al 2011-12: +25 milioni Milan, +15 Inter, stesso livello del Manchester United (+24), impegnato a ripagare gli interessi del maxi-prestito con cui Glazer rilevò i Red Devils. Perché tutto questo? Semplice, nell'ultimo quinquennio i finanziamenti di Moratti e Berlusconi sono serviti per ripianare i buchi di bilancio (665,3 milioni in totale per l'Inter, 245,4 per il Milan), figli di un'epoca di vacche grasse fatta di diritti tv in espansione e conseguente impennata degli emolumenti. Ora che i ricavi dalle televisioni, per effetto della spartizione collettiva, si sono contratti e quelli da marketing (nonostante le apprezzabili performance rossonere) e stadio non sono decollati, restano sul groppone monte-stipendi non più tollerabili. Uno perché i magnati milanesi vogliono chiudere i rubinetti, due perché l'Uefa impone una gestione equilibrata, all'insegna dello slogan «spendi solo quanto incassi». Vento di crisi È vero che il rapporto tra costo del lavoro e fatturato di Inter (88%) e Milan (85%) viaggia sulla stessa lunghezza d'onda delle dissennate Chelsea (85%) e Manchester City (114%). La differenza è che Abramovich e Mansour non hanno alcuna intenzione di fermarsi, incuranti della crisi e del fair play finanziario. Moratti e Berlusconi, invece, devono fare i conti con le difficoltà delle rispettive aziende: il patrimonio borsistico della famiglia dell'ex premier si è dimezzato (da 3,5 miliardi del 2011 a 1,9 nel 2012) e Mediaset ha archiviato il primo trimestre con un calo dell'85% dei profitti; la Saras ha chiuso l'esercizio 2012 ancora in rosso e ha deciso di non distribuire dividendi, quegli stessi con cui Moratti foraggiava la squadra. Differenza Dopo Calciopoli, la Juventus ha seguito strategie diverse: non a caso figura tra le società che hanno sborsato di più sul mercato, con un saldo negativo di 139 milioni. Non sfugga però che il livello degli ingaggi è abbastanza basso e colloca la Juve al 10° posto europeo. Le perdite più contenute dei bianconeri (121,5 milioni dal 2007 al 2011) non hanno prosciugato il tesoretto messo su con i due aumenti di capitale (224,8 milioni), ma le recenti esclusioni dalla Champions sono state una mazzata per il bilancio. È vero che Exor gode di ottima salute e ha in dote fino a un miliardo da investire sulle sue attività, ma un'altra ricapitalizzazione per il club calcistico non sarebbe di certo accolta col sorriso tra i denti. ------- L’ALTRA FACCIA DELLA CRISI LA SPAGNA È IN GINOCCHIO E L’ECONOMISTA GAY DE LIÉBANA LANCIA L’ALLARME PER IL CALCIO «Ma col crac delle banche tremano Real e Barça» di MARCO IARIA (GaSport 06-06-2012) L'Italia piange ma anche la Spagna ha i suoi problemi. Real Madrid e Barcellona sono le società che fatturano di più al mondo, ormai vicine al mezzo miliardo annuo. Vantano asset invidiabili, veicolano marchi che fanno fortuna in ogni angolo della Terra, eppure temono ripercussioni per la crisi delle banche iberiche. A lanciare il grido d'allarme è l'economista Jose María Gay de Liébana, docente all'Universidad de Barcelona, che ogni anno fa i conti in tasca alla Liga denunciandone tutte le storture. I debiti del calcio spagnolo sono da tempo fuori controllo. Qual è la situazione attuale? «Se nel 2006-07 il debito della Primera División ammontava a 3,15 miliardi, ora è arrivato a 3,53. Il problema del debito è sempre uno: si deve pagare. E per farlo bisogna generare liquidità, produrre moneta sonante. La Liga non è in grado: a fronte di 2,15 miliardi di debiti a breve termine, gli attivi correnti per la loro copertura sono soltanto 1,1 miliardi». Le banche hanno concesso trattamenti di favore a Real e Barcellona. Quelle stesse banche che ora l'Unione europea si appresta a salvare dal fallimento. Potrebbero esserci conseguenze sui due club? «La situazione del sistema finanziario spagnolo è delicatissima. In queste condizioni, si fa dura per il Real Madrid e Barcellona. Una delle banche che più ha finanziato gli acquisti stellari del Real, Bankia-Caja Madrid, è oggi nazionalizzata: i crediti dei merengues sono garantiti dalle tasse della popolazione spagnola. Real e Barça dovranno stringere la cinghia in materia di trasferimenti. Il buon senso e la logica impongono la fine degli acquisti galattici». Ma due colossi così potranno mai perdere terreno in campo internazionale? «La loro forza deriva anche dal fatto che concentrano oltre la metà dei ricavi generati dalla Liga. Nel momento in cui il campionato spagnolo resta poco competitivo, le due hanno la strada spianata all'estero».
  14. il Fatto Quotidiano 06-06-2012 ___ E la Cassazione tira le orecchie al giudice Travaglio colpevole ma assolto per un cavillo di LUCA ROMANO (Libero 06-06-2012) È uno dei colpi di spugna più clamorosi che si siano mai registrati nei tribunali italiani. A concederlo è stato il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Giovanni De Donato, e a beneficiarne - manco a dirlo - Marco Travaglio e Antonio Padellaro, editorialista (nonché vicedirettore) e direttore de Il Fatto Quotidiano. Per entrambi il gup di Roma aveva stabilito il non luogo a procedere nella querela per diffamazione che era stata presentata dalla giornalista del Tg1, Grazia Graziadei e per associazione dall’allora suo direttore, Augusto Minzolini. È la motivazione del gup a fare di quella sostanziale assoluzione un caso del tutto speciale: perché il giudice aveva riconosciuto e perfino citato dei brani dell’articolo di Travaglio che riteneva «diffamatori» nei confronti della Graziadei. Ma non li ha rinviati a giudizio appellandosi a un cavillo: quegli stessi brani del breve articolo non erano stati citati nella richiesta di rinvio a giudizio scritta dal pm. Il caso era nato per un servizio del Tg1 che illustrava tutti i costi esorbitanti delle intercettazioni telefoniche effettuate dalle varie procure della Repubblica italiana. Cifre ufficiali- per altro appena ricordate dal nuovo governo di Mario Monti come vera emergenza nel documento sulla spending review- ma che non sono piaciute naturalmente a Travaglio. A commento di quel servizio è apparso infatti il giorno dopo un corsivo sul Fatto Quotidiano dal titolo «Tg1, la Minzolina di complemento », in cui si criticava il servizio e l’autrice con parole pungenti, definendo «truffaldine anche le cifre sulle spese per intercettare». Frase che secondo il gup di Roma era effettivamente diffamatoria: «risulta trascendere il diritto di cronaca e di critica giornalistica e il correlato parametro della cosiddetta continenza in quanto aggettivare come truffaldine informazioni riscontrabili come reali (…), appare una illegittima distorsione del diritto di cronaca e di critica e quindi appare integrare plausibilmente una ipotesi di diffamazione a mezzo stampa ai danni di Graziadei Grazia». Dunque il magistrato riconosceva che Travaglio aveva compiuto un reato, e in barba all’obbligatorietà dell’azione penale, lo assolveva perché proprio quella frase non era stata citata ad esempio nella richiesta del pm (che ovviamente allegava l’intero breve articolo citandone ad esempio altri passi). Un po’ troppo, davvero. Tanto che dopo alcuni mesi ci ha pensato la suprema Corte di Cassazione, a cui si era rivolto il legale dei giornalisti del Tg1, Fabio Viglione, a rimettere in carreggiata una vicenda così strampalata. La Cassazione ha tirato le orecchie al giudice così tenero con Travaglio: «effettivamente incorso in un errore di interpretazione del capo di imputazione », facendo notare che il pm aveva ritenuto diffamatorio l’intero articolo, citandone «fra l’altro» alcune frasi. Illegittimo quindi il non luogo a procedere nei confronti di Travaglio e Padellaro, tanto più che il gup stesso aveva individuato passaggi diffamatori dell’articolo. Risultato: il processo riprenderà dall’inizio davanti a un altro giudice. Cui sarà chiesto di essere imparziale anche di frontea un giornalista beniamino dei magistrati come Travaglio. Perché anche per lui vale il principio della «legge uguale per tutti».
  15. Utile un replay, a volte di SPORTIVAMENTEMAG 05-06-2012 Segnalazione opportuna, per noi che la tv la vediamo di rado: ci dicono che il tema Fermiamo il calcio corrotto è stato corposa parte della trasmissione L’aria che tira, in onda su La7. Siamo andati a rivederla e, a parte le vistose concessioni alla napoletanità (la Merlino è partenopea e in studio era presente un’infermiera tifosissima del Napoli, un po’ fuori contesto, anche se incarnava un tipo umano particolare), tutto è corso via speditamente in compagnia di Carlo Porceddu, vicepresidente della Corte di Giustizia della Federcalcio, Paolo Liguori, direttore di Tgcom (e tifoso romanista) e Roberto Bernabai, caposervizio sport a La7. L’invito è semplice: collegatevi al seguente indirizzo. Dopo un paio di pubblicità parte il servizio sui terremotati (da vedere) , poi c’è il calcio corrotto. Utile, un replay, a volte. Più utile di molte moviole e moviolone di biscardiana memoria.
  16. Il doping invisibile Gli atleti geneticamente modificati sono ancora solo un'ipotesi. E se invece i primi "esemplari" stessero già tirando calci agli Europei o allenandosi per le Olimpiadi? Mauro Giacca sta studiando come beccarli di DANIELA CIPOLLONE (WIRED | GIUGNO 2012) QUESTO MESE, TRA POLONIA E UCRAINA, si disputano gli Europei di calcio, e le Olimpiadi a Londra sono dietro l'angolo. Mentre la maggior parte degli italiani si abbandonerà a maratone non-stop sul divano, con il telecomando in una mano e la birra fresca nell'altra, Mauro Giacca sta in allerta. Ogni tiro in porta memorabile, ogni record che sposta un po' più in alto l'asticella del limite umano, oltre a dargli motivo di esultare, gli insinua sempre quel dubbio che, nelle competizioni sportive, il peggior scenario immaginabile possa essere già realtà. Doping genetico: questo lo spettro che s'aggira per i campi di pallone, le piste di atletica, i circuiti di ciclismo, le piscine e le palestre di tutto il mondo. È l'ultima frontiera del baro: manipolare direttamente il dna per potenziare le prestazioni fisiche, aumentare la resistenza, annullare la fatica. In tre parole: creare super atleti. Giacca è stato ingaggiato apposta per impedirlo. «Un giorno, mentre ero in laboratorio, ho ricevuto una telefonata», racconta il direttore dell'Icgeb (International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology), polo d'eccellenza per l'ingegneria genetica dell'Area Science Park di Trieste. «All'altro capo della cornetta ha risposto un funzionario della Wada, la World Anti-Doping Agency, l'organismo canadese che vigila sulle pratiche illecite nello sport». Da scienziato, nonché ex atleta («Quand'ero più giovane, giocavo nella serie B di pallavolo»), Giacca ha intuito subito il motivo della chiamata. Davanti a sé, i topolini-Hulk, geneticamente modificati, scorrazzavano instancabili nelle gabbie, mostrando una capacità di correre, nuotare, portare pesi, tre volte superiore rispetto alle cavie normali, visibilmente spompate dagli sforzi. «Da anni, presso il laboratorio di medicina molecolare dell'Icgeb studiamo la terapia genica nei modelli animali come possibile cura contro l'infarto. Abbiamo visto che, trasferendo specifiche sequenze di dna nelle cellule, si può stimolare la produzione di sostanze capaci di rafforzare clamorosamente il muscolo cardiaco», spiega Giacca. Le applicazioni terapeutiche sono ancora lontane e non mancano rischi di effetti collaterali, anche gravi. Ma è evidente che la stessa tecnica, se usata impropriamente, potrebbe migliorare l'efficienza di qualunque muscolo del corpo. «La Wada è preoccupata», ammette Giacca. «Per questo ci ha chiesto di sviluppare test innovativi per smascherare chi, nel prossimo futuro, tentasse il ricorso al doping genetico». Il progetto, capitanato dall'Icgeb in collaborazione con le università di Milano, Firenze e il Cnr di Pisa, è stato avviato nel 2008, con un primo finanziamento triennale da 420 mila dollari, seguito da un altro di 500 mila dollari, da qui al 2015. Ma la strada è lunga. E una cosa è certa: se ai prossimi campionati europei scenderà in campo un calciatore geneticamente modificato, magari grazie alla connivenza di qualche medico spregiudicato dei paesi dell'Est (difficile non ricordare il "doping di stato" dei paesi dell'ex blocco sovietico), non lo sapremo mai. Perché un test adeguato ancora non esiste e quel giocatore avrebbe la garanzia di farla franca. «Non credo che il doping genetico sia già entrato negli ambienti sportivi, è una tecnica sofisticata», dice l'esperto. Non si tratta di ingoiare una pillola o farsi un'emotrasfusione (quella, per capirci, che ha bruciato la carriera del ciclista Riccardo Riccò, recentemente squalificato per 12 anni): «Si sfruttano virus innocui, detti virus adeno-associati (Aav ), che vengono privati del loro materiale genetico ed equipaggiati con il gene da trasferire. Dopo di che si somministra il preparato con iniezioni intramuscolari. Una volta in circolo, i virus fanno semplicemente il loro mestiere: infettano le cellule, innestando nel nucleo la copia extra del gene e costringendole a eseguire gli ordini». SI CONOSCONO CIRCA 200 GENI che potrebbero migliorare il rendimento atletico. Uno dei più efficaci è l'Igf-1: stimola il rilascio di un ormone (un fattore di crescita simile all'insulina) che fa lievitare la massa magra. Senza nemmeno bisogno di massacranti allenamenti. È quello che impiega Giacca sui topolini infartuati, ovviamente con tutt'altri fini. Alla fine degli anni '90, il primo laboratorio al mondo che ha osservato questo effetto sui topi mutanti, mentre conduceva esperimenti contro la distrofia muscolare, è stato subissato di telefonate da parte di atleti (tutti sani come pesci) che supplicavano di fare da cavie. Un allenatore del college è arrivato a offrire in dote la sua intera squadra di calcio. «Cercavano di persuaderci in tutti i modi, dicendo che avrebbero contribuito all'avanzamento della ricerca scientifica e che sarebbero stati disposti a pagare qualunque somma», ha rivelato Lee Sweeney, professore di fisiologia dell'università della Pennsylvania, a Philadelphia. UN RISULTATO SIMILE ALL'IGF-1 si può ottenere spegnendo il gene della miostatina, proteina il cui compito fisiologico è frenare la proliferazione delle cellule muscolari. «Se si inibisce la miostatina, le fibre crescono a dismisura», spiega Giacca. È successo a un bambino in Germania, figlio di una centometrista. Un piccolo Ercole, con il doppio dei muscoli rispetto ai suoi coetanei. Solo che lui c'è nato, con questa anomalia congenita, non se l'è mica andata a cercare. A cinque anni sollevava tre chili con ciascuna delle due braccia tese. Probabilmente è il baby-culturista più invidiato della storia del doping (per quanto ci sia ben poco da invidiare: secondo i medici il suo cuore, crescendo, potrebbe collassare). Un'altra strategia per imbrogliare è stimolare la produzione dei globuli rossi, le cellule del sangue che trasportano ossigeno ai tessuti: più carburante arriva ai muscoli, più la resistenza aumenta. Oggi si ricorre all'eritropoietina (Epo). Domani basterà iniettare il gene dell'Epo. «La differenza è che nel primo caso la sostanza sintetica è rilevabile attraverso gli esami del sangue o delle urine, mentre nel secondo no: l'eritropoietina, o qualunque altro composto dopante, sarebbe prodotto dall'organismo stesso e quindi indistinguibile dalla controparte naturale», prosegue Giacca. ECCO COME FUNZIONA IL TRUCCO: anziché prendere un farmaco, si modifica il codice genetico perché il corpo possa produrlo da sé. E il gioco, sporco, è fatto. Il doping c'è, ma non si vede. «Solo una biopsia muscolare potrebbe rilevare l'eventuale alterazione del dna. Ma è impensabile sottoporre gli atleti a un esame così invasivo per controlli di routine». L'Agenzia mondiale antidoping sta facendo il possibile per cogliere in flagrante i truffatori. Intanto, già dal 2003 ha inserito ufficialmente il doping genetico nella lista nera delle sostanze proibite, in compagnia di anabolizzanti, amfetamine, ormoni, stimolanti, trasfusioni (per avere l'elenco sotto mano c'è persino un'app). E sono in corso decine di progetti che danno la caccia al doping genetico: frammenti di virus, porzioni di proteine, micro sequenze di dna o rna, qualsiasi cosa possa segnalare la manipolazione genetica. Purtroppo è peggio che cercare un ago in un pagliaio. «Recentemente, in uno studio pubblicato su Human Gene Therapy abbiamo dimostrato che, inserendo una copia extra di Igf-1 nei topi, s'induce una produzione di proteine muscolari dieci volte superiore alla norma», riferisce Giacca. «È possibile che il fisiologico sfibramento dei tessuti, che avviene durante l'esercizio fisico, possa rilasciare nel sangue tracce di questi cambiamenti». LA LOTTA AL DOPING SI FA DURA, ma la scienza non intende alzare bandiera bianca. Tanto per cominciare, alle prossime Olimpiadi di Londra si farà ricorso al passaporto biologico, la profilazione sanguigna degli atleti, aggiornata nel tempo per controllare eventuali cambiamenti, come un aumento dei globuli rossi. Nel frattempo, si stanno studiando le espressioni di tutti i 25 mila geni umani. «Prima o poi, verranno messi a punto test efficaci contro il doping genetico », insiste Giacca. E a quel punto, gli atleti fraudolenti potrebbero ritrovarsi con un marchio incancellabile e identificabile scritto sul corpo. Al momento, nessuno sa davvero se qualcuno abbia mai osato tanto. «Mi auguro di no, potrebbero insorgere danni al sistema cardiovascolare e tumori», mette in guardia Giacca. Eppure, guadagnare una marcia in più per vincere può sembrare una prospettiva troppo accattivante, che porta in secondo piano anche i rischi per la salute. È sempre stato così per circa il due per cento degli atleti positivi che, puntualmente, risultano positivi ai controlli antidoping, pur sapendo di poter essere beccati. Figurarsi se non si corre neppure questo pericolo. Insomma, che il doping genetico al momento sia l'oggetto del desiderio nel mondo dello sport (quello marcio, se non altro) ci sono pochi dubbi. Basta sfogliare una qualunque rivista di bodybuilding, o semplicemente navigare su internet, per trovare pubblicità di prodotti che promettono "di alterare i geni dei muscoli". Quasi sicuramente si tratta di prodotti farlocchi, ma nel 2006 un allenatore di atletica tedesco, Thomas Springstein, è stato beccato sul serio mentre cercava di procurarsi sul mercato nero il Repoxygen, una terapia genetica sperimentale per la cura dell'anemia (poi abbandonata dalla casa farmaceutica) che utilizzava un virus per indurre le cellule a produrre l'Epo. Due anni dopo, alle Olimpiadi di Pechino, un servizio della tv tedesca ha documentato che centri medici cinesi offrivano terapia genica a base di cellule staminali. Quest'anno i tempi potrebbero essere maturi. C'è un altro risvolto inquietante della faccenda. «Doping o no, è ormai chiaro», osserva Giacca, «che il profilo genetico sia una componente cruciale nel successo di un atleta, più importante anche dell'allenamento, del sacrificio, della dedizione». In un futuro non lontano, potremmo assistere alla selezione delle migliori promesse dello sport, sin dai bambini, con un banale test del dna. E dire che uno voleva solo starsene in pace davanti alla tv e godersi gli europei di calcio...
  17. Il pallone di Luciano Azzurri ai minimi, scandali al top: eppure nessuno molla la poltrona di LUCIANO MOGGI (Libero 05-06-2012) Tanto tuonò che piovve. La situazione del calcio è caotica, da ogni parte si odono squilli di tromba, è addirittura un susseguirsi di squilli, trombe e tanti, troppi tromboni. Peggio di così il calcio italiano non poteva ridursi e non c’è sfaccettatura che ne esca indenne. Una torre di Babele, ognuno esce fuori dal suo binario ed accentua la confusione. Che ci fa Prandelli a ipotizzare uno scenario di ritiro dall’Europeo invadendo un campo che non gli appartiene? E Buffon? Parla di tutto fuorchè di calcio (di motivi ne aveva, ma erano motivi che su indirizzi e metodi di indagine dovevano balzargli agli occhi già sei anni fa...).Forse starà meditando che era meglio stare zitto, vista la risposta ad orologeria subìta... Torre di Babele dove chi dovrebbe fare chiarezza si nasconde dietro le cortine dell’ovvio, preso com’è a difendere la propria poltrona. Un comandante dovrebbe sapere quando è il momento di passare la mano, ma da questo orecchio Abete non ci sente. Per lui «addà passà ‘a nuttata», dubito però che gli basti: la Nazionale è al minimo della considerazione. Chi pensa ad un’operazione salvifica, come quella del 2006, in ragione di una concomitanza di eventi esterni (peraltro assai diversi), sbaglia di molto. Quella che trionfò ai Mondiali era una Nazionale forte, basata su una Juve vincente, questa è una piccola Italia. Non si arriva per caso a vincere, ed ancor meno per caso si scivola sul fondo nella scala dei valori. Del resto questo è il risultato di una gestione che ha seminato incapacità ed errori con una ripetitività impressionante: c’era Abete nell’eliminazione dell’Italia nei quarti dell’Europeo ’08, c’era nel fallimento ai Mondiali 2010 e della Confederations Cup che li aveva preceduti, c’era pure nella mancata qualificazione dell’Under 21 che ora ci toglie il palcoscenico delle Olimpiadi, c’era Abete anche nella bocciatura della candidatura italiana all’Europeo. E c’è Abete anche nella conversione di Palazzi da Mr. Hyde a Dr. Jekill (risibili pene a fronte di prove e confessioni nella Scommessopoli di oggi). Un colpo di spugna? Molto di peggio: è la legalizzazione delle scommesse, pochi mesi per cavarsela, poi di nuovo in campo. La disponibilità a collaborare e a patteggiare si confonde con la licenza di scommettere e truccare, perché qui si tratta di gare truccate a danno anche di terzi. Il confronto con il 2006 è devastante: allora l’ergastolo a fronte di chiacchiere, di reati inesistenti e anche inventati, così stabilito non solo dalla Corte Federale di Sandulli, ma anche dal giudizio penale di primo grado; ora qualche punticino di penalizzazione e qualche mese da scontare. Uno scandalo nello scandalo: Palazzi e Abete dovrebbero spiegarci perché. Sicuramente il nostro presidente non dormirà sonni tranquilli, non può riuscirci chi ha voluto comminare l’ergastolo sportivo senza che nessuna accusa sia mai stata provata, ma anzi addirittura esclusa, mentre si accinge ora ad avallare questa conversione ad «U» dei tribunali sportivi. Molto più che due pesi e due misure, peraltro già utilizzato da Abete a proposito di radiazioni, cancellata anche a chi aveva il capo di accusa di una valigetta piena di soldi. Già, i soldi, è la materia che nel 2006 non c’era e che adesso è connaturata al calcioscommesse. Strano che Petrucci stia zitto, forse è frenato dall’Europeo (ci sono anche le Olimpiadi) o dal mandato in scadenza. Il capo dello sport italiano dovrebbe sentirsi in dovere di intervenire, anche per non restare invischiato nella colata di fango caduta sul calcio. Se si è arrivati a questo punto, è perché c’è chi si è adagiato, combattendo a 5 anni di distanza ancora «la battaglia» (?) di Calciopoli, così non accorgendosi che tutto il resto crollava. Se n’è accorto anche Mennea, «servono facce nuove», dice, «ci sono dirigenti che sono lì da 30/40 anni». A Moratti, che in certe fantasiose elucubrazioni pro domo sua sosteneva che Calciopoli era stata più grave, ricordo quel che ha detto Luca Pancalli, già commissario della Figc e attuale vicepresidente del Coni: «Rispetto a Calciopoli è uno scandalo molto più grande, è il malessere di un intero sistema, bisogna intervenire in maniera forte». E quale se non un commissariamento, oltre a pene adeguate? Il procuratore aggiunto antimafia Antonio Ingroia ha liberato i veli della sua fede calcistica, sentenziando di un’Inter «campione di legalità». Trascuro la professione di tifoso, già molto inopportuna, ma chiedo al magistrato se ha mai saputo dei documenti taroccati di Recoba e della relazione di Palazzi con la conclusione di un’Inter colpevole di illecito sportivo e quindi di possibile retrocessione, pratica non andata avanti per prescrizione. Ingroia, bravissimo nel suo campo, non vada oltre per non incorrere in falle.
  18. Parma, lo strano caso della ricevitoria “fortunata” Troppe vincite, i pm di Torino ipotizzano la frode sportiva di NICCOLO’ ZANCAN (LA STAMPA 05-06-2012) Una ricevitoria particolarmente fortunata, quella gestita a Parma da Massimo Alfieri. La percentuale di vincita, negli ultimi quattordici mesi, si attesta attorno all’83 per cento. Fare il calcolo è semplice: tutti i soldi scommessi meno tutti i soldi incassati. Poche ricevitorie italiane hanno risultati così lusinghieri. Ed è proprio questa «anomalia» il vero succo dell’indagine, rimasta segreta fino alla scorsa settimana, coordinata dalla procura di Torino. Parte da 14 assegni firmati da Gianluigi Buffon e scopre Alfieri. Si appassiona. Studia i suoi successi professionali. Segue i soldi. Controlla i movimenti in entrata e in uscita. E infine, arriva a ipotizzare il reato di frode sportiva. Lo stesso giro di sempre, per intenderci. Quello che richiama alla mente la ricevitoria di Massimo Erodiani a Pescara, uno dei protagonisti della prima fase di «scommessopoli». Per la Guardia di Finanza anche a Parma, in via Garibaldi, potrebbe esserci una specie di collettore di denaro per giocate sporche. E già si intravedono, oltre al muro alzato dagli investigatori, i nomi di alcuni clienti affezionati. Anche calciatori, parrebbe. Insomma, l’ennesimo bubbone. Massimo Alfieri è indagato, Gianluigi Buffon non lo era e non lo è. E forse davvero non c’entra, se non assai marginalmente, in tutta questa vicenda. Perché i suoi assegni fanno riferimento a un periodo di nove mesi, gennaio-settembre 2010. Mentre nel decreto di perquisizione notificato ad Alfieri si tiene conto di un periodo di tre anni di scommesse. «E poi - dice l’avvocato Marco Corini, che assiste il portiere della Juventus - mi sembra evidente che usare degli assegni sia il modo più sicuro per farsi tracciare. Gigi Buffon non c’entra nulla con questa storia. Si è sempre mosso alla luce del sole. Ha dato dei soldi a un amico per acquisti privati. Tutto il resto non lo riguarda». Nel decreto di perquisizione Buffon non è citato. Neppure sono citate delle partite sospette. È difficile sapere di più. A proposito della riservatezza dell’inchiesta: ieri, nei corridoi della procura di Torino, qualcuno era ancora pronto a giurare che la perquisizione di venerdì fosse stata disposta «d’iniziativa» dalla guardia di finanza di Parma. Come per dire: qualcosa di lontano e imperscrutabile. E invece, il provvedimento è firmato dal pm di Torino Cesare Parodi e controfirmato dal procuratore capo Giancarlo Caselli. L’impressione è che stessero lavorando da mesi sotto traccia, su un giro largo. E finora, inedito. Poi, quella richiesta di informazioni alla procura di Cremona, con un’informativa allegata, ha di fatto pubblicizzato il fascicolo. Perché tutti gli atti, dopo gli ultimi arresti, sono stati messi a disposizione delle parti. Lì si è capito che anche Torino ha un’indagine sul calcioscommesse. Il fatto è confermato dalle scelte difensive di Massimo Alfieri, che appena tornato da una vacanza a New York, si è rivolto a Gilberto Lozzi, noto penalista e professore universitario torinese. «Ci incontreremo presto e deciderò se accettare l’incarico», è l’unica frase che si può stanare dalla sua proverbiale riservatezza. A Torino si cerca di minimizzare. Ma il provvedimento di venerdì non sembra «poca cosa». Forse erano in corso «attività tecniche», come gli investigatori chiamano le intercettazioni telefoniche. E così, proprio mentre il Monopolio di Stato si affrettava a dichiarare che la ricevitoria di Parma «ha un flusso di scommesse molto elevato ma costante», si è reso necessario un blitz per congelare la situazione contabile. Sequestrati scontrini, ricevute di pagamento, tutta la documentazione. Anche la casa di Alfieri è stata perquisita. Si ricomincia, quindi. Un’altra volta. E chissà se pensava a questo, il procuratore di Cremona Roberto Di Martino, quando diceva: «Lavorare sul calcioscommesse, è un po’ come svuotare il mare con il cucchiaino». ___ GaSport 05-06-2012
  19. 05 06 2012 Scocca l’ora dei Neuropei Si gioca per dimenticare Giocano da venerdì prossimo, alle 18. A Varsavia. Polonia contro Grecia. E se prendiamo un po’ di distanza dal campo o dalla tv, fa effetto. Si dice che i nomi facciano vivere le cose. È vero. Ma quali? Quale Grecia, quella di cui parliamo tutti i giorni perché catalizza la débâcle finanziaria del Vecchio continente, Colosso (di Rodi) senz’anima e con una moneta a rischio? No, la Grecia che gioca a calcio. E accade in un’occasione in cui il meglio dell’Europa pallonara si confronta per cercare di mettere insieme distrazione e business, come sempre o almeno come ormai da molto tempo. E infatti si tenta l’impossibile per tenere separati eppure insieme i due binari su cui corrono rispettivamente la politica e il pallone. Prendiamo la nazione ospitante, il coacervo duale ormai in voga per dividere oneri e rischi, ossia Polonia e Ucraina: spicca la questione Tymoshenko, l’andare non andare dei presidenti, ma non quelli delle varie federazioni rotondocratiche continentali, bensì proprio i capi di Stato. Andrà il nostro, per esempio, anche per benedire il maledettismo scandalistico di un pallone allo stremo. Ma andranno gli altri, andrà la Merkel, andrà Hollande ecc.? E come si accorderanno, nel caso? Visita alla illustre reclusa, malmenata politicamente dal presidente Yanukovich in spregio della “rivoluzione arancione” ancora in corso (ricordate il vincitore di allora, quel Yushchenko avvelenato e butterato?) mentre questi Europei venivano assegnati? Oppure semplice dichiarazione democratica di intenti? E il contiguo governo polacco si chiamerà fuori dalla questione declinando magari in modo creativo la solita solfa secondo cui “la politica è una cosa, lo sport un’altra”? NEL FRATTEMPO, qualcuno ha già eliminato tutti i cani randagi di Kiev per “non fare brutta figura”, e a Varsavia e un po’ dappertutto gli alberghi costano molto di più: avete voluto il turismo sportivo, anche in tempi di massimo “spread”? Ebbene, pagate. La politica e le speculazioni economiche si infilano in ogni interstizio dell’organizzazione, anche se la vox populi non vede l’ora che le squadre scendano in campo. Quali? Non importa molto. Quello che conta è la giostra e l’attesa, il tifo, la franchigia da tutto il resto che ci piaga. Ma è davvero un territorio franco? A giudicare da quello che avviene anche nei paraggi del primo pallone che rotoli, sembrerebbe proprio di no. Il clima bancarottiero del calcio internazionale è in fase di avanzato peggioramento, ben lo sa Platini che dell’Unione europea in calzoncini è il presidente. Voglio pensare che lo sappia perfino Barroso.. . Se andiamo alle federazioni ospitanti, è di ier l’altro lo scandalo di quella polacca con risvolti corruttivi eclatanti, per il Lato corto della questione (volgarissimo e riprovevole gioco di parole che rimanda a quella meravigliosa ala destra della Polonia di Deyna ma prima, tenete a mente, prima di Solidarnosc e Jaruzelski e Giovanni Paolo II. . . ): l’ex campione come dirigente non si sarebbe fatto mancare niente. MENTRE L’OMBRA delle scommesse, e intendo ovviamente soprattutto delle scommesse su partite “sicure” almeno secondo gli accordi, si allunga su parecchi altri campionati. Fa più effetto l’Italia, certo, perché da sempre il fenomeno calcio ruota vorticosamente e mediaticamente attorno al tricolore, di cui il pallone sta vedendo stingere almeno il rosso: forse simbolicamente da domenica a Danzica e contro i campioni in carica spagnoli bisognerebbe pensare a un forte segnale subliminale, che so, con il verde e il bianco il rosa al posto del rosso, così, tanto per far capire che ci siamo accorti di tutto, che la situazione è grave, che magari tenteremo di rimediare. Lasciamo l’inno di Mameli per le nostre parate azzurre, ma meditiamo sulla soluzione “pink”: hai visto mai che funzionasse? Del resto se ci si interrogava nel ’39 sul “morire per Danzica” invasa dai nazisti, sul ciglio della Seconda guerra mondiale, bisognerà pur chiedersi se in una guerra sublimata e un po’ ridicola come quella pallonara vale la pena di “arrossire per Danzica” o vergognarci del nostro calcio senza per questo rinunciare a scendere in campo. Lo so, sembra fin qui un discorso riassumibile nel classico “il più pulito ci ha la rogna”, ma già che ci siamo, mettere in campo una squadra purchessia, di non indagati, non sospettati, non “patteggiati” dovrebbe essere il minimo. SE IL NOSTRO attuale calcio non è in grado di mandare da oggi in Polonia una spedizione che non rischi né l’i nfamità né il ridicolo tecnico-tattico-agonistico, bè, allora sì che bisognava davvero non andare. E per favore niente ammonimenti di parte per difendere – che so – un Buffon. Anzi, rincaro la dose. Buffon ci dica in tv a reti unificate, magari vicino al presidente Napolitano meglio se dopo un pareggio a sorpresa con la Spagna, domenica, una di quelle imprese catenacciare epiche travestite di alchimie tattiche forzate, ci dica il portiere una di quelle cose che chiuderebbero il conto: “Cari compatrioti, non ho mai scommesso né fatto scommettere sul calcio italiano, e anzi vi faccio l’elenco milionario di tutte le mie ‘altre’ scommesse, così che stiate tranquilli”. Finché non ci avrà detto questo, il minimo per il capitano di una Nazionale con la mano sul cuore durante l’inno e il tricolore (col rosa) sventolante, non mi riterrò soddisfatto, anche se non è indagato penalmente, anche se dice – come il Bossi d’antan sui rimborsi elettorali – “dei miei soldi faccio quello che voglio”. Mi viene un dubbio: codesto non è un articolo calcistico. E perché questi sono Europei di calcio, mentre l’Europa non rotondolatrica sta facendo la fine che vediamo?
  20. BARI IL PROCURATORE Laudati «Va cambiato il regolamento» di GIUSEPPE CALVI & MAURIZIO GALDI (GaSport 05-06-2012) Toh, un ghostwriter di Galdi! E' necessario cambiare le norme, per sollecitare la collaborazione di società e calciatori. Sin qui lo avevano chiesto, per i loro interessi, soprattutto i club. Ora il messaggio è lanciato anche da Antonio Laudati, procuratore capo di Bari, in un'intervista alla rubrica Rai «Mattina Sport». «Vanno cambiate le norme dell'ordinamento sportivo su responsabilità oggettiva e omessa denuncia. Solo così può aumentare la collaborazione di società e calciatori, indispensabile per arginare il fenomeno delle scommesse», è la proposta di Laudati, per abbattere l'invalicabile muro di omertà. «Oggi club e giocatori non hanno interesse ad aiutare gli organi di giustizia, perché, nel caso si scopra qualcosa, rischiano pesanti sanzioni per via della responsabilità oggettiva — continua il procuratore capo —. Un paradosso. Club che hanno già avuto grossi danni, collaborando con la giustizia ordinaria rischiano ulteriori penalizzazioni. Se vogliamo aiutare i magistrati ordinari, non è possibile che chi collabora rischi poi sanzioni di natura sportiva per omessa denuncia». Il procuratore capo accende il faro sul riciclaggio, emerso proprio dall'inchiesta di Bari: «La criminalità organizzata non si accontenta di ripulire il denaro sporco e vuole guadagnare. Ci sono Paesi dove è possibile scommettere in ogni modo e così vengono utilizzati bookmaker stranieri. Tra l'altro col traffico di stupefacenti si rischiano fino a 30 anni di carcere, con la frode sportiva pochi mesi o una multa». Laudati sottolinea il «tradimento». Intanto il Bari ha già incontrato la Procura federale: il club di Matarrese avrebbe manifestato l'intenzione di richiedere il patteggiamento. La Procura federale ha fatto le sue valutazioni sui documenti forniti da Laudati e sta cominciando a programmare le prime audizioni. Sarebbero 44 le persone da interrogare in preparazione della seconda «tranche» di deferimenti, tra metà e fine luglio. L'obiettivo è concludere i procedimenti che riguardano le società di A prima dei sorteggi. ------- Carraro: «Non è bello impugnare sentenze» Abete: «Mai detto» Botta e risposta tra il membro Cio e il presidente Figc che annuncia: «Proporrò la conferma di Palazzi» di MAURIZIO GALDI & TIZIANA BOTTAZZO (GaSport 05-06-2012) Toh, un altro ghostwriter di Galdi! Ore 14: ci va giù duro Franco Carraro, ex presidente della Federcalcio: «Non conosco tutti i regolamenti e i relativi cavilli ma non penso sia bello che il presidente federale possa impugnare le sentenze. Se non gli piacciono, casomai le norme le cambia. Inoltre, far trasparire divergenze tra organismi politici e giudiziari di una federazione all'inizio di procedimenti che sono tutt'altro che brevi, non mi sembra un fatto positivo». Sceglie Radiorai e la rubrica «La Politica nel Pallone» di GrParlamento per dire la sua su Scommessopoli e dintorni, e quello che riserva a Giancarlo Abete è tutt'altro che un assist. Ore 17 Messaggio ricevuto «In termini concettuali nessuno ha mai detto che si sarebbe fatto ricorso», ha dichiarato il presidente della Figc Giancarlo Abete precisando: «L'impugnazione è un istituto operante stabilito per statuto nel 2007, non è una novità, io personalmente l'ho effettuato 14 volte. Serve per chiedere ad un organismo superiore di fare ulteriori considerazioni. Ritengo però che non si debba invadere aree di competenza degli organi di giustizia sportiva. Una cosa è che l'istituto di impugnazione esista, altro che sia stata espressione di una mia volontà». La gaffe Eppure venerdì qualcuno avrà pure detto all'Ansa: «Potrebbero tornare in discussione le sanzioni decise nell'ambito del processo sportivo in corso a Roma per le scommesse illecite. Alla luce del dispositivo e valutate le motivazioni — si apprende in ambienti Figc — su singoli casi potrebbe scattare il potere di impugnazione in capo al presidente federale». Abete, probabilmente no, ma sicuramente l'Ansa non avrebbe riportato voci di corridoio non «autorevoli» e che ci fosse qualcosa di strano emergeva anche dall'imbarazzo con il quale lo stesso presidente federale si apprestava, nell'intervallo di Italia-Russia, a manifestare la sua piena fiducia negli organi di giustizia federale. Fino ad annunciare ieri: «È previsto un bando per il rinnovo quadriennale, proporrò i loro nomi in sede di consiglio federale secondo una linea di continuità». Chi si appellerà? Alla fine qualcuno farà ricorso contro i patteggiamenti di giovedì. In prima linea c'è la Nocerina che già ieri ha presentato la sua richiesta. Ma alla luce di quanto emerge dall'interrogatorio di Joelson davanti al Gip Guido Salvini (ne leggete a parte) è ipotizzabile che sia, invece, proprio la Procura federale a chiedere la «revocazione» del provvedimento per le nuove risultanze investigative: al Grosseto potrebbe essere contestata una responsabilità diretta. Questa sicuramente non patteggiabile. Sicuramente nasceranno ulteriori problemi: è applicabile o no la revocazione al patteggiamento? Finalino Carraro Extra-tema su stelle e stelline: «Blatter ha detto la verità. Gli scudetti della Juventus sono 28. Punto e basta. Se chi fa parte del sistema calcistico mette continuamente in discussione le sentenze della giustizia sportiva, dimenticando che tra l'altro nel 2006 ci fu un patteggiamento, si finisce col mettere in discussione tutto. Ad Agnelli e Moratti dico "non parliamone più e guardiamo avanti"». ------- Tutti all'attacco di Gervasoni «E' un bugiardo» Gli avvocati si scagliano contro il «pentito» Il Novara: «Ci siamo persino autodenunciati» di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 05-06-2012) Più che a un processo sportivo sembra di stare sul cantiere di una demolizione di palazzi, con la p minuscola e maiuscola. Gli avvocati stanno provando, uno dopo l'altro, a sbriciolare la credibilità di Gervasoni e, di conseguenza, a scalfire il teorema accusatorio messo insieme dal procuratore federale. Ma quale pentito Chi ha attaccato a testa bassa, sputando un rospo rimasto in gola per un anno, è stato Eduardo Chiacchio, che la scorsa estate difendeva Micolucci, grande accusatore del difensore: «Gervasoni non è un vero pentito, di quelli limpidi, seri, che parlano spontaneamente. Io non ho dimenticato il lungo intervento del suo avvocato, tutto mirato a calunniare Micolucci. Gervasoni non disse una parola, ha cominciato a confessare dopo l'arresto». Anche gli avvocati dei giocatori del Novara coinvolti (Ventola, Shala, Fontana) hanno impostato le loro arringhe facendo emergere le contraddizioni del «Gerva». «E' l'unico che parla di Ventola per Chievo-Novara di Coppa Italia — ha detto Mariella Micheletti —. Prima "presume" ci sia il suo coinvolgimento, poi ha la certezza e ottiene i domiciliari. Dice che Ventola ha incontrato Ilievski, ma poi i soldi chissà perché li prende Shala, e che il Novara è stato nel solito albergo, mentre ci è stato soltanto quella volta. Dove è l'attendibilità "intrinseca" di un soggetto che in tre interrogatori ricorda ogni volta qualcosa di nuovo?». Gianluca Guerrasio, difensore di Shala, si è spinto oltre. «Ricordo di avere appreso — racconta Gervasoni al gip Salvini — che gli slavi si incontrarono con Ventola nell'albergo e consegnarono a un albanese che giocava nel Novara (ora che me ne fate il nome confermo, dovrebbe trattarsi dell'albanese Shala) la somma di circa 150 mila euro che gli stessi divisero anche con altri giocatori, tra i quali il portiere Fontana». «Peccato — ha detto Guerrasio — che Shala non sia albanese. E' di origine kosovara e di nazionalità svizzera. Gervasoni non ricordava il nome, gli è stato suggerito con una domanda suggestiva, anzi, nociva». E ha concluso: «Non facciamo di Shala un altro caso Tortora». Noi denunciamo C'è stato anche l'intervento dell'a.d. del Novara, Massimo De Salvo, che non ha ridicolizzato come altri la responsabilità oggettiva («Le regole ci sono, si applicano e si accettano»), ma ha spiegato alla Disciplinare come la società, dal 2006 in avanti, abbia sempre alzato il livello di attenzione, anche istituendo un codice antifrode: «Ci siamo affidati a Federbet per monitorare ogni partita del Novara. Su dodici controllate nel girone di ritorno, ce n'è stata una anomala (Napoli-Novara, ndr) e l'abbiamo subito denunciata alla Procura federale». Proprio questa attività preventiva è stata utilizzata dall'avvocato Cesare Di Cintio per far valere le ragioni del Novara: «Una società che vuole un calcio etico e pulito». Pesante l'attacco alla Procura federale da parte di Flavia Tortorella, legale di Nicco (ex Pescara): «Questo è un posto nel quale dovrebbe essere insegnata la lealtà. Bene, io ricordo la pacca sulla spalla che un procuratore diede a questo ragazzino, dicendogli di non preoccuparsi che non avrebbe rischiato neanche l'omessa denuncia. Lui ha detto tutta la verità e voi l'avete ripagato con la richiesta di tre anni di squalifica».
  21. Presidenza Lega spunta Paolillo Forte del credito raccolto a livello europeo, l’ex amministratore delegato dell’Inter potrebbe prendere il posto di Beretta di STEFANO PASQUINO (TUTTOSPORT 05-06-2012) MILANO. Ernesto Paolillo presidente della Lega di serie A. Per ora si tratta di una semplice suggestione, in un futuro neanche troppo lontano l’idea potrebbe trasformarsi in un’ipotesi di lavoro assolutamente concreta. Perché Maurizio Beretta , l’attuale presidente della Confindustria del calcio, è da tempo dimissionario nonché osteggiato da una serie di club che fanno capo alla cordata Cellino - Zamparini (che ne avevano chiesto pubblicamente l’uscita di scena) e perché l’ormai ex amministratore delegato dell’Inter non ha intenzione di disperdere tutto il patrimonio maturato in un’onorata carriera anche nelle segrete stanze di via Rosellini dove per anni ha rappresentato gli interessi di Moratti . Il nome di Paolillo, tra l’altro, sarebbe alquanto spendibile anche a livello europeo considerato che l’ex direttore generale della Banca Popolare di Milano è stato pure “papà” del financial fair play, avendone scritto le regole su input di Michel Platini insieme a Jean-Michel Aulas , presidente del Lione. MODELLO PREMIER La Lega che verrà, dovrà giocoforza sposare in toto il modello della Premier League, ovvero diventare una macchina in grado di produrre ricchezza e valorizzare un prodotto che è stato svilito dagli scandali degli ultimi anni, ultimo quello legato al calcioscommesse. E Paolillo, forte della sua esperienza e di una personalità che può garantire piena imparzialità nonostante i trascorsi nerazzurri, potrebbe essere l’uomo giusto per imprimere una forte spinta manageriale alla Confindustria del pallone. L’ad, seppur dimissionario, dell’Inter, in queste settimane seguirà tutte le finali scudetto in cui saranno impegnate le varie squadre del settore giovanile (dopo la Primavera, toccherà ad Allievi e Giovanissimi Nazionali). Quindi, una volta chiusa la stagione, si metterà sul mercato in attesa di proposte. E chissà che la telefonata giusta non arrivi proprio da via Rosellini.
  22. UN GOVERNO TECNICO NEL PALLONE di TITO BOERI (lavoce.info 31-05-2012) Il mondo del calcio viene investito da una nuova ondata di scandali. L'economia può aiutare a comprendere cosa sta avvenendo e come prevenire che si ripeta? Proviamo a rispondere con un estratto da. . . "Parlerò solo di calcio". . . in cui Tito Boeri viene intervistato da Sergio Levi. Domanda. Non mi sembra vero di poter parlare di calcio (e non di lavoro, né di economia) con un economista del lavoro! Ma scherzi a parte, da cosa nasce la sua decisione di applicare al pallone i metodi rigorosi dell’economia? Può sembrare strano che un economista si interessi di calcio. In realtà, ci sono varie ragioni per cui altri economisti, prima di me, si sono dedicati allo studio di questo sport, benché dal punto di vista industriale abbia un’importanza relativamente marginale. Il motivo principale è che il calcio catalizza una delle risorse più scarse che ci siano al mondo, vale a dire l’attenzione umana, e in questo momento poche altre cose riescono a farlo così bene. Nell’era di Internet siamo continuamente bombardati da ogni sorta di messaggi, avendo accesso a innumerevoli fonti d’informazione. In questa selva di stimoli, il calcio riesce a esercitare un forte appeal, attirando su di sé l’attenzione di molti individui. Cito solo un dato: la finale di Coppa del Mondo del 2010 è stata seguita, in 200 paesi, da circa 700 milioni di persone. Si tratta di una risorsa che altre attività umane semplicemente non riescono a catalizzare. Forse perché il calcio suscita in noi istinti primordiali, rivalità sopite: fatto sta che il calcio cattura l’attenzione umana e, come tale, merita grande attenzione da parte di chi, come l’economista, studia l’allocazione di risorse scarse. (...) Prima di immergerci nel racconto dei fatti di Calciopoli, mi piacerebbe chiederle da cosa è nata l’idea di applicare a quelle vicende gli strumenti dell’economia. Nel giugno 2006 aspettavamo tutti l’inizio dei Mondiali di calcio, quando incominciarono ad arrivare le prime rivelazioni sulle telefonate fra Luciano Moggi e alcuni arbitri di serie A. Gli inquirenti avevano messo sotto controllo i telefoni di alcuni manager nel corso di un’indagine sull’uso di doping nella Juventus. Scoprirono che il direttore generale della Juve, Luciano Moggi, aveva esercitato pressioni su arbitri, funzionari di federazione e giornalisti, alla vigilia di partite decisive della stessa Juventus o di qualche sua rivale. Allora gli arbitri venivano selezionati da un team di ex arbitri chiamati «designatori», con cui Moggi era solito intrattenere lunghe conversazioni telefoniche, benché ciò fosse espressamente vietato dalle regole della federazione. L’indagine fu subito estesa a tutti i designatori e ai manager che li chiamavano in violazione delle norme federali. In quel periodo stavo leggendo un lavoro di Steve Levitt (conosciuto per la sua freakonomics) che riusciva a identificare esami scolastici truccati guardando a deviazioni da una distribuzione di voti tipo. Qualcuno ha denigrato queste tecniche parlando di «economia dell’immaginazione», perché compie inferenze su fenomeni che non è possibile osservare. Ma il metodo si è rivelato spesso molto efficace nel segnalare possibili episodi di corruzione; nel nostro caso, avevamo il vantaggio di sapere dalle intercettazioni quali partite erano state manipolate. A quell’epoca avevo cominciato a raccogliere dati sulla produttività dei calciatori. La caratteristica fondamentale dei dati sportivi (caso raro nel mercato del lavoro) è infatti che permettono di misurare con relativa precisione la produttività dei calciatori: attraverso vari indicatori, come il numero dei gol e dei calci d’angolo, i falli commessi e subiti, nonché parate, rigori e chilometri percorsi, è possibile avere una stima abbastanza precisa di quanto riesce a «produrre» ogni singolo calciatore. Ebbene, quando vennero alla luce i primi episodi di Calciopoli, chiesi a Battista Severgnini, con cui stavo raccogliendo questi dati sulla produttività dei calciatori, se non potevamo indirizzare i nostri sforzi sull’analisi di questi episodi di corruzione che cominciavano a venire a galla. Abbiamo così deciso di analizzare metodicamente il caso di Calciopoli, cercando di capire quanto sia diffusa la corruzione nel calcio italiano. E abbiamo scoperto delle cose molto interessanti. Questa indagine ci ha permesso di capire che il modo con cui venivano alterati gli esiti delle partite era molto fine: non si pagavano gli arbitri, ma si esercitava una pressione molto forte su di loro, quando questi si trovavano in una fase particolarmente delicata della loro carriera, in attesa di essere promossi allo status di arbitri internazionali. Messi di fronte all’alternativa fra collaborare con manager senza principi e non fare il salto di carriera, alcuni arbitri (che non a caso si trovavano in quella posizione) hanno scelto la prima opzione. I nostri studi mostrano che sono proprio gli arbitri in questa fase cruciale della loro carriera a essere stati coinvolti nelle partite oggetto di indagine. Ma per apprezzare i meriti di queste analisi bisogna capire come funzionava il sistema corruttivo che si era cristallizzato intorno agli arbitri negli anni che precedono l’esplosione di Calciopoli. (...) quali conclusioni si possono trarre sul calcio italiano dalla vostra analisi dei fatti di Calciopoli? Ne indicherei due. In primo luogo, in Italia la competizione calcistica è falsata dalla preminenza del potere mediatico, che incide sul potere sportivo ed economico e ne distorce le dinamiche. In secondo luogo, coloro che dovevano regolare il sistema, vale a dire la terna che selezionava gli arbitri, e gli stessi arbitri, sono stati sistematicamente catturati da coloro che dovevano essere regolati. Per cercare di ovviare a questo specifico problema, bisogna intervenire sugli incentivi delle carriere arbitrali e potenziare ulteriormente i compensi fissi. Soprattutto, bisogna che sia un’autorità esterna al mondo del calcio a monitorare l’attività dei direttori di gara e valutarne le prestazioni. Una delle falle del nostro calcio era (ed è) la mancanza di adeguati controlli esterni. (...) Che cosa bisogna fare per evitare che nuove Calciopoli si ripetano in futuro? È una delle domande che hanno guidato la nostra analisi. Da un punto di vista normativo, i nostri risultati suggeriscono che per ridurre il rischio di nuove Calciopoli bisogna monitorare molto attentamente il comportamento degli arbitri, soprattutto di quelli che attraversano una fase cruciale della loro carriera. Più in generale, serve maggiore trasparenza in almeno tre ambiti: in primo luogo, nelle decisioni relative alle assegnazioni di partite agli arbitri; in secondo luogo nella promozione di questi ultimi al rango internazionale; in terzo luogo, nelle valutazioni ufficiali delle prestazioni degli arbitri. Migliorare il loro sistema di retribuzione può servire a disincentivare il ricorso ai direttori di gara per manipolare le partite. (... ) A chi spetta il compito di attuare queste riforme? Un po’ alla federazione, un po’ al governo. Ma si tratta di un compito ingrato e almeno a breve termine impopolare, perché in Italia le squadre di calcio, oltre a essere too popular to fail, sono istituzioni sacre che nessuno può toccare, dove prevale il campanilismo per definizione. Bisogna che la politica si leghi le mani come Ulisse, perché quel che serve non sono minimi ritocchi, ma riforme e interventi che riducano drasticamente il numero di squadre obbligando quelle che non sono in grado di presentare un bilancio serio a chiudere i battenti. Ancora, bisognerebbe radiare a vita chi ha commesso atti illeciti e chi ha dato loro copertura. Forse ci vorrebbe un governo tecnico anche nel calcio per fare queste cose. Non bisogna dimenticare che oltre al bene pubblico (il calcio) bisogna tutelare il pubblico dei tifosi. Già, e l’attuale governance del calcio non li tiene affatto in considerazione. Servono figure che rappresentino davvero gli interessi degli appassionati di calcio. Ci vorrebbe una tessera del «bravo tifoso»: non parlo della tessera del tifoso introdotta dall’ex ministro Maroni, che si è presto rivelata una sorta di card dei gruppi organizzati; ma di una tessera per i singoli tifosi che vanno pacificamente allo stadio (come la fidelity card proposta dal ministro Cancellieri). Questa tessera dovrebbe permettere ai supporters di eleggere dei propri rappresentanti nelle strutture di governo del calcio che devono assicurare il rispetto delle regole sportive. Perché è vero, come a volte si dice, che gli individui possono sempre votare con i piedi, in questo caso cessando di andare allo stadio o non guardando più le partite in televisione, ma è bene che facciano anche sentire la loro voce. Un recente studio econometrico di Babatunde Buraimo, Giuseppe Migli e Rob Simmons (dal titolo eloquente Corruption Does Not Pay) fa vedere che dopo Calciopoli le squadre che erano state coinvolte in episodi di corruzione hanno subito cospicue perdite di spettatori allo stadio. Purtroppo, la delusione degli spettatori che cessano di andare allo stadio rischia di passare inosservata, perché i redditi da stadio occupano una piccola fetta nei fatturati delle squadre italiane. Se imponessimo alle società di calcio di avere dei bilanci più trasparenti, spingendole a ridurre la quota dei diritti televisivi, anche le reazioni degli spettatori alla corruzione servirebbero come disciplining device: a quel punto le società ne pagherebbero lo scotto. Andando in questa direzione, avere biglietti più cari sarebbe un prezzo che varrebbe la pena pagare.
  23. Calcioscommesse Ruolo di Bellavista e ultrà vertice tra le due procure Laudati incontrerà il procuratore di Cremona Chieste le migliaia di intercettazioni che coinvolgono anche Masiello e Angelo Iacovelli di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica - Bari 03-06-2012) CREMONA-Non soltanto Leonardo Bonucci. C'è un filo, nemmeno troppo sottile, che continua a legare le due grandi inchieste sul calcioscommesse italiano. Un filo che potrebbe portare nei prossimi giorni, come risulta agli atti dell'inchiesta, anche a una riunione di coordinamento tra i due procuratori, quello di Bari Antonio Laudati e quello di Cremona, Roberto Di Martino. Quel filo sono qualche migliaio di intercettazioni telefoniche registrate lo scorso anno a Cremona che ora, riascoltate dai carabinieri di Bari, potrebbero servire a delineare meglio alcuni aspetti dell'inchiesta barese. C'è una figura in particolare sulla quale gli inquirenti pugliesi vogliono fare chiarezza: Antonio Bellavista. È cronaca che Bari sta per chiudere la prima parte dell'inchiesta, quella che riguarda in particolare il ruolo di Andrea Masiello nelle partite combinate nel finale di stagione dello scorso campionato di serie A. Tutte, tranne una, quella con la Sampdoria che invece dovrebbe essere stata stralciata. Fuori dall'indagine è rimasto anche il filone che riguarda gli ultras (il Riesame li ha appena fatti uscire dal carcere e sono ai domiclliari): da ricostruire non è tanto cosa è accaduto, quanto piuttosto chi mandava i tifosi dai giocatori per chiedere di perdere. «Gli ultras - ragionano gli investigatori - non avevano una grande capacità economica. È evidente che dietro dovevano avere qualcuno». Sì, ma chi? In alcuni verbali spunta proprio il nome di Bellavista, l'ex capitano biancorosso. E soprattutto, documentano le indagini, in una delle partite nelle quali gli ultras minacciano i giocatori affinché perdano (la trasferta contro il Cesena) sugli spalti, per seguire live l'incontro, c'è proprio Bellavista. Che poi pagherà anche Masiello. Ora, che il secondo filone dell'indagine riguardi Bellavista trova un riscontro oggettivo negli atti appena depositati dalla procura di Cremona. Tra gli allegati c'è una lettera datata 23 aprile, poco più di un mese fa, nella quale il procuratore Antonio Laudati chiede al collega Di Martino «la trasmissione di tutte le intercettazioni e degli altri atti di indagine riguardanti le posizioni di Bellavista Antonio, Iacovelli Angelo e Masiello Andrea. Si chiede - continua Laudati - di ottenere anche tutta la documentazione relativa alle vicende che hanno interessato la squadra di calcio del Bari». La risposta arriva quattro giorni dopo. «Appena possibile trasmetterò quanto avete richiesto» scrive Di Martino. Ma c'è di più. Nella sua lettera Laudati «rinnovava l'invito a effettuare una riunione di coordinamento al fine di agevolare lo scambio di atti e informazioni. Richiesta immediatamente accolta. «Sono disponibile verso la fine di maggio» risponde il capo di Cremona. La riunione non è ancora arrivata. Ma sicuramente sarà questione di giorni. Prima probabilmente verrà notificato l'avviso di conclusione dell'indagine della prima tranche. Avviso che vede tra gli iscritti anche l'ex presidente giallorosso, il figlio del patron Pierandrea Semeraro. È la sua posizione che rischia di inguaiare la squadra, che potrebbe (se riconosciuta colpevole di responsabilità diretta) essere retrocessa in serie B (Il Lecce è già retrocesso di suo in serie B, ndt). A inchiodare Semeraro sono le dichiarazioni di Gianni Carella, uno degli amici di scommesse di Masiello: «Io e Giacobbe (ndr, l'altra persona arrestata) ci recammo a Lecce dove avevamo appuntamento con Carlo Quarta, non ricordo il nome della piazza, ricordo il bar, o il bar Centomila o Trecentomila, una cosa del genere (...) Io sono sceso dalla macchina quando è arrivato Carlo, gli ho detto: "Guarda che mi devi dare una garanzia, io devo fare vedere, o mi dai dei soldi o mi dai un assegno, perché io devo farlo vedere ai ragazzi, perché sennò non mi credono, mica mi credono sulla parola (...) Dopodiché lui si è allontanato, ha detto: "Aspetta un attimo". Io sono tornato verso la macchina da Fabio e ho visto lui che parlava con il figlio di Semeraro - perché l'ho riconosciuto - con il figlio del Presidente. Io però con lui, con il figlio del Presidente, non ho mai parlato. Ho visto che parlava con lui (...) L'ho riconosciuto perché l'avevo visto in televisione».
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