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Ghost Dog

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  1. [url="http://sportelegge.giornalaccio rosa.it/2012/05/29/calcio-scommesse-l
  2. BIBLIOTECA Il doping tra diritto e morale della redazione del CorSport 29-05-2012 Proseguendo nel suo viaggio sul doping nello sport, Sergio Rizzo - per anni vicedirettore del nostro giornale - affronta il tema ancora una volta dal punto di vista morale. Non manca un ampio studio giuridico (tra leggi dello sport e leggi dei Paesi che considerano il doping un reato penale) con interventi di Raffaele Guariniello, Alessandro Donati e del compianto Gianni Benzi. Ma “Il doping tra diritto e morale”, che segue di sei anni l’opera precedente di Rizzo (“Bioetica e sport”), va oltre quelli che sono gli argomenti più usuali, e non si limita a parlare di tutela della salute e di regole (dello sport) da rispettare. Il tema base è che il doping sarebbe da rifiutare anche se - per assurdo - non facesse male alla salute. E uno sport che liberalizzasse il doping sarebbe peggiore di quello che oggi lo combatte con grande difficoltà e dopo molti ripensamenti. Perché vietare il doping solo agli atleti e non agli artisti e, in generale, alle altre categorie di lavoratori? Perché oggi è possibile rifiutare le cure ma non utilizzare liberamente i farmaci? Perché non sfruttare nello sport le opportunità offerte dalla scienza e dalla tecnica, opportunità che ci permettono di vivere più a lungo e in modo migliore? Il libro cerca di rispondere a queste domande, in parte antiche, in parte recenti. Il tentativo è quello di esaudire tutte le richieste, soprattutto quelle provenienti dal mondo anglosassone, per il quale il principio di autonomia non può mai essere violato, a meno che non si rechino danni a terzi. Passando in rassegna il pensiero dei filosofi che si sono occupati del problema (da Kass a Sandel, da Harris ai maggiori bioeticisti italiani), il libro propone alcune soluzioni. In particolare: il doping è vietato dallo sport ed ogni individuo, quando inizia la sua carriera agonistica, accetta questa regola liberamente; chi si dopa viola l’autonomia di chi ha deciso di fare sport senza ricorrere a farmaci vietati ed è poi costretto ad assumerli per essere competitivo; se il doping fosse liberalizzato, la ricerca scientifica avvantaggerebbe gli atleti dei Paesi o dei club più potenti, creando un’ulteriore e determinante discriminazione. La conclusione definitiva è che lo sport di oggi deve “laicizzarsi”, smettendola di considerarsi una sorta di religione civile. Da questo punto di vista, una svolta fondamentale è arrivata dal caso Pistorius, un’altra decisiva arriverebbe dall’applicazione della tecnologia in tutti gli sport professionistici (in particolare il calcio). ___ L’intervista Parla il sostituto procuratore di Torino ieri in Puglia per un libro sul doping Al convegno con Guariniello: «È bene fare un po’ di pulizia» di GINO MARTINA (Corriere del Mezzogiorno - Bari 29-05-2012) BARI — L’occasione per incontrarlo è stata la presentazione del libro «Il doping tra diritto e morale: le norme giuridiche e le riflessioni bioetiche sul fenomeno che avvelena lo sport» di Sergio Rizzo, vicedirettore del Corriere dello Sport, ieri, nella sala Murat di piazza Ferrarrese a Bari. Raffaele Guariniello, sostituto procuratore di Torino, alla fine degli anni Novanta è divenuto celebre per aver condotto le indagini e l'accusa nel processo sull’abuso di farmaci nel mondo del pallone e in particolare sulla Juventus vincente di quel decennio. Con Guariniello è intervenuto Antonio Laudati, procuratore capo di Bari. La presentazione del libro è stata organizzata dalla fondazione Benzi, nell’ambito della tre giorni «Arte e scienza insieme contro il doping» che si concluderà domani. È il giorno degli arresti e delle perquisizioni decisi dalla Procura di Cremona per il calcioscommesse. Dottor Guariniello, per gli appassionati di calcio è un brutto momento. «Credo sia invece un buon momento. È positivo che arrivino queste inchieste. Vuol dire che qui si cerca di fare almeno un po’ di pulizia e chiarezza ». Perché, altrove non accade? «Sono convinto che la corruzione, le scommesse illegali e il doping esistano anche in altri Paesi. Ma in Italia la magistratura controlla maggiormente. C’è più possibilità che si arrivi alla verità e che il sistema rimanga il più possibile pulito». Lei ha conosciuto dirigenti e giocatori, crede che il mondo del calcio non sia pulito? «Sono convinto che il calcio sia un gioco ancora sano. E che ciò che non sia corretto vada fatto emergere. Per il resto è un mondo molto chiuso in se stesso. Con delle dinamiche proprie, non sempre facili da comprendere». Alcuni pensano che questa serie di provvedimenti giudiziari siano esagerati. «Un magistrato, se arriva a emettere certe ordinanze vuol dire che è in possesso di elementi concreti, importanti e determinanti». Tra doping e calcioscommesse qual è il male maggiore? «Il doping. Perché ha a che fare con la salute e la vita delle persone. Ed è quello su cui più si deve impegnare la magistratura ordinaria». È ancora presente il doping nel calcio? «Sì. Il problema è che si evolve ed è difficile individuarlo. Bisogna creare una super procura italiana per debellarlo». Lei è un appassionato di calcio? «Certo. Ho anche giocato da ragazzo a discreti livelli».
  3. INCHIESTA ABRAMOVICH CON IL CHELSEA HA IMPIEGATO QUASI 10 ANNI A VINCERE LA CHAMPIONS. NEL FRATTEMPO IL FENOMENO DEI PROPRIETARI EXTRA UNIONE EUROPEA SI È MOLTO DILATATO UN QUINTO D'€UROPA IN MANI STRANIERE Nelle 8 leghe più importanti della Ue (9.517 milioni di fatturato) hanno un proprietario extra Ue 18 club su 144, per 1.913 milioni di fatturato. Ecco come la crisi dell'euro sta alterando i rapporti di forza di MARCO IARIA (EXTRATIME 29-05-2012) Quando Roman Abramovich, sorvolando Londra in elicottero, rimase folgorato dallo Stamford Bridge e decise d'acquistare il Chelsea, l'Europa era ancora una tabula rasa. Sì, l'egiziano Mohammed Al Fayed aveva condotto il Fulham dalla terza serie alla Premier, ma il suo sogno di farne il «Manchester United del Sud Inghilterra» era rimasto nel cassetto. Dal 2003, primo anno d.A. (dopo Abramovich), tutto è cambiato: il Vecchio Continente è diventato il terreno di caccia preferito di magnati (o presunti tali) stranieri, che sono arrivati a detenere un quinto della ricchezza del pallone. Negli 8 campionati di prima divisone più importanti dell'Unione Europea, 18 società su 144 vantano un proprietario o un azionista di maggioranza col passaporto extra Ue: il giro d'affari annuo che producono, 1.913 milioni, è pari al 20% dei 9.517 milioni generati complessivamente da quei tornei. La bacheca si riempie Business, visibilità, geopolitica, pura vanagloria: i pretesti sono i più disparati, dirompente è l'effetto sui rapporti di forza. Perché a quasi un decennio di distanza, una squadra (il Chelsea) si è laureata per la prima volta campione d'Europa, un'altra (il Manchester City) ha conquistato la Premier dopo 44 anni, un'altra ancora (il Malaga) ha brindato allo storico ingresso in Champions (seppur ai preliminari). L'equazione straniero uguale spendaccione non vale sempre, ma la globalizzazione combinata alla crisi dell'euro rende già vecchio il ciclone Abramovich. Se è vero che l'oligarca russo ha ridimensionato i fasti dei primi tempi, i petro(gas)-dollari provenienti dal Medio Oriente stanno alzando l'asticella delle spese per trasferimenti e stipendi. Il City dello sceicco Mansour ha mandato in archivio il deficit più elevato della storia del calcio d'élite: 218 milioni di euro. Oltremanica, nel cuore della finanza, sotto il vessillo della lega più seguita al mondo, sono transitati pure thailandesi, serbo-americani, islandesi. Metà Premier è in mani forestiere: 10 club su 20, non lontani dal quorum di 14 necessario per riformare il campionato, tanto da far dire al presidente dell'asso-allenatori inglesi, Richard Bevan, che tra di loro «stanno già discutendo sull'eliminazione di promozioni e retrocessioni». Nel 2012-13 il Blackburn della multinazionale indiana Venky's, caduto in Championship, verrà rimpiazzato dalla matricola Reading del russo Anton Zingarevich. Una preda facile In Spagna 3 ingressi negli ultimi 2 anni, e un'ulteriore spinta potrebbe arrivare dal crac della Liga e dell'economia nazionale. L'economista José Maria Gay de Liébana, docente all'Universidad de Barcelona, spiega a Extra Time: «In Spagna ci sono solo due veri giocatori, il Real e il Barça, e per un prezzo relativamente conveniente si può entrare. La crisi del debito che vive il Paese e la debolezza dell'economia favoriscono gli investimenti esteri. Diversi club della Liga sono al centro di possibili operazioni: interessati gli arabi ma anche i cinesi». Le prede più facili sono quelle in difficoltà con i conti, come in Scozia i Glasgow Rangers: nella cordata guidata da Charles Green, che sta tentando di salvarli, ci sono un indonesiano e un trust di Singapore. La diversità americana Intrecci molto più complessi alla base dell'avvento degli Al Thani in Francia. Dopo aver sborsato subito 100 milioni per Pastore & Co., il Psg potrebbe seguire le orme del City. Un'incommensurabile immissione di liquidità nel sistema calcio per diversificare gli affari, tessere alleanze, accreditarsi politicamente. In questo, i patron arabi nulla hanno da spartire con i colleghi a stelle e strisce. I businessmen alla Kroenke (Arsenal) e Henry (Liverpool) inseguono profitti. Se Mansour, in 4 anni, ha speso nel City 1, 2 miliardi (incluso il progetto del nuovo campus), il contestatissimo Malcolm Glazer è ricorso nel 2005 al leverage buyout per prendersi il Manchester United: ha chiesto i soldi alle banche, scaricando sulla squadra un debito da oltre 700 milioni. E ora spera d'incassarne altrettanti collocando il 30% delle azioni nella Borsa di Singapore. Lo spettro che s'aggira per l'Europa è multiforme: spendi, spandi... oppure speculi. ------- I BANDITI NON SEMPRE È TUTTO ORO I CASI POMPEY E XAMAX di MARCO IARIA (EXTRATIME 29-05-2012) Non è tutto oro ciò che luccica. Ne sa qualcosa il Portsmouth: il Pompey è sprofondato dalla Premier alla League One e finito due volte in amministrazione controllata dopo essere passato di mano dal serbo-americano Milan Mandaric al franco-russo Alexandre Gaydamak, all’emiratino Sulaiman Al Fahim, al saudita Ali Al Faraj, al businessman di Hong Kong Balram Chainrai, al russo Vladimir Antonov, poi in manette. Dall’ex premier thailandese Shinawatra al City in giù è lunga la lista dei fallimenti forestieri. L’iraniano Majid Pishyar guida ora la portoghese Beira-Mar; in precedenza aveva fatto cadere l’Admira Wacker in Regionalliga (terza serie austriaca) e ridotto sul lastrico il Servette. Proprio in Svizzera il Neuchâtel Xamax è stato escluso dalla Super League ed è andato in bancarotta: il proprietario Bulat Chagaev e il n.2 Islam Satujev, entrambi ceceni e arrestati, pare che prelevassero i soldi dalle casse del club per finanziare le associazioni islamiche locali. ------- DOVE NON SFONDANO LA GERMANIA NON SI SCALA LA SPAGNA CORRE AI RIPARI di MARCO IARIA (EXTRATIME 29-05-2012) Un sondaggio di Havas Sports & Entertainment ha rivelato che il 63% dei tifosi europei è contrario ai proprietari stranieri: non hanno a cuore il bene primario della squadra o, peggio, se ne vanno lasciando tutto nel caos. E poi, aggiunge il Ceo della Bundesliga Christian Seifert, «hanno un conflitto di interessi con le nazionali dei Paesi d’origine». La Germania ha eretto una barriera contro le «invasioni barbariche». Lì vige la regola del 50%+1: le società sono in mano ad associazioni legate al territorio, che detengono la maggioranza dei voti ed esercitano un controllo sul club. Così il giordano Hasan Ismaik s’è dovuto accontentare del 49% del Monaco 1860, tenendo in tasca un altro 11% di azioni senza diritto di voto. In Spagna Real, Barcellona, Osasuna e Athletic Bilbao sono cooperative possedute dai soci-tifosi, ma non basta. Florentino Perez ha proposto di cambiare lo statuto per evitare che uno sceicco possa scalare la società col supporto di un gruppo di soci (che eleggono i dirigenti). ------- Decatrends di ALESSANDRO DE CALÒ (EXTRATIME 29-05-2012) NON CONTA LA PROPRIETÀ È IMPORTANTE LA QUALITÀ Abramovich, City e Psg sono un problema ma anche uno stimolo per migliorare il calcio Ci sono linee di tendenza contro le quali opporsi non è sbagliato: è inutile. Travolgono ogni ostacolo, seguono percorsi che disegnano il presente e annunciano schegge di futuro. Possiamo solo registrarli. Da anni la Rolls Royce, sinonimo del made in England, è nelle mani tedesche di Bmw. Altro marchio britannico: la Rover, quella delle jeep più famose del mondo, è sotto il controllo degli indiani. Ci sono percorsi di andata e ritorno, come la griffe di Valentino, significativo esempio di made in Italy: venduto a una casa tedesca alla fine degli anni Novanta, è tornato in mani italiane all'inizio di questo secolo. Possiamo stupirci se diversi club del calcio che conta sono terreno di conquista per miliardari russi, sceicchi arabi o uomini d'affari nordamericani? Nessuno stupore. La tendenza c'è, conviene considerarne gli effetti. Si calcola che Abramovich, in una decina di anni, abbia speso due miliardi di euro per prendere giocatori e tecnici (pensate a Villas Boas) e per pagarne gli stipendi. Certo, ha alzato l'asticella dei prezzi e dei compensi, mettendo in difficoltà qualche concorrente, ma ha anche distribuito soldi a palate. Il Porto — per dire — non può lamentarsi. Ma pure chi gli ha venduto David Luiz e Torres, ha finito col rimettere in circolo un po' delle milionate ricevute. Ci sono correnti diverse, dentro alla stessa tendenza. Quella del flusso dal Nord America — attratta dal ritorno di Londra al centro finanziario della scena mondiale — si è inaridita con la crisi. Gli sceicchi, invece, hanno un'altra marcia. Manchester City e Psg sono una bella scommessa e non solo perché il loro progetto parla un po' di italiano. Possono toglierci qualcosa ma anche aggiungere stimoli per migliorare il calcio di alto livello. Aspettiamoci l'arrivo di cinesi e indiani, sapendo che anche in queste sfide può esserci un'andata e un ritorno, e non necessariamente in rosso, come per Valentino.
  4. Il pallone, la salute e il denaro Contro la retorica anti-monetaria: il calcio sta benissimo, e ha bisogno di soldi e investitori di DAVIDE COPPO (Studio 28-05-2012) Ciclicamente ritornano: sono tempi gravidi per la retorica del “calcio malato”, del “pallone sgonfio”, delle metafore vetuste di uno sport corrotto dal business, dal vil danaro, dalla speculazione e dalle scommesse. Tra un odierno Criscito mediaticamente colpevole (garantismo, questo sconosciuto) e un Buffon connivente, su La Lettura del Corriere della Sera di domenica ha trovato spazio un articolo sulla forbice della ricchezza nel mondo dei club, «i ricchi sempre più ricchi, e i poveri restano ultimi» il sottotitolo eloquente. Messaggio subliminale, invece, è quello dell’abbruttimento di un gioco trasformatosi in puro affarismo, in cui sceicchi e oligarchi la fanno da padroni riducendo la competizione meramente sportiva ai minimi termini. La sconfitta del Bayern Monaco nella finale casalinga dovrebbe esserne il massimo insegnamento. Gli imputati principali, manco a dirlo, il Manchester City e il Chelsea. Roman Abramovic acquistò il Chelsea nel 2003, si dice dopo aver apprezzato la vista di Stamford Bridge durante un tragitto in elicottero, investendo sessanta milioni iniziali in una squadra che in novantotto anni di storia aveva in bacheca un campionato, tre FA Cup e poco altro. Con gli innesti di Mourinho, Drogba e altri Abramovic creò un team capace di interrompere il dominio del Manchester United per due anni consecutivi (tornando a vincere poi nel 2009/10 con Ancelotti), conquistare quattro secondi posti e la qualificazione per la Champions League per nove anni di seguito. Creò, sostanzialmente, un nuovo competitor. Lo stesso è accaduto a Manchester, dove i cugini scarsi della Juventus d’Inghilterra sono stati rilevati da Mansour bin Zayed Al Nahyan dopo una storia decennale fatta di sconfitte, pochissimi onori e qualche visita alla Second Division. Quest’anno è arrivato il primo posto in Premier League, non accadeva dal 1968. Ma nel modo in cui Chelsea e City hanno vinto le rispettive competizioni c’è qualcosa che non ha a che fare con i soldi, qualcosa che rende il calcio una disciplina che spesse volte mantiene pochi appigli con la nozione così riduttiva di intrattenimento: il City sembrava completamente padrone del destino, suo e del Manchester United, fino a quel maledetto uno-due del Queen Park Rangers. Il trionfo con il pareggio di Dzeko e il sorpasso di Aguero nei minuti di recupero non ha nulla a che fare con i 400 milioni investiti dallo sceicco, ma con l’imprevedibile assurdità del pallone. È retorica anche questa, ma spettacolare, e positiva. Il capitolo Chelsea, poi, è la dimostrazione di quanto i soldi, se disuniti dalla competenza e dalla pianificazione, possano non fare affatto la felicità. Sesto posto in campionato, una accozzaglia di presunti ex-campioni, età media alta, un allenatore inadatto (AVB, of course) e una serie di incidenti di percorso superati rocambolescamente: il 3-1 al San Paolo di Napoli, il parziale 2-0 al Camp Nou, lo stesso 1-0 dell’Allianz Arena. Il Chelsea era la più improbabile delle cenerentole, nonostante la presidenza milionaria, di tutta la Champions League 2011/12. La spettacolare vittoria negli ottavi di finale, l’impresa catenacciara contro la squadra più forte del mondo, la perfezione tattica messa in campo in finale, senza John Terry, con Bertrand entrato nella storia come unico giocatore ad aver esordito in una finale di Champions League, la rimonta, i rigori. Come scrive su Grantland Brian Phillips, i blues hanno conquistato l’Europa grazie alla stessa imprevedibilità che avevano cercato di eliminare con i milioni del loro presidente. Seguendo la metafora biblica di Pellizzari sul Corriere, il Chelsea era allora Davide, con Barcellona prima e Bayern Monaco poi a vestire i panni di Golia. La profonda e stupenda ironia sta nella vittoria delle seconde linee, dei panchinari, dell’allenatore precario e traghettatore. La vittoria del caso, della fortuna e del cuore, e non la vittoria del denaro. Sulla meschina sporcizia della banconota, poi, ci sarebbe da aprire un altro capitolo. «Se Davide non batte mai Golia (…) il calcio inizierà a perdere appassionati, insieme alla sua essenza» si legge nell’articolo. Ma gli appassionati, il seguito di pubblico, si mantengono (e si accrescono) anche e soprattutto grazie all’investimento monetario, ai servizi offerti, alle infrastrutture che necessitano, più che mai in questo campionato che un tempo si vantava di essere il più bello del mondo, di migliorie; la Juventus ne è l’esempio lampante: stadio, tifo, vittorie. Ma se ne rende benissimo conto anche Pellizzari, quando, a fondo pagina, indica il modello Bundesliga come quello da seguire: «Con i suoi splendidi stadi nuovi e sempre pieni, costruiti per il Mondiale 2006, e le sue squadre multietniche e autosufficienti quello tedesco è il modello che fa e dovrebbe fare scuola». Tralasciando l’esaltazione della multietnicità del campionato teutonico in evidente contraddizione con una traballante critica alla Premier League («La nazionale inglese, teoricamente espressione di uno dei due campionati migliori del mondo, è piena di calciatori di livello medio, perché le squadre principali sono piene di stranieri»), c’è da convenire almeno nell’ammirazione per le finanze del Bayern Monaco, da 19 anni in ordine. In definitiva, il calcio non può guardare al denaro come allo sterco dell’immancabile diavolo: il calcio del denaro ha bisogno, come ha bisogno di investitori, sponsor e infrastrutture adeguate all’epoca. È ovvio e scontato che un fair play finanziario sia necessario, ma per favore non crocifiggiamo gli imprenditori che investono: ditelo al Napoli prima di De Laurentiis, al Malaga, anche al Palermo o al Parma che i soldi fanno male. Erano tutte piccole, ora non lo sono più, e possono ragionevolmente puntare a traguardi più o meno ambiziosi. La bellezza riesce sempre a venire fuori: lo dimostrano le lacrime di Drogba, l’esaltazione di Mancini, le strade piene di passione di Manchester e Londra, le due squadre che dovevano essere ciniche schiacciasassi e sono diventate vincitrici folli e rocambolesche. Hanno vinto come vincono tutti, da sempre.
  5. Mi dispiace davvero non aver salvato questa pagina dal blog Colpo di reni, ieri sera. Roba vergognosa. E' rimasto solo l'incipit del feed ricevuto. Le foto e le didascalie erano da denuncia. Il calcioscommesse in foto… Criscito perquisito a Coverciano e fuori dalla Nazionale, Bonucci indagato e rischia anche lui gli Europei, perquisita l’abitazione di Conte. «Ma sia chiaro, la Juve non c’entra». «Avevo scommesso che se Amauri fosse riuscito a segnare mi sarei messo un …
  6. Adesso fatti e niente show Non ripetiamo Calciopoli Se i piedi non sono puliti, il tifoso ha diritto di avere delle sentenze La cosa peggiore è tirare una riga per arrivare a condanne immediate di GIUSEPPE DE BELLIS (il Giornale 29-05-2012) Ora tutti. Le scommesse sono la fine definitiva di qualunque verginità calcistica: allora i magistrati vadano avanti. Hanno arrestato il capitano della Lazio, hanno toccato il Genoa, mettono il naso nelle stanze del Chievo e della Sampdoria, hanno travolto Lecce, Bari, Novara, Atalanta. Arrivano alla Juve, via Siena. Dicono: «Potremmo andare ancora avanti, ma non possiamo. Ci fermiamo. Non abbiamo la gente che ci faccia le fotocopie ». E no. Perché questa storia adesso è troppo grande per non proseguire. Chissenefrega delle fotocopie: se le facciano da soli. Qui non si scherza più, ammesso che qualcuno abbia avuto voglia di farlo. Il calcio è una cosa troppo seria per rimanere sospesa, il tifo è troppo sacro per essere lasciato in balia dell’irrisolto: se c’è altro, devono continuare. L’Italia sa che cosa succede quando le indagini puntano solo in una direzione, o in due, o in tre, ma non in tutte. L’abbiamo visto vent’anni fa con Tangentopoli: si fermarono per non colpire l’ex Pci e fu la fine dell’inchiesta, la fine della pulizia mai realizzata davvero. Fu il male di una giustizia che non funzionava e non funziona. La politica non s’è ancora ripresa, la magistratura neanche: due decenni vissuti così hanno creato la cultura della diffidenza costante, lo scontro istituzionale totale, il giustizialismo usato come arma di distruzione di massa. Nel pallone è uguale. Calciopoli è rimasta incompleta: abbiamo scoperto a posteriori che non c’era tutto, che a un certo punto s’era tirata una riga per arrivare alle sentenze in fretta. Questo ha creato il caos: sei anni dopo siamo ancora qui a parlarne, interisti e juventini si scannano tra scudetti revocati e non assegnati, oppure dati a tavolino. Se dai un alibi al tifoso è finita: c’è sempre un teorema, c’è la dietrologia, c’è la sindrome del complotto. Allora non ci si può fermare. Se le scommesse sono il demone che si sta mangiando lo sport si deve raschiare tutto, bisogna dragare ogni sospetto. Seriamente e veramente. Non basta coinvolgere un big, altre due squadre importanti di A, e così convincersi che l’operazione è riuscita. Così si arriva sui giornali e in tv, non alla verità. Non serve neanche la spettacolarizzazione folle da reality: il blitz nel ritiro della Nazionale a Coverciano è un’idiozia inutile. Serve a dire: ci siamo, eccoci. Ma che cosa potrà mai custodire nell’armadietto della sua stanza un giocatore? Nulla. Però fa scena. È come in quei film, dove per fermare il ladro di caramelle arrivano con l’elicottero e con i cecchini sui tetti. Il risultato ottenuto è che Domenico Criscito (indagato) non andrà agli Europei. E poi? Qui non bisogna giocare a fare i commissari tecnici, non ci sono toghe che devono decidere la formazione della Nazionale. C’è da scoprire se, chi, come, dove, quando e quanto ha truffato i tifosi. Suoi e di altre squadre. Fatti, non show. La gogna è il vizio dal quale non si esce ed è anche il limite della magistratura. Quella maledetta voglia di dimostrare di essere Stato trasformando in colpevoli tutti quelli su cui si indaga. I calciatori sono detestati perché avidi, ricchi, ignoranti, sbruffoni. Farli passare per truffatori e criminali è facile. Però dev’essere vero. Il tifoso è più saldo dell’elettore: chi si sente tradito da un partito, la prossima volta vota qualcun altro. Il tifoso non cambia amore: s’indigna fino ad arrivare all’odio nei confronti del calciatore che gioca contro la propria squadra. Perché quello è l’infame. Ce ne sono già diversi così. C’è persino chi ha ammesso, c’è chi ha parlato di quanto prendeva per aggiustare una partita. Per gli altri serve serietà: forse è vero che il calcio fa schifo tutto e forse è vero che i venduti sono molti di più di quanto si pensi. Ecco: bisogna togliere quel forse. Perché non ci possono essere cose in sospeso in questa vicenda che sta ammazzando il pallone. I conti vanno chiusi, senza trovare colpevoli facili e senza la presunzione di pensare che punendo un gruppo gli altri capiscano com’è lastoria: la giustizia che deve educare fa molto regime. Il calcio ha bisogno di certezze, non di nuovi appigli per giustificare le proprie rivalità. Avremo un campionato sconvolto. Non sapremo fino all’ultimo quale squadra giocherà in quale serie. Avremo punti di penalizzazione a pioggia, dati come quando il nonno estrae i numeri della Tombola a Natale. E questa è già una condanna, per tutti. ------- il Giornale 29-05-2012 poi scivolano su una buccia di banana pure qua
  7. Un business da 2,4 miliardi di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 29-05-2012) Il "Pil" del Calcio italiano Spa è stato, nelle ultime tre stagioni, di 7,2 miliardi di euro. Un giro d'affari che ha risentito soltanto in misura minima della crisi che ha travolto l'economia europea. Gli attori del mercato calcistico, variegati per dimensioni e obiettivi, sono però ancora incapaci di tradurre in utili i rilevanti fatturati per colpa di una gestione dei costi – specie quelli per gli ingaggi dei tesserati – non oculata. Il valore della produzione "aggregato" di serie A, serie B e Lega Pro è stato di 2.349 milioni nella stagione 2008/09, 2.506 in quella successiva e di 2.477 nell'annata 2010/11. I ricavi medi dei club della massima serie – come certificato nel "Report Calcio 2012", il secondo rapporto sulla situazione economica del calcio tricolore presentato qualche settimana fa da Figc, Arel e PricewaterhouseCoopers – hanno superato i 100 milioni di euro annui, quelli delle società di cadetteria i 15 milioni, mentre quelli delle società della vecchia serie C viaggiano sui 2,5 milioni in prima divisione e sul milione di euro per la seconda divisione. Tuttavia, sempre prendendo in esame le ultime tre stagioni le società professionistiche hanno "bruciato" un miliardo e cento milioni di euro. Soltanto nell'annata 2010-2011 il rosso è stato di 428 milioni. Le entrate Per quanto riguarda le entrate il valore della produzione si è attestato nella stagione 2010-2011 a quota 2.477 milioni (in calo dell'1,2% rispetto alla scorsa stagione). Un valore che depurato dai ricavi legati alle plusvalenze da calciomercato scende poi a 2.033 milioni (-0,8% rispetto al 2009-2010). Nel dettaglio risultano in diminuzione i ricavi medi per società nella Serie A (-3,1% rispetto al 2009-2010), nella Lega Pro Prima Divisione (-7, 4%) e Seconda Divisione (-23%), mentre va in controtendenza la Serie B che ha visto un aumento dei ricavi medi del 6,3% (da 14,2 milioni nel 2009-2010 a 15,2 milioni nel 2010-2011). Queste cifre, lette in controluce, confermano la dipendenza del calcio italiano dai diritti radiotelevisivi e soprattutto da quelli nazionali. Questa voce che comunque pesa sui bilanci dei club per 971 milioni. Dalle tv le 20 squadre di A percepiscono mediamente 41 milioni (53% del fatturato e solo il 10% dai diritti tv internazionali), quelle della Premier 64 milioni (48% del fatturato, ma per oltre un terzo legato ai diritti internazionali), quelle della Bundesliga 28 milioni (31%) e le squadre della Liga 30 milioni (37%). Continuano a crescere, in ogni caso, i ricavi da sponsor e attività commerciali, saliti nel triennio da 317 a 387 milioni. I ricavi medi da sponsor arrivano per i club di serie A a 17 milioni (22% del fatturato). In Premier league si incassano per sponsor e merchandising 28 milioni (21% del fatturato), in Bundesliga 34 milioni (38% del giro d'affari) e in Spagna 19 milioni (24%). Fanalino di coda tra le entrate delle società di calcio tricolori è quella dipendente dal botteghino. I ricavi prodotti dallo stadio (biglietti e abbonamento) coprono solo il 10% del fatturato totale e ammontano tra serie A, B e Lega Pro a 253 milioni. Nella stagione 2008/09 erano pari a 272 milioni. Una riduzione determinata principalmente dalla progressiva disaffezione degli sportivi italiani. Nella scorsa stagione, in serie A gli spettatori sono stati 9 milioni, con una media a giornata di 24mila e una percentuale di riempimento degli impianti del 59 per cento. Dati sconfortanti se raffrontati con quelli europei. L'affluenza totale per la Bundesliga è stata di 13 milioni di spettatori per una media a giornata di 42mila e una percentuale di riempimento degli stadi pari al 91 per cento. In Premier ci sono stati 13, 4 milioni di spettatori nello scorso torneo con una media a giornata di 35mila e una percentuale di riempimento degli impianti del 92. Mentre nella Liga si sono staccati 14,3 milioni di biglietti con una media a giornata di 28mila e una percentuale di riempimento degli stadi del 75 per cento. Le uscite I costi aggregati del Calcio italiano Spa sono stati di 8,3 miliardi di euro nelle stesse ultime stagioni. Nel campionato 2010/11 le spese delle oltre 120 società professionistiche sono state pari a 2.881 milioni di euro. l'1,6% in più rispetto alla stagione immediatamente precedente. Esiste, dunque, un disequilibrio strutturale che nonostante le promesse e i diktat del fair play finanziario si fa fatica a correggere. Basti pensare che nel torneo 2010/11 i costi direttamente collegabili ai "dipendenti" hanno assorbito oltre due miliardi. Tra stipendi, premi e imposte i club professionistici hanno sborsato 1.450 milioni di euro, e hanno dovuto stanziare per ammortamenti e svalutazioni per 568 milioni (pari al 20% del totale dei costi). Più nello specifico sono diminuiti i costi medi per società nella Serie B (-3% rispetto al 2009/10) e nella Lega Pro Prima (-4,5%) e Seconda divisione (-27,8%). Invece, sono risultati in crescita i costi medi della Serie A passati in due anni, da 103 milioni di euro a 115. Patrimonio dimezzato Questo disequilibrio gestionale ha provocato un'erosione del patrimonio netto dei club che a parte l'esempio virtuoso della Juventus, peraltro, non possiedono stadi di proprietà. Il patrimonio netto dell'intero sistema calcio professionistico italiano è calato nel 2010/11 del 50% rispetto alla stagione precedente attestandosi a 202 milioni. Una contrazione dovuta soprattutto al deficit registrato dai club di Serie A, salito dai 197 milioni del campionato 2009-2010 ai 300 milioni accumulati al termine della stagione 2010/11. Il patrimonio netto iscritto a bilancio è ora per la massima serie di 150 milioni. Quello della B di 50 milioni. In Lega Pro prima divisione si scenda a 3 milioni, mentre in seconda divisione si passa addirittura in territorio negativo (-1). ------- L'Oscar scaligero del bilancio Le big in profondo rosso Milan, Inter, Juventus e Roma in coda alla graduatoria dei conti di GIANNI DRAGONI (Il Sole 24 ORE 29-05-2012) Vince il Chievo. Undici anni dopo essere approdato alla serie A del calcio, il club veronese guida la classifica virtuosa dei costi per ogni punto conquistato. Ultime Inter e Milan. Per ogni punto conquistato nell'ultimo campionato (ne ha fatti 49) il Chievo ha speso 722mila euro. Il Catania è secondo, 756mila euro a punto. Terzo il Bologna, 865mila euro. Queste squadre conquisterebbero il diritto a giocare la Champions League dei virtuosi dei conti. L'Inter, ultima in questa graduatoria, ha speso poco più di cinque milioni per ogni punto, ne ha fatti 58. ll Milan, secondo in campo ma penultimo in questa classifìca, ha speso quattro milioni e 11mila euro. Terzultima la Roma, con poco più di tre milioni spesi per ogni punto. Per queste tre scatterebbe la retrocessione. La Juventus, tornata a vincere lo scudetto sei anni dopo le vergogne di Calciopoli, ma di nuovo attraversata dai brividi per le indagini dello scandalo scommesse su Antonio Conte riferite a quando allenava il Siena in B, è quart'ultima nella graduatoria dei costi riferiti alle prestazioni: due milioni e 362mila euro spesi per ogni punto. E una classifìca sostanzialmente rovesciata, rispetto a quella del campo (scommesse permettendo), la graduatoria elaborata dal Sole 24 Ore. Sono stati utilizzati dati molto semplici: i costi della produzione dichiarati nei bilanci dai club di serie A divisi per i punti conquistati (con una semplifìcazione, i punti sono dell'ultimo campionato, i bilanci dell'anno precedente). Sono inclusi tutti i costi di gestione, eccetto quelli finanziari (interessi sui debiti) e oneri straordinari. Qualcuno potrebbe definirla una classifica lunare, così lontana dai valori espressi in campo. E in effetti lo è, come è lunare un mondo di scialacquatori che continua a spendere più di quanto incassi. Nell'ultima stagione per la quale sono disponibili i bilanci, il campionato 2010-2011 (vinto dal Milan), la serie A nell'aggregato delle 20 squadre ha accumulato 300 milioni di perdite nette, circa il 18% dei ricavi escluse le plusvalenze, che sono stati pari a 1.652 milioni, secondo lo studio «Report Calcio 2012», elaborato dalla PriceWaterhouseCoopers (Pwc) insieme all'Arel e alla Figc. Il buco della massima serie in realtà è più profondo, perché le perdite sono state contenute attraverso le plusvalenze del calciomercato, pari a 348,5 milioni. Spesso le plusvalenze sono realizzate con operazioni tra squadre della stessa serie A, esclusi i pochi casi di cessioni all'estero, quindi in un ideale bilancio consolidato della serie A questi guadagni straordinari andrebbero sommati alle perdite nette dichiarate nei bilanci. Si potrebbe pertanto affermare che il rosso effettivo della massima serie è di 648 milioni di euro, cifra composta dai 300 milioni di perdite nette aggregate dei bilanci dei 20 club più i 348 milioni di plusvalenze. Questo vale per la stagione 2010-2011. Dell'ultima stagione sportiva non conosciamo ancora i conti, i bilanci chiudono al 30 giugno prossimo per la quasi totalità dei club. Alcune squadre seguono l'anno solare e complicano un po' l'analisi: è stato il Milan ad inaugurare questa deroga alla data del 30 giugno spostando la data di chiusura del bilancio al 31 dicembre quando Adriano Galliani era presidente della Lega e Silvio Berlusconi presidente del Consiglio, quindi imitato dalla Fiorentina di Diego Della Valle, dal Genoa di Enrico Preziosi, dal Torino di Urbano Cairo che ha appena riconquistato la serie A e altri. Il calcio ha bisogno di più trasparenza. Questa si migliora anche ristabilendo una data uguale per tutti per chiudere i bilanci. Come andrebbe anche stabilito l'obbligo di rendere più tempestive le comunicazioni sui conti. Se si eccettuano le tre squadre quotate in Borsa (Juventus, Roma e Lazio, quest'ultima l'unica ieri colpita da un ribasso delle quotazioni -4,8% a 0, 34 euro), i rendiconti sono disponibili al pubblico nell'archivio Infocamere-Cerved per molte squadre solo dopo sei-otto mesi dalla fine dell'esercizio. La graduatoria elaborata dal Sole 24 Ore sui costi per ogni punto non tiene conto del volume dei ricavi, quindi al virtuosismo del Chievo nei costi rispetto ai risultati non corrisponde il miglior bilancio in assoluto. Il piccolo club veronese ha dichiarato 35,9 milioni di euro di ricavi al netto di plusvalenze e una perdita di circa 300mila euro al 30 giugno 2011. Nella stagione 2010-2011 solo otto club in serie A avevano il bilancio in attivo. I conti migliori sono quelli di As Bari (14,2 milioni) retrocessa in B, Ss Lazio (quasi 10 milioni) e Us Palermo (7,8 milioni), quindi Catania (6,4 milioni) e Napoli (4,2 milioni): l'utile deriva però da plusvalenze per cessione di calciatori, non dal contenimento delle spese entro la soglia dei ricavi. L'80% circa della perdita complessiva della serie A è stata causata da tre squadre, Juventus con il peggior bilancio della sua storia (95, 4 milioni di perdita), Inter(83,1) e Milan (69,8). ------- Bundesliga virtuosa con la regola «fifty-fifty» di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 29-05-2012) La regola aurea per mantenere i conti in ordine e issarsi nell'Olimpo del calcio continentale la insegnano in Germania: bisogna resistere alle tentazioni ed evitare di elargire stipendi e premi ai calciatori per somme che oltrepassino il 50% del fatturato del club. Attenendosi a questo principio di prudenza la Bundesliga è diventata in pochi anni un modello per il calcio europeo. Un modello non solo finanziario, se è vero che l'anno scorso proprio la Germania ha sopravanzato l'Italia nel ranking Uefa assicurandosi un posto un più in Champions league (che significa risorse aggiuntive per l'intero sistema per almeno 25 milioni a stagione). Il Bayern Monaco che la scorsa settimana ha ceduto solo ai calci di rigore la Coppa dei campioni al Chelsea dell'oligarca russo Roman Abramovic, può essere a tutti gli effetti considerato, in quest'ottica, il leader di un calcio più sano. Nella stessa Nba, il clamoroso sciopero che fino allo scorso dicembre ha bloccato l'avvio del torneo, è stato superato con un accordo tra proprietari e atleti che prevede una ripartizione degli introiti proprio in base alla regola del "fifty-fifty". Se i club della massima divisione tedesca spendono per il costo del personale in media 47 milioni di euro, pari al 51% del giro d'affari, le 20 società di serie A in media versano ai propri tesserati 60 milioni pari al 74% del fatturato. Mentre in Spagna ogni team paga 48 milioni in stipendi e premi (con una percentuale del 59% del giro d'affari). D'altro canto, più si oltrepassa la soglia del 50% più è facile che i conti traballino. Anche se i fatturati sono alti e in apparenza ci si potrebbe permettere di corrispondere compensi ultramilionari. La Premier league, per esempio, primeggia in Europa con un giro d'affari che al netto delle plusvalenze vale circa 2,7 miliardi di euro. Ma i club inglesi spendono in ingaggi in media 85 milioni (pari al 63% del fatturato) e hanno denunciato mediamente, al termine della stagione 2010, perdite per oltre 25 milioni di euro. Le società della serie A hanno registrato in media, nello stesso periodo, perdite per 12 milioni. In Germania, invece, i deficit mediamente non hanno superato i 4,3 milioni di euro. Un rosso decisamente invidiabile.
  8. Le balle su Criscito Qualche nota per esaminare come si trasforma in poche ore un indagato – fra i meno centrali nelle ricostruzioni, con un ruolo davvero tutto da capire e dimostrare – in un colpevole. Nel colpevole perfetto, quello che gioca in Nazionale e dorme a Coverciano. di FEDERICO SARICA (Studio 29-05-2012) Ecco come titolava ieri il sito del Corriere della Sera un pezzo d’approfondimento sulla notizia della perquisizione del giocatore della nazionale Domenico Criscito: “Il summit al ristorante chiuso – in un ristorante di Genova Criscito, Sculli, il bosniaco e l’ultrà per combinare Lazio-Genoa”. Articolo introdotto in homepage dallo strillo: “Le immagini dell’incontro a Genova nel maggio 2011 con il clan degli zingari in un ristorante chiuso”. E ancora, di fianco a una delle foto con Sculli e Criscito: “Cosí é stata combinata Lazio-Genoa, i due giocatori indagati per associazione a delinquere finalizzata a frode sportiva”. Il lettore da ció deduce che quelle sono le foto di un incontro in cui Sculli e Criscito hanno combinato la partita, li hanno beccati, fotografati di nascosto e per questo indagati. Giusto? Sbagliatissimo. Ci torniamo dopo. Su ġazzetta.it sempre ieri, pezzo (il link potrebbe essere stato modificato) sullo stesso argomento dal titolo: “L’accordo per Lazio-Genoa, e Mauri usava Sim d’altri”. L’articolo é illustrato in homepage con una delle foto che ritraggono Sculli, Criscito e altri personaggi di cui parleremo dopo, intenti presumibilmente a chiacchierare fuori dall’ormai celebre ristorante chiuso genovese. Il pezzo poi inizia cosí: “Il Gip di Cremona, Mario Salvini, ha firmato l’ordinanza che prevede la custodia cautelare (in carcere o agli arresti domiciliari) in base a un voluminoso rapporto presentato dal pm De Martino il 7 maggio. Nell’ordinanza emergono tutti i perché Lazio-Genoa e Lecce-Lazio del campionato 2010-2011 sono finite nel mirino della magistratura. Ecco gli stralci salienti”. Segue poi un resoconto alquanto approssimativo delle ricostruzioni contenute nell’ordinanza relative soprattutto ai presunti accordi per combinare Lazio-Genova del 14 maggio 2011. A circa metà dell’articolo vengono inserite intercettazioni presumibilmente legate alla partita in questione, nell’ordine fra Kaladze, giocatore del Genoa e un certo Altic, lo stesso Altic e un non identificato “pregiudicato”, Sculli e di nuovo Altic. Di Criscito nessuna menzione. Nei due paragrafi successivi si snoda una riassunto delle ricostruzioni dell’ordinanza sulla presunta combine. Vengono nominati e coinvolti, oltre ad alcuni esponenti del clan dei cosiddetti zingari e di uno di Singapore, i calciatori: Mauri, Milanetto, Sculli e Zamperini. Criscito no. Ma perché quella foto allora? Così chiosa la ġazzetta nello stesso articolo: “tutti i personaggi coinvolti si sono poi incontrati al ristorante. Con Sculli e Criscito insieme ai personaggi stranieri coinvolti”. Il lettore deduce che una serie di calciatori, in combutta con delle organizzazioni criminali hanno alterato il risultato della partita, scommesso, vinto molti soldi e poi si sono incontrati tutti insieme. Criscito compreso. Giusto? Neanche per sogno. O meglio, pare che si siano incontrati sí, ma non a Genova bensì a Milano. Quattro giorni dopo la data in cui sono state scattate le fotografie. E Criscito, stando agli atti, non c’era. Almeno un paio di enormi inasettezze, per non dire balle, messe diligentemente in fila, quelle su Criscito. Basta leggere le pagine dell’ordinanza per rendersene conto. Quali? Queste: Balla n.1 Quella del titolo del corriere.it , sul summit, alla faccia del garantismo, “per combinare Lazio-Genoa”. Balla perché nelle immagini di quell’incontro, non c’è nessun appartenente al clan cosiddetto degli zingari, che a quanto sta emergendo era il cervello di questo scandalo del calcioscommesse, come strillava ieri il Corriere. Nessuno zingaro sí, avete letto bene. Nelle foto che riguardano quell’incontro si notano, oltre al personale del ristorante: Criscito, due ultrà del Genoa, tali Massimo Leopizzi e Fabrizio Fileni, e tali Safet Altic e Kujtim Qoshi. An, eccoli quelli del clan degli zingari. No. Sbagliato di nuovo. Safet Altic é un personaggio noto a Genova, già finito in scandali simili nel 2005 e recentemente arrestato per spaccio di stupefacenti. É persona considerata da anni vicina sia ad alcuni ambienti accesi del tifo genoano che a Sculli (nell’ordinanza compare infatti quasi sempre legato al nome dello stesso Sculli, di Milanetto e di Kaladze per manovre di recupero e distribuzione di somme di denaro). Non risultano, agli atti disponibili, suoi rapporti con Criscito. Un delinquente certo. Ma non un membro dei celebri zingari. Qoshi risulta essere un suo uomo. Parentesi su Altic. Le foto, le celebri foto che tutti abbiamo visto, sono state scattate nell’ambito di un’inchiesta che riguarda lui e il suo spaccio di stupefacenti. Gli inquirenti, quel giorno, stavano seguendo lui, erano lí per altro, non per il calcioscommesse né per Criscito (e nemmeno per Sculli). Solo successivamente sono state acquisite dal Gip di Cremona. Ma questo l’articolo di corriere.it non lo dice. Balla n.2 L’articolo della Ġazzetta, copia e incolla la notizia dell’incontro delle foto alla fine della ricostruzione sui presunti accordi e lo colloca temporalmente come chiosa finale della combine su Lazio-Genoa. Falso. Lazio-Genoa si gioca il 14 maggio del 2011, la cena delle foto si svolge martedì 10 maggio. Che fanno alla giornalaccio rosa, si inventano l’incontro finale? No, ma lo sostituiscono con la cena delle foto di Criscito, quasi a dimostrare che, sebbene il difensore della Nazionale non compaia mai negli atti e nelle intercettazioni acquisite fin’ora, comunque qualcosa c’entra. É sporco. Un incontro a chiosa della presunta combine in effetti avviene stando agli atti. Dice l’ordinanza: “il 16/05 lo Sculli era presente a Milano in occasione del summith ( con la H, testuale) conseguente alla partita Lazio-Genoa, al quale partecipavano Ilievski, Zamperini Milanetto e Dainelli del Genoa, nonché Bellavista”. E Criscito? Non risulta agli atti, ma per la Ġazzetta sì, che trasforma così l’incontro clou: “Tutti i personaggi coinvolti si sono poi incontrati al ristorante. Con Sculli e Criscito insieme ai personaggi stranieri coinvolti”. E se lo dice la Ġazza… Balle Spaziali. Complimenti a tutti per il mostro in prima pagina, per le foto messe lí dove si parla d’altro tanto per infamare un po’, per il blitz all’alba del lunedì a Coverciano con conferenza all’ora del secondo caffè a Cremona a mesi di distanza dai fatti contestati. Utile per gli indignados a scatto fisso e riflesso incondizionato, molto meno per la giustizia.
  9. Paese, specchio del pallone La giustizia spettacolo scende in campo, ma il calcio è marcio come noi ___ Pm da Tangentopoli e reati da corruzione sistemica. Ma non è la politica, sono le star del popolo e dello sport-business ___ Denari svizzeri e di Singapore di PIERO VIETTI (IL FOGLIO 29-05-2012) Roma. Il blitz nel ritiro di Coverciano alle sei di mattina nel giorno in cui il commissario tecnico della Nazionale Cesare Prandelli doveva rendere nota la lista dei prescelti per l’Europeo di giugno; l’arresto di giocatori famosi come Stefano Mauri, capitano della Lazio, e Omar Milanetto, per anni bandiera del Genoa; i nomi di Antonio Conte e Leonardo Bonucci, allenatore e difensore della squadra campione d’Italia, tra gli indagati; la sensazione che da un momento all’altro possano cadere altre teste, uscire altri nomi importanti. Gli elementi per qualcosa di dirompente nel mondo del calcio e sull’opinione pubblica c’erano tutti, e così è stato: ieri mattina gli uomini della polizia di Cremona, Brescia, Alessandria, Bologna e del Servizio centrale operativo (Sco) hanno eseguito 19 arresti per custodia cautelare e numerose perquisizioni in tutta Italia e all’estero nei confronti di appartenenti a una organizzazione transnazionale che sarebbe dedita alla combine di partite di calcio in Italia e in diversi altri stati. Le indagini sul calcioscommesse, iniziate un anno fa, sono arrivate a scoperchiare, se le accuse saranno confermate, un calcio che definire “malato” sarebbe eufemistico, oltre che retorico. Certo, tempi e modi degli arresti di ieri sono da manuale della giustizia- spettacolo, e il fatto che il tutto succeda nel paese di Tangentopoli non depone a favore di indagini basate per lo più su confessioni di altri indagati (è il caso di Antonio Conte, accusato da un suo ex giocatore del Siena di essere al corrente di una combine tra la sua squadra dell’anno scorso, il Siena appunto, e il Novara, mentre altri tre sostengono che Conte non sapesse nulla) e portate avanti a ondate mediatiche (sempre lo stesso Conte sapeva da oltre un mese di essere “sotto osservazione”, ma è stato perquisito soltanto ieri, peraltro senze essere mai stato sentito dalla procura). In attesa di capire se avrà la meglio chi vuole la gogna o chi grida al complotto, ecco le parole di Gilberto Caldarozzi, direttore del Servizio centrale operativo della polizia di stato: “Il pianeta calcio ha fatto registrare in tre fasi distinte infiltrazioni criminali”. Enormi flussi di denaro partiti da Singapore per conti cifrati in Svizzera e poi riversati su quelli personali, in particolare il cosiddetto gruppo dei bolognesi. L’accusa più grave, penalmente parlando, è proprio quella di riciclaggio (in concorso), poi c’è l’associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva (eredità di Calciopoli), fino all’omessa denuncia. L’attività investigativa ha coinvolto l’Interpol e l’Europol come accade per la criminalità organizzata, con scambio di documenti tra polizia ungherese e italiana e la rogatoria internazionale, con la Svizzera che si è dimostrata particolarmente collaborativa, la quale ha permesso di scoprire il passaggio di 289. 000 e 434.000 euro su un conto facente capo all’ex giocatore Giuseppe Signori; la seconda tranche, secondo gli inquirenti, sarebbe servita per manipolare Brescia-Lecce. Perché se è vero che il periodo in questione è la stagione 2010-11, non è vero che l’inchiesta riguarda solamente serie B e Lega Pro, ma anche la A. La politica questa volta non c’entra Per una volta lo scandalo non coinvolge i brutti ceffi della politica, ma gli idoli delle folle, le società di calcio, persino i tifosi (a Bari gli ultras, accortisi che i giocatori biancorossi scommettevano sulle proprie sconfitte, hanno deciso di scommettere pure loro, minacciando i giocatori). Questa volta è la società civile – o almeno parte di essa – a essere truffalda, menzognera, sporca e doppiogiochista. L’impressione è che si sia andati oltre, che la prassi non bella ma consolidata di “aggiustare” certi risultati soprattutto a fine stagione sia diventata regola, con l’aggravante del controllo della criminalità organizzata. Secondo l’accusa i giocatori avrebbero creato una rete di relazioni per raggiungere lo scopo illecito di combinare i risultati delle partite. Accuse da verificare, ma che se confermate aprirebbero un capitolo inquietante nella già travagliata storia del calcio italiano. Quanto sia vasto il sistema lo ignorano gli stessi inquirenti, anche se la sensazione è che dovunque si buttino le reti si possa pescare qualcosa di grosso. Se l’indagine si allargherà ancora potrebbero venire coinvolti club più grandi di quelli attualmente colpiti (che le operazioni di questi giorni siano anche un avvertimento?). Arresti e indagini rovineranno non poche carriere, a prescindere da quale sia la verità. Il calcio ha i suoi tempi, e mai come questa volta la fretta potrebbe portare cattivi consigli. Che ci sia qualcosa di marcio nel sistema è sicuro, che basti un’operazione spettacolare per purificarlo è da dimostrare. ------- IL FOGLIO.it 29-05-2012 'ste banane lasciate in redazione
  10. Il pallone di Luciano Il parallelo con Calciopoli è senza senso di LUCIANO MOGGI (Libero 29-05-2012) La piega presa ieri dalla vicenda del calcio scommesse ci amareggia. Non essendo per natura giustizialisti, restiamo prudenti ed immaginiamo che chi ha firmato quei provvedimenti l’abbia fatto mosso da prove o quantomeno indizi inconfutabili. In situazioni del genere il diagramma dovrebbe scattare quando è stato superato ogni ragionevole dubbio, non abbiamo quindi motivo di credere che il punto non sia stato soppesato da ogni parte, visto l’esito deciso. Sarebbe d’altra parte sconvolgente ogni altra valutazione, non sufficientemente suffragata, perché in procedimenti del genere la vita delle persone accusate - e anche delle loro famiglie - viene letteralmente sconvolta. Al punto che anche quando i capi d’accusa vengono smantellati, come talvolta è accaduto, quelle vite non potranno mai più tornare serene. L’impressione è di decisioni ponderate, sebbene viste tutte finora dalla parte dell’accusa. Il nostro ordinamento lascia tempi sufficienti per le difese, ma chi è stato colpito dai provvedimenti più duri si sentirà travolto più dallo tsunami della vergogna che dalla consistenza delle accuse, ed è da questa sensazione che deve uscire prima ancora di cominciare a difendersi. Dalla parte di Antonio Non possiamo entrare nel merito, non ci compete e non conosciamo gli atti, ma conoscendo ad esempio Conte, ora in posizione di indagato, non abbiamo dubbi che uscirà pulito dalla vicenda: conosce solo lavoro e sudore, la perquisizione è un atto dovuto, così come quella per Criscito. In linea generale, vedendo la vicenda nel suo complesso sono comunque da respingere parallelismi con Calciopoli, qui si indaga su organizzazioni accusate di lucrare su scommesse e su gare che a questo fine sarebbero state indirizzate, ci sarebbero movimenti di danaro alla base. In Calciopoli, al contrario, solo chiacchiere. Ricordate quello che disse Corrado De Biase, pm del calcio scommesse dell’80, quando gli chiesero un parere su Calciopoli? «Non c’è traccia di illecito, non c’è danaro, non ci sono assegni. L’illecito ambientale? Non è un reato, contemplato da nessun codice». E sul procedimento sportivo, De Biase fu sferzante: «Un aborto giuridico. Quando si vuole espletare in due settimane un procedimento che richiederebbe almeno sei mesi per un corretto iter investigativo, non può che venir fuori un aborto giuridico. Quando si cassa per motivi di tempo un grado di giudizio, quando si impedisce agli imputati di portare testimoni, dossier e filmati in loro discolpa, ma si concede solo 15’ per un’arringa difensiva, non si può non parlare di aborto giuridico. E non venitemi a parlare di normative Uefa o di liste da dare alla stessa per le coppe europee; i diritti degli imputati, tra cui quelli di potersi difendere con i mezzi che l’ordinamento mette a loro disposizione, vengono prima». Questa dichiarazione la segnaliamo a Del Piero e allo “scemetto” del quartierino che si è posto in difesa di Alex per scaricare come sempre fango su altri (Moggi ndr). Non riteniamo infatti che Del Piero abbia bisogno di difese, la sua storia, come uomo professionalmente inattaccabile, ci è ben presente e la difendiamo come sempre fatto. Puntualizzare sul numero degli scudetti non è certamente un attacco, che sono 30 e non 28 per tutti gli juventini, ancor più per i giocatori, e non possono non essere tali anche per Del Piero, che li aveva riconosciuti a Trieste nel dopo-partita con l’Atalanta: «I miei scudetti? Questo è l’ottavo che festeggio. Non ho dubbi». Ci sembra quindi lecito domandarsi perché i dubbi li abbia avuti dopo. Rivediamo le sentenze Sarebbe perciò opportuna la rilettura delle sentenze, anche quelle sportive, che hanno escluso che qualsiasi gara e qualsiasi campionato siano stati alterati. Conclusione alla quale è arrivata anche la sentenza penale di primo grado. Non si capisce perchè la Juve dovrebbe accettare le sentenze sportive di revoca del titolo ’04-’05 e di non assegnazione di quello ’05-’06. Invece di insistere sul numero di scudetti della Juve, Abete spieghi perché non ha revocato lo scudetto regalato all’Inter dal suo ex dirigente Guido Rossi: è quello il preliminare necessario prima della sua restituzione alla Juve. Il “mite” Abete, specializzato in due pesi e in due misure, è abbarbicato alla sua poltrona, non l’hanno smosso il fallimento al Mondiale 2010, la mancata qualificazione dell’Under alle Olimpiadi, e ancora la perdita dell’assegnazione dell’Europeo che sta per cominciare. Intende sopravvivere anche allo tsunami del calcio scommesse? Se non si è mai accorto di niente, è colpevole quanto meno di omessa vigilanza, abbastanza per avere la dignità e l’etica (valore a lui ben noto, ma in concezione variabile) per andarsene. Lo dice Fabrizio Bocca su Repubblica: «I dirigenti sportivi italiani dovrebbero tutti lasciare le poltrone su cui si sono accomodati per troppo tempo». Da parte nostra segnaliamo che il Dio del calcio è incavolatissimo in difesa delle vittime innocenti di Calciopoli.
  11. La giustizia sportiva Conte rischia lo stop, la Lazio l´Europa Corsa contro il tempo per i processi: entro luglio devono arrivare le sentenze Mano pesante per chi non patteggia: per i giocatori arrestati c´è anche l´ipotesi radiazione Tra i club Siena e Lecce potrebbero essere retrocessi per responsabilità dei presidenti di ALBERTO ABBATE & FULVIO BIANCHI (la Repubblica 29-05-2012) ROMA - E´ la scossa più forte, vacilla il calcio italiano. E si vergogna maledettamente: «È una giornata amara - sussurra il presidente della Figc Abete - perché non si può rimanere insensibili di fronte a certe immagini». Il blitz nel ritiro della nazionale a Coverciano, Mauri e Milanetto in manette per Lazio-Genoa, Conte indagato per associazione a delinquere e perquisito insieme al presidente Mezzaroma. Il Siena rischia la retrocessione - qualora dovesse essere accertato il coinvolgimento del suo presidente - per responsabilità diretta. Il 31 maggio, nel primo processo sportivo già fissato, dovrà solo difendersi da quella oggettiva, colpa del suo ex calciatore, il "superpentito" Carobbio. Si accavallano le inchieste della Federcalcio con i blitz dei pm, e ormai è una lotta contro il tempo: a fine luglio va data all´Uefa la lista dei club italiani ammessi alle Coppe, basterebbero i rinvii a giudizio a escluderli. Sulla base di quanto accaduto a Samp e Spezia, deferite per fatti risalenti alle ex società di Bertani e Carobbio, rischierebbe persino la Juve per Conte. Per fine luglio comunque, al massimo si potrà slittare di un paio di giorni, non di più (anche perché il 2 agosto l´Inter dovrà giocare i preliminari di Europa League - povera Inter, magari ci saranno ulteriori sviluppi con coinvolgimento nerazzurro ndt) bisognerà mettere la parola fine: faranno in tempo Stefano Palazzi e il suo pool a indagare e a completare i processi? Ci sono due mesi: pochissimi vista la mole di carte in arrivo anche da Bari. Soprattutto perché, almeno a Cremona, le indagini sono ancora in corso: «Non escludiamo possa esserci il coinvolgimento delle dirigenze per Lecce-Lazio», ha tuonato addirittura il pm Di Martino. I salentini - già retrocessi - andrebbero in C, la Lazio non vuole neppure pensare a ipotesi estreme: «Ci sono sospetti totalmente infondati», urla il comunicato del club. Palazzi ha già fatto istanza per avere i nuovi atti e conta di tornare a Cremona proprio per spiegare la sua fretta. In Figc sono abbastanza ottimisti: «Dovremo farcela». E anche il Coni vuole che si chiuda in fretta: «Con sdegno, ci auguriamo ci sia la massima severità», dice Petrucci. Lo scandalo però stavolta ha proporzioni gigantesche e a tremare sono tantissimi tesserati e club. Chi ha scommesso andrà incontro ad uno stop non inferiore ai due anni e a una multa minima di 25mila euro. In caso di omessa denuncia, la sanzione è di otto mesi mentre per l´illecito si parte dai tre anni per arrivare alla radiazione. Previsti sconti di pena: giovedì al primo processo ad esempio saranno tantissimi a patteggiare. Nei guai anche i club coinvolti per responsabilità oggettiva, presunta e diretta. La diretta comporterà la retrocessione all´ultimo posto in classifica: è quello che rischiano Siena e Lecce. Negli altri casi, responsabilità oggettiva o presunta, la condanna dovrà essere afflittiva: vale a dire la "penalizzazione che si appalesi inefficace nella stagione sportiva in corso può essere fatta scontare, in tutto o in arte, nella stagione sportiva seguente". La Lazio, ad esempio, potrebbe scontare 7 punti nel prossimo campionato. Ma attenzione alle squadre promosse nelle Coppe europee: l´Uefa, il 27 aprile 2007, ha cambiato il regolamento. Chi viene coinvolto, direttamente e/o indirettamente, in attività volte ad influenzare il risultato di incontri nazionali o internazionali viene escluso. Basta, come detto, il coinvolgimento. Per questo la Lazio potrebbe non partecipare all´Europa League, se le accuse a Mauri fossero confermate anche in sede sportiva. ------- I verbali "Mauri era al soldo degli zingari e sulla combine tra Lecce e Lazio d´accordo anche i dirigenti dei club" Nel mirino la gara tra i salentini e l´Inter. Spunta il nome di Vieri Mauri manifestava la costante disponibilità, a favore degli "zingari", ad alterare i risultati della Lazio Su Lecce-Lazio entrambe le squadre erano coinvolte, e presumibilmente anche i capi dei club di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 29-05-2012) CREMONA - La storia non insegna. Anzi, spesso si ripete. E così pare quasi di vederlo, stanotte, su questa pianura illuminata dai lampeggianti della polizia, quel filo biancoceleste che collega la biografia disordinata di Giorgio Chinaglia a quella di Bruno Giordano, Lionello Manfredonia, Giuseppe Signori, fino a quella di Stefano Mauri. Tutti calciatori della Lazio, tutti capitani nel fango. Ma le accuse della procura di Cremona, questa volta, rischiano di andare anche oltre, lasciando intuire che non solo i calciatori hanno avuto un ruolo nelle combine, ma anche le dirigenze dei club. Come del resto, il procuratore Di Martino dice chiaramente, a fine mattinata. «No, non lo escludiamo affatto che i dirigenti siano coinvolti. Anzi». Anzi: è l´ipotesi investigativa della prossima fase dell´indagine. I CAPI DEI CLUB La partita chiave, è Lecce-Lazio. Secondo la ricostruzione è la gara che celebra la saldatura tra il gruppo degli zingari e quello degli ungheresi, «che si erano recati in Italia - scrive il gip Guido Salvini - portando in auto 600mila euro destinati alla corruzione dei calciatori. In un primo tempo si era parlato di corruzione dei giocatori del Lecce, ma poi si comprende chiaramente che tutte e due le squadre erano coinvolte, e presumibilmente anche i capi dei club, e cioè i dirigenti». Su quella partita, ha spiegato ieri il pm Di Martino, «i gruppi criminali realizzano due milioni di euro». IL RUOLO DI MAURI Quella partita, dunque, fu organizzata attraverso la corruzione dei giocatori sia del Lecce, in particolare Vives (indagato a Bari per Bari-Lecce e autore di un autogol sospetto) e Ferrario, sia della Lazio, in particolare Mauri che da tempo "collaborava" con gli zingari ai quali era stato presentato dal suo amico Zamperini. «Mauri - scrive il gip - manifestava la sua costante disponibilità, a favore del gruppo degli "zingari", ad alterare in cambio di denaro il naturale risultato di partite della Lazio nell´ambito del campionato 2010-2011, favorendone la vittoria anche per una migliore posizione in classifica». IL TELEFONO CRIPTATO In questi mesi di indagine gli investigatori hanno ricostruito i frequenti (quasi ossessivi) contatti intervenuti tra Mauri e Hristjan Ilievski e Almir Gegic, i due capi degli zingari, tracciando alla fine una ragnatela inquietante di incontri, in hotel o allo stadio, telefonate notturne, sms. Un vortice di contatti avvenuti perlopiù attraverso un´utenza criptata, che Mauri si era procurato tramite un complice, e che gli investigatori hanno individuato e "seguito", ricostruendo tutti i movimenti del calciatore in corrispondenza delle partite "incriminate". L´ordinanza di custodia cautelare contiene passaggi abbastanza chiari sul punto. Tipo questo: «Dopo che Ilievski era atterrato a Roma il 14.5. 2011 (giorno della partita Lazio-Genoa, ndr) intrattenendo subito una serie di rapporti telefonici con Tan Seet Eng (il boss di Singapore, ndr), lo stesso giorno alle 10. 14 Mauri inviava sms a Zamperini che dopo aver parlato con Ilievski alle 11. 39, mandava un sms a Gervasoni (indagato e reo confesso, ndr) e poi di nuovo a Mauri alle 11, 40. A partire dalle 12.10, presumibilmente fino alle 15,20, Zamperini e Ilievski si trovano assieme a Roma. Tra le 12.42 e le 12. 45 i due predetti si trovano presso il centro sportivo della Lazio, ove si incontrano con Mauri per definire gli accordi. Quindi Zamperini e Iliesvki si spostano presso l´albergo di Roma che ospitava i calciatori del Genoa, dove sicuramente Ilievski si trovava alle 13,04 e nell´occasione si incontrano con il Milanetto (…)». INTER-LECCE FU COMBINE I racconti arrivati per rogatoria dall´Ungheria e una "rilettura" delle vecchie intercettazioni cremonesi alla luce dei fatti nuovi accertati hanno poi gettato nuovi dubbi su una partita già emersa durante la prima tornata di un anno fa, Inter-Lecce (1-0) del 2011. Riassume il giudice Salvini: "Il 20.3.2011 alle 17.33 (tre ore prima del match, ndr) Ivan Tisci (esponente di spicco dell´associazione, ndr) manifestava il suo interessamento anche alla partita Inter-Lecce. Il giorno dopo, Tisci riferiva a Bellavista di essersi recato a Milano e di aver appreso dai giocatori, ai quali si era unito Bobo Vieri, che la squadra dell´Inter aveva fatto "dei danni" in quanto tutti avevano scommesso sull´Over per la notizia che si era sparsa in giro. Nella successiva conversazione sempre del 21.3.2011, riprendendo il discorso, Tisci spiegava a Bellavista quanto aveva appreso circa la partita Inter-Lecce, dalla quale si desumeva che l´Inter non era stata in grado di ottenere il risultato perché dall´altra parte, e cioè dalla parte del Lecce, avevano voluto giocare e solo l´ultimo quarto d´ora si erano messi d´accordo». In un´altra intercettazione sempre del 21 marzo, «Tisci comunica a Bellavista di avere appreso, anche da Vieri Cristian (…) che la partita Inter-Lecce era stata giocata per oltre 700. 000 euro anche sul circuito inglese Bet Fair. In particolare, le puntate sul risultato finale, over 3. 5, erano assolutamente prevalenti, fino al punto che la notizia della possibile combine aveva travalicato i confini nazionali». ------- SE QUESTO È UNO SPORT di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 29-05-2012) CALCIO marcio, anche in nazionale. È devastante l´immagine delle volanti che entrano a Coverciano, la casa del pallone, la tana degli azzurri. È la fine di un mondo, e di un inganno. Come una lapide sulla credibilità del nostro calcio, uccisa da un anno tremendo: giocatori in galera, il luccichìo delle manette all´alba, l´allenatore della Juventus indagato per associazione a delinquere (ma per fatti che si sarebbero svolti quando lui era al Siena), gli "zingari", gli "ungheresi", campioni fotografati con criminali comuni fuori da un ristorante. Perquisizioni notturne, computer e telefoni cellulari sequestrati, cassetti rovesciati, armadi svuotati. Come per le vicende di mafia, camorra o riciclaggio. Come nei film. Invece, questo sarebbe sport. Almeno sette partite truccate in serie A, diciassette in B, con diciannove arresti: anche il capitano della Lazio e l´ex capitano del Genoa dietro le sbarre. Il calcio non riesce a togliersi lo sporco di uno scandalo, che subito s´inzacchera con il successivo: siamo ancora qui a discutere sulla terza stella bianconera, ed ecco che da Calciopoli si passa all´"illecito strutturale" delle scommesse, una vicenda dai confini mondiali, dall´Asia fino a casa (o cosa) nostra passando per l´Est europeo, l´Ungheria, la Svizzera. All´inizio, sembrava una vicenda di quattro balordi, giocatori a fine carriera, pesci piccoli, squadre minori. Pareva poco più di un furto di galline, una commedia grottesca con il portiere che mette il sonnifero nell´acqua dei compagni per stordirli, e perdere meglio la partita tutti insieme. Poi gli arresti di Beppe Signori, uno dei più forti attaccanti della storia, oggi accusato pure di riciclaggio, poi i carabinieri da Cristiano Doni che prova a scappare in garage. Poi le testimonianze dei pentiti, la ragnatela sempre più estesa fino all´altra parte del mondo, i nomi dei club coinvolti: roba grossa, enorme. Finché, ieri mattina, il fango non è tracimato addirittura in nazionale, la squadra che il povero commissario tecnico Prandelli – l´inventore del sacrosanto codice etico, persona più pulita di uno specchio – ora dovrà condurre agli europei navigando nella tempesta: Criscito va a casa, Bonucci invece resta, pure lui indagato, già così sembra una vicenda quasi impossibile da gestire. Anche se la nazionale, in passato, ha trovato forza proprio dentro la bufera, vincendo il mundial ´82 dopo le scommesse preistoriche dei fruttivendoli, e la coppa del 2006 in piena Calciopoli. Ma la vergogna non può alimentare la statistica. Il marcio è mondiale, però la fragilità del sistema è tutta nostra. L´ha messa alla prova, e smascherata, proprio la stagione più nera della storia. Non solo le scommesse, anche la violenza, anche gli ultrà padroni: come quando, a Genova, hanno obbligato i loro amati giocatori a levarsi le maglie. E nessuno lo ha impedito. Così come nessuna regola riesce a vietare che campioni affermati facciano pubblicità alle scommesse, sia pure legali: forse non è più il caso, anche per una questione di eleganza. E di credibilità: come può il tifoso, ingenuo nelle sue passioni ma sempre più stanco e disincantato, continuare a fidarsi di quello che vede in campo? Come convincerlo che non è tutto trucco, tutto inganno? La squadra che rappresenta un intero Paese, la nazionale, e la società più amata, la Juventus che pure non c´entra niente, come simboli di una ferita profondissima: è beffardo per i bianconeri, appena tornati campioni d´Italia, rischiare di perdere l´allenatore che li ha riportati fin lassù. Ma l´accusa nei confronti di Antonio Conte è grave, non solo omessa denuncia. E nel diritto sportivo l´onere della prova spetta agli accusati, non agli accusatori. Il presidente Agnelli si è immediatamente schierato con il suo allenatore, e ha fatto bene. Ha messo in moto un formidabile apparato legale: questa volta, c´è da risolvere un problema più grande dello scudetto di cartone di Moratti e dell´Inter. Tutto è caos, paura, incertezza. Squadre di grande nome come Lazio, Genoa, Siena ma anche, in misura minore, Udinese e Chievo, non sanno che campionato andranno a disputare, con quanti punti di eventuale penalità. E c´è chi potrebbe addirittura retrocedere. La giustizia penale, con i suoi tempi non rapidissimi, e quella sportiva, che ha invece esigenze di maggior celerità (campionati da disegnare, calendari da preparare, tesserati da punire o assolvere), ora incrociano i territori. Impossibile prevederne l´esito. Le procure di Cremona, Bari e Lecce hanno agende che non possono essere quelle della procura federale, ma neppure si può restare troppo in attesa di giudizio: anche se la fretta della giustizia sportiva, da Calciopoli in avanti, ha quasi sempre fatto danni. Forse, servirebbe il coraggio di fermare il calcio per qualche mese, ma interessi economici colossali non lo permettono. È meglio andare avanti così, in maschera? In attesa di altre manette? Niente processi sommari, niente colpi di spugna. I giudici, sportivi e ordinari, si prendano il tempo che occorre alla chiarezza. Nell´attesa, le istituzioni del nostro sport affrontino finalmente il dovere del cambiamento. Servono idee e volti diversi per riportare il calcio su un asse di moralità, per fermare la spaventosa asimmetria etica che lo ha devastato. Il terrore del nuovo alimenta solo il vecchio male.
  12. TUTTOSPORT 29-05-2012 ------- Se squalificato, niente panchina E la Juve rischia la Champions di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 29-05-2012) ROMA. Ma cosa si rischia, in caso di condanna in sede sportiva di Antonio Conte? Il fatto che l’avviso di garanzia della procura di Cremona sia per associazione per delinquere non è detto che venga tradotto in sede sportiva nell’articolo 9, quello dell’associazione finalizzata all’illecito. Il problema è che in quel caso rischia un trascinamento del club che ha tesserato Conte, anche se dopo i fatti attribuiti quando era in carica al Siena, dunque la Juventus. E’ già capitato alla Sampdoria con Bertani, ai sensi dell’articolo 4. 2 sulla responsabilità oggettiva. La presunta attività illecita di Conte dovrebbe aver esondato la data del tesseramento, in ogni caso il problema vero non sarebbe quello della sanzione: Palazzi, eseguendo il dettato della norma, chiederebbe un punto in classifica, ma anche in Procura non piace quella norma che punisce chi non ha nessuna responsabilità e le corti potrebbero ridurre il tutto ad una ammenda. Il problema sarebbe il requisito morale per l’iscrizione alla Uefa: se sei coinvolto in scandali per illecito, sei fuori. A prescindere. Ma per Platini conta il momento in cui avviene il fatto illecito: il caso qui è chiaro, la Juve non può rispondere in Europa per fatti accaduti al Siena. D’altronde il niet preventivo all’esposto Juve, basato proprio sulla norma approvata dopo l’iscrizione del Milan nell’edizione 2006-2007 nonostante la penalizzazione per Calciopoli in un’edizione vinta proprio dai rossoneri. Da quel 27 aprile 2007 c’è l’articolo 2, che funziona anche come moral suasion, visto il caso Fenerbahce. Per la cronaca proprio Platini, leggendo le notizie che arrivavano dall’Italia ha piegato la bocca in una smorfia: «Fare piazza pulita». Ma senza penalizzare chi non era responsabile dei proprio tesserati all’epoca dei fatti. E Conte, in caso di squalifica, per qualche mese in caso di omessa denuncia o di più? Nessuna inibizione allo svolgimento del suo lavoro in allenamento, niet totale alla guida tecnica in partita sia in Italia che all’Estero.
  13. Caso Conte, quello che non quadra di MARCIO SCONCERTI dal blog Lo sconcerto quotidiano (Corriere.it 29-05-2012) Non giudico Conte. Per me lui e tutti gli altri coinvolti, compresi quelli in carcere, sono innocenti fino a prova contraria. Dobbiamo però tornare ad abituarci a due tipi di giustizia, quella penale e quella sportiva. Un’omessa denuncia, per esempio, non è un reato penale, fa di un indagato un innocente, ma è un reato serio per la giustizia sportiva. Proporrei di aspettare per capire di più senza agitare subito le nostre passioni sportive. C’è però una cosa che non mi torna nella vicenda Conte. Carobbio, il suo accusatore, dice che Conte parlò della combine con il Novara nella riunione tecnica prima della partita. Cioè davanti a tutta la squadra. Perchè avrebbe dovuto farlo davanti a tanti testimoni? Che bisogno aveva di “tranquillizzare la squadra” in modo così ufficiale e palese? Sarebbe stato molto più logico rimanere in silenzio e far girare parola attraverso uno dei suoi giocatori più fidati. Perchè far sapere a tutti che sono a conoscenza dell’illecito? Non quadra. E’ però vero anche l’opposto: perchè Carobbio avrebbe dovuto scegliere per l’accusa un argomento così facilmente smentibile? C’è qualcosa che sfugge. Potete aiutarmi?
  14. Una scommessa li sotterrerà di OLIVIERO BEHA (il Fatto Quotidiano 29-05-2012) Era già basso, bassissimo impero: adesso il pallone rischia la fine dell’Impero romano, imbarbarito al punto da non riprendersi più. Per scendere un pochino di tono, rischia la polverizzazione dell’ippica, o della boxe. Dopo aver tenuto (forse) a bada le farmacie denunciate da Zeman, è precipitato nel doping del denaro che contiene tutte le altre forme di doping e adesso agonizza nelle sale-corsa ormai anche solo virtuali delle scommesse col trucco. DOPO GLI arresti di ieri, a naso neppure gli ultimi al punto da far dire al procuratore capo di Cremona sotto i riflettori: “Non posso continuare all’infinito, i miei magistrati sono sotto organico...”, venuti a rate, al ralenti o alla moviola dopo un anno di alone giudiziario, questo è diventato un articolo difficile. Sono cose che ho scritto e riscritto (ma è colpa mia se ne parlavo solo io...?). Almeno per chi legge questo giornale, non una novità. Ma ecco, magari parto proprio dal lettore di queste righe. Se se ne fotte del calcio, gli manca una lente di ingrandimento delle magagne italiane, a partire dalla deriva del tifo che è debordato dagli stadi/studi alla politica vuota dei contemporanei. Se invece è emotivamente coinvolto da qualche squadra, o si accinge comunque a suffragare “gli azzurri di Prandelli agli Europei” (che ne avrebbero certamente bisogno...), quello che è accaduto con gli arresti, gli indagati, le violazioni dei santuari (leggi Coverciano), le cifre da capogiro ecc., non dà solo un’accelerata al precipizio, uno scandalo o una porzione di scandalo in più. No. Se costui non cede il cervello al gatto completamente, persino in trance tifosa da ora in poi sarà difficile che abbocchi: ma guardate quella Lecce-Lazio dell’anno scorso riproposta ieri in tv mille volte, e solidarizzate con me con i telecronisti ispirati, i commentatori esperti, le falangi sugli spalti e gli hinchas via etere. Una gigantesca presa per il C**O. C’è il rischio che perfino un Paese in coma in tutto o quasi prenda atto dello “spread” tra quello che gli danno a bere e quello che è invece la realtà. C’è insomma il rischio benefico che i tifosi si sveglino dalla franchigia emotiva e irrazionale del tifo. Ma poi? Sarebbe un’altra Italia. . . Quella di oggi ha ignorato un anno di segnali inquietanti. Qualcuno ricorda quando il Procuratore capo Di Martino, lo stesso di oggi, disse da Cremona che erano forse coinvolti club di A? I media gli saltarono addosso, e lui si corresse in un più prudente “solo mie sensazioni”. Oppure il capo della polizia, Manganelli, che mesi fa in una conferenza stampa presagì il peggio? O ancora lo stesso Di Martino che sempre mesi fa alluse alla necessità “forse di un’amnistia”, lasciando intendere la gravità solo sfiorata dello scandalo? NIENTE, nessuna reazione, l’opinione pubblica veniva deviata su campionato e Coppe, l’idea di fondo era che ci fosse in giro “qualche mascalzone” come in qualunque altro settore sovrabbondante della vita italiana. Troncare, sopire, anche qui. Ebbene, non è così. Adesso si deve sapere che il calcio può sparire, ridursi a qualcosa di simile al famoso catch di Roland Barthes in Miti d’oggi degli anni 50. Le scommesse, praticamente incontrollabili, possono tagliare le radici di questo sport, già sempre meno popolare, sempre più indotto e sempre più televisivo, devastato dal denaro e guastato, fin dalla pratica dei bambini o “pulcini” che siano, da un sistema malato in cui soprattutto i genitori sono latori del contagio. Le scommesse legali e tutto il sistema di trucchi e corruzione e frode che si stanno portando dietro per quello che appare oggi possono riuscire dove altri scandali e altre nequizie avevano fallito: possono rendere finto, ancora più finto, tanto finto da disturbare anche palati grossolani, il gioco del calcio, sempre meno gioco, sempre più scommesse. Soluzioni? Immediata consapevolezza politica ad alto livello (ma di chi?), per non lasciare la fessa in mano ai ragazzini sportivi giacché nel settore (ahimé non solo in questo) siamo pieni di Romoli Augustoli. Misure serissime nei confronti di tutti i coinvolti, giacché ormai è più facile indicare chi “non” ha truccato le partite e quindi ci ha scommesso o ci ha fatto scommettere sopra piuttosto che chi è del tutto estraneo al fenomeno. CHE È avanzato così tanto proprio per questo, perché è stato “nor malizzato”: chi non scommette – ovviamente su partite prestabilite – è un fesso. Quindi se è vero che a Coverciano hanno preso un Criscito, ditemi che tutti gli altri del giro azzurro, a partire da Buffon, non sapevano o addirittura non sanno dello scandalo? Lo sanno benissimo, e se sono onesti non lo accettano senza però denunciarlo a meno che non vengano coinvolti e rifiutino tale coinvolgimento. Nel regno dell’ipocrisia e dell’omertà tutti sanno tutto, a partire da quella stessa giustizia sportiva che li deve indagare e giudicare: in altre situazioni la chiamano mafia, o mafiosità, qui, nel regno del gioco sconvolto, la possiamo chiamare “pallonismo amorale”, una grande famiglia sulla soglia dell’estinzione che dà un pessimo esempio a un Paese sulla medesima soglia. ___ Repubblica SERA 28-05-2012
  15. Processi e inchieste Il calcio è sotto tiro Palazzi da giovedì porta a giudizio 22 club e 61 tesserati Mentana al tg: «Nella notte arresti, pure giocatori di A» (Al lupo, al lupo! Stavolta è successo) di FRANCESCO CENITI (GaSport 28-05-2012) Con i campionati di A e B archiviati (o quasi: da decidere una promozione nella massima serie e una retrocessione in Lega Pro) e l'Europeo distante (prima gara dell'Italia il 10 giugno contro la Spagna), l'attenzione dei prossimi giorni sarà sugli sviluppi caldissimi sul calcioscommesse. Giovedì a Roma si apre il primo processo a carico di 22 società (tre di A: Atalanta, Novara e Siena) e 61 tesserati, 52 i calciatori in attività. Si tratta del troncone avviato da Palazzi sugli incartamenti avuti dalla Procura di Cremona, ma molti atti sono stati stralciati e faranno parte di una seconda ondata prevista a luglio e che dovrebbe investire in pieno la A. Anche perché nelle prossime settimane Palazzi potrà operare nuove audizioni sui documenti avuti dall'inchiesta di Bari. Non solo, da tempo «voci» indicano una nuova attività investigativa da parte di Cremona. Attività che potrebbe avere presto sviluppi importanti. Le tv annunciano arresti Ieri sera prima in modo più soft il Tg5 e in seguito in maniera più diretto il tg La7 nell'edizione serale (quella col maggiore ascolto) hanno annunciato prossimi arresti, anche giocatori di A. Arresti che secondo il direttore Enrico Mentana «saranno eseguiti nel corso della notte». Cioè stamani. Di sicuro da tempo il pm Roberto Martino (che dal dicembre 2010 indaga sul calcioscommesse, ipotizzando una associazione a delinquere internazionale) sta scavando sugli intrecci tra gli zingari e giocatori «infedeli». Quelli ingaggiati per alterare le partite. L'inchiesta di Cremona ha già portato a diversi ordini di custodia cautelare: i primi nel giugno 2011 (tra gli arrestati Beppe Signori, Antonio Bellavista, Vincenzo Sommese e il portiere Marco Paoloni); una seconda raffica il 19 dicembre (in manette anche Cristiano Doni, Gigi Sartor e gli attuali pentiti Carlo Gervasoni e Filippo Carobbio); la terza a febbraio 2012 con la cattura del portiere Mario Cassano. I processi sportivi L'estate del calcioscommesse sarà dunque caldissima. Il processo che inizierà giovedì è solo l'inizio. Sono oltre un centinaio i calciatori indagati dalle tre procure ordinarie (Palazzi aspetta anche le carte anche da Napoli, dove l'ex portiere degli azzurri Gianello ha confessato una tentato illecito per la gara contro la Samp - e contro l'Inter, nevvero ndt) e potrebbero aumentare. La linea della Figc è tracciata: pugno duro, specie con i calciatori. Sconti possibili solo a chi collabora. Unica strada possibile per evitare radiazioni e squalifiche pesantissime.
  16. Algeria Football v politics ORAN The rowdiness of football fans makes the regime queasy by The Economist | May 26th-June 1st 2012 FOOTBALL terraces in President Abdelaziz Bouteflika's Algeria are a privileged space for free speech expressed by the part of the population that his regime fears most: angry young men. Thousands of police are bussed in to keep an eye on them at matches, but the fans have safety in numbers. The authorities anyway think football fanaticism a safety valve, preferable to protests on the streets. However, in the Algerian cup final, which saw the Algiers team, CRB, lose to the north-eastern city of Sétif on May 1St, one slogan that rang through the stadium before the start of play was "Ouyahia out!", a rude reference to Mr Bouteflika's hapless prime minister, Ahmed Ouyahia, who has borne the brunt of anger over a lack of jobs that has left more than one in five young people out of work. Other chants called for a boycott of the recent general election, on May 10th. A recent slogan was, "One! Two! Three! Screw those who vote!", along with another old favourite (which rhymes in Arabic): "The firms are all closed down, the generals are all thieves!"The cheekiest of the jingles are speedily posted on YouTube. Not all the chants are political. The atmosphere is often good-humoured, with tambours and castanets accompanying club anthems. Mr Bouteflika has craftily proclaimed himself as the nation's football-fan-in-chief. Last year a huge poster showing him with a football was draped down one side of the capital's main soccer stadium. When the Algerian team played Egypt in a World Cup qualifying match in Cairo (and lost 2-0) in 2009, he provided cheap flights for many Algerian fans. But worries about football violence are rising. A policeman was killed at a big match in March. Players, police and fans have been wounded and seats burnt at more recent games. At one in Algiers on April 2nd two cameras belonging to a state television channel were smashed; a cameraman narrowly escaped harm. The regime still uses a more traditional conduit for spreading its message among the restless young: the Friday mosque sermon. A recent homily, preached across the land, was devoted to persuading worshippers that the practice of self-immolation was not the best response to the difficulties of daily life. In the election on May 10th, which was duly won by the independence-era National Liberation Front (FLN), the turnout was put officially at 43%, though many Algerians think it was probably a lot smaller. Young men were notable by their absence. A senior FLN man admitted, "Perhaps we are out of step with the younger generation." YouTube impertinence carries risks. Tarek Mameri, a young man from Algiers, began posting his unedited thoughts on the state of the country, urging a boycott of the election. Footage shot at dusk shows him and a couple of men throwing election billboards to the ground, to a soundtrack of frenetic Algerian rap. He was promptly picked up at home by police in plain clothes. He was later freed, but faces the magistrates at the end of the month.
  17. Il dibattito delle idee Diritti tv, oligarchi russi, sceicchi miliardari: cosa insegna l’ultima sconfitta del Bayern      Palloni sgonfiati Nel calcio neoliberista i ricchi sempre più ricchi E i poveri restano ultimi di TOMMASO PELLIZZARI (laLettura #28 - 27 maggio 2012) Invece di accusarlo di essere il nuovo oppio dei popoli, e di guardarlo per questa ragione con distacco o disprezzo, molti intellettuali neomarxisti o semplicemente antiliberisti farebbero bene a osservare il calcio da vicino, perché potrebbero scoprire cose interessanti. Tra cui soprattutto una: il calcio è quel microcosmo in cui l’applicazione pratica dei principi fondamentali del neoliberismo nella sua versione più radicale (in estrema sintesi, quella per cui solo ilmercato puro è in grado di regolare se stesso) ne ha reso evidenti molti limiti. In particolare, il calcio contemporaneo dimostra che alcune delle critiche fondamentali mosse all’ideologia neoliberista contemporanea si sono rivelate fondate. E cioè: a) non è per l’appunto vero che, senza intervento di un’autorità indipendente superiore agli attori in campo, un mercato finisce comunque per autoregolarsi; b) senza interventi redistributivi dall’alto i ricchi tenderanno a diventare sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; c) sul mercato del lavoro, gli operatori devono affrontare la concorrenza di forza lavoro extracomunitaria; d) l’eccesso di finanziarizzazione crea un eccesso di dipendenza dalle fluttuazioni dei mercati e finisce per allontanare il cuore dell’impresa dal territorio di cui è espressione e fornitore d’identità al tempo stesso. Il «piede» invisibile Così come Adam Smith non è Milton Friedman, il calcio del terzo millennio non è quello che va dagli inizi di fine ’800 agli anni 90 del ’900. In altre parole, quello del calcio è sempre stato un mondo caratterizzato dai princìpi- base del liberalismo economico. In fondo, si tratta di un’arena in cui una serie d’imprenditori competono fra loro investendo denaro all’interno di un sistema di regole certe che permettono di determinare con chiarezza vincitori e sconfitti. Esattamente come in qualsiasi altra attività economica, ci sono imprenditori più e meno ricchi, e quindi diverse opportunità di successo per ogni singolo attore, con l’ovvia conseguenza che chi parte avvantaggiato ha più probabilità di ottenere successi, che a loro volta forniscono ulteriori mezzi per rafforzare il proprio predominio e così via. Una significativa carenza di equilibrio è quindi sempre stata piuttosto fisiologica al sistema calcio. Come ricordano Simon Kuper e Stefan Szymanski nel saggio Calcionomica (Isbn, 2010), in Italia «dal 1960 al 2009 Juve, Inter e Milan hanno vinto 37 scudetti su 50, rispetto ai 35 titoli spagnoli che nello stesso periodo si sono spartiti Real Madrid e Barcellona e ai 32 campionati inglesi finiti nelle bacheche del triumvirato Manchester United, Liverpool e Arsenal». Ma se, restando solo in Italia, tra il 1960 e la fine degli anni 80 gli scudetti conquistati dalle tre grandi sono circa i due terzi, tra il 1992 e il 2009 la percentuale è salita quasi al 90%. In Spagna, degli ultimi dieci campionati uno lo ha vinto il Valencia, 5 il Barcellona e 4 il Real Madrid. Quest’anno, i blancos di José Mourinho hanno conquistato la Liga con un punteggio mai visto prima, 100 punti. È la prima volta: nel 2010 il Barcellona di Pep Guardiola si era fermato a 99. Il problema è che se nei due anni precedenti il Valencia (terzo classificato) aveva totalizzato 71 punti (cioè 28 e 25 meno del Barcellona campione), quest’anno si è fermato a 61: il distacco è cioè salito a 39 punti. Con i suoi 50 gol, il capocannoniere del torneo Leo Messi ha segnato da solo più di quanto siano riuscite a fare 13 squadre del campionato. È anche per questo che la definizione che il presidente del Siviglia José Maria Del Nido ha dato del campionato spagnolo non sarà molto in stile London School of Economics, ma rende l’idea: «Una Liga de mierda». E non parlava degli oltre 750 milioni di debito che i club hanno col fisco, o del buco in bilancio da 2. 153 milioni complessivi di Real, Barcellona, Atletico Madrid, Athletic Bilbao e Valencia (i 5 club arrivati alle semifinali di Champions ed Europa League). Del Nido si riferiva alla «scozzesizzazione» del calcio spagnolo, cioè alla trasformazione in un campionato in cui la sfida si riduce a due squadre (come Rangers e Celtic) mentre tutte le altre partecipanti al torneo si limitano a fare da comparse. In Inghilterra, da quando il campionato inglese è diventato Premier League, 12 volte ha vinto il Manchester United, 3 l’Arsenal, 3 il Chelsea (dopo l’arrivo del miliardario russo Roman Abramovich). L’unica eccezione, del 1994-95, è stata il piccolo Blackburn Rovers: retrocesso nel 1999, è tornato in Premier nel 2001 senza mai più andare oltre il sesto posto. Domenica 13 maggio 2012 è infine arrivato il Manchester City. Da quando ne è divenuta proprietaria, nel 2008, la famiglia dello sceicco Mansour bin Zayed al-Nahyan ha speso circa 1, 1 miliardi di euro. Come ha ricordato Dave Simpson sul «Guardian», il Leeds, l’ultima squadra a vincere il campionato inglese prima che diventasse Premier League nel 1992, era costato 10 milioni. La prima rivoluzione Proprio la data del 1992 è fondamentale, perché in quell’anno avviene la prima rivoluzione: Rupert Murdoch perfeziona l’idea della francese Canal+ e inonda di soldi le squadre di calcio in cambio dei diritti di trasmissione delle partite via satellite a pagamento. A quel punto, il peso specifico di una squadra diventa il parametro fondamentale per l’individuazione dei criteri di ripartizione: anche nel modello più «partecipativo», le vittorie, il numero di tifosi e il cosiddetto «bacino d’utenza» di una squadra determinano l’arrivo di più o meno risorse. Teoricamente è come la famosa democrazia secondo Winston Churchill («il sistema peggiore, eccetto tutti gli altri»): però in Spagna, per esempio, a Real Madrid e Barcellona va quasi la metà dei diritti tv, il resto viene diviso tra le altre 18 squadre. Le due squadre hanno ciascuna 600 milioni di debito con le banche, ma il credito continua a essere concesso grazie a fatturati intorno al mezzo miliardo annuo, agli ottimi andamenti delle attività di merchandising e alla sicurezza di asset come gli stadi di proprietà. Un po’ quello che succede in Inghilterra, dove la variabile fondamentale sta diventando il capitale investito (si fa per dire) da personaggi di ricchezza incalcolabile come Abramovich o la famiglia Mansour, che spendono sul mercato molto più di quanto una distribuzione di diritti tv più equa o il merchandising possano garantire. In un’ottica strettamente neoliberista, peraltro, il modello di business in parte funzionerebbe (grazie anche agli Stati che pure qui chiudono un occhio sui debiti): il calcio dei ricchi, infatti, si vende — e bene — in tutto il mondo. Il problema è che la soglia d’ingresso nel mercato che conta si alza ogni giorno, rendendo sempre più difficile l’affermazione dell’equivalente della start up nata in un garage. Se Davide non batte mai Golia, ricordano Kuper e Szymanski, il calcio inizierà a perdere appassionati, insieme alla sua essenza. Nel 2012, Davide è ilMontpellier campione di Francia con un bilancio di 36 milioni, davanti al Golia-Psg degli emiri. Ma è lo stesso presidente Louis Nicollin, il terzo imprenditore più importante di Francia nel trattamento dei rifiuti, a spiegare che non può durare: «Del Psg parleremo per almeno cinque anni». Il meccanismo, descritto da Gianfrancesco Turano in Tutto il calcio miliardo per miliardo (Il Saggiatore, 2007) è nel complesso semplice: «Se più soldi significano più campioni, il denaro delle televisioni ha ulteriormente rafforzato il potere dei grandi club; più si guadagna più si vince, ma è altrettanto vero che più si vince e più si guadagna», per poi ricomprare altri campioni e così via. Ma se i campioni costano sempre di più è per via della seconda rivoluzione che, negli anni 90, investe il calcio: quella determinata dalla cosiddetta «sentenza Bosman ». La seconda rivoluzione Bosman sarebbe Jean-Marc Bosman, un calciatore destinato a un destino da totale sconosciuto se non fosse per la causa (storica) che vince nel 1995. Cinque anni prima la sua squadra, il Liegi, gli aveva proposto un rinnovo al ribasso del suo contratto da 40 mila euro l’anno in scadenza. Bosman aveva rifiutato e aveva firmato per i francesi del Dunkerque. Imponendo un prezzo d’indennizzo di 200 mila dollari, il Liegi fa saltare il trasferimento, costringendo Bosman a chiudere la carriera a La Réunion, mentre il procedimento alla Corte di giustizia europea segue il suo iter. Fino alla sentenza, secondo la quale ogni lavoratore a fine contratto è libero di trasferirsi in qualsiasi Paese dell’Unione e senza che sia dovuto alcun indennizzo. A quel punto i club decidono di tutelarsi proponendo da una parte contratti lunghi e ricchi ai fuoriclasse (o a quelli che sembrano tali), perché è con loro in squadra che i risultati si ottengono più rapidamente. Dall’altra, completano la rosa andando a pescare nei mercati più convenienti: Est europeo, Africa e soprattutto Sudamerica. Così, manodopera a basso costo, ad alto rendimento e virtualmente infinita per potenza demografica, invade il mercato europeo modificando radicalmente la natura del calcio. Gli esempi sono infiniti: il club campione d’Inghilterra (il Manchester City) è di proprietà degli sceicchi degli Emirati arabi. Il suo antagonista, lo United, è in mano agli americani, come il Liverpool. La squadra campione d’Europa, il Chelsea, è del russo Roman Abramovich. La nazionale inglese, teoricamente espressione di uno dei due campionati migliori del mondo, è piena di calciatori di livello medio, perché le squadre principali sono piene di stranieri (come l’Inter vincitrice della Champions League 2010, in cui l’unico italiano in campo è Marco Materazzi, entrato all’ultimo minuto). In Spagna, dove il vivaio del Barcellona (la mitica cantera) resta comunque un’eccezione, in cima alla classifica marcatori ci sono due argentini (Messi e Higuain), un portoghese (Ronaldo), un colombiano (Falcao) e un francese (Benzema). E poi c’è la Germania. Nel 2002, il fallimento del gruppo televisivo Kirch lasciò i club senza soldi, così quella di puntare sui vivai non fu una scelta, ma una necessità. Sarà un caso, ma negli ultimi anni il calcio tedesco ha scavalcato di slancio quello italiano nel ranking Uefa e la sua nazionale è la favorita (altro caso, insieme alla Spagna) all’Europeo 2012. Con i suoi splendidi stadi nuovi e sempre pieni, costruiti per il Mondiale 2006, e le sue squadre multietniche e autosufficienti (da 19 anni il Bayern Monaco ha i bilanci in ordine) quello tedesco è il modello che fa o dovrebbe fare scuola. Nella sua Storia delle idee del calcio, Mario Sconcerti scrive che il modo di giocare di un Paese rispecchia la sua maniera di vivere. Volendo ancora guardare all’Europa come a un’Unione, la finale di Champions tra Chelsea e Bayern Monaco somiglia molto a uno scontro simbolico tra due concezioni non solo di calcio. Se è così, non ci vuole molto a indovinare per chi possa avere tifato il presidente dell’Uefa Michel Platini. L’ex fuoriclasse francese, con le sue battaglie per il fair play finanziario e per la difesa delle identità calcistiche nazionali, sembra sempre più un vecchio socialista utopista—un po’ come Obama secondo gli avversari della riforma sanitaria negli Usa. Che pure è lo stesso Paese in cui gli stipendi milionari dei fuoriclasse dello sport sono regolati dal «socialistissimo» salary cap. Il fatto che comunque, alla fine, la Champions l’abbia vinta il Chelsea di Abramovich, con il premier conservatore David Cameron (al G8 di Camp David) a braccia alzate di fianco a un’impietrita Angela Merkel, è un segnale in più per l’Europa affaticata di questo 2012. Molti dei dati utilizzati in questo articolo sono tratti dal saggio di Simon Kuper e Stefan Szymanski «Calcionomica. Meraviglie, segreti e stranezze del calcio mondiale» (Isbn, 2010) e dal libro-inchiesta di Gianfrancesco Turano «Tutto il calcio miliardo per miliardo. Il pallone da Rocco ad Abramovich» (Il Saggiatore, 2007). La teoria di Mario Sconcerti secondo la quale «un Paese gioca a calcio come vive» è contenuta in «Storia delle idee del calcio» (Baldini Castoldi Dalai editore, 2009). Per un riassunto delle principali dottrine neoliberiste: John Cassidy, «Come crollano i mercati. La logica delle catastrofi economiche» (Einaudi, 2011) e Colin Crouch, «Il potere dei giganti. Perché la crisi non ha sconfitto il neoliberismo» (Laterza, 2011)
  18. Il caso Fuga da 'hedge fund' e Borsa Per investire meglio il calcio Sta diventando tendenza: in questo periodo di crisi dei mercati, i ricchi investitori tentano la fortuna con la proprietà dei diritti economici dei calciatori. E' il fenomeno delle 'parti terze', come li chiama il regolamento Fifa. Da Tevez a Mascherano a Neymar: è caccia agli 'artisti' del pallone, come fossero Van Gogh di STEFANO SCACCHI (Repubblica.it 26-05-2012) MILANO - Dagli hedge fund a Neymar e agli altri giovani fenomeni del calcio. E' la nuova tendenza sui mercati finanziari devastati dalla crisi mondiale. Sempre più spesso ricchi investitori, stufi di perdere soldi tra listini e obbligazioni, lasciano la Borsa per tentare la fortuna con uno dei pochi settori che garantisce guadagni stratosferici in pochi mesi: la proprietà dei diritti economici dei calciatori. E' da anni che in Sud America i gruppi privati detengono quote di controllo dei giocatori: è il fenomeno delle "parti terze", come le chiama il regolamento Fifa che vieta ogni interferenza tecnica dei privati sulle vicende tecniche relativi agli atleti. Ha iniziato Kia Joorabchian con la sua Msi che spostava da una squadra all'altra Tevez e Mascherano. Poi sono entrati grande società brasiliane come Traffic (specializzati nel calcio: hanno addirittura due squadre oltre a decine di giocatori) e Sonda (supermercati). Quest'ultima ha ottenuto rendimenti elevatissimi dalla cessione di Breno dal San Paolo al Bayern. E ora spera di fare altrettanto con Neymar (ha in mano il 40 per cento della nuova stella della Seleçao). In Brasile ormai questo settore viene valutato al pari degli altri investimenti finanziari. Settimana scorsa, durante un dibattito sulle "parti terze" al Wyscout Forum a Milano, organizzato con la collaborazione del Centro Studi Diritto Sport, un avvocato brasiliano, Nilo Effori, ha mostrato una slide dalla quale emergeva il vantaggio smisurato di chi aveva investito nel calcio, anziché in petrolio, materie prime o telecomunicazioni. E questa consapevolezza si sta estendendo anche al resto del mondo. "Ho portato via 20 milioni di euro da un hedge fund in Lussemburgo. Ero stanco di perdere. Voglio investirli nel calcio. C'è qualche club dove posso farlo sperando di guadagnare qualcosa?", si è sentito chiedere un avvocato d'affari italiano da un cliente nelle scorse settimane. Il legale aveva già la risposta pronta: "Con un club non guadagna nessuno. Provi con la proprietà dei calciatori". Non a caso alcune società finanziarie, da alcuni mesi, stanno simulando le performance di fondi basati proprio sulle quote di controllo dei giocatori. I risultati sono assolutamente confortanti: anche se l'operatore non centrasse i risultati migliori - come quelli ottenuti da Sonda con Breno (un incredibile +2400 per cento, frutto di una scommessa riuscita alla perfezione grazie al trasferimento quasi immediato in Germania) - l'andamento sarebbe nettamente superiore a quello degli indici di Borsa degli ultimi rovinosi mesi. E così, contrariamente a ogni previsione, il calcio sta diventando un bene rifugio per milionari in fuga dai mercati finanziari. Paradossale dopo decenni nei quali questo sport pareva essere un buco nero buono solo per imprenditori in cerca di visibilità, ma sicuramente non foriero di guadagni. Invece i calciatori sono considerati come forzieri dove trovare riparo, come è sempre stato con i quadri d'autore. Ma non tutti sono entusiasti di questa ulteriore iniezione di affarismo nel mondo del pallone. L'Uefa potrebbe arrivare a vietare la partecipazione alle coppe europee dei calciatori, controllati da "parti terze". La proposta, lanciata durante il Comitato strategico sui calciatori professionisti settimana scorsa a Monaco di Baviera, sarà discussa per l'eventuale approvazione nella prossima riunione dell'Esecutivo di Nyon. Il governo del calcio continentale è preoccupato anche per le possibili influenze dei gruppi criminali attivi nelle scommesse illegali che aumenterebbero a dismisura nel caso in cui certi delinquenti riuscissero a gestire uno o più calciatori per squadra. Qualcosa di simile è già successo in Finlandia con il Tampere (caduto nelle mani dei gruppi di Singapore indagati a Cremona), nel 2011 sospeso da ogni attività calcistica dall'Uefa. Chissà se queste preoccupazioni basteranno a rendere più disciplinato l'assalto dei milionari in fuga dalle Borse, a caccia dei nuovi Neymar come fossero capolavori di Van Gogh.
  19. Repubblica SERA 23-05-2012 ___ GaSport 24-05-2012 ------- GaSport 25-05-2012
  20. CALCIOSCOMMESSE Palazzi e il boom di pentiti Già in 15 cercano sconti di FRANCESCO CENITI (GaSport 24-05-2012) Manca una settimana all'inizio del primo processo sul calcioscommesse, ma in procura federale piovono le richieste di patteggiamento. Sono circa una quindicina i calciatori (nessun club) che vorrebbero uno sconto di pena per aver ammesso comportamenti fuori dalle regole. Un numero molto alto che fa ben capire come la «tolleranza zero» e il rischio di andare incontro a condanne severe, abbia consigliato i tesserati a una strategia difensiva diversa dal solito «non c'entro nulla». Le richieste, comunque, non sono sinonimo di sconto: Palazzi dovrà vagliarle e darà parere positivo solo se riscontrerà una fattiva collaborazione alle indagini. In altre parole, lo status di pentito è riconosciuto se oltre ad ammissioni di fronte a contestazioni precise, il giocatore ha fornito dettagli e altri nomi sconosciuti alla Procura. Altrimenti Palazzi potrebbe respingere la richiesta di patteggiamento e portare il soggetto in questione a processo. Per pentirsi e imboccare la strada che porta a una riduzione della squalifica, c'è tempo fino a un minuto prima dell'inizio del patteggiamento. Quindi fino al 31 maggio. Video Aic E a proposito di pentiti. Ieri è stato reso pubblico (...) il video di 13' preparato dall'Associazione italiana calciatori per sensibilizzarli sul fenomeno delle scommesse. A rendere particolarmente crudo il video è un'intervista a un giocatore, che ha voluto restare anonimo (facendosi riprendere di spalle) e che ha spiegato come è finito nella trappola del calcioscommesse. «A due giornate dalla fine del campionato — racconta — ricevo una telefonata da un calciatore che conoscevo perché ci avevo già giocato contro. Noi eravamo salvi e affrontavamo una squadra sotto di noi in classifica. Lui non faceva parte di questa squadra, ma mi disse che c'erano dei soldi da prendere se avessimo perso la partita. Dissi subito di no. Lo dissi solo al mio procuratore, ma si decise di restare in silenzio senza denunciare». Un anno dopo altra telefonata, sempre dallo stesso calciatore: «C'era da pareggiare, la società non pagava gli stipendi. Da lì è cominciato tutto, e non sapevo più come tirarmi fuori. Poi la Procura mi ha chiamato: mi sono lasciato andare e ho raccontato tutto. Se tornassi indietro non lo rifarei, sono rovinato, mi vergogno: ho tradito i miei compagni, i miei genitori e mio figlio». Tommasi Soddisfatto Damiano Tommasi, presidente Aic: «Vedendo il video sono nati parecchi confronti e scambi di opinione in tanti spogliatoi. In alcuni casi ci siamo fermati a parlarne per più di un'ora, di come esporci, uscirne e soprattutto come difenderci. In altri l'emozione è stata forte, silenzio e riflessione, che è quello che volevamo».
  21. SERIE B NOVITA’ DALL’ASSEMBLEA Clamoroso: la Lega di B entra in Confindustria! Nuove opportunità commerciali e maggiori introiti E’ la prima volta di un’associazione sportiva. Fronte tv: si pensa a una partita in chiaro. Non sarà rinnovato l’accordo con Bwin di STEFANO SCACCHI (TUTTOSPORT 24-05-2012) MILANO. La nomina di Giorgio Squinzi , proprietario del Sassuolo, a presidente di Confindustria dava già una nuova centralità al campionato di serie B. Ma l’associazione dei club cadetti ha voluto andare oltre: la Lega di B diventerà la prima associazione sportiva italiana di categoria a entrare in Confindustria. L’ingresso ufficiale sarà certificato alla prossima Giunta di Viale dell’Astronomia (la ratifica, inizialmente prevista per oggi, è slittata proprio perché i lavori odierni sono tutti dedicati all’investitura di Squinzi al posto di Emma Marcegaglia ). Per la Lega di B è una notevole opportunità dal punto di vista commerciale, l’ideale per un campionato che sta cercando di aumentare i ricavi autonomamente dalla serie A. Alcuni esempi arriveranno già nella prossima stagione: sta per essere chiuso l’accordo per avere un pallone ufficiale del torneo che non sarà Nike come quello della A (finora il contratto era sempre stato in comune con la massima divisione). NOME NUOVO Occorrerà invece trovare un nuovo “naming right” al campionato, considerato che difficilmente sarà rinnovato l’accordo con Bwin in scadenza al 30 giugno dopo due stagioni. «C’è comunque reciproca soddisfazione da entrambe le parti», dice il presidente Andrea Abodi . La modifica della politica aziendale è stato determinato dall’ingresso nella proprietà della multinazionale austriaca di nuovi azionisti inglesi che, già da qualche mese, avevano congelato il prolungamento dell’accordo. Sono già stati individuati nova soggetti interessati a sostituire Bwin. Ora le loro candidature e proposte saranno valutate: si tratta di imprese, tra gli altri, dei settori “automotive” (auto, motocicli, camion) e giochi. PARTITA IN CHIARO E l’assemblea di ieri pomeriggio si è occupata anche di identificare nuove idee sul fronte dei diritti tv. Non sono arrivate offerte alla prima fase dei bandi pubblici. Ora si procederà a trattativa privata. Ma la Lega di B inizia comunque a prendere in considerazione percorsi alternativi. Il primo, spesso evocato anche dalla massima divisione in caso di pacchetti invenduti, riguarda la creazione di una piattaforma autonoma della Lega di B su canali satellitari e digitali. La seconda, più originale, prevede la trasmissione di una partita in chiaro per giornata su una tv generalista. «In piccolo sarebbe una modalità di copertura televisiva modello Champions con la gara più importante visibile da tutti gli appassionati», spiega Abodi. E, dopo anni di calcio nazionale sempre più criptato, sarebbe una piccola rivoluzione.
  22. Mi pare che... Ecco perché la Juventus deve reclamare 30 scudetti di LUCIANO MOGGI (Libero 25-05-2012) Immagino che qualcuno nei salotti federali e in quelli dell’Inter avrà pensato: “finalmente l’ha detto”: «Per i documenti ufficiali gli scudetti sono 28». Ma non è così, Andrea Agnelli non ha cambiato idea, ha scelto una formula sapiente per ribadire il suo pensiero, «per qualunque juventino nel mondo sono 30, è un fatto di sentimento e di emozioni» e anche, aggiungo io di ciò che si è meritato sul campo. Dunque Agnelli non si muove di una virgola e bene fa, perché l’ignoranza su molti aspetti della questione è crassa. Andiamo ad esempio allo scudetto regalato all’Inter dal suo ex dirigente Guido Rossi. Di fronte alla richiesta di revoca da parte della Juve, Abete ebbe a dire che l’eventuale decisione di revoca avrebbe avuto bisogno di una «pezza d’appoggio», cioè di un provvedimento disciplinare della giustizia sportiva. Constatato che su questa strada avrebbe preso solo legnate, Abete passò all’incompetenza, sostenendo che non c’era un atto ufficiale che sanciva quella decisione e quindi non poteva essere cassato ciò che non c’era (!). Rossi quindi, l’aveva blindato: più di un pateracchio insomma, perchè è bene chiarire che la sentenza sportiva parlava solo della revoca del titolo 2004-2005 e della «non assegnazione del titolo 2005-2006». I posteri che vorranno cercare di capire dov’è l’inghippo non capiranno. Il mite Abete Il cosiddetto “mite” Abete si nasconde dietro un dito quando le cose scottano e sa attardarsi oltre ogni limite di tempo; nell’occasione si scopre però che quella lentezza salva per prescrizione l’Inter e i suoi dirigenti da accuse non di illecito strutturale, come inventato per la Juve, ma di illecito sportivo vero e proprio. Al punto che sulla strada di Abete troviamo sempre un’Inter beneficata e graziata: la Figc non interviene sulla revoca dello scudetto, perché non si può (non lo si vuole); si blocca l’accusa di illecito sportivo e della più che prevedibile retrocessione in B, oltre che di squalifiche per i suoi dirigenti (anche radiazioni?) per intervenuta prescrizione. È appena il caso di dire che se Palazzi si fosse mosso per tempo, quella prescrizione non sarebbe stata raggiunta. Se poi a ciò aggiungiamo che le sentenze sportive nulla accertarono (ed anzi esclusero) l’alterazione di qualsiasi gara, al punto di inventarsi il già citato illecito strutturale (ma cos’è?) sullo sfondo di un «sentimento popolare» messo in sostituzione di reati inesistenti (un’offesa alla Giustizia) è evidente che ci troviamo di fronte a decisioni ingiuste. Le corti sportive corsero a perdifiato per arrivare last minute alle condanne. Se anche il giudizio penale di primo grado ha escluso qualsiasi alterazione di gare, quelle sentenze sportive la Juve non può accettarle, soprattutto nelle conseguenze della revoca dello scudetto 2004-2005, edella non assegnazione del titolo 2005-2006 neanche sotto indagine, poi regalato all'Inter. Magari arriveranno pressioni da ogni parte perché Agnelli faccia un passo indietro, si potrebbe addirittura arrivare a mettere sul tavolo la posizione di Conte in Scommessopoli per una specie di do ut des anche se, per chi conosce Antonio, sa perfettamente che i suoi successi odorano di sudore e tanta fatica, certamente lontani dal mondo delle scommesse. Disinformazione? Tantomeno si può tentare di mettere in testa alla Juve l’idea che essendo tornata a vincere può mettere una pietra sul passato. La Juve non deve nulla a nessuno, ha vinto con le sue forze e la fatica e l’applicazione dei suoi giocatori e del suo tecnico, come avvenuto in passato. La rivendicazione del passato va fatta per cancellare una pagina ingiusta di infamia dai “documenti ufficiali”. Un grosso problema sta intanto nella molta disinformazione. Ad esempio un noto opinionista ha parlato qualche giorno fa a Radio Sportiva del patteggiamento fatto da Giraudo, con il velenoso annesso commento «e se ha patteggiato si può capire perché (ammissione di colpevolezza, ndr)». La realtà invece è che Giraudo non ha affatto patteggiato, ha semplicemente scelto il rito abbreviato, tant’è che tra non molto si celebrerà l’Appello. Disinformazione voluta o non conoscenza delle Leggi?
  23. Quanto costa la stupidità delle curve italiane Dai cori razzisti ai fischi a Mameli il becerume ha il suo prezzo. Ridotto Multe lievi ai club per responsabilità oggettiva e gli ultrà restano impuniti di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 23-05-2012) Ora che l’inno di Mameli è stato fischiato e chi l’ha fischiato è stato punito con 20 mila euro di multa, il senso di impunità delle curve più becere d’Italia si legge con evidente chiarezza. La vergogna del popolo di fede napoletana che occupava la curva Nord dell’Olimpico nella notte della finale di Coppa Italia Juve-Napoli non fa altro che arricchire il già variegato mondo delle sanzioni del giudice sportivo, senza causare effetti se non quelli già vissuti in passato: gli ultras, o meglio i teppisti, macchiano con cori o striscioni le partite, le società pagano un conto di cui farebbero volentieri a meno, ma la responsabilità oggettiva che le punisce non si traduce (e non potrebbe) in un danno economico insostenibile e, quindi, la giostra riprende. «Becerume», ha chiamato la vergogna di domenica il presidente del Coni, Gianni Petrucci. Quello stesso becerume che, in forme più o meno sfumate, occupa i gradoni della quasi totalità degli stadi italiani. La lista delle idiozie è lunga, lunghissima, quella delle sanzioni anche e se le cifre non sono da capogiro, non è certo per colpa del giudice sportivo perché la toga del pallone, in questi casi, non ha altri strumenti se non quelli di applicare codici e precedenti consolidati nel tempo. Tre sono i tipi di discriminazioni che prendono, spesso, in ostaggiolo stadio: c’è quella territoriale che si traduce in scritte o striscioni offensivi nei confronti di città e loro popolazioni, c’è quella razziale che prende di mira un giocatore per il colore della pelle e c’è anche quella etnica, quando la follia ultras si scaglia nei confronti, ad esempio, di un calciatore che ha origini nei Paesi balcanici. Per la discriminazione territoriale, è di 10 mila euro la pena in denaro, qualcosa in più se la tifoseria è recidiva o se gli striscioni sono più di uno; per quella razziale si può arrivare fino a 30 mila euro di ammenda per il club, poi il giudice chiude la curva o il settore dello stadio incriminato ed, infine, per la discriminazione etnica il caso, ad esempio, del serbo Ljajic dopo la zuffa con Delio Rossi e i cori offensivi degli stessi tifosi viola immediatamente sulle barricate in difesa del loro tecnico - la multa è di 15 mila euro. Il corto circuito evidente va avanti da decenni e lascia i folli al loro posto (nella stagione appena conclusa mai un settore è stato sbarrato) e le società con il conto da pagare in mano, meno salato ogniqualvolta il club ha messo in campo, secondo protocollo, tutto ciò che sarebbe servito per arginare il fenomeno o farlo finire. Nell’arcobaleno dalle scene o dei gesti da cancellare c’è anche il punto di partenza: 5 mila euro è di solito la sanzione da accollarsi per chi getta in campo petardi o bengala. Poi, se la mira dell’attentatore è da cecchino, un accendino che centra il quarto uomo può costare diecimila euro, uno sputo sempre diecimila. E il sempre usato laser verde negli occhi dell’avversario? Settemila euro di danno per la società, è la prassi. «È il momento di una riflessione per capire se abbia ancora un senso o meno investire ne calcio, visto che un gruppo di tifosi violenti, di fessi, distrugge lo sport più bello del mondo», il pensiero del patron della Fiorentina, Diego Della Valle.
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