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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
SW SPORTWEEK 05 MAGGIO 2012 RELAZIONI PERICOLOSE PERCHÉ GLI ULTRAS HANNO TANTO POTERE? PERCHÉ I GIOCATORI HANNO PAURA DI LORO? CHE RAPPORTI HANNO CON LE SOCIETÀ? SIAMO ANDATI A SCOPRIRLO... -
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"Scommesse, calciatori da punire come si fa con i politici corrotti" Laudati, procuratore di Bari: "Leggi superate, cambiamole" Le lire I criminali investono nel calcio più che nella droga. I nostri strumenti sono quelli dei tempi del Totocalcio: multe in lire I calci d’angolo Se puntano su calci d´angolo o falli, non viene neppure alterato il risultato: uno sport romantico trasformato di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 05-05-2012) «Noi pubblici ministeri quando abbiamo a che fare con il calcio siamo come elefanti in cristalleria. La situazione a tratti è sfuggita di mano, i criminali sono stati più veloci del legislatore: il codice sulla materia è così antico che punisce un calciatore che vende una partita, magari un derby, a un´ammenda massima di due milioni di lire. La stessa legge, per esempio, che condanna a cinque anni per corruzione un usciere che prende 20 euro per far saltare una fila in un ufficio pubblico. È giusto?». Ecco, appunto, è giusto? Antonio Laudati è procuratore di Bari: dopo una carriera passata a inseguire e catturare mafiosi e i loro soldi, in Puglia si è trovato sulla scrivania un´inchiesta sul calcioscommesse. Sembrava uno spiffero. È´ diventato un ciclone. Di cosa si tratta, procuratore? «Siamo partiti da una gara di coppa Italia, Bari-Livorno e da una segnalazione di un bookmaker su scommesse anomale. Siamo arrivati a una situazione davvero incredibile, della quale per ovvie ragioni non posso parlare nel dettaglio perché le indagini sono in corso: scommettitori che comprano giocatori, calciatori che vendono partite, la criminalità organizzata che si muove, società coinvolte, c´era chi vendeva persino l´autore del primo fallo o della prima punizione. Abbiamo in pratica assistito a una trasformazione di uno sport romantico in una società per azioni che fattura quanto una Finanziaria: in Italia il giro d´affari solo sul calcioscommesse lo scorso anno è stato di 12 miliardi di euro. Il vero problema è che le leggi non sono al passo con la criminalità». Perché? «La legge sulla frode sportiva è del 1989 e prevede la frode come alterazione del risultato. A parte che se scommettono su un calcio d´angolo o su altro non viene alterato alcun risultato, la frode viene punita con un anno e con una multa massima di due milioni di lire, perché è ancora in lire. Ora: come può essere dissuasiva una pena del genere davanti a giocatori che guadagnano milioni di euro e a organizzazioni criminali che ne investono altrettante? Per questo spesso preferiscono investire sul calcio piuttosto che sulla droga: guadagni simili, rischi infinitamente minori». Cosa si potrebbe fare? «Io penso che il disvalore sociale di un calciatore che vende un derby sia maggiore di quello di un usciere, e sia paragonabile a quello di un politico che si fa corrompere. Si sta discutendo della legge sulla corruzione anche tra privati oppure del traffico di influenze. Forse si potrebbe inserire in questo discorso anche il calcio. Se si vuole combattere il fenomeno bisogna avere norme all´avanguardia: oggi si scommette, dicono i criminali, «anywhere, anytime, anything». E noi li combattiamo con gli stessi strumenti che avevamo ai tempi del Totocalcio, quando le schedine si chiudevano il sabato alle 13». E il mondo dello sport? «I due mondi avrebbero forse bisogno di un coordinamento. Faccio un esempio: l´attuale normativa sulla responsabilità oggettiva delle società e sulle omesse denunce dei giocatori non aiuta, anzi a volte intralcia la giustizia penale. Da noi nessuno verrà a raccontare di aver subito il tentativo di una combine perché altrimenti rischia la squalifica. Questo tipo di organizzazione non favorisce l´accertamento della responsabilità penale». Qual è la cosa che l´ha più impressionata di questa inchiesta? «I tifosi che agiscono contro la propria squadra. È inverecondo. Gli arbitri ne escono benissimo, così come non sono tante, e non sono le big, le squadre che risultano in qualche maniera compromesse. Però è davvero incredibile violare la sacralità di un derby. Ho visto il Bari di Ventura giocare con un 4-2-4 meraviglioso, era uno spettacolo andare allo stadio. Così come la mia prima volta all´Olimpico, con lo speaker che leggeva i nomi dei calciatori, mi ha fatto pensare alle parole della Cassazione quando parla della "suggestione della folla in tumulto". Ora, io penso che tutti ci meritiamo quel calcio». -
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CONTROMANO di CURZIO MALTESE (IL VENERDI DI REPUBBLICA | 4 MAGGIO 2012) VIOLENZA E CORRUZIONE INTORNO AL CALCIO? C’È POCO DA STUPIRSI Il calcio è sempre stato circondato di violenza, in passato più di adesso, e l’elogio del buon tempo andato è anche in questo settore, come in quasi tutti, un puro esercizio retorico. I tifosi del Genoa che hanno costretto i calciatori della squadra a togliersi le maglie sono pronipoti dei genoani che nel ’25, alla stazione di Torino, spararono colpi di pistola ad altezza uomo per salutare l’arrivo del treno con i tifosi del Bologna, rivale per lo scudetto. Comunque la si pensi, fra le revolverate e la sceneggiata dell’altra settimana, si può constatare un’evoluzione positiva della specie. I gruppi di ultras che popolano il Paese sono incomparabilmente meno violenti di quelli degli anni 70 o 80, drogati di cattiva politica. Però sono molto più numerosi, visto che ormai non c’è una squadra di terza categoria senza gruppi di tifo organizzato, pronti alla battaglia contro gli ultras del borgo vicino. Per la banale considerazione da antropologi di strada che le guerre vere sono sempre più lontane, grazie al cielo, e ogni nuova generazione ha bisogno di sfogarsi con guerre simulate. Certo, sarebbe meglio risolvere con la vituperata playstation... Non è cambiato neppure l’atteggiamento di complicità delle classi dirigenti con la delinquenza delle tifoserie. Il regime fascista interveniva ovunque, ma non nelle curve degli stadi. E per anni, quando facevo il giornalista sportivo, mi sono chiesto come mai in un spazio chiuso come uno stadio, con duemila poliziotti e carabinieri – in servizio o in borghese e con biglietto gratis – si potesse assistere alle imprese criminali di poche centinaia, a volte poche decine, di facinorosi. La verità è che la polizia ha l’ordine di non reprimere. E la magistratura usa i guanti di velluto. Le condanne ai tifosi sono rare, soprattutto se confrontate con quelle di altri Paesi, e i divieti di andare allo stadio vengono aggirati. La stessa magistratura sportiva, davanti a scandali clamorosi, al massimo dà qualche punto di penalizzazione. Eppure tutto il mondo sa che molte partite italiane sono truccate. Ogni anno cresce la lista di quelle che i bookmaker stranieri si rifiutano di quotare per il sospetto di imbrogli. Del resto, siamo un Paese molto tollerante con la corruzione a tutti i livelli, perché nel calcio dovremmo essere diversi? La sorpresa è semmai che, in un ambiente così incoraggiato a dare il peggio, resistano belle storie. Il Pescara di Zeman che dà spettacolo in B. La Juventus rinata dagli scandali dell’epoca Moggi che vince con un gioco bello e onesto (detto da un milanista). Speriamo anche la nazionale di Prandelli, altra figura esemplare. Per ripulire il resto, occorre una volontà politica che non esiste in alto e forse neppure fra i cittadini della repubblica del pallone. ------- IL VENERDI DI REPUBBLICA | 4 MAGGIO 2012 ------- IL CALCIO? LO SALVERANNO SOLTANTO I BAMBINI. PAROLA DI PRANDELLI IL CT AZZURRO SCRIVE UN LIBRO SULL’ETICA E LO SPORT. ALLA VIGILIA DEGLI EUROPEI, IN MEZZO ALLO SCANDALO SCOMMESSE E TRA LE VIOLENZE DEGLI ULTRAS. E PROPONE UNA SOLUZIONE di MAURIZIO CROSETTI (IL VENERDI DI REPUBBLICA | 4 MAGGIO 2012) BRESCIA. Contro un calcio allo sbando, il ct della nazionale ci spiega che l’unica salvezza è ricominciare dai bambini. Anzi, dalle mamme e dai papà. Ed è proprio per i genitori di tanti ragazzini alle prese col sogno del calcio che Cesare Prandelli ha scritto, insieme con il giornalista Giuseppe Calabrese, un libretto agile e profondo, una bibbia portatile con i comandamenti per non smarrire strada e sentimento in quella terra di confine che si colloca tra allenare ed educare: verbi simili, purtroppo non sinonimi. In un momento di gravissima crisi morale, tra scommesse illegali e violenza ultrà, Prandelli comincia la sua analisi dal rispetto delle regole: «Credo sia il cuore del problema. Senza le regole, tutto diventa possibile. Gli incredibili e recenti fatti di Marassi, a Genova, con un intero stadio in ostaggio di pochi violenti, lo dimostrano. Lo sport non può essere terra di nessuno». Il libro si intitola Il calcio fa bene: ma cosa, invece, gli fa male? Quanto, di questo male, siamo tutti costretti a sopportare? «Gli fanno male i fanatismi, gli eccessi, la perdita totale dell’autocontrollo. E io credo che si debba guardare il problema dalle radici. Porto sempre l’esempio di una partita tra “pulcini”, a Firenze, qualche temo fa: a un certo punto, i genitori cominciano a insultarsi e litigare. Allora i loro figli smettono di giocare e li guardano. Ma siamo impazziti? Quando si diventa ultras dei propri ragazzi, non stupiamoci se poi accadono cose tremende». Perché l’allenatore della nazionale ha deciso di scrivere un libro così? «Me lo chiedevano le mamme. Mi dicevano: cosa dobbiamo dire ai nostri figli che praticano lo sport? Sono partito, innanzi tutto, dalla mia esperienza di genitore: anch’io ho provato la frustrazione per un insuccesso, un’esclusione o una sconfitta dei miei ragazzi e, siccome ci stavo troppo male, non sono più andato a vederli. Hanno fatto da soli, con la libertà di sbagliare. Ed è stato meglio». Qual è il primo consiglio che si sentirebbe di dare alle famiglie? «Lasciate divertire i vostri figli, non soffocateli con egoismi travestiti da amore. Non caricateli delle vostre frustrazioni. E sappiate che tra i loro diritti c’è anche quello di non essere campioni». Come si educa alla sconfitta? «Ricordando che fa parte del gioco, e che è più frequente della vittoria, perché vince uno solo». Questo vale solo per un istruttore dei ragazzi, o anche per un commissario tecnico? «Sono stato per tanti anni al settore giovanile dell’Atalanta, e non ho cambiato di una virgola il mio approccio. Le regole sono indispensabili: per i bambini come per i professionisti. Quando abbiamo varato il codice etico, i giocatori mi hanno seguito». Nel libro lei parla di due valori molto spesso trascurati: la pazienza e la fantasia. «Perché bisogna avere il diritto di sbagliare, provando e riprovando finché non si migliora. La fretta non ha mai educato nessuno. E la fantasia non va soffocata nella culla, va accudita, accompagnata». Le regole, dunque, cominciano da cose in apparenza minime? «Cominciano dall’ordine e dal rispetto delle proprie cose, dalla pulizia degli scarpini: io, da bambino, me li portavo addirittura a letto. Rispetto vuol dire che se il giardiniere del campo ha bagnato l’erba, e chiede ai ragazzi di non calpestarla, loro lo ascoltano: perché giudicano quell’erba un bene comune». C’è una regola, una sola, che i genitori non dovrebbero dimenticare? «Norma numero uno: non si commentano mai, e sottolineo mai, le scelte di allenatore e arbitro. In Paesi più evoluti del nostro, come quelli scandinavi, i ragazzi che fanno sport firmano una specie di patto nel quale c’è scritto che se un genitore attacca l’arbitro, verrà espulso il figlio». Nel libro, lei si sofferma sull’importanza del calcio a dimensione famigliare: stupisce, nell’epoca della globalizzazione. «Una società sportiva è davvero la seconda famiglia per tanti ragazzi. Ma quando certe figure vengono a mancare – penso al dirigente sempre presente al campo: Boniperti, per esempio, era così – gli atleti rischiano di smarrirsi. E possono dar retta a brutti personaggi. In Italia esiste forse la migliore scuola al mondo per allenatori, però manca qualcosa di simile per i dirigenti». Forse, le calcio-scommesse hanno attecchito anche perché hanno trovato terreno fertile. «Ho sempre ripetuto ai miei giocatori di stare bene attenti alle cattive compagnie, un po’ come deve fare un padre con i figli. Io consiglio di pensare ai veri amici, quelli di gioventù, quando nessuno era ricco e famoso. Ci volevano bene per noi stessi, non per interesse». Il calcio italiano è alla deriva: si potrà evitare il peggio? «La prevenzione è sempre un ottimo metodo. In cinque anni a Firenze l’ho imparato. Quella piazza era da anni considerata a rischio, ma noi cercammo subito il dialogo con tutti, anche con gli ultras, nel rispetto di ruoli e regole. Quando si parla con le persone, il primo passo è compiuto. Ma parlare non significa farsi ricattare: bisogna capire che il calcio è roba nostra e va rispettata». -
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Delio Rossi or Mario Sconcerti? That is the question di GIANFRANCESCO TURANO dal blog RAGÙ DI CAPRA (l'Espresso.it 04-05-2012) Pare che un tizio anni fa, tale Sciarra Colonna, abbia preso a schiaffi il papa. Non è dato sapere se il pontefice in questione (Bonifacio numero otto, ai tempi era il numero della mezzala destra) avesse ironicamente applaudito o magari ingiuriato il Colonna. E neppure del ceffone vi è certezza, in assenza di telecamere. Ma, insomma, se si può tirare una piña (vedi alla voce Paolo Montero) al rappresentante della Ss Triade sulla terra, figuriamoci che sarà strapazzare un calciatorino serbo di scarso rendimento a nome Adem Ljajic, di anni 20. La vox populi di internet pare avere sentenziato che lo schiaffeggiatore Delio Rossi sia dalla parte della ragione e che Ljajic se la sia cercata con il lanternino. Poche volte si può assistere a una frattura così completa tra opinione web e opinione su carta stampata. Sui giornali l’ex mister della Fiorentina dei Della Valle è stato condannato in modo unanime. Lui stesso, poveraccio, si è scusato senza invocare attenuanti. Dopo il fattaccio, ignorato sul momento da arbitro e quarto uomo nonché negato da Rossi a bordo campo con un’espressione degna di un alunno delle elementari (non c’è problema, fa segno all’arbitro, non è successo niente), l’allenatore ha incassato un doloroso licenziamento per giusta causa (niente più stipendio da subito) e una ridicola squalifica a tre mesi coincidente con il periodo estivo. La Rete ha reagito alla presunta ingiustizia con un appoggio generalizzato al gesto di Rossi. Tra i pochi a ribellarsi all’andazzo c’è stato il giornalista e tifoso viola Mario Sconcerti. L’anchorman di Sky ha continuato a ripetere in ogni sede un’ovvietà assoluta. Nulla giustifica il pestaggio di un ragazzo di 20 anni che, peraltro, neppure si difendeva e che, forse, non è il maggiore responsabile della stagione penosa della Fiorentina. Nei dintorni dello stadio, sulle gradinate, negli spogliatoi, nei tunnel e su un campo di calcio, sono successe cose enormemente più gravi di quello che si è visto in Fiorentina-Novara. La giustizia sommaria da parte dei tifosi, le risse di fine partita tra compagni di squadra, la leggendaria scarpata tirata da sir Alex Ferguson a un Beckham fuori forma, fanno parte del gioco più amato del mondo. Di solito, i misfatti vengono condannati in forma ufficiale e lievemente ipocrita in attesa del misfatto successivo. Ma oggi finalmente, grazie alla libertà di espressione che il web garantisce, si può esprimere una verità alternativa e dire che è arrivato il momento di finirla con questi stronzetti di calciatori capricciosi e strapagati, che i giornalisti sono pennivendoli nemici del calcio e del tifo, che i giudici di Calciopoli sono gli esecutori di un complotto o, cambiando argomento, che le Torri Gemelle sono cadute perché i vetri erano puliti male. Allora, se bisogna scegliere fra Sconcerti e Rossi, questo blog lo fa dichiarandosi ipocrita. Un ceffone al ragazzino si poteva dare, soprattutto se ha insultato. Ma se proprio si doveva (e non si doveva), bisognava darglielo secondo le regole non scritte del football, tra le mura dello spogliatoio. Questa ipocrisia avrebbe almeno evitato il disprezzo pubblico e ostentato delle regole che è lo sport più alla moda dalle nostre parti, e non solo negli stadi. Quindi, senza rancore per il mister licenziato, questa volta vince Sconcerti. A Delio Rossi l’augurio di un pronto ritorno in panca. -
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IL «SIGNOR» ROSSI I pugni di un uomo perbene all’ipocrisia Il calcio marcio e pieno di stronzetti cerca un capro espiatorio: Delio ha sbagliato ma merita il perdono di GIAMPIERO MUGHINI (Libero 04-05-2012) Mercoledì scorso, a poco più di trenta minuti dall’avvio della 36° giornata del torneo di calcio di serie A, un uomo di 52 anni che di mestiere fa l’allenatore di calcio e che tutti dipingono come persona solitamente perbene e a modo, Delio Rossi, ha perso la testa e dunque la misura dei suoi atteggiamenti e delle sue reazioni. Sfottuto e irriso da un suo giocatore che aveva appena sostituito, Rossi si è avventato contro di lui, letteralmente avventato. A mani nude lo ha colpito, più ancora ha tentato di colpirlo. Con ferocia, completamente dimentico che il suo avversario era solo uno stronzetto di vent’anni. La società di calcio che a Rossi pagava lo stipendio, la Fiorentina di proprietà dei fratelli Della Valle, lo ha subito licenziato e già sostituito con un altro allenatore, Vincenzo Guerini. Anche il giocatore che ha irriso il mister, uno che sino al momento della sua sostituzione non aveva letteralmente toccato palla, sarà punito e multato. I giornali di ieri erano compatti nel deprecare il comportamento del mister, e figuriamoci se non siamo d’accordo nel deprecare chi usa le maniere forti: chi pensa di vedere meglio rappresentate le sue ragioni dai cazzotti e dai calci. E a proposito di calci, resta memorabile nella storia del football moderno l’episodio di quel grande giocatore francese che militava in una squadra inglese, Eric Cantona, il quale all’uscita di una partita dove forse non aveva brillato, si trovò di fronte un tifoso esasperato che insultò e Cantona e sua madre. Al che il grande giocatore francese (squisito protagonista più tardi di un film che gli è stato dedicato) gli sferrò un gran calcione al petto al modo delle arti marziali giapponesi. Un gesto acrobatico e superplateale che gli costò non ricordo più quante giornate di squalifica. Tante. Fossi stato al posto di Cantona, che cosa avrei fatto? Esattamente quel che fece lui e anche se non so nulla di arti marziali giapponesi. Voglio dire con questo che ogni volta è giustificato e giustificabile un “eccesso di legittima difesa”? Ma certo che no. Per questa strada si finirebbe col giustificare l’automobilista che alcuni anni fa uccise con un punterolo un altro automobilista reo di averlo sorpassato. Ma certo che Delio Rossi non doveva mettere le mani addosso allo stronzetto, e per quanto si fosse comportato da stronzetto. No, non doveva assolutamente. Epperò il discorso non finisce lì, se vogliamo capire a fondo e i personaggi e le situazioni di cui ci stiamo occupando. In fatto di reazioni di giocatori sostituiti, noi che amiamo il calcio abbiamo a disposizione un intero album di ricordi e di immagini. Le tante volte che Fabio Capello sostituì Alex Del Piero, e da quest’ultimo mai una parola, mai un ghigno. La volta che il mister della nazionale italiana sostituì Giorgio Chinaglia durante una partita in cui era stato pressocché nullo, e lui subito si esibì nel gestaccio. (E basterebbe questo a dire la distanza fra due giocatori come Del Piero e Chinaglia). La faccia attonita di Roberto Baggio la volta che Arrigo Sacchi lo mise fuori perché la nazionale era rimasta in dieci e a lui occorrevano guerrieri prima che poeti: Baggio fece la faccia stupita ma nient’altro che questo. Il giocatorino della Fiorentina di mercoledì sera, è invece andato molto oltre. A quanto mi riferiscono gli amici che curano le pagine sportive di Libero, prima ha irriso Rossi e poi lo ha insultato “pesantemente”. E non che Rossi avesse fatto qualcosa di personale contro di lui, solo aveva reputato che alla squadra occorresse uno migliore al posto di Ljajic, il giocatore congedato. Ha agito da mister, non da kapo in un lager. Ha fatto quel che fanno Allegri o Conte, sostituire ora Pato ora Vucinic. Che succederebbe in quei casi se Pato o Vucinic o chiunque altro si mettessero a fare gestacci e pernacchie e allusioni alla famiglia dei mister in questione? E poi, come dimenticare che stiamo parlando di un ambientino che non somiglia all’Accademia dei Lincei ma molto di più a un circo o a una corrida dove tutto è esasperato e fuori misura? Dalle curve di tutti gli stadi dove sono pronunciati ogni ora e ogni minuto gli insulti più belluini ai giocatori di pelle nera, a quello stadio di Genova dove orde di tifosi si sono precipitati giù in campo a minacciare e ricattare i giocatori che in quel momento indossavano la maglia del Genoa. Squisitezze su squisitezze, e chi più ne ha più ne metta. ------- Mi pare che... Caro Gigi rialza subito la testa Un errore non macchia la leggenda di LUCIANO MOGGI (Libero 04-05-2012) C’è quel detto anche abusato che dice di “dimenticare Venezia” e di andare avanti. Più facile a dirsi che a farsi, ma è la medicina da assumere, prendendo il buono che resta. La Juve è sempre prima, un punto che vale due: il colpo è stato duro, ma è solo l’effetto della botta per come è avvenuta. L’intontimento deve però svanire: la situazione è cambiata, l’avversario è in solluchero, occorre vincere le due partite che restano. Ma la Juve attuale è in condizione di far suo questo ragionamento. Probabilmente alla fine resterà solo la paprika che questo scenario ha dato al campionato. Certo chissà ora come reagirà Buffon. Sul campo è apparso impietrito, non diversamente dovette sentirsi Giuliano Sarti nel ’67 dopo aver subito a Mantova un gol che fece perdere lo scudetto all’Inter, a favore indiretto della Juve. Ma quella era una strada senza ritorno, diversa la situazione di oggi, che lascia ampi spazi di recupero e può e anzi deve indurre Buffon a ritrovare sorriso e ottimismo. Tra tante parate leggendarie resterà una sola sbagliata da mettere da parte. L’ha rincuorato lo stesso Cosmi, sorpreso da tanta grazia e forse perché presago che il punto gli servirà a poco. È comunque un campionato da luna storta che fa perdere la testa anche a chi proprio non ti aspetteresti. Non sappiamo che cosa sia passato per la mente a Delio Rossi, ma qualunque cosa sia stata, è stata sbagliata. Un allenatore non può prendere a pugni un proprio giocatore. L’atteggiamento di Ljajic dopo la sostituzione deve essere stato più di una provocazione, ma andava affrontato con le sanzioni previste e nelle sedi giuste, non a pugni sul campo e sotto gli occhi delle telecamere. La Fiorentina ha reagito con prontezza pari al clamore dell’evento, ma noi dobbiamo anche chiederci che cosa stia accadendo nel calcio: il senso della misura si è perso e ciò che sembrava appartenere solo a tifosi esagitati prende ora anche i protagonisti, come accaduto con la rissa finale di Udinese-Lazio. Il pesce di solito puzza dalla testa. Qualcuno s’inalbera se dico che c’entra il deficit di autorità di Lega e Figc? La lotta per il terzo posto ha sorriso al Napoli e all’Udinese, poco alla Lazio, per niente all’Inter, sotto 3-1 con ilParma. L’effetto Stramaccioni si è dissolto davanti al piccolo gigante Giovinco: all’Inter restano le ortiche, più o meno come alla Roma, incapace di andare a rete nel pantano di Verona. Luis Enrique dice che non è stata una partita di calcio, ma di pallanuoto: avesse visto quella di Perugia! Lucho in fuga, Baldini tenta di fermarlo: se non riesce nell’intento dice che andrà via pure lui (ma chi ci crede?). Intanto però il fallimento del progetto c’è già tutto. Napoli in brodo di giuggiole per il 2-0 sul Palermo e in vantaggio per la classifica avulsa, ma Zamparini accusa l’arbitro (rigore inventato per il Napoli e uno non dato al Palermo) e tuona: «Ora è peggio di Calciopoli ». Meglio tardi che mai, aggiungiamo noi, tanto più che si è fatto sentire anche Beccantini in un’intervista a un sito abruzzese: «Calciopoli una guerra di bande, con troppo Moggi», nel senso di Moggi indicato sempre come capro espiatorio. «Tutti - aggiunge Beccantini - lamentavano il diritto alla difesa, tutti si difendevano da tutti con vari sistemi e a vari livelli. Giraudo e Moggi sono stati puniti, la Juve ovviamente anche. Altri molto meno». No, caro Beck, altri niente affatto. Ma se era guerra di bande, e i dirigenti della Juve sono stati fatti fuori per volontà pervicace di Abete, quale banda opera attualmente, se oggi è peggio di ieri? -
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Atalanta e Novara: pronti i deferimenti Slitta quello del Lecce I provvedimenti della settimana prossima riguardano la B della stagione scorsa. Palazzi aspetta il dossier Masiello di MAURIZIO GALDI (GaSport 04-05-2012) In attesa delle ultime novità da Cremona e dei faldoni di chiusa inchiesta da Bari e Napoli, il Procuratore federale Stefano Palazzi è al lavoro con i più stretti collaboratori per scrivere i deferimenti del primo troncone dell’inchiesta di quest’anno. Gli uomini della Procura stanno leggendo i verbali che la parte investigativa ha raccolto dal 29 febbraio al 26 aprile con una piccola appendice oggi (Tomas Locatelli già sentito il 19 aprile). Lunedì o martedì arriveranno i deferimenti che riguardano club e tesserati di B e Lega Pro. Anche in questo caso c’è un’«appendice » e riguarderà due società che quest’anno sono in A, ma quando si sono svolti i fatti erano in B: Atalanta (ci sarebbero le gare con l’Ascoli e il Padova, oltre a quella col Piacenza già punita con Doni) e Novara (partite con Chievo, Ascoli e Siena) secondo Gervasoni «imputabili» a Bertani. Stralcio È rinviata alla seconda parte del procedimento sportivo la parte più «calda», quella che riguarda la serie A. In questo filone viene «rinviata» la definizione della posizione del Lecce che, secondo le dichiarazioni raccolte dalla magistratura cremonese (Brescia-Lecce e Lazio-Lecce), Palazzi aspetta anche le carte da Bari e il verbale di Masiello che coinvolgerebbe i salentini anche per il derby Bari-Lecce. Proprio per lo «slittamento» della serie A, la Procura federale non si è affrettata a riconvocare il presidente del Siena Massimo Mezzaroma e l’allora tecnico dei toscani Antonio Conte, si aspetta la fine del campionato per cominciare la seconda e serrata tornata di audizioni. Serie B AlbinoLeffe, Ascoli, Bari e Grosseto sono le società che maggiormente sono state chiamate in ballo dai «pentiti» Gervasoni e Carobbio, ma ultimamente grazie alle audizioni di Narciso e Tamburini, le luci della Procura federale si sono focalizzate anche sulla Reggina (di cui è stato sentito l’ex d. s. Rosati) per una presunta combine in Grosseto-Reggina. Purtroppo proprio per la serie B il lavoro degli uomini di Palazzi è molto complesso. Oltre alle società già citate, nei verbali di Gervasoni e Carobbio emergono anche partite del Modena, del Piacenza, del Padova, del Mantova. Sempre nei verbali ci sono gare di Brescia, Crotone, Empoli, Livorno, Pescara, Sassuolo e Varese, ma con responsabilità sfumate o nulle. Infine un discorso a parte merita il Verona (sempre da Gervasoni), per partite del 2006 e 2007. ------- TIFOSI, GIOCATORI E TECNICI (GIORNALISTI NO?, ndt): IL CALCIO E' CONTAGIATO DALLO SPIRITO ULTRA' di ANDREA sfiduciato MONTI (GaSport 04-05-2012) Benvenuti all'ultimo stadio. Ci mancava solo Delio Rossi versione toro scatenato che suona come un tamburo il riottoso talentino Ljajic per completare un catalogo di follie che sta facendo il giro del mondo. In soli venti giorni, il calcio italiano è riuscito nella memorabile impresa: ha mostrato senza filtri né vergogna la profondità delle sue patologie, illuminando in modo solare il male oscuro che rischia di divorarlo. Le immagini si rincorrono di fronte ai nostri occhi, solidificano nello sbalordimento, ci ipnotizzano più dei gol di Messi. Inedite pazzie di tifosi, giocatori e tecnici si aggiungono alle consuete baruffe tra presidenti. Tutti uniti nel contagio. Come accade a ogni consorzio umano senza governo, la società del pallone si allinea allegramente al minimo livello comportamentale, si accomoda in curva, confida nella legge del più forte. O vi soggiace, che è lo stesso. Puntare il dito contro i soliti dissennati, e solo loro, è pura ipocrisia. L'intero nostro calcio sta diventando ultrà. Urge riportarlo alla ragione. Domani, ne sono certo, qualcuno ci accuserà di procurato allarme. E allora conviene allineare i fatti, le date, i colori. 22 aprile, Genoa-Siena: un gruppo di scatenati festeggia la ripresa del campionato dopo la tragedia di Morosini imponendo ai rossoblù sconfitti di togliersi la maglia in mezzo al campo, versione aggiornata della gogna medievale. Preziosi e la polizia acconsentono nel timore del peggio. 28 aprile, Roma-Napoli: i giallorossi sono convocati sotto la curva sud e duramente insultati, Totti li ascolta poi risponde un immortale "E che ce posso fà?". 29 aprile, Udinese-Lazio: cinque minuti di delirio biancoceleste per un gol inutile convalidato all'ultimo secondo, cazzotti, improperi, arbitro spintonato, ma niente fulmini, solo una pioggerellina di squalifiche. 2 maggio: il quarto uomo finge di non vedere la rissa sulla panchina viola, Rossi si riassetta la giacca e fa cenno che tutto va bene. Tocca a Della Valle esonerarlo giustamente mentre la giustizia sportiva gli infligge tre mesi di squalifica, pena assai mite. La maggioranza dei tifosi, invece, lo assolve con formula piena. Strano? Mannò, in fondo va bene così. La crocifissione di un allenatore che conosciamo come professionista serio e competente, sebbene colto da insolito raptus omicida, servirebbe solo a scaricare le coscienze di fronte a un panorama desolante e molto più vasto. Mentre già inizia la stagione dei deferimenti, lo scandalo delle scommesse non ha aperto alcun serio dibattito tra i presidenti, le istituzioni e l'associazione dei calciatori. Eppure l'enormità di ciò che emerge dalle procure, più di altre questioni, avrebbe meritato un bel "tavolo" chiarificatore. Meglio continuare ad accapigliarsi sui quattrini e sulle moviole: tutto sommato è un rito rassicurante. Ci siamo abituati. O no? Non proprio. Lo rivela un sondaggio pubblicato dalla giornalaccio rosa qualche giorno fa: otto appassionati su dieci ritengono che il nostro calcio non sia più credibile. E che per raddrizzarlo servano punizioni severe. L'esperienza - rafforzata dal caso di Delio Rossi - ci rende scettici nei confronti del giustizialismo demoscopico, parente strettissimo del moralismo politico. Più concretamente servirebbe ristabilire l'ordine e il senso delle gerarchie restituendo ai valori il primato sul valore, come lo sport impone. Per una volta Petrucci, Abete e Beretta sono concordi sul punto. Bene, ora agiscano. Nel calcio, l'etica è il presidio più solido del business. Un brutto spettacolo o uno spettacolo falsato, alla lunga, non interessa a nessuno. Più che la Provvidenza, speriamo sia la convenienza a salvarci. ___ LA BOTTEGA di SERGIO NERI (CorSport 04-05-2012) LA FRUSTATA DI AUGIAS E IL FIGLIOLETTO DI TOTTI L' altro giorno ha fatto capolino da qualche parte sui giornali la foto del piccolo Totti. Sei anni e un faccino raggiante d’innocente felicità (detto tra noi più somigliante alla mamma che al papà e per questo bellissimo). Indossava una maglietta da calciatore e infatti quella maglietta era la divisa del club o scuola calcio della quale faceva parte. Un bel gioco per accendere una passione destinata probabilmente ad infiammarsi strada facendo. Ma se anche il piccolo Cristian non diventerà un campione e magari neppure un calciatore, la strada sulla quale i genitori l'hanno incamminato sarà sicuramente una preziosa palestra per la sua vita. E' la strada sulla quale tutti i genitori dovrebbero indirizzare i loro piccoli e che la scuola dovrebbe poi proporre infondendo così nei più giovani non solo una passione sportiva che di certo non guasta, ma anche uno spirito che renderà in futuro un grande servizio alla società. Una società formata da persone che in gioventù hanno catturato lo spirito che alberga nello sport sarà più ricca di valori e più rispettosa delle regole che sostengono la comunità. Purtroppo in queste ultime settimane son successe cose molto sgradevoli negli stadi ed è stato molto triste doverle subire dopo un lungo periodo di apparente tranquillità. Non che ci fossimo dimenticati di passate prove di violenza ma era fiorita in tutti una piccola speranza. Che il teppismo del quale la nostra società è infarcita avesse quanto meno fatto vela verso altri orizzonti o, meglio ancora, si fosse affievolito. Gli ultimi episodi hanno di nuovo mostrato la faccia vulnerabile del calcio e degli stadi ed hanno alimentato molte critiche alcune delle quali francamente non condivisibili. Ha scritto Corrado Augias, illuminato e colto osservatore del costume e quasi sempre puntuale censore dei nostri peccati, che "il calcio italiano è in buona parte putrido, da qualunque lato lo si guardi, con corruzione e violenza diffuse. Avendone il coraggio andrebbe chiuso per un certo periodo, per poi ripartire da zero". Alle parole di Augias, hanno fatto eco i messaggi della signora Tymoshenko, imprigionata in Ucraina, la quale di fronte alla solidale reazione di un’Europa disposta a togliere al suo Paese i prossimi campionati d'Europa, pur denunciando il suo dolore per i patimenti che le impongono, ha chiesto che non si rinunci al calcio, dato il messaggio che questo sport può diffondere tra i popoli e la bellezza dei suoi valori proposti ai ragazzi. Fermare il calcio, come suggerirebbe Augias, vorrebbe dire darla di vinta ai violenti, ai corrotti, a tutti coloro che nello splendido mondo della passione dei ragazzi, speculano travolgendo regole e cancellando sogni. Non è forse il mondo dello sport quello che ancora accende nei più giovani (anche il figlioletto di Totti) un sogno sostenendo la loro passione e aiutandoli a crescere nel rispetto degli altri, compagni di gioco o rivali sul campo? E non è questa una grande scuola di vita della quale la nostra società ha bisogno? Hanno ragione coloro (il capo della polizia Manganelli e la Cancellieri, ministro degli Interni) che invocano stadi più adeguati, moderni e strutturati per garantire alle famiglie una serena partecipazione agli eventi. In Germania il progetto lo hanno realizzato e lassù il calcio è una splendida occupazione del tempo libero, un tema che coinvolge padri e figli, amici e nemici, in un piacevole dibattito fatto anche di sentimenti. Questo sì è il punto di partenza d'un progetto che deve sostenere il calcio, bene prezioso di tutti e soprattutto dei ragazzi, liberandoli dal morso di una violenza che purtroppo alberga dovunque. Non è violenza anche l'appropriazione dei beni pubblici da parte di molti politici e non è istigazione alla violenza il dibattito cruento che da anni le televisioni ci impongono per mostrarci, ahimè, come chi ci dirige affronta e dipana (male) i nostri problemi? ___ Arbitri reticenti, uno spreco di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 04-05-2012) MONTI ci ha chiesto di avvisare il Governo se ci dovessimo accorgere di sprechi nelle pubbliche amministrazioni. Bene, noi segnaliamo l’inutilità e il danno di pagare 4 arbitri e in futuro anche sei se poi si comportano come Tagliavento in Genoa-Siena, Bergonzi in Udinese-Lazio e la quaterna di Firenze (arbitri Giannoccaro e quarto Tommasi) tutti assai reticenti nei loro referti, spesso richiamati dal Giudice sportivo a descrizioni più puntuali di quanto avvenuto in circostanze clamorose, solari o acusticamente intellegibili. Fosse stato per loro non sarebbero arrivate le maxi squalifiche per il Genoa e Delio Rossi. Stando a quanto riferisce Bergonzi, invece, il fischio della discordia a Udine non c’è stato. Roba da tre scimmiette: se poi ti deve risolvere tutto la prova tv, Monti eviti lo spreco e ad arbitrare ce ne mandi uno solo, munito di occhi, orecchi e penna pronti. Senza bisogno della solita telefonata del Giudice che chiede chiarimenti di ciò che è chiaro. ___ Retrocessione del pallone italiota di OLIVIERO BEHA (il Fatto Quotidiano 04-05-2012) Retrocessione generale La brutta storia di un signore col più anonimo dei cognomi è in realtà la storia di una retrocessione. Non parlo di quella della Fiorentina, per carità, solo paventata, anche se nel calcio la parola “retrocessione” viene immediatamente ed esclusivamente collegata a un passaggio alla categoria inferiore. Per lo meno non parlo della retrocessione in B come se ne parla nel giornalismo sportivo. Perché, vedete, il punto è che in realtà con quel gesto manesco eppure grandemente simbolico Delio Rossi è già retrocesso. È già retrocesso il serbetto viziato Liajic che l’ha provocato, è retrocesso il club che è stato ormai da tempo guidato in modo disastroso. È retrocesso tutto il sistema di vigilanza “giudiziaria” in campo, perché arbitro, assistenti, quarti e quindicesimi uomini in campo hanno “tollerato” una scena da lite di strada, alla faccia di tutto quello che si dice e scrive retoricamente sulla necessità del “fair play” del calcio nostrano, e internazionale. È retrocesso il clima ambientale, sociale, economico, culturale se l’aggettivo non vi sembra troppo azzardato, in cui il nostro pallone rotondocratico e rotondolalico galleggia sconsolato, sempre più appesantito dagli scandali. È retrocesso qualunque rapporto interpersonale e interprofessionale decente, in un habitat in cui conta solo il denaro anche se qualcuno si ostina con pervicacia intellettualmente truffaldina a chiamarlo ancora “gioco” se non addirittura “sport”. È retrocesso quel minimo sentore pedagogico intrinseco nel rapporto tra giocatori e allenatore, in una deriva che trascinandosi dietro il crollo di qualunque autorità e autorevolezza ha travolto una persona capace, preparata, umana, “mite” (cfr. la definizione del Della Valle jr) come Delio Rossi, assurto da mite a “mito” negativo. È RETROCESSA una filiera sana che porterebbe dalla dirigenza societaria allo staff tecnico ai calciatori, filiera spezzata ormai da tempo dalla gestione monopolista e penalmente dubbia dei procuratori, che incamerano ormai calciatorini già di dodici-tredici anni, in una dittatura del soldo che sbiadisce qualunque valore. E questa retrocessione complessiva pallonara naturalmente è una faccia importante, macroscopica, popolare con tutto il segno negativo che dobbiamo oggi a questo aggettivo, del prisma di un degrado italiano più generalizzato: la stessa domanda “come poteva sfuggire il mondo del pallone al precipizio del sistema-Paese” cui assistiamo quotidianamente è una domanda retorica con inutile risposta assertiva. Quello che accade al tifo, nato lo ricordo come malattia…, con gli episodi che si rincorrono negli stadi ci dice molto del baratro, e ce lo dice in diretta tv. Se lo spettacolo è questo, certo non mi viene in mente di giustificare il signor Delio con la sua scucchia alla Totò e il suo ostinato chewing-gum trasformatosi in pugilatore d’accatto, ma di capirlo sì. È uno tsunami, ragazzi, non una pioggerella di stagione. -
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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 03-05-2012) Scommesse, Palazzi pronto Ma la serie A è salva. Per ora Entro il 7 maggio arriveranno i primi deferimenti di Stefano Palazzi e del suo maxi-pool per il calcioscommesse: riguardano il primo filone delle indagini della Procura di Cremona ma, contrariamente a quanto si riteneva, non ci saranno calciatori e club di serie A ma solo di serie B e Lega Pro. Mi sembra una scelta corretta, per evitare doppi binari, polemiche a massimo campionato ancora in corso. Ma questo non vuole dire che la A non sarà coinvolta dal ciclone delle scommesse. Palazzi nei prossimi giorni si metterà infatti in contatto con le procure di Bari e Napoli, per avere altro materiale, per poter continuare le indagini (dovrà sentire, fra gli altri, Conte e Mezzaroma) e solo a fine maggio ci dovrebbe essere il grosso dei deferimenti. Dove, come detto, potrebbero essere coinvolti molti club di serie A (più di dieci?). La classifica del 13 maggio, quindi, non diamola per definitiva: certe sanzioni potrebbero essere afflittive, e quindi ricadere su questa stagione, mentre altre andrebbero ad incidere sulla prossima annata. Sì, è brutto un campionato che parte con le penalizzazioni ma non è certo colpa di Palazzi, o di Abete, semmai di certi calciatori "infedeli" (i nomi ormai li conosciamo). Inoltre qualche club rischia di non fare le prossime Coppe europee. E' chiaro che Palazzi non ha molte alternative: deve rifarsi al materiale che gli passano le procure che indagano. Questo porta ad una giustizia (sportiva) a rate: ma l'importante è che si faccia giustizia. Prima o poi, vedrete, saranno in tanti a pagare. Poi, in futuro, è giusto che i club studiano come fare per difendersi da certi calciatori che li mettono nei guai seri. L'unica strada è toccarli nel portafoglio... -
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Battista, Cruciani, Rocca: ecco perché la Juve può (e deve) mettere la terza stella di laterza.stella (panorama.it Sport 02-05-2012) Se fino a ieri i motivi per cucirsi la terza stella in caso di scudetto erano 443 milioni, da oggi sono uno in più. L’ultimo si chiama Giancarlo Abete. Sì perché dopo le parole di Demetrio Albertini, che ha paragonato il caso della Juventus retrocessa della triade a quello di Ben Johnson, confondendo prove provate (leggasi esami anti-doping) con chiacchere da Bar Sport, arrivano puntuali anche le dichiarazioni del massimo esponente della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Fa sorridere il fatto che tutto ad un tratto il presidente federale sia diventato competente su una materia (scudetti, campionati di calcio e argomenti affini) sulla quale eravamo tutti convinti fosse assolutamente incompetente. “La Federazione sarà sempre attenta sul sistema delle regole, ma questo - ha aggiunto - è un dovere e un modo di essere da parte della Federazione.” Beh, come dubitarne. Del resto, anche nel 2006 quando inscenò un tribunale speciale, con annesso plotone d’esecuzione, azzerando un grado di giudizio e togliendo ogni facoltà di replica alla difesa fu molto attenta al sistema delle regole. Peccato che fossero quelle di Forum (senza offesa per l’indimenticato Giudice Santi Licheri) invece che quelle dell’ordinamento sportivo. Ma non si ferma qui il presidente federale. A domanda sulla terza stella risponde così: “Se lo discuteremo? Se il problema si porrà sì.” Perfetto! In realtà se lo discuteranno con gli stessi esiti con cui hanno discusso il tema del ricorso contro lo scudetto 2006 stiamo freschi. Anche perchè non si è capito quale sia l’ambito di competenze di questi signori. Oltretutto ad oggi si discuterebbe di una cosa che non è normata da nessuna regola federale. Per cui fuori dal politichese incomprensibile e stucchevole di Abete: si tratta di decidere se mettere una norma ad hoc o se invece ancora una volta prendere posizione senza in realtà prenderla davvero. Manifestando un generico disappunto, ma senza interventi concreti. Il nostro auspicio, naturalmente è che Abete qualcosa di concreto faccia (sarebbe se non altro una piacevole novità) e che possibilmente il Consiglio federale emendi una norma precisa che ci vieti di mettere la così tanto dibattuta terza stella. Non sappiamo se debba essere una disposizione che vieti severamente a tutte le squadre con la maglia a striscie verticale bianconere con sede a Torino di cucirsi la terza stella sul petto o più semplicemente si ufficializzi che l’uso delle stelle deve essere rigorosamente collegato all’albo d’oro ufficiale. In ogni caso quello che Abete non capisce è che tanto più la Figc prende posizione contro la terza stella tanto più assumerebbe valore un’azione contraria da parte Juventina. In poche parole: vietatecelo e la nostra rivendicazione sarà ancora più clamorosa. E poi cosa potrebbe fare il buon Abete? Darci una multa? Rispedirci ancora in B senza giusta causa? Perchè di questo si tratta; di uno scontro istituzionale che la stessa Federazione ha portato a questo stadio non avendo mai voluto affrontare il problema, pensando che bastasse non decidere per occultare il problema. In linea teorica, comunque, una volta tanto saremmo d’accordo con Abete: non si può mettere la terza stella se non si hanno nell’albo d’oro 30 scudetti, ma non si può neppure mandare in B una squadra senza prove. O ancora peggio togliere uno scudetto che non è nemmeno oggetto di indagine. O sbagliamo? Accogliamo comunque di buon grado l’invito del Presidente Federale a discuterne e così per evitare di perdere troppo tempo (non siamo mica Palazzi) apriamo una tavola rotonda sul tema, interrogando tre saggi (Guido Rossi docet) che ci aiutino a capire le ragioni della terza stella e le conseguenze che potrebbe sortire: Pierluigi Battista editorialista del Corriere della Sera, Giuseppe Cruciani, giornalista, conduttore radiofonico (La Zanzara su Radio24) e televisivo (Controcampo) e Christian Rocca, Direttore de IL Magazine – Il Sole 24 Ore, hanno risposto a tre semplici domande sul tema: 1) In caso di scudetto Andrea Agnelli cosa dovrebbe fare? Cucire sul petto la Terza Stella o si tratterebbe sarebbe solo di “una forzatura senza valore” come dice il vice-presidente della Figc Demetrio Albertini? Battista: Sono favorevole alla terza stella cucita sulla maglia: è il trentesimo scudetto vinto sul campo. Cruciani: Non si tratterebbe assolutamente di una forzatura. Se Agnelli è coerente con quello che ha fatto finora – e mi riferisco alla rivendicazione dei due scudetti tolti nel 2005 e nel 2006 – deve assolutamente andare fino in fondo. Rocca: Andrea Agnelli dovrà mettere, e metterà, la terza stella sulle maglie. Non siamo più ai tempi di Cobolli Gigli, uno che si è reso complice della farsa di Calciopoli e ha addirittura cancellato dall’albo d’oro i due scudetti vinti legittimamente e meritatamente sul campo, uno dei quali addirittura non oggetto nemmeno di indagini. Agnelli non può fare a meno di rivendicare la terza stella, altrimenti perderebbe di valore la causa per danni contro la Federazione. Quanto ad Albertini, è un miracolato di Calciopoli, uno che difficilmente sarebbe dov’è se non ci fosse stata quella farsa. Deve solo difendere se stesso, Albertini. L’unico “senza valore” è lui. 2) Nel caso la Juventus optasse per la terza stella che effetti potrebbe avere questa decisione? Battista: Certamente diranno che è una scelta anti-istituzionale perché non riconosce il verdetto della giustizia sportiva. E infatti è giusto non riconoscere la legittimità di un verdetto emesso al termine di un processo sommario senza possibilità di difesa, con un tribunale speciale che ha regalato due scudetti all’Inter. Cruciani: Non sarà un dramma per nessuno, né un’offesa nei confronti della Federcalcio, è semplicemente un gesto di coerenza con quello che la Juventus, attraverso il suo attuale presidente, ha fatto finora. Certamente è un gesto che potrà provocare una reazione da parte dell’Inter… Rocca: Gli effetti della eventuale terza stella sono pochi ma buoni. Un po’ di orgoglio per gli juventini e conferma di ciò che allora è successo in campo. Solo il risarcimento milionario, e forse nemmeno quello, ristabilirà la verità. 3) Credete che la Figc interverrà con un norma “ad hoc” per scongiurare il rischio di una terza stella juventina? Battista: Temo di sì, sarebbe un atto arbitrario, ma non mi stupirei. Cruciani: Credo che tutto rimarrà su un piano mediatico, ci sarà un po’ di baruffa ma non succederà nulla. La Federcalcio, o meglio la Lega potrebbe al limite aprire un procedimento per verificare se la cosa è conforme ai regolamenti. Dopo di che scopriranno che una squadra può cucirsi addosso tre stelle, tre canguri o qualsiasi altra cosa e tutto finirà lì. Rocca: La Federazione prepari piuttosto un fido per pagare i danni. -
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L'EX CRONISTA DELLA STAMPA: "QUELLA VOLTA ALL'AQUILA PER ONDINA VALLA" BECCANTINI, CANTORE DELLA JUVENTUS "CALCIOPOLI? UNA GUERRA TRA BANDE" di ROBERTO SANTILLI (AbruzzoWeb 02-05-2012) art.scoperto grazie a paola L'AQUILA - Ufficialmente in pensione? Lui sì, anche se a rate, ma non certo la 'beccantina', parlata bolognese con cui spara perle di saggezza e rapide quanto efficaci stilettate. Roberto Beccantini è una delle migliori penne del 'vecchio' giornalismo italiano (vecchio in senso lato, Beck), legato 'anema e core' alla carta stampata, all'inchiostro sui polpastrelli, insomma, alla bellezza di uno dei mestieri più antichi del mondo (per info e costi, chiedere a José Mourinho). Una vita per il quotidiano La Stampa e una firma da far girare tra Guerin Sportivo, Tuttosport, La Ġazzetta dello Sport, il Fatto Quotidiano. Ancora oggi, negli anni del meritato riposo. In gloria e in disgrazia, tra l'altro, il Beck è stato il 'primario' dell'Ospedale', ‘costola’ del 'Sassolino nella scarpa', blog o libero spazio che dir si voglia del quotidiano La Stampa dai quali si è dimesso il 31 agosto del 2010, tra le lacrime e gli strali dei 'pazienti' malati di pallone che in quell'ospedale hanno cercato e trovato le migliori cure per (non) guarire. Con lui, con il Beccantini amato e odiato dalla tifoseria della sua Juventus per via delle ferite ancora fresche di Calciopoli, o Moggiopoli, o Farsopoli o quello che è, abbiamo scambiato quattro chiacchiere. E intervistandolo, AbruzzoWeb ha scoperto che è stato all'Aquila di passaggio alla fine degli anni '90 per intervistare quel fenomeno di Ondina Valla, ora in cielo, bolognese come lui e aquilana d'adozione, che ride ancora a un racconto su Omar Sivori dell’aquilano Angelo Caroli e che vede 'troppo Moggi' nello scandalo di Calciopoli. Beck, lei è uno di quei forestieri che ha visto L'Aquila quando le ali erano ancora buone. L'unica volta all'Aquila in tutta la mia vita, uno dei miei tipici passaggi fulminei, toccata e fuga nei luoghi più belli d'Italia. Passai per intervistare una lucidissima 'Trebisonda' Valla, campionessa olimpica degli 80 metri ostacoli a Berlino nel 1936, nonché prima donna italiana a vincere una medaglia d'oro ai Giochi olimpici. Bolognese come me, amica di zia Maggiorana, sorella di mia mamma. La ricordo insieme a una tutrice, stava benissimo. Non sbagliava un colpo. Il 25 aprile 1995 morì Andrea Fortunato, ricordato anche quest'anno dalla tifoseria della Juventus. Lei era in Lituania. Sì, a Vilnius per Lituania-Italia. Ho ancora in mente le lacrime di Fabrizio Ravanelli per la tragedia di un ragazzo così giovane strappato alla vita da una leucemia infame. In quegli anni iniziò la grande Juventus poi spazzata via da Calciopoli, dopo dodici anni di successi. Lei non è mai stato tenero con Antonio Giraudo e Luciano Moggi, i 'belzebù' del calcio italiano. Alcuni tifosi bianconeri non l’hanno ancora perdonata. Un giornalista non deve cercare le coccole, deve solo scrivere. Calciopoli ha diviso tifosi juventini e non, per adesso c’è una sentenza penale di primo grado che ha portato a condanne pensantissime. Va comunque aspettato l’appello, perché nelle motivazioni della sentenza firmata dal giudice Teresa Casoria c’è più di qualche punto poco chiaro che stride con la durezza delle condanne. Per adesso, credo che l'associazione a delinquere, seppure uscita molto debole, allontani Moggi e la triade dal resto del gruppo nel sistema calcio di allora. Ripeto, bisogna aspettare l’appello. È come se si dicesse ‘il papa non fu ucciso, ma qualcuno ha sparato’. Manca, come ho detto e scritto più di una volta, la pistola fumante. Sul piano sportivo, però, le sentenze del 2006 tengono, nonostante molti tifosi continuino a parlare di complotto per fare fuori la Juventus. Anche se sembra un aborto giuridico la regola dell’imputato che deve dimostrare la propria innocenza, è così che funziona. Certo è che se la condanna di associazione a delinquere passasse in giudicato, le sentenze del 2006 sarebbero state addirittura troppo morbide. E se fosse derubricata a frode sportiva? Continuerei a chiedermi come mai le intercettazioni a carico degli altri dirigenti non siano state tenute fuori. Cosa è cambiato oggi da quello scandalo? Quasi niente. Prima giustificavo certe cose in base alla somma degli indizi, oggi no perché mancano le intercettazioni. Volendo, una scorta arbitrale la trovi in due mesi. Per capirci, credo che Calciopoli sia stata una guerra tra bande con 'troppo' Moggi. Una guerra servita a coprire altri scandali, secondo le teorie di alcuni? Ci sono stati tanti altri scandali, è vero. Il professor Manzella, mica l’ultimo arrivato, nel 2001 cambiò le regole sugli extracomunitari non prima dell’inizio del campionato, ma in corso. E a trarne vantaggio fu la Roma, che con un gol del giapponese Nakata, il quale beneficiò di quel cambio, fece fuori proprio la Juventus della Triade. Per non parlare del regalo di una categoria alla Fiorentina, dalla C2 finita in B con un saltello che accontentò tutto il Palazzo, Giraudo e altri compresi. Insomma, la palude del sistema coinvolgeva tutti. E nella ‘no fly zone’ c’erano gli arbitri. Cito un altro caso? Il decreto Berlusconi regalò al Milan 240 milioni di euro, la Juventus ne restò fuori. Pensiamo anche all’ex patron del Parma Callisto Tanzi, che presentava sempre iscrizioni pulite, ma poi è finito in carcere. Una palude, questa è la parola migliore. Una palude per una guerra tra bande. C’è chi crede che a rubare i campionati sia stata solo una squadra. Alla fine il campionato è pulito solo se lo vince la tua squadra. Così ragionano quasi tutti i tifosi d’Italia. L’Italia politica e pallonara, dirigenti, tifosi, elettori: una cosa sola? L'Italia e il calcio sono la stesse cosa. Come nella politica, nel calcio, che è pieno di politica, mancano i grandi dirigenti. Basta guardare all’ex capo della Figc Franco Carraro, coinvolto in e uscito da Calciopoli come se non ci entrasse nulla. Proprio lui che esortava uno degli ex capi degli arbitri, Paolo Bergamo, a garantire la Lazio contro la Juventus. Siamo sempre allo stesso punto: la res privata può anche essere gestita benissimo, in questo caso qualche grande dirigente salta fuori. I guai arrivano quando c’è da gestire la res publica, la cosa di tutti. E il complotto per eliminare la figura di Andrea Agnelli, oggi presidente della Juventus, presidente mancato all’epoca dello scandalo? Alcune delle radici più corpose di Calciopoli si perdono nelle stanze Agnelli-Elkann, roba di spartizione del tesoro Fiat dopo la morte dei due vecchi Gianni e Umberto Agnelli. Mi cito da solo: se vuoi farmi fuori, non butti giù tutto il palazzo in cui abito: mi aspetti fuori e mi spari. Non credo ai complotti, ai giochi di potere sì, ma tutte queste teorie sugli intrecci per eliminare la Triade, Andrea Agnelli e il resto non mi hanno mai convinto. Moggi e Giraudo potevano essere allontanati in qualsiasi momento dalla proprietà, potevano andare al Milan da Berlusconi, anche se si dice che Adriano Galliani non li volesse tra i piedi e che abbia contribuito a farli fuori. Andrea Agnelli dove siede oggi? Alla Juventus, quindi tutte queste faide familiari dove sono? A meno che Andrea non sia uno ‘Iago’ moderno, fa tutto parte del gioco. Anche se non nascondo che di conti che non tornano in Calciopoli ce ne sono. E sono tanti. Intanto, il Palazzo viene travolto al minimo soffio di vento. E tutti restano ben saldi sulle poltrone. Basta guardare al lavoro di Giancarlo Abete in Figc, uno che non ha avuto il coraggio di revocare lo scudetto dato da Guido Rossi all’Inter, dopo che il capo della Procura federale Stefano Palazzi aveva scritto chiaramente che, se nel 2006 fossero uscite le intercettazioni a carico della società nerazzurra, al di là delle differenze evidenti tra i grandi numeri moggiani e i tentativi dell nerazzurro Giacinto Facchetti con gli abitri, sarebbe stata rinviata a giudizio con l’articolo 6. Però nel 2006 Guido Rossi fece la differenza. Da una parte un ex consigliere dell’Inter che toglie lo scudetto alla Juventus, dall’altra l’avvocato Zaccone, colui che chiede la B per la Juventus. Io sono uno che ha sempre difeso Zaccone. Lo juventino arrabbiato dimentica sempre che per la Juventus era prevista la serie C, ma faceva e fa ancora comodo a tutti far passare la strategia di Zaccone come una richiesta di patteggiamento per la Juventus. Falso. Zaccone non chiese la B, evitò la serie C. A distanza di 6 anni le ferite e i buchi nell’inchiesta sono ancora lì. Da quando sono in pensione non ascolto più il calcio chiacchierato. Per me, ripeto, nel mondo del palone italiano era in corso una guerra fra bande. Tutti lamentavano il diritto alla difesa, tutti si difendevano da tutti con vari sistemi e a vari livelli. Giraudo e Moggi sono stati puniti, la Juventus, ovviamente, anche. Altri molto meno. Torniamo in Abruzzo. Le piace il Pescara di Zeman? Moltissimo. Il boemo per me è sempre stato un grandissimo ‘mezzo’ allenatore. L'ho già scritto su ‘Linea Bianca’, io a Zeman non darei una squadra in lotta per lo scudetto, perché mi perde le partite vinte e mi vince le partite perse, ma se nella mia città arriva una squadra di Zeman la vado a vedere, questo è sicuro. Come è stata gestita la vicenda del povero Piermario Morosini? Su Morosini sono aperto a qualsiasi soluzione, purché ci sia un senso nel prendere le decisioni. Ricordo la morte di Renato Curi, mancava la tv ma colpì molto gli italiani. Su Morosini la Lega Calcio poteva comunque evitare di finire nel caos. Si può decidere di tutto, di giocare col lutto al braccio, oppure no, purché si faccia con serenità. Invece, è arrivata la solita cagnara. In Inghilterra con Muamba hanno sospeso la partita, per fortuna al giocatore è andata bene. Noi abbiamo preferito dare il solito tocco di italianità alla tragedia. Capisco la tensione in quei momenti terribili, posso capire il nervosismo, ma la macchina che ostruisce l'ambulanza grida vendetta. Non esistono scuse per un esempio perfetto di cialtroneria italiana, il tocco di farsa in una grande tragedia. Altra tragedia e altre farse: il terremoto dell’Aquila. C'è l'Italia dentro, le illusioni di Berlusconi, l'ikeismo di Berlusconi e la mancanza di grandi politici e dirigenti. Mi addolora sapere di una città stupenda, una delle più belle tra le più belle d’Italia, ridotta così male. Anche qui, l’italianità si vede e si sente. Di fronte a queste tragedie noi italiani reagiamo bene, ma alla lunga cediamo. Mi auguro che possano essere risolti i vostri guai, che poi sono anche i nostri. Lei conosce bene un aquilano vero, Caroli, un solo gol, contro il suo Bologna, nella Juventus di Sivori, Charles e Boniperti. Grandissimo atleta, grandissima carriera lontano dall’Aquila. Il mio amico Angelo. Mi raccontò uno degli episodi che più mi hanno fatto ridere in vita mia. Il Bologna segnò alla Juventus su punizione, in porta c’era Mattrel. Al gol Sivori sputò per terra, Mattrel si giustificò con un poco convincente ‘ero coperto’; a quel punto, Sivori sputò un’altra volta per terra e gli urlò ‘la prossima volta scopriti, s*****o!’. Caroli era lì, vide e sentì tutto. Una scena fenomenale. Capitolo scommesse. La bomba è lì lì per esplodere. Esploderà. Il ‘bubbone’ c’è ed è pure enorme. L’allenatore della Juventus Antonio Conte si è visto tirato in ballo, si parla di omessa denuncia come per gli ex Bari Bonucci e Pepe, oggi alla Juve, ma i colpevoli sono altri e credo che gli arresti lo dimostrino. Spero che almeno in questa vicenda non penseremo a come stanno i carnefici. Preoccupiamoci, per una volta, delle vittime. Il giornalista Marco Travaglio lamenta il ritorno dietro di Moggi e Giraudo dietro le quinte della Juventus. Non lo so, di sicuro Andrea Agnelli è il Giraudo della Juventus, metta l’opera di Giraudo nella Juventus. Nella gestione del caso dell'ultima stagione di Alex Del Piero in bianconero rivedo proprio Giraudo, con cui Agnelli è cresciuto. Il ruolo è quello, è operativo, molto diverso dai ruoli di Vittorio Chiusano, o Franzo Grande Stevens. La proprietà è lontana, si vede a malapena l’ombra. Andrea invece è lì, è dentro. E, da come calcia, si capisce che è uno che usa gli stivali. Nel calcio di oggi si deve vincere per forza, non c’è spazio per i secondi posti. Lei, però, la sua Juve la ama lo stesso, tanto per parafrasare il titolo di un suo libro. Mi viene in mente una frase di mister Antonio Conte: ‘solo chi vince fa la storia’. Non sono d’accordo. Pensiamo all'Ungheria di Puskas, ha vinto e ha fatto la storia perdendo la partita più importante. L’Olanda di Crujiff idem, ha perso e ha fatto la storia. A voler vincere sempre e senza pensare al costo fisico non si sa mai dove si arriva. A Conte dico che la sua prima Juventus la ricorderò lo stesso anche se arrivasse seconda, seppure in un campionato mediocre. Ora, però, faccio gli scongiuri. Se vincesse questo scudetto ci sarebbe la questione della terza stella. 27 scudetti? O 29? Io non la metterei, perché porta pure malissimo. E cito i vecchi latini: ‘dura lex, sed lex’, c’è poco da fare. Il presidente della Figc Abete anche in questo caso latita, non si sa da che parte sia, le regole sono quasi sempre troppo lontane, sullo sfondo del nostro calcio e in generale del sistema Italia. C’è aria di compromesso democristiano secondo me. I giornali scrivono che Zlatan Ibrahomovic ha vinto 8 scudetti, quindi includono anche quelli tolti alla Juventus e i gol segnati in bianconero. Idem con Diego Milito: il Genoa venne retrocesso nell’allora serie C per la famosa valigetta piena di soldi, ma i gol del ‘Principe’ restano. Se siamo ancora qui a parlarne vuol dire che Calciopoli, o come ognuno intende chiamare quel momento del calcio italiano, non è un argomento chiuso. Tante certezze, lei dice, ma anche tanti dubbi. E tanti personaggi rimasti fuori dalla giostra. Non ci sono angeli in galera, ma diavoli a piede libero. E mi chiedo: cosa sarebbe successo dal punto di vista sportivo a Moggi e Giraudo se fossero morti prima del processo del 2006, come accaduto a Facchetti? Chiudiamo questa lunga intervista con un moderno adagio del ‘primario’ Beccantini? Secondo un antico proverbio cinese, “Quando il saggio indica le stelle, lo stolto guarda il dito”. Secondo un moderno adagio del Primario, “Quando il saggio indica il dito, lo stolto guarda le stelle”. . . -
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La mediocrità di Hodgson e le ragioni di Platini sulle stelle della Juve di JACK O'MALLEY (IL FOGLIO.it 02-05-2012) Del derby di Manchester ho già scritto. Qui vi parlo d’altro. Non delle prestazioni sessuali di Balotelli vestito da donna a letto con la sua segretaria (così banale e scontata nel dire che faceva finta di godere con Super Mario), ma della follia del Tottenham che ha fatto sapere alla federazione inglese che se avesse voluto mettere Redknapp sulla panchina della Nazionale avrebbe dovuto sborsare 10 milioni di sterline. Alla fine, per non smentirci, abbiamo scelto per il peggio. Non contenti di dovere iniziare gli Europei con Rooney squalificato almeno fino a quando la Nazionale non sarà eliminata da una squadra mediocre qualsiasi, abbiamo deciso di sostituire il fuggitivo Capello (sempre più surreale: gli ho sentito dire che Barcellona e Real hanno perso in Champions perché hanno giocato il clásico tre giorni prima) con Roy Hodgson. Sì, proprio quel Roy Hodgson tanto caro ai tifosi interisti (credo sia ricordato in Italia più per le sue gag a “Mai dire gol” con mister Flanagan che per i risultati). Niente Redknapp, che avrà sì la faccia da sbronza senza possibilità di uscita, ma che forse avrebbe titillato parecchio tifosi e giocatori. Insomma, non nascondo che a questo punto ho un motivo in più per sperare che gli Europei vengano boicottati. Così magari la federazione inglese ci ripensa. In attesa che si ufficializzi Hodgson, intanto, mi rifaccio gli occhi con il Chelsea, rivitalizzato dalla finale di Cialtrons League che ha avuto persino il potere di far tornare Torres un giocatore normale (méches a parte). Tre gol in una partita, nell’ultimo anno non era successo nemmeno in allenamento. Tre, come le stelle che la Juve vorrebbe appiccicarsi sulla maglia, con conseguente polemica più autoreferenziale di un incontro del Festival internazionale del giornalismo: per una volta ha ragione Platini (“Affari vostri”). Cosa che non succede molto spesso. -
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SPYCALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 01-05-2012) Scommesse, casi Genoa e Lazio Fischi dalla tribuna: che caos Calcioscommesse, caso Genoa, spettatori che fermano il gioco, caos della Lega di serie A, contenzioso Coni-Lotito, eccetera. Il nostro calcio è messo davvero male e in Europa conta sempre di meno. Ma intanto litiga, in un clima purtroppo sempre più avvelenato. Vediamo che succede. Calcioscommesse: ormai ci siamo. La prossima settimana arrivano i primi deferimenti (e non saranno pochi) di Palazzi e c.. Il processo si terrà verso fine maggio: poi un altro ci sarà a luglio. Un'estate caldissima, il rischio che le classifiche (di A, B e Lega Pro) siano sconvolte e che molti club, il prossimo anno, possano iniziare i campionati con una penalizzazione. Non c'è speranza comunque che la responsabilità oggettiva venga annacquata. Per ora è così. I club però in futuro dovranno cautelarsi contro i loro calciatori "infedeli", toccandoli sul portafoglio. C'è il rischio comunque che torni in discussione anche la questione delle Coppe europee: la classifica del 13 maggio potrebbe non essere definitiva. Il fischio dalla tribuna: un inedito o quasi, quello che è successo a Udine. Dopo il laser che disturba, ecco anche l'imbecille di turno che ferma il gioco. Bergonzi non si è fermato, ed è prassi che gli arbitri non si fermino, pur potendolo fare (non solo obbligati, possono): questo per evitare che ci siano disturbatori di mestiere e che il gioco sia spezzettato. Ma è vero, come sostiene la Lazio, che "prima l'arbitro e il quarto uomo hanno detto di voler annullare il gol (dell'Udinese), poi hanno cambiato idea"? Lo sostiene anche il friulano Domizzi. E se fosse davvero così, sarebbe gravissimo e la procura forse dovrebbe aprire un'inchiesta. La Lazio ora sembra intenzionata a chiedere la ripetizione della gara per errore tecnico: ma se l'arbitro non ammette, ci sono poche speranze. La Lega di serie A: la "macchina" funziona (basta vedere il successo della Coppa Italia) ma a livello d'immagine siamo ai minimi termini. Ora si discute anche un sistema di governo diverso, perché quello attuale non funziona. Ma con l'aria (pessima) che tira, ecco che l'attuale presidente, Maurizio Beretta, potrebbe restare sino a dicembre, a forza di proroghe. Poi, presto, ci sarà da discutere anche la questione della ripartizione dei diritti tv, circa un miliardo di euro a stagione, dal 2012 al 2015; e allora lì ne vedremo davvero delle belle... Caso Genoa: la Figc ha aperto un'inchiesta sulla vergogna della partita interrotta, sul ricatto della maglie, sul comportamento di Preziosi e dei giocatori. Cose mai viste, tipicamente italiane. C'è da sperare solo che il superprocuratore Stefano Palazzi non ci metta un anno a chiudere l'indagine, visto com'è oberato di lavoro. C'è da indagare inoltre, ma seriamente, sui rapporti fra alcuni club e frange di tifosi che poi, vedi Genova, si comportano in quel modo. Intanto la prima gara a porte chiuse, quella col Cagliari, non si potrà giocare a Marassi, come stabilito dal giudice, ma si terrà a Brescia. Il prefetto di Genova nei giorni scorsi aveva fissato le ore 15, e non le 20,45: non è bastato, la questura ligure non è in grado di garantire la partita che così viene dirottata a Brescia. Su quello che è successo in quella domenica, qualcosa che resterà nella storia del nostro calcio, provvederà poi a giugno il capo della polizia, Antonio Manganelli. In silenzio, come di consueto. Ma provvederà... Lite Coni-Lotito: il patron della Lazio non si è accordato per l'affitto dell'Olimpico (in ballo solo una questione di 112 biglietti della tribuna autorità?) e ha iscritto la squadra a Palermo per le Coppe europee, Champions o Europa League che siano. Uno sgarbo non tanto al Coni (che non due concerti in più recupera quello che la Lazio paga in un anno) ma soprattutto ai suoi tifosi. Se ne rende conto Lotito? Inoltre, se entro il 30 giugno non trova l'accordo con Petrucci non può iscrivere la squadra al campionato. Ma vogliamo scherzare? Il Coni ha due squadre di calcio, la Roma e la Lazio, che giocano all'Olimpico: non può concedere privilegi a nessuno, anche se lo volesse, perché soggetto al controllo della Corte dei Conti. A Lotito non resta che una soluzione: mettersi d'accordo. -
01 05 2012 Europei in Ucraina: chi ha avuto la bella idea? La storia delle grandi manifestazioni sportive moderne (come quelle antiche) è fatta di contrasti tra la politica e l’evento che si tende, finché è possibile, a considerare a sé, benedetto dalla franchigia dello sport. Si fa, insomma, come se davvero si interrompessero le guerre in nome di Olimpia. La cosa è molto contraddittoria: per rimanere alle faccende italiane o italiote, negli anni 70 in rapidissima successione si vinse una Davis panattica nel Cile di Pinochet senza più strepiti politici di tanto (e allora c’erano ancora i partiti, eccome...) e due anni dopo, nel 1978, si festeggiò la Coppa del mondo calcistica dell’Argentina di Videla e compagnia massacrante senza quasi un fiato: da noi si doveva parlare di Bearzot e (a mio modesto avviso) della migliore Nazionale mai avuta nel dopoguerra e non certo dei “desaparecidos”. Poi le Olimpiadi di Mosca furono il festival delle contraddizioni politico-sportive. Siamo ai giorni nostri, e le cose non sono molto cambiate. L’ex premier Yulia Timoshenko, discussa e discutibile certo, è in galera in pessime condizioni e adesso è passata allo sciopero della fame e – pare – alle percosse. Così qualcuno è costretto ad accorgersi che forse l’Ucraina qualche problemuccio di presentabilità in termini di “diritti soggettivi e principi democratici” (by i nostri ministri Gnudi e Terzi. . . ) ce l’avrebbe, e non bastano i festoni dei prossimi campionati Europei a nasconderli. SI È ESPRESSO in questo senso entro confini il leader Udc Casini, il più mobile sul tronco in gergo pugilistico di questi tempi, e fuori soprattutto Angela Merkel, che è ormai una specie di testimonial della diplomazia veterocontinentale e planetaria, a mo’ di “la donna che non deve chiedere mai”: si boicottino i campionati, che l’Ucraina si è vista assegnare dalla Uefa di Platini nel 2007 a mezzi con la Polonia, se la bionda leader dell’opposizione in carcere non viene tradotta a Berlino, per essere curata. Bene, fa in mattinata la medesima Uefa di Michel Platini, più furbo adesso come capataz europeo di quanto non fosse intelligente in campo, si prospetti il rinvio di un anno se non ci sono le condizioni socio-politiche richieste. Miracolo, nel contesto di quel sudario di menefreghismo, compartimenti stagni, contraddizioni e ipocrisia cui ho fatto prima cenno: la Uefa che prende delle decisioni rivoltando la gerarchia di priorità dello showbiz. Non il baraccone, ma i diritti in questo caso civili (in Cina c’era in ballo quella cosuccia dei diritti umani e di una pena capitale a pieno regime). Miracolo subito rientrato ore dopo: la Uefa ha scherzato, come quasi sempre. Gli Europei si debbono fare, e si debbono fare in Ucraina e in Polonia, anche se le condizioni logistiche degli stadi destano preoccupazione e questo è appunto il solo nodo da sciogliere che davvero turbi il consesso dei politici sportivi, appoggiati ai e dai politici tout court. Come siano stati aggiudicati questi campionati continentali a due Paesi con tali caratteristiche, è davvero interessante: perché all’Ucraina, già allora in pieno caos politico nei rapporti di dipendenza negoziata sul piano economico con la Russia di Putin dopo qualche “macchia arancione”? E perché alla Polonia dei due gemelli Kaczynski avvolti dalla nebbia politica sulla loro vera natura ideologica, in odore di destra spinta e di democrazia pericolante? La risposta politico-sportiva è una sola: a questi due paesi, senza guardare troppo per il sottile, in tempi in cui per accollarsi gli oneri organizzativi bisogna associarsi logisticamente, per non darli all’Italia. E perché non darli all’Italia, che ricordo favoritissima in quella primavera del 2007 in cui il ministro dello Sport Melandri già pregustava l’evento? Perché era friabile, troppo friabile politicamente, in senso pieno e in senso sportivo (Calciopoli, Carraro, Abete, stadi allora e ancora in nuce). COSÌ dopo gli Europei prossimi venturi, se ci saranno (strana un’uscita così forte della Merkel senza un “background”, non vi pare?), l’Uefa di Platini ha assegnato alla Francia di Platini l’edizione del 2016, naturalmente alla faccia dell’Italia che si era candidata anche questa volta. Palate di guano, che la Federcalcio avrebbe volentieri rischiato di triplicare con la candidatura del 2020, fortunatamente stoppata ai piani più alti. Non fosse stato così, il ministro deputato Gnudi, oggi sarebbe stato meno libero di esternare a favore della Timoshenko e delle priorità civili. C’è in giro e non da oggi, un’opacità a livello internazionale nella politica sportiva, calcistica e non, che dovrebbe far drizzare i capelli e invece lascia disarmati di fronte alla ancor maggiore mancanza di trasparenza della politica tutta, di cui parliamo a colpi di “spread” e di titoli di Stato praticamente tutti i giorni. Che cosa rende addirittura più indigeribile questa “grande abbuffata” politico-economica dello sport? È esattamente quello che nella quotidianità del fenomeno rende i fattacci sportivi ancora più gravi di quelli che accadono negli altri campi: lo sport, il calcio, anche se mascherati da spettacolo, rimangono qualcosa che non si vorrebbe violato nella sua integrità ormai quasi solo nostalgica. Sono valori radicali che l’ossessione economica contigua al malaffare e la speculazione anche politica non hanno ancora estirpato del tutto. Per questo, per restare malgrado tutto pur se in parte ridottissima “un’altra cosa”, la minaccia di non far disputare gli Europei per salvare la Timoshenko, un’idea di democrazia ormai sbiadita, e magari anche l’esercito di cani randagi che il governo ucraino fa abbattere criminalmente per “tenere pulito il palcoscenico” mantiene un che di nobile, anche se l’alone di recita gattopardesca è in agguato. Avessimo trovato uno scopo deterrente contro le nequizie per la corrotta industria dello sport contemporaneo!
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CorSera - Milano 01-05-2012 ------- CorSera - Milano 01-05-2012 -
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Terza stella Juve questo è il cammino E’ argomento di dibattito: ma il calcio non ha altri problemi? di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 01-05-2012) TORINO. Il fatto che la terza stella della Juventus sia il principale argomento di dibattito del calcio italiano dimostra quanto grave e deprimente sia la situazione in cui questo stesso versa. Pare di percepire, infatti, preoccupazione dei vertici del nostro pallone, agitati dalla possibile intenzione bianconera di cucirsi un’altra stella sulla maglia. Curioso, visto che di argomenti più seri di cui dibattere e preoccuparsi non ne mancherebbero. Ma forse non è così importante che più della metà delle partite di ogni giornata si giochi in impianti medioevali con organizzazione da fiera paesana, perché «lo spettacolo della Serie A resta appassionante e affascinante». ISOLATI E chi se ne importa se lo spettacolo di cui sopra non viene più trasmesso con regolarità in Europa, invasa dalle immagini della Premier League e della Liga, mentre il «campionato più bello del mondo» non riesce a vendere decentemente i diritti tv all’estero. Vabbè, ma «ricordatevi che la Serie A fattura oltre un miliardo di euro», riuscendo tuttavia ad accumulare svariate centinaia di debiti all’anno. Con i soldi spesi per fantomatiche «intermediazioni» nelle operazioni di mercato dell’ultimo decennio si sarebbero ristrutturati almeno un paio di stadi di Serie A. Investendo il 10% di quanto incassato dalle tv nell’ultimo decennio si sarebbero costruiti dieci Juventus Stadium. D’altra parte chi ora parla di terza stella, negli ultimi anni ha lungamente parlato anche «di stadi di proprietà», salvo sperperare il denaro per pagare ingaggi folli a brocchi patentati o non riuscire a mettere in piedi un appena decente lavoro di lobby politica per fare approvare una legge a un Parlamento oltretutto ben disposto. Però il problema del calcio italiano è la terza stella. INADEGUATI Non è quello di avere dei dirigenti la maggior parte dei quali non ha una laurea e parla con difficoltà una lingua straniera. Non è quello di essere troppo spesso ostaggio di gruppi ultrà, professionisti del tifo che espongono il Paese a meschine figure come quelle di Genova. Non è quello di aver perso una squadra in Champions League, anche per la stupida presunzione di snobbare l’Europa League. Non è quello di avere un movimento malato dalla radice, ovvero da quel calcio giovanile, scenario di squallida diseducazione sportiva (andate a vedere il comportamento di certi genitori e certi allenatori di bambini per inorridire veramente). No, tutti questi sono dettagli, piccole imperfezioni, se ne può parlare in un altro momento, prima risolviamo la terribile questione della terza stella. DI CARTONE E allora risolviamola. E già che ci siamo parliamo di uno scudetto assegnato a tavolino a chi, nel 2006 doveva risultare «illibato» per riceverlo. Scudetto regolarmente cucito sul petto (nessuna polemica all’epoca), salvo poi imbarazzare più d’uno quando, il primo luglio del 2011, Stefano Palazzi , procuratore federale, ebbe modo di scrivere che gli assegnatari di quello scudetto erano tutt’altro che illibati, ma avevano violato più volte l’articolo 1 e perfino l’articolo 6 (illecito sportivo), quello che può portare anche alla retrocessione. Non è successo niente, per «avvenuta prescrizione» e quello scudetto è ancora lì, nell’albo d’oro della Federazione Italiana Giuoco Calcio, la stessa per la quale lavora Stefano Palazzi. Come dite? Incongruente? No, sarebbe meglio dire «incompetente», parola dietro la quale il Consiglio Federale e la giustizia sportiva si sono ammantati per evitare l’imbarazzo di conti che non tornano per niente. LE SENTENZE «Ma adesso è diverso, qui si tratta di rispettare le sentenze», dicono. Ora, a parte il fatto che almeno una fetta di quelle sentenze è tutt’altro che definitiva, la Juventus ha rispettato le sentenze di Calciopoli. Si è regolarmente iscritta al campionato di Serie B, accettando la penalizzazione, svendendo i proprio campioni e iniziando un percorso di ricostruzione lungo, costoso e soprattutto doloroso per i suoi tifosi. Di rispetto, il popolo bianconero ne ha avuto fin troppo. Sarebbe ora di averne indietro un po’. -
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Crowdfunding football Buy this team Fans don’t like clubs being run as businesses. The alternatives may be worse by The Economist | Apr 28th 2012 FOOTBALL fans are used to being squeezed by their beloved clubs through rising ticket prices, regular strip changes and stiff charges for food and programmes. They have rarely been asked to bail out the clubs directly. In Britain—unlike Germany, say—football clubs are generally limited-liability companies, the top ones often owned by rich foreigners. But fans of Portsmouth Football Club hope to change that tradition. Portsmouth was relegated from the Premier League in 2010, and will plunge to the third division next season. The club went into administration in February 2010 and again in February 2012. The Pompey Supporters Trust is now canvassing for interest in a takeover of the club by supporters. Fans are asked to put £100 ($160) into an escrow account. If enough do so, a community share scheme to buy the team will be created, with shares at £1, 000. Until an arrangement has been reached with creditors, it is not clear how much a community buy-out will cost. But a quick survey outside the team’s ground before a recent game found fans in theoretically generous mood: “£1, 000” and “as much as I have” were common responses to the question of how much they would give. Similar moves are afoot elsewhere: Darlington fans are trying to rescue their club from administration with the help of Crowdcube, a crowdfunding website. Fans have controlled clubs before. In 2002 AFC Wimbledon was created by supporters of Wimbledon Football Club who were upset at that team’s move to Milton Keynes. The team is owned by the Dons Trust, whose members pay £25 a year and have a vote on big issues, such as moving the club or taking out a loan. They also elect the team’s directors. To raise over £2m to buy a ground, traditional leverage was combined with a share offer to fans. According to the Dons Trust chairman, Matthew Breach, crowdfunding generated not only money but also loyalty, which has been essential in maintaining support as the club has risen through the divisions. A less happy example is provided by Ebbsfleet United. In 2008 three-quarters of Ebbsfleet was sold to MyFootballClub and its 27, 000 subscribers, each paying £35. Subscribers not only elect a management team but also vote on which players to sign, how much a season ticket should cost and what colour the kit should be. At first members were allowed to vote on the team and its tactics, too, but this proved not conducive to effective management. An excess of democracy is still a problem at Ebbsfleet, according to Charles Webster, a longstanding fan and match commentator, who describes the set-up as a “talking shop”. And, since fans only buy one year’s membership to MyFootballClub, they are left with nothing if they do not resubscribe. The initial ardour of the fans has cooled, bringing membership down from a peak of 32,000 to 1,400. The club’s budget has fallen correspondingly; Jessica McQueen, its director, has said another £50, 000 is needed before the end of the season. In the circumstances, a foreign angel might be welcome. -
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No stipendio, no partita Nel Leiria giocano solo in 8 gli altri si ammutinano Il club portoghese moroso da cinque mesi La squadra resiste un tempo, poi perde 4-0 di SIMONE DI SEGNI (LA STAMPA 30-04-2012) La foto di rito a pochi istanti dal fischio d’inizio racconta molto di questa strana storia. Protagonisti diversi, gli 8 che scendono in campo e i 16 che non possono essere immortalati perché si sono chiamati fuori: i primi si produrranno in una «fantozziana» (e vana) difesa della propria porta, nel match che poteva decidere la salvezza del loro club, l’Uniao Leiria, squadra della A portoghese; i secondi hanno impugnato i propri diritti di lavoratori non pagati da mesi. Sono più che ammutinati: hanno rescisso il proprio contratto e segnato il destino dei compagni e della società debitrice. Non solo: per certi versi, è andata al mare anche la regolarità del campionato stesso. Uno di loro, il maliano Keita, sarebbe addirittura fuggito dallo stadio con una valigetta contenente seimila euro. Tra i calciatori che hanno tenuto fede ai propri impegni, 5 (Oblak, Djaniny, Copetti, Shaffer e Baerkroth) sono di proprietà del Benfica, che paga buona parte dei loro stipendi: il 6 maggio le due squadre si ritroveranno una di fronte all’altra, e meno male che il Benfica non potrà più prendere il Porto, da ieri campione, altrimenti sai che regolarità. A calamitare gli interrogativi, tuttavia, non è solo quello che combinerà il quintetto di fronte alla casa madre, ma il beneficio che questa trarrà nel giocare contro una squadra di calciotto come è accaduto ieri alla Feirense, club in lotta per la sopravvivenza. Ieri i fantastici otto si sono concentrati negli ultimi 20-30 metri della propria metà campo. Il risultato? Rete inviolata (si fa riferimento a quella del Leiria, l’altra neanche a dirlo…) fino all’extra time del primo tempo, quando il Feirense ha trovato il vantaggio prima di dilagare nella ripresa: 0-4 il finale, tutto sommato in linea con il più ottimistico dei pronostici in favore dei disperati. Sabato erano stati addirittura in sei ad allenarsi nello Stadio Municipale di Marinha Grande: un numero insufficiente per poter dare il via alla gara (il minimo sindacale è di sette giocatori in campo). Fino a ieri l’annullamento della partita e la vittoria a tavolino dei rivali rientrava tra le soluzioni più quotate, lo scenario è ancora attuale in vista delle ultime due giornate del torneo. Il presidente del Leiria, Joao Bartolomeu, è finito sotto scacco per quattro o cinque stipendi (a seconda dei casi) andati a farsi benedire e soprattutto per la procedura più snella del campionato portoghese (se non si fosse capito, in piena crisi economica) in materia di pecunia arretrata: il patron si è sentito comunque colto in contropiede e ha annunciato la volontà di uscire dal mondo del calcio. Nel frattempo il sindacato dei calciatori portoghesi ha preso le parti degli insorti e si è scagliato contro il presidente di lega, Mario Figueiredo, reo di aver tentato di ricucire lo strappo: è stato lui stesso, nell’intervallo dell’incontro di ieri, a spiegare ai giornalisti che i ribelli avevano appena respinto un’offerta pari alla metà dei soldi in ballo. «Premendo sui giocatori per farli scendere in campo - così il sindacato -, ha messo a repentaglio i loro diritti, compreso quello di rescindere il contratto». Il primo dirigente del campionato non doveva farsi i fatti suoi. -
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Beha: ‘Zeman potrebbe fermare la Juve’ di OLIVIERO BEHA da Partite & partiti (tv.ilfattoquotidiano.it 30-04-2012) La sola squadra in grado di sconfiggere la Juventus in questo momento sarebbe il Pescara. Ma i ragazzi di Zeman, per ora, giocano in serie B e lo scudetto bianconero è veramente a un passo. Si porterà dietro, inevitabilmente, le polemiche sulla terza stella e sui campionati di calciopoli. Di calcio si parla anche nella politica internazionale. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha invitato a boicottare gli Europei in Ucraina, dove il regime tiene reclusa Julia Timoshenko, ex primo ministro e leader della Rivoluzione arancione. Stavolta il calcio può avere una funzione importante e diventare strumento di denuncia di una grave violazione dei diritti civili -
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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 29-04-2012) Terza stella, lite Juve-Inter E adesso che farà Beretta? Una nuova occasione per litigare, la terza stella che la Juventus potrebbe (vorrebbe) cucirsi sulla maglia in caso di scudetto. Ma il problema è che i titoli vinti sono 27 e non 29, come sostiene il club bianconero: due (2005 e 2006) sono stati "cancellati" ai tempi di Calciopoli. La prima stella fu stampata sulle maglie bianconere nel 1958, dall'allora presidente Umberto Agnelli: poi è diventata una consuetudine e adesso Andrea, figlio di Umberto, sogna di potersi fregiare della terza stella. Per Marco Tronchetti Provera "è solo un'operazione di marketing". Ma per Massimo Moratti questa è "una provocazione". E aspetta di vedere cosa fa la Figc: "se accetta, a quel punto liberi tutti...", tuona il patron dell'Inter, avvelenatissimo con la Juventus. Giancarlo Abete ha risposto subito con chiarezza ("faremo rispettere le regole") dopo essere stato coinvolto, con imbarazzo, nell'inaugurazione dello Juventus Stadium, con tanto di "celebrazione" dei 29 scudetti. La Juve- si sa- non si rassegna, e dopo la giustizia sportiva (e il consiglio federale) ora si è rivolta alla giustizia ordinaria, chiedendo, tra l'altro, alla Figc di risarcirle un danno da 444 milioni (roba da far saltare il bilancio della Federazione per un paio di stagioni...). Ma su questo dovrà pronunciarsi, in autunno, il Tar del Lazio. Nel frattempo, ecco all'orizzonte l'altra (probabile) grana della terza stella. Il tavolo della pace convocato da Gianni Petrucci, coi risultati che sappiamo, è davvero lontano. Più che la Figc la questione terza stella riguarda, o almeno potrebbe (dovrebbe) riguardare la Lega di serie A che organizza il campionato. Il regolamento delle divise di gioco all'articolo 10 (comunicato del 13 luglio 2011) della Lega di Milano recita così: "Le società sono tenute ad osservare l'approvazione scritta della Lega Nazionale Professionisti serie A prima di indossare le divise in gare di competizioni ufficiali della stessa Lega". Il comma 2 spiega inoltre che "tutto ciò che non è esplicitamente consentito dal presente regolamento, deve intendersi come espressamente violato". E al comma 6 è detto anche che "la Lega segnalerà ai competenti organi di giustizia sportiva le società che, disattendendo il presente regolamento per quanto riguarda le dimensioni, il posizionamento e l'ammissibilità dei marchi, scritte e/o elementi grafici pubblicitari, si rendano responsabili di violazioni dei regolamenti federali o delle disposizioni in materia emanati dalla stessa Lega". Toccherebbe quindi a Maurizio Beretta, presidente della Lega ("scaduto" il marzo dello scorso anno ma che forse sarà prorogato sino a dicembre. . . ), segnalare l'eventuale comportamento della Juve agli organi di giustizia sportiva. E l'Uefa? Il suo presidente ed ex campione juventino, Michel Platini, taglia corto:"Un problema solo italiano". Giampiero Boniperti, 83 anni, vincitore di 14 scudetti della Juventus, spiega: "La terza stella? Non dipende solo da noi che la vogliamo ma anche da tante altre cose". Riferimento al campionato ma forse anche alle questioni giudiziarie che la Juve tiene ancora aperte. Bisognerà vedere davvero cosa vorrà fare il presidente Andrea Agnelli. Secondo alcune voci sarebbe intenzionato a candidarsi alla carica di consigliere federale, prendendo il posto lasciato libero dal super squalificato Lotito. Altre voci invece sostengono che non è affatto interessato. L'articolo 29 comma 1 dello statuto Figc prevede che non sia eleggibile chi ha un contenzioso aperto con il Coni o con la Federazione stella: ma i tanti ricorsi della Juve sono stati firmati da Agnelli o, ad esempio, dal dg Marotta? Di sicuro comunque, se la Juve si mette la terza stella (o tenta di mettersela), l'Inter, e forse non solo l'Inter, non appoggerebbe l'elezione di Agnelli in consiglio federale. Olimpico, ok la prova generale in vista della Coppa Italia Non per infierire ma è anche un problema di organizzazione. A Genova (ricordate la vergogna Genoa-Siena?) non c'è stata. A Roma sì. E le premesse, in vista di Roma-Napoli, non erano certo state incoraggianti, visto che erano state rivenute, nascoste chissà da chi, delle bottiglie incendiarie. Ma non c'è stato un incidente, non un ferito, non un contatto pericoloso fra due tifoserie che si detestano. La polizia c'era (non stava a guardare come a Marassi...): 13 squadre miste steward-poliziotti sugli spalti, che, quando c'è aria di pericolo, non devono essere affidati solo agli steward. Poi agenti in borghese in tribuna e due squadre di poliziotti fuori dall'Olimpico pronti ad intervenire: prima squadra 30+30, seconda squadra 100+100. Il questore Francesco Tagliente, all'una di notte, controllava con i suoi uomini ancora la zona dello stadio destinata ai tifosi del Napoli (circa un migliaio). Tutto è filato liscio: una prova generale in vista del 20 maggio, la finale di Coppa Italia fra Juventus e Napoli. Partita ad altissimo rischio. -
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Indagini su Del Piero Un calciatore, seppur importante, paragonato al Rinascimento? Un viaggio nelle iperboli italiche, feroci e innocenti. Come lo scherzo che i bambini friulani del 1977 fecero al più fragile e mite tra loro. . . di PIERLUIGI CAPPELLO (Domenica - Il Sole 24 ORE 29-04-2012) Alessandro Del Piero suscita simpatia. Anche a me, che di calcio mastico poco. È stato capace di reggere una carriera che ha pochi riscontri nella storia del calcio italiano. Con il suo sorriso in bilico tra riservatezza e disincanto, ha sopportato gli osanna e le lapidazioni della stampa sempre con l'aria di chi, dopo avere attraversato un deserto, si scrolli di dosso la polvere con un solo gesto, quotidiano e preciso. Epicentro di un mondo che ha fatto della dismisura e del clamore il carburante della sua stessa esistenza, lui rappresenta la misura e il sussurro. L'Avvocato lo ha chiamato «Pinturicchio» e immediatamente i giornalisti sportivi hanno ripreso il soprannome, hanno detto di lui «è» Pinturicchio, non hanno detto «è come» Pinturicchio: avvicinandolo in questo modo al celebre pittore perugino che ebbe tra i suoi garzoni Raffaello. Già così l'accostamento mi sembrerebbe ardito, ma dire che Del Piero è Pinturicchio, eliminando anche il nesso «come», che, almeno, un po' di distanza la produce, significa avvicinare lo sport più praticato in Italia al Rinascimento, uno dei momenti in cui l'essere umano è andato più vicino a toccare il sublime. Se uno dei più noti maestri del Rinascimento è Del Piero e Del Piero è uno dei più celebri calciatori del momento in Italia, il calcio italiano è la palestra del Rinascimento. Questa è un'iperbole. La parola «iperbole» deriva dal greco hyperbolé e significa «sollevamento, lancio verso l'alto»: serve ad amplificare la realtà, mantenendo con quest'ultima un qualche legame di somiglianza. Ma può anche essere utilizzata nella direzione opposta: per ridurre la portata e il vero di ciò che accade. Il rischio più frequente di un simile processo retorico è il ridicolo. In sostanza, l'iperbole è la cabrata di un aeroplano, anzi, di più: è il volo verticale dello Shuttle diretto a forare la profondità della stratosfera. Se si descrive la sconfitta per 4 a 0 di una famosa squadra di calcio come se fosse la battaglia di Canne, si fa un'iperbole. Roma era "veramente" in pericolo dopo quella disastrosa disfatta. Se alla fine avesse vinto Cartagine, Roma sarebbe stata coperta da un lenzuolo di sale. Uno scrittore cerca di servirsi dell'iperbole con parsimonia, lo fa, di solito, quando il silenzio si raddensa in gola davanti a qualcosa di inesprimibile; è l'ultima carta da giocare per conquistare alla parola qualche lembo ulteriore di realtà. Viceversa, il linguaggio mediatico televisivo e giornalistico fa un largo uso dell'iperbole, anche in senso traslato (quando si dice: un comportamento iperbolico, un atteggiamento iperbolico), rendendo così straordinario l'ordinario e ordinario lo straordinario. C'è bisogno di una forma di celebrità buona per tutti, che partecipi del divino e del quotidiano insieme, che suggerisca l'idea che anche noi, della razza di chi rimane a terra, potremmo respirare l'aria rarefatta delle cime. Così, spinti dal soffio forte delle parole, si lanciano in alto ragazzi e ragazze di venti, venticinque anni, come fossero allegri coriandoli di carnevale, ignorando che cosa accade loro quando infilano la parabola discendente. La celebrità è un angelo di fuoco: quando si ritrae rischia di lasciarsi dietro un sentiero di cenere. Occorre una buona apertura d'ali per planare da un empireo simile senza fracassarsi al suolo. Il senso del limite si spezza come una canna di bambù. Quando dico questo penso a Pantani. Oppure a Carnera, che è stato un mito mondiale ed è rovinato al tappeto sotto i pugni di Baer prima e di Joe Louis dopo. Nel 1977 mezzo Friuli viveva nei prefabbricati, da circa un anno era stato arato dal terremoto. Io avevo dieci anni, ero un bambino. L'immagine che ho oggi dei bambini è l'immagine della purezza. Secondo me un bimbo è pura malvagità o pura bontà. Nella sua testa i colori dei pensieri non si sono ancora mescolati dando luogo alle sfumature che noi conosciamo. Dopo il terremoto, nei prefabbricati noi bambini eravamo esseri liberi, pura aria nell'aria; credo che a nessuno di noi importasse della catastrofe familiare che i nostri genitori avevano vissuto. Il loro dolore ci restituiva libertà, eravamo senza le briglie di un'attenzione sviata dall'urgenza. Indossavamo maglioni infeltriti che le organizzazioni umanitarie avevano rovesciato a cataste in Friuli e avevamo le tasche piene di biglie. Gnomi delle discariche, cercavamo bottiglie da allineare come bersagli per le nostre fionde. Mi ricordo di Primo, Primo era un cecchino con la sua fionda, anch'io, alla fine, mi arrangiavo bene, a forza di lividi sul pollice e sull'indice. Abitavo a Chiusaforte, un paese infilato in una gola e stretto lungo la statale e il fiume; le montagne alte limitavano il cielo ma liberavano l'immaginazione. Avevamo tutto il tempo per noi. Eravamo tempo. Così fu facile inventarci una nostra personale Olimpiade. L'Olimpiade di Ceclis. Il campo in cui abitavamo. Saremo stati una dozzina, non di più. Per il salto in alto avevamo messo insieme due aste; dei chiodi che qualcuno di noi aveva rubato a suo padre erano stati disposti a intervalli regolari lungo le aste e servivano da sostegno all'asticella, un pezzo di canna da pesca in fibra che si piegava al centro. Cinquanta, sessanta, settanta, ottanta centimetri erano le misure, il traguardo più ambito: un metro. Le prove di resistenza e di velocità non davano problemi: accanto al campo si apriva una braida incolta perfetta per le nostre prestazioni atletiche. Avevamo stabilito in tre giri di braida la durata della prova di resistenza, duemila metri circa, e in centoventi passi quella di velocità. Per il lancio del peso c'era una grossa pietra e il giavellotto era un bastone affilato dai nostri temperini. L'Olimpiade doveva durare due giorni: il primo giorno le semifinali, il secondo le finali. Non c'erano premi per chi avesse vinto, soltanto la stima accordata dal branco. Tra noi c'era un bambino che stava allo sport come un paracarro sta a un centometrista: non era particolarmente gracile, semplicemente non sapeva cosa fosse la coordinazione, era anche un po' tardo ma non troppo, generoso di quella generosità pura dei semplici. Nella corsa veniva spesso battuto dalle bambine, c'è sempre un bambino battuto dalle bambine; nel formare le squadre di calcio era sempre scelto per ultimo: portiere, naturalmente. Il suo soprannome: banana. È stato naturale come un lampo di giugno: ci siamo accordati a sua insaputa per fargli vincere tutte le prove della prima giornata, così, per scherzo, dicevamo tra noi. Lo abbiamo soffiato in alto in alto in alto con le nostre parole, lo abbiamo gonfiato come una mongolfiera sorridente dentro il cielo della sua vittoria. La prova più difficile da fargli vincere è stata il salto in alto: sessanta centimetri, credo. Superati dopo tre tentativi, con un bambino che reggeva l'asticella senza darlo a vedere. Quel giorno tutti noi siamo stati un'iperbole. Lo abbiamo reso celebre. Celebre a Ceclis. Il giorno dopo era una mattina ventosa di maggio. Ultimo nel salto in alto. Ultimo nel lancio del peso. Nella corsa di resistenza è stato doppiato. Lui piangeva sale e noi ridevamo. Quel bambino è diventato un ragazzo, a quindici anni un alcolizzato, a ventuno è stato disintossicato a San Daniele. Dormiva sulle panchine delle stazioni. Il suo concetto di eccellenza consisteva nel bere un bottiglione di vino il più rapidamente possibile sfiorando il coma etilico. Format è una voce inglese che appartiene al linguaggio dei media: indica l'idea originale di un programma televisivo; con l'idea vengono venduti anche la relativa ricerca di mercato e un profilo stilizzato dei caratteri e dell'aspetto dei protagonisti da lanciare. Dal format le case di produzione fabbricano e scagliano in alto le loro celebrità fino a farle scoppiare. Il cinismo è lucido, il lampo notturno di uno scorpione. La differenza che intercorre tra il cinismo di una casa di produzione televisiva e il cinismo di quei bambini del '77 è che questi ultimi sono stati un'iperbole gratuitamente, senza nessun movente concreto. Con crudeltà tanto maggiore. Il senso del limite è misura e ritmo. -
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CALCIO Il piano di sicurezza della questura ha evitato che le tifoserie entrassero in contatto Olimpico, maxi controlli sequestrate bottiglie incendiarie Vigili e polizia trovano alcune moltov nascoste dietro un cespuglio di DAVIDE DESARIO (Il Messaggero 29-04-2012) Erano nascoste dietro un albero. Tra i cespugli. All’angolo tra via dei Robilant e viale Antonino di San Giualino. A due passi dallo stadio Olimpico. Pronte per essere prese e lanciate chissà contro chi o che cosa. A trovarle, durante l’ennesima bonifica del prepartita, sono stati i vigili urbani insieme agli agenti della polizia. Proprio pochi istanti prima del fischio di inizio del match a rischio tra Roma e Napoli. «C’era una bottiglia di plastica con all’interno due litri di liquido infiammabile - spiega un investigatore - e poi numerose bottiglie di birra in vetro pronte, probabilmente, per essere riempite e trasformate in molotov». D’altronde, dopo la contestazione avvenuta domenica scorsa, fuori dallo stadio al termine di Roma-Fiorentina, il questore Francesco Tagliente per questo incontro aveva potenziato le bonifiche esterne e interne all’Olimpico. La prima era stata effettuata già venerdì sera quando l’impianto è stato preso in consegna dalla polizia e come da prassi illuminato. Altre bonifiche ci sono state ieri mattina e ieri pomeriggio. A sorpresa le forze dell’ordine hanno effettuato un ulteriore controllo proprio a ridosso dell’inizio della partita e questa volta hanno trovato le bottiglie incendiarie: «Probabilmente - spiega ancora l’investigatore - qualcuno ha atteso la bonifica del pomeriggio per nasconderle pensando che fosse l’ultima». I controlli ai tornelli e il prefiltraggio organizzato dalla questura hanno portato anche alla denuncia di un minorenne romano che cercava di introdurre sugli spalti fumogeni e bombe carta. Per lui, oltre alla denuncia, anche l’emissione di un daspo. Ha funzionato bene il nuovo piano per la mobilità e la sicurezza dei tifosi ospiti. Al parcheggio di Saxa Rubra, dove la questura aveva invitato i sostenitori napoletani a lasciare le loro automobili, si sono presentati circa in 600 tifosi partenopei che sono stati trasportati allo stadio con delle navette gratuite scortate dalle forze dell’ordine. Ad aiutare il lavoro della macchina della sicurezza anche la scarsa affluenza soprattutto da parte dei supporter giallorossi delusi dalle recenti prestazioni della squadra. A livello di prevenzione, anche dopo gli striscioni e la contestazione dei tifosi a Trigoria contro il tecnico Luis Enrique e contro gli stessi giocatori, la questura ha chiesto alla società giallorossa di potenziare il più possibile il numero degli steward sia ai cancelli d’ingresso sia nei vari settori degli spalti. Il questore Francesco Tagliente ha chiesto anche uno sforzo particolare alla Digos e alla Squadra Mobile che hanno messo in campo molte squadre in borghese per controllare meglio la situazione in costante comunicazione con la sala radio della questura. ------- IL PIANO Il prefetto: allerta per la finalissima Juventus-Napoli di DAVIDE DESARIO (Il Messaggero 29-04-2012) Roma-Napoli era la prova generale per la temutissima finale di Coppa Italia tra Juventus e Napoli in programma proprio allo stadio Olimpico di Roma il prossimo 20 maggio. «Per Roma - ha detto il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro - è stato l’ennesimo banco di prova. Adesso bisogna mettere a punto tutti i dispositivi, con la stessa concentrazione, per la finale di Coppa Italia tra Juventus e Napoli». Sicuramente sarà confermata l'area di Saxa Rubra come parcheggio di scambio per i tifosi ospiti provenienti da Napoli. La misura è stata studiata nell'ambito del Tavolo Tecnico dal questore di Roma Tagliente per evitare il più possibile che le opposte tifoserie possano venire in contatto al di fuori dello stadio. «Ci stiamo lavorando già da una settimana - dice ancora Pecoraro - C’è una storica rivalità tra le tifoserie di Napoli e Juventus e c’è in palio, in un unico incontro, un trofeo. Per altro sembra quasi certo il tutto esaurito. Quindi bisognerà studiare al meglio sia la questione sicurezza che quella mobilità». In particolare, nel conciliare le esigenze della tifoseria con la mobilità cittadina, sono stati tracciati gli itinerari per raggiungere Saxa Rubra attraverso le tre uscite autostradali di Roma Nord, Roma Est e Roma Sud, lungo il raccordo anulare. Anche nell'ottica di evitare il congestionamento del traffico veicolare, la Questura d'intesa con la Municipale sconsiglierà ai tifosi napoletani l'utilizzo della Tangenziale indicando invece il Grande Raccordo Anulare per raggiungere l'area di Saxa Rubra in via Silvio Gigli. Da lì i tifosi potranno poi raggiungere lo Stadio tramite le navette gratuite messe a disposizione dall'Atac. I tifosi juventini, invece, dovrebbero arrivare con voli speciali agli aeroporti di Fiumicino e Ciampino, con treni alle stazioni ferroviarie di Termini e Ostiense. E’ lì che la questura sta studiando altri punti di raccolta per scortare gli ultrà bianconeri nei loro settori. Per la finale saranno predisposti attenti servizi di osservazione anche rivolti ai punti ritenuti critici all'interno dell'impianto sportivo con la predisposizione di servizi che assicurino l'immediato intervento in caso di criticità. Gli investigatori, anche alla luce delle recenti delusioni dei tifosi giallorossi, non escludono il pericolo che alcuni gruppi di teppisti possano mischiarsi ai tifosi di Juventus e Napoli per scatenare disordini. «L’atmosfera in casa Roma non è delle migliori - dice il prefetto - la contestazione dopo Roma-Fiorentina e quella di ieri sera che ha richiesto anche l’intervento di Totti sotto la curva sud non vanno assolutamente sottovalutate». Per questo subito dopo il concertone del Primo maggio in via di San Vitale il questore Tagliente ha già convocato una nuova riunione. -
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Ucraina, il caso Timoshenko sugli Europei 2012 L’ex eroina inseguita da processi e condanne per fatti del ’90. Bombe nella sua città natale: 26 feriti In carcere La donna ha mostrato lividi sul corpo e soffre di ernia del disco di ROBERTO ROMAGNOLI (IL MATTINO 29-04-2012) Quattro mesi fa, a Kiev, al termine dei negoziati per un accordo di associazione il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy dichiarava: «Desideriamo prendere quanto prima iniziative per firmare e ratificare l’accordo di associazione con l’Ucraina, ma ciò dipenderà dalle circostanze politiche». Il drammatico caso di Yulia Timoshenko dimostra che le circostanze politiche non sono mature per tendere la mano a Kiev ma questo non ha impedito alla Ue di siglare, il 30 marzo, il trattato di associazione. Che ora rischia di restare nel limbo delle intese senza ratifica. Considerando che in Ucraina, al di là del caso Timoshenko, il rispetto per i diritti umani e lo stato di diritto sono qualcosa di scritto sull’acqua, forse la Ue deve fare mea culpa. Unione europea che ora avverte la Uefa che non può «chiudere gli occhi» di fronte alle vessazioni della leader dell’opposizione, in vista degli europei di calcio che l’Ucraina ospiterà a giugno assieme alla Polonia. Dopo aver declinato l'invito ad assistere alla cerimonia inaugurale per «ragioni istituzionali», il commissario europeo alla Giustizia, Viviane Reding, ha spiegato di aver chiesto al presidente dell’Uefa, Michel Platini, di «tener conto della drammatica situazione» dell’ex premier ucraina. «Non si possono chiudere gli occhi sui diritti umani, anche davanti a un grande evento sportivo», ha avvertito la Reding. In Italia, dopo l’appello pubblicato ieri da questo giornale del presidente onorario dell'Unione interparlamentare Pierferdinando Casini, sulla necessità di «qualche forma di boicottaggio da parte della Ue in vista degli Europei di calcio», ieri solamente l'ex ministro degli Esteri Franco Frattini è uscito allo scoperto per chiedere all’Unione Europea di fare «pressione sull'Ucraina e chiedere chiarezza su quanto avvenuto negli ultimi giorni». Dalla Farnesina nessuna dichiarazione di condanna ma solo la presa d'atto di un «coordinamento europeo in corso» per stabilire come muoversi e cosa fare. Drammatico l’appello, che apparirà oggi sulla Frankfurter Allgemeine, della figlia 32enne della Timoshenko, Evguenia: «Salvate la vita di mia madre prima che sia troppo tardi. Il destino di mia madre e quello del mio Paese sono un tutt’uno. Se lei muore, muore anche la democrazia». Ieri intanto è stato rinviato al 21 maggio il processo che vede Yulia Timoshenko accusata di malversazione ed evasione fiscale per dei fatti che risalgono agli anni '90, quando era a capo della Sistemi energetici uniti d'Ucraina. Lo ha deciso il giudice Kostiantin Sadovski a causa dell’assenza dell'imputata per motivi di salute. Timoshenko soffre da mesi di ernia del disco ed è stata visitata da una commissione medica tedesca. Inoltre l'ex premier ha denunciato di essere stata picchiata in carcere, la sera tra il 20 e il 21 aprile e da allora si trova in sciopero della fame. La Timoshenko si trova già in carcere perché condannata, nell'ottobre scorso, a sette anni di reclusione per abuso di potere per un controverso contratto per le forniture di gas siglato con Mosca. Sentenza confermata in appello a fine dicembre. Davanti al tribunale di Kharkiv, si sono radunate migliaia di sostenitori della Timoshenko. e anche quelli del presidente Ianukovich. Il presidente ucraino ieri si è recato a Dnipropetrovsk, città natale della Timoshenko, dove venerdì, in una raffica di esplosioni di ordigni artigianali sono rimaste ferite 26 persone. Sul caso è stata aperta un’inchiesta per terrorismo. ------- Germania «Giocare? È imbarazzante» art.non firmato (IL MATTINO 29-04-2012) La Germania è in prima linea nella campagna di mobilitazione internazionale a sostegno dell'ex premier ucraina Yulia Timoskenko. Dopo che il presidente tedesco Joachim Gauck ha cancellato una sua visita ufficiale in Ucraina, sempre più leader politici tedeschi ed europei, tra cui la stessa cancelliera Angela Merkel, chiedono al presidente ucraino Viktor Janukovich la scarcerazione della Timoshenko e il suo trasferimento in Germania per sottoporla a urgenti cure mediche per via dei suoi dolori lombari e delle percosse conseguite nel corso della sua detenzione. «Il campionato europeo di calcio in un Paese instabile e solo parzialmente democratico come l'Ucraina, rappresenta un fatto a dir poco imbarazzante», sostiene anche il co presidente dei Verdi tedeschi Cem Oezdemir, che come il ministro degli interni del governo Merkel Friedrich (Csu), l'ex ministro degli Esteri Joschka Fischer o l'eurodeputato francese Daniel Cohn-Bendit, ha disdetto tutte le sue visite in Ucraina. «Boicottare il campionato europeo o non boicottarlo?» è anche la domanda che si è posta ieri il principale tabloid popolare tedesco Bild Zeitung che nelle sue pagine sportive ha rievocato la vicenda del boicottaggio dei giochi Olimpici a Mosca ai tempi della Guerra fredda. ------- Il colloquio «Il calcio è un impatto mediatico per i diritti umani» Abete, presidente Figc: sensibili al tema, ma non politicamente invasivi di UGO TRANI (IL MATTINO 29-04-2012) Roma. «Il prossimo Europeo può aiutare». Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio, non è da un giorno nello sport. E sa quanto il calcio, più di ogni altra disciplina, possa contribuire a risolvere le situazioni più critiche e complicate, anche a livello politico. L'Italia di Cesare Prandelli, il prossimo 5 giugno, partirà per la Polonia che, insieme con l'Ucraina, organizza Euro 2012. «Noi come Figc siamo da sempre sensibili davanti a certe questioni. È sempre grande la nostra attenzione per quanto accade in un Paese che è chiamato a ospitare una manifestazione sportiva in cui noi siamo coinvolti. Quindi non manca nemmeno per il caso dell'ex premier ucraina Yulia Timoshenko che è in carcere ormai da più di otto mesi, anche perché presto quel Paese ospiterà la nostra nazionale. Credo che il calcio e in assoluto lo sport, come è successo anche in passato e recentemente quattro anni fa prima delle Olimpiadi di Pechino, siano molto utili quando c'è un grande evento. I riflettori vengono spesso spostati su problemi di natura politica o sociale che in altri momenti vengono ignorati o comunque messi in secondo piano. Sono convinto che sarà così anche nelle prossime settimane». «Il nostro percorso, però, non cambierà nemmeno in questa circostanza» chiarisce Abete, ex deputato (in tre legislature) della Democrazia Cristiana e da cinque anni alla guida della Federcalcio. «Perché la Figc non ha mai invaso un terreno che non la riguarda. È da sempre così. Il calcio può essere utile per l'impatto mediatico che ha a livello internazionale. Può accendere improvvisamente la luce sul rispetto dei diritti umani e su altre tematiche, ma non può intervenire in proprio». Abete sa che l'Uefa si sta occupando della questione Timoshenko già da mesi. La Figc, però, riceve gli aggiornamenti dal «Palazzo H» del Foro Italico. «Perché il nostro riferimento in queste situazioni non di carattere sportivo, come per le altre federazioni, è il Coni. Che ci può comunicare in ogni momento qualsiasi iniziativa da prendere. La sintonia è totale. Poi è chiaro che il Coni, in casi del genere, ha come interlocutore principale la Presidenza del Consiglio e il ministro dello Sport». -
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Il pallone di Luciano Scaramanzie e frasi fatte ma il titolo è già assegnato di LUCIANO MOGGI (Libero 29-04-2012) Toh, Moratti ha ritrovato la voce. «La terza stella? Una provocazione». Non mi va di parlarne molto perché non è ancora tempo e un po’ di scaramanzia non guasta, ma vedo grandi ambasce nei campi anti Juve, ripristino di antipatiche alleanze, anticipi di manovre che verranno (se sarà) e rigurgito di rispetto di regole che non ci sono. Sarà una bella lotta, se ci sarà, ma una risposta la merita già il patron dell’Inter: non può non essere una provocazione anche il mantenimento di uno scudetto che non gli appartiene perché i motivi etici che ne giustificarono ad arte l’assegnazione sono stati annullati dagli accertamenti del procuratore federale Palazzi, il club e i suoi dirigenti ritenuti colpevoli di illecito sportivo e quindi passibili di retrocessione salvati dalla prescrizione. Ed è curioso nei fatti, come nota Ju29ro, che Inter e Figc si trovino ancora una volta a braccetto persino in un evento ancora in divenire. Per il quale farà bene la Juve a non farsi prendere da nessuna distrazione, neanche dai buoni rapporti di vicinato che ci sarebbero con il Novara, o dalla vetrina di qualche illustre ospite annunciato. Può bastare come segnale d’allarme il 2-1 che ha messo sotto la Lazio mercoledì, e la voglia di Tesser e della sua squadra di chiudere a testa alta la stagione. E quale può essere la tentazione più forte se non quella di provare a battere chi finora non è stato mai battuto? La regola nel calcio è sempre la stessa, quella di esultare solo quando il risultato ce l’hai già in tasca, tre punti ovvero quattro sul Milan sono parecchi a quattro turni dal termine ma non danno garanzie e la giornata si profila interlocutoria. Il Milan a Siena dovrebbe farcela, anche se da parte della squadra di Sannino può esserci la voglia di consolidare il miglior posto della sua storia in serie A. Scontro diretto tra Udinese e Lazio per la battaglia a diverse facce del terzo posto, mentre l’Inter ha visto tornare un po’ di entusiasmo tra i fan; così cambia la gloria del mondo, dal Triplete all'obiettivo molto ridotto di un posto per i preliminari di Champions. Sul filo rovente di Bologna-Genoa alle 12.30 e di Lecce-Parma alle 15 si combatte la battaglia più aspra per la salvezza. Con un po’ di fantasia si poteva pensare a una concomitanza per le due gare, ma la Lega è da tempo distratta. Il Genoa come la Lazio è padrone del suo destino se riesce a rimanere dov’è, ruolino di marcia bruttissimo, dodici sconfitte fuori casa, solo due vittorie. Il Lecce ha avuto una brutta batosta con il Napoli, Cosmi l’ha giustificata celebrando i meriti dei partenopei, «la squadra più forte che ho incontrato», un modo per non far abbattere i suoi, ma ora può proporsi solo di vincere. E mentre il Parma è già salvo, Giovinco sta giocando un suo campionato personale: la vetrina gli serve per tingersi d’azzurro. -
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IN CASO DI TRICOLORE Da Umberto ad Andrea La 3ª stella si può mettere Le norme di Lega e Federazione non vietano alla Juve di fregiarsi di un’altra stella, anche se l’eventuale scudetto per gli organismi istituzionali sarebbe il 28º e non il 30º come nel conteggio bianconero di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 24-04-2012) MA SE la Juventus vincesse lo scudetto potrebbe mettere la terza stella sulla maglia? Tolti gli scaramantici che certi discorsi li evitano come un gatto nero, tutti gli altri tifosi bianconeri (e anche qualche altro tifoso) si sta facendo questa domanda. Il perché è ovvio, visto che per Andrea Agnelli e la società gli scudetti sono 29, mentre per la Figc sono 27. Così il primo nodo dell’irrisolta questione Calciopoli arriva al pettine del campionato e rischia di inasprire ancora di più le relazioni dilplomatiche fra il club bianconero e la Federcalcio, già rese quantomeno ruvide dalla richiesta danni di 444 milioni. REGOLE E PRASSI Ma al di là dell’inevitabile polemica che ne scaturirebbe, né la Figc né la Lega Calcio potrebbero opporsi alla scelta della Juventus di mettersi la terza stella sulla maglia. Perché la “stella” che rappresenta i 10 scudetti vinti non è un’istituzione ufficiale e non è un riconoscimento assegnato dalla Federazione o dalla Lega. E il regolamento in merito non pone restrizioni o limitazioni: se non è offensivo e rimane nelle leggi dello Stato, sulla maglia ci si può mettere quello che si vuole, quindi anche un’altra stella. Solo lo spazio per lo sponsor è regolato da norme precise e molto rigorose. L’INTUIZIONE D’altra parte la stella sulla maglia ha un’origine del tutto informale. Oltre che... bianconera. La tradizione di mettere un simbolo sul petto per enfatizzare ogni decina di scudetti vinti è, infatti, una felice intuizione di Umberto Agnelli , il papà di Andrea. Quando nel 1958, la Juventus di cui era giovanissimo presidente si aggiudicò - prima in Italia - il decimo titolo, il Coni decise di assegnare ai bianconeri una delle sue tante onoreficenze: la Stella d’Oro al merito sportivo. La andò a ritirare lo stesso Umberto che ne rimase così colpito da decidere di metterla sulla maglia bianconera nella stagione successiva. Doveva essere un’iniziativa estemporanea, ma colpì in modo indelebile la fantasia dei tifosi e dei mass media e così non solo divenne “perenne” sulla maglia della Juventus, ma si trasformò in un obiettivo anche per le altre squadre vicine ai dieci scudetti (Inter e Milan che la misero sulle maglie nel 1966 e nel 1979). Il tutto senza che ci fosse una regola, salvo quella non scritta stabilita dall’idea di Umberto Agnelli. CHE VOGLIA! Insomma, trattasi di tradizione e non di regolamento, quindi se la Juventus volesse mettersi la terza stella, considerando come suoi gli scudetti revocati nell’estate del 2006 (quelli vinti sul campo nel 2004-05 e 2005-06), nessuno potrebbe impedirglielo. Così come nessuno ha potuto impedire che proprio quei titoli venissero celebrati nella cerimonia ufficiale di inaugurazione dello stadio, l’8 settembre 2011, alla presenza di Giancarlo Abete , che non la prese proprio benissimo. E probabilmente non gradirebbe neppure la vista della terza stella sulla maglia della Juventus. O forse è meglio scrivere: non gradirà, perché al di là del fatto che - per ragioni scaramentiche - alla Juventus l’argomento non è all’ordine del giorno, le intenzioni di Andrea Agnelli sembrano proprio essere quelle: se arriva lo scudetto, arriva anche la terza stella. Quella tanto desiderata dallo zio Gianni, che amava ripetere: «Spero che la Juventus arrivi alla terza stella prima che le milanesi mettano la seconda». LA NOVITA’ Diverso è il discorso dell’eventuale decima Coppa Italia (la Juve, che giocherà la finale il 20 maggio, è a quota nove). Anche in questo caso non esiste una regola o una tradizione, quindi si può improvvisare. Insomma l’ipotesi della “stella d’argento” che circola da tempo è plausibile, così come ogni altra. Anche in questo caso, da casa Juve nessuno parla. Semmai, c’è tempo il 21 maggio. . . ------- Terza stella? Nessun divieto In assenza di un regolamento scritto la Juve può mettere il simbolo sulla maglia di MARINA SALVETTI (TUTTOSPORT 29-04-2012) TORINO. La Milano rossonera è in affanno con quei tre punti da rimontare alla Juventus, la Milano nerazzurra sta invece rosicando per l’ipotesi che il prossimo anno sulla maglia bianconera campeggi la terza stella (ovvio, in caso di primo posto in classifica), simbolo dei 30 scudetti conquistati. E la querelle infiamma gli animi dei tifosi tra la volontà di esibirla e l’offesa di vederla. NO LIMITS E’ vero che, se per la Juventus gli scudetti vinti sono 29 (c’è scritto sul bilancio del club, sul sito Internet e pure sulla parete dei palmares nel nuovo stadio), per Lega e Figc i titoli restano 27 e quello in procinto di essere assegnato eventualmente il 28°. E’ vero che per prassi una stella rappresenta dieci scudetti vinti, secondo una felice intuizione di Umberto Agnelli , il papà di Andrea. Ma è altrettanto vero che non esiste nei regolamenti della Lega in merito alle divise da gioco una norma che codifichi questa consuetudine con indicazioni su grandezza, colore, posizione del simbolo sulle maglie, tant’è che l’Inter ha sempre avuto la stella più grande di quella del Milan senza che nessuno lo obbligasse a cambiarla. Non solo, non vengono neppure specificate restrizioni o limitazioni sulle scritte, sempre che non siano offensive e rimangano nell’ambito delle legge dello Stato. E infatti la Juventus nella prossima stagione intende mettere sul colletto delle maglie la frase di Boniperti , «vincere non è importante, è l’unica cosa che conta». Soltanto lo spazio riservato allo sponsor viene regolato in maniera precisa e rigorosa. PARTITA APERTA In questo vuoto normativo, appare anche bizzarro il comma 2 dell’articolo 1 in cui si dice che «tutto ciò che non è esplicitamente consentito dal regolamento deve intendersi come espressamente vietato». In quest’ottica, allora le stelle dovrebbero essere vietate perché non contemplate dalla norma. In verità, ci troviamo davanti a una situazione per cui non esistono casistiche. Quindi se la Juventus volesse mettersi la terza stella come gesto di disobbedienza civile verso le sentenze ingiuste e in difesa degli scudetti vinti sul campo, nessuno potrebbe impedirglielo. Oltre tutto il club considera ancora aperta la partita di Calciopoli con il ricorso alla Corte d’Appello di Roma contro la decisione del Tnas. A meno che in queste settimane la Lega e la Federcalcio non decidano di superare l’ empasse e varino una norma ad hoc. IL PUNTO DI VISTA La prassi non ha valore con le norme speciali di MAURIZIO PANIZ* (TUTTOSPORT 29-04-2012) *avvocato e deputato LA SOLUZIONE più semplice sarebbe restituire i due scudetti in contestazione alla Juventus. E il problema sarebbe risolto alla radice. Ma, se qualcuno così non vorrà, la terza stella suggerirei di metterla egualmente, magari un po’ più piccola delle prime due. Non mi consta che la normativa speciale che disciplina l’uso delle divise da gioco - ma confesso la mia ignoranza tra norme, codicilli, cancellazioni e riprese - disciplini l’uso della stella: fu una straordinaria intuizione e invenzione di Umberto Agnelli, papà di Andrea, grande presidente di qualche decennio fa, che premiò con il simbolo stellato il decimo scudetto. La prassi è stata ripresa nel tempo anche da altri. Oggi gli obiettori sosterrebbero che dopo decenni la disciplina della materia è frutto della consuetudine, ma giuridicamente così non può essere: la consuetudine crea al più una norma ordinaria, non una norma speciale. Le regole che disciplinano il calcio, come lo sport in generale, sono norme speciali. E, se male non ricordo, c’è un precedente significativo a proposito dell’utilizzo delle divise da gioco: la pubblicità Sanson sui pantaloncini dell’Udinese di qualche tempo fa. Anche allora non vi era una disciplina che regolava la pubblicità sui pantaloncini. Poi la norma fu creata, la pubblicità fu tolta, ma la sanzione non ci fu. Ovvio che affondo nell’incertezza dei ricordi le mie considerazioni ma, prendendo spunto dall’una o dall’altra, la terza stella la metterei. Presupposto essenziale però è vincere lo scudetto e, dalle mie parti, si dice che la pelle dell’orso si vende soltanto quando si è cacciato. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
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I sogni del pallone La squadra dell’Alta Normandia che ha eliminato Marsiglia e Rennes vuole conquistare il trofeo a St. Denis Quevilly, coppa da vincere per la storia, la gloria e i soldi Stasera il club che gioca in C sfida il Lione in finale di FABIO MONTI (CorSera 28-04-2012) L'immaginazione al potere. È la Coppa di Francia, dove stasera (ore 20. 30), nella finale allo Stade de France di St. Denis, il Lione, un tempo dominatore assoluto (sette titoli consecutivi dal 2001 al 2008), dovrà vedersela contro l'Us Quevilly, squadra di terza divisione (tredicesimo posto in classifica!), arrivata fino in fondo, attraverso una serie di vittorie più che sorprendenti. Otto in totale, per una storia iniziata a bassa voce il 1° novembre 2011 con il 3-1 al Pacy sur Eure. Poi tre successi ai rigori contro squadre modeste: 5-2 al Rc Clermontois; 4-1 al Feignies e 5-4 al Rennes Ta. Sembrava che il Quevilly dovesse chiudere la sua corsa nei sedicesimi contro l'Angers (Seconda divisione), invece ecco il primo di quattro risultati inattesi: 1-0. Poi negli ottavi il 2-0 all'Orléans ai supplementari, il 3-2 al Marsiglia di Deschamps nei quarti, ancora ai supplementari e in semifinale il 2-1 al Rennes (quinto nella Ligue 1), risultato festeggiato in autostrada, causa traffico da rientro a casa. L'Equipe si è divertita a mettere a confronto il budget annuale del Lione con quello del Quevilly, squadra di una città dell'Alta Normandia con 22.022 abitanti e ha scoperto che il rapporto è di 1/79: 150 milioni di euro per l'Ol; 1,9 milioni per il club di terza divisione, che ha 14 giocatori con contratto federale e 12 con quello da dilettanti (con appena 9 impiegati in società). L'ingaggio netto mensile dei giocatori varia da 2.500 a 1.500 euro; ogni vittoria in campionato vale 180 euro. La Coppa di Francia, comunque vada a finire l'ultimo atto, si è già trasformata in una miniera d'oro. Per tutti. Per la società, che ha già incassato 800.000 euro, ai quali aggiungere 1,112 milioni di euro, cioè quanto stanziato dalla Federcalcio francese per ciascuna delle due finaliste; per i giocatori, che hanno incassato premi, che riuscivano soltanto ad immaginare. Per quanto la vittoria sembri (quasi) impossibile, c'è fra i ragazzi dell'Us Quevilly la voglia di cancellare la sconfitta del 6 maggio 1927, quando il Marsiglia aveva vinto in finale 3-0. È la quarta volta nella storia della Coppa di Francia (dal 1932 è aperta a professionisti e dilettanti) che una squadra di Terza o Quarta divisione arriva a giocarsi la finale: il Nimes nel '96, battuto dall'Auxerre (1-2); il Calais (solo dilettanti) nel 2000 era stato sconfitto solo al 90' dal Nantes (1-2), in fondo a una storia che è diventata anche un film e l'Amiens nel 2001, battuto soltanto ai rigori (4-5) dallo Strasburgo. A guidare l'Us Quevilly è Regis Brouard, 45 anni compiuti il 17 gennaio, faccia da attore, sulla panchina del club dal 30 maggio 2008: in carriera la promozione in terza divisione e la semifinale di Coppa di Francia nel 2010. Ha portato la squadra a Clairefontaine, nel ritiro della nazionale francese (anche di quella campione del mondo nel '98): «Non era il caso di cambiare abitudini; siamo molto fieri di quanto siamo riusciti a combinare, ma con semplicità vogliamo vedere se possiamo divertirci fino in fondo. Ci spingeranno i nostri tifosi, la loro passione, la loro fede, ma anche la nostra volontà di provare a vincere». Molto dipenderà dal portiere, Issa Coulibaly, che ha parato tutto quanto era possibile in semifinale e molto da Anthony Laup, esterno di destra, l'uomo che ha segnato il 2-1 al Rennes in rimonta. Scortati da 120 bus di tifosi, i giocatori dell'Us Quevilly non saranno soli nell'immenso Stade de France. Ha detto Brouard: «Non siamo noi ad avere qualcosa da perdere». Il Lione non è tranquillo; il presidente, Jean-Michel Aulas in passato aveva sfidato Fifa e Uefa, ma a giudicare dall'espressione di ieri durante la rifinitura, sembrerebbe che all'improvviso abbia perso le antiche certezze.