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J-Museum: Oggi Inaugurazione Ufficiale
Ghost Dog ha risposto al topic di Dio nico11 in Allianz Stadium & Places: archivio costruzione
Mercoledì, trippa ___ Paolo Garimberti, supertifoso pubblico di VITTORIO ZAMBARDINO dal blog sabatotrippa 16-05-2012 Ma in termini di stile, ci sta che il Presidente della RAI, quasi un dirigente pubblico (quasi poi… un dirigente pubblico a tutti gli effetti) sia anche il presidente dello Juventus Museum, squadra di cui è tifoso, cioè che sia un supertifoso di professione, mentre è presidente RAI? Naturalmente il discorso sarebbe ugualmente valido se al posto del museo bianconero ci fosse quello di qualsiasi altra squadra di calcio di cui il presidente in carica fosse tifoso. E cesserebbe di esistere qualsiasi problema al cessare della funzione di presidente RAI. E’ una questione di sensibilità, nessuna regola, se non di buon gusto, è stata infranta, ma questo è il punto, il personaggio in questione è un campione di buon gusto. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
CALCIOPOLI Corte Conti è battaglia tra procura e avvocati E Moggi presenta un esposto contro le indagini di MAURIZIO GALDI (GaSport 16-05-2012) È durata cinque ore l'udienza di Calciopoli davanti alla Corte dei Conti (presidente e relatore Ivan De Musso, a latere Maria Teresa Docimo e Marco Valerio Pozzato) e ci vorranno almeno 30 giorni per avere la decisione. La battaglia tra il viceprocuratore regionale Ugo Montella e i legali dei 16 «convenuti» (così vengono chiamati gli imputati davanti alla Corte dei Conti): Mazzini, Bergamo, Pairetto, Lanese, Mazzei, Fazi, De Santis, Babini, Puglisi, Ambrosino, Bertini, Dattilo, Gabriele, Pieri, Racalbuto, Titomanlio. Lo scontro Poteva il Procuratore Montella far riaprire il giudizio per il «danno d'immagine» quantificato in 100 milioni per le vicende di calciopoli dopo la sola sentenza di primo grado? È questa la principale questione che aleggia in aula. La Corte dovrà decidere se applicare una legge del 2009 confermata dalla Cassazione che impone il giudizio «definitivo», cioè la sentenza di terzo grado, per rivendicare il danno d'immagine. La risposta di Montella? «Aver sollevato l'eccezione oggi è tardivo, andava fatta con le memorie». Procedura e tempistica rispettate solo dall'avvocato Silvia Morescanti che difende l'ex designatore Paolo Bergamo. Il Procuratore nella sua requisitoria ha sottolineato come «le vicende di calcioscommesse di questi giorni, penso abbiano come genesi proprio quanto avvenuto con calciopoli». Luciano Moggi Il legale di Moggi, Maurilio Prioreschi ha presentato a nome del suo assistito e di De Santis, Bertini, Ceniccola e Pairetto, un esposto alla Procura di Roma contro le indagini che hanno portato al processo di Napoli «per verificare se ci furono abusi d'ufficio o falsi ideologici». ___ CALCIOPOLI Falso ideologico e abuso Denunciato Auricchio di ALVARO MORETTI & SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 16-05-2012) ROMA. Luciano Moggi, Massimo De Santis, Enrico Ceniccola (unico assolto a Napoli), Paolo Bertini in persona, Pier Luigi Pairetto in delega, hanno firmato ieri e presentato, accompagnati dai loro legali, un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Roma, a piazzale Clodio contro l’allora maggiore dei carabinieri Auricchio e del maresciallo Ziino che fece foto e filmato del sorteggio presuntamente taroccato del 13 maggio 2005, con il giallo delle foto non nell’ordine giusto svelato da Tuttosport; denunciano anche la sottrazione da parte della Procura del video di quel sorteggio, asportato dal fascicolo processuale il 29 luglio 2009 e non presente al momento delle sentenze dell’abbreviato (Giraudo) e del rito ordinario, per questo Moggi e gli altri puntano il dito sugli ex pm di Napoli, Beatrice e Narducci, coordinatori dell’indagine. Chiedono che i giudici di Roma, competenti sui colleghi di Napoli e sui carabinieri di via in Selci, indaghino e ascoltino con le garanzie di legge chi - a loro avviso - ha indagato su Calciopoli. Le ipotesi di reato segnalate al Procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, sono quelle di falso ideologico, abuso in atti d’ufficio e falsa testimonianza (le parole di Auricchio su Manfredi Martino a Napoli). INTANTO IL DONDA Il procuratore di Roma sa che l’iniziativa sulle indagini di Calciopoli non è isolata. I pm di Roma hanno infatti cominciato a indagare sull’esposto presentato da Paolo Dondarini, l’ex arbitro che col suo legale, Paolo Bordoni, ha “scoperto” la sottrazione del video poi ricomparso - clamorosamente - sul sito del Corriere della sera e non ancora negli atti processuali. I pm romani hanno cominciato ad ascoltare i protagonisti dell’indagine Off Side perché non erano state brogliacciate le telefonate a discarico degli indagati? Perché è scomparso il video chiave del sorteggio? I pm romani lo stanno domandando ai protagonisti. E le domande diventano più precise, con l’esposto di Moggi, De Santis, Pairetto, Bertini e dell’assolto Ceniccola (per certi aspetti, il firmatario più significativo: vuole la verità sui suoi cinque anni sulla graticola, nonostante sia fuori dai giochi giudiziari). Se la Procura romana aprirà il fascicolo potrebbe sentire Auricchio e i pm coi legali. I CONTI Ieri, intanto, presso la Corte dei Conti (presidente De Musso, componenti Docimo e Pozzato), il dibattimento relativo alla causa di risarcimento danni di immagine rilevati, ma non quantificati ieri dal procuratore Ugo Montella, (ma si tratta di 120 milioni) per la vicenda Calciopoli. A difendersi - tra assolti e condannati a Napoli - Babini, Bergamo, De Santis, l’impiegata Figc Fazi, Lanese, Mazzei, Mazzini, Pairetto, Puglisi, Ambrosino, Bertini, Dattilo, Gabriele, Pieri, Racalbuto, Titomanlio. Proprio la Figc, la danneggiata, fa presente col suo legale Medugno che - in base ad una sentenza del 2009 - perseguire il danno d’immagine in casi del genere non competerebbe alla Corte dei Conti secondo la Cassazione. E su questo si giocherà la sentenza che arriverà nelle prossime settimane. «Una vicenda strana - dice Montella riferendosi a Calciopoli - perché il piatto dei danni all’immagine è ormai in decomposizione. Ma deve pagare chi tenta di alterare il risultato». E proprio sull’alterazione si gioca un’altra parte del procedimento: a Napoli hanno stabilito che il campionato 2004-2005 alterato non fu. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Per il processo c’è il balletto delle date A distanza di una settimana dai deferimenti ancora non si sa quando cominceranno le udienze per la sentenza di primo grado. Si annuncia la battaglia delle eccezioni di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 16-05-2012) ROMA. Incartati. Si attendono le date per il prossimo processo sportivo Scommessopoli, anche se la cosa inizia ad assumere contorni kafkiani. Soprattutto se si tiene a mente la tanto decantata «celerità» del presidente della Figc, Giancarlo Abete . La domanda è lecita: perché tanta fretta se poi a distanza di una settimana dall’uscita dei deferimenti, la Disciplinare ancora non ha comunicato il giorno d’inizio del processo? Da oggi a venerdì ogni giorno è buono, a quanto risulta i federali stanno studiando la causa col regolo e tuttavia siamo già oltre le più tardive previsioni. Cominciare il primo grado prima del 28 maggio comporta l’accavallarsi con la stagione regolare di serie B, andare oltre i playoff (quindi dall’11 giugno in poi) sembra la scelta più coerente ma finire oltre potrebbe risultare fatale per i tempi della seconda tranche di deferimenti che seguirà questa prima ondata. Anche perché il 2 agosto comincia l’Europa League e occorrerà presentare in tempo le liste Uefa. Qualora dai successivi deferimenti venissero coinvolte in alto squadre come Udinese, Lazio e Napoli, sarebbe difficile divagarsi ad agosto (infatti a quelle latitudini potrebbe finirci la “coda” della serie B). Dunque il secondo processo (strano mix tra procure di Cremona, Bari e Napoli) non potrà vedere l’inizio delle nuove audizioni oltre i primi di luglio. Resta un’ipotesi da non escludere: primo processo ai primi di giugno, in contemporanea ai playoff: Abodi non si metterebbe di traverso. ECCEZIONI E sarebbe una settimana guadagnata. Non per gli avvocati delle parti (ben 83 deferimenti) molti dei quali sono già sul piede di guerra e promettono battaglia a suon di eccezioni. La più pericolosa riguarda la solita velocità, che rischia di abbattersi sulla Figc come un boomerang. Da Calciopoli in poi, l’esigenza di fare in fretta sembra esser diventata la consuetudine, peccato che a regolare i tempi ci sia ancora una norma «assurda»: l’accesso ai documenti alle difese è consentito solo a udienza fissata, con la routine per il rito abbreviato che prevede 5 giorni più 3 dall’inizio del processo. Paradosso: più la Disciplinare ritarda, più passa il tempo per cui sia i giudici che la stessa procura possono studiare le carte, mentre per le difese resterà una manciata di ore per studiarsi 200mila pagine di deferimento. Un danno a tutti, qualcuno paventa l’ipotesi di rivolgersi alla Corte Europa per i diritti dell’uomo. Nel frattempo, finito il tour di procure della settimana scorsa, il pm federale, Stefano Palazzi , in questi giorni dovrebbe completare la collezione di atti delle procure di Napoli e Bari (domani verrà ascoltato il terzo ultrà arrestato, Alberto Savarese ). Da Cremona si attendono invece importantissime novità. La prima sarebbe la desecretazione del verbale dell’ultimo interrogatorio di Filippo Carobbio , che avrebbe parlato anche del presunto coinvolgimento nelle combine dei toscani dell’attuale tecnico della Juventus, Antonio Conte . Nel frattempo il Gip di Cremona, Guido Salvini , è alle prese con la scrittura dell’inchiesta “Last Bet”, per questo tornerà in procura solo domani. I prossimi arresti previsti dovrebbero essere anche gli ultimi, che dovrebbero mettere la parola fine all’inchiesta penale che il pm Di Martino conta di portare a processo non oltre la fine del 2012. -
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Combine in diretta Così si retrocede in Spagna Labiale svela l’intesa Rayo-Granada A farne le spese il Villarreal di Rossi di GIULIA ZONCA (LA STAMPA 16-05-2012) L’ imbarazzo di questi giorni rende tutto ancora più surreale. Il campionato spagnolo finisce con un papocchio, due squadre che bisbigliano e si accordano per uno strano gol che le salva entrambe e manda in seconda divisione una terza. Dirigenti che negano, giocatori che confessano e ritrattano e bambinate varie a cui nessuno bada. Se non altro dalle nostre parti fingiamo ancora di scandalizzarci, lì scannerizzano i gol di Messi e Ronaldo, ma sulle combine tirano dritto. Domenica il Rayo Vallecano e Granada, entrambe in lotta per non retrocedere, stavano sul pari. Nei minuti di recupero Michu, centrocampista del Rayo, si piazza in mezzo a quattro avversari e avverte che sull’altro campo interessato alla sopravvivenza il Villarreal sta perdendo quindi il Granada è matematicamente salvo e non ha più bisogno di un punto. Nel gruppetto c’è Tamudo che, guarda il caso, segna un bizzarro gol (pure in fuorigioco) qualche secondo dopo. Per trascrivere il discorso di Michu non serve l’alta tecnologia: lui scandisce, gesticola, preso dalla fretta di aggiustare il risultato neppure pensa alle conseguenze tanto che intervistato da Radio Cope, dieci minuti dopo la gara, confessa candido: «Ho detto a quelli di Granada che il Villarreal stava perdendo, loro mi hanno risposto: giuralo e io ho ripetuto il risultato». Bene, interrogato il giorno successivo Michu tenta il dribbling impossibile: «Sì è vero, li ho avvisati del risultato, ma non ho detto che dovevano lasciarci segnare». Certo, voleva solo comunicare in tempo reale gli altri finali, non si sa per quale motivo. La sceneggiata da sola è già oltre la decenza perché il conciliabolo dura parecchio, i giocatori del Granada chiedono conferma poi parlottano tra loro, si guardano intorno alla ricerca di altri accenni. Come se non bastasse, dopo la rete, Granada che in quel momento sta perdendo e anche se si tratta di secondi rischia persino di finire in Segunda Division, visto che il Villarreal è sempre in campo, non si scompone affatto per la sconfitta. Chiedono solo: «Quanto manca?» ed è difficile che si riferiscano alla partita che stanno giocando. Il fischio finale libera tutti e il Villarreal resta fregato. Al momento non c’è nessuna inchiesta, il Villarreal ha messo su una mesta conferenza stampa per prendersi le colpe di una stagione disastrosa e accennare un vago disagio per l’andazzo generale della Liga: «Sono già tre o quattro anni che qualcosa gira male, non sappiamo se c’è dolo ma certo abbiamo visto cose strane e il gol del Rayo... una combinazione molto rara». Fine. I grandi giornali, la tv e i dieci siti sportivi, che aggiornano minuto per minuto persino sulle cene di Busquets con la fidanzata Shakira, hanno speso poche laconiche parole per raccontare l’epilogo del campionato come fosse uno scherzo. Una stranezza che in realtà non cambia le cose. È vero che il Villarreal sarebbe probabilmente andato giù in ogni caso (magari accompagnato dal Rayo però), è vero che una squadra che passa dal 4° posto con qualificazione in Champions al fondo classifica ha poco da recriminare, ma esisterebbero delle regole, solo che in Spagna non sembrano avere grande peso. ___ Gli investitori arabi hanno sfondato un muro conquistando la Premier E ora possono cambiare il panorama e gli equilibri più dei russi L´Italia li aspetta I nuovi padroni Comandano i petrogol degli sceicchi Mancini: "Per vincere la Champions spenderemo come Real e Barcellona" di ENRICO FRANCESCHINI (la Repubblica 16-05-2012) Il mondo è degli sceicchi. Lo si diceva un tempo, alludendo al petrolio. Lo si ripete ora, a proposito del calcio. Sotto, c´è sempre l´oro nero. Ma in superficie adesso c´è il pallone, di cui gli Emirati Arabi, il Qatar e magari un giorno o l´altro qualche altra potenza energetica del Medio Oriente vogliono diventare i padroni. Non c´è dubbio che ci stanno riuscendo, dopo che il Manchester City si è aggiudicato la Premier League. Il muro è stato abbattuto. Ed è solo l´inizio. «Ogni estate Real Madrid e Barcellona spendono un sacco di soldi per comprare due o tre giocatori», ha detto ieri Roberto Mancini alla Bbc. «Penso che dobbiamo fare altrettanto, per migliorare ancora e avere la forza di competere contemporaneamente per la Premier e per la Champions». E se si guarda alle ultime campagne del Real da 200 milioni si può avere un´idea di quanto potrebbe scucire ora il City, o meglio lo sceicco Mansur, un giovanotto con l´aria dello studente che è stato solo una volta allo stadio Etihad di Manchester, 4 anni fa, e ha preferito restare lontano dai riflettori anche domenica, ma che è imparentato con l´emiro di Abu Dhabi e guida il fondo di investimenti più ricco del pianeta. L´emiro del Qatar ha comprato il Paris Saint Germain, un altro sceicco, sempre del Qatar, nel 2010 ha acquistato il Malaga e quest´anno col 4° posto nella Liga è arrivato in Champions. E lo shopping continuerà. Gli sceicchi cercano la squadra giusta, nel paese giusto: si dice che abbiano puntato gli occhi anche sull´Italia, o forse è un calcio italiano disperatamente a caccia di capitali che ha puntato gli occhi sugli arabi, per non retrocedere ulteriormente al rango di ex-potenza europea. Il Milan è in trattativa per la cessione di una quota, e altrettanto Zamparini per il Palermo. Nemmeno gli oligarchi russi hanno così tanti soldi da spendere. E soprattutto è diversa la motivazione. Abramovich lo fa per fare pubblicità a sé e ai suoi affari, per capriccio, perché tutti, anche i miliardari, hanno bisogno di un giocattolo. Ma proprio per questo, così com´è venuto, potrebbe andarsene, o decidere di spendere meno, se non altro per non irritare il suo vero padrone, lo zar Putin, che tutto vede da Mosca e potrebbe sempre mettergli l´ex-Kgb alle calcagna. Gli sceicchi invece hanno uno scopo geopolitico. Per fare ottenere rispetto e influenza al loro paese. Per suscitare simpatie in Occidente. Per avere alleati economici e protezioni militari. È una strategia a lungo termine. Perciò non smetteranno di spendere tanto presto. ___ MARADONA E IL BELPAESE Ora fa l’eroe antitasse La «mano de Dios» ora gioca in porta Contro i gol del fisco Fallito il tentativo di mediazione per sanare i suoi debiti E gli avvocati fondano un movimento contro Equitalia di NINO MATERI (il Giornale 16-05-2012) Vabbè che adesso è di moda il campione con la lacrimuccia incorporata, ma Maradona che si commuove per i suicidi «provocati» dai gabellieri di Equitalia è credibile quanto un monastero di clausura intitolato a Rocco Siffredi. Eppure gli avvocati di Diego ce l’hanno messa tutta per sanare il contenzioso fiscale che da anni oppone la mano de Dios del mitico goleador alla mano lestas dell’erario italiano. Il tentativo di mediazione è però finito con un nulla di fatto (uno squallido zero a zero, calcisticamente parlando). Ieri era infatti in programma l’udienza extragiudiziale per il «patteggiamento» proposto dal pibe de oro a Equitalia e all’Agenzia delle Entrate sulla vertenza che- ormai da 25 anni - lo vede «debitore» nei confronti delle nostre casse statali di circa 40 milioni di euro. Ma passiamo alla cronaca delle fasi salienti dell’incontro. Di buon mattino, sul rettangolo di gioco della Stazione Marittima di Napoli(dove ha sede l’organismo di mediazione), si sono presentati due arcigni difensori: gliavvocati Angelo Pisani e Angelo Scala. Al momento dello scambio dei gagliardetti, però, Pisani e Scala si sono accorti che, a centrocampo, gli avversari non c’erano: Equitalia e Agenzia delle Entrate erano, inspiegabilmente, rimasti negli spogliatoi. Pisani e Scala, per chiudere la partita, hanno cercato di fare un po’ di melina offrendo 3, 5 milioni di euro che sarebbero stati pagati dagli sponsor di Maradona. Obiettivo: mettere fine alla querelle finanziaria. Ma, al termine del derby, l’«arbitro» non ha potuto fare a meno di stilare il seguente verbale: «Vista l’assenza dei rappresentanti di Equitalia e dell’Agenzia delle Entrate, si dichiara estinto il tentativo di mediazione». Tradotto: la sfida continua e chissà - se, come e quando - si concluderà mai. «Chi è assente ha sempre torto - ha detto Pisani al momento del triplice fisco, pardon fischio -. Lo Stato italiano aveva il dovere di intervenire. Se in possesso di prove certe sul credito legittimo, liquido ed esigibile nei confronti di Maradona, avrebbero dovuto mostrarle al mediatore. Evidentemente queste prove non ci sono». Clamoroso al Cibali! «Maradona non ha nessun debito così come stabilito dai giudici tributari e penali fino dal 1994». Ma la cosa non finisce qui. Maradona si candida infatti a diventare una specie di San Gennaro, patrono dei tartassati dal governo Monti. «Chiedono una revisione del Dpr del 1973 in una direzione che garantisca la tutela del contribuente e il pagamento trasparente delle tasse - marcano stretto i difensori Pisani e Scala, manco fossero la reincarnazione di Bruscolotti e Pogliana -. Stiamo organizzando un movimento anti-Equitalia per supportare chi è vittima delle assurdità del sistema di riscossione nel Paese ». Testimonial d’eccezione: Diego Armando Maradona, appunto. «Nel suo caso - spiega la coppia di «terzini», Scala&Pisani -, si intrecciano tre grandi barbarie di questo sistema: 1) la notifica, atto mai avuto dal campione ma considerato consegnato da Equitalia che lo diede al custode del centro Paradiso, dove si allenava il Napoli; 2) l’ostinazione formidabile dell’agente riscossore, nonostante il titolo sia già stato annullato dalla Commissione tributaria per il Calcio Napoli, per altri due calciatori del Napoli: Careca e Alemao; 3) l’errata convinzione che - da parte nostra - si chiedano sconti, mentre probabilmente alla fine sarà lo Stato a dover risarcire Maradona». Sarà un gol o un autogol? Lo stadio è gremito in ogni ordine diposto. Ma si segnala la presenza di molti portoghesi. -
LA TRIMESTRALE Saras, trimestre difficile per la raffinazione crolla l'utile dell'89%, il titoli ai minimi La società dei Moratti sconta il calo dei margini a causa della concorrenza dei prodotti in arrivo dall'estremo oriente. Ottimismo per la seconda parte dell'anno con la discesa dei prezzi del petrolio di LUCA PAGNI (la Repubblica - ECONOMIA & Finanza 15-05-2012) MILANO - Ancora un trimestre difficile per la Saras, la società controllata dalla famiglia Moratti che è tra i leader in Europa nella raffinazione dei prodotti petroliferi. Come da due anni a questa parte, la concorrenza dei prodotti in arrivo dall'Estremo oriente, dove si può ancora contare su un prezzo della manodopora più basso, ha penalizzato i margini. Saras nel primo trimestre ha così accusato una perdita netta 'adjusted' di 36,6 milioni di euro a fronte di un profitto di 39,5 milioni registrato nello stesso periodo dell'esercizio precedente. Contestualmente l'utile netto 'reported' è crollato dell'89% a 14,1 milioni. La performance negativa rispetto al primo trimestre 2011, spiega una nota, può essere spiegata soprattutto "da un contesto di margini estremamente deboli e dalle penalizzazioni indotte dalle attività di manutenzione effettuate sulla raffineria. Nei tre mesi a marzo i ricavi del gruppo sono aumentati del 17% a 3,11 miliardi, mentre l'ebitda 'comparable' si è attestato a 21,1 milioni (in calo dell'86% dai 154,3 milioni della prima frazione dell'anno scorso). L'azienda ha però lavorato sull'indebitamento: al 31 marzo la posizione finanziaria netta risultava calata a 473 milioni dai 653 milioni registrati al 31 dicembre. In Borsa il titolo ha reagito in negativo, toccando un nuovo minimo storico sotto quota 0,77 euro. Per il futuro si intravede qualche margine di miglioramento. Il presidente, Gian Marco Moratti ha osservato che "oggi, la discesa delle quotazioni del grezzo sta producendo un miglioramento dei margini di raffinazione, e ciò ci consente di guardare al secondo trimestre con discreto ottimismo". Anche perchè, ha precisato, che nel primo trimestre, "i segmenti generazione energia elettrica, marketing ed eolico hanno avuto un andamento positivo mentre il segmento raffinazione ha risentito di uno scenario di mercato difficile". I problemi di Saras riguardano tutto il settore della raffinazione in Europa. L'Italia non fa ovviamente eccezione, come dimostrano anche i casi di Eni, che ha fermato l'impianto di Gela per un anno, e quelli di Erg, che ha ceduto la maggioranza dell'impianto di Priolo ai russi di Lukoil. ___ Libero 16-05-2012
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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 15-05-2012) Mai più un caso Muntari Italia pronta ai ...6 arbitri Un piccolo record: per il secondo anno consecutivo il campionato di serie A si è chiuso senza polemiche arbitrali. Merito forse di un ambiente un po' più maturo (tranne rare eccezioni, vedi Zamparini) e del buon lavoro che ha fatto il designatore Stefano Braschi, alla sua seconda stagione e avviato alla terza. Venti arbitri in A sono pochi, la divisione con la B ha creato problemi di organico: il capo degli arbitri, Marcello Nicchi, in odore di riconferma pure lui (votazioni a fine anno), sta studiando qualcosa, un correttivo. La soluzione sarebbe nel caso l'International Board (leggi: Blatter. . . ) il 2 luglio dovesse dare davvero il via il libera agli arbitri di area, progetto voluto da Michel Platini, e che funziona come deterrente e non solo. Ottimo il lavoro fatto da Pierluigi Collina, designatore europeo: ha sicuramente meno visibilità del passato, ma Platini lo stima molto e poi i soldi che ha perso lasciando l'Italia a sorpresa (senza mai raccontarci la verità. . . ) li ha ampiamente recuperati in Ucraina, come capo degli arbitri (così come Rosetti a Mosca). L'Italia è pronta ad ospitare il progetto dei sei arbitri. Sì, sei. Che squadrone. L'arbitro n.1, i due assistenti, il quarto uomo e, la novità appunto, i due arbitri di area che non possono essere pensionati perché una loro decisione (gol fantasma, rigore, espulsione, ecc. ) può essere decisiva. L'Italia, calcisticamente parlando, è una Nazione ricca e quindi può permettersi i sei arbitri a partita. Costano molto e ci vuole una grande organizzazione: ma se ci fossero già stati, beh, non ci sarebbe stato il clamoroso errore del gol-fantasma (macché fantasma...) di Muntari, che secondo i milanisti forse avrà cambiato la sorte dello scudetto. Chissà, onestamente è difficile da dimostrare: la Juve ha vinto più che meritatamente, lo hanno ammesso pure i rivali. Ma la topica di Romagnoli, che pure è uno degli assistenti più bravi, resta, ed è stata clamorosa. Ora sia Romagnoli, che dopo quell'errore si era ripreso bene, sia Copelli (45 anni) lasciano per motivi di età: un problema per Braschi, ma Nicchi è sempre poco favorevole alle deroghe. E' stata una stagione dove, a sorpresa, i più grossi errori li hanno commessi proprio i più bravi. Rizzoli, Tagliavento e Rocchi: dopo un doveroso periodo di riposo forzato, sono stati rilanciati in pista. Braschi ha utilizzato molto il turn over, per un lungo periodo ha anche lanciato un arbitraggio molto europeo (salvo stringere poi le redini nei periodo più caldi) sul progetto già avviato da Collina, è stato anche bravo e furbo nel non cascare nella trappola delle provocazioni. La "squadra" ha tenuto, e questo è un buon segnale. Latitano un po' i ricambi all'altezza, e questo è un brutto segnale. Qualcosa va rivisto per il futuro. Una cosa inoltre di cui gli arbitri possono andare fieri: nelle migliaia di pagine di intercettazioni del calcioscommesse non compaiono mai (tranne un accenno a Bacalini, subito dismesso). "Segno che qualcosa è cambiato: sanno che con noi è inutile provare, sanno che l'ambiente è sanno. Possiamo davvero essere orgogliosi", dicono i dirigenti arbitrali. Sì giravano tanti soldi ma gli arbitri sono stati arrestati solo nei Paesi dell'Est e in Germania. In Italia sbagliano, come no, ma almeno sono puliti. Di questi tempi non è cosa da poco. Rai: Novantesimo e Domenica Sportiva chiudono col botto L'annata Rai va in archivio, ora gli Europei di calcio in esclusiva e le Olimpiadi (200 ore). Fra le novità della stagione, "5' di recupero", in onda la domenica sera dopo il Tg1: un botta e risposta sovente interessante, condotto da Carlo Paris. Non tutti gli ospiti sono stati all'altezza, qualcuno ha preferito anche non comparire. Ma l'idea è più che valida. Così come quella di un canale tematico, su Rai Sport 1: cresce piano, qualche volta supera anche Sky Sport 24 e ha l'obiettivo di arrivare all'1% medio di ascolto, traguardo non semplice. Così intanto domenica le principali trasmissioni Rai: Gp di Spagna 41,36%, 7.730.000; pallavolo Italia-Germania 1%, 226. 000 (su Rai Sport 1); Stadio Sprint 11,10 %, 1.598.000 (ospite Abete); 90 Minuto, 15, 59%, 2.357.000; Domenica Sportiva 13,72%, 1.929.000; 5' di recupero (ospite Andrea Della Valle) 18,40%, 4.375.000. -
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UN CONVOCATO DI TROPPO di FABRIZIO BOCCA (la Repubblica 15-05-2012) Dice Prandelli che «le mie scelte sono state esclusivamente meritocratiche ». Parlava di giocatori, ma si dovrebbe pensare che l’inserimento del figlio Niccolò come preparatore atletico nello staff azzurro segua lo stesso principio. «Non ho pensato alle polemiche. Servivano due figure nuove, lui è bravo e ha già lavorato con i miei collaboratori. Solo merito. Poi ho la fortuna di essere suo padre, vivrò un mese con lui. Auguro a tutti i genitori di lavorare con i figli, se davvero lo meritano. . . » Prandelli jr percepirà solo la diaria di 50 euro al giorno spettante a tutti gli azzurri. Ma in nazionale non contano i soldi quanto piuttosto il biglietto da visita. Un preparatore non è un calciatore che si può facilmente giudicare. Nessuno poteva accusare Maldini Sr. di nepotismo per le convocazioni del figlio, un campione. Il fatto è che uno non se l’aspetta dal ct dei codici etici, dei doveri prima di tutto e dei comportamenti corretti. Nell’Italia di oggi serviva un esempio diverso e l’opportunità avrebbe dovuto consigliare la rinuncia. Comunque la si giri resta sempre la spintarella di un papà famoso e con un certo potere. Milioni di papà sconosciuti non avranno mai la possibilità di dare spintarelle del genere ai loro bravi figlioli e spedirli in nazionale. ___ Mancini e il calcio inglese sono vivi, il resto è sepolto a Sant’Apollinare di JACK O’MALLEY (IL FOGLIO 15-05-2012) Londra. L’Inghilterra ha un nuovo campione, il Manchester City di Roberto Mancini, che si è meritato il titolo con una partita talmente rocambolesca che se fosse stata giocata in Italia sarebbe entrata di diritto nel faldone dell’inchiesta sul calcioscommesse. Invece si è giocata in Premier League, e il fatto che il Qpr abbia preso due gol nei minuti di recupero (era in vantaggio 2-1 sul City, ha perso 3-2), proprio quando aveva la certezza che non sarebbe più retrocesso, è un dettaglio. Così mentre in Italia si consumava il rito sentimentale e retorico di applaudire vecchi giocatori e si piangeva in campo, sugli spalti, in tv e a casa davanti a partite che avevano poco da dire, a Manchester il portiere del City batteva lui le rimesse laterali a centrocampo per portare in avanti la squadra. Certo, si è riuscita a fare della retorica anche sulla vittoria dei Citizens, ma è tutta roba fresca come quella trovata nella tomba di De Pedis, dove oltre alle ossa del boss della banda della Magliana pare siano stati rinvenuti altri resti della stagione: alcuni giocatori dell’Inter, gli scontrini delle scommesse di Cristiano Doni, due sim card di Luciano Moggi, un paio di editoriali di Beppe Severgnini, la pancera di Adriano, la terza stella della Juve, Blatter, il preparatore atletico del Milan, Luis Enrique, il parrucchiere di Hamsik, le cartelle esattoriali di Maradona, Villas Boas, Claudio Ranieri, tutta la redazione di Rai Sport, il Suv di Lapo Elkann e gli ultras del Genoa. Per sopravvivere a quello che è successo a Manchester ho dovuto annaffiare il pomeriggio con il brandy. Vincere così la Premier è contrario alle prescrizioni del mio cardiologo, ma del resto è anche l’immagine di quella che con un eufemismo Mancini ha chiamato una “crazy season”. E’ la squadra intera ad essere pazza, così com’era pazza l’Inter prima di capitombolare in una mediocrità da preliminari di Europa League, costretta a guardare in tv le vittorie dei suoi ex eroi. Il City pazzo di Mancini è un concetto che abbraccia la kefiah e Liam Gallagher, Tévez e Agüero, l’eroico Kompany, e riesce persino a ricondurre a una dimensione calcisticamente umana Balotelli, miniera a cielo aperto per i tabloid e i tutori della legge. In questa scorpacciata di sentimenti mi si lasci dire che l’immagine più bella è quella di Mancini che scappa da Dzeko che vuole spettinarlo con lo spumante, e l’allenatore tremebondo che cerca di mettere al riparo il ciuffo per non perdere la sfida a distanza con Ferruccio De Bortoli. Nella tenacia con cui ha cercato fino all’ultimo minuto – in senso letterale – di perdere il campionato c’è qualcosa di eroico, una specie di sentimento tragico per l’esistenza che è stato ricompensato con la più spettinante delle vittorie. Sono tentato di cedere, e dire che a prescindere dalla sponda di Manchester sulla quale vi trovate quello che si è visto è un inno universale al calcio, e che in fondo ha vinto il migliore. Ma mi piace ancora di più l’idea che i Red Devils siano incazzati come animali feriti, e già in queste ore meditino la vendetta. I can’t wait. -
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L'intervista Petrucci «Napoli modello d’Europa» Il presidente del Coni fa un appello a De Magistris «Ci vuole un palasport» di FRANCESCO DE LUCA (IL MATTINO 15-05-2012) È il padrone di casa. «Non sarebbe bastato uno stadio da duecentomila posti per la finale di Coppa Italia, non ci sarà un biglietto disponibile: non accadeva dalla finale di Champions League 2009 tra Barcellona e Manchester United». Gianni Petrucci È il presidente del Coni, il suo ufficio dà le spalle allo stadio Olimpico dove domenica c’È la sfida Juventus- Napoli. «Un grande evento che non creerà problemi», assicura il capo dello sport italiano in questa intervista al Mattino. «Sarà una grande festa perché Roma sa organizzare e ospitare eventi di questo livello», puntualizza. Ventisette marzo, Petrucci dice alla Juve e al Napoli: «La finale giocatela in un altro stadio». Le società pensavano di sfidarsi a Milano. «Ero un po’ risentito, sembrava che ci facessero un piacere a giocare a Roma la finale dedicata al presidente della Repubblica... Parlai con Agnelli e De Laurentiis, alla fine È prevalso il buonsenso». C’È preoccupazione per l’invasione di trentamila napoletani e trentamila juventini all’Olimpico. E potrebbero arrivare tifosi senza biglietti. «C’È un ottimo capo della Polizia, il prefetto e il questore di Roma sono eccellenti. La città ha sempre garantito organizzazione, tranquillità e sicurezza, a cominciare dal Giubileo. Un anno fa c’era mezza Palermo per la finale contro l’Inter: tanto entusiasmo e tanto colore, sarà così anche domenica. Ci sarà il record degli ascolti televisivi, oltre che quello di presenze all’Olimpico». In questi anni lei ha assistito all’ascesa del Napoli. «È una fortuna quando si trova un grande imprenditore e una persona capace come De Laurentiis. Il modello Napoli È vincente non solo in Italia, ma in Europa. Sotto l’aspetto dei bilanci È un esempio per i club della Premier League, che hanno un forte indebitamento, ma anche per Real Madrid e Barcellona. Nel calcio si pensa soltanto a vincere, invece bisogna essere bravi anche con i conti. De Laurentiis È intelligente e ha portato idee nuove, che saranno condivise più in là: ogni cosa ha i suoi tempi». Il Napoli parteciperà a una coppa europea per il terzo anno consecutivo. «L’Europa League È una competizione prestigiosa. Il Napoli tiene i conti a posto e riesce a vincere: È un grande motivo di orgoglio». L’altra finalista È la Juve, che È tornata a vincere lo scudetto e reclama la terza stella. «Mi limito a dire che rispetto le regole e l’autonomia della Federcalcio. È stata premiata domenica una società che ha vissuto momenti difficilissimi, superati grazie a famiglie solide come quelle degli Elkann e degli Agnelli. Tutti si sono dispiaciuti per l’addio di Del Piero, pochi hanno sottolineato il coraggio avuto da Andrea Agnelli che ha annunciato ad inizio stagione che il rapporto si sarebbe interrotto. Gli aspetti affettivi sono importanti, specie se riguardano un simbolo calcistico nazionale, però Agnelli ha badato al futuro e all’aspetto economico». Sabato 26 sarà a Napoli per consegnare a Mazzarri il Premio Bearzot. «Lo seguo da quando allenava la Reggina, negli anni di Napoli l’ho ammirato per i risultati e per l’energia che riesce a trasmettere ai giocatori, spingendoli a credere nel risultato fino al fischio dell’arbitro. Ha la filosofia del tecnico di basket, sport che io amo molto». Lo vedrebbe sulla panchina della Nazionale? «Stimo troppo Prandelli e credo che l’Italia sia la squadra da battere agli Europei grazie a un ct e a un gruppo che non esprimono esclusivamente valori tecnici: non c’È un raduno della Nazionale che non veda la Federcalcio impegnata in una iniziativa sociale». A Napoli sono state poste le basi per un nuovo stadio da 700 milioni. Ma a che punto È la legge sulla privatizzazione? «Non costerebbe nulla e darebbe grande impulso alle società. Auspico tempi brevi, mi auguro che prima della chiusura estiva delle camere possa essere tagliato il traguardo. A proposito di impianti vorrei lanciare un appello al sindaco di Napoli». Prego, presidente. «Da pochi giorni sono sindaco di un piccolo comune, ma anzitutto come uomo di sport conosco le difficoltà dei comuni: io e il segretario generale Pagnozzi siamo costantemente al lavoro su questo fronte. Vorrei ricordare al sindaco de Magistris che non basta avere una squadra di vertice come il Napoli, bisogna incentivare gli altri sport e per farlo occorrono gli impianti. Napoli ha avuto grandi squadre e grandi dirigenti, come Carlo de Gaudio. Ha una tradizione nel basket, ma da anni non ha più il Palasport. Eppure, gli atleti sono ai vertici: la Campania È al momento la terza regione per numero di qualificati ai Giochi dopo Lombardia e Lazio. La cultura sportiva È viva e forte, ma va incentivata». Si avvicinano i processi per lo scandalo scommesse: tanti club e tanti tesserati coinvolti, non può esserci il rischio di un colpo di spugna? «Impossibile. Proprio perché sono coinvolti numerosi tesserati e club vi sarà una giustizia seria che farà processi giusti e concederà difese legittime. Siamo reduci da una domenica bellissima e romantica per l’addio di Del Piero e altri campioni, adesso da responsabile dello sport sono in attesa di sviluppi sul fronte giudiziario, certo del buon lavoro della Federcalcio». Cosa farà l’Italia alle Olimpiadi? «Mi aspetto che non deluda. Abbiamo avuto un numero minore di atleti rispetto a Pechino 2008, ma non per una questione economica, perché lo Stato ci ha comunque assicurato sostegno: ci sono stati problemi nella fase di qualificazione». Qual è il suo atleta campano preferito? «Rosolino. Ha personalità e talento, tuttavia non si atteggia e non È mai sopra le righe. Ma anzitutto Napoli e la Campania sono nel mio cuore». -
Juventus Campione D'Italia 2011/2012 [E Sono 30]
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IL CAPITANO E L’ATTIMO VINCENTE di CATERINA PERNICONI (il Fatto Quotidiano 15-05-2012) O capitano, mio capitano!" Quando domenica Alessandro Del Piero è salito sul tavolo di fronte alla panchina, in un ultimo gesto di sfida, è stato come rivivere la scena finale dell'Attimo fuggente: il genio incompreso che si ribella a una decisione irrevocabile. I suoi tifosi, quelli che hanno portato allo stadio le lacrime e il cuore, hanno catturato un momento che non si ripeterà: la Torino bianconera ha calato il sipario sul capitano più amato dopo diciannove anni di carriera. E diciannove è un numero incompiuto per essere definitivo, soprattutto per un perfezionista come lui, che ha costruito il suo talento fin da bambino colpendo con una pallina da tennis l'interruttore della luce del garage di casa. "Click" è un rumore che non dimenticherà mai. Come quel coro, "solo un capitano", che lo rende insostituibile, almeno nel cuore dei tifosi. L'appello finale dei 40 mila accorsi allo Stadium per festeggiare lo scudetto con la "terza stella" e piangere l'addio di un campione che li lascerà smarriti nella loro fede come pecorelle, non è bastato a convincere Andrea Agnelli che non era ancora il momento, che quella furia rottamatrice da far invidia a Matteo Renzi poteva attendere almeno un altro anno. Venti avrebbe avuto un suono più dolce. Ma il destino è arrivato in anticipo e ha un gusto amaro. Forse come quello che Antonio Conte, il mister che ha portato la nuova Juve allo scudetto, sentì in bocca undici anni fa, quando fu lui a cedere la fascia di capitano a un Del Piero rinato dopo un lungo infortunio. Tocca sempre a uno sancire la fine dell'altro. E così la festa diventa un rito sacrificale, a cui i tifosi assistono inermi, spaccati a metà tra la gioia e il dolore, mentre sullo sfondo scorrono le ultime immagini di una partita che serve solo a dimostrare come la Juventus sul campo non perde mai, senza bisogno di aggiungere ombre e dubbi. Non c'è stata nemmeno l'invasione di campo temuta in uno stadio senza barriere. È il giorno della festa ma sulle facce c'è ancora il sale delle lacrime. Non si banchetta dopo un funerale, non a Torino. L'orgoglio bianconero ha preferito esibirsi nelle strade, dove le bandiere hanno sventolato fino a mezzanotte intorno al pullman di una squadra che ha riconquistato la vetta del campionato grazie anche al suo capitano. Domenica a Roma, in Coppa Italia, l'epilogo. Forse in tasca Del Piero si porterà una pallina da tennis. E uscendo spengerà la luce. -
15 05 2012 Viva la fiction del Dio Pallone È una fiction, ma che fiction...! Contestualizziamo subito, e a spanne. Nella domenica in cui Monti diffonde alti lai sulla “forte tensione sociale” dell’ex Bel Paese calcistizzato, e Benedetto XVI invita a “non farsi prendere dallo scoramento”, a Torino scoppia la festa per lo scudetto juventino : arrivati da tutta Italia, erano più numerosi degli alpini a Bolzano, non so se rendo l’idea. Hanno festeggiato alla sudamericana il pullman scoperto dei giocatori, hanno pianto, riso, urlato, si sono abbracciati e hanno scherzato, si sono tatuati Del Piero in tutti i cm corporei, erano vecchi e bambini, del sud e del nord, immigrati e juventini secolari... Una festa di popolo. Forse qualche suggerimento tutto ciò potrebbe darlo al premier laico e al capo della Chiesa, o al capo dell’ecclesia economico-politica e all’erede di (Del) Pietro: c’è bisogno di tornare a sorridere in un paese triste e tristo, e tutto fa brodo per un pomeriggio e una sera. Questa la prima, succinta indicazione dal tripudio, di solito trascurata nella franchigia socioculturale e sottoculturale riservata al Reame Rotondo. LA SECONDA nota, più stretta, riguarda la domandina facile facile: ma se il Dio Pallone con tutto il suo fango ancora riesce a muovere tali passioni, quantitative e qualitative, forse sarebbe un preciso dovere civico far funzionare questo mondo come si deve, renderlo credibile, ridurre le ombre, salvaguardarne un briciolo d’etica e legalità, leggi la disastrata “lealtà sportiva”. Insomma, al posto di – per dire – un Abete ci vorrebbe un Monti. . . Rimarremo nello stesso habitat lessicale. Invece c’è il precipizio che sta per ingoiare il calcio professionistico con deferimenti e processi, e stupide pezze a colore per nascondere fin che si può la verità dei fatti, ossia un calcio colabrodo. Dopo che tempo fa il Procuratore capo di Cremona, Di Martino, aveva invocato “un’amnistia” alla luce della gravità dei fatti (ma come, un Procuratore capo?), adesso ci ha pensato il Procuratore capo di Bari, Laudati, a incontrare il fantasmagorico Palazzi (console della giustizia calcistica) in una specie di Teano tra le due giustizie: lo scopo era trovare un accordo sul reato sportivo di omessa denuncia. Una specie di “busillis”: dello scandalo se ne viene a capo solo se parlano i “pentiti”, come nel resto, ma nello sport il pentito equivale alla condanna per chi “non ha tempestivamente denunciato”. Come uscirne? Arrotondando benevolmente la pena dell’omessa denuncia, accorciandone i tempi di prescrizione, benedicendo insomma il pentitismo. Magari risolve qualcosa al momento, ma è come inferire un colpo mortale ai valori fondanti e significativi dello sport. D’ora in poi non ci sarà neppure quel tipo di deterrente: non denunceranno mai più alcunché a meno che non scoppi uno scandalo “per altri motivi”, nel qual caso rimedieranno quasi senza rischio con resipiscenze tardive. Se questa è la cornice realistica del quadro/pallone oggi, è ancora più commovente la fiction contenuta da questa cornice: il quadro è effettivamente intrigante, pieno di pennellate cromatiche di dritto e di rovescio. E pure di sghimbescio. Pensate a Del Piero, al suo fantastico addio a stadio unificato, le lacrime che sgorgavano dalle cateratte degli spalti che lui invece tratteneva nel lucore trasmesso dalle immagini tv. Pensate a Lapo Elkann, travestito da Lapo Elkann, che sembrava davvero Lapo Elkann con occhiali e abbigliamento juventini, perché evidentemente era proprio Lapo Elkann: almeno da come ululava al microfono consenziente “abbiamo fatto un campionato della Madonna, Conte è un allenatore della Madonna, siamo un po’ tutti gente della Madonna compreso mio cugino, Andrea, della Madonna pure lui...”). Quindi la dirigenza manda via uno come Del Piero, solo perché vuol giocare (come ha fatto e bene part time anche quest’anno, ma l’hanno cacciato troppi mesi fa allorché nessuno immaginava il trionfo e non sanno tornare indietro... la serie “della Madonna . . . ”), e resta Lapo? O TEMPORA o mores, in bianconero. Ma da un Del Piero fulgido a un Inzaghi inzaghesco è tutta una sceneggiatura straordinariamente emotiva: segna Pippo, un vetero Pippo che forse qualche altro gol avrebbe potuto realizzarlo quando serviva, segna e se va, come Del Piero, come forse Totò Di Natale che ha trascinato in Champions la fenomenale Udinese, il vero caso di questo campionato bianconero in tutti i sensi e in tutte le variazioni sul tema. A Catania ha sbagliato un gol facile che poteva essere decisivo, e ne ha marcato uno meraviglioso, coefficiente di difficoltà da tuffo del trampolino inarrivabile, un gol da sognarsi tutta la vita, ovviamente un gol decisivo. Per la centesima volta ripeto che quello sì, come Del Piero, è un giocatore, dentro e fuori dal campo. Adesso Prandelli, sul lastrico degli infortuni, lo recupera per gli Europei. È l’unico che può salvarlo se si trasfigura fuori confini, naturalmente assieme all’ipotetico Balotelli, stessa classe, ma anagrafe, struttura fisica e testa opposte. Balotelli incisivo nella partita in cui il Manchester City del misterioso sceicco Mansur e di Mancini in panchina ha vinto lo scudetto all’ultimo tuffo per il piede del Kun Aguero, una specie di Roma (United) e Lazio (City) sul filo di lana risolto a favore del secondo dopo secoli di predominio storico del primo (per Roma e Lazio è un po’ diverso, è vero. . . ). Sì, avranno pur fatto segnare il City quelli del QPR che avevano perfino Cissé (ex Lazio...), ma c’era uno stadio che ha trasformato i singhiozzi ormai in uscita in barriti di gioia, a dimostrazione della planetarietà emotiva della faccenda. Niente di nuovo, basta ricordare i fatti e i misfatti dell’ultima giornata del campionato 1972-‘73, quando la Juve vinse sospettamente su Milan e Lazio in extremis. Bei tempi, allora i dubbi erano solo sudore di maggio. Adesso si suda freddo per tutto l’anno.
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Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"
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LO SCUDETTO DEGLI AGNELLI E I SOLDI DI MARCHIONNE La Juve festeggia la vittoria ma i conti ancora non tornano di VITTORIO MALAGUTTI (il Fatto Quotidiano 15-05-2012) Io juventino per contratto? Ma stiamo scherzando? Mi sono avvicinato alla Juve all’età di cinque anni e quando posso vado allo stadio, specialmente adesso che ne abbiamo uno nuovo e spettacolare”. Così parlò Sergio Marchionne, poco più di un mese fa, nel tentativo di accreditare la sua fede calcistica. Solo che domenica, nel giorno del trionfo e dell'orgoglio bianconero, il capo della Fiat non era in tribuna a festeggiare insieme agli Agnelli. Affari urgenti a Detroit? Macchè, mentre il popolo juventino celebrava lo scudetto, l’uomo dal maglioncino nero era in città, al Lingotto, e si è fatto vedere alla presentazione del libro del giornalista Massimo Gramellini (gran tifoso torinista, peraltro). Marchionne non ha perso l'occasione di attaccare i sindacati osservando che “in Italia il clima è molto teso” (ma va?). QUESTIONI importanti, certo. Di sicuro più serie del campionato di calcio. Ai più, però, la scelta di disertare lo stadio in una giornata tanto importante non è sembrata casuale. Sostengono gli esperti di cose torinesi che il manager dal maglioncino nero, personaggio ingombrante e controverso, si sarebbe fatto volontariamente da parte per lasciare il palcoscenico agli Agnelli. E soprattutto ad Andrea, il presidente della Juve tagliato fuori anni fa dalla successione ai vertici della Fiat per scelta di suo zio Giovanni, l'Avvocato, che gli preferì il cugino John Elkann. L’erede di Umberto Agnelli fin qui ha vissuto di luce riflessa e la vittoria calcistica, accompagnata dai proclami sulla terza stella e gli scudetti vinti sul campo, serve a riconquistare visibilità agli occhi dell'opinione pubblica. Lo scudetto, in realtà, porta anche soldi, molti soldi, a cominciare da sponsor, tv e incassi della Champions League. Sono decine di milioni di euro, più che mai necessari per una società come la Juventus che l'anno scorso, a giugno, ha chiuso il bilancio con 95 milioni di perdite e in nove mesi ha già accumulato un deficit di altri 40 milioni. Chi paga il conto? Molti ricordano che l'estate scorsa il capo della Fiat lasciò trapelare una forte irritazione per la scelta degli Agnelli di investire, attraverso la holding Exor, oltre 70 milioni nella Juve. Ma come, la Fiat arranca e gli azionisti di maggioranza pompano nuovi capitali nelle casse esauste di una squadra di calcio? Un mese fa è arrivata un'altra sorpresa. Per i prossimi tre anni sarà la Fiat a versare altri 35 milioni alla Juve, che fino al 2015 avrà sulle maglie il marchio Jeep, controllato dalla Chrysler. Il contratto di sponsorizzazione è stato annunciato in aprile. Fu in quell'occasione che Marchionne fece la sua dichiarazione d'amore al club bianconero. Ci hanno creduto in pochi, a dire il vero e l’assenza del manager alla festa scudetto ha dato ragione agli scettici. La questione di sostanza però è un’altra. Molti analisti finanziari avevano accolto con scetticismo la scelta della Fiat di finanziare la Juventrus. Una scelta in pieno conflitto d’interessi, perchè finisce per dare una mano a una società controllata dagli azionisti di maggioranza della casa automobilistica. Per le migliaia di piccoli azionisti della Fiat i vantaggi dell’operazione sono invece quantomeno aleatori. Va anche detto che il contratto targato Jeep è più generoso rispetto a quello precedente firmato con la Betclic, gruppo internazionale delle scommesse sportive. E questo ha finito per aumentare i dubbi negli ambienti di Borsa. Così, se adesso Marchionne non va allo stadio, prende implicitamente le distanze da un business, quello calcistico, che riguarda la famiglia e non l’azienda automobilistica. ADESSO TUTTI si chiedono se la Juventus sarà in grado di camminare sulle proprie gambe. Per quest’anno ci sono poche speranze. L’aumento degli incassi non sono stati sufficenti a coprire i costi degli ingaggi per i calciatori approdati in bianconero con l’ultima campagna acquisti. A giugno, quindi, il bilancio chiuderà ancora in forte perdita. Se però i proventi della Champions League non fossero sufficienti a tappare le falle è difficile pensare a un nuovo intervento finanziario della famiglia. Il presidente bianconero Andrea Agnelli, nominato solo due anni fa, ha già ricevuto tutto il necessario per vincere lo scudetto a tempo di record. Difficile che il cugino John Elkann sia disposto a fare il bis. Per non parlare di Marchionne. -
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Il pallone di Luciano Lippi in Cina, Capello a Londra: spopolano le panche made in Italy di LUCIANO MOGGI (Libero 15-05-2012) Nella sua crociata contro la terza stella, Abete si confonde un po’. Succede durante “Stadio Sprint” quando gli vengono ricordate le parole di uno juventino doc, lo scrittore Sandro Veronesi: «La Juve dovrebbe rinunciare alla stella solo se l’Inter ammettesse che lo scudetto 2006 è immeritato». Abete s’incarta, il tema lo agita: «Esiste una giustizia sportiva che ha preso delle decisioni che vanno rispettate». Ohibò, e qual è questa giustizia? Non è stato forse l’ex interista Guido Rossi a regalarglielo senza nemmeno una delibera specifica (cosa che - Figc dixit - non permette di fare retromarcia dopo il ridicolo balletto delle incompetenze)? Abete poi sfrutta i complimenti di Blatter a Andrea Agnelli giocando sul «28» artatamente ripetuto. Ma che cosa ci si poteva aspettare dal presidente della Fifa che a suo tempo stoppò l’accesso della Juve ai tribunali extrasportivi anche grazie a Montezemolo (lo smascherò lo stesso Blatter ringraziandolo pubblicamente)? Il presidente della Ferrari ora ha cambiato parere: «Gli scudetti sono quelli vinti sul campo». E ha aggiunto che «la terza stella va messa». Ma sul tema ci sarà ancora battaglia. Ad esempio, la «Ġazzetta» (tanto per cambiare) è partita lancia in resta contro la Lega Calcio che - sul comunicato relativo alla cerimonia dello scudetto - aveva confermato la propria partecipazione senza ricordare il numero dei tricolori, come fatto in passato. Abete non può usare due pesi e due misure: non può vestirsi di incompetenza quando si tratta di revocare lo scudetto all’Inter - nonostante la relazione di Palazzi che nega i presupposti etici di quel “grazioso dono” - e rimettersi l’abito della “competenza” sulla questione della terza stella. Un po’ di coerenza, almeno da parte delle istituzioni, non guasterebbe. Ma c’è di più. La Lega si trincera dietro le sentenze, ma dimentica che già la Corte Federale aveva escluso l’alterazione anche di una sola gara (affermazione ribadita dalla sentenza penale di primo grado). Di fronte a questa ammissione non si capisce perché qualcuno debba ancora pagare. Mentre non si può che essere d’accordo con Andrea Agnelli che chiede la restituzione dei due scudetti e 444 milioni di danni. Tutta colpa del pateracchio 2006: in pieno linciaggio dei suoi dirigenti, la Juve diede una mano ai persecutori. Arrivarono sentenze già scritte su reati inventati in toto - risibili già nella loro denominazione («strutturali») e basati sul sentimento popolare (!) - piuttosto che su norme violate. Abete faccia uno sforzo di dignità e approfondisca la materia. Informi anche quel Blatter che “dimenticò” di premiare la nostra Nazionale campione del mondo. Tornando sul campo, le scene di trionfo durante Juve-Atalanta si sono frammiste alla giornata speciale di Del Piero: giro di campo a partita ancora in corso, gioia e lacrime. Andrea Agnelli lo ha esaltato: «Il nostro capitano per sempre». Addii con lacrime anche a Milano, dove hanno lasciato in tanti. La lotta per il terzo posto è stata vinta dall’Udinese, ma il rush finale ha travolto Guidolin che - come Guardiola - chiede riposo. In coda si salva il Genoa, va in B il Lecce, ma a Cosmi va comunque l’onore delle armi. Parte per una nuova avventura invece Marcello Lippi che se ne va in Cina con Ciro Pezzotti (preparatore azzurro ai tempi del Mondiale) e un contratto di tre anni. Scopriremo presto se avrà successo (come Spalletti, al secondo titolo in Russia con lo Zenit) o no (come Ancelotti, destinato al secondo posto in Francia). Non potrà fallire invece Fabio Capello in Inghilterra, ormai regno degli italiani dopo la memorabile vittoria di Mancini in Premier. Per Capello è pronta la panchina del Chelsea al posto di Roberto Di Matteo. -
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LA QUERELLE Terza stella: Abete aspetta che la Juve sveli la maglia Il presidente Figc: «Occorre essere chiari e rispettosi del sistema di regole». Dopo la sede e lo stadio, domani il 30 all’inaugurazione del Museo juventino di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 15-05-2012) TORINO. Dopo quella sulla bandiera esposta in sede, quella allo stadio e quella sul sito, il prossimo posto dove comparirà la terza stella sarà il museo, il cui vernissage (domani pomeriggio) pare sarà un tripudio di 30. Ma la terza stella più attesa è quella che la Juventus metterà sulle maglie della prossima stagione. Perché il nocciolo della questione ormai è questo, almeno per la Figc che attende con ansia di capire come e dove comparirà la stella della discordia. LE NORME Anche ieri, il presidente federale Giancarlo Abete è entrato nell’argomento: «Occorre essere chiari e rispettosi. Ci sono delle titolarità che sono in capo alla federazione, altre ai club. Penso che chi ha un ruolo come presidente di federazione ha diritto e il dovere di ricordare il sistema di regole con grande rispetto per la storia. Tutti siamo tifosi ma bisogna tener conto quadro normativo. Attendiamo con serenità idee e proposte Juve che poi saranno oggetto di una valutazione». IL MARCHIO In realtà se la Juventus, come è trapelato in questi giorni, inserirà la terza stella (insieme alle altre due) all’interno del suo logo, ci sarà poco da valutare perché tutto ciò che compare in quell’ovale non può essere contestato dalla Federcalcio. Rimarrebbero, insomma, solo le considerazioni “morali”, ma nessun tipo di conseguenza disciplinare, per altro piuttosto complicata da applicare, visto che il «quadro normativo» a cui fa riferimento Abete non è chiarissimo, visto che si sta scavando negli archivi in cerca di precedenti, in assenza di una norma precisa. NEL MERITO D’altra parte, la decisione di usare il logo per esprimere la propria opinione sul numero degli scudetti è una scelta di buon senso che aveva ricevuto una sostanziale benedizione da parte di Gianni Petrucci , presidente Coni, che anche ieri ha cercato di rimanere neutrale nella querelle. «La Juventus ha festeggiato il 30° scudetto? Non mi prendete in castagna. Rispetto tutti e non esprimo giudizi - ha dichiarato Petrucci a margine del convegno “Il dilemma tra curare e guarire” organizzato dall’associazione Alma Salus all’Auditorium di Rieti - Faccio il presidente del Coni e la federazione ha una sua autonomia e ha delle regole. Non voglio entrare nel merito». L’INAUGURAZIONE E, per il momento, non entra nel merito neppure la Juventus che assiste senza commentare alle prese di posizione della Figc. Un’occasione per ribadire la posizione bianconera sul numero degli scudetti vinti ci sarà domani all’inagurazione del museo, poi si tratterà di aspettare la finale di Coppa Italia, dopo la quale arriverà la presentazione della maglia. Anzi della stella... ------- CALCIOPOLI: LO STATO CONTRO DIRIGENTI E ARBITRI COINVOLTI Richiesta danni: decide la Corte di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 15-05-2012) ROMA. Tocca alla Corte dei Conti dire la sua su Calciopoli: lo Stato chiede i danni a dirigenti federali e arbitri coinvolti nel caso, molti di loro condannati nei due riti a Napoli. Danno d’immagine per un centinaio di milioni di euro, chiede il vice procuratore generale del Lazio, Ugo Montella, al nuovo collegio presieduto da Ivan De Musso. Il problema è che dal 2009 una legge nega alla Corte contabile la competenza sul presunto danno d’immagine. Eppoi c’è una sentenza che esclude che sia stato realmente alterato quel campionato. A rispondere in aula a viale Mazzini, a Roma, proprio l’ex vicepresidente Mazzini, gli ex designatori Pairetto e Bergamo, ma anche assolti di Napoi come l’ex impiegata Fazi o l’arbitro Gabriele. In aula anche Lanese, Mazzei, De Santis, Babini, Puglisi, Ambrosino (anche lui assolto a Napoli), Bertini, Dattilo, Pieri, Racalbuto e Titomanlio. Oggi la battaglia delle eccezioni per capire se questo processo s’ha da fare. ------- La revisione per chiudere il discorso di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 15-05-2012) La Juventus ha ottime ragioni per porre la terza stella sulla maglia, atto non violento per esprimere un’opinione riguardo a sentenze che nuove prove hanno reso, almeno parzialmente, sbugiardato. E se in uno stato di diritto le sentenze vanno rispettate, in democrazia vanno rispettate le opinioni espresse civilmente. Detto ciò, la determinazione con la quale la Juventus ostenta la terza stella e indica in 30 il numero degli scudetti potrebbe essere sostenuta, oltre che dal legittimo orgoglio di un popolo intero, anche da una... sentenza. Quella con la quale si potrebbero revisionare i processi (sommari) del 2006. Resta, infatti, aperta la strada dell’articolo 39 del codice di giustiza sportiva, quello che permette di revisionare qualsiasi sentenza (qualsiasi!) in presenza di fatti o prove che non erano disponibili al momento del giudizio. Quello che si è scoperto negli ultimi quattro anni ha smontato la maggior parte dei capi d’accusa per i quali la Juventus fu condannata nel 2006 alla retrocessione e alla revoca degli scudetti e dimostrare, insomma, che la pena inflitta dalla giustizia sportiva era, quanto meno, eccessiva. L’articolo 39 è l’unica strada per chiudere veramente la questione a meno che non si riapra un tavolo come quello che a dicembre stava portando a un compromesso storico in cui si riconosceva i limiti di quei processi e di quelle sentenze, per le quali oggi si pretende rispetto. -
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FIGC.IT 14-05-2012 News In Breve Violazione regolamento Agenti: ammende per sei società La Commissione Disciplinare Nazionale ha pubblicato oggi due comunicati ufficiali relativi alla riunione del 7 maggio, in cui sono state affrontate problematiche che riguardano violazioni del regolamento Agenti. Ammende per sei società Crotone, Parma, Benevento, Siena, Juventus e Pescina Vallegiovenco, sanzioni per alcuni giocatori e agenti di calciatori. Per consultare il testo integrale dei documenti clicca qui [...] “La Commissione disciplinare nazionale, rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, i Signori Roberto Bettega, Antonio Giraudo, Jean Claude Blanc, Antonio Chimenti, Marcello Bonetto, Giuseppe Bonetto, Candido Fortunato, tramite i loro legali, hanno depositato istanza di applicazione di sanzione ai sensi dell’art. 23, CGS; [“• pena base per il Signor Roberto Bettega, inibizione di mesi 2 (due) e giorni 15 (quindici), diminuita ai sensi dell’art. 23, a mesi 1 (uno) e giorni 15 (quindici); • pena base per il Sig. Antonio Giraudo, inibizione di mesi 3 (tre) e giorni 15 (quindici), diminuita ai sensi dell’art. 23, a mesi 2 (due) e giorni 10 (dieci); • pena base per il Sig. Jean Claude Blanc, inibizione di mesi 3 (tre), diminuita ai sensi dell’art. 23, a mesi 2 (due); • pena base per il Signor Antonio Chimenti, ammenda di € 15.000, 00 (€ quindicimila/00), diminuita ai sensi dell’art. 23, a € 10. 000, 00 (€ diecimila/00); • pena base per il Signor Marcello Bonetto, sospensione della licenza per mesi 1 (uno) e giorni 15 (quindici) oltre all’ammenda di € 30.000,00 (€ trentamila/00), diminuita ai sensi dell’art. 23, a mesi 1 (uno) e € 20. 000, 00 (€ ventimila/00); • pena base per il Signor Giuseppe Bonetto, sospensione della licenza per mesi 1 (uno) e giorni 15 (quindici) oltre all’ammenda di € 30.000,00 (€ trentamila/00), diminuita ai sensi dell’art. 23, a mesi 1 (uno) e € 20. 000, 00 (€ ventimila/00); • pena base per il Signor Candido Fortunato, sospensione della licenza per mesi 2 (due) oltre all’ammenda di € 22.500, 00 (€ ventiduemilacinquecento/00), diminuita ai sensi dell’art. 23, a mesi 1 (uno) e giorni 10 (dieci) e 15. 000, 00 (€ quindicimila/00); si procede alla conversione della sanzione dell’ammenda di € 15.000, 00 (€ quindicimila/00) nella sospensione della licenza di giorni 15 (quindici); la sanzione finale pertanto sarà la sospensione della licenza di mesi 1 (uno) e giorni 25 (venticinque)]; considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore federale; visto l’art. 23, comma 1, CGS, secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura; visto l’art. 23, comma 2, CGS, secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del richiedente; rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta corretta e le sanzioni indicate risultano congrue, P.Q.M. la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al dispositivo. Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti dei predetti”. Per gli altri deferiti la Procura Federale ha chiesto l’irrogazione delle seguenti sanzioni: € 15.000,00 di ammenda per Maresca Enzo, Grygera Zdenek, Cardoso Mendes Tiago, Vieira Patrick, Ibrahimovic Zlatan e Marchionni Marco; 12 mesi di sospensione ed € 110.000,00 di ammenda per Raiola Carmine; 5 mesi di sospensione e € 30.000,00 di ammenda per Mendes Agustinho Jorge Paulo; 4 mesi di sospensione e € 30. 000, 00 di ammenda per Granello Franco; 5 mesi di sospensione ed € 30.000,00 di ammenda per Carpeggiani Bruno; 3 mesi di inibizione per Oriali Gabriele; 4 mesi di inibizione per Moggi Luciano. I difensori dei deferiti hanno discusso oralmente e concludendo si sono riportati alle rispettive memorie e alle articolate richieste ivi formulate. In ordine all’eccepito difetto di giurisdizione per gli addebiti formulati nei confronti degli agenti con licenza straniera Raiola e Mendes Agustinho questa Commissione osserva che, se è ben vero che l’art. 1, comma 5, CGS, l’art. 32, comma 1, del Regolamento FIFA sugli agenti dei calciatori e l’art. 25, commi 1 e 3, del vigente Regolamento FIGC degli Agenti dei Calciatori farebbero propendere per un radicamento della giurisdizione basato sulla nazionalità della transazione, è altrettanto evidente che l’art. 18, comma 1, del Regolamento FIGC approvato col C.U. 48 del 28/12/96, l’art. 25, comma 2, del vigente Regolamento FIGC degli agenti dei calciatori e perfino la seconda parte dell’art. 32, comma 1, del Regolamento FIFA farebbero propendere invece per un radicamento legato alla nazionalità della licenza dell’agente o addirittura per una sorta di giurisdizione concorrente. Ne deriva che, alla luce dell’art. 25, comma 7, del vigente Regolamento FIGC e dell’art. 32, comma 3, del Regolamento FIFA, per i defeferiti Raiola e Mendes Agustinho appare necessario rimettere gli atti alla Commissione Disciplinare della FIFA affinché decida quale sia l’organo competente per l’applicazione delle sanzioni. Il presente procedimento è frutto delle indagini disposte dalla Procura Federale in seguito a notizie di stampa relative a presunti illeciti fiscali posti in essere dalla dirigenza della Juventus F.C. S.p.A., relativi agli anni di imposta 2005 e 2006 (notizie di stampa dell’11.02.2010). La Procura ha proceduto anche all’acquisizione degli atti del procedimento penale apertosi a Torino in relazione a tali presunti illeciti e archiviato con decreto del G.I.P. 30/8/2010. L’imponente mole delle acquisizioni documentali ha consentito di ricostruire per tabulas i fatti che sono in larghissima parte pacifici e non contestati. Resta da valutarne la rilevanza disciplinare. Per il resto appaiono illuminanti le dichiarazioni raccolte dalla Polizia Giudiziaria nell’ambito del suddetto procedimento penale. In ordine all’eccezione di prescrizione sollevata da alcune difese, va precisato che, mentre per le violazioni commesse dalle società si applica l’art. 18, comma 2, CGS nel testo all’epoca vigente che prevedeva il termine della seconda stagione sportiva successiva all’ultimo atto per tutte le infrazioni disciplinari a qualsiasi titolo addebitate ai sodalizi, alle persone fisiche in via generale si applica l’art. 18, comma 1, che prevede il termine della quarta stagione successiva all’ultimo atto. Il più breve termine di cui all’art 18, comma 4, si applica solo alle violazioni che riguardano l’irregolarità dei termini economici strictu sensu delle pattuizioni. Trattasi di norma speciale non suscettibile di applicazione analogica. In ordine all’eccezione di improcedibilità ex art. 32, comma 11, CGS si ribadisce che il deferimento costituisce l’esito delle indagini e non già atto delle medesime che si sono regolarmente concluse nei termini previsti. Priva di fondamento è la pretesa, comune a molte delle difese, di applicare al procedimento sportivo principi e addirittura norme proprie del procedimento penale. L’ordinamento sportivo è autonomo ed è regolato da principi e da norme proprie cui ogni tesserato e, comunque, ogni soggetto indicato dall’art. 1 CGS accetta volontariamente di sottoporsi per poter agire in ambito federale. Il decreto di archiviazione intervenuto nel procedimento penale dal quale sono stati acquisiti gran parte degli atti del presente procedimento sportivo non ha alcuna efficacia preclusiva. Innanzitutto, nei due diversi procedimenti i fatti sono contestati sotto profili del tutto difformi. Peraltro, l’illecito disciplinare non coincide affatto con quello penale, cosicchè un fatto penalmente irrilevante può essere invece contrario alle norme sportive. Ma non solo. Il decreto di archiviazione adottato in sede penale non ha efficacia di giudicato e non rivestirebbe autorità di cosa giudicata neppure nel giudizio civile promosso per le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, o in quello tributario, trattandosi di provvedimento per il quale non si è verificata la condizione della pronuncia a seguito di dibattimento e che, perciò, non può considerarsi irrevocabile. Il procedimento sportivo diverge da quello penale perfino per quanto riguarda il requisito probatorio necessario per giungere a una dichiarazione di responsabilità. Recentemente il TNAS ha più volte affermato che “per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio,come nel diritto penale. Tale definizione dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in materia di violazione delle norme anti-doping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione della probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (cfr. ad es. l’art. 4 delle Norme Sportive Antidoping del CONI, in vigore dal 1 gennaio 2009). A tale principio vigente nell’ordinamento deve assegnarsi una portata generale sicchè deve ritenersi sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito” (cfr. il lodo del 31 gennaio 2012, Saverino/FIGC, il lodo 2 aprile 2012, Amodio e SS Juve Stabia/FIGC, e il lodo 16 aprile 2012, Spadavecchia/ FIGC). [...] Sanzioni congrue per i responsabili come sopra individuati appaiono quelle di cui al dispositivo. A conclusioni difformi si deve pervenire per i deferiti Vieira e Oriali. Per il primo non appare provata l’esistenza di fatto di un mandato in favore della Steve Kutner Management Ltd, anzi molteplici elementi convincono questa Commissione del contrario. Per quanto riguarda il deferito Oriali, egli non risulta essere il legale rappresentante della soc. Inter e, comunque, le dichiarazioni rese dal Direttore Tecnico Marco Branca non sono sufficienti a chiarire il ruolo effettivamente svolto dal deferito nella trattativa relativa al calciatore Ibrahimovic. P.Q.M. La Commissione disciplinare nazionale, visto l’art. 23 CGS dispone l’applicazione delle seguenti sanzioni: • per il Signor Roberto Bettega inibizione di mesi 1 (uno) e giorni 15 (quindici); • per il Sig. Antonio Giraudo inibizione di mesi 2 (due) e giorni 10 (dieci); • per il Sig. Jean Claude Blanc inibizione di mesi 2 (due); • per il Signor Antonio Chimenti ammenda di € 10. 000, 00 (€ diecimila/00); • per il Signor Marcello Bonetto sospensione della licenza per mesi 1 (uno) e ammenda di € 20.000,00 (€ ventimila/00); • per il Signor Giuseppe Bonetto sospensione della licenza per mesi 1 (uno) e ammenda € 20.000,00 (€ ventimila/00); • per il Signor Candido Fortunato sospensione della licenza per mesi 1 (uno) e giorni 25 (venticinque). Proscioglie dagli addebiti loro rivolti Vieira Patricke Oriali Gabriele. Infligge le seguenti sanzioni: € 15.000,00 (€ quindicimila/00) di ammenda per Maresca Enzo, Grygera Zdenek, Cardoso Mendes Tiago, Ibrahimovic Zlatan e Marchionni Marco; mesi 1 (uno) e giorni 15 (quindici) di sospensione e € 20.000,00 (€ ventimila/00) di ammenda per Granello Franco; mesi 1 (uno) e € 15. 000, 00 (€ quindicimila/00) di ammenda per Carpeggiani Bruno e Conti Paolo; mesi 1 (uno) di inibizione per Moggi Luciano. Dispone la restituzione alla Procura Federale degli atti relativi a Damiani Oscar. Dispone la trasmissione degli atti relativi a Raiola Carmine e Mendes Agustinho Jorge Paulo alla Segreteria Federale affinchè li rimetta alla Commissione FIFA che dovrà decidere quale sia, nella fattispecie, l’organo competente per l’applicazione di sanzioni. [...] La legge per gli amici s'interpreta, per tutti gli altri s'applica. -
Juventus Campione D'Italia 2011/2012 [E Sono 30]
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la Repubblica SERA Speciale 13-05-2012 http://t.imgbox.com/aatWbAXZ.jpg http://t.imgbox.com/aaxkUtV4.jpg http://t.imgbox.com/aaqoYN5I.jpg http://t.imgbox.com/aastiIg9.jpg -
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“Ma Monti è juventino?” di OLIVIERO BEHA (tv.ilfattoquotidiano.it 14-05-2012) Malgrado gli scandali, circa trecentomila tifosi hanno festeggiato il ritorno della Juve sul tetto della serie A. E' il segnale che gli italiani, in tempi di crisi, hanno bisogno di qualcosa che li rimetta in vita. Il campionato però resta marcio. Per stanare i furfanti si ricorre al pentitismo. Infatti l'omessa denuncia non è più un reato. Sul fronte scommettopoli, se ne vedranno delle brutte o bruttissime. Ma se il calcio, nonostante tutto, è ancora in grado di scuotere emozioni, allora i governanti dovrebbero trattarlo meglio. La serie A è l'oppio del popolo italiano. Se Mario Monti fa appello alla coesione sociale, il calcio potrebbe essere uno strumento utile. Intanto, la vecchia signora dà l'addio ad Alex Del Piero. Lui di smettere non ne vuole sapere, ma Andrea Agnelli non lo vuole più tra i piedi ------- OGNI MALEDETTA DOMENICA Viva la fiction del Dio Pallone di OLIVIERO BEHA (il Fatto Quotidiano 15-05-2012) È una fiction, ma che fiction...! Contestualizziamo subito, e a spanne. Nella domenica in cui Monti diffonde alti lai sulla “forte tensione sociale” dell’ex Bel Paese calcistizzato, e Benedetto XVI invita a “non farsi prendere dallo scoramento”, a Torino scoppia la festa per lo scudetto juventino : arrivati da tutta Italia, erano più numerosi degli alpini a Bolzano, non so se rendo l’idea. Hanno festeggiato alla sudamericana il pullman scoperto dei giocatori, hanno pianto, riso, urlato, si sono abbracciati e hanno scherzato, si sono tatuati Del Piero in tutti i cm corporei, erano vecchi e bambini, del sud e del nord, immigrati e juventini secolari... Una festa di popolo. Forse qualche suggerimento tutto ciò potrebbe darlo al premier laico e al capo della Chiesa, o al capo dell’ecclesia economico-politica e all’erede di (Del) Pietro: c’è bisogno di tornare a sorridere in un paese triste e tristo, e tutto fa brodo per un pomeriggio e una sera. Questa la prima, succinta indicazione dal tripudio, di solito trascurata nella franchigia socioculturale e sottoculturale riservata al Reame Rotondo. LA SECONDA nota, più stretta, riguarda la domandina facile facile: ma se il Dio Pallone con tutto il suo fango ancora riesce a muovere tali passioni, quantitative e qualitative, forse sarebbe un preciso dovere civico far funzionare questo mondo come si deve, renderlo credibile, ridurre le ombre, salvaguardarne un briciolo d’etica e legalità, leggi la disastrata “lealtà sportiva”. Insomma, al posto di – per dire – un Abete ci vorrebbe un Monti. . . Rimarremo nello stesso habitat lessicale. Invece c’è il precipizio che sta per ingoiare il calcio professionistico con deferimenti e processi, e stupide pezze a colore per nascondere fin che si può la verità dei fatti, ossia un calcio colabrodo. Dopo che tempo fa il Procuratore capo di Cremona, Di Martino, aveva invocato “un’amnistia” alla luce della gravità dei fatti (ma come, un Procuratore capo?), adesso ci ha pensato il Procuratore capo di Bari, Laudati, a incontrare il fantasmagorico Palazzi (console della giustizia calcistica) in una specie di Teano tra le due giustizie: lo scopo era trovare un accordo sul reato sportivo di omessa denuncia. Una specie di “busillis”: dello scandalo se ne viene a capo solo se parlano i “pentiti”, come nel resto, ma nello sport il pentito equivale alla condanna per chi “non ha tempestivamente denunciato”. Come uscirne? Arrotondando benevolmente la pena dell’omessa denuncia, accorciandone i tempi di prescrizione, benedicendo insomma il pentitismo. Magari risolve qualcosa al momento, ma è come inferire un colpo mortale ai valori fondanti e significativi dello sport. D’ora in poi non ci sarà neppure quel tipo di deterrente: non denunceranno mai più alcunché a meno che non scoppi uno scandalo “per altri motivi”, nel qual caso rimedieranno quasi senza rischio con resipiscenze tardive. Se questa è la cornice realistica del quadro/pallone oggi, è ancora più commovente la fiction contenuta da questa cornice: il quadro è effettivamente intrigante, pieno di pennellate cromatiche di dritto e di rovescio. E pure di sghimbescio. Pensate a Del Piero, al suo fantastico addio a stadio unificato, le lacrime che sgorgavano dalle cateratte degli spalti che lui invece tratteneva nel lucore trasmesso dalle immagini tv. Pensate a Lapo Elkann, travestito da Lapo Elkann, che sembrava davvero Lapo Elkann con occhiali e abbigliamento juventini, perché evidentemente era proprio Lapo Elkann: almeno da come ululava al microfono consenziente “abbiamo fatto un campionato della Madonna, Conte è un allenatore della Madonna, siamo un po’ tutti gente della Madonna compreso mio cugino, Andrea, della Madonna pure lui...”). Quindi la dirigenza manda via uno come Del Piero, solo perché vuol giocare (come ha fatto e bene part time anche quest’anno, ma l’hanno cacciato troppi mesi fa allorché nessuno immaginava il trionfo e non sanno tornare indietro... la serie “della Madonna . . . ”), e resta Lapo? O TEMPORA o mores, in bianconero. Ma da un Del Piero fulgido a un Inzaghi inzaghesco è tutta una sceneggiatura straordinariamente emotiva: segna Pippo, un vetero Pippo che forse qualche altro gol avrebbe potuto realizzarlo quando serviva, segna e se va, come Del Piero, come forse Totò Di Natale che ha trascinato in Champions la fenomenale Udinese, il vero caso di questo campionato bianconero in tutti i sensi e in tutte le variazioni sul tema. A Catania ha sbagliato un gol facile che poteva essere decisivo, e ne ha marcato uno meraviglioso, coefficiente di difficoltà da tuffo del trampolino inarrivabile, un gol da sognarsi tutta la vita, ovviamente un gol decisivo. Per la centesima volta ripeto che quello sì, come Del Piero, è un giocatore, dentro e fuori dal campo. Adesso Prandelli, sul lastrico degli infortuni, lo recupera per gli Europei. È l’unico che può salvarlo se si trasfigura fuori confini, naturalmente assieme all’ipotetico Balotelli, stessa classe, ma anagrafe, struttura fisica e testa opposte. Balotelli incisivo nella partita in cui il Manchester City del misterioso sceicco Mansur e di Mancini in panchina ha vinto lo scudetto all’ultimo tuffo per il piede del Kun Aguero, una specie di Roma (United) e Lazio (City) sul filo di lana risolto a favore del secondo dopo secoli di predominio storico del primo (per Roma e Lazio è un po’ diverso, è vero. . . ). Sì, avranno pur fatto segnare il City quelli del QPR che avevano perfino Cissé (ex Lazio...), ma c’era uno stadio che ha trasformato i singhiozzi ormai in uscita in barriti di gioia, a dimostrazione della planetarietà emotiva della faccenda. Niente di nuovo, basta ricordare i fatti e i misfatti dell’ultima giornata del campionato 1972-‘73, quando la Juve vinse sospettamente su Milan e Lazio in extremis. Bei tempi, allora i dubbi erano solo sudore di maggio. Adesso si suda freddo per tutto l’anno. -
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Terza stella La Juventus non molla Abete attacca: «Per noi sono 28» Ma la società cambierà il logo di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 14-05-2012) TORINO. Un’altra stella è spuntata nel cielo della Juventus e non è una cometa di passaggio, visto che finirà sulla maglia della prossima stagione. Con buona pace del presidente federale Giancarlo Abete che, mentre esplode la festa bianconera, attacca ribandendo la linea dei 28 scudetti. E va detto che, proprio nel giorno in cui la Juventus sceglie un profilo più sobrio, senza proclami e senza ostentare (a livello ufficiale) nessuna simbologia richiamante il 30° o la terza stella, stona un po’ l’attacco del presidente federale. Soprattutto dopo l’invito al buon senso del presidente del Coni Petrucci e alla luce del fatto che la Juventus vince lo scudetto con 9 italiani in campo e 7 convocati azzurri per gli Europei. Ma ispirato dai microfoni della Rai («Presidente, gli scudetti della Juventus sono 28, vero?»), Abete va giù duro. LA SPARATA «Di fronte a questa domanda la risposta è che sono 28 gli scudetti della Juventus. Sono quelli che sono stati sanciti da una decisione di un organo di giustizia esterno alla Federcalcio (l’allora Camera di Conciliazione e Arbitrato presso il Coni, ndr ) operante presso il Coni e sono 28, come ha detto Blatter nella sua lettera alla Juventus. Ognuno pensa di avere la giustizia sostanziale al proprio interno. C’è una decisione della giustizia dello sport e quella va rispettata. Non è una trattativa tra sentimenti, che comprendo, non è quello che uno sente nel cuore. Del Piero lo diceva e ricordava di sentire nel cuore 30 scudetti. Gli scudetti sono 28 e su questo versante non può esserci una discussione, da parte di quei giocatori che sono andati in B e hanno ripreso un discorso nel 2006 è comprensibile questa presa di posizione sui 30 titoli. La terza stella? Se parliamo di mettere sulla maglia la terza stella classica per ogni dieci titoli questo non è possibile, se poi saranno individuate altre soluzioni nel logo o nel sogno o nel disegno, saranno valutate da chi di dovere. Le tre stelle classiche legate al riconoscimento di dieci titoli vinti tra l’altro sono il frutto di una iniziativa partita allora dalla Juventus». TELESCOPIO E dalla Juventus, quella del figlio di Umberto (l’ inventore della stella), partirà l’iniziativa della terza stella. Perché i bianconeri vanno avanti e inseriranno nel logo le tre stelle che diventeranno anche il simbolo della Stadium. E in questi giorni di febbrili preparativi, hanno aggiornato le sale del museo con il numero 30 che campeggia un po’ ovunque. Forse proprio per questo, giovedì Abete rimarrà a casa, dribblando l’inaugurazione del “J-Musem”, alla quale è stato invitato. La terza stella, eventualmente, la vedrà con il telescopio. ___ Abete: «I titoli sono 28 No alla terza stella» Il presidente della Federcalcio: «Juve, trionfo meritatissimo» di MAURIZIO GALDI (GaSport 14-05-2012) «La priorità oggi è data dalla festa e dalle emozioni. Però è ovvio che gli scudetti della Juve sono 28, come sancito da un organo della giustizia sportiva e come ha ribadito il presidente della Fifa Sepp Blatter nella lettera di congratulazioni inviata alla società bianconera», il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete è ospite degli studi Rai di Stadio Sprint e assiste in diretta alla festa bianconera. Una festa per la quale la Lega di Serie A ha provveduto a stare molto attenta a non sollevare polveroni tra numero di scudetti, stelle o altro. Lo striscione ufficiale parlava solo di «campioni d’Italia», dopo la festa ufficiale c’era il «liberi tutti », ma in tv tutto regolare e nessuna polemica. La precisazione «Di fronte a questa domanda — spiega Abete a precisa domanda del conduttore Enrico Varriale — non si può che dare una risposta naturale: gli scudetti sono 28, quelli sanciti dalla decisione di un organo di giustizia sportivo, non della Federcalcio, ma del Coni. Sono 28 come ha anche detto Blatter nella sua lettera di complimenti alla Juventus». E quando parla di Coni fa esplicito riferimento alla decisione che venne presa dalla Camera di conciliazione e arbitrato del Coni che si pronunciò sulla penalizzazione subita dalla Juventus dopo che, con accordo tra le parti (Federcalcio e bianconeri), la società allora presieduta da Cobolli Gigli rinunciò al ricorso al Tar e fermò i suoi ricorsi davanti alla decisione della giustizia sportiva. Trenta nel cuore «È comprensibile che i tifosi nel cuore ne sentano 30, così come quei giocatori che sono rimasti e hanno accettato di scendere in serie B», ha aggiunto il numero uno della Figc, che poi non si sottrae alla domanda sulla prossima maglia della Juventus: «La terza stella? Se è quella classica, legata al numero di scudetti vinti, non è possibile che sia aggiunta sulla maglia. Se poi si parla di sogno della società o di un logo nuovo sulla maglia si vedrà. Non va però collegata la dimensione della stella alla dimensione ufficiale ». Per Abete comunque quello della Juventus è uno scudetto «meritatissimo» e non ha risparmiato elogi per Alex Del Piero che ieri ha lasciato il calcio italiano. Abete ha anche fatto un accenno alle inchieste sul calcioscommesse dicendosi «preoccupato» per la Serie A e ribadendo che la «responsabilità oggettiva» resta un caposaldo della giustizia sportiva. ------- GaSport 14-05-2012 -
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Il pallone di Luciano Soltanto Lega e Figc ignorano la coerenza e il buon senso di LUCIANO MOGGI (Libero 13-05-2012) Le bandiere se ne vanno, è nella natura delle cose, la carta d’identità è un limite purtroppo invalicabile tale da spazzare via i capisaldi delle squadre e simboli consolidati del calcio nostrano. Non solo Del Piero, addirittura cinque del Milan, Di Vaio del Bologna, l’interista Cordoba, e probabilmente Lavezzi, anima del Napoli risorto di De Laurentiis. L’icona più illustre è Del Piero, talmente illustre che a scriverne non sembra ancora vero, ma la decisione ineluttabile della società è stata presa per tempo. Un libro sontuoso che si chiude, un calciatore immenso, una persona straordinaria, mai un commento fuori posto anche di fronte al distacco che lui non avrebbe voluto. Con tutto il rispetto per Gattuso e l’abile saluto scelto da Galliani, il “Mi manchi” di Fausto Leali, a noi e al calcio italiano mancherà soprattutto Del Piero, nella stessa misura che ad Alessandro mancherà la maglia bianconera. Comunque, fossimo stati in Galliani avremmo dedicato “Mi manchi” a Pirlo, a Gattuso magari “Caro Gattuso ti scrivo, così mi distraggo un po’. . . ”, come canterebbe l’indimenticabile Lucio Dalla. Un caro saluto ad Alex, non sappiamo se l’uccellino si sentirà ancora da queste parti o all’estero, ma ci sono cose, eventi e persone che non si dimenticano, Del Piero è tra questi. Via in blocco Al Milan se ne va un intero blocco, lasciano in cinque, e si può capire il perché: il club rossonero era diventato un po’ giurassico per seguire la sua filosofia di premiare la fedeltà. D’improvviso la strategia è cambiata, effetto non più rinviabile dello scudetto perduto, e qualcuno tra i “dimissionati”, Gattuso, ha riconosciuto le ragioni della società; Nesta sbarca in Usa, Inzaghi, Seedorf e Zambrotta lasciano per legge di natura. Di Pippo non abbiamo capito il perché dell’attacco ad Allegri con l’ironico saluto ad Ancelotti, ha forse voluto far pesare di aver giocato poco, quando però è capitato non ha sfruttato l’occasione. Altro attacco per Allegri, illustre ma datato, quello di Pirlo che si è tolto un sassolino pungente dalle scarpe, celebrando come meglio non poteva il trionfo con la Juve: «Il Milan mi disse che non servivo più, Allegri voleva mettere un altro al mio posto». La Juve vivrà giustamente la sua giornata di gloria, un Agnelli è tornato (ci sussurra un amico) e con lui è tornata la gloria che fa parte del Dna di questa Società, nata su una panchina di Torino. Quella panchina che qualcuno ha cercato di bruciare nel 2006, per odio e invidia popolare. E stasera, con pieno diritto, i tifosi juventini potranno intonare il loro inno «Juve, storia di un grande amore, il bianco che abbraccia il nero...». Mancheranno soltanto coloro che questo inno hanno voluto, che alla causa bianconera hanno sacrificato la loro esistenza. C’è chi si chiede se Beretta procederà alla premiazione in un tripudio di bandiere con tre stelle e il 30 stampigliato a caratteri giganti, mentre l’altoparlante a sua volta potrebbe caricare l’evento sottolineando che si tratta del 30° scudetto. Noi crediamo che Beretta e chiunque altro non potrebbero sottrarsi, la battaglia sulle tre stelle continuerà e richiamerà la famosa professione di incompetenza fatta da Abete sul primo reclamo della Juve, teso a revocare il titolo di cartone, regalato all’Inter. Dall’incompetenza si vorrebbe ora passare alla competenza a decidere, ignorando ogni forma di coerenza. Il calcio e le sue istituzioni dovrebbero dare piuttosto un motivo ed un significato alla rimozione di due scudetti, per i quali nulla di irregolare, non dico di illecito, è stato mai provato, ma al contrario è stato escluso. Un risibile sentimento popolare (?) ispirò quelle sentenze, rendendo insopprimibile il disagio e il disgusto per il fatto che tribunali sportivi si siano affidati a quello e non a norme di diritto, che sono le uniche da tenere presente in uno Stato che vuole essere di diritto, e in istituzioni sportive che da esse non possono discostarsi. Imbattibilità È per questo che la Juve ha il pieno diritto di fregiarsi delle tre stelle, quale cifra dei suoi trenta scudetti. La gara con l’Atalanta vale per i bianconeri la difesa dell’imbattibilità stagionale, cui ora Conte tiene, e poi come prova per la sfida per la finale di Coppa Italia con il Napoli. Si gioca tutti nella stessa giornata. La metà delle dieci gare non ha connessioni con le altre, dove si decide l’ultimo posto in Champions e per la terza retrocessione. Al Genoa che affronta in casa il Palermo basta un punto per vanificare un’eventuale vittoria del Lecce a Verona contro il Chievo. Mentre per l’Europa dei grandi, se l’Udinese non perde a Catania, il gioco è fatto. -
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LA STAMPA 13-05-2012 -
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Tre stelle, tre motivi per il sì Le sentenze rispettate, il campionato non alterato e il campo La Juve ha pagato il prezzo imposto dalla giustizia sportiva e per quella ordinaria il torneo 2004-05 non fu alterato: lo vinsero giocatori ammirati da tutti di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 13-05-2012) Tre motivi per tre stelle, tre piccole riflessioni sul perché la Juventus può fregiarsi di quel simbolo senza che nessuno debba scandalizzarsene. Tre idee da buttare nel calderone del gran parlare e scrivere di questi giorni. 1°, IL RISPETTO Il “rispetto delle sentenze” è il concetto più fashion, fa fine e non impegna. Nel senso che prima di citarle, le sentenze, bisognerebbe conoscerle (e, possibilmente, anche il processo che le ha prodotte), ma questa è un’altra storia... Quella degli ultimi sei anni, invece, dice chiaramente che la Juventus, le sentenze, le ha rispettate. Domandiamo: a qualcuno risulta che la Juventus non abbia giocato in Serie B nella stagione 2006/07? A qualcuno risulta che dall’estate 2006 abbia mantenuto nei quadri societari dirigenti inibiti dalla giustizia sportiva per Calciopoli? A qualcuno risulta che non abbia calcolato, nell’elaborare la classifica del campionato di B, la penalizzazione inflittale? No, la Juventus ha rispettato tutto e questo ha causato: lo smembramento di una squadra che contava 8 giocatori, fra Italia e Francia, della finale mondiale 2006; l’allontanamento di una delle dirigenze più brillanti del nostro calcio, basti pensare al progetto stadio, unico nel nostro Paese e oggi glorificato da tutti; un danno economico calcolato in oltre 400 milioni dai legali della società e certificato da due aumenti di capitale da 100 e 120 milioni l’uno. La Juventus ha rispettato pienamente le sentenze e ha pagato un prezzo forse superiore a quello che i giudici pensavano di infliggerle nel 2006, tagliando i giudizi con l’accetta frettolosa consegnata loro da Guido Rossi . Se oggi, anche alla luce di ciò che è emerso in seguito, Andrea Agnelli vuole contare 30 scudetti anziché 28, non manca di rispetto alle sentenze, ma opera un atto - non violento - di disobbedienza civile, per esprimere il suo dissenso. Che, in un paese democratico, dovrebbe meritare altrettanto rispetto. 2°, QUALI SENTENZE Anche perché, se proprio vogliamo parlare di sentenze, bisogna ricordare anche ciò che ha scritto la giudice Teresa Casoria nelle motivazioni del processo penale di Calciopoli: «Il dibattimento in verità non ha dato la prova del procurato effetto sul risultato finale del campionato 2004/2005». L’unico giudice che ha avuto il tempo e, soprattutto, tutte le prove (grazie all’immane lavoro dei legali di Moggi ) per giudicare il caso, non se l’è sentita di certificare l’alterazione sportiva di quel campionato (l’unico oggetto di indagine), vinto regolarmente sul campo dalla Juventus. Ora, al netto di tutto ciò che il dibattimento penale ha smontato della sentenza sportiva (ovvero il 90% dei capi d’imputazione), perché la Juventus non dovrebbe sentire suo quello scudetto? Inoltre, i ricorsi della Juventus pendenti presso la giustizia ordinaria (Tar, Corte dei Conti e Corte d’Appello su tutti) rendono le sentenze sull’altro campionato di Calciopoli - 2005/06 - tutt’altro che definitive. E converrebbe ricordarsi che l’Inter, assegnataria di quello scudetto, si è salvata con la prescrizione dall’accusa di illecito sportivo diretto, messa nero su bianco da un altro giudice, Stefano Palazzi , nella relazione del 1° luglio 2011. Relazione che non sarà una sentenza, ma andrebbe rispettata o per lo meno non ignorata. L’etica non era quella cosa che non si prescriveva? 3°, IL CAMPO Come non andrebbe prescritto il parere dei i calciatori, i veri protagonisti di questo sport. E le loro parole sono più simili a quelle di Andrea Agnelli che a quelle delle istituzioni. Il 26 luglio del 2006, quando lo scudetto di quell’anno venne assegnato all’Inter, i nerazzurri erano a Bolzano per un’amichevole contro il Monaco. Chi c’era si ricorda un certo imbarazzo dei giocatori nel ricevere il titolo a tavolino dopo essere arrivati a 15 punti da quella Juventus. E molti, dopo, distinsero fra problematiche relative alla dirigenza e forza della squadra: la seconda non fu mai messa in discussione. Quegli scudetti furono vinti sul campo da una corazzata micidiale, la cui superiorità venne certificata proprio da Massimo Moratti: che non esitò ad approfittare delle circostanze per acquistare due dei perni bianconeri, Ibrahimovic e Vieira, grazie ai quali vinse i successivi due campionati. Quelli, sul campo. ___ SETTEGIORNI DI CATTIVI PENSIERI di GIANNI MURA (la Repubblica 13-05-2012) LE STELLE SONO TANTE MA CHI LE COMANDA? Confortanti segnali di distensione dal capoluogo piemontese. Un ex alto dirigente della squadra campione d´Italia ha dichiarato che uso farebbe della terza stella: "La inchioderei sulla fronte di Moratti". Domenica a Trieste la festa per lo scudetto ha avuto penose conseguenze per il prato, ma che volete che sia portarsene via qualche pezzo per ricordo? Tanto, i danni li paga il Cagliari. Sulle rive del Po, leggo su Repubblica, per oggi è previsto "un bagno di folla memorabile e stavolta sarà imponente anche il servizio d´ordine per evitare ciò che è successo domenica sera, quando è stato danneggiato lo storico Palazzo Madama e distrutto il Toro store di piazza Castello: dopo aver sfasciato le vetrine, alcuni tifosi hanno defecato nel negozio". Sulle stelle, interpellati molti esperti. Sabina Guzzanti (1, 2, 3 stella), Francesco Guccini (Stelle), Sal Da Vinci (Il mercante di stelle), Francesco De Gregori, per quanto eccessivo (150 stelle) o minimalista (Stella stellina), bocciate Stelutis in quanto alpinis. Scartato Ligabue, tenero ma fuori tema (Piccola stella senza cielo) al pari di Jovanotti (Stella cometa). C´era da aspettarsi una corsa alle stelle. Sul Giornale di ieri si dice che anche il Milan potrebbe chiedere due stelle in più: per gli scudetti del 1916, declassato dalla guerra, e del 2005 non assegnato. Tolto alla Juve ma perché non assegnato? Conviene seguire la voce degli astri o degli estri? Al pettine vengono tutti i nodi o anche i modi? Est modus in rebus, ma chi lo sa, trattandosi di rebus? Bisogna rispettare le regole o le fregole? Ma soprattutto: chi comanda? Nel dubbio, segnalo un libro: "Cercando Scirea" (ed. Castelvecchi, 379 pagine, 18 euro). E´ un romanzo, più che una biografia. L´ha scritto Gianluca Iovine, perfetto non è (quel Brera fatto nascere a Cernusco) ma è pieno di cose buone e calde, soprattutto del rispetto per il calciatore più leale degli ultimi 40 anni, e di grande profondità umana. I calciatori, però, non sono stupidi. Sw riporta i risultati di uno studio del Karolinska Institute di Stoccolma. "In termini di creatività, flessibilità cognitiva, velocità nel processare le informazioni e memoria nel lavoro (le cosiddette funzioni esecutive) chi segna più gol ha i risultati migliori nei test". C´è di più: "I calciatori professionisti, come gruppo, fanno parte del 2% al vertice tra tutta la popolazione considerata in materia". Quello che non sappiamo è da chi era composta la popolazione considerata in materia. In materia di cattivi pensieri, questa rubrica si conclude con l´ultima di campionato. Ed è a campionato finito (quello di C 2, continuo a chiamarlo così, ma è Lega Pro) che il solo voto di oggi (8, 5) va alla Pro Patria, alla squadra, all´allenatore e al presidente Pietro Vavassori. Penalizzazione di 11 punti, gran campionato che, senza la penalizzazione, avrebbe comportato il salto di categoria con due turni d´anticipo. Della penalizzazione è responsabile la proprietà precedente, della famiglia Tesoro, di cui ho letto che stava trattando per l´acquisto del Lecce e mi chiedo come sia possibile, ma forse tutto è possibile nel nostro calcio. Vavassori ha preso la Pro Patria perché sua moglie gli aveva detto "dài, Pietro, prendila". Sua moglie si chiamava Alessandra Sgarella, rapita a Milano l´11 dicembre 1997 e rilasciata a Locri il 4 settembre 1998. E´ morta nell´agosto del 2011. Vavassori ha scelto di puntare sui giovani non solo a parole. Mi sembra un buon esempio. Bene anche la Nazionale, che aderisce alla campagna "Se non ora quando". Tanto per far capire che i diritti delle donne sono anche un problema degli uomini. Anche qui segnalo un libro, seppur col titolo sbagliato ("Dove batte il cuore delle donne?"). Il sottotitolo (Voto e partecipazione politica in Italia) aiuta a chiarire. L´hanno scritto Assunta Sarlo e Francesca Zajczyk (ed. Laterza, 156 pagine, 12 euro). Infine, sull´ultimo numero dell´Espresso Roberto Saviano esordisce con la rubrica "l´anti-italiano", per tanti anni firmata da Giorgio Bocca. A me sembra una nota stonata, e non c´entra Saviano né i suoi meriti, che nemmeno mi sogno di discutere. Forse ragiono da giornalista sportivo, ma certi titoli di rubrica, come certe maglie nello sport, sarebbe meglio ritirarli. Per rispetto di chi c´era prima, ma anche di chi arriva dopo. ___ il retroscena Nel comunicato della Lega scompare il riferimento ai 28 scudetti vinti di MARCO IARIA (GaSport 13-05-2012) Impaurita perfino della sua ombra, nel comunicato sulla premiazione del campioni d'Italia la Lega decide di evitare qualsiasi riferimento ai 28 scudetti vinti dalla Juventus. Meglio così, per non scontentare i bianconeri. D'altronde, lo stesso presidente del Coni Petrucci, nell'intervista di ieri alla Ġazzetta aveva evitato di pronunciare quel numero «maledetto», al contrario del boss della Fifa Blatter e in attesa di parole forti del n. 1 della Figc Abete. La polemica sulla terza stella e sui due titoli revocati per Calciopoli, che la società di Agnelli rivendica orgogliosamente, finisce così per svelare una certa debolezza istituzionale: un déjà vu per il calcio italiano. Inedito Stupisce che perfino una comunicazione ordinaria come quella legata all'epilogo della stagione diventi il territorio di paure e tentennamenti. In che altro modo interpretare lo «stralcio» di quella cifra? Giova ricordare che negli anni precedenti il riferimento agli scudetti complessivi non sia mai mancato, se non in quei casi in cui il torneo si è deciso all'ultima giornata, come nel 2010 (ballottaggio Inter-Roma). Il comunicato stampa numero 121 del 2010-11, invece, recitava: «Sabato 14 maggio la Lega nazionale professionisti Serie A e Telecom Italia consegneranno al Milan, società vincitrice del 18o scudetto, la coppa di campione d'Italia 2010-11». Idem nel 2009. Titolo all'Inter, «società vincitrice del 17o scudetto». E invece cosa c'è scritto nel comunicato numero 122 della stagione in corso? Il trofeo sarà consegnato «alla Juventus, società vincitrice dello scudetto 2011/2012». E basta. Devono essere state ore di passione quelle che hanno accompagnato la diffusione della nota di ieri. Il presidente Maurizio Beretta non se l'è sentita di provocare un dispiacere ad Andrea Agnelli, sebbene la Lega — essendo l'ente organizzatore del campionato su delega della Figc — non possa che aderire al sistema di regole domestiche e accettare le sentenze sportive. Non a caso, nella sede di via Rosellini l'albo d'oro segue l'indicazione ufficiale: lo scudetto 2005 revocato e non assegnato e quello 2006 passato a tavolino all'Inter. Cerimonia Le tensioni di questi giorni hanno suggerito il low profile. Lo stesso della premiazione di oggi. Durante le celebrazioni ufficiali, orchestrate dalla Lega, si eviteranno riferimenti storici, a differenza del passato, quando al centro del rettangolo di gioco campeggiava uno scudetto con dentro il numero dei titoli vinti. Motivi d'opportunità giustificabili, visto il contesto di uno stadio juventino inneggiante ai trenta titoli. Ma usare il bianchetto su un comunicato di routine, questa sì che è una precauzione eccessiva. E NUN CE VONNO STA'! -
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L'EQUIPE mag 12 MAI 2012 -
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E il Mondiale dimenticato rivive in un film (ma poco nei cinema) di ALESSANDRO OLIVA dal blog VIVA LA FIFA (LINKIESTA 12-05-2012) "Il Mondiale del 1942 non figura in nessun libro di storia ma si giocò nella Patagonia argentina" (Osvaldo Soriano, Pensare con i piedi, 1995) Mi è stato segnalato ieri che Il Mondiale dimenticato, film sulla Coppa del mondo giocata nel 1942 in Patagonia ma mai riconosciuta dalla Fifa, verrà proiettato martedì 12 giugno al cinema arsenale di Pisa. E' un peccato che la pellicola sia praticamente introvabile, a quanto mi risulta. Perchè il film, presentato all'ultimo Festival del cinema di Venezia, racconta una storia che solo i lettori appassionati di Osvaldo Soriano conoscono. Il Mondiale dimenticato è un documentario di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni, che anche grazie al ritrovamento di straordinari filmati dell’epoca, narra le vicende di un torneo organizzato dal conte di origine balcaniche Vladimir Otz, riccone stravagante emigrato in Argentina negli anni Trenta e che, in risposta agli orrori causati dalla Seconda guerra mondiale, organizzò in Patagonia il Mondiale nel 1942. Una Coppa Rimet che non ha mai ricevuto il crisma dell'ufficilaità da parte della Fifa: il governo del calcio aveva stabilito che, per colpa del conflitto, i Mondiali del 1942 e del 1946 non si sarebbero dovuti giocare. Quel Mondiale fu caratterizzato non solo dalla partecipazione di giocatori non professionisti come operai, minatori, scavatori e ingegneri finiti nel sud dell'Argentina per costruire ponti e strade. C'erano militari, pescatori, esiliati e rivoluzionari in fuga dalla guerra. E il conte Otz ingaggiò come arbitro - pensa un po' - William Brad Cassidy, figlio del più celebre Butch, che proprio come il padre aveva rapinato banche e assaltato treni, trovando quindi rifugio in Patagonia. Quel Mondiale vide un'altra, storica Italia-Germania: vinsero i 'crucchi' 3-2 grazie ad un arbitraggio che il terzino destro Antonio Battilocchi, che all'epoca faceva l'operaio in una diga, definì (e definisce ancora oggi), "scandaloso". Una storia così meritava un film. Ma senza i cinema, rischia di essere dimenticata di nuovo. -
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SPYCALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 12-05-2012) Armani, Mercedes e Pavesini è vietato nominare Londra... Tutto proibito, ai Giochi Olimpici: nel nome del business milionario, il Cio ha messo delle restrizioni in qualche caso anche grottesche. Ad esempio, non si può citare nemmeno la parola Londra. Off limits. Ecco qualche esempio curioso. La Mercedes Benz è pronta a presentare la sua "squadra" di campioni. Ma non può nominare, per regolamento, le Olimpiadi di Londra, i Giochi olimpici, eccetera eccetera. Lo vieta espressamente il Cio. Dietro front improvviso, quindi, venerdì sera. Un comunicato stampa della Mercedes precisa che nel comunicato precedente era "stata inserita erroneamente la frase "in partenza per Londra"...". Visto che è già arrivata una diffida, per evitare cause legali, con richieste di risarcimento danni, è meglio che "Londra" non venga nominata. Nemmeno la città si può citare, pur senza alcun riferimento olimpico. Lunedì a Roma, in occasione della presentazione (ore 13, Aquaniene, chez Giovannino Malagò), che ci racconteranno? Che il Mercedes Benz Team, di cui fanno parte fanno parte la Pennetta, Mornati, Cammarelle e Montano (tutti olimpici: noi possiamo scriverlo senza incorrere negli strali del Cio...), non è più "in partenza per Londra" ma questa estate verso fine luglio andrà sì in Inghilterra ma in vacanza sulle bianche scogliere di Dover. . . Altro caso, divertente (e assurdo) pure questo: la Fiat è sponsor ufficiale del Coni e avrà le sue auto parcheggiate a Londra davanti a Casa Italia, a due passi dalla Cattedrale Westminster. Attenzione, però, le Fiat potranno accompagnare, ad esempio, Petrucci da Casa Italia sino al Villaggio Olimpico, ma dovranno lasciarlo fuori dai cancelli: dentro possono entrare solo le Hyundai (sponsor del Cio) e le Bmw (sponsor del Logoc, comitato organizzatore britannico). La Pavesini aveva studiato uno spot, con addirittura Federica Pellegrini testimonial, con citazioni del Big Ben e del London Eye (la ruota panoramica di Londra, sul Tamigi). Niente da fare: non si può, Torre dell'orologio e Ruota sono state cancellate subito. Anche la Rai, nei suoi spot, deve stare molto attenta con le citazioni olimpiche per evitare guai e lo stesso Armani, che ha appena concluso un grosso accordo con il Coni come main sponsor, a Londra non può citare nella sua pubblicità la squadra olimpica azzurra (come mai? semplice: il Cio è sponsorizzato dall'Adidas. . . ): ma può fare, se vuole, una pubblicità generica al Marchio Armani, famosissimo ovviamente anche sul suolo inglese. Attenti, quindi: quelli del Comitato olimpico non scherzano, hanno messo in piedi una specie di Grande Fratello con uno stuolo di avvocati che tengono tutto sotto controllo e sono pronti ad intervenire per chiedere i danni. Business (d'altronde) is business. Non parliamo poi dei social network: il "Ioc" (Cio) "actively encourages and supports athtletes ad other accredited at the Olympic Games to take part in social media and to post blog and tweet their experiences. . . ". In pratica, evviva la modernità. Si incoraggia l'uso dei social network, visto che siamo nel 2012. Ma è solo una finta, in realtà è tutto, o quasi, è proibito: gli atleti (anche per motivi di scommesse e non solo di business) non potranno parlare delle loro condizioni di salute, tantomeno degli avversari. Nessun riferimento diretto alle gare. Non potranno "postare" foto, se non generiche. Insomma, potranno scrivere su Facebook o Twitter soltanto:" Cara mamma, domani spero proprio di fare una buona gara, ma non ti posso certo dire come sto, tantomeno come stanno i miei compagni o avversari: ti posso dire che però oggi a Londra c'è un bel sole". Sì, loro Londra potranno nominarla. . . Abete, Agnelli, la terza stella e la Federgolf Giancarlo Abete deciderà domenica pomeriggio, ospite della trasmissione "Stadio Sprint" di Enrico Varriale. Il n.1 della Figc assisterà in tv alle celebrazioni della Juventus per il 28° scudetto, come da sentenze sportive passate in giudicato, poi deciderà cosa fare. Se, e come, intervenire. Se fare avviare da Stefano Palazzi una procedura di deferimento. La Juve, sulle maglie, dovrebbe trovare un escamotage per aggirare le regole: mettere la terza stella sul logo della società, modificando così un articolo dello statuto. E siccome il logo è proprietà personale, Lega e Figc potrebbero dire (e fare) ben poco. Anche il Coni pare si sia arreso (Petrucci è per la pace, e stima molto Agnelli): ma tutti quegli scudetti con il numero 30 che campeggiano allo Juventus stadio e davanti alla sede? Sepp Blatter, maliziosamente, ha ricordato che gli scudetti della Juve sono 28, mentre Michel Platini, da vecchio cuore juventino, si è tirato fuori dalla contesa ("Questioni italiane", ha detto quel rubacchione). Ma Abete ha già garantito che lui farà rispettare "le regole". Possibile che, pur invitato, diserti la trasferta a Torino per l'inaugurazione del museo della Juve, per evitare di cadere in un'altra trappola dopo quella dell'inaugurazione dello stadio, con in bella mostra i ventotto scudetti (ora diventati trenta, secondo la versione juventina). Trappola che, seppure a scoppio ritardato, lo imbarazzò non poco. La questione terza stella sta prendendo una piega poco simpatica. Fra l'altro ci sono numerosi consiglieri consiglieri federali, e non solo quelli di fede interista (due-tre, e non di poco peso), che non gradiscono affatto l'eventuale sbarco di Andrea Agnelli in consiglio federale. "Ma come-ci hanno detto-ha chiesto alla Figc 444 milioni di danni per Calciopoli, roba da mandarci in fallimento e adesso rischiamo di trovarcelo seduto nel governo del calcio. Non esiste". Intanto, bisogna vedere se i ricorsi della Juventus al Tar eccetera eccetera li ha firmati Agnelli o il dg Marotta: ma questo, secondo un'interpretazione giuridica, cambierebbe ben poco. Se fosse stato Andrea, in base alle norme Figc (sempre che si decida di rispettarle...), non potrebbe ricoprire cariche federali perché ha un contenzioso in atto con una Federazione. Tra l'altro, pare che Agnelli abbia intenzione di candidarsi alla presidenza della Federgolf (ora è consigliere): bisogna vedere però cosa ne pensa il presidentissimo Franco Chimenti, che ha rilanciato un sport prima solo per ricchi, e Toto Bulgheroni, ex grande campione del basket e ora industriale di successo, anche lui interessato alla presidenza di questo sport in continua ascesa e che a Rio 2016 avrà un posto di prestigio nella famiglia olimpica. Ma stavolta pare proprio che Abete voglia proprio fare la voce grossa. E, assicura chi lo conosce, non è tipo tanto tenero come sembra. Rubacchione è un refuso? Gergale, dialettale? Giancarlo Abete -
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JUVEDASOGNO LA MACCHINA IN DIVIETO E LA PARTITA-SCUDETTO VISSUTA COME UN FOTOGRAMMA SFUOCATO. LA COMMOZIONE PER IL TRICOLORE DEL 2002 E L’INCUBO DI QUELLO PERSO PER… UN INDUMENTO FEMMINILE. CRONACA DI UNA SERA SPECIALE VISSUTA DA UNO SCRITTORE-TIFOSO. BIANCONERO di SANDRO VERONESI (SW SPORTWEEK | 12 MAGGIO 2012) La notte della domenica, nella piazza sotto casa mia, c’è la pulizia delle strade. Bisogna parcheggiare altrove, altrimenti ti portano via la macchina col carro attrezzi: ma io domenica scorsa, 6 maggio 2012, tornando a casa all’ora di cena non l’ho fatto. L’ho messa esattamente davanti al portone, senza dare spiegazioni. Nessuno, né miamoglie né i miei figli, me ne ha chieste. C’era una bella folla di gente, a vedere la partita a casa mia. Paolo, Paolino, Manuele, Marchino, Gianni, Lucio, Mek, Giulia, Manuela, perfino Nina con la maglia di Del Piero che le arrivava alle caviglie. Mai negli ultimi anni c’era stata così tanta gente. Ed è strano ma la partita, cioè la cosa vera, pur con tutta questa gente intorno io la ricordo a stento, e senza il senso del tempo, come fosse un unico fotogramma sfuocato: un solo lungo respiro pieno di apprensione. Sbaglierò, ma secondo me anche i miei ospiti – tutti, forse, compresi i bambini – l’hanno seguita come me, come una singola sequenza medianica, nervosi come scimmie. Poi, tutti insieme, contemporaneamente – così me li ricordo – sono arrivati il secondo gol della Juve e il terzo e il quarto dell’Inter ed è arrivato lo scudetto. Di colpo. A sorpresa. Come se non ce lo aspettassimo. Una strana , improvvisa felicità – anche perché invece, d’altra parte, tutti ce lo aspettavamo eccome, ci speravamo eccome. Sono spuntate magliette con la scritta “campioni” da sotto le felpe, e quella macchina parcheggiata dove non poteva stare ha trovato il suo perché. «Su, andiamo a spostare la macchina», ho fatto a Gianni. Con la maglia di Del Piero, ovvio, firmata da Del Piero, quella dell’anno della Serie B, la più preziosa di tutte. Gianni ha tredici anni. Non è mai andato per strada a festeggiare uno scudetto e nemmeno li ricorda, gli scudetti precedenti, né quelli rimasti né quelli tolti. È la prima volta, per lui. Per me invece è la sedicesima. Piove, e la maglia di Del Piero attaccata fuori dal finestrino, così preziosa, sembra un po’ sacrificata. Ma è necessaria, perché siamo andati in piazza Mercatale a fare i caroselli, e quella maglia è il nostro badge. Fermi nell’ingorgo, i clacson che strombazzano all’impazzata, posso guardarmelo bene, questo figliolo che non aveva mai vinto. È incantato. D’altra parte forse non esiste nulla, a quell’età, che possa dare più gioia. C’è stato un periodo in cui pensavo che non venisse nemmeno juventino, a differenza dei due più grandi che sono stati saldamente gobbi fin da subito. È nato a Roma e amava Totti, all’inizio, amava De Rossi; poi nel tempo si è ritrovato in classe amici interisti, milanisti, perfino del Napoli; e per me poteva anche andare, se voleva, poteva volare via, non avrei fatto nulla per trattenerlo: non mi pareva giusto insistere per vederlo soffrire come soffrivamo noi. Ma ha deciso di soffrire anche lui, ed è diventato gobbo quanto gli altri due, forse anche di più. Ha fatto due temi su Del Piero, a scuola. Ha scritto “W la Juve” su tutti i quaderni. E quest’anno si è accorto subito, come tutti, che qualcosa era cambiato. Ha visto due partite allo stadio: a Siena, in settembre, vittoriaper 1-0,e a Firenze, due mesi fa, il leggendario 5-0 al Franchi dove suo padre ha tante volte goduto tra gli insulti – ma mai così pienamente, così clamorosamente. E ora eccolo a raccogliere il frutto del sacrificio: passiamo in mezzo a due ali di folla che sventolano bandiere e gridano e cantano – facce esaltate che a quest’ora della notte in qualsiasi altra circostanza farebbero paura, e invece rispecchiano la nostra stessa felicità, il nostro sollievo. Mi chiede delle vittorie di cui lui non ha goduto. Dello scudetto del 2002, quello del 5 maggio, mi chiede se ce l’hanno tolto o no – e mi commuove. No, figliolo, quello non ce l’hanno tolto. Torniamo a casa che la mezzanotte è passata da un pezzo. Suo fratello Lucio non è ancora tornato. È fuori a festeggiare in Vespa con gli amici, sotto la pioggia: si bagnerà come un pulcino, ma anche lui questa notte se l’è meritata, e non la dimenticherà mai. Quello più grande è a Roma con suo zio, ci siamo sentiti per telefono. “L’incubo è finito”, dice la Ġazzetta la mattina dopo. Ma non è vero niente – non per me. Nella notte non ho quasi dormito, per via di quell’incubo. Mi addormentavo, felice come quando ero bambino, ma subito i miei sogni s’ingarbugliavano, e la fine era sempre la stessa: mi infilavo per sbaglio un indumento femminile, e per punizione levavano lo scudetto alla Juve; facevo un pezzo di strada contromano, e per punizione levavano lo scudetto alla Juve. Un continuo. Sempre mi risvegliavo di colpo, e sempre, qualche secondo dopo, arrivava il sollievo a ristorarmi: era solo un incubo, ed era finito. E tuttavia l’incubo restava lì, attaccato alle palpebre, e bastava riabbassarle perché ripartisse. Allora ho preferito non dormire, non sognare. Meglio tenerli aperti, gli occhi, stanotte. Nel mondo reale siamo riusciti a sconfiggere il mostro, ma per eliminarlo dai nostri sonni ci vorrà ancora un po’ di tempo. Del resto ora si può dirlo: quello che ci è successo negli ultimi anni, a noi tifosi juventini, è stato terribile. Terribile. E quando sarà veramente finita, quando potrò sognare senza che per un nonnulla arrivino i gendarmi a portarmi via ciò che è stato vinto, affitterò Face Off, il film con John Travolta e Nicholas Cage, convocherò i miei figli e i miei amici e me lo riguarderò insieme a loro. Come dite? Cosa c’entra Face Off con lo scudetto della Juve? C’entra. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
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I nuovi stadi dell’Iraq per dare un calcio alle divisioni Il programma governativo ne prevede una ventina: investimento di oltre un miliardo di dollari di MASSIMILIANO NEROZZI (LA STAMPA 12-05-2012) Casa Juve, nel senso di un hotel a cinque stelle per chi ci entra e per chi ci vive attorno, si può edificare anche in Iraq, fresco territorio di guerra: quella vera, mica quella del pallone. È la sfida dell’architetto torinese Gino Zavanella, padre dello «Juventus Stadium», che ora sta lavorando ai progetti per tre impianti, da costruire a Mosul, 350 chilometri a nord di Baghdad, nella provincia di Diyala, verso il confine con l’Iran, e a Samawah, non lontano da Nassirya. Da un paio d’anni, il ministero iracheno della Gioventù e dello Sport ha lanciato un programma che ha in menù una ventina di nuovi stadi, per un investimento che supera il miliardo di dollari. «Il governo - racconta Zavanella - è convinto che il calcio possa aiutare la pacificazione tra le varie etnie». Lui segue quell’idea da 25 anni: «Da quando faccio stadi». Non luogo di battaglia, ma di incontro: «Al centro del progetto ci deve essere sempre l’uomo e il suo ambiente - spiega - e per questo una struttura deve comunicare serenità e non violenza». Lo stadio più avanzato, in tutti i sensi, è quello di Mosul: 35.000 posti, sfruttamento delle risorse geotermiche, circolazione forzata dell’aria, erba naturale. Costo previsto per la realizzazione, circa 100 milioni di dollari. «Vogliono solo impianti a norma Fifa, cinque stelle». E attorno, un piccolo centro sportivo e un’area di oltre 28.000 metri quadrati destinata ad altre attività sportive e sociali. Somiglieranno all’ambiente, se l’esterno dell’impianto di Mosul ricorderà antiche mura mesopotamiche. È l’occhio sull’Iraq a guidare la china. Basti il bozzetto per lo stadio di Samawah, cui sta lavorando anche l’architetto Andrea Maio: l’ispirazione l’ha data la rosa di Gerico, una pianta di origine desertica che si chiude a riccio quando è senza acqua, e si riapre una volta dissetata. Piante della risurrezione, le chiamano anche. C’è da far risorgere un Paese, qui: «Ed è chiaro che le difficoltà politiche e logistiche siano notevoli». Ai bandi di concorso, lo studio GauArena di Zavanella ha partecipato con un’impresa giordana e poi con la «Al Habtoor», colosso delle costruzioni degli Emirati Arabi. «A Baghdad ci si sposta ancora solo con la scorta - racconta l’ingegnere Virgilio Manni, che ha fatto i sopralluoghi - e per muovere tre-quattro persone, servono fino a 8.000 dollari al giorno». Il governo vorrebbe in ogni caso ultimare il programma entro il 2014. A Bassora è quasi completata la nuova «Sports City», anche se il preventivo, da 200 milioni di dollari ha finito per raddoppiare: quasi lo stesso registrato per gli stadi di Euro 2012. In fondo, qui c’è da rincollare una nazione. Quello interessa a Zavanella, cui il buddismo, ripete spesso, «ha insegnato quanto la meditazione sia importante per avvicinarsi al cuore delle cose». La filosofia accompagnata da matita, carta e computer: «Uno stadio deve abolire la violenza e l’arroganza». Magari così puoi ricostruire il tempio della religione comune, il calcio, dove prima Saddam giustiziava gli avversari; dare un campo ai bambini che tiravano calci al pallone per strada, tra gli spari.