-
Numero contenuti
11014 -
Iscritto
Tipo di contenuto
Profilo
Forum
Calendario
Tutti i contenuti di Ghost Dog
-
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Il caos Club sempre più litigiosi e Lega ingovernabile Ora in otto vogliono sfuggire alla responsabilità oggettiva Pallone sgonfiato Scandali e fuori dall'Europa Petrucci stoppa l'ultima follia di FABIO MONTI (CorSera 18-04-2012) Per la quarta volta nelle ultime 5 edizioni di Champions League, le squadre italiane hanno assistito alle semifinali da soggetti passivi. In Europa League la situazione è peggiore: è dal 2008 (Fiorentina eliminata ai rigori dai Rangers Glasgow) che non c'è traccia di un club italiano in semifinale e l'ultima vittoria risale al '99 (Parma), quando ancora si chiamava Coppa Uefa. L'Italia resiste al quarto posto del ranking europeo, ma è molto più vicino al quinto (Portogallo, che ha guadagnato cinque posizioni in tre anni) che non al terzo (Germania). Dopo il disastro sudafricano, il lavoro di riorganizzazione del club Italia, promosso dal presidente della Figc, Abete (con delega ad Albertini) ha dato nuova spinta alle nazionali, quella di Prandelli, ma anche l'Under 21 di Ferrara e le altre selezioni giovanili, con la supervisione di Sacchi. I club di serie A sembrano del tutto disinteressati alle questioni tecniche e ogni giorno si impegnano per trovare un argomento sul quale dividersi all'interno della Lega e nei rapporti con le istituzioni, Coni in primis. Dilaga il calcioscommesse, senza che dalla Lega sia arrivato un segnale concreto di mobilitazione, a parte le vaghe parole dell'ultima assemblea. Meglio cercare una scorciatoia: nell'assemblea di venerdì, verrà discussa la proposta di Atalanta, Bologna, Cesena, Genoa, Lecce, Novara, Parma e Siena di arrivare a «una nuova definizione del principio della responsabilità oggettiva delle società sportive». In sintesi: un tesserato può commettere qualsiasi tipo di illecito, senza che venga coinvolto in forma diretta o indiretta il club. A stoppare l'iniziativa, in sede preventiva, ha provveduto già ieri il presidente del Coni: «Insisto per il buonsenso; mi auguro che venerdì quando si aprirà l'assemblea, un presidente prenda la parola e chieda di togliere dall'ordine del giorno il punto sulla responsabilità oggettiva. Lo dico perché non sarà rivista, perché è uno dei capisaldi dello sport, non solo italiano, e perché serve l'approvazione del Coni: il decisionismo serve in momenti come questi. Abbiamo uno scandalo scommesse sotto gli occhi di tutti; non possiamo pensare di alleggerire le responsabilità: in questo momento, complimenti ai magistrati delle tre Procure; alla Figc, che sta facendo rispettare le regole; a Palazzi, che sta lavorando seriamente». La Lega si preoccupa soltanto della difesa di Lotito, presidente della Lazio, che non può più partecipare al Consiglio federale, dopo la condanna (primo grado) per frode sportiva a Napoli (Calciopoli). Lo stesso Lotito ieri ha perso il ricorso presentato alla terza sezione civile del Tribunale di Roma, con l'obiettivo di bloccare l'assemblea di venerdì, che deve nominare un nuovo consigliere federale. Quello che appare grave è quanto scritto dal giudice, Clelia Buonocore: «La stessa Lega non ha inteso "seriamente" contrastare le richieste» presentate da Lotito. Come dire che: 1. la Lega non ha tutelato se stessa, ma si è schierata a fianco di Lotito; 2. la linea difensiva è risultata poco seria per giudizio dello stesso tribunale. Un record mondiale. In una Lega ingovernabile, con un presidente che si è dimesso dalle dimissioni e un Direttivo senza due consiglieri da luglio 2011, il problema più urgente sarebbe la riforma della serie A. I fatti continuano a dimostrare che 20 squadre sono troppe (Cesena e Novara sono quasi retrocesse); allungano la stagione; tolgono spazio alla nazionale e strangolano le coppe; aumentano il numero delle partite inutili (e a rischio di illecito). Nel frattempo gli stadi di proprietà restano un'opinione (Juve a parte), mentre quelli esistenti, vecchi e obsoleti, sono sempre più vuoti. Conta soltanto la tv, perché interessano soltanto i soldi. Da spendere male. Oggettivamente irresponsabili. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Siamo alla svolta per un caso avvolto nel mistero da oltre 20 anni Omicidio Bergamini La droga non c’entra Il movente per ragioni personali: si indaga sulle ultime ore del giocatore. Rischia l’ex fidanzata con la sua testimonianza di FRANCESCO CENITI (GaSport 18-04-2012) Uno dopo l'altro sembrano sgretolarsi i misteri e le leggende che per 22 anni hanno reso «impossibile» l'accertamento della verità sulla morte di Donato Bergamini, ex centrocampista del Cosenza, avvenuta il 18 novembre 1989. A febbraio i Ris con una accurata perizia, eseguita sugli oggetti indossati dal giocatore al momento del decesso e sui reperti istologici perfettamente conservati dopo l'autopsia chiesta e ottenuta dalla famiglia visto l'immobilismo degli inquirenti dell'epoca, hanno spazzato via la tesi del suicidio. La droga non c'entra Le carte arrivate nelle mani di Franco Giacomantonio, il procuratore capo di Castrovillari che a luglio ha riaperto il caso, non hanno margini d'interpretazione: è stato un omicidio e la ferita sul bacino per 22 anni indicata come la «prova» del suicidio: nel racconto della testimone oculare, l'ex ragazza Isabella Internò, Bergamini si era tuffato sotto un camion, poi trascinato sotto le ruote per circa 60 metri senza però finire maciullato e con vestiti e orologio praticamente intatti inferta quando il calciatore era già cadavere. Ma il Ris ha escluso anche un altro aspetto importante, specie per gli sviluppi delle indagini entrate in una fase cruciale: la Maserati di Bergamini, sequestrata ed esaminata da cima a fondo, non aveva nessun doppio fondo o manomissione. La novità dovrebbe portare gli inquirenti ad abbandonare una della piste più calde sul movente dell'assassinio, quello legato al traffico di droga con Bergamini in qualche modo corriere inconsapevole? della 'ndrangheta. La macchina non aveva le caratteristiche. Cade una teoria diventata realtà anche per i media che davano per acclarato l'esistenza del doppio fondo. Non è la prima volta, in questa assurda storia, che la «verità» è ribaltata in modo clamoroso: solo nei mesi scorsi, ad esempio, si era «scoperto» vivo e vegeto l'autista del camion coinvolto nell'incidente, dato morto per anni. Caccia ai colpevoli Ma torniamo al movente dell'omicidio perché è su questo che si sono concentrate le indagini del nucleo investigativo dei Carabinieri, iniziate a fine dicembre. Molti passi in avanti sono stati fatti e i tasselli del complicato puzzle sembrano ora ricomporsi. Cerchiamo di capire i possibili sbocchi. Con la messa in soffitta del delitto maturato in ambienti criminali niente coinvolgimento della 'ndrangheta nella gestione dell'omicidio, il cerchio si stringe intorno alle persone che frequentavano il giocatore: il movente sarebbe allora da ricercare in ambito personale, magari a seguito di un litigio dopo un chiarimento per una vicenda privata non andato nella direzione sperata. Non ci sono conferme dirette, ma proprio su questa pista si sarebbero rivolte le attenzioni delle investigatori che avrebbero cercato di ricostruire le ultime ore di vita del calciatore, soprattutto su un passaggio: chi e quante erano le persone che lo avrebbero atteso fuori dal cinema dove si trovava in ritiro con il resto della squadra. Quelle persone sono la chiave del mistero: sono loro che lo hanno condotto verso una morte violenta. C'è un altro aspetto fondamentale: è da capire come sarà inquadrata la posizione dell'ex ragazza che ha sempre ripetuto la tesi del suicidio, anche a dicembre quando è stata riascoltata come persona informata sui fatti. Quella testimonianza, però, è in netto contrasto rispetto a quanto sostenuto dai Ris. Toccherà al procuratore fare a breve una «sintesi», prendendo decisioni importanti e ineludibili. Decisioni attese 22 anni e con l'opinione pubblica oramai «parte civile» in una vicenda che per troppo tempo ha calpestato i diritti della famiglia Bergamini: per ristabilire la completa verità manca davvero poco. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
L´inchiesta punta alle società sotto accusa il Siena di Conte Scommesse, interrogato Carobbio: presto altri indagati Verbale secretato, domande sul ruolo di Mezzaroma e sulle rivelazioni di Gervasoni A Napoli sotto la lente dei pm anche il match contro l´Inter. Il rischio è l´omessa denuncia di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 18-04-2012) C´è il Siena di Conte e Mezzaroma al centro esatto degli ultimi sviluppi dell´inchiesta di Cremona. Ieri se n´è avuta la conferma con l´interrogatorio di Filippo Carobbio, ex centrocampista di qualche talento che rischia di passare alla storia del calcio come l´uomo che inguaiò mezza serie A invece che come un regista dalle geometrie impeccabili. Il suo interrogatorio ha avuto un prologo importante. Un paio di settimane fa quando davanti al procuratore federale Stefano Palazzi Carobbio raccontò, opportunamente incalzato, numerosi e "inediti" dettagli su alcune partite taroccate al tempo in cui militava nel Siena e prima ancora nel Grosseto. Di cosa si tratti non è dato sapersi, quello che è certo è che il calciatore "ha allargato di molto", per dirla con un inquirente, il campo delle responsabilità. Carobbio, venuto fuori dalle giovanili dell´Atalanta, passato attraverso Albinoleffe e Reggina, nel 2009 arriva al Bari portato trionfalmente in A da Antonio Conte. A Bari, diventa molto amico di Iacovelli, il factotum della squadra pugliese già arrestato da Cremona nell´inchiesta per il calcioscommesse. Insieme a Iacovelli, e agli altri del clan barese (Masiello, Parisi, Bellavista ecc) nella stagione successiva, passato al Grosseto, organizza molte partite. Nel 2010 poi, il suo vecchio allenatore, Antonio Conte lo vuole con sé nella nuova avventura al Siena di Mezzaroma (conclusa con un´altra trionfale promozione). Lì il suo vizio trova nuove sponde, prende i contatti con gli Zingari e tramite Iacovelli manda Ilievsky - il capo - a Bari, da Masiello. Nel frattempo però si esercita anche su qualche partita del Siena. Ed è proprio su alcune di queste partite che si è incentrato l´interrogatorio di ieri. Tre ore durante le quali il procuratore Roberto Di Martino ha voluto sapere quanta altra gente del Siena sapesse delle combine. Il sospetto del magistrato è che almeno una di queste partite sia stata organizzata dalla società. Come del resto raccontato da Carlo Gervasoni che nel verbale del 12 marzo raccontò che il presidente del Siena Mezzaroma pagò due giocatori del Modena per vincere la partita. «Gecic - dice Gervasoni quel giorno - mi riferì di aver appreso da un suo amico del Kazakistan che il presidente del Siena diede dei soldi ai giocatori del Modena Tamburini e Perna per vincere l´incontro». Circostanza, va detto, prontamente smentita "con sdegno" dal diretto interessato. Il verbale di Carobbio (che è stato secretato dalla procura) nei prossimi giorni sarà incrociato con altre risultanze investigative. Per effettuare le quali la procura procederà all´iscrizione nel registro degli indagati di tutte quante le persone accusate da Gervasoni. Procedura, del resto, che era già stata seguita a dicembre, quando venne indagato tra gli altri il giocatore della Lazio, Mauri. E che a quanto pare verrà seguita anche per altri verbali, come ad esempio quelli resi, tra Cremona e Bari, da Masiello (che tirava in ballo, tra gli altri, Pepe e, più pesantemente, Bonucci). Insomma nei prossimi giorni il calcio italiano verrà inondato da una serie di novità giudiziarie rilevanti, alle quali andranno sommate quelle in arrivo dai pm di Napoli, dove oltre a Napoli-Parma, Lecce-Napoli e Napoli - Sampdoria, i magistrati hanno "attenzionato" anche Napoli-Inter, ultima dello scorso campionato. Anche lì tra responsabilità diretta e omessa denuncia sono in molti a tremare. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Lotito sbaglia giudice e sfida la Figc al Tar Agnelli è in pressing Nuovo ricorso contro la sospensione da consigliere La Juve vuole la supplenza. La Lega aspetterà ancora? di MAURIZIO GALDI & MARCO IARIA (GaSport 18-04-2012) «Difetto di giurisdizione». A sorpresa il giudice monocratico della terza sezione civile, Clelia Buonocore, ieri ha anticipato la sua decisione sul ricorso del presidente della Lazio, Claudio Lotito. Ha anche ritenuto inutile, «melius re perpensa» (meglio rivalutata la situazione), disporre l'allargamento del contraddittorio al pubblico ministero. Insomma, basta così. Lotito si era rivolto al Tribunale di Roma in dissenso con la norma etica emanata dal Coni e applicata dalla Federcalcio che prevede la «sospensione» da cariche federali anche dopo la sola sentenza di primo grado per alcuni reati (tra i quali la frode sportiva e i reati societari) nei quali Lotito è incorso per Calciopoli (frode sportiva in primo grado) e per aggiotaggio (secondo grado a Milano). Contro la Lega Lotito aveva anche chiamato in giudizio la Lega di A per imporle la sospensione del punto all'ordine del giorno dell'assemblea di venerdì relativo alla nomina di uno «supplente» in consiglio federale. E su questo la giudice è stata chiarissima: non c'è «periculum in mora» (danno causato dal ritardo). In parole povere, visto che si tratta di un provvedimento provvisorio, Lotito non ne avrebbe alcun danno. Quindi, il Tribunale civile ha respinto la richiesta di sospendere l'elezione: la Lega può procedere alla sostituzione del patron laziale, poi se quest'ultimo avrà battaglia vinta verrà tranquillamente reintegrato. Ricorso al Tar Ma Lotito non si ferma qui e, dopo le bocciature della giustizia sportiva e l'autogol del ricorso a un Tribunale dichiaratosi incompetente, è pronto a rivolgersi al Tar del Lazio. È stata la stessa Buonocore a sottolineare nell'ordinanza di ieri che il giudice naturale per i ricorsi contro le decisioni della giustizia sportiva è quello amministrativo, e quindi il Tar, alla luce della Legge 280 del 2003. Questa mattina i legali biancocelesti depositeranno il ricorso: probabile che venga chiesto urgentemente un decreto cautelare che blocchi la prevista elezione di venerdì in Lega. Un decreto «inaudita altera parte», senza contraddittorio. Ma anche questa strada non è priva di difficoltà. Una recente sentenza della Corte Costituzionale ha affermato che il Tar può intervenire sugli aspetti economici e non sulle sentenze sportive. La norma etica e le sentenze sportive in materia sui ricorsi di Lotito come devono essere considerati? Il Tar sarà o meno competente? E soprattutto dopo che è stata già intentata causa al Tribunale civile, si potrà tornare indietro? Spaccatura Proprio questi dilemmi contribuiscono a rendere quantomeno incerto l'esito dell'assemblea di Lega. I club di A avevano deciso di aspettare la conclusione della battaglia lotitiana rinviando già una volta il pacchetto di nomine, che comprende la vicepresidenza di Lega (De Laurentiis in pole, con un posto che si libera per Zarbano del Genoa) e una poltrona di consigliere (destinata a Fenucci della Roma). Nel frattempo, in via Rosellini, l'aria è tornata molto pesante, le gelosie si sono riaccese, le divergenze sono venute fuori persino sul recupero della giornata rinviata per la morte di Morosini. C'è, tuttavia, una candidatura autorevole per la supplenza di Lotito: Andrea Agnelli ha chiesto al designato Campoccia dell'Udinese di fare un passo indietro, con l'obiettivo di aumentare il peso specifico della Juventus nelle stanze del potere. Il club bianconero è in pressing, gli stessi vertici dello sport italiano vedrebbero di buon occhio l'avvicendamento con Lotito. Agnelli (già consigliere della Federgolf) è pure membro dell'esecutivo della Lega e per prassi il doppio incarico si tende a evitarlo. Ma l'ostacolo maggiore è rappresentato proprio dal carisma esercitato da Lotito sull'assemblea. ------- IL MONITO DI PETRUCCI «Responsabilità oggettiva Non se ne parli in assemblea» di MARCO IARIA (GaSport 18-04-2012) Nello sterminato ordine del giorno dell'assemblea di Lega di venerdì undici punti!, c'è anche una richiesta che suscita un po' di vergogna persino all'interno della stessa «Confindustria» del pallone. E recita così: «Porre in discussione una nuova definizione del principio della responsabilità oggettiva delle società sportive». L'hanno presentata otto società — Atalanta, Bologna, Cesena, Genoa, Lecce, Novara, Parma e Siena —, le stesse che si sono unite per chiedere un aumento del paracadute in caso di retrocessione in B. Diversi club ritengono inopportuna e inelegante una simile mossa, tanto più che diversi tra quei richiedenti sono coinvolti, chi più chi meno, nelle inchieste sul calcioscommesse. Certo, c'è chi come Claudio Lotito ha più volte contestato pubblicamente quel principio «una norma obsoleta», ma difficilmente la richiesta delle otto troverà il supporto della maggioranza. Monito A ogni modo, Gianni Petrucci mette le mani avanti e lancia un appello alla Lega: «Mi auguro che nell'assemblea di venerdì un presidente si alzi subito in piedi e chieda di togliere dall'ordine del giorno il punto che riguarda la modifica della responsabilità oggettiva. Lo dico perché in primo luogo non sarà rivista, è uno dei capisaldi dello sport, non solo italiano, e infine serve l'approvazione del Coni: il decisionismo serve in momenti come questi». Il presidente del Coni aggiunge: «Abbiamo uno scandalo delle scommesse sotto gli occhi di tutti, non possiamo pensare di alleggerire le responsabilità. Complimenti ai magistrati delle tre Procure che stanno lavorando seriamente, alla Figc e al procuratore federale Palazzi». ------- ------- «Caso» Gianello Napoli parte lesa ma è a rischio Responsabilità oggettiva: gli azzurri possono prendere una piccola penalizzazione di MAURIZIO GALDI (GaSport 18-04-2012) Napoli trema. Dopo la pubblicazione delle ammissioni dell'ex portiere di riserva del Napoli Matteo Gianello, la principale preoccupazione è su quanto possa rischiare il club. Il legale del calciatore, Vincenzo Siniscalchi, sulle radio locali interviene per minimizzare e parlare di «notizia vecchia che non preoccupa». Giustizia sportiva Siniscalchi è un ottimo penalista, ma forse dimentica che il diritto sportivo è altra cosa. Innanzitutto la prescrizione: quattro anni per le società e otto per i tesserati rende non troppo «vecchia» la notizia. Una notizia che del resto lui conosceva ma non il pubblico. C'è poi il problema della responsabilità oggettiva: l'illecito sportivo è un reato di «pericolo» e per la giustizia sportiva è sufficiente il tentativo. Per sua ammissione (alla firma per approvazione del verbale reso davanti ai pm di Napoli da Gianello Siniscalchi era presente) il portiere di riserva del Napoli (almeno all'epoca dei fatti) avrebbe proposto a Grava e Cannavaro un illecito per Sampdoria-Napoli. Sempre per sua ammissione lo ha fatto spinto da Silvio Giusti che voleva la certezza della vittoria dei liguri per scommetterci e, sempre Giusti, gli avrebbe offerto soldi da dare ai compagni di squadra. Purtroppo questo è sufficiente per la giustizia sportiva almeno per deferire per illecito sportivo Gianello. E tanto è sufficiente, visto che Gianello era tesserato del Napoli, per deferire la società per responsabilità oggettiva. Quanto rischia Il Napoli alla lettura delle sole ammissioni di Gianello è parte lesa e questo dovrebbe ridurre al minimo eventuali penalizzazioni, purtroppo il solo coinvolgimento in indagini su illeciti sportivi preclude la partecipazioni a competizioni europee come spiega il pezzo sopra. Ora bisogna aspettare solo che il pool «reati da stadio» guidato da Giovanni Melillo chiuda ufficialmente le indagini per capire anche a livello penale quali saranno le accuse per gli indagati per «concorso in frode sportiva» che, ricordiamo, oltre a Gianello sono Silvio Giusti e i fratelli Federico e Michele Cossato, l'esame tecnico sui computer di questi ultimi tre non avrebbe dato ulteriori novità investigative. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
UN CALCIO ALLA CACCIA DEGLI ALBINI D'AFRICA In Tanzania sono uccisi e mutilati per superstizione. La salvezza è un club tutto per loro di VINCENZO GOTTARDO (EXTRATIME 17-04-2012) Un braccio costa oltre duemila dollari. E c'è pure chi si venderebbe la prole viva, per 250mila dollari a figlio. L'importante è che sia albino. Perché il commercio di questo tipo di reliquie in Tanzania (ma anche in Kenya e in Uganda) è fiorente. La ong Under the Same Sun ha calcolato che dal 2007 almeno 60 albini sono stati uccisi nella sola Tanzania per il loro valore esoterico. Assassinii ai quali vanno aggiunte mutilazioni a colpi di machete, aggressioni, profanazioni di tombe. Un pezzo del corpo di un albino infatti allontanerebbe malocchio e disgrazie, garantendo ricchezza, salute e fortuna. Almeno così credono gli stregoni dei villaggi più remoti di questo pezzo d'Africa dove c'è chi ha deciso di prendere l'atroce fenomeno a pallonate, fondando l'Albino United Team. Discriminati in 8 mila Inizialmente la squadra di neri bianchi, creata nel 2008 dall'uomo d'affari Oscar Daniel Haule, si chiamava Albino Magic Team. Ma il rischio di confonderne il messaggio di uguaglianza con i problemi di stregoneria ha indotto al cambio di denominazione. Oggi comunque la squadra è diventata un simbolo contro la discriminazione nei confronti di circa 8 mila albini in Tanzania, di cui 1.500 solo nella capitale Dar Es Salaam. Perché, come spiega Said Ndongee, uno dei responsabili al mensile francese So Foot che per primo ha raccontato questa incredibile storia, «il calcio è universale così come il nostro messaggio di uguaglianza e vogliamo far capire alla gente che gli albini sono persone come tutte le altre, non da uccidere o mutilare». Segregati e ripudiati È una battaglia difficile, però. La superstizione, nata non più di una cinquantina di anni fa, vuole che la carne di albino gettata tra le reti renda la pesca rigogliosa, e che un osso faciliti la ricerca di oro e diamanti, o che i genitali usati nelle pozioni esaltino la vita sessuale. E i tariffari spingono alla caccia all'uomo in un Paese dove si vive con nemmeno due dollari al giorno, alimentando un florido commercio anche oltre i confini della Tanzania, vicino al lago Vittoria. Il calcio quindi diventa una via d'uscita per ragazzi ripudiati dai genitori, segregati in casa da famiglie oppresse dal sentimento di vergogna suscitato dalla società che li rifiuta. L'Albino United Team invece li accoglie proprio per renderli visibili e quindi normali agli occhi degli altri Il coraggio di uscire «La cosa più difficile - spiega il capitano Jacobo a So Foot - è stata di convincerli a uscire». In un paio d'anni di esistenza la squadra albina si è fatta un nome anche a livello internazionale, se non altro per la curiosità che suscita, nonostante qualche problema come l'allontanamento del fondatore Haule, accusato di usare i fondi di donazioni a fini personali o dell'esproprio del campo da calcio per fare spazio a un palazzo. Così ormai gli allenamenti si fanno in spiaggia nel tardo pomeriggio per proteggersi dai raggi del sole. Visto anche che le creme protettive costano circa 17 euro a tubetto e servirebbe uno per ogni giocatore: una spesa insostenibile da quelle parti. Motivo per cui a volte gli albini sono stati costretti a rifiutare inviti per match diurni, sotto il sole. L'eccezione in porta Finora, l'Albino United non ha giocato partite ufficiali, solo qualche amichevole: una vinta 3-1 contro una squadra di funzionari dell'Onu, un'altra pareggiata 1-1 contro la squadra della polizia di Mwanza, nel nord del Paese, proprio dove è più attiva la caccia agli albini, punita dalla legge. In porta c'era come sempre un giocatore di colore. Scelta obbligata: «Gli albini hanno un difetto di vista e non vedono bene quando il pallone arriva». Fossero solo quelli i loro problemi... ------- LA FAVOLA DEGLI INDIOS RIMANE SENZA LIETO FINE Sparito per debiti e con un presidente sospettato di collusione col mondo della droga il miracoloso club di Ciudad Juárez che aveva sfidato i narcos di ANDREA LUCHETTA (EXTRATIME 17-04-2012) Nemmeno le fiabe hanno un lieto fine a Ciudad Juárez. Sono passati 4 anni dal maggio '08, quando fiumi di persone sfidarono le minacce dei narcos per festeggiare gli eroi più improbabili nella storia della città: gli Indios avevano appena conquistato un posto in Primera División, contro ogni logica e pronostico. Nei giorni precedenti una catena di e-mail aveva annunciato un weekend di massacri, esortando i cittadini a rimanere in casa. Il venerdì si contarono 11 cadaveri. Sabato 12, e per domenica tutto lasciava presagire il peggio. Poi, inspiegabile, un pari in trasferta fece saltare gli argini. Decine di migliaia di persone si riversarono per le strade, alla faccia dei signori della droga e dei loro sicari. «Dopo 7 ore di tequila e birra la festa si trasferì all'aeroporto», dice Robert Andrew Powell in This Love Is Not For Cowards («Non è un amore per vigliacchi»), libro-reportage dedicato agli Indios. «La gente dimostrò di essere più forte dei cartelli». Fu un'esplosione incontenibile, dopo i primi mesi di una narco-guerra costata la vita a 10. 400 persone dal '08 a oggi. La città - snodo cruciale sulla rotta del narcotraffico per gli Usa - è contesa dai cartelli di Sinaloa e Juárez. Nel mirino della Dea Di quest'amore coraggioso restano solo i cocci (e il ricordo della semifinale scudetto nel '09). Debiti, fallimenti e accuse di collusione col mondo della droga. Il tramonto degli Indios ha lasciato molti interrogativi in sospeso. L'anno scorso il presidente Francisco Ibarra ha annunciato la cessione della Tribù, ma i presunti acquirenti non sono mai usciti allo scoperto. «Il nome di Ibarra è rimasto sui contratti firmati dai giocatori», spiega Powell a ET. La federcalcio ha revocato la licenza del club a dicembre, dopo che la proprietà non si è presentata a discutere un piano di risanamento ormai impossibile. I sospetti più forti risalgono al giugno 2009, quando la squadra è finita nel mirino della Dea, l'agenzia anti-droga Usa. «La famiglia del presidente si è arricchita con gli appalti concessi da un sindaco legato al Cartello Juárez - racconta Robert Andrew Powell -. Tuttavia, durante il periodo che ho trascorso in città gli Indios avevano grandi problemi finanziari. È difficile davvero sostenere che i narcodollari alimentassero il club». Tre omicidi al giorno Il club esplose di pari passo col numero degli omicidi, passati dai 320 del '07 agli oltre 3.600 del 2010. Ed è sparito (a fine 2011) nell'anno in cui gli assassinii si sono ridotti del 45%. I primi mesi del 2012 sembrano ancora più incoraggianti. Difficile però rallegrarsene, in media continuano a venir uccise più di 3 persone al giorno. Sindaco e presidente si affannano a festeggiare il ritorno alla normalità. Ma per gli analisti di Stratfor la diminuzione delle vittime sarebbe piuttosto legata all'avanzata del cartello Sinaloa. «Sì, le cose vanno meglio - conclude Powell -. Ma ci sono ancora più di 10mila omicidi irrisolti. L'assassinio a Ciudad Juárez rimane di fatto legale. E finché resterà così, la città non sarà mai un posto equilibrato». -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
È MORTO PETRINI RACCONTÒ L’ANIMA NERA DEL CALCIO Ex centravanti, coinvolto nel calcioscommesse, denunciò il doping degli anni Settanta. Tra i suoi libri uno anche sul “caso Bergamini” di FRANCESCO CAREMANI (l'Unità 17-04-2012) Cuoio e fango, e cicatrici, volute, cercate, con ostinazione e disperazione, con quello sguardodisincantato e disgustato di chi nonha più niente da perdere, maancora molto da raccontare e voglia di scoprire. Carlo Petrini è morto ieri mattina, alle 5, nell’ospedale di Lucca, sconfitto dalla malattia che da tempo lo marcava stretto, senza impedirgli di continuare a lottare contro l’ipocrisia e lo schifo di un mondo, quello del calcio, di cui è stato prima scellerato protagonista, poi emarginato, infine grande accusatore. «Nel fango del dio pallone», come ha scritto il direttore del Guerin Sportivo Matteo Marani nel suo blog, è il nostro piccolo Romanzo criminale, un libro che, superato l’iniziale e fin troppo vasto scetticismo, è diventato uno spartiacque della narrativa sportiva d’inchiesta. Un libro che ci ha riportato indietro di vent’anni costringendoci a fare i conti con il grande scandalo del calcioscommesse e gli anfratti più reconditi e inconfessabili di uno sport che viveva tre metri sopra il cielo dei comuni mortali e della legge. Nato a Monticiano (Siena), lo stesso paese natale di Luciano Moggi, il 29 marzo del 1948, calcisticamente è cresciuto nelle giovanili del Genoa, per poi consacrarsi con il Milan di Nereo Rocco. Nella sua bacheca la Coppa dei Campioni e la Coppa Italia, vinta col Torino nel ’71. Poi Catanzaro, Ternana, Roma, Verona, Cesena, Bologna, l’inizio della fine. Difficile, oggi, ricordare il discreto attaccante di calcio che ha vestito anche la maglia azzurra delle rappresentative minori, più facile ricordare lo scrittore, onesto, asciutto, violento che ha trovato nella penna il modo di rimettere un po’ d’ordine in una vita segnata da eccessi, cinismo, fragilità e vigliaccherie. Il coinvolgimento nel calcioscommesse, la condanna esemplare di tre anni e sei mesi, poi ridotta grazie all’amnistia per la vittoria dell’Italia ai Mondiali dell’82. Il tentativo di ritorno nel calcio, infine l’oblio di un ambiente che l’aveva usato e gettato via quando non serviva più. ABISSI Petrini iniziò a gestire una finanziaria. Come nella sua carriera da calciatore partì bene per poi sprofondare, tra usurai e cattive conoscenze, che lo costrinsero a scappare in Francia. Nel 1995 il figlio Diego (promettente calciatore) morente per un tumore al cervello lancia un appello: vuol rivedere suo padre prima di morire, rimanendo senza risposta. È stato lì, in quell’inferno di dolore, disperazione e rimorso che Carlo Petrini ha ritrovato qualche spicciolo di dignità da spendere al mercato della vita. Per molti (troppi) questo passato inficerebbe la veridicità dei suoi libri, invece la forza di Petrini è stata quella di trasformare il fango in cuoio e tornare a calciare fendenti perfetti che hanno colpito l’anima e la sensibilità degli appassionati, insieme a qualche giornalista illuminato. Nella ricerca di una pace interiore ha raccontato tutto quello che aveva vissuto senza sconti per il proprio lato oscuro, sempre al centro della scena, insieme con molti altri. Quando decise di scrivere «Il calciatore suicidato» (la vicenda ancora irrisolta di Denis Bergamini) il primo viaggio in Calabria lo fece nel giorno del compleanno di suo figlio Diego, con uno sguardo pieno di angoscia e paure, al tempo stesso inquietante: «Io escluderei al 100% il suicidio. Nessuna delle persone con cui ho parlato crede a quella versione », disse a l’Unità. La riapertura dell’inchiesta è anche una sua vittoria. Da «Scudetti dopati» a «Le corna del diavolo» non ha risparmiato nessuno, fino alla causa di tre milioni di euro con Luciano Moggi, che perde il nemico più forte. Oggi a Lucca, alle 14.30, il funerale. Il glaucoma, forse per via del doping, poi il tumore non hanno mai affievolito la sua combattività. I suoi libri restano come macigni sulle coscienze dei mercanti, asserragliati nel tempio del calcio. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Mazzola: dico rossoneri, ma a bassa voce. Ferri: meglio a Torino Chi vincerà lo scudetto? Gli interisti e il «male minore» di FRANCO FIOCCHINI (CorSera - Milano 17-04-2012) Massimo Moratti è stato chiaro al riguardo: «Mi piacerebbe che lo scudetto lo vincesse il Napoli». Impossibile, almeno quest'anno. Gli interisti si devono rassegnare: o lo scudetto resta sulle maglie del Milan o torna su quelle della Juve. Rimane solo da stabilire quale sia il male minore: non solo per i tifosi, ma anche per chi ha indossato per anni la maglia nerazzurra. «Seguo solo la volata per il terzo posto, il resto non mi interessa.. . In ogni caso più si festeggia lontano da Milano e meglio è - sottolinea Evaristo Beccalossi -. Questi del Milan mi hanno davvero scocciato: quando l'Inter vinceva uno scudetto dopo l'altro ripetevano in continuazione che contava solo conquistare la Champions. Dall'anno scorso, invece, sostengono che arrivare primi in campionato è un traguardo molto importante. Allora dico: se non vincono lo scudetto fanno un bel triplete. Ma al contrario». Beppe Bergomi si sforza di essere meno tifoso del Becca, però pure lui, costretto a scegliere, dice Juve. «Milan e Juve hanno sempre fatto la guerra all'Inter in questi anni mentre il club di Moratti conquistava scudetti e la Champions. Sono stato spesso nel nuovo stadio dei bianconeri e mi ha colpito il senso di appartenenza che si percepisce. Vincesse la Juve sarebbe il premio meritato per un club che ha deciso di avere uno stadio di proprietà». «Io non ci sono mai stato in quello nuovo - sottolinea Gianluca Pagliuca - ma ho giocato tante partite negli altri due e non riesco a dimenticare tutti i torti che ho subito non solo con l'Inter ma anche col Bologna. A cominciare dal clamoroso fallo di Iuliano su Ronaldo che Ceccarini fece finta di non vedere, ma credetemi la serie è molto lunga. Milan e Juve mi stanno proprio antipatiche, dovendo scegliere, però, dico Milan in ricordo dei tanti errori arbitrali subiti. Sempre a favore dei bianconeri». Sandro Mazzola ostenta totale indifferenza. «Non me ne importa niente di chi vincerà lo scudetto, a me interessa solo che l'Inter riesca ad andare in Champions. Come Moratti mi piacerebbe che fosse il Napoli a vincere e se proprio mi dovessero mettere una pistola alla tempia direi a bassa voce: Milan. Ma solo perché costretto con la violenza». «Non essendoci l'Inter di mezzo dovunque vada lo scudetto per me è uguale - argomenta Lele Oriali -. A sei giornate dalla fine la squadra di Conte è padrona del proprio destino e non è poco anche se al Milan manca il gol di Muntari che il centrocampista aveva realizzato proprio contro la Juve». Riccardo Ferri è convinto sia ora di mettere la parola fine alle interminabili polemiche tra Milan e Juve. «Entrambe hanno disputato una grande stagione e visto che solo una vince dico Juve perché Antonio Conte sta proprio realizzando una grande impresa a portare subito in alto una squadra reduce da alcune stagioni negative. Ecco perché meriterebbe di conquistare lo scudetto al primo tentativo». -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Procura di Napoli - Gazza : affinità elettive -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
IL PM ARCHIVIÒ Ex dirigente accusa Abete per presunta omissione di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 17-04-2012) ROMA. Un giorno in Tribunale, ma lasciando il campo al legale storico della Federcalcio, Tito Lucrezio Milella, per Giancarlo Abete. Il presidente federale doveva rispondere di fronte al gip Roberto Saolino dell’accusa formulata in un esposto presentato dall’ex viceprocuratore Figc, Gino Tapinassi. Da ex membro della Commissione antidoping della federazione, quest’ultimo aveva citato Abete per omissione di atti d’ufficio per non aver proceduto a inviare gli atti sull’indebita nomina di un paio di commissari antidoping: soggetti che, al momento dell’incarico, non avevano i titoli (anche nel match Reggina-Juve del 2004, divenuto famoso per l’episodio Paparesta) per assistere alle operazioni negli spogliatoi. Il pm Fasanelli aveva proposto l’archiviazione per Abete, mentre Tapinassi e il suo legale Di Gioia si sono opposti. «I controlli vennero fatti da incaricati con le carte a posto secondo la legge e le procedure Wada - ci dice l’avvocato Milella -. Abete non ha violato nessuna norma di legge, presupposto dell’articolo 323 del codice». Tapinassi sostiene, invece, che l’accusa abbia chiesto a suo tempo l’archiviazione per l’inconsapevolezza di Abete. Il gip Saolino s’è riservato la decisione se disporre o meno il giudizio in tre giorni. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
LA PRESENTAZIONE CON CAPELLO TESTIMONIAL Eventi e business Dubai tra Platini e il via a Gea World Globe Soccer a fine anno avrà il presidente Uefa. Moggi jr apre gli uffici negli Emirati di MATTEO BREGA (GaSport 17-04-2012) Globe Soccer non si ferma, ma addirittura triplica. E si associa con la rinata Gea World Middle East di Alessandro Moggi. Si è infatti tenuta ieri presso la sede del Dubai Sports Council la conferenza per celebrare la firma del rinnovo triennale dell'abbinamento tra l'International Sports Conference e Globe Soccer. L'evento è stato fissato per il 29 e 30 dicembre. Ospite d'onore sarà Michel Platini, il presidente dell'Uefa. Ed è stata anche l'occasione per presentare il nuovo consorzio che unisce l'anima del Globe Soccer, la Bendoni Communication, con la Gea World Middle East di Moggi in società con Riccardo Calleri e Tommaso Bendoni. Ospiti Testimonial del Globe Soccer saranno Fabio Capello già presente nelle edizioni precedenti e Fabio Cannavaro. L'ex c.t. della nazionale inglese ha espresso ammirazione per l'evento, uno dei migliori per location e qualità degli interventi. L'appuntamento definisce le strategie per consolidare la nuova immagine degli Emirati Arabi Uniti agli occhi degli addetti ai lavori. Quando mancano dieci anni al primo Mondiale in Medio Oriente, il posizionamento studiato per promuovere questa città nel ruolo di anticamera della rassegna iridata sembra perfetto. La Gea riparte Nella presentazione di ieri è intervenuto anche Alessandro Moggi ringraziando per l'ospitalità e ufficializzando l'apertura della nuova sede in loco. Un chiaro segnale di quanto la scelta rappresenti un vero e proprio investimento. Il Gala degli Awards del Globe Soccer ai piedi del Burj Khalifa è previsto per la sera del 28 dicembre. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
CALCIOSCOMMESSE Gianello choc «Tentata una combine per Sampdoria-Napoli No da Cannavaro e Grava» L'ex portiere incalzato dai pm inguaia club e alcuni compagni Nel mirino pure Brescia-Catania e Bologna-Parma. E Mascara... di MAURIZIO GALDI (GaSport 17-04-2012) Ha retto quasi un anno il segreto della Procura di Napoli, del pool «reati da stadio» coordinato dall'aggiunto Giovanni Melillo, ma come tutti i segreti alla fine eccolo svelato: per Sampdoria-Napoli (1-0) del 16 maggio 2010 ci fu un tentativo di combine. A raccontarlo è Matteo Gianello, ex portiere del Napoli, indagato dalla Procura insieme ai fratelli Michele e Federico Cossato e a Silvio Giusti, tutti ex calciatori. Gianello lo racconta ai pm napoletani (oltre a Melillo, i sostituti Antonello Ardituro, Danilo De Simone e Vincenzo Ranieri). In verità per farlo ci mette oltre cinque «sofferte» ore perché all'inizio dell'interrogatorio — tratto anche in errore dal nome del pool che lo aveva convocato — riferisce di una serie di biglietti regalati a una persona di Afragola che ne avrebbe fatto commercio. «Questo per noi è irrilevante. Non è questo il motivo della convocazione», così i pm gelano Gianello al quale spiegano poi che è indagato perché con altre persone ha tentato di combinare della partite per poterci scommettere. Lecce-Napoli I magistrati iniziano le contestazioni dalla partita della stagione 2010-2011 Lecce-Napoli (2-1), disputatasi domenica 8 maggio 2011. Interrogato sulle richieste di informazioni fattegli da Giusti e Michele Cossato, Gianello riferisce di aver sempre detto che l'impegno del Napoli sarebbe stato massimo. Ma poi, dopo che gli vengono fatte ascoltare le prime telefonate, deve ammettere: «Prendo atto che il significato delle conversazioni intercettate appare del tutto contrario a quello da me riferito». Il Napoli perse e De Laurentiis si arrabbiò. Le altre partite Si va avanti così, tra contestazioni, affermazioni categoriche («Sono a conoscenza che l'ordinamento sportivo vieta ai tesserati di effettuare scommesse su eventi sportivi, ma voglio precisare che non ho mai nemmeno partecipato ai giochi noti a tutti come "gratta e vinci"») e successivi marcia indietro appena le contestazioni dei magistrati vengono accompagnate dall'ascolto delle intercettazioni telefoniche. Si arriva alla richiesta di informazioni su Brescia-Catania fatta da Silvio Giusti che vuole notizie attraverso «dentino», l'ex compagno di squadra di Gianello, Giuseppe Mascara, ma anche su Bologna-Parma. Altra salve di intercettazioni e si parla di «9 e 11 fighe». Gianello spiega: «Per mia personale valutazione ritenevo che a nove giocatori su undici delle due squadre potesse andare bene il pareggio». Ma fino a questo punto, e sono passate già tre ore, nessuna ammissione di scommesse. Sampdoria-Napoli E qui si arriva alla sagra del «prendo atto» e del «riflettendo». I pm incalzano Gianello sulla partita. Si parte dall'ammissione che Giusti chiese informazioni sulla gara, si arriva altrove, quando finalmente la memoria e le intercettazioni corrono in aiuto di Gianello: «Ricordo che Giusti mi prospettò la possibilità di ricompensare i compagni che avessero aderito alla richiesta (di rendere maggiormente sicuro il risultato della partita a favore della Sampdoria) con somme di denaro». Poi parla di quattro o cinque compagni presenti nello spogliatoio, ma non ricorda i nomi, ma poi riflettendo... Cannavaro e Grava «Mi rivolsi a Paolo Cannavaro e a Grava e a nessun altro». Esclude infatti la presenza di Santacroce, De Sanctis o di averne parlato con Quagliarella, ma specifica: «Cannavaro e Grava diedero immediatamente e con estrema decisione una risposta negativa». Ed erano pure contrariati, secondo Gianello. Ma a nessuno di loro è venuto in mente di avvisare la Procura federale: per questo rischiano almeno l'omessa denuncia, e il Napoli la responsabilità oggettiva per diverse partite anche se al momento solo in quella con la Sampdoria sarebbe provata la tentata combine. E Gianello? Forse a lui converrà rispondere senza esitazioni o dimenticanze almeno alla Procura federale. Le scommesse Si deve arrivare a fine verbale per avere qualche ulteriore ammissione: «Preciso che quei discorsi su scommesse, quote, puntate on line in Inghilterra o Austria cominciarono ad essermi fatti con l'inizio dello scorso campionato di calcio (2009-2010, ndr)». Poi una curiosità: «I riferimenti alla camera a 5 stelle e a 10 stelle erano relative a somme di denaro di 5. 000 e 10.000 euro da scommettere». Il punto di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 17-04-2012) Le verità che nessuno racconta Le otto pagine del verbale Gianello venute alla luce, meglio tardi che mai, con quasi un anno di ritardo, rappresentano un piccolo esemplare spaccato di come funzionano le cose in scommessopoli. Negare, negare, negare sempre. Fino a quando è possibile. E solo nel momento in cui ti sventolano sotto il naso l'intercettazione che ti inchioda, cominciare con le ammissioni. Il minimo indispensabile, o meglio il minimo che non puoi fare proprio a meno di confermare, perché tanto lo racconta già la tua voce intercettata. La strada di Gianello è stata percorsa da altri suoi più illustri compagni di merende, da Doni a Gervasoni a Masiello, più o meno mal consigliati. Strategie che non aiutano la ricerca della verità. Per quella ci vorrebbero dei pentiti «veri». -
17 04 2012 IL RE CALCIO È NUDO È il momento di ripensare le priorità. La salute lo è davvero o è stata superata dal denaro? Per tentare di andare oltre il dolore, le accuse, le polemiche, i litigi ecc. , credo si debba usare il compasso. Lo puntiamo stretto, e circoscriviamo la tragedia di un ragazzo di 25 anni che muore, e sarebbe già abbastanza di suo, senza evocare il poeta, le ciance che “dunque piaceva agli dei”, il paragone con un operaio della stessa età morto sul lavoro e via così. Allarghiamo il cerchio, e all’interno c’è la morte mediatica del povero Piermario, la diretta tv, le decine e centinaia di volte che un’indegna speculazione ha riproposto sui monitor immagini tremende spacciando una merce cinica per un “sentito dolore” o un “dovere informativo”. Per qualcuno sarà pur stato così, certamente, dolore autentico (a partire dai compagni per arrivare alla solidarietà dei colleghi spagnoli attraversando un sentimento comune, nel mondo del calcio e fuori di esso, di “ingiustizia” nei confronti del destino), ma – fidatevi di uno che conosce i suoi polli – per molti no: per gli addetti ai lavori che “raccontano” gli eventi è un automatismo quasi del tutto inconsapevole, passano dal prodotto “partita” al prodotto “tragedia” solo innestando una marcia dolorante più alta perché il motore decanti, ma guidando la stessa automobile... Sandro Mazzola è stato un grande giocatore, anche se un “discreto” giornalista come Brera intenditore rotondolalico sosteneva dapprima che se “si fosse chiamato Pettirossi non sarebbe arrivato in Serie A...”. MA DA ormai navigato e “automatico” commentatore tv se ne è uscito a cadavere caldo sabato chiamando i giocatori del Livorno “i suoi ex compagni”... Morosini era spirato da meno di due ore. . . Del resto prima di Pasqua un servizio da tg su un ragazzino palermitano morto mentre giocava a pallone in strada forse per un arresto cardiaco aveva le stesse caratteristiche di “notizia ghiotta” (ma perché? Chi l’ha detto?). Lo spettacolo della morte. Ripuntiamo il compasso e oltre la tragedia e la sua dimensione mediatica possiamo comprendere la circonferenza del mondo del pallone, con i litigi da cortile della Lega, alias la Confindustria rotondocratica, in cui tutti (o quasi) sono pronti a gettare la maschera della sensibilità del momento per strapparsi i capelli e i milioni in funzione delle date da recuperare nel calendario compressissimo. Questo non mi solleva dal riconoscere che la misura sospensiva del calcio dopo la morte del giovane era obbligatoria: condita da cinismo successivo e da ipocrisia e retorica simultanee quanto volete, ma pur sempre decisione giusta della Federcalcio. Chiuso per lutto, saracinesca abbassata, buco nella domenica degli italiani per ricordare anche (temo) solo per un giorno che il calcio è bello (non sempre, gli scandali insegnano) ma la vita lo è di più. PER COME conosco i federali sono stati “forzati” a farlo dall’ambiente (specie dai giocatori), ma insomma l’hanno fatto e almeno in qualche coscienza sarà stata seminata una priorità. Sulla pelle di Morosini. In questo stesso cerchio che assimilo ahimè a un piccolo girone dantesco, rientra il discorso della medicina dello sport, dei controlli, dei soccorsi e di tutto ciò che deve o dovrebbe rendere funzionante e sicura la macchina-uomo, nel caso il calciatore. Ebbene, si può e si deve fare molto di più. Sono stati spesi e dissipati denari a montagne per altro che non fosse la salute e la sicurezza, e anche per i superprofessionisti non si è fatto tutto il possibile. La voce “defibrillatore” è solo una delle voci di un coro stonato. La sicurezza e la rapidità dei soccorsi è ancora e sempre migliorabile. Non parlo per sentito dire. Come non è un “j’accuse” di maniera l’affermare che nel calcio dilettantisco e giovanile si è poco più che all’anno zero in fatto di assistenza medica, specie da Roma in giù. Non è considerata una priorità, è una specie di variabile quando non decisamente un optional. Questo è spaventoso, e continuamente rimosso. Ed è di difficile soluzione sia per il discorso strutture e personale mancanti, sia per i rivoli di soldi dirottati altrove, sia e direi in una chiave più generale “soprattutto” per il cratere culturale della questione. Al primo posto non c’è la salute. Prendete il caso Cassano. Io tremo: faccio male? Sicuri? È vicenda che si risolve toccandosi o affastellando amuleti anti-iella? Oppure pesa una gerarchia di priorità (per Cassano come per tutti, intendiamoci) in cui la salute non figura al primo posto ed è stata “comprata” dal denaro? Non ha ragione Totò Di Natale, splendido giocatore con un cognome troppo casereccio e uomo sensibile, che ha detto con il tono da “il re è nudo” cose come “si gioca troppo, non ce la facciamo”? Certo che ha ragione, e lo sappiamo tutti, ma il grande business non deve sfiorire e l’arma di distrazione di massa per eccellenza va puntata sull’opinione pubblica di un Paese in crisi fottutissima. Quindi un altro circolo di compasso, e il discorso dello stress lascia Morosini vittima sacrificale, l’altare del sacrificio, il territorio che lo circonda per allargarsi ancora: non è solo Morosini, il calcio, lo sport che stanno pagando un dazio formidabile allo stress, avendo posposto la salute al denaro e al resto e facendo da palcoscenico e da cartina di tornasole insieme. È un intiero sistema-Paese con i suoi assillanti disvalori ad aver smarrito il senno e il senso dello star bene. Basta guardarsi intorno, e domandarsi se ne vale la pena. La mia risposta, non solo di fronte alle “tragedie che colpiscono”, forse per debolezza caratteriale continua a essere negativa. P.S. CERTO, se poi vogliamo trovare un motivo “leggero” di sopravvivenza basta rivolgere lo sguardo al bunga bunga del Berlusca. Vieni a sapere dai verbali del caso-Ruby che una tal olgettina di quelle in una invidiabile danza del ventre era stata istruita a puntino: vestiti da Ronaldinho per il piacer suo... Fantastico. Presidente, se ci rifà per favore le chieda di mascherarsi da Ibra, allora sì...
-
Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Coraggio e audacia Dialogo fra Lapo e il matematico di STEFANO MONTEFIORI (CorSera 16-04-2012) PARIGI — Lapo Elkann, 35 anni, e Cédric Villani, 39: Madame Figaro ha messo insieme l'imprenditore italiano e il matematico francese (vincitore nel 2010 della medaglia Fields, equivalente del Nobel) per una conversazione sull'audacia e la voglia di riuscire. «Per me l'audacia non è una questione di mezzi o di cervello, ma di forza interiore. Perché tre quarti delle persone ricche mi annoiano — si chiede dice Elkann —? Perché sono autoreferenziali, pretenziose e hanno paura di perdere». Villani è diventato popolare in Francia conducendo una trasmissione radiofonica in cui spiegava come le complesse formule matematiche entrino nella vita quotidiana di tutti. «L'audacia per me è mettersi in posizione di vulnerabilità — dice Villani —. Un buon ricercatore deve imparare a esporsi». Villani e Elkann parlano assieme del coraggio, «che per quanto mi riguarda — dice Elkann — è arrivato soprattutto nei momenti difficili, alla morte di mio nonno, o quando gli affari andavano molto male». ___ “L’audace, c’est l’envie” Conversation entre Lapo Elkann et Cédric Villani par ISABELLE GIRARD (madame LE FIGARO.fr 15-04-2012) L’un est un héritier (petit-fils de Giovanni Agnelli, PDG mythique de Fiat). L’autre est le parfait produit de l’éducation laïque républicaine à la française. L’un est entrepreneur. L’autre est mathématicien, médaille Fields 2010. Deux destins réunis dans une même énergie. Madame Figaro. - Quelle définition donneriez-vous de l’audace? Lapo Elkann (1). - L’audace, c’est l’envie. L’envie de construction, l’envie d’évolution et peut-être même de révolution. C’est d’avoir été mis K. -O. , de remonter sur le ring et de combattre à nouveau. L’audace n’est pas une question de moyens ou de cerveau. C’est une question de force intérieure. Pourquoi les trois quarts des gens riches m’ennuient ? Parce qu’ils sont autoréférentiels, prétentieux et qu’ils ont peur de perdre. Cédric Villani (2). - Pour faire des choses importantes, il faut se mettre en position de vulnérabilité : c’est ça, l’audace. Un bon chercheur ne se contente pas d’approfondir ce qui existe. Il invente, crée de nouvelles théories et doit apprendre à s’exposer. Ce qui est vrai professionnellement l’est aussi affectivement. Si l’on ne prend pas de risques de peur d’être blessé, on ne noue pas de relations intimes fortes. (1) Lapo Elkann préside LA holding, Italie Independent et Independent Ideas. (2) Cédric Villani, médaille Fields 2010 (l'équivalent du prix Nobel), est directeur de l'institut Poincaré. Alors, en amour, avez-vous, l’un et l’autre, pris des risques ? C.V. - Je ne parle pas de la sphère privée. L.E. - En amour, si l’on a de l’audace, on la garde pour soi. Lapo Elkann, vous êtes toujours accompagné de très belles femmes... L.E. - J’ai aimé de très belles femmes qui ont su me rassurer à certains moments de ma vie où j’étais plus fragile. C.V. - Je vais aller dans ton sens : pour avoir de l’audace, il faut, à mon avis, une certaine forme de confiance en soi. L.E. - En ce qui me concerne, le courage m’est plutôt venu dans des moments difficiles, à la mort de mon grand-père ou quand les affaires allaient très mal. J’aime le risque. Avec ma société Italia Independent, j’essaie de cultiver un « esprit contagion » : utiliser des procédés techniques de l’industrie automobile pour créer une nouvelle collection de lunettes, ou des fibres carbone pour tisser un smoking nouvelle génération. Avez-vous l’un et l’autre connu l’échec ? C.V. - Tout le monde se plante. Pourquoi avoir peur ? Nos deux pays, la France et l’Italie, ont perdu confiance en eux. Ils souffrent du syndrome de celui qui s’est pensé le meilleur à un certain moment de son histoire et dont le tour est passé. Pour compliquer les choses, les politiques et les universitaires tiennent des discours très masochistes. Prenons le classement de Shanghai : dès qu’il sort, tout le monde saute dessus, alors qu’il est totalement idiot de vouloir classer des universités sans tenir compte des richesses des systèmes d’éducation des uns et des autres. Ces attitudes engendrent la peur et rendent l’audace difficile. L.E. - L’audace surgit aussi quand une histoire d’amour casse, quand tu perds ta femme, comme quand le marché est au plus bas. Alors il faut se réinventer. C’est ce qui m’excite le plus. Me remuer les méninges pour avoir des idées qui soient plus intelligentes que celles des autres mais avec moins d’argent. L’audace, c’est avoir moins et gagner quand même. Voir l’équipe de foot de Naples battre celle de Chelsea, qui a pourtant cent fois plus de moyens, c’est beau ! C.V. - L’histoire d’Évariste Galois va dans ton sens. C’est en pleine détresse, alors qu’il endure tour à tour l’échec, la prison et le dépit amoureux, qu’il rédige un traité qui révolutionnera les mathématiques. Trois jours plus tard, en 1832, il succombe dans un duel. Il a 20 ans. L.E. - Et Winston Churchill, pour moi l’homme politique le plus audacieux de ce siècle ! Il n’avait « que du sang et des larmes » à offrir alors que l’Angleterre demeurait le dernier rempart face à l’Allemagne nazie. Il a gagné. En plus, il a su s’effacer quand il a jugé qu’il n’était plus utile à son pays. Cela aussi est audacieux : mettre son ego de côté pour quelque chose de plus grand que soi, qui est son pays. Est-il possible de décrire le processus intellectuel qui permet à un mathématicien ou à un entrepreneur d’avoir du génie ? C.V. - C’est inexplicable. Un grand mathématicien, c’est comme un grand peintre. Il voit les choses comme personne ne les voit. Il part du concret pour aller vers l’abstrait. Comme Picasso lorsqu’il a peint Les Demoiselles d’Avignon. L.E. - Moi, je n’ai pas de génie. Je travaille. Je me lève à cinq heures du matin, je fais du sport, je parle avec mes équipes, et chaque jour je leur répète : « Comment allons-nous améliorer ce que nous avons imaginé hier ? » L’audace ne serait-elle pas pour vous, Cédric Villani, de quitter l’université pour entrer dans le privé, par exemple. . . chez Fiat ? C.V. - Lapo pourrait peut-être me trouver un job, mais je ne le prendrais pas. J’appartiens à une communauté, celle des scientifiques. Avoir reçu la médaille Fields en 2010 me confère une responsabilité vis-à-vis d’elle. En la quittant, vous auriez l’impression de la trahir ? C.V. - Oui, quelque chose comme ça L.E. - Ça, c’est ta noblesse. Car placer un mathématicien comme toi dans le monde de la formule 1 serait une rencontre drôlement intéressante. Ce n’est pas tellement ta médaille qui m’impressionne, mais ta capacité à rendre les maths sexy. Je t’ai déjà entendu parler en public. Ton potentiel marketing est incroyable. Ce talent est inestimable. Tu pourrais l’exercer chez Alfa Romeo ou chez Goldmann Sachs et te faire beaucoup d’argent. C.V. - J’aurais pu. Mais on perd l’essentiel. C’est quoi, l’essentiel ? C.V. - La passion et le goût du risque intellectuel. Voilà ce qui fait les gens. Le métier de financier ne demande-t-il pas, lui aussi, de l’audace ? L.E. - Si, mais pour quelqu’un comme Cédric, qui possède cette forme de créativité, ce serait perdre son âme pour aller la vendre au diable. Toi, Cédric, je te verrais plutôt à la Banque mondiale. Tu es un Français mais surtout un Européen. C.V. - Je suis un super Européen ! Je défends une Europe fédérale au sein du think-tank Europanova. Et je trouve que nous sommes à côté de la plaque avec l’Europe actuelle : personne ne pilote la boutique, juste une grappe de dirigeants accrochés autres par des accords et qui tentent de sauver les situations au coup par coup, dans l’urgence. Il n’y a aucune vision, aucune pédagogie, aucun leadership. L.E. - L’Europe aurait de bonnes raisons de se remettre en question. L’audace appartient aujourd’hui aux pays neufs qui ont faim de connaissance et sont prêts à tout pour manger et exister. Il y a presque une vingtaine d’années, au Brésil, on enterrait Ayrton Senna, un mythe et, à l’époque, l’un des rares symboles positifs pour un pays qui ne fonctionnait pas. Aujourd’hui, le Brésil va accueillir la Coupe du monde de football en 2014, les Jeux olympiques en 2016. Une classe moyenne est en train de s’y créer... Dans le monde en général, les politiciens manquent d’inspiration et de charisme. Ils ne poussent pas les jeunes à vouloir entrer dans ce monde qui a l’air vieux et prétentieux, déconnecté. C.V. - C’est pour cela qu’il est très important de voyager. Pour un mathématicien aussi, c’est fondamental. C’est comme ça qu’on transmet les idées face à face. L.E. - Laisse-moi te poser une question : quand on est petit et qu’on voit une Ferrari rouge, on dit « wouah ». Puis on regarde son joueur préféré mettre un but, et on dit « wouah ». Qu’est-ce qui a fait que tu as dit « wouah » aux mathématiques ? C.V. - Un professeur de maths. Le talent de la transmission ne vient pas forcément de la connaissance, mais du charisme. L.E. - Et ce qui m’impressionne chez toi, c’est la passion avec laquelle tu parles des mathématiques. Tu es un amant des mathématiques. Moi, je suis un amant du produit. De la créativité. J’aime construire des voitures toujours plus belles qui vont toujours plus vite. C.V. - Nous aussi, nous aimons la beauté. Tu viens de prononcer des mots très justes qui nous font vivre. Le métier de chercheur en mathématiques est un job bourré de passion, à la recherche permanente de l’élégance. L’une des questions que l’on se pose le plus est : est-ce que cette démonstration est belle ? Nous sommes à la recherche d’un produit parfait qui peut changer la façon de voir des gens. Nous travaillons lentement, durement. Nous sommes très concentrés. Nous, mathématiciens, brûlons d’un feu intérieur. -
Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
ELKANN è un hub di creatività fatto di un solo uomo da cui fuoriescono i tipi più disparati di idee, progetti e di cose a una velocità vertiginosa di JASON BARLOW [L'Uomo Vogue | aprile 2012 (n. 430)] Nell’atelier a vista dietro lo stand della Ferrari al Salone di Ginevra è in posa una FF, il modello fastback della casa, trazione integrale ed eleganza non convenzionale. La circondano un’infinità di campioni di tessuti, cartelle colore e immagini scelte accuratamente per ricordare l’ineguagliabile retaggio culturale della Ferrari. I sedili della vettura sono rivestiti di tessuto gessato. Si tratta della presentazione di “Tailor Made”, l’ultimo progetto di consulenza affidatogli dal Presidente di Ferrari Luca Cordero di Montezemolo. "È un servizio su misura simile a quello offerto da Huntsman, Anderson & Sheppard, o qualunque altro sarto in Savile Row. Mi interessano i tessuti particolari, i materiali insoliti: fibra di carbonio, cashmere, titanio. La pelle è splendida, ma non è l’unico materiale che si può usare per gli interni". Lapo potrebbe essere definito un iconoclasta per caso. Dice di essere un “italiano globale”, molto orgoglioso delle proprie radici, ma non disposto a lasciarsi limitare o imprigionare da esse. Un’infanzia irrequieta e itinerante gli ha regalato una visione del mondo unica ma non sempre accettata dai suoi connazionali, soprattutto in questo momento difficile. "Mi piace il mio paese ma non penso come un italiano. È un paese complesso, complicato, in cui è difficile far succedere le cose, con un grande potenziale attualmente ancora inespresso che vorrei contribuire a liberare". Cosa lo trattiene? Troppe questioni da spiegare in troppo poco tempo. Misura le parole con grande prudenza. "C’è la burocrazia, la gerontocrazia, negli affari, nella politica e nella religione. Ma esistono anche grandi realtà, aziende molto interessanti, persone che hanno fondato società con una prospettiva globale anche se provengono da piccole regioni del paese. Grandi creatori. Il mercato italiano è in un certo senso piuttosto provinciale e se vuoi essere globale non puoi agire come faresti in Italia. È un paese difficile da spiegare, oggi ancora più che in passato. Questa disfunzione ha un suo fascino, ma è proprio ciò che rende complicato fare affari qui. Correre rischi non aiuta, anche se non si può evitare. Bisogna comprendere il livello di rischio che ci si sta assumendo, e questo non è un paese che ti sostiene o ti aiuta in quella direzione. La faccenda si complica se vuoi essere innovativo o all’avanguardia. Guarda, essere all’avanguardia in questo mercato non significa esserlo a livello globale". Lapo viaggia in continuazione, la sua mente è un turbinio costante di idee, pensieri e progetti. Confessa di essere un sognatore, ma dotato di sufficiente passione e dedizione da riuscire a realizzare i propri sogni. L’anno scorso ha passato parecchio tempo a Londra. "Londra è come una fidanzata che ho amato ma con cui ho ferocemente litigato", spiega, "e di cui ora mi sono nuovamente innamorato. Qui si trovano un’arte incredibile e bravissimi professionisti della comunicazione e della finanza. È una città piena di energia, che mi mette di buonumore". Cerco sempre di vedere Lapo quando è in città, come recentemente in occasione dell’incontro con gli studenti del modulo post-laurea di design dei trasporti del Royal College of Art. Di fronte a una sala gremita, Lapo ha deviato quasi subito dall’argomento stabilito, si è messo a nudo e proprio per questo è piaciuto ancora di più. Oggi, la folta capigliatura ondulata alla Agnelli ha un taglio un po’ più preppy e il suo abbigliamento è studiatamente casual. Ma non serve osservarlo a lungo per vedere emergere l’inflessibile rigore con cui naviga attraverso la sua frenetica vita quotidiana. I suoi alti e bassi sono stati ampiamente documentati, anche se all’estero meno che in Italia, ed è probabilmente per questo che si sente così a suo agio a Londra, Parigi o New York. Ma chi è esattamente Lapo Elkann? "Sono un imprenditore freestyle e creativo. Non un uomo d’affari. Mi piace far nascere imprese che pongono al centro la creatività. Non sono mai soddisfatto. Penso che si possa sempre fare di più, un punto di forza e allo stesso tempo di debolezza nella vita. Mi piace interessarmi ad ambiti diversi, creare ponti tra campi che normalmente non comunicherebbero tra loro. Italia Independent è il veicolo ideale per questa impollinazione incrociata". La partnership dell’anno scorso tra Gucci e Fiat ha ottenuto molto successo e lui recentemente è riuscito a mettere insieme anche l’azienda svizzera di orologeria Hublot e la Ferrari. È una specie di hub di creatività composto da un solo uomo da cui fuoriescono ogni genere di cose a una velocità vertiginosa e a volte caotica. Ma non bisogna commettere l’errore di pensare che non ci sia rigore. "Italia Independent vuole essere un modo per scrivere ogni giorno la propria storia, in maniera indipendente, vale a dire rifiutando i compromessi. Non imponiamo un determinato look, ma vogliamo che i nostri clienti si costruiscano un loro gusto personale, mescolando tra proprio i vari capi. Siamo un marchio di contaminazione, non di imposizione". La passione per le auto è inscritta nel suo Dna: "Io provo tutte le macchine. Le automobili devono essere dannatamente sexy, perché qui non stiamo parlando di biscotti. Un’auto deve essere sensazionale e per me il design rappresenta il 70% dell’opera. Ma anche una bellissima macchina può essere un fiasco se la presenti sul mercato al momento sbagliato. Mi piace lavorare con l’industria automobilistica e aerospaziale perché riesco a trarne cose che altre aziende non riescono ad avere. Questo è uno dei nostri potenziali vantaggi, su cui dobbiamo fare maggiormente leva. Dobbiamo spingerci oltre, lavorando in questo modo innovativo. Non si tratta di moda, ma di stile: la moda è transitoria e non mi interessa farne parte. Non per nulla amo Winston Churchill. Amo la sua saggezza, la sua sagacia. Mi piacciono le persone che pensano con la loro testa: persone che non appartengono a un clan o a un sistema, che hanno talento e sono libere, in grado di agire senza lasciarsi corrompere dal sistema. La cosa più bella del mondo non è dire sì, ma essere capaci di dire no". -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
L'APPUNTO di LUIGI SALOMONE (IL TEMPO 14-04-2012) Processi giusti e non veloci per evitare un'altra Calciopoli art.scoperto grazie a P.CICCONOFRI I tifosi laziali hanno trascorso la giornata degli interrogatori di Mauri e Brocchi tra speranze e paure, ma con con una certezza: non vogliono più sentire dalle autorità sportive il riferimento a processi veloci proprio come accadde sei anni fa durante Calciopoli. Le scoperte successive, con il coinvolgimento di altre società, le intercettazioni postume scartate da qualcuno sensibile a qualche club potente piuttosto che ad altri, sono un brutto film già visto. E nessuno vuole rivivere quelle udienze che «Ruperto Speedy Gonzales» volle portare a termine, senza salvaguardare in alcun modo i sacrosanti diritti delle difese di poter esporre le proprie tesi. Stavolta sia giustizia giusta e non parziale e soprattutto non divisa in tre filoni successivi. Per ridare credibilità al calcio minato dall'autorete volontaria del capitano del Bari in un derby contro il Lecce, bisogna puntare su un mega-processo che dia verdetti completi. Per tutti. Bisogna attendere i risultati delle inchieste delle Procure di Cremona, Bari e Napoli prima di istruire il processo sportivo. Sarebbe impossibile accettare che una squadra possa perdere risultati sportivi importanti a vantaggio di un'altra che poi un mese dopo si scopre colpevole come la prima. Insomma non si crei ulteriore caos, si trovino riscontri chiari perché è vero che la giustizia sportiva ha altri principi rispetto a quella ordinaria, però non si può condannare sulla base di confessioni a rate di un pentito che si era venduto svariate partite. Peraltro riferendo verità dette da un'altra persona, uno della banda degli «Zingari», non proprio un uomo di provata moralità. Quindi, occhi aperti perché stavolta il pubblico laziale pretende certezze e non sentenze fumose prive di quelle prove necessarie per non far diventare i processi sportivi il regno di figli e figliastri. Lo scandalo infinito del calcio italiano di P.CICCONOFRI (GIÚleMANIdallaJUVE 16-04-2012) Il tempo.it ha pubblicato sabato 14 aprile un articolo dal titolo: "Processi giusti e non veloci per evitare un'altra Calciopoli". Vi riporto qualche passaggio: "I tifosi laziali hanno trascorso la giornata degli interrogatori di Mauri e Brocchi tra speranze e paure, ma con con una certezza: non vogliono più sentire dalle autorità sportive il riferimento a processi veloci proprio come accadde sei anni fa durante Calciopoli. Le scoperte successive, con il coinvolgimento di altre società, le intercettazioni postume scartate da qualcuno sensibile a qualche club potente piuttosto che ad altri, sono un brutto film già visto. E nessuno vuole rivivere quelle udienze che «Ruperto Speedy Gonzales» volle portare a termine, senza salvaguardare in alcun modo i sacrosanti diritti delle difese di poter esporre le proprie tesi". Ed ancora: "perché stavolta il pubblico laziale pretende certezze e non sentenze fumose prive di quelle prove necessarie per non far diventare i processi sportivi il regno di figli e figliastri". C'è piena consapevolezza della farsa di calciopoli, della mancanza di certezze a supporto delle sentenze e dell’abuso della giustizia sportiva. Consapevolezza che indirettamente possiamo trovare anche nella strategia mediatica che oggi non vuole più approfondire le tematiche legate al recente passato di calciopoli, ma che preferisce indirizzare la nuova indagine sul calcioscommesse con il solito giochino di puntare i riflettori verso la direzione che porta ad una soluzione di comodo. Giochi vecchi e subdole polemiche fanno da sfondo ad un ambiente che oramai ha imparato a riconoscere chi bleffa. E mentre intere trasmissioni sportive parlano del rinnovo di Del Piero, ripropongono le lamentele di Zeman contro l'arbitro di turno e le recriminazioni con il solito ritornello di Allegri, i tifosi si preoccupano di non essere le prossime vittime del sistema gestito a piene mani (i "figliastri") dalla giustizia sportiva; non vogliono essere condannati da processi veloci e senza potersi difendere. Leggere che qualcuno mette le mani avanti per non essere giudicati nell'assurdo modo con cui hanno avallato calciopoli, è la dimostrazione che anni di contro informazione sono serviti per far comprendere un certo modo di agire della giustizia sportiva anche ai tifosi, nonostante il muro eretto a sua difesa da un politica senza argomenti ma ancora con molto potere. Anni di scandali presunti (calciopoli), usati per coprire i veri scandali, quelli che hanno portato al collasso attuale di tutte le strutture del mondo sportivo, con politicanti più preoccupati a difendere la poltrona che a cogliere tutti quei segnali che potevano evitare una nuova vergogna al nostro calcio. Ci sono le solite parole di circostanza, quelle di Abete e Petrucci e c’è la consapevolezza nei tifosi dei limiti di questo sistema, che non si può combattere adeguatamente quando devi confrontarti con un modo che si muove solo quando viene colpito direttamente. E' questo il punto debole su cui forza l'intero sistema per continuare questa politica di imposizione. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Il calcio chiude per lutto di OLIVIERO BEHA dalla rubrica Partite&partiti (tv.ilFattoQuotidiano.it 16-04-2012) Giornata di lutto nel calcio per la morte a soli 25 (anni) del giocatore del Livorno Piermario Morosini. Bene ha fatto la Federcalcio ad abbassare la saracinesca del campionato: non disputare le partite ha ricordato ai tifosi e agli italiani che non viene prima il campionato e poi la vita, ma casomai il contrario. Lo ha detto anche il fuoriclasse dell’Udinese, Antonio Di Natale: “Si gioca troppo, così non ce la facciamo”. Questo è il nocciolo: i giocatori non sono statuine di un presepe. Deve succedere un dramma del genere per far capire che non si può andare avanti così? Anche per il calcio, come per l’economia, varrebbe la pena di applicare la teoria della decrescita -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
PRIMO PIANO Il calcio gioca in rosso in tre campionati un miliardo di perdite NELLA SOLA STAGIONE 2010-11 LE PERDITE SONO STATE DI 428 MILIONI E LE PROSPETTIVE SONO PER UN PEGGIORAMENTO: NON AUMENTANO PIÙ I DIRITTI TELEVISIVI NÉ GLI INCASSI DEGLI STADI E DIVENTANO INSOSTENIBILI GLI STIPENDI DEI CALCIATORI di ETTORE LIVINI (la Repubblica - AFFARI & FINANZA 16-04-2012) Debiti al livello di guardia. Conti in profondo rosso e sotto il faro delle istituzioni internazionali. Performance sul campo che ci fanno rischiare la maglia nera nel Vecchio continente. Il calcio è lo specchio della società. E la Serie A, tanto per non smentire i dogmi della sociologia, è l’immagine in fotocopia (governo tecnico a parte) dello stato di salute dell’Italia. Desolante. Su 107 club rappresentati in Lega solo 19 lo scorso anno sono riusciti a chiudere il bilancio in utile. Ci si riempie la bocca di buoni propositi, obbligatori visto che dal 2015 chi non ha i conti a posto non potrà partecipare alla Champions League. Alla fine però – come nel Gattopardo – tutto cambia perché tutto resti come prima: Inter, Juve, Milan, Roma, Lazio e gli altri team della massima divisione hanno perso nel 2010-2011 poco più di 1,13 euro per ogni euro che hanno incassato. Le entrate sono state pari a 2,03 miliardi, in lieve frenata (1,2%) per la prima volta dal 2006. E l’esercizio si è chiuso in rosso per 300 milioni. L’intera galassia del pallone (Serie A, Serie B e Lega Pro comprese) ha perso lo scorso anno 428 milioni, portando a 1,1 miliardi il passivo degli ultimi tre anni. Numeri che in Borsa avrebbero già costretto da tempo l’amministratore delegato della Calcio Spa a portare i libri in tribunale. Mal comune mezzo gaudio, dicono i manager (o presunti tali) al timone di questo Titanic. A tappare il buco - sostengono - sono i libretti d’assegni dei presidenti e non i soldi dei contribuenti. E le casse dello Stato incassano ogni anno che Dio manda in terra qualcosa come 680 milioni in contributi previdenziali e tasse. Di più: l’Europa non sta molto meglio. Il business del soccer cresce a vista d’occhio (i ricavi continentali sono arrivati a 12,7 miliardi con un rialzo medio del 9,1% nell’ultimo lustro), le tv si strappano di mano i diritti in aste miliardarie. Ma alla fine i conti non tornano per tutti: il 61% dei club censiti dalla Uefa è in rosso e il sistema calcio - dal Portogallo a Mosca, dalle Fær Øer all’Apoel Nicosia - macina ogni anno 1,6 miliardi di perdite complessive. Se le regole sul Fair play volute da Michel Platini fossero entrate in vigore quest’anno (chi ha i conti in rosso in modo significativo non partecipa alle competizioni europee) il 55% delle squadre sarebbe stato escluso da Champions e Europa League. Il dramma dell’Italia è che sul Titanic del calcio il Belpaese viaggia in terza classe. Sul campo i risultati parlano da soli: non abbiamo più una squadra nelle competizioni internazionali e siamo scivolati dal nono al dodicesimo posto nel ranking della Uefa. Sul fronte finanziario e strategico, se possibile, siamo messi ancora peggio. La nuova legge per agevolare la costruzione degli stadi di proprietà (l’ancora di salvezza dei big spagnoli, tedeschi e inglesi) è da anni al palo e solo la Juventus è riuscita a mandare in porto il progetto. E senza i ricavi generati dalla gestione di queste strutture è ben difficile far quadrare i conti. Guardiamo i numeri. Le vendite di biglietti e i servizi allo stadio sono ormai un business marginale per i club. Lo scorso anno sono state pari al 10% circa delle entrate, una percentuale ridicola rispetto al 33% generato da Manchester United & C., proprietari dei loro campi. Non solo. Tessera del tifoso, tornelli e stadi vetusti tengono lontano i tifosi dagli spalti. Nel 2010-2011 gli spettatori paganti sono calati dell’8,2%, un segnale allarmante, e il tasso di riempimento medio degli stadi della Serie A si è fermato a un modesto 56%. Certo non è colpa dei prezzi visto che il costo medio di un biglietto per la nostra massima divisione è di 20 euro circa contro i 50 della Liga spagnola e i 48 della Premier League. Che possono permettersi di far pagare queste cifre grazie alla qualità dei servizi offerti. Sul fronte delle entrate, dopo la corsa degli ultimi anni, segnano il passo anche i ricavi per diritti tv, che pure rappresentano ormai la metà del fatturato della Serie A. A far lievitare gli introiti fino a oggi è stata la sfida a colpi di rilanci tra Sky e Mediaset per aggiudicarsi l’onore di trasmettere le dirette delle partite. Una concorrenza che aveva fatto bene alle casse dei club. Oggi però le cose stanno iniziando a cambiare. La redditività del Biscione perde colpi, l’esperimento della pay tv sul digitale segna il passo, almeno sotto il profilo dei risultati economici. E il rischio (per il nostro calcio) è che le aste del futuro possano essere al ribasso. Con una sorta di monopolista - le tv satellitari di Rupert Murdoch - a dettare le regole del gioco. Un’azienda normale, davanti a una fotografia di questo tipo, sa cosa deve fare per far quadrare i conti: se le entrate non salgono, l’unica soluzione è tagliare i costi. Ridimensionando in particolare gli stipendi per i giocatori, di gran lunga la spesa più importante per una squadra di serie A. Anche qui da anni fioccano i buoni propositi. Ma risultati zero: lo scorso anno su ogni 100 euro incassati dai nostri club, ben 69 sono stati utilizzati per le buste paga della rosa. Più o meno lo stesso livello degli ultimi cinque anni. In Europa (dove il 10% dei team paga più stipendi del suo fatturato) non va molto meglio, ma almeno siamo a quota 64. Non serve una laurea alla Bocconi per capire che con questo sbilancio dei conti non si va troppo lontano. E infatti oltre a 300 milioni di perdite, il massimo campionato tricolore è riuscito nel bel risultato di mettere assieme anche 2,6 miliardi di debiti. Una zavorra che prima o poi rischia di mandarlo definitivamente a fondo. I nodi, come vaticina da tempo Platini, verranno al pettine nella stagione 2013-2014. Tra due anni i numeri di bilancio non saranno più un’opinione ma il biglietto da visita necessario per poter accedere all’Europa che conta. Quella dei tornei continentali che, oltre che a tanto prestigio, portano pure molti soldi. Allo stato l’Italia, al di là del declassamento subìto nel ranking, rischia di rimanere fuori da ogni torneo. Ed è in buona compagnia. Barça e Real Madrid dominano la scena continentale sul campo. Ma quanto a stato di salute finanziario non sono poi messe molto meglio dei nostri club. I debiti della Liga, secondo uno studio dell’Università di Barcellona, viaggiano alla quota stratosferica di 3,5 miliardi. Troppi per sperare di riportare la barca a livello di galleggiamento entro il 2014. Tanto che il Governo di Madrid, impegnato in questi giorni nella terza manovra che chiederà sacrifici ai suoi cittadini, sta studiando un condono fiscale da 680 milioni di euro in favore delle squadre di calcio per non rompere uno dei pochi giocattoli rimasti agli spagnoli. Il calcio italiano invece potrà contare solo sulle sue forze. E il problema è che anche i Paperoni di una volta, quei presidente pronti a spendere decine di milioni per la passione del pallone, ormai non esistono più. Moratti deve fare i conti con i guai della Saras, Silvio Berlusconi ha già le sue belle gatte da pelare con Mediaset, la Juve - che pure con lo stadio di proprietà è anni luce davanti agli altri - non può permettersi colpi di testa come Lazio, Napoli e Roma. E il futuro prossimo venturo allora ha le carte segnate. O un percorso di decrescita del calcio tricolore (magari finalmente farà emergere qualcuno dai vivai) o l’arrivo nella penisola di quei nuovi ricchi, russi, cinesi e arabi in testa, che già hanno cambiato il volto proprietario del soccer nel resto del continente. ------- [ L’INTERVISTA ] Uckmar: "Gravi le scommesse ma il vero scandalo è nei bilanci" L'EX PRESIDENTE DEL COVISOC ACCUSA: AL DI LÀ DELLE VICENDE PENALI, IL GUAIO È CHE FRA EVASIONI FISCALI E CONTI ARTEFATTI IL SETTORE RESTA PRIVO DI REGOLE PRECISE. "NEANCHE LE QUOTAZIONI IN BORSA HANNO PORTATO UN PO' DI CORRETTEZZA E DI ETICA" di EUGENIO OCCORSIO (la Repubblica - AFFARI & FINANZA 16-04-2012) «Il mondo del calcio ha tantissimi problemi. Quelli giudiziari, ma soprattutto quelli finanziari. Questi ultimi, ora che c’è la crisi, stanno ulteriormente peggiorando: vengono meno tante sponsorizzazioni e, parliamoci con franchezza, anche l’utilizzo della false fatture. Era diffusissimo e nessun invito all’etica e al rispetto delle regole era riuscito finora ad arginarlo: ma finalmente, ora che Befera e la finanza non scherzano più, sta crollando. Senza contare che i due discorsi, sponsor e fatture false, spesso e volentieri s’incrociavano». Victor Uckmar, classe 1925, emerito di diritto tributario dell’università di Genova e attualmente docente alla Luiss e a Macerata, è tagliente nei suoi giudizi come sempre. Dal suo studio legaletributario di Genova, uno dei più prestigiosi d’Italia, risponde con amara ironia ricordando quanto ha cercato di instillare moralità e regole nel mondo del calcio: da presidente del Covisoc, l’agenzia della Figc per il controllo sui bilanci, ha combattuto per tutti gli anni ‘90 epiche battaglie in nome dell’etica, «quasi tutte perse». Però con una soddisfazione: «I membri della commissione che presiedevo erano cinque, e abbiamo preso tutte le decisioni e le pronunce all’unanimità». Professore, perché diceva che i due discorsi, fatture false e sponsorizzazioni, finiscono spesso con il sovrapporsi? «Le faccio un esempio molto semplice e altrettanto diffuso. Un’azienda sponsorizza una squadra, e questa subito dopo restituisce alla stessa azienda parte di quanto aveva ricevuto per la sponsorizzazione. Così l’azienda si crea un pool di denaro in nero. Poi ci sono gli infiniti imbrogli connessi con i compensi ai giocatori, l’omesso versamento delle ritenute non effettuate, i giochi intorno all’abitudine per la società sportiva di pagare essa stessa le imposte al posto del giocatore: se devo dare un milione al calciatore su questo gravano duecentomila di ritenuta. Le tasse se si agisse con onestà andrebbero calcolate su un milione e duecentomila, invece a volte vengono calcolate su un milione». Sono accuse pesanti... «Mi sto facendo degli altri nemici nell’ambiente, come se non ne avessi abbastanza. Ma, mi creda, la contabilità delle società di calcio è una cosa da mettersi le mani nei capelli. Va pur detto che, al di là degli aspetti etici, guadagnare con il calcio è praticamente impossibile. Ci sono emolumenti incredibili in tutte le serie maggiori, non solo A e B ma anche nella Pro Lega (la ex serie C, ndr). Non a caso le società stanno diminuendo: nella Pro Lega da 90 nel 2010/11 sono scese a 77 nel campionato in corso. Ho proposto di mettere un tetto ai salari ma è una misura vana, facilmente aggirabile. Avevo proposto anche di limitare la rosa dei giocatori e questo avrebbe ridotto le spese e incrementato il mercato dell’offerta. Ma non c’è stato niente da fare. C’è un problema di fondo: il progressivo calo dei biglietti e degli abbonamenti, che ormai non coprono più del 2030% dei bilanci». Ma i diritti televisivi non compensano questo gap? «Non del tutto, e anche essi stanno scendendo. Le società si salvano per quel misto di follia popolare e capacità di arrangiarsi che inevitabilmente ruota intorno al calcio. Mi ricordo che un anno si dovevano soddisfare certi requisiti contabili entro il 31 dicembre. La scadenza stava avvicinandosi e addirittura l’Inter, in una gestione precedente a quella attuale, non ce la faceva. All’ultimo come d’incanto, malgrado io sostenessi la necessità di non modificare i regolamenti nel corso della stagione, la deadline fu spostata al 31 marzo. Ha visto cosa si può fare con qualche biglietto di tribuna d’onore?» Quanto conta la politica nel calcio? «Moltissimo, e non c’è distinzione fra governi di sinistra e di destra. Io ne ho visti di tutti i tipi: i primi per esempio limitarono i poteri del Covisoc, ai secondi si deve quel capolavoro di machiavellismo che furono i decreti salvacalcio con la diluizione venticinquennale dei debiti in deroga alle leggi commerciali e fiscali, roba che non si è vista neanche nel salvataggio della Grecia. E infatti l’Europa ce l’ha censurato». La Borsa non potrebbe essere una soluzione? «Potrebbe esserlo perché le società sono finalmente costrette a redigere un prospetto corretto. Ma ci sono troppe incognite e troppi rischi per i risparmiatori. Oltre all’andamento finanziario bisogna anche stare attenti ai risultati sportivi. Mi ricordo quando con Carraro fui convocato dalla Consob per esporre la nostra opinione sulla quotazione delle società. Lui era entusiasta, io ammonivo: "purché sul prospetto, a lettere cubitali sia scritto: non sono adatti a vedove e orfani". Ne venne fuori un putiferio». Debiti, perdite, grane: ma perché i capitani d’industria continuano a investire nel calcio? «Diciamo che qualcuno lo fa per genuino spirito campanilistico. Ma chi ha un gruppo diversificato lo fa spesso per avere una società che perde, e nel calcio come abbiamo visto si perde sicuro, per scaricarsi le perdite nella holding. È una vecchia storia, e non c’è modo di scardinarla, così come tante altre cattive abitudini come la factorizzazione dei proventi televisivi solitamente triennali: una televisione firma un contratto e l’amministratore della società si precipita in banca a scontare l’intero importo di tutti e tre gli anni. Ci sono infine dei presidenti che lo fanno per il prestigio personale che dà l’essere il patron di una società. Una volta un industriale di medio livello mi disse: per me sarebbe stato impossibile diversamente sedermi a tavola con Agnelli. Costi quel che costi». -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Lotito c'a fatt a' ualler' a' pizzaiuol PANORAMA | 18 aprile 2012 -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Stop al calcio giocato. E' retorica, non lutto di GIAMPIERO MUGHINI (tiscali: opinioni 16-04-2012) Confesso che in morte del povero Piermario Morosini mi è piaciuto di più quello che hanno fatto all'avvio di una partita della serie A spagnola, osservare un minuto di silenzio in ricordo del giocatore del Livorno, che non la decisione di dare uno stop a tutti i tornei italiani di calcio agonistico. Perdonatemi se distinguo tra il lutto e la retorica, a me sembra una distinzione necessaria. Mille volte di più Morosini sarebbe stato onorato e ricordato da un minuto di silenzio su tutti i campi verdi, dal fatto che fosse pronunciato da centinaia di migliaia di voci il suo nome che purtroppo fra un mese nessuno ricorderà più, dall'invenzione dei tifosi che in questi casi sanno essere originali e creativi, o magari dal trasmettere la canzone che lui amava di più. Mi obietterete che tutto questo lo si potrà fare domenica prossima o il 25 aprile, se sarà quello il giorno prescelto per recuperare il calcio che non è stato giocato il 15 aprile. Me lo auguro vivamente. Questo ragazzo sventurato che ha finito a 25 anni la sua vita, una vita che mai era stata facile, lo stramerita. Mi obietterete ancora: per una volta che è stata scelta la strada del silenzio, noi che ci siamo abituati a una società talmente schiamazzante. Ecco, non sono così sicuro che il silenzio sia stato il miglior modo di ricordare Morosini. Non sono sicuro che tra le 15 e le 17 di questa maledetta domenica il suo nome aleggiasse nel ricordo e nella commozione di molti italiani. Meglio ancora. Qual è il significato esatto di questo silenzio? Forse che giocare a calcio era un ledere la memoria di Morosini, una forma di sciatteria e di menefreghismo? Io non lo penso affatto. A organizzare la cosa bene, ci potevano essere modi di ricordarlo immensamente di più. Quando un grande giocatore di pallavolo, il nazionale e campione del mondo Vigor Bovolenta, è caduto giù ed è morto qualche settimana fa, abbiamo scelto la strada del silenzio? Non mi pare. E se un giocatore di calcio muore in un incidente stradale mentre sta andando con la sua auto a un allenamento, anche lì interrompiano i tornei? Scusate se insisto, a me questa sembra retorica e non lutto. Con questo gesto di annullare per una domenica il calcio giocato, si vuole drammatizzare il fatto che i giocatori odierni sono a rischio, nel senso che il calcio è divenuto agonisticamente irto e stessante? Allora bisogna dirlo chiaro e tondo, e fare analisi mirate del reparto medicinali di cui si avvale una società di calcio professionistica. Dirlo chiaro e tondo che il calcio estremo che si pratica oggi, il calcio a cento all'ora e in cui ogni giocatore per 90 minuti va all'assalto di tutti gli altri, è divenuto uno sport a rischio. Qualcuno sta dicendo questo? Non mi pare. E' la solita abitudine all'italiana, la predilezione del gran gesto, del gran teatro. O il nulla o il tutto. Laddove c'è una misura in tutte le cose della vita, e dunque anche nelle sue tragedie. "L'ultimo calciatore che doveva morire" ha scritto di Morosini un quotidiano italiano. Ecco, non sarebbe stato più toccante ed efficace spiegare e scandire questo specifico lutto negli stadi aperti anziché negli stadi chiusi? Me lo domando e ve lo domando. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 16-04-2012) Si gioca troppo? Ma la A non vuole ridurre le squadre "Si gioca troppo": l'allarme arriva proprio dai calciatori. E' vero: un tempo, ricorda il dottor Piero Volpi, consulente dell'assocalciatori, un giocatore faceva al massimo 45-50 partite in una stagione. Ora può arrivare a 65-70. Un esempio: Michel Platini 56 gare nel 1982-83; Samuel Eto'o 62 partite nel 2009-'10. Giovanni Petrucci ha detto che è un problema che va discusso con serenità (che manca), senza farsi travolgere dall'emozione. Ma in realtà, ridurre il numero delle partite è sempre più difficile. Ci sono le esigenze di Fifa e Uefa, che allargano i loro tornei (con soddisfazione delle Federazioni che prendono più soldi. . . ). Ci sono i campionati nazionali che, vedi soprattutto l'Italia, devono rispondere alle tv che li tengono in vita a suon di miliardi di euro. Da noi, da anni si parla di riforma dei campionati: al massimo si può fare il blocco dei ripescaggi per la serie B e la Lega Pro (e difatti se ne parlerà nel prossimo consiglio federale del 27 aprile), ma di un progetto di riforma vero, serio, approfondito e che coinvolga tutte le aree calcistiche non c'è nulla. Ogni Lega va avanti per conto suo, e anche il sindacato calciatori ha l'esigenza di tutelare i posti di lavoro. Nessuna nazione europea ha il nostro parco professionistico. La Lega B vorrebbe partire il più presto possibile con quello che il presidente Andrea Abodi ha fatto (già) votare ai suoi club: la riduzione da 22 società (follia del passato...) a venti. Un primo passo avanti ma significativo. La Lega Pro ha già stabilito di scendere a tre gironi con un massimo di 60 club (trenta in meno rispetto ad anni fa, altra follia): scelta obbligata perché molte, troppe società, non ce la fanno ad iscriversi, mentre altre dopo essersi svenate per iscriversi falliscono a campionato in corso o non pagano più gli stipendi (basta vedere le tante, troppe penalizzazioni). Per questo giustamente Mario Macalli vuole "ripulire" la sua Lega: solo club sani in futuro. Ma, ripeto, un piano organico non c'è. La Lega di A, ad esempio, da decine d'anni ha in un cassetto un progetto di ristrutturazione del campionato ma non ci pensa assolutamente a tirarlo fuori. I grossi club (Milan, Juve, Inter, ecc.) sarebbero a favore di una riduzione da 20 a 18 squadre, avendo così più spazio per l'attività internazionale. Ma i medio-piccoli non ne vogliono sapere. Temono, ma non è detto che sia vero, che le pay tv, riducendo i club, possano pagare di meno. Di sicuro si giocherebbero meno gare, il calendario non sarebbe così ingolfato (con turni infrasettimanali in inverno che scatenano solo polemiche e disagi per i tifosi) e il livello del gioco probabilmente ne avrebbe un beneficio. Ma tutto è fermo. Non se ne discute nemmeno. Sino al 2015 la Lega di A ha venduto i diritti tv con questo "format" del campionato, è vero: ma perché non studiare un piano dal 2015 in avanti? Una volta c'erano 18 squadre e quattro retrocessioni. Ora sono venti, e sole tre retrocessioni (con il "paracadute"). Pensate che possano (vogliano) tornare all'antico? Pia illusione. Anni fa, molti anni fa, l'attuale presidente della Figc, Giancarlo Abete, aveva studiato un piano dettagliato di riforma dei campionati. Fu bocciato dai veti incrociati. Ora Abete, che è il n.1 del calcio, non può certo imporlo alle Leghe: lo statuto glielo vieta. E così tutto resta fermo, si sprecano i tavoli di lavoro (e le cene) che non portano a nulla. La tragedia di PierMario, comunque, potrebbe portare ad una maggiore attenzione, e prevenzione, per quanto riguarda la salute degli atleti. La Lega Pro presto firma un protocollo con la Federazione medici sportivi. Ospite in studio durante la rubrica "Mattino Sport", in onda dalle 7 di questa mattina su Rai Sport 1, il presidente della Lega Serie B, Andrea Abodi, ha fatto il punto a poche ore dalla tragica scomparsa di Morosini. "Cercare di migliorare la sicurezza? Si può sempre fare di più, ma se vogliamo dare un senso a tutto quello che è successo, dobbiamo alzare l'asticella dell'attenzione in tutti i sensi. In tutti i campi di calcio ci sono i defibrillatori e questo va ricordato. Al di la di quello che è accaduto, che ha davvero sconvolto tutti, nostro compito adesso è trovare soluzioni per salvare la vita di tutti quelli che potranno avere lo stesso problema in futuro. Cosa faremo per ricordare Morosini? Il prossimo weekend tutti i giocatori che scenderanno in campo avranno la maglietta numero 25 di Morosini". Giancarlo Abete insiste sulla preparazione degli allenatori e su una diffusione più capillare dei defribillatori. L'Italia comunque è all'avanguardia nei controlli: lo ha ricordato Giovanni Petrucci al ministro Piero Gnudi (che in teoria dovrebbe essere il ministro dello sport...). RaiSport news, debutta il nuovo canale. Bene la F.1 Esordio oggi per il canale tematico sportivo della Rai (su Rai Sport 1) con molti ospiti importanti e temi di stretta attualità (bravo Mazzocchi), mentre le trasmissioni, senza campionati, ne hanno per forza risentito: Stadio Sprint all'8,13% di share, Domenica Sportiva al 5,06%. Bene ha fatto la finale di volley su Rai Sport 2 (1,08%, 237.000 spettatori) mentre il Gp di Cina di Formula 1, nonostante la crisi Ferrari, ha toccato il 47, 29% di share (5 milioni 164.000). ------- Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 16-04-2012) Presidenti scandalo Beretta al capolinea Se qualcuno ancora non se n'era accorto, beh, ieri ha capito. Tutti hanno capito com'è ridotto il calcio, e finalmente non sembra più normale, o almeno non troppo, che chi lo organizza, gestisce, indirizza possa fare scempio quotidiano anche delle più elementari regole civili. Il ridicolo di cui ieri parlava Franco Baldini, a proposito delle oscene liti scoppiate sul recupero della giornata saltata per lutto, è molto più che una nuova fermata nel viaggio insensato che la Lega calcio ha intrapreso da mesi, da anni, da quando ha tutto cancellato in nome dei soldi, peraltro una montagna di soldi spesi talmente male da portare le squadre italiane nella periferia dell'Europa. Quell'accapigliarsi scalmanato in nome di miserabili interessi, non si capisce se sportivi (meglio giocare prima con questo che con quello) o economici (meglio non infastidire la tv che vuole quel posticipo invece di quello) è il capolinea di un gruppo che ha smarrito il senso della realtà, che non è più in grado di aprire gli occhi, guardarsi in torno, capire che il mondo di cui si credono e sentono padroni è ormai nauseato. Da loro. E' un capolinea morale, certo: la zuffa sulle spoglie dell'eroe morto, qualcosa che da millenni l'uomo ha messo al bando, codificandone l'inumanità. Ma è anche il capolinea di un'organizzazione, la Lega calcio, non soltanto delegittimata, come ha detto Baldini, ma ormai dissolta, inesistente, grottesca. E soprattutto senza un capo, a meno di non voler continuare a raccontare alla gente che Maurizio Beretta è davvero un capo: un signore che in cambio dei 30 mila euro al mese che riceve accetta l'umiliazione di non essere neppure consultato quando qualcun altro decide di sospendere il campionato che teoricamente lui organizza, un signore incapace di prendere un decisione che eviti la devastante figura fatta ieri, un signore che sta lì esattamente far fare ciò che fa: niente. In modo che gli altri, i padroni dei club, possano spartirsi soldi, spazi, potere a proprio piacimento, senza regole, controllo, criterio altro che non sia l'arroganza. Ci diranno che no, che è stato un equivoco, che figuriamoci, che tutti erano disponibili a trovare un accordo su come recuperare la giornata, che è stata solo una questione tecnica, che sarà onorata la memoria di Morosini e che il calcio si unirà per ricordarlo al meglio e aiutare la famiglia. Non importa, non serve, è troppo tardi. Basta quello che è successo domenica per rendere l'idea dell'abisso, con l'Italia che piangeva, in tutta Europa si giocava con lutto, e loro si telefonavano urlando per guadagnare qualcosina dalla situazione: un infortunato recuperato, una squalifica da scontare contro un avversario più debole, una manciata di punti di audience da garantire alla pay tv, tre ore di riposo in più rispetto alla rivale. Piccole miserie da sbrigare, prima di andare tutti ai funerali di Morosini, con i loro vestiti di buon taglio e gli occhiali scuri. Ecco, l'abisso. Abete e Petrucci ci dicano se si può sperare di cominciare a tirarcene fuori, magari evitando le solite frasi di circostanza del genere: la Lega è una grande organizzazione che saprà trovare un accordo collegiale. Perché l'unica cosa sensata da dire oggi andrebbe detta a Beretta: grazie, è ora. Vattene. -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Spagna padrona d´Europa ma il potere logora i bilanci Debiti alle stelle per le 5 semifinaliste di coppa Champions ed Euroleague parlano spagnolo, 489 mln di rosso. E il Bayern grida allo scandalo di ANDREA SORRENTINO (la Repubblica 16-04-2012) Prima la buona notizia o quella cattiva? La buona, anzi l´ottima: il calcio spagnolo tiranneggia l´Europa, per la prima volta nella storia ha cinque semifinaliste su otto nelle coppe europee. Quella cattiva è che per salire così in alto il movimento sguazza nei debiti: la risposta del Governo a un´interrogazione parlamentare ha rivelato che i club dei tre campionati professionistici devono al fisco 752 milioni (489 la sola Liga), una somma che negli ultimi quattro anni è lievitata di 150 milioni; se aggiungiamo le altre esposizioni dei club con le banche, il totale porta a circa 4 miliardi di euro di debiti complessivi. E questo nonostante la ben nota fiscalità agevolata, che con la legge Zapatero consentì ai club di pagare un´aliquota del 24 per cento per gli ingaggi dei giocatori stranieri. È tutto folle ed esagerato nel futbol egemone in Europa. Esageratissime sono le due corazzate che fanno da traino: il Barcellona e il Real Madrid sono così oltre, si sono spinte talmente in là nella corsa a superarsi, da aver scavato un solco tra il loro iperuranio e i comuni mortali, sono fortissime e inavvicinabili in Spagna e in Champions, esibiscono prestazioni e numeri abbacinanti, Messi e Cristiano Ronaldo hanno già segnato più di 50 gol ufficiali (il Barça è a quota 161 reti totali, il Real 157) e continueranno a sfidarsi fino all´ultima giornata di Liga, forse anche nella finale di Champions a Monaco (ma Chelsea e Bayern non partono già sconfitte in semifinale). Dietro Barça e Real, che divorano da sole la metà dei diritti televisivi della Liga (su 640 milioni, 320 vanno alle due regine e il resto alle altre 18), in campionato c´è il vuoto, perché la terza è il Valencia a 33 punti dal Real capolista: l´equilibrio, questo sconosciuto. Eppure il traino dei due mostri ha fatto bene a Valencia, Athletic Bilbao e Atletico Madrid, semifinaliste in Europa League. Il Valencia di Emery è equilibrato, con poche stelle (Adil Rami in difesa, Soldado in attacco) e sopravvive a fatica al suo passato, l´Athletic del "Loco" Bielsa è invece una delle sorprese del calcio europeo col suo 4-3-3, schemi d´attacco di nitida bellezza che hanno portato allo storico trionfo di Old Trafford (3-1), ma ha anche individualità da urlo come Javi Martinez e il ventenne Munain; l´Atletico Madrid è guidato da Simeone, ha perso in Europa una sola partita (a Udine nel primo girone: 0-2) e ha giocatori come Falcao, Adrian Lopez e Miranda che da noi spopolerebbero, oltre a un Diego che si sta togliendo qualche sassolino con una stagione mirabile. L´Europa League sembra un affare spagnolo, coi portoghesi dello Sporting Lisbona quarto incomodo. Ma intanto i debiti aumentano: i club contano di ripianare quelli col Fisco entro il 2020, portando come garanzia il nuovo contratto televisivo che sarà firmato nel 2014: 900 milioni totali e spartizione più equa. Eppure la voragine è enorme. Quando l´ha saputo, il presidente del Bayern Uli Hoeness è esploso a modo suo: «La Germania ha dato centinaia di milioni alla Spagna per tirarla fuori dalla ɱerda, poi i club calcistici non pagano le tasse. È uno schifo». -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Il Sole 24 ORE 16-04-2012 -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
La grande storia del calcio italiano 1908-1910 Juve, scippati due titoli Inter, l'atroce beffa di CARLO F.CHIESA (GUERIN SPORTIVO | MAGGIO 2012) 1908 FARDELLI D'ITALIA Il fuoco cova da tempo sotto la cenere. È stato scritto che il 1908 «rappresenta la stagione delle novità e segna per il calcio italiano il passaggio dall'età della fantasia a quella della ragione, dall' adolescenza alla pubertà». In realtà è negli ultimi mesi del 1907 che scoppia il bubbone. In seconda categoria è sorto l'astro della Pro Vercelli, che ha vinto il campionato sciorinando un calcio di buona qualità grazie all'impiego esclusivo di giocatori della città (e si confermerà nel febbraio 1908 superando in tromba in Coppa Bona a Biella il Milan Campione d'Italia e la Juventus). Il già citato movimento per una italianizzazione del pallone sostiene che solo uscendo dalla soffocante "tutela" dei tanti, troppi stranieri, gli italiani potrebbero imparare "a fare da sé", creando una scuola indigena. Ora l'esempio dei bianchi piemontesi offre il destro ai fautori del nazionalismo più spinto per imprimere un'accelerazione decisiva alle proprie istanze: una squadra come la Pro non può restare fuori dal grande giro e casomai va aiutata a trovare terreno fertile per emergere compiutamente. Così, onde consentire ai vercellesi di giocare tra le elette con buone possibilità di imporsi, viene avanzata la proposta di riservare un torneo, la Coppa Romolo Buni (dal nome del mecenate offerente, campione di ciclismo e appassionato di tutti gli sport), vinta quell'anno dall'U.S. Milanese, esclusivamente a giocatori italiani. Alcuni applaudono, altri si schierano subito contro, opinando che una "scuola" non si crea cacciando i. . . maestri, cioè impedendo agli stranieri, che il gioco lo hanno importato da noi, di continuare a insegnarlo agli italiani. Il dibattito tra gli appassionati si accende. La questione è anche - come sempre accade - di carattere economico: in quell'anno sono ben 52 i club iscritti alla Federazione, soprattutto del Nord, ma anche di Toscana, Lazio e Campania. Pochissimi però dispongono dei mezzi finanziari per rimborsare i giocatori stranieri e più in generale per iscriversi al campionato e sostenerne i costi (soprattutto di trasporto nelle trasferte), gli altri devono accontentarsi di giocare partite a livello dilettantistico e strettamente locale. Per risolvere la questione, viene convocata per il 20 ottobre 1907 a Milano una Assemblea straordinaria della Fif, cui partecipano i rappresentanti di 24 società. La disputa raggiunge toni accesi. All'ordine del giorno c'è infatti un passo ulteriore verso l'italianizzazione del pallone: "Dare ai campionati una caratteristica di vera nazionalità italiana". SIAMO UOMINI O FEDERALI? Mettendo insieme le varie istanze, si raggiunge un compromesso: mantenere il campionato così com'è, ma aggiungerne un altro, riservato esclusivamente a squadre composte da giocatori indigeni. Bene, tutti d'accordo. Macché. La disputa diventa di fuoco quando si tratta di stabilire le denominazioni dei due tornei: quello vecchio resta italiano, no, è quello nuovo che deve chiamarsi italiano, riservato com'è a elementi nati nel nostro Paese. Alla fine il presidente dell'Andrea Doria, Zaccaria Oberti, presenta un ordine del giorno da approvare o respingere: «L'Assemblea delibera che il Regolamento organico sia modificato in modo da comprendere due gare di Campionato: la prima chiamata Campionato Federale, libera a tutti i soci appartenenti alle società iscritte alla Federazione anche se stranieri, purché domiciliati regolarmente in Italia, come prescrive il programma, e la seconda chiamata Campionato italiano e riservata ai soli giuocatori italiani o nazionalizzati appartenenti alle Società Federate. Alla prima sarà assegnata la Coppa Spensley senza pregiudizio della Società che attualmente la detiene. Alla seconda sarà invece assegnata la Coppa Buni. Le modalità delle gare saranno coordinate in apposito regolamento da una commissione all'uopo incaricata». Ora, la Coppa Spensley, intitolata al celebre medico grande animatore del Genoa in quanto da lui offerta, spettava al vincitore del campionato e sarebbe stata assegnata in via definitiva a chi fosse riuscito ad aggiudicarsela tre volte di fila. Il Milan dunque, avendo vinto nel 1906 e nel 1907 ed essendo la squadra più tosta in circolazione, puntava forte a far suo l'ambito trofeo. Composto in maggioranza da giocatori nati all'estero, il club rossonero, assieme ai rappresentanti di Libertas Milano, Genoa, Torino e Naples, protesta vivacemente una volta che l'ordine del giorno risulta approvato a maggioranza. Tanto vivacemente da abbandonare la riunione. I ribelli considerano offensivo l'ostracismo che si profila nei confronti degli stranieri e in qualche modo sminuito l 'unico campionato cui potrebbero partecipare con speranze di successo. Oltretutto l'ammissione dei giocatori di fuorivia in campo non sarà più libera, ma subordinata ad alcune condizioni di domiciliazione consolidata nel nostro Paese, volte a eliminare il malcostume di ingaggiare per certe partite giocatori dall'estero, specie dalla Svizzera. Cedere al nuovo corso rappresenterebbe per queste società a forte impronta internazionale il primo passo verso la definitiva espulsione degli stranieri dal nostro calcio, il che suggerisce loro di opporre un deciso sbarramento. RIBELLI E DANNATI C'è forte odore di secessione, tanto più grave in considerazione del numero esiguo di club iscritti alla Fif. Consci di ciò, i rappresentanti rimasti ai loro posti cercano di ricomporre la frizione approvando un ultetiore ordine del giorno: «I delegati presenti, addolorati per il ritiro dei delegati delle società Club Torino, Milan Club, Libertas, Genoa Club, Naples F.B.C., affermano solennemente il concetto che nel proporre un campionato italiano riservato ai soli giuocatori italiani, ammesso in massima anche dai dissenzienti, hanno inteso dare maggior incremento al giuoco, diffondendolo ovunque in Italia, senza per questo pregiudicare i diritti delle società composte di giuocatori stranieri, alle quali hanno riservato la maggior gara di campionato federale». Nonostante dunque - particolare importante - venga riconosciuto al campionato federale un rango superiore (definendolo "maggior gara"), il tentativo di riconciliazione fallisce: tre settimane dopo, l' 11 novembre 1907, all' Assemblea ordinaria della Federazione i club "ribelli" non si presentano e dunque si arriva al paradosso che le deliberazioni di rito vengono assunte col voto di 21 club in gran parte minori: dei tre iscritti nell'albo d'oro del campionato è presente solo la Juventus. La decisione finale è che nel 1908 si disputeranno due tornei: il "Campionato federale", aperto a squadre «spurie internazionali», cioè composte anche da elementi stranieri residenti in Italia, e il "Campionato italiano", riservato alle sole squadre «pure italiane», da giocarsi dopo l'altro. Le società più antiche e forti - Milan, Torino, Genoa - composte per lo più da inglesi e svizzeri, rifiutato il calumet della pace, lì per lì cominciano il Campionato federale, avviando trattative per «sostenere il principio errato dell'indirizzo attuale della Federazione e fare opera per ritornare all'antica forma di campionato e propugnare un indirizzo più liberale di quello prima vigente»; poi, visto vano ogni sforzo, decidono di salire sull'Aventino ufficializzando la scissione: si ritirano dopo le prime gare eliminatorie, lasciando che il torneo si riduca ai due soli club estranei alla dissidenza: la Juventus, che vince, e l'Andrea Doria. Nel presentare l'ultima partita in calendario, giocata il 23 febbraio a Torino sul campo di Piazza d'Armi e poi annullata, "La Stampa" scrive: «È da augurarsi e da sperare che- dato l'ottimo assieme della squadra torinese -la Coppa Spensley-De Albertis di Campionato, che da due anni restò a Milano, venga assicurata pel 1908 alla nostra città per merito del F.C. Juventus, che già la vinse nel 1905». Questa dunque - di "Campionato federale" - sarebbe dovuta risultare la "maggior gara", premiata con la Coppa Spensley (realizzata dallo scultore Edoardo De Albertis) spettante negli anni precedenti ai campioni d'Italia. In realtà la Coppa Spensley la Juventus non la "vede" proprio, perché il Milan l'ha per ripicca resa al donatore, il dottor James R. Spensley, che a propria volta l'ha regalata al "suo" Genoa. Mentre è evidente che la riduzione ai minimi termini della partecipazione sminuisce grandemente valore e interesse di questo torneo, promuovendo quelli del successivo. CALOR BIANCO Il campionato "italiano" comincia subito dopo la fine dell'altro, risulta poco più frequentato (4 squadre) e vede primeggiare la Pro Vercelli, trionfatrice al primo turno sulla Juventus, iscritta anche al secondo torneo e poi ritiratasi. «Il nostro pronostico si è avverato» scrive la "Ġazzetta dello Sport" all'indomani dell'ultima partita, vinta 1-0 sull'U.S. Milanese: «la avevamo prevista noi la superiorità della squadra Piemontese ed essa si è manifestata ieri se non materialmente schiacciante, certo tale da farle meritare incondizionatamente il Campionato Italiano valorosamente conquistato. Vada pur gloriosa la Pro Vercelli perché, senza tema di smentita, non esitiamo a dire essere attualmente la più forte squadra italiana». I bianchi, che hanno tra le loro file il leggendario Marcello Bertinetti, fondatore della sezione calcio e futuro campione olimpico di scherma, confermano in effetti la portata innovativa del proprio gioco, tutto tempesta e assalto e ben poco influenzato da esempi stranieri. Renzo De Vecchi, il celebre "figlio di Dio" che, smessi i panni del fuoriclasse, diventerà commentatore acuto e puntuale, spiegherà: «In un periodo in cui si giocava in undici, ma l'individualità sovrastava l'assieme, la Pro seppe dimostrare che si poteva andare lontano con un gioco di squadra». Di fatto comincia un dominio destinato a durare anni, contrassegnando un'epoca e imprimendo un decisivo impulso alla nascita e allo sviluppo di una "scuola italiana" del gioco importato da oltremanica. Altra questione è quella dell'oblio riservato al Campionato federale dagli annali, che per tradizione si limitano a sancire la Pro Vercelli come vincitrice di un generico "campionato". Una scelta del tutto arbitraria cui sarebbe ora di porre rimedio, poiché quell'anno i tornei di massima categoria disputati sotto l'egida federale sono due e dunque altrettanti i vincitori del titolo italiano: Juventus e Pro Vercelli. Tanto che "La Stampa" il 18 maggio scrive: «Nel campo foot-ballistico il nostro Piemonte ha avuto quest'anno un successo meraviglioso, vincendo tutti i Campionati, e cioè: Campionato di 1.a categoria: 1.a la squadra della Pro Vercelli di Vercelli; Campionato di 2.a categoria: 1.a la Piemonte di Torino; Campionato italiano federale: 1.a la Juventus di Torino». 1909 BRAVI, BIS La confusione aumenta nel 1909: per mesi laboriose trattative diplomatiche hanno promosso un riavvicinamento dei club "ribelli" alla Federcalcio. Quando si tirano le fila, nell'assemblea federale dell' 8 novembre 1908, la prima questione - fondamentale in un'epoca in cui la precedenza viene attribuita ai trofei - riguarda la Coppa Spensley, restituita polemicamente dal Milan, come visto, al donatore. Ancora una volta, nelle vesti di grande mediatore si pone Zaccaria Oberti, presidente dell'Andrea Doria. Il quale suggerisce di considerarla vinta definitivamente dal Milan e di mettere in palio nel Campionato federale un nuovo trofeo, da lui gentilmente offerto, la "Coppa Zaccaria Oberti". La proposta viene approvata e risulta dunque confermato lo sdoppiamento della Prima categoria in due tornei: il campionato "federale", aperto anche agli stranieri (purché vantino un minimo periodo di residenza nel nostro Paese), e quello "italiano", che si giocherà subito dopo, riservato a squadre di soli italiani, con in palio la Coppa Romolo Burri. L'esito sarà inverso rispetto all'anno precedente. Questa volta al Campionato federale arride la maggior fortuna, nel senso che vi si iscrivono ben nove squadre e a vincerlo è la Pro Vercelli, composta di soli italiani e capace di dimostrarsi superiore anche agli stranieri. Scrive "La Stampa" il 26 aprile 1909 in una corrispondenza da Milano datata 25, ore 20: «Alla presenza di un pubblico imponente, venne disputata nell'Arena la gran finale pel campionato federale di 1.a categoria 1909. Erano di fronte la "Pro Vercelli", vincitrice delle eliminatorie liguri-piemontesi, e l'"Unione Sportiva Milanese", vincitrice di quelle lombardo-venete. La partita fu accanitissima. Splendido il giuoco delle due difese ed irruente quello delle linee d'attacco. La "Pro Vercelli" vince dunque il campionato federale di quest'anno». Poche righe più in là, un antipasto del Campionato italiano: «Con l'odierna vittoria sul "F.C. Piemonte", il "F.C. Juventus" entra nel primo girone, come vincitore delle eliminatorie torinesi, contro la "Pro Vercelli", la quale, però, a quanto dicesi, pare intenda ritirarsi dall'agone dei campionati italiani di 1.a categoria». La Fif il 4 maggio invia al club vercellese un telegramma di felicitazioni: «In ossequio al deliberato unanime della seduta plenaria del Consiglio di presidenza che ebbe luogo il 2 corr. adempiamo al gradito incarico di presentare a cotesta Società i più vivi complimenti per il meritatissimo titolo di campione federale riportato dalla vostra prima squadra. Questa Federazione, presentando il plauso del Consiglio di presidenza, è sicura di interpretare il desiderio di tutte le Società federate, che ammirano nella Pro Vercelli la Società che volle e seppe meritare l'ambito titolo di Campione. Ben auspicando con ciò all'avvenire del nostro sport, vi presentiamo i nostri migliori ossequii. Per la Federazione italiana foot-ball - Il presidente - Rag. Bosisio, Il Segretario - A. Baraldi». IL FANTASMA ITALIANO La Juventus, di cui già abbiamo anticipato il positivo esordio, si aggiudica invece il campionato italiano, disputato in tono decisamente minore: falcidiato da una serie di forfait (il primo dei quali, come visto, proprio della Pro, appena laureatasi campione federale), raccoglie uno scarso interesse generale, a conferma che di due tornei, uno è comunque di troppo. Il 6 giugno 1909 "La Ġazzetta dello Sport" chiude così la sua cronaca della finale di ritorno tra Juventus e U.S. Milanese: «Gli Unionisti si accorgono, ahimè e troppo tardi, che la vittoria non è così facile, come essi credevano. Riprendono con maggiore energia; ma Juventus rinvigorita moralmente dal vantaggio non vuole lasciarselo tanto facilmente carpire; respinge gli assalti avversari ed il giuoco si fa più movimentato ed accanito. Ma il tempo passa e nessun cambiamento nella situazione accenna a verificarsi. E quando l'ottimo signor Gama dell'I.F.C. segna la fine, Juventus F.C. ha conquistato pel 1909 il titolo di Campione Italiano ed il possesso della Coppa Buni». Il 7 giugno 1909 "La Stampa" annuncia: «Il F.C. Juventus rimane vincitore del Campionato Italiano di quest'anno, e della splendida Coppa Buni che ne è l'ambito trofeo». Quello stesso giorno il "Corriere della Sera" sintetizza con maggior precisione: «I campionati se li sono aggiudicati quest'anno tutti le società piemontesi. La Pro Vercelli quello federale di prima categoria. La Juventus quello italiano di prima categoria». Ancora più ingiustificato dunque che anche per quest'anno dagli annali venga riportato solo il nome della Pro Vercelli, vincitrice del torneo "federale", e non si faccia menzione della Juventus, legittima Campione d'Italia anch'essa in quanto vincitrice del torneo "italiano". 1909-10 PIÙ UNICO CHE RARO Così ovviamente non si poteva continuare e d'altronde i fatti avevano dimostrato che la Pro Vercelli era in grado di vincere anche battendosi con squadre innervate da stranieri. In quell'anno 1909 Luigi Bosisio viene eletto presidente della Federcalcio, alla cui attività e organizzazione imprime subito un impulso decisivo: a lui si devono il nuovo statuto federale ("Regolamento Organico della F.I.G.C.") dell'8 agosto 1909, il primo di cui si abbia notizia, con l'italianizzazione del nome della Federcalcio da Fif (Federazione italiana del Foot-Ball) appunto a Figc (Federazione italiana giuoco calcio); come sintetizzerà Ettore Berra, «esso dava una sistemazione regolare alla vita calcistica nazionale; venivano creati i Comitati Regionali e una Commissione Arbitrale composta di cinque arbitri ufficiali». Sul fronte interno si rivela prezioso il lavoro del segretario Arturo Baraldi, il primo a dare un organico assetto all'ufficio di segreteria federale per quanto i mezzi limitatissimi lo consentono. La nuova organizzazione del campionato sortisce di conseguenza, approdando a una soluzione finalmente razionale, che avvia lo sviluppo della stagione agonistica su due anni solari ed elimina la duplicazione dei tornei. Scompaiono competizioni storiche come la "Palla Dapples" (definitivamente aggiudicata al Genoa), che nel periodo precedente hanno riempito il calendario nei troppi mesi morti, ora scongiurati grazie al meccanismo di gare "andata e ritorno" che terrà occupate tutte le squadre, e si stabilisce che il torneo partirà dalla fine dell'estate per chiudersi con l'inizio di quella successiva. Una cadenza destinata a superare i confini del secolo e a introdurre il campionato italiano nell'era moderna, com'è confermato anche dall'avveniristica intuizione che porta all'istituzione del girone unico: anticipatrice, per quanto senza immediato seguito, di una riforma epocale che vedrà la luce solo vent'anni dopo. UN SOLO TITOLO, ANZI, DUE Per quel che concerne la sospirata unificazione del campionato, questa viene attuata, passando tuttavia per una formula in qualche modo ambigua; nella sua ricostruzione nell'Enciclopedia Illustrata del Calcio Italiano del 1939, lo stesso Ettore Berra scriverà: «Si dava un assetto stabile al campionato diviso in federale e italiano con girone doppio completo per la categoria maggiore», ove "girone doppio" va inteso appunto nel senso di girone di andata e ritorno; resta dunque la duplicazione, se non del torneo, quantomeno del titolo in palio. L' articolo 2 del "Regolamento dei Campionati della F.I.G.C. " emesso a Milano l'8 agosto 1909 stabilisce infatti: «I Campionati Nazionali di Calcio sono di I e II categoria. Quello di I categoria è suddiviso in Campionato Federale e Campionato Italiano. Al primo possono prendere parte anche giuocatori di nazionalità estera, residenti in Italia. Il secondo è riservato esclusivamente ai giuocatori di nazionalità italiana». Già però il periodico "Lettura Sportiva", a commento della seconda assemblea generale estiva delle società, tenutasi in agosto, precisa: «La famosa divisione netta, recisa, distinta delle prove di campionato in due categorie, "federale" e "italiano", virtualmente venne eliminata: non ne sussiste che la veste superficiale, la forma apparente per accontentare la maggioranza, per salvare - come si suol dire- capra e cavoli». Quale sia questa forma lo spiega "La Stampa", nel suo punto della situazione del campionato alla vigilia di Natale 1909: «La nostra "Juventus", quantunque ottimamente piazzata, non ci pare in condizioni di aspirare più al primo posto, perché fece un match nullo e toccò una sconfitta da due squadre che, sia l'"Internazionale", che la "Pro Vercelli", non dureranno fatica a vincere. Comunque, il campo è ancora aperto per le piazze d'onore, poiché non crediamo che alla "Pro Vercelli" possa più sfuggire il titolo di campione italiano, ed all'"Internazionale" quello di campione federale. È noto infatti come quest'anno dall'unico campionato di 1.a categoria che venne istituito, finite le gare, verrà proclamato campione italiano il Club meglio classificato fra le squadre pure italiane, e campione federale il Club meglio classificato fra le squadre spurie internazionali. Quindi, sebbene, come abbiamo detto, le squadre che hanno maggior probabilità di vincere le due serie di campionato, italiano e federale, siano rispettivamente la "Pro Vercelli" e l'"Internazionale", tuttavia vivissima sarà ancora la lotta per il primo posto assoluto di classifica generale». CASO DALLE NUBI In realtà, per l'ultima volta si parla di un titolo duplice e la macchinosa costruzione teorica rimarrà sulla carta. Formalmente si ha un "Campionato d'Italia" di 1ª Categoria, nel quale si assegnano un titolo di "campione federale" alla squadra che risulterà prima in classifica, mentre andrà un titolo (nella sostanza puramente onorifico) di "campione italiano" alla squadra composta di soli italiani meglio classificata. Tanto che, nei resoconti settimanali del "Campionato d'Italia", la rivista ufficiale della Federazione - "Foot-Ball" - che pubblica il suo primo numero il 9 gennaio 1910, distingue con un asterisco «le squadre che partecipano al Campionato italiano» e cioè Andrea Doria, Ausonia, Pro Vercelli e U.S. Milanese. Il che, sia detto per inciso, porta ulteriore acqua al mulino dell'importanza quantomeno equivalente dei titoli "federale" e "italiano" nei due campionati precedenti. Tuttavia, quando la lotta entra nel vivo con l'entusiasmante duello proprio tra le due portabandiera -la Pro Vercelli, tutta italiana, e l'Internazionale, in gran parte straniera- la logica impone di parlare di un unico titolo, che addirittura richiederà, per l'aggiudicazione, una gara di spareggio. E infatti lo stesso "Foot-Ball" non fa più alcun cenno al teorico titolo "italiano" vinto dalla Pro. Il grande fermento del calcio italiano porta altresì in questa stagione sportiva il fresco presidente federale Bosisio a una nuova storica svolta: l'avvio di una attività internazionale ufficiale, grazie alla creazione della Nazionale, in concomitanza con la celebrazione a Milano del settimo congresso della Fifa. Ne parleremo a parte. La breve ma intensa gestione di questo straordinario protagonista della storia del nostro calcio verrà tuttavia oscurata dal caso Pro Vercelli. Una vicenda incresciosa, talmente aspra e gravida di conseguenze da influire pesantemente anche sulla cifra tecnica delle prime due partite della neonata rappresentativa. Poco dopo Bosisio abbandonerà la carica. LA SCENA DELLE BEFFE E veniamo al giallo. Il girone unico del campionato di Prima categoria si chiude con due vincitori, Pro Vercelli e Internazionale, entrambi in testa alla classifica a pari punti. La Pro è dunque "campione italiano", ma il "campione federale" non c'è e dunque per assegnare tale titolo - l'unico che conti davvero, scaturendo da un primato assoluto - si darà luogo, come prevede il regolamento all'articolo 8, a una «partita decisiva da combattersi sul campo della società che conterà al suo attivo il numero maggiore fra le porte fatte e perdute». Dunque, uno spareggio con sede a Vercelli, per la miglior differenza reti in classifica (31 contro 29). I tempi sono piuttosto stretti, visto che il 10 maggio la rappresentativa nazionale debutterà a Milano contro la Francia e nei giorni immediatamente precedenti (il 5 e l'8 maggio) sono in calendario le partite di prova con cui la Commissione tecnica arbitrale sceglierà gli uomini per il fatidico varo. Al punto che lo spareggio si giocherà quando ancora si devono recuperare alcune gare di campionato, essendo ormai chiaro al 10 aprile che le due squadre finiranno in testa da sole. Sono in ballo tre domeniche: 17 e 24 aprile, 1 maggio. La Pro chiede di evitare la prima, poiché alcuni suoi giocatori devono disputarvi un torneo scolastico organizzato da "Il Secolo" (quotidiano milanese); in realtà essi non vi partecipano affatto, in quanto fermati dal preside dell'Istituto tecnico di Vercelli per mancanza di speciale autorizzazione dei genitori. Sospettando dunque che il rinvio sia stato chiesto solo per consentire ai propri elementi un maggior riposo e magari il recupero di alcuni acciaccati, la Federcalcio fissa senz'altro la partita per il 24 aprile, nonostante la Pro vi abbia tre propri elementi (Innocenti, Fresia e Milano II) impegnati a Milano, con la squadra del 53° Reggimento di fanteria di stanza a Vercelli, nel "Campionato militare di calcio" indetto anch'esso da "Il Secolo". I piemontesi chiedono dunque un nuovo rinvio, proponendo la data del 1° maggio. L'Internazionale rifiuta, adducendo impedimenti per due atleti: Zoller, il cui impiego a Milano scade il 30 aprile, e Fossati, chiamato a partecipare quel giorno all'assemblea della società per cui lavora. La Federazione resta irremovibile e programma per il 1° maggio l'ulteriore eventuale spareggio da giocare in caso di match nullo. La decisione, provenendo da Milano, sede della Federcalcio ma anche patria degli avversari diretti, fa infuriare i vercellesi, che credono di vedervi un chiaro tentativo di aiuto all'Internazionale. E approntano una singolare forma di forfait: mandare in campo in segno di scherno una squadra di bambini. Il 23 aprile 1910, alla vigilia della partita, l'avvocato Luigi Bozino, battagliero presidente della Pro Vercelli, penalista principe del foro, fervente patriota e grande oratore (celebre una sua definizione della proclamazione di Roma capitale d'Italia, in occasione della celebrazione del cinquantenario: «Un grido di entusiasmo convertito in legge!»), creatore della leggenda della Pro, annuncia la ribellione in un comunicato diretto ai tifosi: «Ad evitare giusti eventuali reclami del pubblico che intendesse presenziare a Vercelli, giorno 24, alla gara decisiva campionato prima categoria, avvertiamo che nessun giocatore della prima squadra della Pro Vercelli prenderà parte alla gara». I PIEDI IN TESTA "La Stampa" prende una dura posizione: «Ma è possibile che nell'anno di grazia 1910 una Federazione sportiva permetta e provochi anzi, simili schermaglie che siamo in dovere di classificare non solo antisportive, ma poco serie per un Ente e per delle Società che hanno in capo delle persone autorevoli, ed hanno un passato glorioso da difendere? Ma cosa sta a fare questa Federazione che non ha né tatto, né autorità sufficiente a prendere una decisione netta e definitiva in una controversia di simile importanza? Una volta di più dobbiamo constatare che gli uomini ancor oggi preposti a dirigere le vicende del giuoco del calcio in Italia, sono assolutamente inadatti alla mansione loro affidata. Per il buon nome dello sport italiano v'è da augurarsi che questo governo di tentennanti abbia presto a cessare, per cedere il campo a sportsmen energici e capaci di mostrare che il giuoco del foot-ball non lo si diffonde e lo si pratica solo coi piedi ... ». Permane tuttavia dall'altra parte il sospetto che l'indisponibilità per infortunio di un paio di giocatori vercellesi sia l'autentico movente della richiesta di rinvio. Se ne fa portavoce una inquietante "ultim'ora" in fondo alla presentazione del match da parte di "Foot-Ball", tre giorni prima della data fatidica: «Come è noto, la nostra Federazione mise a disposizione delle due Società interessate tre date da scegliere per disputare il grande incontro: 17 aprile, 24 aprile e 1 maggio. La scelta cadde sulla seconda data, e domenica prossima avverrà la finale. All'ultimo momento, veniamo a conoscenza di un incidente di particolare gravità! Mercoledì mattina si sono recati a Milano vari dirigenti della Pro Vercelli. Agli amici che li hanno avvicinati, essi hanno dichiarato che sfortunatamente non parteciperanno alla grande giornata gli ottimi Rampini e Coma, ammalati entrambi. Si diceva pure che i vercellesi avessero fatto pratiche per il rinvio del match, tanto più che pare che qualche altro elemento della prima squadra sia impegnato nelle gare militari indette dal Secolo. Ma il Presidente del FC Internazionale, da noi interpellato, ci ha recisamente smentito che pratiche di tal genere siano state fatte presso il Club. La Pro Vercelli sarà dunque incompleta, a quanto si dice! Ecco una brutta notizia per quanti aspettano trepidanti la grande finale». La domenica, in campo scendono i ragazzini (età media: undici anni) della quarta squadra, che perdono 10-3, consegnando ai nerazzurri un titolo nazionale decisamente svilito dalle modalità dell'ultimo atto. MONETA FARSA Ora, sarà il caso di entrare dentro questo episodio tra i più clamorosi e gravi della storia del nostro calcio, troppo spesso sbrigativamente liquidato dalla storiografia tradizionale come una "partita beffa" su cui spendere al massimo qualche briciola di ironia. Intanto, va precisato che l'incontro alla vigilia è circondato da una spasmodica attesa, visto dagli appassionati come una sorta di "giudizio di Dio" rispetto alle polemiche su italiani e stranieri che hanno tormentato gli ultimi anni. Finalmente arriverà una risposta chiara dal campo, poiché l'italianissima Pro affronterà col titolo in palio l'Internazionale per antonomasia, imbottita di giocatori di origine svizzera. Si può allora immaginare lo sgomento quando sul terreno della "Pro" non solo si presenta da parte vercellese una ciurma di bambini, ma questa appare istruita apposta per provocare gli avversari, sotto l'incitamento di un pubblico folto e infuriato. Il commento di "Foot-Ball", che quattro giorni dopo titola a tutta pagina "Una burla deplorevole", è significativo in proposito: «A noi, oggi, tocca un compito triste e ingrato. Noi che su questo foglio abbiamo versato tante volte tutto l'entusiasmo che lascia una combattuta giornata del foot-ball, oggi siamo costretti a commentare, con l'animo ancora commosso di sdegno, quella che avrebbe dovuto essere l'apoteosi del tanto combattuto campionato del 1910 e che fu mutata in una giornata di grande follia, in uno spettacolo da burattini. Un giorno, a mente calma, anche i vercellesi si avvedranno del male che si hanno fatto a se stessi. Oggi, il mondo sportivo ha giudicato, con generale riprovazione, quella che fu una temeraria provocazione. La Pro Vercelli dunque mandò in campo, in una finale di campionato di prima categoria, la sua quarta squadra: si fece rappresentare dai bambini. L'eccitazione, che non può essere descritta, da cui era invaso il pubblico, avrebbe offerto motivo a uno studio interessantissimo sulla psicologia delle masse: tutto era stato dimenticato. Mentre sul terreno undici marmocchi alti un soldo di cacio, spalleggiati da tutto un pubblico in follia, davano sfogo a tutta la malvagità propria dell'infanzia abbandonata ai suoi istinti (veri enfants terribles); nella tribuna ove se ne stavano, muti e accorati, soci dell'Internazionale, soci d'altri clubs e vari giornalisti, si dileggiavano gli spettatori sconosciuti: si giunse a oltraggiare chi parlava in tedesco. Chiunque poteva invadere il campo: a quando a quando, parecchi dirigenti della Pro Vercelli accorrevano dall'arbitro o si recavano a dar consigli ai giocatori, mentre si svolgeva la partita. E quando il match indecoroso ebbe termine, abbiam visti alcuni spettatori accanirsi a dar calci nelle gambe, a tradimento, ai giocatori dell'Internazionale. Voi, dirigenti della Pro Vercelli, avreste dovuto impiegarvi a che non fosse stato toccato uno solo dei vostri ospiti! SCHERNI A PARTE «Ma voi, teneri pargoletti» prosegue "Foot-ball", «forse solo l'inconscio strumento di una vendetta sportiva: voi rappresentate, nella vostra piccolezza, tutta la piccolezza della passione malvagia che animava il pubblico schernitore. E, più che altro, è degno di una grande infinita pietà, che in tal modo si sia abusato dell'incoscienza della vostra età. Voi non lo sapevate che nello sport (che è un mondo meraviglioso, vastissimo, che ha i suoi fanatici e i suoi denigratori, che ha le sue vergogne e i suoi eroismi) non si conosce lo scherno e la vendetta. Domandatelo agli undici compagni della vostra prima squadra, se essi si sarebbero prestati, per divertire il pubblico, a far penetrare il pallone nella propria rete a bella posta, a presentare gessi e cioccolatini, a voltare le terga in atto indecente, a far atto di dare ceffoni, trovandosi di fronte a valorosi avversari. Essi se ne sarebbero certo vergognati. Non avrebbero avuto il coraggio. Invece vi hanno mandati voi: credeteci, essi hanno abusato di voi. La Pro Vercelli si è dimenticata di una grande parola, ospitalità: che dice la più bella idea dell'umanità; che fu conosciuta fino dagli evi più remoti ed è praticata fino dai popoli più selvaggi, quella per cui uno straniero che si reca inerme in casa vostra, confidando nella vostra civiltà, deve essere rispettato. Bambini: se un giorno (quando sarete grandi e avrete posto nella vostra prima squadra, e sarete giunti all'età del giudizio e potrete incontrarvi lealmente, a paro a paro, con i vostri competitori d'ieri) ricordatevi che, quando eravate piccini, foste l'istrumento incosciente di una grande ingiustizia; che faceste insulto a chi era maggiore di voi; che offendeste degli stranieri che erano ospiti in Italia e sul vostro campo; che strappaste loro il pianto con i vostri dileggi; ricordatevi che essi furono generosi, della generosità dei più forti, verso la vostra età, verso la vostra piccolezza, ché essi si ricordarono del fratellino, nella propria famiglia, che qualche volta fa capricci e alza il piccolo pugno, in atto di comica prepotenza ... Ricordatevi: e, quel giorno, portate un fiore ai giocatori dell'Internazionale». IL DURO DEL PIANTO Non meno significativa, sullo stesso organo ufficiale della Federcalcio, la cronaca dettagliata dell'accaduto: «I componenti il club milanese si sono recati, come le altre volte che sono stati a Vercelli, ai bagni, ove sono numerosi stanzini per spogliarsi. Ma essi sono inesorabilmente respinti: non vi è più posto, ed essi devono recarsi in una specie di cascinale sul campo. Il terreno di gioco si presenta animatissimo, molto tempo prima che abbia inizio il match. Nel pubblico è una irrequietezza, una elettricità annunziatrici. Ed ecco che su da tutta quella folla si leva un applauso alto e sonoro: un applauso strano, ironico: e grida e fischi che non finiscono più. Cosa avviene? Semplicemente questo: l'équipe dei nero e azzurri è stata scorta mentre s'avvia al campo. Il baccano è indesctivibile. I componenti del F. C. Internazionale non hanno osato penetrare sul terreno. Aspettano, riuniti, che l'ira popolare abbia a cessare. Noi li vediamo soli in mezzo a centinaia di persone, come capri espiatori votati al sacrificio. Ecco: essi entrano nel campo. Si provano a dar calci a un goal solo. E il pubblico ad applaudire: un continuo applauso, che sorge tanto dopo i colpi riusciti, che dopo quelli falliti. Notiamo, intorno al campo, quasi tutti i componenti la prima squadra della Pro Vercelli. E ci dispiace vederli inattivi quei giovani, che forse segretamente rimpiangono di non trovarsi sul campo a misurarsi coi forti competitori, vittime più che altro degli ordini dei loro dirigenti. La squadra che si contrapporrà agli internazionali, tarda non poco a comparire. Il ritardo è procurato a bella posta: esso acuisce la curiosità, l'impazienza, la morbosità dell'attesa. Ma eccoli finalmente, i componenti la quarta squadra della Pro Vercelli, teneri bambinelli, dagli undici ai quattordici anni. E il pubblico ad acclamare, a ridere di gusto. Una folla da delirio. L'arbitro, signor Meazza dell'U.S.M., verifica le tessere. Capitano della squadra vercellese è un bamboccio undicenne, alto sì e no un metro, che si reca dal lunghissimo Fossati, il capitano della Società milanese, a presentargli dei ... cioccolatini. Poi offre a Peterlj un pezzo di gesso da lavagna: affinché segni la sua grande giornata. Ma se Dio vuole, la partita sta per iniziarsi! È inutile dire che dal momento in cui prima apparvero gl'internazionali, fino al termine della indecorosa partita, il pubblico non ristette un secondo dal gridio e dall'applauso ironico. Vediamo Fossati avvicinarsi tristemente alla tribuna, dove sono molti soci del suo club, che se ne stanno muti, addolorati, senza protesta, di fronte al dileggio dei loro colori. Fossati è pallido, fa sforzi evidenti per trattenere il pianto! E la sua angoscia ci stringe il cuore, a noi semplici amatori di sport: ma è permesso deridere in tal modo degli ospiti? Ci domandiamo. LA PICCOLA VENDETTA BOMBARDA «La buffonata si inizia» spiega "Foot-ball", «con un sottile spirito di raffinata malvagità, i vercellesi hanno trovato la più terribile forma di vendetta: hanno scagliati i loro giuocatori più piccoli, di più tenera età, contro gli avversari. E hanno detto loro: - Dileggiateli, burlatevi di essi nel modo che crederete migliore. Voi non correte nessun pericolo: siete piccoli mentre essi sono grandi: essi non oseranno toccarvi. E se facessero una simile vigliaccheria, guai a loro! Forti dunque della vostra piccolezza, provocateli meglio che potrete: noi vi applaudiremo, vi incoraggeremo, li insulteremo a nostra volta: e il tormento del loro animo sarà la più bella vendetta e il più buffo spettacolo che mai abbia visto Vercelli. E a quei bambini, forti dell'appoggio di tutto il pubblico, non parve vero di sfogarsi su chi era più grande di loro. Ma vi pare poca soddisfazione, per un bimbo undicenne, quello di fare l'atto di dare un ceffone a un pezzo di giovane alto il doppio? E vedere i genitori, gli amici, ridere e ridere, e applaudire, e approvare? Dàlli! Dàlli! Non vedevano forse essi il sacerdote scagliare i suoi- bravo! -ironici ai competitori; forse in nome di Cristo? Sul campo, ne avveniva d'ogni colore. Quei minuscoli prepotenti toccavano la palla con le mani, spingevano gli avversari, si fermavano in atto di comica minaccia, come avevano visto fare ai foot-ballers grandi, pretendendo di essere stati urtati. Dopo segnati i primi goals senza molta fatica, gli internazionali giuocarono solo per finire la partita. E allora, vedendo che gli avversari non volevano schiacciarli, i vercellesi stessi si segnarono dei goals. I backs tiravano essi nella propria rete. O sport, dove eri andato a finire? Quei piccoli foot-ballers che sono ottime promesse, eccitati dal pubblico, non presi sul serio dai milanesi, trovarono qualche volta la via del goal. Non perché essi sapessero segnarli: solo perché i difensori nero e azzurri, pur di non svolgere un giuoco forte, li lasciavano divertirsi a loro agio. LA GAZZARRA DELLO SPORT «Finalmente» conclude "Foot-ball", «la burla colossale ebbe termine: mentre gli internazionali si avviavano al loro cascinale, qualcuno di essi ebbe a ricevere calci nelle gambe da qualche spettatore imbestialito. Mentre si svolgeva la commedia di domenica a Vercelli, una cosa ci ha fatto veramente piacere: e cioè l'ammirevole contegno che tennero i quattro italiani e i sette svizzeri componenti il FC Internazionale. Ai dileggi, alle provocazioni, essi opposero calma e serietà, dimostrandosi superiori a tutta la bambinesca gazzarra che avveniva intorno a loro. Essi furono dei veri uomini di sport: e quegli undici marmocchi prepotenti, aizzati temerariamente all'insulto di tutta una équipe valorosa, non si ebbero dai componenti di questa il minimo atto di violenza». Una nota di cronaca va aggiunta. Quello stesso giorno a Milano la squadra vercellese del 53° Fanteria vince il torneo militare e la relativa targa d'oro messa in palio dal "Secolo", battendo 4-0 la rappresentativa della nave Amalfi. Non senza ironia, il quotidiano torinese "La Stampa" il giorno dopo commenta: «Il risultato è lusinghiero. Lusinghiero più che tutto per la nostra Federazione, che ha così chiuso in modo veramente degno del suo governo la laboriosa serie dei matches di campionato. Il poco che le rimane ancora da fare per quest'anno e cioè la formazione definitiva della squadra nazionale e la preparazione del prossimo Congresso internazionale di foot-ball, che si terrà a Milano, a Pentecoste, ci auguriamo possa sortire un esito migliore . . . e più convincente dell'attuale campionato». Da Vercelli la difesa della "burla" propone tre argomenti: primo, l'Internazionale ha vinto il 10 aprile in modo un po' troppo vistoso per non destare sospetti (7-2) la partita contro il Torino per la quale erano in ballo i due punti necessari a conquistarsi il diritto allo spareggio e pure la differenza-reti; secondo, se la Federcalcio avesse fissato la data e basta, senza proporne tre salvo poi decidere per una sgradita a una delle due contendenti, il problema non sarebbe neppure sorto. Sulla terza, si apre un "caso" ufficiale. PERMETTE, SIGNORINA? I vercellesi non considerano chiusa la partita e puntano a vincere a tavolino: «La "Pro Vercelli" ha presentato, prima dell'odierno match, un reclamo al referee (arbitro, ndr), reclamo che verrà pure trasmesso alla Federazione italiana, tendente a dimostrare che nella squadra dell'"Internazionale" giuocò, domenica 10 aprile, contro il "F.C. Torino", e oggi, 24, un giuocatore di nazionalità svizzera: Aebi Ermanno, fatto passare per italiano. Un articolo (11) del regolamento federale dice che le squadre che incorreranno nella colpa di aver presentato come italiano un giuocatore straniero, che non abbia avuto il regolamentare periodo di permanenza in Italia, e giuocati i regolari tre matches approvati dalla Federazione, saranno passibili di squalifica, perdendo i due punti del match eventualmente vinto, due punti che passeranno all'attivo della squadra avversaria. Cosicché, se il reclamo è fondato, l'"Internazionale", perdendo i due punti del match vinto contro il "Torino F.C." ed i due punti del match vinto oggi contro la "Pro Vercelli", questa verrebbe senz'altro a trovarsi prima, per punti, nella classifica del tanto discusso Campionato nazionale». Chi è Aebi? Un campione in erba, che col tempo verrà soprannominato "Signorina", per via della figura smilza e della correttezza in campo, ma anche della naturale eleganza dei movimenti: il suo calcio, infatti, talora esibisce più le apparenze di una danza con la sfera che di un duro cimento di gladiatori. Nato a Milano da padre svizzero e madre italiana, possiede anche la nazionalità elvetica e per questo sarà considerato il primo "oriundo" della Nazionale italiana, quando vi esordirà a 28 anni nel 1920, alla ripresa dopo la lunga sosta bellica (oriundo diretto, tra l'altro, in quanto di madre italiana, e inoltre diventato cittadino italiano, avendo prestato il servizio militare al 20° Autoparco durante il conflitto). Ha cominciato a giocare giovanissimo, cooptato a 18 anni da Giovanni Paramithiotti, presidente dell'Internazionale, nella squadra nerazzurra, fondata da appena due anni e già frequentata da parecchi giocatori svizzeri, per lo più impiegati in filiali locali di aziende elvetiche. Ha esordito in nerazzurro il 10 aprile 1910 contro il Torino (battuto 7-2) e poi ha giocato appunto la discussa finale. LA SCURE FEDERALE Il 1° maggio 1910 la Federcalcio emette due sentenze. La prima riguarda i "deplorevoli incidenti" dello spareggio e il reclamo presentato dall'Internazionale per esserle stata opposta una squadretta di bambini: «Premesso che una società federata ha sempre il dovere di ubbidire alle disposizioni della Presidenza Federale; che malgrado le pratiche amichevoli fatte dalla Presidenza Federale non fu possibile di accordare la Pro Vercelli e l'Internazionale su una data di comune gradimento; che nessun componente della Presidenza Federale ha dato ad alcuna delle società assicurazione formale che la gara si sarebbe svolta in una data gradita ad una sola delle due società interessate; che la Pro Vercelli non poteva e non doveva subordinare le gare di Campionato ad altre gare indette da società o da enti privati; deplora che Pro Vercelli alla prima squadra dell'Internazionale ne abbia contrapposta un'altra con l'intenzione di esporre la prima al ridicolo e alle beffe del pubblico che assisteva; che abbia incitato i suoi giuocatori a beffarsi degli avversari, dando così esempio di nessuna correttezza sportiva, né verso gli avversari, né verso i propri giuocatori; delibera che la Pro Vercelli ed il suo campo siano squalificati da oggi al 31 dicembre ed una penale a carico della stessa di L. 200, da versare entro il corrente maggio; Ricorda a tutte le società federate che la squalifica impedisce loro di incontrarsi coi giuocatori e sul campo della società squalificata, e che di questa non sono ritenute valide le gare indette né gli impegni che entrino nell'orbita del nostro sport». Quanto al "caso Aebi", «in merito al reclamo presentato dalla Pro Vercelli nei riguardi del giuocatore Aebi Ermanno, per avere questi giuocato col F. C. Internazionale prima di un mese dalla data del rilascio della tessera federale, come stabilisce il regolamento organico in merito ai giuocatori stranieri», la decisione è ugualmente contraria ai vercellesi: «Premesso che le disposizioni del regolamento organico riguardanti il rilascio della tessera ai giuocatori stranieri e la partecipazione di questi alle gare di campionato dipendono dal volere impedire la facile importazione degli stranieri stessi alla vigilia, o poco prima, di gare (e a tale proposito si citano le partite per la Palla Dapples che furono la fonte principale di tali dispositivi), ciò che può mettere in condizioni di superiorità una squadra in confronto all'avversaria, e che solo in tale modo le disposizioni stesse debbano venire interpretate; che il signor Aebi Ermanno, pure potendo secondo le leggi italiane venire considerato eventualmente cittadino svizzero, è di nascita italiana ed in Italia dimora dalla sua nascita - salvo una breve interruzione per causa di studio - ciò che gli permette di non cadere in incompatibilità col disposto degli articoli di cui sopra, che debbono essere considerati dal lato eminentemente sportivo, delibera di ritenere valide le partite del Campionato di prima categoria del 10 e 24 aprile 1910, nelle quali rimase vincente il F. C. Internazionale». Come immediata conseguenza, i principali esponenti della nascente scuola italiana sono costretti pochi giorni dopo a disertare le prime due partite della neonata Nazionale. Nella vignetta, tratta da "Foot-Ball", rivista ufficiale della Federcalcio italiana, l'atroce beffa dello spareggio per il titolo del 24 maggio 1910, col bimbo dell'asilo "in rappresentanza della 1ª squadra della Pro Vercelli", il bimbo col gessetto per segnare il numero dei gol, il sacerdote-ultrà che invita a consegnarlo a Peterlj e il bimbo col cesto per raccogliere i gol incassati dalle "bianche casacche" -
K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
GaSport 15-04-2012 ___ Dossier / Morire di sport “Controlli più approfonditi” Il ministro punta al cuore Gnudi rilancia un dibattito che i medici sportivi ritengono infondato: “Il modello italiano di prevenzione ha fatto scuola negli altri Paesi”. Ma esami come l’Holter sono opzionali di SIMONE DI SEGNI (LA STAMPA 15-04-2012) Gli interrogativi sui controlli sanitari affiorano nel giorno in cui lo sport italiano è sconvolto. La morte di Morosini ha scaraventato il tema al centro del dibattito: il punto - secondo un sentire comune di chi opera nel calcio - è che certe domande andrebbero poste in un'ora qualunque dell'anno. I medici del pallone danno l'impressione di essere uniti nel respingere l'idea che il dramma affondi le radici in un vizio del sistema: al più si parla di applicazione delle regole, precisando che nel caso specifico del calciatore del Livorno qualunque giudizio sarebbe affrettato. Di fronte al decesso di un ragazzo di ventisei anni, tuttavia, è impossibile arrendersi. Occorre spingersi oltre, porsi un quesito in più. Ecco quello del ministro dello sport Piero Gnudi: «Quest' anno non è la prima tragedia. Forse bisogna interrogarsi se i controlli medici devono essere più approfonditi e forse anche più intensificati. Non è possibile che un giovane muoia giocando a calcio», così il rappresentate del Governo a Radiouno. Le tragedie, tuttavia, non sono circoscritte al calcio. La casistica racconta che è il basket a guidare la classifica nera e la trasversalità non sfugge al ministro. Gli esperti parlano di un caso di morte improvvisa ogni 100-300 mila atleti sotto i 35 anni: cardiopatie ipertrofiche, displasie ventricolari e problemi alle coronarie sono le cause più frequenti. Ma «il modello italiano di valutazione pre-attività sportiva è valido e ha fatto scuola negli altri Paesi», spiega il presidente della Federazione internazionale medicina sportiva, Fabio Pigozzi. Il punto è questo: «Alcune patologie sono asintomatiche e possono non essere diagnosticate. Non possiamo azzerare il rischio di morte improvvisa». Come sono disciplinati i controlli nel calcio italiano? Esistono delle zone d'ombra? Il meccanismo è perfettibile? La Legge 91 del 23 marzo 1981 e i successivi decreti ministeriali regolano la materia. I calciatori vengono sottoposti ad indagini semestrali e - in modo più approfondito - a quelle annuali. Il protocollo prevede un elettrocardiogramma a riposo e da sforzo, un ecocardiogramma, un esame completo delle urine, la spirografia e una visita medica che comprende l'anamnesi, ovvero la raccolta degli indizi tramite il resoconto del paziente e le domande del medico: proprio in questa fase può entrare in gioco la scrupolosità del medico nell'indagare su eventuali sintomi. La fase 2, quella degli esami più approfonditi, scatta solo in caso di sospetto. Domanda: perché non inserire nelle analisi di base alcuni di questi, come l'Holter, il monitoraggio di 48 ore, la risonanza magnetica o lo studio dei potenziali tardivi (l'osservazione dell'attività elettrica del ventricolo)? Sull'opportunità non c'è accordo unanime. Più facile è comprendere la difficoltà di effettuare indagini, come la coronarografia, utili a scongiurare rare malformazioni: troppo invasive. All'estero, invece, che succede? Risponde il medico della Nazionale italiana di calcio, Enrico Castellacci: «Non pensiate che la situazione sia migliore. Dovreste sapere che qui da noi molti trasferimenti vengono bloccati a seguito di visite più accurate rispetto a quelle che si fanno dall'altra parte del confine». Secondo il responsabile della salute degli azzurri il problema non riguarda tanto la serie A o le altre leghe professionistiche, quanto la schiera di italiani che pratica sport a livello amatoriale: «La morte di Morosini ha sconvolto tutti noi. Purtroppo ci troviamo ad affrontare certi temi soltanto quando siamo in lutto. Ma vi invito a porvi un'altra domanda: a che punto stanno la prevenzione e l'utilizzo di strumenti come il defibrillatore nel calcio dilettantistico e nei campi di periferia?». Già, perché c'è un esercito di "sportivi fai da te" che spesso non sa quel che rischia. -
Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
LETTERA AL RISPARMIATORE FIAT CAMBIA PELLE La fusione con Chrysler per sfidare i big dell'auto Le opzioni Ferrari e Alfa Le nozze transatlantiche in porto entro 2-3 anni ma al gruppo potrebbero aggiungersi nuovi partner LA SFIDA Sergio Marchionne si prepara al negoziato con il fondo Veba per portare al 100% la quota del Lingotto nell'azienda di Auburn Hills, presupposto decisivo per l'integrazione di ANDREA MALAN (Il Sole 24 ORE 15-04-2012) Dopo tre anni di cambiamenti vorticosi – dall'ingresso in Chrysler allo scorporo di Fiat Industrial – la Fiat prepara i passi decisivi nel delicato processo di integrazione industriale e societaria con l'azienda americana; un processo che peserà sull'evoluzione del titolo Fiat ancor più della difficile congiuntura che penalizza il settore auto in Europa. L'amministratore delegato Sergio Marchionne dovrà gestire nei prossimi mesi una serie di passi per aumentare la quota in Chrysler (attualmente al 58, 5%) e arrivare alla fusione. Fiat dispone di una serie di opzioni ma dovrà inevitabilmente venire a patti con il fondo Veba, azionista di minoranza dell'azienda Usa. I fondi necessari all'operazione sono già in cassa, anche se il Lingotto potrebbe decidere di cedere qualche asset per finanziare l'operazione, per evitare un'impennata dei debiti e un deterioramento del rating (tra le ipotesi circolate nei mesi scorsi, quelle di Ferrari e Alfa Romeo). Una volta arrivati alla fusione resteranno due nodi altrettanto importanti: la sede della nuova società (resterà a Torino o prenderà il volo per gli Usa?) e la presenza e il ruolo della famiglia Agnelli, da 110 anni azionista di maggioranza di Fiat. Resteranno al volante o sceglieranno di ridurre l'esposizione a un settore ciclico e rischioso come l'automobile? Fiat pesa in fondo ormai meno del 20% sul portafoglio della loro holding Exor. Una cosa è certa: quando Sergio Marchionne lascerà il volante di Fiat, fra 3 o 4 anni, la società potrebbe essere molto diversa da ora. «Signori azionisti, il 2011 ha cambiato la Fiat per sempre» ha detto il presidente John Elkann alla recente assemblea dei soci. Con l'acquisto di Chrysler nel 2009 e poi lo scorporo di Iveco e Cnh, il gruppo si è trasformato da conglomerato autoveicolistico in un'entità focalizzata sulle quattro ruote, con una presenza geografica più equilibrata e una gamma che va dalla Panda alla Ferrari. I problemi non mancano, soprattutto dal punto di vista industriale: il crollo del mercato italiano e la frenata di quello europeo hanno accresciuto le perdite strutturali nel Vecchio continente (500 milioni di euro nel 2011), accentuando il gap rispetto a un Brasile redditizio e una Chrysler in forte ripresa; il gruppo, con i suoi 4 milioni di veicoli venduti, è piccolo rispetto ai colossi globali: per questo l'amministratore delegato Sergio Marchionne ha cercato nei mesi scorsi di siglare intese con Psa Peugeot e con Gm/Opel e per questo sono poi spuntati fra i potenziali partner anche costruttori giapponesi come Suzuki (in rotta con Vw) o Mazda. La stessa alleanza con Chrysler, di cui Fiat controlla attualmente il 58, 5%, è un cantiere aperto dal punto di vista dell'integrazione industriale ma soprattutto dal punto di vista di quella societaria; proprio di quest'ultima si occuperà il resto dell'articolo. Socio di minoranza di Chrysler – con il 41,5% – è il fondo Veba gestito dal sindacato Uaw. Fiat dispone di varie opzioni per aumentare la propria quota (si veda la colonna più a destra). Lo scenario più probabile è che Torino arrivi entro fine 2013 al 100% di Chrysler, magari con un mix di due delle opzioni a disposizione: acquistare il 3,3% ogni sei mesi (a prezzo garantito e relativamente basso) e fare un'offerta ai gestori del Veba per l'intera quota residua. Lo scenario negoziale è favorevole: il venditore non ha alternative (chi comprerebbe per diventare socio di minoranza di Fiat?) e potrebbe avere bisogno di cash per pagare le prestazioni sanitarie ai pensionati Chrysler. Salire al 100% di Chrysler potrebbe costare a Fiat un massimo di 4 miliardi di euro (ma probabilmente meno); a finanziarli basta in prima battuta il consistente cuscino di liquidità che Marchionne ha accuratamente preservato (20,7 miliardi di euro lordi a fine 2011). L'operazione farebbe salire il debito netto del gruppo e peserebbe sul rating due volte, in quanto il "voto" di Chrysler è più basso di quello del Lingotto. Per coprire il costo, Fiat ha naturalmente a disposizione anche altre mosse; per esempio la cessione di una quota di minoranza della Ferrari. La casa di Maranello è però un asset prezioso anche per il flusso di dividendi che assicura (200 milioni di euro nel 2010): qualora gli Agnelli decidessero di non conferirla a Fiat-Chrysler potrebbero scorporarla come fatto con Fiat Industrial (magari siglando un patto di sindacato con Piero Ferrari per restare sopra al 30% e introducendo poison pill per evitare scalate ostili). C'è poi il marchio Alfa Romeo, da tempo nel mirino di Volkswagen; finora la Fiat ha sempre rifiutato di venderlo, ma gli investimenti necessari al rilancio, da tempo promesso, non si sono materializzati. Il raggiungimento del 100% di Chrysler renderebbe Fiat responsabile delle obbligazioni pensionistiche di Chrysler (la parte non coperta era pari a 6, 5 miliardi di dollari a fine anno), ma le consentirebbe di utilizzare la generazione di cassa dell'azienda americana (1, 9 miliardi di dollari nel 2011). Potrebbe insomma essere proprio il cash flow di Chrysler a ripagare il grosso del costo dell'acquisizione (già il primo 35% è stato ottenuto da Fiat senza esborso monetario e ha generato un provento atipico di 2 miliardi di euro nel bilancio 2011). La conquista del 100% di Chrysler spianerebbe la strada verso la fusione, che a quel punto non sarebbe più diluitiva per gli Agnelli. Se appare scontato che la futura Fiat-Chrysler sia quotata a Wall Street oltre che a Milano, il nodo maggiore e più simbolico sarà quello della sua sede legale. Sergio Marchionne ha lanciato vari segnali di una possibile "emigrazione", soprattutto sulla stampa americana, per poi rintuzzare le proteste italiane con un "non c'è nulla di deciso". Più di un fattore, però, gioca agli occhi del manager a favore dell'America: dai vantaggi fiscali alla più volte lamentata difficoltà di fare business in Italia. A questo interrogativo si sovrappone quello sulla strategia degli Agnelli: resteranno maggiori azionisti o si lasceranno diluire? Fiat spa vale attualmente 5 miliardi di euro e il 30% in mano alla loro holding Exor pesa attualmente per meno del 19% sul valore totale dei suoi investimenti, a fronte del 35% di Fiat Industrial e del 22% circa della svizzera Sgs. John Elkann ha dichiarato un anno fa che la famiglia è disposta a veder scendere la propria quota in Fiat per accompagnarne la crescita. Farlo in coincidenza con una fusione con Chrysler e magari con un'Ipo di quest'ultima significherebbe però rinunciare a monetizzare il premio di maggioranza; nel lungo periodo, invece, ogni scenario è possibile, compreso quello di accordi con soci di peso (magari asiatici) che portino in dote capitali e completino la presenza geografica del gruppo. Marchionne ha detto l'anno scorso che resterà al volante fino al 2015 o 2016: c'è da scommettere che prima di lasciare conti di chiudere tutti i dossier. Le opzioni di Fiat Veba call option Questa opzione permette a Fiat di acquistare dal Veba un totale del 40% della quota in mano al fondo, ovvero complessivamente il 16, 3% del capitale Chrysler, dal 1° luglio 2012 fino al 30 giugno 2016; tale diritto può essere esercitato in quote semestrali non superiori al 20%, ovvero il 3, 32% del capitale Chrysler ogni semestre. Il prezzo di acquisto è di volta in volta determinato da una formula che fa riferimento all'equity value di Chrysler moltiplicato per i multipli di Fiat spa – un prezzo conveniente, poiché Fiat è valutata attualmente meno di Chrysler. Il meccanismo è però lento: Fiat dovrebbe aspettare fino al luglio 2014 per raggiungere il 75% del capitale. Recapture option Questa seconda opzione, che il Lingotto ha acquistato l'anno scorso dal Tesoro Usa, prevede un tetto a quanto il Veba può incassare dalla cessione della propria quota del 41, 5% in Chrysler. Il tetto è pari a 4, 25 miliardi di dollari con una rivalutazione del 9% ogni anno a partire dal 1° gennaio 2010: il tetto al 1° gennaio 2012 è dunque arrivato a 5, 05 miliardi di dollari (3, 9 in euro al cambio attuale). Eventuali introiti al di sopra di quella soglia andrebbero "girati" a Fiat. Quest'ultima ha inoltre la possibilità di rilevare in qualsiasi momento l'intera partecipazione del Veba a una cifra pari al tetto sopra citato – un esborso che gli osservatori valutano piuttosto elevato. Scambio quota Veba con azioni Fiat Più che un'opzione concreta è un'arma negoziale in mano a Sergio Marchionne. In teoria Fiat potrebbe già ora scegliere di offrire al Veba azioni proprie in cambio della quota Chrysler. L'unificazione delle categorie di azioni, appena votata dalle assemblee, è un passo in questa direzione; come controindicazioni ci sono la diluizione di Exor (senza compenso), e il fatto che l'opzione principale del Veba è la monetizzazione secca. Quotazione di Chrysler in Borsa La soluzione di gran lunga meno probabile, come spiegato da Marchionne in una recente intervista. In una fase positiva del ciclo dell'auto e del mercato Usa, c'è infatti il rischio che il mercato valuti Chrysler più di quanto Fiat potrebbe pagare in base all'opzione sulla quota Veba (ai multipli Fiat) o, ancor meglio, a un negoziato con lo stesso fondo. Certo, Fiat perderà dal prossimo 1° gennaio il diritto di veto sulla "registrazione dei titoli" in vista della quotazione; ma se il fondo decidesse di "forzare" tale opzione, l'eventuale Ipo verrebbe comunque gestita da Sergio Marchionne, che avrebbe dunque in mano le chiavi del suo successo (o insuccesso). Il manager potrebbe quindi convincere i gestori del fondo che è meglio vendere a Fiat con uno sconto piuttosto che affrontare i rischi del mercato.