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Ghost Dog

Tifoso Juventus
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  1. RCS I guai spagnoli e le tensioni al Corriere di GIOVANNA LANTINI (il Fatto Quotidiano 11-02-2012) Per ora niente sciopero in casa Rcs, anche se ieri è arrivato l’ennesimo comunicato sindacale. C’è ancora una speranza che le diplomazie al lavoro evitino le scelte estreme. I lavori fervono all’editrice di Corriere e Ġazzetta, dove gli sherpa, il direttore Ferruccio de Bortoli in testa, sono intenti a calmare gli animi e i consulenti più fidati a escogitare uno stratagemma che risolva la questione spagnola senza turbare gli equilibri tra soci o scatenare lotte sindacali. Impresa non facile: la svalutazione della controllata iberica potrebbe pesare per quasi 300 milioni. Il bilancio 2010 di Unidad Editorial depositato a settembre ha evidenziato un rosso di 19,45 milioni che ha portato il saldo delle perdite del triennio 2008-2010 a 83,55 milioni. Cifre allarmanti. Nel rendiconto al 30 settembre 2011 chiuso con un rosso di 25,5 milioni, poi, l’editrice italiana a proposito della Spagna parlava di margini crollati dell’ 89 %. Ed è proprio in queste cifre che stanno i mali dell’editrice del Corsera i cui vertici si stanno arrovellando da mesi su una soluzione soppesando ora la ricapitalizzazione, ora l’utilizzo delle riserve, ora la vendita di Flammarion ora dell’immobile milanese, con la diaspora di Corriere e Ġazzetta. I sindacati che hanno invitato i soci ad aprire i portafogli rinfacciando al cda una gestione dissennata. Ma il problema non sono solo i soldi da sborsare per la fallimentare operazione Recoletos da 1,1 miliardi, ma anche il mantenimento degli equilibri interni. Gli amici attorno al tavolo del patto di sindacato che governa il Corriere, infatti, non sono più quelli di una volta. Al posto dei Ligresti ci saranno le coop di Unipol e sulla poltrona di Edison arriverà un rappresentante della francese Edf, magari vicino a Nicolas Sarkozy e al suo amico Vincent Bolloré. Cambi di proprietà che mal si conciliano con un’eventuale ricapitalizzazione di Rcs che costringerebbe i pattisti ad aprire di più il portafogli per ridurre al minimo i cambiamenti. Meglio, forse, tentare di mantenere lo status quo. Con l’unica strada che sembra possibile di una ricapitalizzazione a valle e cioè della sola controllata spagnola. Magari anche rinnovando il cda in scadenza con la guida di Antonello Perricone e la presidenza di Piergaetano Marchetti. Resta il problema di dove trovare i soldi. ___ Zuppa di Porro di NICOLA PORRO (Il Giornale 11-02-2012) Quanti clienti nella gioielleria di via Solferino A un certo punto il presidente Enrico Salza ha ordinato un piatto caldo. Il comitato esecutivo della Rizzoli, che si è tenuto nei giorni scorsi, in fondo non è stato così lungo. Ma i temi erano succosi. E la zuppa che ne vuole dare conto, non può che apprezzare il gesto del vecchio signore di animo liberale, che può rinunciare a tutto ma non al suo pranzetto. Per il resto i temi sul tappe­to erano davvero importanti. La questione è semplice. L’investimento in Spagna è stato pagato caro e oggi non vale ciò che è costato. È necessario svalutarlo. Ma di quanto? Senza entrare in pericolosi tecnicismi, la faccenda non è di poco conto. Superata una certa soglia di deprezzamento sarebbe toccato ai soci della Rcs ricapitalizzare la baracca. Un bel problema. Per farla breve, le opzioni sul terreno erano due. Mettere quattrini freschi in cassa o vendere qualche gioiello di famiglia. Vi diciamo subito che è stata scelta la seconda strada. E Salza, confortato dall’anima bazoliana della Rcs, tra una portata e l’altra ha pungolato (in teleconferenza) i soci. Diego Della Valle, che inizialmente non era del tutto ostile all’aumento di capitale, ha subito fatto capire che sarebbe stato meglio percorrere la strada del dimagrimento. E con lui altri azionisti, tra cui i Pesenti. Più scettico Rotelli. Il big della sanità lombarda, che non ha fatto un sospiro nel tirar fuori più di 400 milioni per rilevare il San Raffaele, è stato, quasi solitario, fino all’ultimo favorevole a un aumento di capitale. Ha evidentemente ancora quattrini da investire. Deve vedere di buon occhio la chance, essendo fuori dal patto, di aumentare la sua quota. E ha forse voglia di mediare i prezzi del suo investimento. Sull’altro piatto della bilancia due bazzecole: la vendita delle partecipazioni in Francia e del palazzone di Via Solferino. Una più calda dell’altra. Sulla Francia ci sono già due proposte sul tavolo, molto appetitose. Ma che il management della Rizzoli (che pure non è certo ostile al gruppo di Della Valle & Co) non sta cucinandosi a puntino. È un treno che passa poche volte nella vita. Chi compra la Francia da Rizzoli diventa leader nell’editoria parigina: insomma, tocca approfittarne fino a che le cose rimangono così. Si rischia pure di fare un buon affare. Per chi vende, si intende. Sulla sede storica di via Solferino arrivano però i dolori. I giornalisti vedono il trasloco a Crescenzago come il fumo negli occhi. E Ferruccio de Bortoli è il loro paladino e si è apertamente e formalmente dichiarato contrario. Nei tam tam del Corrierone si dice anche che la sede, per vecchia volontà della Crespi, sia destinata a solo utilizzo, per così dire, editoriale. Quanto sia vera o vincolante questa previsione è tutta da vedere, ma oggi fa gioco. L’idea, infatti, è quella di valorizzare una parte del palazzone, chiedendone il cambiamento della destinazione d’uso. Due operazioni che potrebbero, secondo alcuni numeri circolati in comitato, coprire i 400 milioni necessari per non andare a chiedere nuove risorse ai soci e svalutare la Spagna. Ne vedremo ancora delle belle. Ps. Tutti si interrogano su quale tra le fondazioni minori dovrà mollare il cda di Unicredit. Alcuni scommettono che Caltagirone, neo socio della banca, avrà invece un posticino.
  2. IN CORTE D’APPELLO «Ora togliete all'Inter il titolo 2006» La Juve: «I giudici usino subito la sentenza Calciopoli» di ANTONELLO CAPONE (GaSport 11-02-2012) Nuovo attacco della Juve, ora in Corte d'appello di Roma: «Dichiari nullo il lodo del Tnas che arbitrariamente si è dichiarato incompetente non decidendo sul ricorso della Juventus e gioca tu la palla: togli all'Inter lo scudetto del 2006. Fa' ciò che Figc e tribunale del Coni non hanno voluto fare nonostante i fatti nuovi emersi sull'Inter. La sentenza del tribunale di Napoli su Calciopoli fa chiarezza sulla condotta della società Juventus che è stata separata nettamente da quella di Moggi». L'impugnazione del club presieduto da Andrea Agnelli depositata ieri a Roma è di 94 pagine, ma si può riassumere così. Il regista avvocato Michele Briamonte con l'avvocato Luigi Chiappero e il professor Pasquale Landi chiede alla Corte d'appello di agire in due fasi. Primo: «Annullare il lodo del Tnas: non poteva esimersi dal pronunciarsi invece ha evitato di entrare nel merito; il Coni che citiamo in giudizio con Figc e Inter ha anche nominato gli stessi giudici del Tnas con ciò togliendo il diritto a una difesa piena e a un giudizio sereno; il Coni ha ultimamente deciso che la Federazione può togliere uno scudetto e quindi condizionando il giudizio, facendo intendere che prima non poteva, cosa non vera». Seconda fase: «Visto che chi doveva agire non lo ha fatto, entra direttamente tu, Corte d'appello, nel merito della questione e quindi annulla l'atto del commissario Rossi che ha attribuito lo scudetto all'Inter». La prima udienza è stata fissata per il 30 luglio 2012. La Juventus chiede anche il risarcimento dei danni quantificato in 444 milioni di euro. Una causa pende al Tar del Lazio. In azione poi la Corte dei Conti. ___ SCUDETTO 2006 La Corte d’appello decide sul titolo Scattato ieri il ricorso Juve contro il lodo del Tnas, rinforzato dalle motivazioni della Casoria. La Corte può annullarlo e anche decidere di GUIDO VACIAGO (Tuttosport 11-02-2012) TORINO. La Juventus ha caricato un altro cannone. E’ puntato, come tutti gli altri, verso il Coni e la Figc, più in generale contro la giustizia sportiva che negli ultimi due anni, da quando Andrea Agnelli e l’avvocato Michele Briamonte hanno iniziato la loro battaglia, si è trincerata dietro improcedibilità o incompetenza. Ieri, infatti, è stato presentato alla Corte d’Appello di Roma il ricorso avverso alla decisione del Tnas (Tribunale nazionale arbitrato dello sport) che lo scorso 15 novembre si era dichiarato incompetente in merito all’istanza di revoca dell’assegnazione dello scudetto del 2006. La Corte d’Appello di Roma è infatti tecnicamente competente ad accogliere l’impugnazione del lodo del Tnas (Tribunale nazionale arbitrato sportivo). LO SCUDETTO L’attacco è interessante, perché se la Corte d’Appello dovesse riconoscere la nullità del “non-lodo” del Tnas, potrebbe lei stessa decidere nel merito e quindi se era da revocare lo scudetto del 2006, quello che Guido Rossi assegnò all’Inter sulla base della “illibatezza” dei nerazzurri, presupposto disintegrato dalla relazione Palazzi del 1° luglio del 2011. I MOTIVI Insomma, oltre a essere un’arma parallela al Tar, la Corte d’Appello potrebbe entrare nel merito di una discussione che il Tnas non ha voluto affrontare. E proprio per questo rischia di vedersi demolito il lodo: tre, infatti, sono le ragioni per le quali la Juventus chiede l’annullamento del lodo (nella parte rescindente delle 92 pagine di documento). Il lodo è nullo perché non si è pronunciato nel merito quando doveva pronunciarsi, perché è stato violato il diritto alla difesa della stessa Juventus, perché è chiaramente contraddittorio quando afferma che il diritto (in questo caso lo scudetto 2006) è disponibile per la Juve e non è disponibile per la Figc. Tutte ragioni buone, per i legali della Juventus, per annullare quel lodo. A quel punto (e passiamo alla cosiddetta parte rescissoria), la Corte potrebbe anche decidere se, effettivamente, lo scudetto del 2006 era da revocare sulla base della relazione Palazzi (quella che riconosce all’Inter e ai suoi dirigenti la violazione dell’ex articolo 6, ovvero di illecito sportivo, ma salva i nerazzurri con la prescrizione). LA CASORIA A rafforzare il ricorso della Juventus, che ha citato la Figc e il Coni, oltre che l’Inter («danno collaterale», dice sempre Andrea Agnelli) per il 12 luglio, ci sono le motivazioni della sentenza Casoria. L’ormai famosa pagina 550, dove il giudice scrive che l’indagine è «corsa dietro al solo Moggi » e questo crea «ulteriore difficoltà di aggancio alla responsabilità del datore di lavoro», cioè la Juventus. Le pagine scritte dalla Casoria , nelle quali viene demolita l’indagine di Auricchio e vengono alleggerite fino a farle scomparire le responsabilità della Juventus, sono state aggiunte in tempo reale al ricorso bianconero alla Corte d’Appello, mentre la relazione Palazzi ne era un cardine fin dall’inizio. L’appuntamento è per il 12 luglio, mentre il Tar dovrebbe prendere in considerazione il ricorsone da 444 milioni a settembre. Sarà un’estate caldissima. Scudetto 2006 Juve, ricorso in appello per il Tnas trafiletto non firmato (CorSera 11-02-2012) Concentrata sullo scudetto del 2012, la Juventus comunque non molla quello (conteso) del 2006. Giovedì, alla Corte d'appello di Roma, è stato presentato il ricorso contro la decisione del Tnas di dare ragione alla Federcalcio sulla «non decisione» in merito all'esposto bianconero del maggio 2010 (basato sulle nuove intercettazioni) che, di fatto, ha lasciato il titolo all'Inter.
  3. La Giustizia, le nomine Attesa per il successore di Lepore in pensione dallo scorso dicembre. Una ventina i nomi nella «rosa» Nuovo capo della Procura, Colangelo in pole L’incarico la prossima settimana In corsa anche il pm torinese Guariniello e sette campani di GIUSEPPE CRIMALDI (Il Mattino 10-02-2012) La Procura della Repubblica di Napoli potrebbe avere un nuovo capo già la prossima settimana. La conferma arriva al «Mattino» da fonte qualificata del Consiglio superiore della magistratura: nei prossimi giorni, da lunedì, infatti, la commissione che propone al plenum gli incarichi direttivi formalizzerà il nome del successore di Giovandomenico Lepore. Tra gli oltre venti candidati - tutti magistrati di prim’ordine - prende sempre più corpo una candidatura: è quella di Giovanni Colangelo, che dall’aprile del 2008 ricopre la carica di capo dell’ufficio inquirente di Potenza. E anche se l’esperienza insegna che i giochi di corrente che determinano le nomine in ruoli apicali degli uffici giudiziari italiani (e che dunque bisogna attendere il giorno della ufficializzazione delle nomine stesse), sul nome di Colangelo convergono ormai tutti. A questo punto tocca alla commissione incarichi direttivi formalizzare al plenum la proposta di nomina. Si conferma una circostanza apparsa ben chiara già qualche mese fa: e cioè che i futuri vertici di due Procure di primo livello nazionale - quelle di Roma e Napoli - avrebbero subìto il destino di correre in parallelo; nel senso che - in quelle complesse alchimie che regolano i rapporti tra le correnti interne alla magistratura - gli accordi per i capi delle Procure di Napoli e della Capitale si sarebbero intrecciati. Mercoledì si comincia, e si entra nel vivo con Roma: sarà il giorno di Giuseppe Pignatone, l’ex procuratore di Reggio Calabria che otterrà il voto all’unanimità dal plenum di Palazzo dei Marescialli. Sarà, insomma, il prossimo capo della Procura di Roma. Sessantadue anni, Pignatone si insediò in Calabria quattro anni fa, dopo essere stato a Palermo come procuratore aggiunto ed aver coordinato le indagini che portarono alla cattura di Bernardo Provenzano. Ma torniamo a Napoli. Al di là delle indiscrezioni che convergono al momento tutte sul nome di Colangelo, per la poltrona fino a qualche settimana fa occupata da Lepore concorrono, come si diceva, nomi noti della magistratura campana e nazionale. Dall’aggiunto Sandro Pennasilico, che attualmente ricopre l’incarico di «vicario», agli «aggiunti» Rosario Cantelmo, Federico Cafiero de Raho, Aldo De Chiara e Francesco Greco. Ci sono poi le candidature del procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello, e dei procuratori della Repubblica di Salerno, Franco Roberti, di Santa Maria Capua Vetere Corrado Lembo, di Nola Paolo Mancuso. Ieri, intanto, il Consiglio superiore della magistratura ha formalizzato altre importanti nomine. Si tratta di quattro magistrati che entrano a far parte della Direzione nazionale antimafia, diretta da Piero Grasso. Ce l’ha fatta il napoletano Francesco Curcio, pubblico ministero che è stato titolare di tanti delicati fascicoli d’inchiesta nel capoluogo partenopeo (quello su Alfonso papa e sulla P4, solo per citarne dei più recenti). Nominati alla Procura nazionale antimafia Franca Imbergamo, sostituto procuratore generale a Palermo, un passato trascorso a indagare sulle più scottanti inchieste su Cosa Nostra; il campano Filippo Spiezia, che dopo essere stato pm a Salerno ha fatto parte di Eurojust; ed Elisabetta Pugliese, sostituto procuratore finora in servizio presso la Direzione distrettuale antimafia di Bari. Non ce l’hanno fatta, nonostante i titoli vantati, altri due magistrati napoletani: Luigi Alberto Cannavale (penalizzato dalla giovane età rispetto ai concorrenti) e Antonio D’Amato.
  4. Comunicato sindacale (CorSera 10-02-2012) Il Cdr del Corriere della Sera è solidale con i colleghi della Ġazzetta dello Sport e recepisce le loro preoccupazioni che qui di seguito riportiamo: «Ġazzetta dello Sport, piacere quotidiano. Vorremmo tutti che lo rimanesse. Chi ci lavora, chi la trova in edicola, chi la vive attraverso le nuove tecnologie. Per questo è necessario che un giornale che vanta il maggior numero di lettori in Italia e rappresenta il più grande e rispettato quotidiano sportivo in Europa non perda il suo valore. L'uscita dallo stato di crisi, nel novembre scorso, non ha prodotto gli investimenti sperati. Nuove iniziative sono state congelate. La redazione ha continuato a lavorare con impegno ed entusiasmo, com'è giusto che sia. Ma due settimane fa l'azienda ha accennato a nuovi piani, che andrebbero in direzione opposta a quelli adottati nell'ultimo decennio, e che indebolirebbero il valore del settore quotidiani. Per questo i giornalisti della Ġazzetta, del Corriere della Sera e i poligrafici hanno dichiarato uno stato di agitazione comune. Che, nel caso della nostra redazione, ha prodotto prese di posizione e cambiamenti riguardo le pagine legate a iniziative di marketing e attuato e messo in cantiere altre forme di protesta, anche dure. L'ultimo bilancio depositato da Rcs Mediagroup, che riguarda il 2010, evidenzia come — grazie a robusti sacrifici, compreso lo stato di crisi che ha ridotto il numero di giornalisti e poligrafici — siano arrivati risparmi notevoli: 247 milioni, 47 in più di quelli previsti. L'ultima trimestrale, del settembre 2011, racconta di un comparto quotidiani che mostra ricavi netti consolidati ancora positivi. E a fine 2010 le riserve di bilancio, legate a utili precedenti, superavano i 200 milioni di euro. Sui conti incide però l'investimento in Spagna, con risultati inferiori alle attese. L'impairment test sulla valutazione dell'acquisizione di Recoletos è ancora un'incognita, come le sue conseguenze sul bilancio consolidato di gruppo. Le difficoltà del settore le conosciamo. La crisi, tuttavia, non sarà eterna. È un periodo di grandi trasformazioni, legato anche allo sviluppo tecnologico di internet, tablet, smartphone. Una grande opportunità per chi come il gruppo Rcs è in grado di produrre contenuti e informazioni di qualità, un bene prezioso (anche socialmente) e la cui domanda non potrà mai ridursi. Le conseguenze e le trasformazioni tecnologiche sono state sempre accettate dai lavoratori, che non hanno mai fatto venir meno il loro senso di responsabilità, anche durante periodi economici e storici più difficili di questo. Sarebbe invece inaccettabile rinnegare accordi pluriennali condivisi, fatti di sinergie e riorganizzazione del lavoro tra giornalisti e poligrafici. E soprattutto ridurre la capacità operativa (e in tal modo il valore) di una testata che produce profitti da sempre e che, quando il sistema economico riprenderà slancio, a causa di tali cambiamenti non sarà più la stessa. La Ġazzetta dello Sport è una realtà industriale importante, sana e unica nel panorama editoriale italiano. Una realtà da proteggere. Come immagine, come peso e per quanto potrà dare di ancor più significativo nel prossimo futuro. Invitiamo dunque gli azionisti e il management di Rcs Mediagroup a una riflessione e alla massima collaborazione comune perché un patrimonio invidiato da tutti non venga disperso o impoverito. Pronti, giornalisti e poligrafici, a spiegare le nostre ragioni al cda del gruppo (Il Cdr della Ġazzetta dello Sport)». Il Cdr del Corriere della Sera
  5. ITALIA ED ESTERO CAMBIAMENTI PER A, CHAMPIONS, EUROPA LEAGUE E NAZIONALE Beretta e Platini studiano novità per i calendari di ANTONELLO CAPONE (GaSport 10-02-2012) La Lega Serie A si riunirà oggi in commissione tv e assemblea: discuterà anche di emergenza maltempo nonostante l'ordine del giorno sia sull'offerta Rai per il calcio in chiaro già definita «indecente» da numerosi presidenti. I prodotti saranno spacchettati, già il canale in chiaro di Sky, Cielo, ha aperto lo slot. Oggi la Lega prende 25 milioni (la Rai ha offerto meno della metà), per il futuro punta ad un minimo di 22-23. Mentre Mediaset tira a prendersi la Coppa Italia che anche l'altra sera con 9,3 milioni di audience e il 30% di share per Milan-Juve ha mostrato tutto l'appeal. Lega A-Uefa insieme Ma torniamo al maltempo e a chi sta lavorando sodo a fari spenti per una nuova formulazione del calendario in modo da diluire diversamente gli impegni. Il presidente Maurizio Beretta, il direttore generale Marco Brunelli e il delegato per i rapporti internazionali Giovanni Pifarotti hanno mandato il sì di massima della Lega italiana all'Uefa che sta studiando un calendario europeo che armonizzi con la Fifa tutte le manifestazioni. L'Italia ritiene positivo studiare con Platini e lavora in seno al movimento delle Leghe europee affinché l'assenso alla discussione sia unanime, nell'interesse di tutti: molti ok già arrivati, sono un po' restii gli inglesi che come in Europa tengono a battere moneta propria. Cosa si guadagna Il piano prevede il via dalle stagioni 2014-15 e 2015-16. Ripetibile sempre a due a due. La Lega guadagnerebbe in due anni tre mercoledì liberi nei quali far giocare la Serie A e un turno domenicale in più a fine maggio. Infatti Platini si è impegnato con l'Italia a fissare nelle ultime date possibili di maggio le finali di Champions League ed Europa League, in modo che i campionati possano concludersi con più fiato. L'inizio sarebbe in agosto, meglio con due turni. E l'Uefa proporrà alla Fifa di diminuire nell'arco delle due stagioni i rilasci dei calciatori per le squadre nazionali da 12 a 9. Ma attenzione, non si tratterebbe di tagliare gli impegni dell'Italia e degli altri team, quanto di riorganizzarli. Non più rilasci per singole partite, spesso amichevoli, che in questo ingolfamento di date creano seri problemi. Ma accordo per rilasci dal lunedì al mercoledì della settimana successiva, quindi per dieci giorni, per doppi impegni delle nazionali, che siano ufficiali o amichevoli. Quanto alla composizione delle squadre, fino al 2015 la A sarà sicuramente a 20 squadre: diritti già venduti. Le 18? I problemi verrebbero dalla B e dalla Pro che avrebbero promozioni dimezzate. ------- SVOLTA DATE GANDINI (CLUB EUROPEI) «Dai campionati alle nazionali Si cambierà così» «Alle Leghe tre mercoledì e un weekend in più per i calendari» di ANTONELLO CAPONE (GaSport 11-02-2012) Umberto Gandini, lei è primo vice presidente dell’Eca, l’Associazione dei club europei. Abbiamo scritto che la Lega A è favorevole a cambiare i calendari con la regia di Uefa e Fifa. . . «Abbiamo avuto riunioni con l’Uefa e le Leghe di tutta Europa. Nell’assemblea del 27-28 l’Eca chiederà di portare una nuova organicità nei calendari e speriamo che il 5 marzo l’Uefa riesca a convincere le altre Confederazioni che il cambiamento conviene a tutti. Riguarderebbe a due a due le stagioni 2014-15/2015-16 e 2016-17/2017-18. Poi per il Mondiale Qatar 2022 si vedrà». Qual è la conquista più importante? «Più ordine all’impiego dei giocatori da parte delle nazionali. I club li darebbero per 10 giorni 9 volte in 2 stagioni per impegni ufficiali o amichevoli o stage. Oggi i rilasci obbligatori sono 12, ma ci sono quelli di 48 ore per le amichevoli singole che sono deleteri per tutti». L’Uefa fisserebbe le finali Champions ed Europa League a fine maggio, dando più tempo... «La Lega A e le altre Leghe avrebbero un turno in più a maggio e in 2 anni 3 mercoledì liberi per campionato o coppe nazionali. Non poco». Avete coinvolto i calciatori? Cosa pensano? «Sì, a diverse riunioni ha partecipato anche il sindacato internazionale dei calciatori Fifpro. Le risposte sono positive, il tema è sentito». Chi bisogna ancora convincere? «Qualche Confederazione sta ancora ragionando, ma si renderà conto che in Europa giocano i migliori di tutto il mondo, per cui i ritorni positivi sono a favore di tutti i continenti».
  6. CALCIOPOLI Primo: restituire lo scudetto 2004-05 alla Juve di ALVARO MORETTI (Tuttosport 10-02-2012) E SE IL TAVOLO della Pace vera lo rimettesse in piedi la giudice Casoria? Ci si può sedere attorno alle 558 pagine vergate dalla presidente della nona sezione del tribunale di Napoli e scoprirvi una via d’uscita per il calcio italiano, buona per molti e accettabile per qualcuno. Quelle pagine pur tra mille contraddizioni sanciscono la colpevolezza di Moggi, ma sciolgono la Juve (la Grande Danneggiata) dal peso più grave degli addebiti e liberano la stagione 2004-2005 dal fardello di “stagione interamente taroccata e vergogna del calcio italiano”. Proprio questi fondamentali della sentenza Calciopoli - con salti logici evidenti, tante contraddizioni, attenuazione degli addebiti e bacchettate pesanti agli inquirenti - possono far guadagnare un passo avanti nell’impasse che è culminata nel meritorio tentativo di Gianni Petrucci, lo scorso 13 dicembre. Perché una via d’uscita - buona per tutti - la leggiamo proprio nelle pagine pubblicate lunedì. L’assunto principale sull’intera vicenda, al netto delle feroci critiche agli inquirenti accusati di parzialità, di aver mirato sul Moggi tutte le attenzioni che potevano essere sparse anche altrove, come hanno testimoniato telefonate ritrovate e baffi rossi trascurati a targhe alterne, è che non ci sono prove che campionato 2004-2005 sia stato condizionato, inquinato alla radice, frodato dall’inizio alla fine. E che per le singole frodi scelte come architravi dell’accusa di associazione per delinquere sono solo tentativi o addirittura «intenzioni di...». La giustizia sportiva ha deciso di infliggere all’intero calcio italiano la pena più dura e infamante: il campionato 2004-2005 per radicale inquinamento è stato cancellato, con lo scudetto revocato alla Juventus. Un buco insopportabile per la storia del football nostrano, che però è lì e lì era stato messo come ammonimento. Tutto ciò perché chi ha giudicato nel 2006 lo ha fatto sulla base delle informative del maggiore Auricchio e dalla prima frettolosa chiusura delle indagini dei pm Narducci e Beatrice, suggestionata da sorteggi asseriti come taroccati (altro niet posto dalla Casoria), ammonizioni mirate (anche qui niente emerge), dal rapimento inventato di Paparesta (che nel processo di Napoli manco ci è arrivato, smontato in precedenza dala Procura di Reggio Calabria). Il fatto è - ora - che se la Juve vorrà percorrere la via della revisione del processo sportivo ex articolo 39, forte (anzi, fortissima) anche della scissione sancita a Napoli tra la figura di Moggi e la sua operatività in esclusiva chiave juventina, non si potrà non rivedere e revisionare quell’enorme articolo 1 che ha generato il mostro di un illecito sportivo senza prova di partite alterate e quindi di vantaggio. La sanzione principale per la Juventus fu quella gravata sulla classifica della stagione 2005-2006 con la retrocessione in B: se adottassimo oggi il criterio di giustizia ordinaria a quello sportivo, sarebbe evidente l’attenuazione del profilo di colpa attribuibile al club («Né può essere trascurato il dato del ridimensionamento della portata dell’accusa che deriva dalla parzialità con la quale sono state vagliate le vicende del campionato 2004-2005, per correre dietro soltanto ai misfatti di Moggi, dei quali sono state accertate modalità, quanto alle frodi sportive, al limite della sussistenza del reato di tentativo, con conseguente ulteriore difficoltà di aggancio alla responsabilità del datore di lavoro», scrive la Casoria). E se pure si volessero punire le responsabilità di Giraudo, l’ex ad, e andare pesanti su quelle di Moggi, non si andrebbe ad incidere su due stagioni ma solo su quella in cui s’è indagato a livello sportivo. Come s’è fatto e si farà per Scommessopoli. E allora ecco il “Lodo Casoria”: percorrere la strada dell’articolo 39 per riconsegnare alla Juventus lo scudetto (unico effetto pratico ancora possibile) per una stagione - la 2004-2005 - che la stessa Casoria dichiara avvelenata dal chiacchiericcio telefonico su griglie e dalle cene, ma anche dalla incredibile parzialità dell’indagine, come la relazione Palazzi certifica all’esito della lettura delle telefonate nuove e dei baffi trascurati per i fortunati (sic!) prescritti di Calciopoli. La Figc riguadagnerebbe alla correttezza sostanziale un anno di storia del calcio italiano, quello che preludeva al Mondiale 2006. Il tutto senza urtare sensibilità interiste, visto che su quella stagione (almeno) Moratti non ha avuto nulla a pretendere. La questione dello scudetto cosiddetto di cartone, quello 2006, in ogni caso è devoluta - ormai - ai tribunali statali sui due versanti del Tar e della Corte d’appello civile. Ma anche qui un’altra fonte del diritto superiore, il Coni, ci ha consegnato una riforma della giustizia sportiva che vuole cancellare per il futuro strade erronee come quella scelta dal consiglio federale della Figc con la «non competenza», spazzata via da apposito articolo dei nuovi principi di giustizia sportiva. Sarebbe un Lodo, questo, che non risarcisce e non sana. D’altronde, proprio alla vigilia della valanga di Scommessopoli 2, ripensare ad un campionato in cui s’è accertata solo l’intenzione fraudolenta e il pericolo di inquinamento figlio di telefonate da Processo del Lunedì fa sorridere leggendo atti e riscontri delle Procure di Cremona e Bari relative agli ultimi tre campionati di A, B e Lega Pro. Se non riabilitiamo il campionato non frodato 2004-2005, che dovremmo fare con quelli finiti in mano a zingari, bookmaker asiatici e ad una pattuglia nutrita di calciatori di livello?
  7. Ignazio Scardina, imputato senza un perché, assolto senza un sol dubbio di Vincenzo Ricchiuti (Blog Uccellino di Del Piero 08-02-2012) La prima volta che ho visto Ignazio Scardina, fuori l’aula 216 del cosiddetto processo a Calciopoli, gli ho chiesto semplicemente “ma lei cosa ci fa qui ?”. Lui mi rispose, stremato, “Non ne ho la più pallida idea”. L’ultima volta che ho visto Ignazio Scardina, sempre fuori l’aula 216 del cosiddetto processo a Calciopoli, è stata la sera dell’8 Novembre scorso. La notte del verdetto di primo grado e della sua assoluzione. Scardina ne era contento senza alzare la voce. Per rispetto degli altri, i condannati. Telefonava a casa per rassicurare che il papà, il marito, l’uomo era stato assolto. Ma lo faceva come in un sussurro che gli sarà costato un patrimonio di nervi inesplosi. Non si doveva però esultare. Almeno lui non poteva. C’era chi non poteva fare altrettanto. Dottor Scardina, perché imputato ? È una domanda che mi sono sempre posto. Mai trovato una risposta. C’era secondo l’accusa un elenco di fiancheggiatori di Luciano Moggi nei media. Nessuno è finito sotto processo. Come mai solo lei ? Penso facesse comodo alla Procura di Napoli usare un nome come il mio perché faceva gioco in tutti i sensi. Che razza di associato è stato lei ? Sono stato imputato di associazione a delinquere perché difendevo il gruppo. Non sapevo cosa fosse questo “gruppo” ma tant’è. Le telefonate che facevo con Moggi erano per la maggior parte per lavoro. Per il resto solo perché siamo amici. Ci presentò Allodi a Torino: Moggi allora era responsabile del settore giovanile. È una amicizia che dura dal ’70-71. Che razza di associato è stato lei ? Niente schede, niente incontri, neanche una amichevole in cui lei abbia interferito. È una storia costruita in modo tortoriana. Dipaniamola. Lei è stato accusato anzitutto di aver fornito, in qualità di caporedattore di Rai Sport, servizi compiacenti che adulavano gli amici di Moggi e ne contrastavano i nemici. Sono stato accusato in sintesi di aver privilegiato Ciro Venerato a discapito della Sanipoli. Ciro era ed è tuttora un cane da tartufo per le notizie ma a prescindere da questo la vicenda Sanipoli è stata già chiarita ampiamente dagli organi competenti nelle sedi opportune. La stessa Rai s’è costituita parte civile contro di lei. Per i servizi compiacenti la Corte dei Conti l’ha pure assolta, Scardina. Ripeto, giudiziariamente come s’è evinto anche nel dibattimento a Napoli con le numerose testimonianze a mio favore dei miei colleghi la vicenda è stata chiarita definitivamente. Giudiziariamente. Magari le resta il rammarico personale nell’aver visto due persone da lei svezzate professionalmente come Varriale e la Sanipoli denunciarla ai carabinieri per propri interessi personali. Il grande dolore in questi anni è stata la morte del mio primo avvocato, Francesco Misiani, sostituito poi dal figlio Claudio e quella di Beppe Berti, mio capo al Tg2. Magari s’è fatto una colpa anche di questo. Magari pensa “quelle denunce avrei potuto evitarmele”. Come ho detto anche a De Gregorio, durante l’udienza preliminare, in una redazione va sempre così. Ci sono sempre state rivalità. Se solo in 2 si lamentano, non è un capo d’imputazione. È un successo. La seconda accusa formulata nei suoi confronti è stata quella di aver indotto Ermanno Pieroni ad astenersi dal fare accuse a Luciano Moggi. In cambio le sarebbe stata “regalata” una automobile. La macchina in questione, una Fiat Idea, l’ho comperata. Ho portato le prove in Tribunale: i bonifici effettuati. Eppure il Corriere della Sera scrisse: “Moggi regala l’auto a Scardina”. Che sconto ha avuto ? Il 19 per cento mi pare. Al Corriere se non erro lo sconto Fiat è del 40 per cento. Moggi mi ha regalato una macchina ? Mi sono fatto prestare 25mila euro dalla Banca Popolare di Ancona a 580 euro di rata per 60 mesi. Ho restituito i 25mila alla banca più gli interessi e Moggi mi ha regalato una macchina ? Vediamo se almeno il conto torna con le date. Dunque. Secondo l’accusa esce una intervista di Repubblica a Pieroni nella quale Pieroni dice qualcosa contro Moggi. Moggi la chiama e lei s’impegna telefonicamente con Moggi per ammorbidire Pieroni. In cambio le “regalano” una Fiat. Si. Scardina, con le date non ci siamo proprio. Lei l’auto l’ha comperata il 01/02/05. Il 05/02/05 ha mandato in onda Pieroni a Dribbling, anticipando le accuse di Repubblica. L’intervista di Pieroni al quotidiano Repubblica è dell’08/02/05. È tutto sfalsato. A dare il la alle accuse di Pieroni è stato proprio lei e l’auto l’ha comprata prima ancora che gliela offrissero. Ero preoccupato, sa com’è quando ti accusano. Ti fanno venire i dubbi. Mia moglie che è una testa d’acciaio mi ha tolto i dubbi. Peccato che non ho mai commesso delitti. Questo vale pure per Moggi, accusato di aver zittito Pieroni mandandolo a lavorare ad Arezzo. Per quel che so io, a sentire quel che si dice in giro per quell’epoca, non fu Moggi a portare Pieroni all’Arezzo ma Giacinto Facchetti. Eppure v’hanno coinvolto entrambi. Per una telefonata. Gliela spiego. Era l’otto di Febbraio del 2005. Un martedì. Io ero in ferie, avevo circa 300 giorni di ferie non prese ma quella volta avevo fatto eccezione per una volta. Arriva una telefonata di Moggi. Quel giorno guarda caso ero proprio davanti al Palazzo di Giustizia di Roma, quello che chiamano il Palazzaccio. Mia moglie stava acquistando cose e Moggi mi fa: “Ma tu hai letto Repubblica ?”. Non ho letto, vedrò. Non l’ho mai letta. Ricordavo bene l’intervista che avevamo fatto noi di Dribbling a Pieroni qualche giorno prima. Una bellissima intervista tra l’altro, in cui Pieroni non risparmiò niente e niente tagliammo. Sa, l’intervista in tv è sempre genuina perché è difficile mentire. C’è l’audio, c’è il video che riprende ogni tua mossa. È tutto autentico per definizione. Niente atmosfera romanzata come nei pezzi scritti. In quel contesto di veridicità estrema e rivolto alla platea tv con la vasta audience che avevamo noi, Pieroni diceva le stesse cose di Repubblica. Quindi quando Moggi mi chiamò mi ricordai subito di questo servizio ma non glielo dissi. Non potevo dirglielo a Luciano perché era già stato attaccato pesantemente sulle colonne del quotidiano. Non volli infierire. Mi limitai a rassicurarlo con un leggerò e vedrò. “Leggerò e vedrò”: questa è l’imputazione ad associazione a delinquere. Non c’è mai stata verifica. Peccato che lei non abbia mai commesso delitti a questo punto. Nel suo caso l’avrebbe aiutata. Con la coscienza sporca è più facile sopportare. Peccato che non ho mai commesso delitti, si. Il Pm fino alla fine mi voleva coinvolgere con un anno e due mesi. Lei ha avuto problemi di salute. Nel 2000 la polizia olandese m’ha aggredito, insieme a Mattioli e Scarnati, ledendomi il trigemino. Ogni volta che ho emozioni ho dolore. Lei ha avuto un infarto. Sono stato operato dal Professor Meglio dei Gemelli. Due volte. Ogni volta che ho emozioni ho dolore da desiderare la morte. La morte civica l’ha avuta. La gente non si rende conto. Sono andato a vivere in campagna. Una casa nella quale all’inizio avevamo solo una camera da letto e che poi pian piano abbiamo sistemato. Ma è stato inevitabile. Ho dovuto lasciare casa, le mie abitudini, la mia vita di sempre. Dovuto. Era un dolore forte abitare in mezzo ai giornalisti. Vederli andare a lavorare. Il guaio per i giornalisti che ci tengono è che il lavoro scompare, la promozione sfuma, mentre sei lì. A guardare la tv. Lei è stato reintegrato in Rai. Reintegrato, ma faccio poco. Ero considerato un numero 1. Ho avuto record di ascolti, 90°minuto, Dribbling, Stadio Sprint. Poi rientri ma si fa poco quando rientri con ordini esterni tipo “tienilo lì”. Pensa di chiedere i danni ? Non chiederò mai i danni al Pm, Narducci. Solo se s’accanisce. Che rapporto ha con Napoli ? Con Napoli ho sempre avuto un rapporto fantastico. Durante le udienze meno. Pioveva sempre. Pioveva sempre. In quella Napoli che avevo tanto amato. Ora forse mi posso riavvicinare. Senza il processo e quel tipo di processo. Un processo senza una prova, senza una testimonianza. Sono laureato in giurisprudenza ma ne avrei fatto volentieri a meno perché capire meglio l’inferno nel quale sei capitato e le sue incongruenze tecniche, beh non lo auguro a nessuno. L’8 Novembre lei è stato assolto. L’8 Novembre non lo dimentico finché campo. Assolto ma pur sempre tardi. Non si aspetta tanto in nome del popolo italiano che non so se avrebbe mai voluto tutto questo. Tardi per lei che è stato assolto. Figurarsi per i condannati. Mi auguro che l’Appello ristabilisca la verità. Magari una mano potrebbero darla i suoi colleghi nei media. Nell’aula accanto la nostra l’8 Novembre fu processato un uomo che aveva ucciso o ferito gravemente non ricordo un erbivendolo. In quell’aula erano in 6. Corte, avvocato difensore, pm. Non c’era un giornalista. Nessuno. Per un fatto grave, di sangue, nessuno. Da noi non si stava neanche in piedi. Cos’è che fa notizia ? I condannati. Gli assolti non interessano nessuno. Ignazio Scardina è stato assolto da ogni imputazione per non aver commesso il fatto. Le motivazioni, quelle giuridiche, potete trovarle scritte da qualche giorno. Le motivazioni, quelle vere, invece mai.
  8. COSA C'E DIETRO A QUEL BALZO DELLE AZIONI? di MASSIMO PAVAN (Tutto.Juve.com 08-02-2012) art.scoperto grazie a Ypsilon Non l'hanno fatto notare in molti, ma in questi giorni le azioni della Juventus hanno subito un vertiginoso rialzo. In due giorni sono cresciute da una media di 0,149 delle settimane scorse a 0,2335 (chiusura di due giorni fa) per un rialzo del 56% circa. Una crescita importante che ieri ha visto la perdita (classica mini vendita) solo dell'1, 5%. Difficile capire le motivazioni che stanno dietro a questa crescita anche se negli ambienti finanziari circolano alcune voci, che riportiamo. La prima sarebbe quella che la Juventus è prossima ad annunciare due grandi sponsor in vista della prossima stagione. Probabilmente, quindi, siamo vicini a scoprire il nome della società che accompagnerà lo Juventus Stadium. Un accordo di 3-4 anni a circa 10 milioni di euro a stagione sarebbe un gran colpo. La seconda ipotesi è quella del main sponsor che l'anno prossimo potrebbe essere nuovo e portare un importo ben maggiore nelle casse della Juventus, soprattutto in vista della Champions che toccando ferro la Juventus dovrebbe giocare. L'ultima voce, che riportiamo, ma che attualmente non ha avuto riscontri effettivi, riguarda l'interesse ad entrare in parte del capitale della Juventus di un nuovo partner, proveniente dagli Emirati. Ripetiamo, questa voce che circola non ha avuto al momento alcun riscontro, ma per correttezza la riportiamo. In ogni caso, l'idea è che qualcosa stia per succedere, o semplicemente potrebbe essere l'effetto Conte che oltre all'entusiasmo ha fatto schizzare anche le azioni bianconere.
  9. Union: Soccer clubs not paying in Eastern Europe di RAF CASERT (THE HUFFINGTON POST | February 7, 2012 12:33 PM EST) BRUSSELS — The union representing professional soccer players said Tuesday its members are mistreated financially by clubs in Eastern Europe, which can lead to the greater risk of match-fixing. In a study of thousands of players in a dozen nations, FIFPro said clubs from Greece to Russia show a "terrifying lack of respect" for the fundamental rights of professionals, ranging from withholding wages to beatings. Poland and Ukraine, which co-host Euro 2012, are among the financial culprits. FIFPro, which has threatened to hold up the start of some UEFA Champions League matches unless the situation improves, said by refusing to pay players, clubs were directly pushing them toward match-fixing schemes as a way of financial survival. FIFPro said FIFA and UEFA failed to heed their calls, noting it would be difficult to effectively combat match-fixing unless the federations make sure players are well-treated and paid on time. UEFA said it had no comment on the report. "To organize a strike internationally is of course difficult but – why not should we show the world if they don't change the situation, " said FIFPro Secretary General Theo van Seggelen. Delaying the start of a Champions League game would play havoc with the orchestrated schedules designed for maximum revenue, some FIFPro delegates said. In the survey of 3,357 players in 12 eastern European nations, representing up to 70 percent of top-division players in some nations, FIFPro found that 41.4 percent did not get paid on time, with 5 percent having to wait six months or more. "A player who has to wait for his money has a greater chance of being approached to manipulate a match. What's more, he is vulnerable, " stated the study, titled the "Black Book Eastern Europe." When it came to bonuses, often an essential part of players' pay, only 53. 4 percent said they received them on time. Almost 12 percent of players in the survey said they had been approached to manipulate a match, and more than half of those who were approached did not have their wages paid on time. The study indicated 42.9 percent of players do not get their pay on time in Poland, rising to 60.7 percent for bonuses. Almost 10 percent said they had been victim of racism or discrimination. The Euro 2012 co-host Ukraine fared better, with 15. 5 percent of players not being paid on time. FIFPro said fans were often blinded by the wealth of top players and fail to realize 95 percent of players may find it tough to pay mortgages and other expenses. "As long as Manchester United, Liverpool, Barcelona and Real Madrid and Juventus are all doing well, unfortunately the glare of publicity does not shine on parts of the world where there are major problems," said FIFPro board member Tony Higgins. Higgins said he was angered by UEFA and FIFA making the fight against match-fixing a top priority yet not doing enough to get players paid on time. Almost 12 percent of players were victims of violence, in a third of cases inflicted by their own clubs. The union highlighted recent incidents in Russia where Montenegrin player Nikola Nikezic said he was beaten into terminating his contract with FC Kuban. "What these players meet is unbelievable," he said, suggesting the results would have been even higher had many players not refused to cooperate because of fear of retribution.
  10. Juve-Abete 2 a 0 di IVAN ZAZZARONI (Blog Il calcio è un cartone animato per adulti 08-02-2012) La pagina 549 della sentenza di Calciopoli (motivazioni Casoria) contiene un passaggio-chiave: segna un punto – anche due – a favore della Juve nella guerra alla Federcalcio di Giancarlo Abete. Se riuscirete ad arrivare fino in fondo (il linguaggio è quel che è), capirete che la richiesta di danni del club di Agnelli (oltre 440 milioni di euro) adesso è sostenuta da una sentenza: Moggi, secondo i giudici, non rappresentava il club. “Non imputabilità a Juventus per assenza di rappresentanza e per esorbitanza dalle incombenze – Deve, inoltre, rilevarsi come Juventus non possa essere chiamata a rispondere del fatto di Luciano Moggi, né a titolo di responsabilità organica diretta né a titolo di responsabilità indiretta per fatto del proprio dipendente commesso nell’esercizio delle sue incombenze (art. 2049 c. c. ). Quanto al primo profilo – responsabilità organica diretta – Luciano Moggi all’epoca dei fatti, pur essendo direttore generale e consigliere di amministrazione di Juventus S.p.A. , era tuttavia del tutto sprovvisto di poteri di rappresentanza della società, come risultante dalla deliberazione assembleare Juventus pubblicata nel Registro delle Imprese. Pertanto, nella commissione dei noti illeciti sportivi e degli eventuali illeciti penali ascrittigli, il Moggi in alcun modo agì quale rappresentante della società esponente, sicché gli eventuali danni ex lege aquilia derivanti da essi non potranno essere imputati direttamente a Juventus, non sussistendo rapporto organico e non venendo in rilievo, naturalmente, esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi, del tutto inconferenti in materia di responsabilità extracontrattuale. La frattura del rapporto organico con il datore di lavoro è dunque evidente laddove si consideri che il ruolo del sig. Moggi fu esclusivamente mera occasio dell’eventuale commissione dell’illecito e giammai rapporto di incorporazione organica preteso dalle norme e dalla giurisprudenza per affermare la responsabilità dell’ente. Quanto al secondo profilo – responsabilità indiretta dell’esponente per fatto del proprio dipendente commesso nell’esercizio delle sue incombenze – deve parimenti escludersi la responsabilità dell’esponente in quanto i fatti oggetto di questo giudizio non sono stati commessi dal Moggi nell’esercizio delle incombenze cui egli, quale direttore generale di Juventus, era adibito. Sul punto è doverosa una breve premessa: le fattispecie di responsabilità per fatto altrui, di cui l’art. 2049 c. c. rappresenta uno dei casi più lampanti, costituiscono evidente deviazione dal paradigma costituzionalmente tutelato della responsabilità personale per fatto proprio e colpevole. Esse hanno dunque evidente natura eccezionale e, al pari di tutte le norme eccezionali, sono norme di stretta interpretazione che non ammettono alcuna integrazione di tipo estensivo o analogico, come abitualmente affermato dalla Suprema Corte (per qualche esempio: Cass. SS. UU. 24 novembre 2008, n. 27863; Cass. SS. UU. 8 ottobre 2008, n. 24772; Cass. 18 gennaio 2008, n. 1014). Alla stregua di tali canoni interpretativi, deve ritenersi sussistente la responsabilità del committente soltanto allorquando il preposto abbia commesso un fatto illecito nell’esercizio effettivo delle proprie incombenze. Eventuali interpretazioni estensive che tentino di ampliare l’ambito di responsabilità del committente sono da ritenersi contrari alle regole interpretative dettate dalle preleggi e dai principi costituzionali. Ritornando alla fattispecie concreta che qui ci occupa, Luciano Moggi, qualedirettore generale, aveva naturalmente il compito di coordinare i dipendenti, trasmettendo direttive agli organi subordinati e curandone la puntuale esecuzione (secondo l’usuale definizione dottrinale delle funzioni del direttore generale di S.p.A.; cfr. , ad esempio, Abbadessa, Il direttore generale, in Tratt. S. p. a. Colombo-Portale, 1991, vol. 4, 461 ss.). Ebbene, manca quindi un nesso diretto tra l’esercizio delle incombenze del Moggi e l’eventuale compimento dei fatti illeciti a lui imputati. L’adempimento delle proprie mansioni di direttore generale non prevedeva affatto l’instaurazione di contatti con i designatori arbitrali o con gli arbitri di gara né tantomeno il consolidamento di relazioni con gli stessi. L’eventuale commissione degli illeciti del Moggi è, dunque, avvenuta pacificamente al di fuori dell’esercizio delle incombenze cui egli era adibito e ciò basta per escludere la responsabilità dell’esponente ex art. 2049 c.c., essendo venuta meno quella pertinenza del fatto illecito al contenuto e allo scopo delle incombenze che autorevole dottrina ha indicato come necessaria per l’affermazione di responsabilità (Scognamiglio, Responsabilità per fatto altrui, voce in Nov. Dig. It. , Torino, 1968, 700). È evidente, infatti, che l’attività dolosa consistente ad esempio nell’istigazione all’alterazione del sorteggio di un arbitro di gara non solo non è pertinente ma esorbita radicalmente dal perimetro delle incombenze cui il direttore generale di una società calcistica è adibito, palesando in tutta la sua chiarezza l’autonomia dell’iniziativa dell’agente e l’evasione volontaria dai limiti impostigli, sì da non potersi ritenere nemmeno agevolata o occasionata dall’esercizio delle incombenze. Manca, per dirlo con le parole della Suprema Corte, quel contatto funzionale tra fatto illecito e mansioni del dipendente (Cass. 16 aprile 1957, n. 1289) e quella “specifica riferibilità dell’attività generatrice del danno alle mansioni” (Cass. 24 maggio 1972, n. 1632, in Mass. iust. Civ. , 1972), necessari per ritenere il committente indirettamente responsabile per il fatto del proprio dipendente”. Non entro nel merito – dubito che Moggi lavorasse per se stesso -, di certo si è difeso male: la linea del “così facevan tutti” costituisce una sorta di ammissione di colpevolezza: avrebbe dovuto puntare sull’assenza di prove. Avrebbe. PS. Immemore, io sono solo anti-coģlioni. Se non l’hai capita.
  11. COME NEL 2006 SENTO UN SILENZIO ASSORDANTE DELLA JUVE…NIENTE PAURA…NESSUNO PUÒ DARCI LEZIONI… di CESARE POMPILIO (Blog iosonopompilio 08-02-2012) Ho ancora davanti agli occhi i giornali dei giorni caldi del 2006. Ho ancora davanti agli occhi le facce dei “minestrai” del 2006, ho ancora nelle orecchie il silenzio assordante delle dichiarazioni che faceva Montezuma. La Juve odierna conosce le motivazioni che portano alla condanna di Luciano Moggi. Scritte, le medesime, per confondere con una linea coerente:l’innocenza di Moggi. Ma allora perchè la condanna non corrisponde alle motivazioni? Semplice, una delle tre giudici sicuramente non era d’accordo alla stesura delle motivazioni. Venerdì alle 13 a radio Milaninter, durante la trasmissione “La strana Coppia di Stadio 5? con Beppe Vigani avrò ospite in esclusiva Maurilio Prioreschi, uno dei due avvocati di Moggi che annuncerà molto prpopabilmente l’appello alla sentenza di primo grado. Ma come nel 2006 il dato ogettivo di queste 48 ore dalle deduzioni del Tribunale di Napoli è il silenzio assordante della Juve. Cosa mi aspettavo? Ho sperato che l’avv. Zaccone, così solerte a presentarsi davanti alle telecamere nel periodo caldo del processo sportivo, quando con vece assidua chiedeva la retrocessione della Juve in B con 15 punti di penalizzazione, oggi avrebbe quanto meno presentarsi in un Tg e chiedere scusa ai milioni di tifosi della Juve. Mi aspettavo che qualcuno, che non fosse, Andrea, dicesse una parola magare “masticata” ma che lasciasse intendere le intenzioni della società bianconera. Invece silenzio assordante. Ma anche tra gli organi di stampa, tutti si sono limitati a riportare la notizia. Solo Fabio Ravezzani, su Antenna 3, lunedì scorso a Lunedì di Rigore ha spiegato e ha stigmatizzato alcuni comportamenti. Noncapisco il comportamento della Juve: di chi ha paura? Chi li minaccia? Sicuramente non l’allenatore del Milan che ha parlato di stile Milan…E’ tardi, riprenderemo questo concetto, sia chiaro che: dal signor Allegri non accetto patenti di stile. Bacio le mani!!
  12. Calciopoli: le colpe di Juve e Inter di MARIO SCONCERTI dal Blog "Lo sconcerto quotidiano" (Corriere.it 08-02-2012) Le motivazioni del tribunale di Napoli, per quel che ho potuto leggere, sembrano uscite direttamente dal tribunale sportivo. Non c’è sicurezza di partite falsate, ma c’è stato un continuo tentativo di falsarle. Anche la prima sentenza sportiva stabilì questo. Non era dimostrabile una sola partita falsata, ma c’erano stati tra Moggi e i dirigenti arbitrali una lunga serie di rapporti tesi a favorire dei risultati. Nella frode sportiva, anche in tribunale, “il reato di tentativo non ha la necessità della conferma”. Ma, anche il tribunale penale è convinto “in modo evidente” che Moggi sia stato il capo dell’organizzazioni. Questo nuovo capitolo non riapre niente nel bene o nel male. Sono semplicemente le motivazioni di una sentenza di forte condanna per Moggi e gli altri imputati. Nè ci sono grandi novità rispetto all’inizio. Anche il processo sportivo non riuscì a dimostrare nessun illecito, tanto che Saverio Borrelli, allora procuratore federale, s’inventò un capo d’accusa nuovo di zecca, l’illecito strutturale. Mi sembra che il tribunale di Napoli abbia esattamente confermato questo. E’ giusto? Non è giusto? Ci sono dei fatti e molte opinioni. I fatti dicono che tutti i gradi di giudizio della disciplina sportiva hanno condannato Moggi e gli altri imputati. La giustiza ordinaria anche, almeno per il primo grado. E non attraverso condanne leggere. Moggi senza l’appello, dovrebbe già scontare cinque anni e quattro mesi. Le opinioni capisco che siano infinite, l’argomento si presta. La mia è la seguente: 1) Credo che la sostanze delle cose sia quella portata avanti da giustizia sportiva e giustizia ordinaria. 2) Non credo nell”associazione a delinquere, mi sembra una strada troppo in salita, ma non ho la competenza giuridica per dare giudizi seri in questo angolo di materia. 3) La punizione della Juventus è stata eccessiva. Doveva riguardare la retrocessione in B, penalizzazione in B e perdita dello scudetto del 2004-2005, uno solo. 4) Il danno subito dalla Juve è stato molto più grande di quanto forse voluto dalla stessa giustizia sportiva. La squadra che aveva vinto per due anni consecutivi è stata venduta ai migliori offerenti cambiando in modo evidente il corso della cronaca per molti anni. In sostanza, non solo la Juve è stata punita nel passato e nel presente, ma anche per il futuro, dopo cioè che aveva scontato la pena. Infatti ancora adesso deve tornare a vincere e solo quest’anno è tornata a essere competitiva. 5) E’ stata la Juve a prendere subito e per prima le distanze da Moggi e Giraudo costringemndoli alle dimissioni. 6) E’ stata la Juve a patteggiare nell’aula sportiva la propria sentenza. 7) E’ ormai chiaro che se nel 2006 avessimo avuto le intercettazioni che si hanno adesso, anche l’Inter avrebbe subito danni importanti. Penso che l’Inter avrebbe fatto meglio a non prendere lo scudetto tolto alla Juve. 9) Sarebbe stato non obbligatorio ma elegante avesse chiesto di essere processata senza tenere conto dei termini di prescrizione. 10) E’ molto sbagliato fare di Calciopoli una storia fra Juve e Inter. Se anche l’Inter fosse colpevole, non sarebbe mai stata innocente la Juve. 11) Entrambe hanno danneggiato tutte le altre squadre che in questa storia si sono comportate correttamente.
  13. Ieri scambiati più di 90 milioni di titoli. Non era mai successo in dieci anni di quotazione Una Juve da record a Piazza Affari In una sola seduta passato di mano oltre il 9% del capitale della squadra, saldamente controllata dalla Exor degli Agnelli Titolo sull'ottovolante. Riprende il pressing della Consob di ANDREA MONTANARI (MILANO FINANZA 08-02-2012) Non era mai accaduto, nella poco più che decennale storia borsistica, che le azioni della Juventus fossero tra le più scambiate a Piazza Affari. Ieri il titolo della squadra di calcio torinese, quotato a Milano dal 20 dicembre 2001, ha vissuto una giornata da record, almeno per quel che riguarda le contrattazioni: sono passati di mano qualcosa come 90,88 milioni di titoli, più del 9% del capitale. Un'attenzione di fondi, investitori e piccoli risparmiatori, che non è sfuggita all'attenzione della Consob, tornata a monitorare con attenzione l'andamento del titolo Juventus dopo l'aumento di capitale lanciato a metà dello scorso dicembre e chiuso positivamente (con 120 milioni di raccolta) alla fine di gennaio. Un'operazione necessaria a ripianare le ingenti perdite accumulate dalla squadra bianconera (95,4 milioni alla fine dell'esercizio 2011-2012) e per garantire la liquidità necessaria a sostenere i piani di crescita della società dopo la realizzazione del nuovo stadio. A destare nuovamente l'interesse degli uomini della commissione presieduta da Giuseppe Vegas è stato anche l'anomalo andamento del titolo, che ieri mattina ha aperto in rialzo del 6,55%, è arrivato a toccare alle 9,28 un picco dell'11% a 0,26 euro, per poi passare in territorio negativo alle 10.17 (-2,53%), precipitare (-9,12%) alle 11,03, ritracciare a fine seduta (0,99% alle 17,08) e, infine, chiudere con il segno meno (-4,07%). Un vero ottovolante quello su cui è salito il titolo del club calcistico, sempre più al centro delle speculazioni. Nonostante le ripetute smentite di delisting da parte della controllante Exor e l'assenza, al momento, di nuovi azionisti.
  14. Dal lavoro dei consulenti Mediobanca e Deloitte emerge la possibilità di un intervento meno drastico del previsto. In stand by l'aumento Rcs, non supererà i 300 mln la svalutazione della Spagna di ANDREA MONTANARI (MILANO FINANZA 08-02-2012) Il dossier Unidad Editorial si sta rivelando meno preoccupante del previsto per Rcs Mediagroup. La controllata spagnola rappresenta sempre un problema per il gruppo editoriale di via Rizzoli, ma in misura nettamente inferiore rispetto alle attese. Per questo, con ogni probabilità, l'azienda presieduta da Piergaetano Marchetti e guidata dall'amministratore delegato Antonello Perricone procederà a una svalutazione dell'asset estero per un valore molto più contenuto di quei 5-600 milioni che il mercato finora paventava. L'operazione andrà fatta per adeguarsi ai principi contabili internazionali, che incideranno sul bilancio 2011 del gruppo ma che avrà ripercussioni meno drastiche di quel che ci si attendeva. Perché se davvero si andrà nella direzione di un write-off contenuto (si parla di 300 milioni al massimo) con ogni probabilità i soci di Rcs non saranno obbligati a lanciare un aumento di capitale visto che la capogruppo dispone di riserve superiori a 400 milioni. È questa, secondo quanto appreso da più fonti di mercato da MF-Milano Finanza, la principale novità emersa ieri dal comitato esecutivo della casa editrice, riunitosi in vista del consiglio d'amministrazione che si terrà lunedì prossimo e nel quale saranno valutati e approvati i risultati preliminari consolidati del 2011. «I consulenti di Mediobanca e Deloitte hanno completato il lavoro, molto serio e accurato, sull'impairment test di Unidad Editorial», dice a MF-Milano Finanza una fonte vicina al dossier. «Da questi approfondimenti è emerso che la svalutazione, che comunque si dovrà fare, non sarà così traumatica per i conti dell'azienda». Una boccata d'ossigeno per i vertici di Rcs e per gli azionisti che da mesi si interrogano sulla reale portata della ricapitalizzazione da lanciare in primavera in concomitanza con il rinnovo del consiglio d'amministrazione e con ogni probabilità del top management. Il tema della Spagna è stato l'unico tema extra-bilancio affrontato ieri dal comitato esecutivo del gruppo di via Rizzoli. Perché ogni decisione sulla vendita della controllata francese Flammarion (libri), per la quale si sono fatte avanti le transalpine Gallimard ed Editis, è stata rinviata al mese di marzo, una volta definito il percorso di riallineamento dei valori patrimoniali di Unidad Editorial. La cessione di Flammarion, non condivisa da buona parte dei soci del patto di sindacato, serviva e potrà servire a bilanciare la svalutazione della società spagnola. Resta poi ancora tutto da definire sul fronte immobiliare: il comitato esecutivo non ha discusso della cessione o affitto dello stabile di via San Marco, né tantomeno di quello in via Solferino, la storica sede del Corriere della Sera.
  15. IL TITOLO VACANTE Nuova missione per Agnelli: prendersi lo scudetto ’05 I giudici di Napoli hanno sentenziato: quel torneo fu regolare. La Juve ha l’obbligo di reclamarlo. E la Figc dovrà accontentarla di FRANCESCO PERUGINI (Libero 08-02-2012) C’è un gran silenzio in corso Galileo Ferraris a Torino. E non solo per la neve e il gelo che stringono il Piemonte. Le motivazioni della sentenza napoletana su Calciopoli sono detonate lunedì, ma il club bianconero non ha ancora fatto sentire la propria voce. La sentenza ha assolto la società bianconera da ogni responsabilità civile per i fatti di Calciopoli, ma le motivazioni depositate venerdì aprono scenari dirompenti per i bianconeri. «Il dibattimento in verità non ha dato (conferma) del procurato effetto di alterazione del campionato di calcio 2004/05 a beneficio di questo o quel contendente », è scritto ben chiaro sul foglio numero 84 dei 558 vergati dal giudice Teresa Casoria. Sarebbe dunque regolare lo scudetto vinto il 20 maggio 2005 senza giocare, grazie al pareggio tra Milan e Palermo nell’anticipo. Quel trionfo messo in cassaforte con una partita autoritaria disputata proprio a San Siro, giocata senza Ibra e decisa da Trezeguet su assist di Del Piero. Le chiacchiere con gli arbitri, le sim svizzere, il «timore reverenziale » di Paparesta nei confronti di Moggi non c’entrano nulla con gli 86 punti conquistati dalla squadra di Capello. Né con le 67 reti realizzate (miglior attacco) e le appena 27 subìte (miglior difesa). Il presunto «tentativo di frode sportiva» nulla aveva a che fare con i 16 gol di Ibrahimovic. Né con le giocate di Nedved, i cross di Camoranesi, i tackle di Cannavaro e le parate di Abbiati e Buffon. Secondo la sentenza - critica verso gli investigatori per i loro pregiudizi - Moggi faceva solo gli interessi della Gea non per la Juventus. «Il rapporto organico con il datore di lavoro (Juve, ndr)» era rotto, a causa «dell’esercizio da parte dell’imputato Moggi di un potere personale avente manifestazioni esteriori esorbitanti dall’appartenenza alla società». Nessuno vuole commentare in casa bianconera: il presidente Andrea Agnelli e l’avvocato Michele Briamonte non hanno voluto rilasciare dichiarazioni a «Libero», ma la sensazione è che la Juventus si prepari per una nuova crociata. Parallela a quella per la restituzione dello scudetto 2005/06, che prosegue nonostante l’esaurimento dei gradi della giustizia sportiva (il prossimo passo è il Tar che si pronuncerà a settembre). E se sembra impossibile strappare quel titolo dalle mani dell’Inter, non è così per l’ “altro” scudetto revocato. Il 28° trionfo bianconero giace non assegnato nelle mani della Figc. La stessa Federcalcio che vede pendere sulla propria testa una richiesta di risarcimento da 444 milioni di euro per i danni patrimoniali subiti dalla Signora dopo le sentenze sportive del 2006. Non serviranno tavoli della pace per riavere indietro quello scudetto, bisognerà solo fare leva sulle conclusioni del processo di Napoli: niente responsabilità civile, quindi niente «responsabilità oggettiva». E il Palazzo potrebbe essere ben contento di riassegnare il titolo alla Juve: se non per senso di giustizia, almeno per assicurarsi uno sconto sui 444 milioni.
  16. CALCIO IN BORSA DIECI ANNI DOPO SOLO SEGNI MENO Raccogliere i soldi sul mercato: la fonte per l’eterna ricchezza è un flop Scappano le inglesi, restano Juve e romane: i risparmiatori si leccano le ferite di LORENZO LONGHI (l'Unità 08-02-2012) Facebook entra in Borsa, il gruppo Benetton affronta il delisting: in termini calcistici, si potrebbe quasi parlare di una sostituzione. La metafora è piuttosto forzata, dal momento che il funzionamento dei mercati non è così banale, ma serve per entrare in argomento perché calcio e Borsa hanno vissuto, nell’ultimo decennio, un rapporto di amore e odio che ha portato i club - e gli investitori, meglio: i piccoli azionisti - a un certo disamore nei confronti delle azioni delle società quotate sui mercati azionari. Dal 1983, quando il Tottenham Hotspur fu il primo club in assoluto ad entrare in Borsa, sono state 49 le società a quotarsi. Oggi, scorrendo i listini (più precisamente lo Stoxx Europe Football, che le raggruppa), ne sono rimaste appena 21, ovvero meno della metà: l’ultimo ad andarsene è stato il Millwall, dopo 22 anni di contrattazioni. Allo stato dell’arte è la Turchia la nazione ad avere più club in Borsa (quattro), seguita da Portogallo e Italia con tre. Già, l’Italia. Da noi il primo collocamento è avvenuto nel 1998: fu la Lazio a far debuttare il calcio a Piazza Affari sfruttando la legge 586/96, che cambiò lo status dei club sportivi riconoscendo alle società la finalità di lucro, e la riforma Draghi che permetteva la quotazione in deroga al vincolo dell’attivo negli ultimi tre esercizi. Prima di quella legge di iniziativa governativa - era il primo governo Prodi, con Veltroni ministro per lo Spettacolo e lo Sport - la quotazione in mercati regolamentati era impossibile. Forse qualcuno ricorderà le pubblicità con cui il club, allora presieduto da Sergio Cragnotti, annunciava l’ingresso in Borsa: i giocatori vennero fotografati in smoking e bombetta, come uomini d’affari stereotipati come non mai. Nel 2000 a Piazza Affari approdò la Roma, seguita nel 2001 dalla Juventus. Da allora, si può affermare che l’affare lo abbiano fatto più le società che i risparmiatori: se per i club, infatti, il flottante rappresenta una parte minoritaria ma comunque importante del capitale, l’investimento di chi ha sottoscritto azioni non è stato, nel lungo periodo, ripagato dai guadagni. Posto, peraltro, che i dati raccontano come gran parte degli investitori sia rappresentato da fedeli tifosi più che conoscitori dei mercati o investitori tradizionali, l’andamento dei titoli (fonte: studio Morningstar) dimostra come, nei primi dieci anni di contrattazioni, il titolo As Roma ha perso circa il 90% del valore al primo collocamento, quello della Juventus circa l’80% (nel 2001 il valore di una singola azione era di circa 3,7 euro) e quello della Lazio (5.900 lire il prezzo di un’azione al collocamento del 1998, che si chiuse con richieste sei volte oltre l’offerta), addirittura, già il 75% nei primi quattro anni. Poi è vero che la volatilità dei titoli, nel breve e medio periodo, può dare soddisfazioni anche agli azionisti, come gli exploit realizzati dalle azioni della Lazio e da quelle del club tedesco Borussia Dortmund fra la metà del 2010 e la metà del 2011 stanno a sottolineare. E così, abbastanza curiosamente, in tempi di crisi c’è un dato in controtendenza: se, nel 2011, la finanza ha perso sui mercati il 24% e lo Stoxx 50 (l’indice che raggruppa le 50 maggiori aziende quotate in Europa) il 10,4%, il comparto calcistico - appunto i 21 club che ancora rimangono quotati - ha resistito perdendo appena l’1,47%. RISULTATI VOLATILI Del resto, il modello fornito dalle società italiane non è esattamente il migliore, in termini di competitività anche sui mercati. Secondo l’analisi di Report Calcio 2011 il fatturato dei club nostrani arriva, per il 65%, dai diritti televisivi. Rispetto ad altri sodalizi europei quotati in Borsa, più abili nel diversificare gli introiti e spesso possessori del proprio impianto di gioco dal quale arrivano incassi percentualmente più rilevanti e non derivanti dal solo botteghino, è evidente che in Italia è proprio nell’attività sportiva - con l’alea dei risultati - che si concentra gran parte del business stesso. La Juventus, in questo caso, è un passo avanti: lo stadio di proprietà rende più stabile il patrimonio del club, aspetto tutt’altro che secondario sui mercati, e dopo il bagno di sangue economico post-Calciopoli e l’ultimo aumento di capitale di Exor, tornando in Champions sul campo può guardare al futuro con ottimismo, perché l’immagine vincente di un club si accompagna a un aumento degli introiti economici. La storia della quotazione del Manchester United (15 anni dal 1991 al 2006: stadio di proprietà, merchandising di livello e successi sul campo hanno portato a una capitalizzazione decuplicata) è significativa per capire come è stato sfruttato un brand riconosciuto come leader del mercato. In termini di immagine percepita, secondo alcuni addetti ai lavori, il parallelismo con le imprese del settore high tech non è affatto sbagliato.
  17. LETTERE PortoFranco a cura di FRANCO ARTURI (GaSport 08-02-2012) Calciopoli su Ġazzetta.it Ma è vero che il campionato 2005 non è stato falsato? Francesco Careddu (Nuoro) Non proprio. Secondo la motivazione delle condanne al processo di Napoli, è vero piuttosto che non è stata confermato «effetto di alterazione», il che è differente. E’ utile leggere, con un po’ di pazienza, perché Moggi è stato condannato in primo grado a 5 anni e 4 mesi per frode sportiva e per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva e perché sono stati condannati a pene variabili molti altri imputati. Le suggerisco di consultare la motivazione della sentenza a questo link: http://goo.gl/6jCI6
  18. CALCIOPOLI Juve sempre più forte per la revisione 2006 Le motivazioni della Casoria rinsaldano i ricorsi bianconeri e aprono la strada per la riscrittura delle sentenze di sei anni fa. Ma Briamonte non ha fretta di ALVARO MORETTI & GUIDO VACIAGO (Tuttosport 08-02-2012) IL PROBLEMA, a questo punto e a valle delle motivazioni della sentenza su Calciopoli, non è più il se, ma il quando: quando togliere la sicura al colpo unico e secco che può arrivare al passato calciopolaro dalla richiesta di revisione ex articolo 39 dell’attuale codice di giustizia sportiva della Figc. La Juve ci sta pensando, legge e rilegge le 558 pagine scritte dalla giudice Casoria (con moltissimi mal di pancia negli uffici del Palazzo di giustizia napoletano, ieri) e pensa di far lavorare quelle pagine in cui la responsabilità civile del club per l’operato di Moggi viene escluso definitivamente anche in tutte le sedi presso le quali ha deciso di attivarsi. E la prossima ventura è quella della Corte di Appello di Roma dove nei prossimi giorni (entro il 14 febbraio) presenta il suo ricorso contro la dichiarazione di incompetenza pronunciata a novembre dagli arbitri del Tnas: non c’è atto compiuto dalla Figc dal comunicato di Guido Rossi , per passare alla «non competenza» abetiana del 18 luglio fino a questo lodo che non sia condizionabile dalla pronuncia chiara della giudice Casoria sullo svincolo del nesso tra Moggi e il suo agire, comunque assai attenuato ai fini juventini, e il club più sanzionato della storia del calcio italiano. Leggere che il campionato asserito e sentenziato a livello sportivo come totalmente condizionato non fa rilevare alcuna prova di frodi sportive cambia tutto. DISPAR CONDICIO Il problema, dicevamo, non è il «se» ricorrere all’articolo 39 per rivedere la pronuncia sportiva su uno scudetto - quello 2004-2005 -cancellato come tutti gli esiti della stagione sportiva ora rivalutata dalla motivazione di Napoli. Ma quando farlo? L’articolo 39 impone una tempistica di 30 giorni dal fatto nuovo che determina il possibile ribaltone (riuscì a Guardiola , proprio in seno alla Figc, per una squalifica per doping passata in giudicato e rivista, con cancellazione): fatto nuovo è certamente questa sentenza. Che scindendo il profilo di Moggi da quello juventino e abbattendo i capi d’accusa sportivi più tosti (sorteggi, ammonizioni dolose, sequestro Paparesta ), aggiornando il peso di griglie, telefonate e cene al fatto che fosse costume generalizzato (e non vietato, come dal 2007) aprirebbe la strada ad ogni soluzione giudiziale. Il problema è che chi certamente era esponente apicale per la responsabilità diretta juventina di allora è Giraudo , condannato come partecipe dell’associazione nell’abbreviato del 2009 e dal 21 marzo chiamato in appello davanti alla quarta sezione del tribunale di Napoli, giudice Stanziola (pg il marito della Casoria, Gerardo Arcese ). Lì si correrà: 21 marzo, poi tre udienze fino al 18 aprile per arrivare alla sentenza prima della prescrizione (il 26 maggio) della frode di Udinese-Brescia. E allora in caso di sentenza favorevole, se la richiesta di revisione scattasse proprio in estate? Un dilemma che si pone a chi vede rafforzatissima la propria posizione in tutte le sedi presso cui si sta ricorrendo. E i continui rimandi alla dispar condicio investigativa dell’indagine di Calciopoli, scritta nero su bianco sotto forma di stilettate continue in carta da bollo dalla Casoria (piace anche alle due a latere, questa sentenza così scritta?), dopo il giudizio abortito in Figc per prescrizione per l’Inter sembrano fatti apposta per spingere la Juve ben oltre il tavolo della pace. I TEMPI GIUSTI Attenzione, però, a non sbagliare il tempo dell’intervento (anche perché incombe la riforma della giustizia e della rivedibilità dei processi imposta dal Coni). Perché l’arma puntata più forte a livello argomentativo non potrà che essere sempre e comunque la sentenza della Casoria: l’approfondimento di un giudizio come quello abbreviato è minimo e molto rischioso combattere per una rilettura totale dell’esito del primo grado se non sarà data ampia facoltà di prova alle difese.
  19. LA STORIA L'ANTICIPAZIONE 'Fuori Gioco', il calcio diventa strumento di potere Pubblichiamo uno stralcio del libro di Gianfrancesco Turano, nel quale viene analizzato il rapporto tra i presidenti dei maggiori club e il potere. Da Della Valle a Berlusconi, da Preziosi a Moratti, non manca il numero uno del Napoli Aurelio De Laurentiis, del quale viene ripercorso il lungo approccio per arrivare a capo della società partenopea di GIANFRANCESCO TURANO (Repubblica.it 07-02-2012) Aurelio De Laurentiis è l'erede di un piccolo impero al crepuscolo. Da quando ha incominciato a lavorare come produttore, nella seconda metà degli anni Settanta, l'industria cinematografica italiana ha continuato a declinare. Oggi il cinema pesa soltanto per il 26 per cento sui ricavi del gruppo De Laurentiis. Un altro 3 per cento è frutto di attività imprenditoriali secondarie. Il flusso principale (71 per cento) arriva dalla Società sportiva calcio Napoli, costituita nell'agosto del 2004 dopo il fallimento dei precedenti azionisti e la retrocessione in serie C1. In questa rapida inversione di ruoli fra l'attività imprenditoriale di partenza e il calcio, De Laurentiis ha seguito il percorso di alcuni colleghi che, forse non a caso, sono fra i suoi partner di calciomercato più frequenti: Maurizio Zamparini del Palermo e Gianpaolo Pozzo dell'Udinese. In tre anni, quanti ne sono passati dal 2004-2005 al ritorno della squadra in serie A, il presidente del Napoli ha spostato il baricentro dei suoi affari verso il pallone, convinto che i sostenitori degli azzurri, stimati il quarto gruppo di tifo italiano dopo la trimurti Juventus-Inter-Milan, possano dargli soddisfazioni economiche più grandi degli spettatori del cinema. I dati gli danno ragione. Il primo triennio di gestione del Napoli dal 2004 al 2007 è costato poco meno di 17 milioni di euro. Nel giugno del 2010, l'ultimo bilancio disponibile, la società ha chiuso il quarto esercizio consecutivo in utile. Dal 2008 al 2010 il club ha guadagnato in totale circa 24 milioni di euro netti. Nello stesso periodo, la controllante Filmauro ha realizzato profitti netti complessivi - Napoli incluso - pari a 25,6 milioni. Non ci vuole un genio dell'economia per capire che De Laurentiis fa i soldi con Lavezzi e Cavani e va sì e no in pari con De Sica e Ghini. Nel futuro immediato l'orientamento, con il Napoli in rialzo e il cinema in ribasso, dovrebbe confermarsi. Le avventure di Christian De Sica mostrano la corda, tanto che si parla di ricostituire il tandem degli anni migliori con Massimo Boldi. Nel frattempo il Napoli è arrivato terzo in campionato e ha conquistato una qualificazione diretta in Champions League che da sola vale una decina di milioni di euro, senza contare le vittorie ottenute nell'edizione 2011-2012. A differenza dell'amico Diego Della Valle, che stenta a ingranare con la Fiorentina e preferisce proiettarsi sullo scenario politico post-Berlusconi, De Laurentiis mostra un attaccamento crescente verso il club. Anche se i conti stanno funzionando, il fattore emotivo ha un ruolo dominante. Per il romano De Laurentiis, come già per il romano Vittorio Cecchi Gori con la Fiorentina, la squadra è l'occasione di un ritorno alle origini e alle radici della famiglia, partita da Torre Annunziata alla conquista del cinema. Sia nella Filmauro sia nel Napoli, le cariche aziendali riflettono la fedeltà di De Laurentiis alla struttura familistica di stampo meridionale. Nel consiglio di amministrazione del club i due vicepresidenti sono Jacqueline Baudit, la moglie svizzera di Aurelio, e il terzogenito Edoardo, nato nel 1985. Valentina, la figlia nata nel 1981, fa parte del consiglio di amministrazione. Il primogenito di Aurelio, nato nel 1979, si chiama Luigi come il nonno ed è consigliere della Filmauro insieme ai genitori. Vicepresidente è il fratello Edoardo, mentre la presidenza della holding è riservata a Maria Rendina, la madre di Aurelio, nata a Roma il 13 novembre 1916. Rispetto alle accomandite maschiliste dei presidenti del Nord, casa De Laurentiis è il paradiso delle pari opportunità. A metà degli anni Novanta lo statalismo va in crisi. La grande stagione delle privatizzazioni investe anche il cinema. Gli studios di Cinecittà, a capitale pubblico, entrano in un elenco di dismissioni che include banche e industrie. Fra le banche c'è la Bnl, che è il maggiore partner creditizio dell'industria cinematografica italiana fin dal dopoguerra. La Banca nazionale del lavoro condivide con Cinecittà anche il manager, Luigi Abete. Tocca a lui occuparsi di cedere ai privati la gestione degli studios di via Tuscolana che non lavorano più al ritmo di una volta, colpiti dalla crisi del cinema nazionale e dalla concorrenza di altri centri di produzione aperti nell'Europa orientale. All'inizio del 1998 la privatizzazione si conclude con l'insediamento del nuovo consiglio di amministrazione. I nuovi soci privati sono Aurelio De Laurentiis e Vittorio Cecchi Gori, che entrano con una partecipazione inferiore a quella prevista dall'aumento di capitale iniziale. Sempre i soliti invidiosi fanno notare che i due privati sottoscrivono in partenza azioni per una somma inferiore alla loro esposizione debitoria verso Cinecittà: i privati versano 7,5 miliardi di lire in tutto contro i 23,5 miliardi di lire pubbliche sborsati dall'Ente cinema. Nel 2009 la situazione è la seguente: dopo una serie di avvicendamenti rispetto allo schema di cessione del 1998, la gestione di Cinecittà è in mano a Cinecittà Studios, controllata all'80 per cento dai privati dell'Ieg (Italian Entertainment Group) e per il 20 per cento da Cinecittà Luce, la società pubblica proprietaria dei teatri e del terreno. I soci dell'Ieg sono il padrone della Fiorentina Diego Della Valle, Aurelio De Laurentiis, la finanziaria lussemburghese Orium della famiglia Haggiag (i proprietari dei cinestudi Dear), il costruttore romano Fabrizio Navarra e lo stesso Abete, che nella vicenda Cinecittà ha vestito tutte le casacche: è stato banchiere creditore con Bnl, privatizzatore come manager pubblico e utilizzatore finale privato. Il costo dell'operazione di privatizzazione, già molto contenuto, è abbondantemente compensato dalla possibilità di sfruttare un marchio che lo Stato ha, di fatto, regalato. Il Napoli di Ferlaino e Maradona. Dopo aver visto come vanno gli affari di Aurelio De Laurentiis nel campo del cinema, passiamo al settore più redditizio, quello del calcio. Il produttore di origine campana compra il Napoli nell'estate del 2004 per 32 milioni di euro, battendo la concorrenza di Gaucci e Zamparini. La conquista della squadra va a segno dopo due tentativi andati a vuoto, uno nel 1997 e uno nel 2000. Il terzo riesce perché il club è appena fallito dopo venticinque anni di vita spericolata. Il crac finale è da attribuire a Salvatore Naldi e al suo predecessore Giorgio Corbelli. Ma la crisi della squadra risale a molto tempo prima, durante la gestione di Corrado Ferlaino, costruttore che deve la sua fortuna imprenditoriale alla capacità di destreggiarsi fra i clan democristiani imperanti sul Golfo nella Prima Repubblica, cioè soprattutto i seguaci di Antonio Gava e gli andreottiani. Ferlaino è stato uno dei proprietari di club italiani di serie A più longevi. Il suo regno incomincia nel 1969, quando l'ingegnere napoletano subentra al comandante Achille Lauro, ed è durato fino al 2002. Fin dall'inizio della sua presidenza Ferlaino punta sugli ingaggi clamorosi. È suo il record di mercato degli anni Settanta, quando compra il centravanti Beppe Savoldi dal Bologna. I due miliardi di lire spesi nel 1975, attualizzati ai prezzi odierni, sono pari a 10 milioni di euro, che possono sembrare una miseria rispetto ai valori odierni del calciomercato. Ma al tempo il transfer di Savoldi scatena discussioni epocali sulla decadenza della società italiana appena uscita dalla crisi petrolifera e dall'austerity del 1973-1974. I tifosi già pregustano il primo scudetto. Ma i miracoli richiedono tempo, come sanno i devoti di san Gennaro. Nonostante le spese, il Napoli vive stagioni mediocri, a eccezione di un secondo posto nel torneo 1974-1975 e della vittoria in Coppa Italia l'anno dopo, con Savoldi al centro dell'attacco azzurro. Alla riapertura delle frontiere ai calciatori stranieri nella stagione 1980-1981, Ferlaino torna a far sognare i napoletani con l'ingaggio del difensore Ruud Krol, capitano della nazionale olandese e vicecampione del Mondo nel 1974 e nel 1978. Ma neppure con Krol succede niente. Quattro anni dopo Ferlaino tenta un altro rilancio: il 5 luglio 1984 arriva allo stadio San Paolo il Messia in carne e ossa, Diego Armando Maradona, che si infila la maglietta con il numero dieci. Con lui in squadra, il Napoli vincerà due campionati nel 1987 e nel 1990. Le modalità dell'arrivo di Maradona la dicono lunga sul comitato di potenti che gravita attorno al Napoli. L'acquisto del calciatore dal Barcellona viene garantito attraverso un accordo fra l'allora sindaco dc, Enzo Scotti, e il vertice del Banco di Napoli retto dal potente banchiere di nomina democristiana Ferdinando Ventriglia - detto "'o Professore" per avere insegnato qualche mese all'università dopo la laurea - che è al suo secondo mandato nella maggiore banca del Mezzogiorno. Dopo la prima reggenza tenta di fare carriera a livello nazionale ma resta coinvolto nel crac della Banca Privata di Michele Sindona. Al processo, Ventriglia ottiene l'assoluzione ma perde la corsa alla poltrona di governatore della Banca d'Italia per l'opposizione del suo ex protettore Guido Carli, nemico acerrimo di Sindona e del leader repubblicano Ugo La Malfa. Del Professore si favoleggia che abbia un potere di ricatto enorme grazie al possesso della famigerata "lista dei 500", l'elenco dei grandi evasori italiani con i conti nella banca svizzera di Sindona. Dopo un'esperienza al Banco di Roma e alla direzione generale del Tesoro con il ministro Emilio Colombo a metà degli anni Settanta, Ventriglia torna al Banco di Napoli nel 1983 come direttore generale. Il Banco, già disastrato, è a capitale pubblico. È quindi con un finanziamento della collettività che arriva Maradona. Viene da dire che, fra tanti sprechi, non è stato il peggiore. Il consiglio di amministrazione del Napoli di Ferlaino recluta i parlamentari democristiani Alfredo Vito, re delle preferenze in Campania, Clemente Mastella e Guido D'Angelo. La lottizzazione correntizia è perfetta, con Vito a nome di Antonio Gava, Mastella in quota a Ciriaco De Mita e D'Angelo in conto al fedelissimo andreottiano Paolo Cirino Pomicino, "'o Ministro". Un altro grande tifoso azzurro è Biagio Agnes, direttore generale demitiano della Rai. Ma il Napoli non è solo un affare della Dc. La squadra aggrega l'intero spettro del potere partenopeo pre-Tangentopoli, con il socialista Giulio Di Donato e il liberale Francesco De Lorenzo, altri due cardini dei governi nazionali di pentapartito. I re di Napoli, cioè Scotti, Cirino Pomicino, Vito, De Lorenzo e Di Donato, finiscono tutti sotto inchiesta, insieme ad altri politici minori, per concussione, corruzione, ricettazione e abuso di ufficio lo stesso giorno, il 26 marzo 1993. Nella lista degli appalti bersagliati dalle mazzette ci sono i 500 miliardi di lire previsti per i Mondiali di Italia '90. Ferlaino finisce agli arresti domiciliari nel maggio del 1993. I giudici lo accusano di avere dato 400 milioni di lire a Vito per ottenere l'appalto sulla ricostruzione dei Regi Lagni, i canali borbonici che vanno da Avellino a Villa Literno nel Casertano. Nel 1999 il Napoli di Ferlaino è a fine corsa. Per anni il club ha speso in ingaggi il doppio dei 20 miliardi che ricavava. Aurelio De Laurentiis costituisce una società, la Auro calcio 2000, con l'intenzione di acquistare la squadra per 120 miliardi di lire. Convoca una conferenza stampa e annuncia che sarà la Filmauro a salvare il club decaduto. L'operazione non riesce. Ferlaino denuncia De Laurentiis in sede civile per aver turbato la campagna abbonamenti e si mette d'accordo con Luis Gallo e Giorgio Corbelli, che rilevano la squadra metà ciascuno. In omaggio alla regola che nel calcio le cordate non funzionano, Gallo esce di scena e Corbelli, l'inventore del network di vendite Telemarket, rimane da solo alla guida.
  20. Commissione direttivi del Csm: Giuseppe Pignatone nuovo procuratore capo a Roma Nei quattro anni di lavoro a Reggio Calabria, il magistrato siciliano ha guidato una lotta senza quartiere alla 'ndrangheta. Le sue inchieste - che gli sono costate pesanti intimidazioni - hanno delineato una struttura unitaria delle cosche, capaci di inserirsi nel tessuto economico del nord Italia facendo rimanere la testa dell'organizzazione nel capoluogo reggino di PIERLUIGI GIORDANO CARDONE (Blog il Fatto Quotidiano 07-02-2012) L’attuale procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, sarà il prossimo capo della Procura di Roma, dove prenderà il posto di Giovanni Ferrara, diventato sottosegretario del governo Monti. Per la conferma definitiva servirà il sì del plenum del Consiglio superiore della magistratura, ma questo passaggio sembra quasi una formalità in considerazione del fatto che il nome di Pignatone è stato indicato all’unanimità dalla Commissione direttivi del Csm, il che rende praticamente scontato il via libera alla nomina. Giuseppe Pignatone, 62 anni, si insediò alla guida della Procura di Reggio Calabria quattro anni fa e da allora il magistrato siciliano ha guidato una lotta senza quartiere alla ‘ndrangheta. Prima dell’esperienza calabrese, il procuratore era stato a Palermo, dove da procuratore aggiunto aveva, tra le altre cose, coordinato le indagini che hanno poi portato alla cattura di Bernardo Provenzano. Nei quattro anni alla guida della procura reggina, Pignatone – oggetto anche di pesanti intimidazioni mafiose – ha guidato una serie di indagini contro le cosche di Reggio Calabria e provincia culminate nell’operazione del 13 luglio 2010 in Italia e all’estero, con oltre 300 arresti. Anche grazie al coordinamento con la procura della Repubblica di Milano, poi, le indagini di Pignatone e dei suoi pm ha portato al delinearsi di una struttura unitaria delle cosche della ‘ndrangheta calabrese, capaci di inserirsi di prepotenza nel tessuto economico e sociale di molte regioni del nord (Lombardia, Piemonte e Liguria in primo luogo) ma di far rimanere la testa dell’organizzazione a Reggio Calabria. Un quadro a tinte fosche, quindi, testimoniato anche dai sequestri e dalle confische di beni dal 2008 in avanti, dalle indagini sul narcotraffico, sui rapporti con la politica, dall’area grigia. L’ultimo allarme di Pignatone è arrivato il primo febbraio scorso, in un convegno in cui il procuratore ha descritto la situazione reggina dopo gli ultimi sviluppi: “Non c’è – ha detto – una sola fetta sociale vergine e i rischi di contagio sono costanti. Ciò è essenzialmente dovuto al crescente ruolo degli enti locali, agli appalti, alle assunzioni, alla fornitura dei servizi, nel quadro del controllo del territorio che le cosche perseguono. Interfacciarsi con i politici, per la ‘ndrangheta, significa governare la clientela che aumenta il suo potere e il suo ‘riconoscimento sociale’”. E infine una considerazione: non c’è “così come per il terrorismo, la figura di un ‘grande vecchio’ che sta dietro ogni decisione delle cosche, sia singolo o come gruppo di persone, poiché le indagini finora svolte danno sì un’idea unitaria del fenomeno, ma è illusorio credere che basterebbe individuare e colpire quella ‘figura’ per sconfiggere definitivamente la ‘ndrangheta”.
  21. Da Ibra a Montero di GIGI GARANZINI dal blog "Slow foot" (Il Sole 24 Ore.com 06-02-2012) Bastian cuntrari, e fin lì ci siamo, ma anche mai cuntent. Nella lingua della mia terra, sorry, ma ho letto e sentito troppe pugnette al pomeriggio calcistico finalmente completo, o quasi, e al Novantesimo minuto di una volta. Ma qualcuno davvero ricorda il 90° minuto di una volta? E ne ha nostalgia? Ieri ho sentito Massimo Mauro dire che il casino di San Siro era un momento davvero poco edificabile. Tra altri vent'anni avremo nostalgia di Mauro? Io sono contro la spalmatura a oltranza, non contro l'anticipo del sabato e il posticipo domenicale, che fanno parte ormai della consuetudine. Se c'è l'emergenza gelo amen, si gioca tutti insieme. Ma aver perso la diretta integrale di Roma-Inter il sabato e di Milan-Napoli la domenica resta secondo me un peccato. Lascio agli habitués i commenti sulle prodezze del Bullone, mezzo bullo e mezzo campione. Oppure, meglio, campione intero ma anche interamente bullo, tanto che Bullone si potrebbe pronunciare anche all'inglese, come numero uno dei bulli stante la recidività. Così come lascio volentieri ai competenti-illuminati il dibattito sulle motivazioni napoletane, o sulle prodezze dialettico-gestionali del povero Marotta, alle prese con un presidente il cui idolo assoluto (ipse dixit) è Montero. Ripeto, Montero. Suo zio, di Andrea Agnelli, non di Montero, aveva per idolo Sivori, anzi per vizio come amava ripetere. Non era uno stinco di santo nemmeno il grande Omar, che in carriera fu espulso non tante volte meno di Montero. Ma con il massimo rispetto per i gusti che son gusti, e non necessariamente alla mènta (anche qui alla piemontese, con la è molto larga e un po' strascicata), tra Sivori e Montero può esserci corsa? Giorgio Bocca e Minzolini? Pavarotti e Ramazzotti? Uto Ughi e il violinista del mio paese? Tutti cuori bianconeri. Poi vedete e scegliete un po' voi. Prima o poi C.Rocca ci farà il favore di tirare una pigna (pigna vera, eh!) contro l'ill.mo Gigi Garanzini.
  22. SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 07-02-2012) "Biglietti sempre più facili" Qualcosa si muove. Finalmente Addio alla tessera del tifoso, osteggiata da molti tifosi e subita da altrettanti. Dovrebbe cambiare anche nome ma, quel che conta di più, soprattutto, gli obiettivi. Non sarà più una tessera di polizia, o una tessera-business, come è stata vissuta sinora, e sarà slegata dagli abbonamenti (vedi Spy Calcio del 23 gennaio). L'Osservatorio del Viminale, con il nuovo responsabile Roberto Sgalla e il suo vice, Roberto Massucci, sta lavorando al nuovo corso. Come abbiamo avuto modo di sottolineare, questo è il momento giusto per tentare una svolta: non c'è più il ministro Roberto Maroni ma c'è un governo tecnico, e a capo del Ministero degli Interni c'è Anna Maria Cancellieri. "E' giusto che la tessera del tifoso sia sempre più una card. Il problema è di contenuto, deve avere sempre più servizi per il tifoso. Alle società, in questo scorcio di campionato, in attesa del nuovo protocollo, abbiamo dato la possibilità di un carnet che abbia le stesse caratteristiche della tessera, ma che aiuti a portare gente allo stadio. Ci stiamo poi accingendo a fare un percorso di semplificazione". Questo ha detto Roberto Sgalla a 'La Politica nel Pallone su Gr Parlamento'. Sgalla è entrato anche nel dettaglio: "Vogliamo semplificare l'acquisto dei biglietti e la consegna delle tessere del tifoso, non è possibile far passare mesi per averla, perché i processi di semplificazione possono aiutare a fidelizzare il tifoso. Noi in tasca abbiamo decine di tessere che ci danno benefici, scontistica, ci fidelizzano e tessere di questo tipo possono servire, ma non possono essere messi in discussione i principi che hanno determinato ottimi risultati in termini di sicurezza. Sono pochi oggi i fenomeni negli stadi che vanno contrastati. L'impalcatura della tessera del tifoso e dei biglietti nominativi è felice, ma il mondo del calcio si deve evolvere per far percepire al tifoso che è una evoluzione a suo favore. Siamo tutti impegnati per politiche inclusive a condizione che tutti si assumano le proprie responsabilità. La tessera non è una schedatura o qualcosa al servizio della polizia". Rispetto al passato, alla chiusura di Maroni, è un passo avanti, piccolo e o grande lo scopriremo verso fine stagione: ora tocca anche ai club farsi protagonisti, e venire (finalmente) incontro ai loro tifosi, senza penalizzarli come successo in non pochi casi. Ci sono ancora molti problemi che vanno risolti (ma almeno adesso c'è la volontà di tentare di farlo). Intanto va cancellato l'articolo 9 (e su questo l'Osservatorio è d'accordo): assurdo che chi ha scontato la pena, magari per aver acceso cinque anni fa un fumogeno, non possa fare l'abbonamento o andare in trasferta. Basta un provvedimento parlamentare per modificare questo articolo: perché i partiti non si danno da fare? Poi, bisogna agevolare l'acquisto dei biglietti (sono successi anche ultimamente casi paradossali) e bisogna venire incontro a chi va in trasferta (ridicolo quello che è successo ad esempio con Viareggio-Taranto).
  23. Soprattutto lui, ma non solo lui di ROBERTO BECCANTINI dal blog "Beck is Back" 07-02-2012 Le motivazioni della sentenza napoletana ci informano che il papa non fu ucciso, anche se qualcuno ci provò. Fuor di metafora, il campionato 2004-2005 fu regolare, anche se qualcuno – Luciano Moggi, soprattutto – cercò di alterarlo. Reato di pericolo, si dice in gergo, delitto a consumazione anticipata. Dalle 561 pagine che sto leggendo (impresa non facile, visto il pessimo italiano dello slang giudiziario), emergono tanti dubbi, uno su tutti: perché associazione a delinquere e non guerra per bande, dal momento che le indagini furono da un lato fin troppo coinvolgenti e dall’altro fin troppo trascuranti? Le sim straniere a designatori e arbitri sono la linea di confine. Supportano le sentenze sportive, al di là dell’illecito ordito ma non realizzato: basta il tentativo, nel calcio (e non solo). Penalmente, viceversa, ci sono concreti margini per limare le condanne: i cinque anni e quattro mesi di Moggi, spiegati così, mi sembrano un’enormità. Se il principale imputato non ne esce bene, non ne esce bene neppure la Procura, visti i «cazziatoni» che affiorano. Insomma: qualora le intercettazioni fossero state meno orientate, nella rete dei processi, sportivi e non, sarebbero finiti altri pesci, e che pesci, da Carraro all’Inter, tanto per citarne un paio. Al di là delle spiegazioni fornite, continuo a non capire come le responsabilità di Moggi, il cui potere è stato definito «esorbitante», possano risultare disgiunte da quelle della Juventus. A livello civile, ci arrivo (a fatica), anche se proprio questa cesura contribuisce a gonfiare i «muscoli» dell’ex dg fino ai confini dell’associazione, in onore della quale è stata riesumata perfino la Gea. Ma sul piano sportivo? In questo caso, lo sbarramento dovrebbe essere garantito dalla responsabilità oggettiva, sotto assedio da tutte le parti, Scommessopoli inclusa.
  24. Decisione COMCO sul caso Sion La Commissione Competizioni Svizzere ha informato la UEFA che non intraprenderà azioni sul ricorso presentato dall'FC Sion secondo cui la UEFA era colpevole di abuso di posizione dominante. di UEFA News Martedì, 7 febbraio 2012, 17.21CET La Commissione Competizioni Svizzere (COMCO) di Berna ha informato la UEFA che, sulla base delle informazioni ricevute, si considera nella posizione di decidere sul ricorso presentato dal club svizzero FC Sion il 27 ottobre del 2011, secondo cui la UEFA era colpevole di abuso di posizione dominante. Il segretariato della Commissione Competizioni ha deciso di non intraprendere azioni sul ricorso del Sion riaffermando quindi che la UEFA non ha violato il regolamento della competizioni e che le decisioni dei suoi organi disciplinari non rappresentano un abuso di posizione dominante e nemmeno un ostacolo alla libera concorrenza. Il 2 settembre 2011, la Commissione Disciplinare e di Controllo UEFA aveva assegnato due sconfitte a tavolino al Sion per aver schierato giocatori non utilizzabili in UEFA Europa League contro il Celtic FC il 18 e 25 agosto 2011. La decisione è stata poi confermato dall’Organo di Appello UEFA il 13 settembre 2011. Il Tribunale di Arbitrato Sportivo (TAS) ha poi mantenuto la decisione UEFA il 15 dicembre 2011, concludendo, tra le altre cose, che la UEFA non era colpevole di abuso di posizione dominante come spiegato dalla legge svizzera sui cartelli.
  25. Calciopoli e una giustizia incompleta. Ma le condanne restano condanne di FABRIZIO BOCCA da Blooog! (Repubblica.it 07-02-2012) Di Calciopoli ormai parlo malvolentieri, essendoci idee e fatti (intesi nella loro interpretazione) ormai incancreniti da opinioni di parte e quindi non credo sia ormai più possibile un dialogo. Ma se mi si chiede un’opinione, non mi tiro indietro. A me sembra che la motivazione ribadisca più o meno tutto quello che sappiamo. Secondo me il punto chiave è quando la motivazione esprime il concetto che “il tentato illecito sportivo” sia equivalente all’“illecito sportivo” stesso. E’ un concetto che la giustizia sportiva ha ormai presente e applicato da decine e decine di anni. No, non ci sono prove di partite realmente manomesse da Moggi & C, non c’ è prova di un campionato 2004-2005 realmente alterato, ma c’è un’attività degli imputati – anzi direi dei condannati – che comunque è penalmente e sportivamente rilevante. Che l’inchiesta sia penale che sportiva sia stata lacunosa – e secondo me quella sportiva più ancora di quella penale – tanto da non fare completa giustizia è un qualcosa che avevamo già appurato. Detto questo è la motivazione di condanne pesantissime, non è la motivazione di un’assoluzione. E da qui non si scappa.
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