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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Avv. Prioreschi: “Avanti sino alla verità” Ormai ci siamo, mancano pochi giorni e finalmente dal Tribunale di Napoli verranno rese note le motivazioni della sentenza di primo grado del processo Calciopoli. Per l’occasione la redazione di Canale Juve ha rintracciato e intervistato Maurilio Prioreschi, uno degli avvocati di Luciano Moggi, ex d. g. della Juventus. intervista della redazione di Canale Juve 04-02-2012 Addentrarsi in una sentenza di cui non si conoscono le motivazioni è impresa ardua, le vie dell’iter logico seguito dal collegio possono essere le più diverse, però diversi punti del dispositivo destano comunque perplessità. Senza fare il toto – motivazione, ci piacerebbe condividere con lei dei dubbi. Il primo riguarda le innumerevoli censure che i difensori hanno mosso all’indagine, e quindi alla formazione della prova: un punto battuto più volte. E’ lecito aspettarsi delle risposte nelle motivazioni? Mi auguro che la sentenza affronti il tema fondamentale del processo che è proprio quello delle modalità con le quali sono state acquisite le fonti di prova nella fase delle indagini prelimnari. La genuinità nell’acquisizione della prova è la prima regola in un processo penale. Se la prova non è acquisita in modo genuino l’esito del processo è falsato. La stampa ha svolto un ruolo in questo processo, come per tutti i processi mediatici. In molti si sono appassionati al ritornello “tutti colpevoli – nessun colpevole” per screditare la strategia difensiva. E ovviamente hanno colto al balzo la condanna per rincarare la dose: ma la strategia non è mai stata improntata a questo, semmai a dimostrare l’inquinamente delle indagini. . da parte degli stessi inquirenti. Nell’udienza del 27 settembre 2011 chiese al tribunale la trasmissione alla procura degli atti contro Auricchio, Baldini e Nucini. Attenderete le motivazioni per procedere autonomamente e separatamente nei confronti dei sopra citati? Certamente, dopo aver letto la motivazione della sentenza faremo le nostre valutazioni su tutta una serie di testimonianze ed altre circostanze emerse nel corso del dibattimento. Avvocato, per come è formulata la norma sulla frode sportiva, possiamo ben dire che si tratta di un reato con un’ampia “latitudine”. La soglia di punibilità non richiede che si realizzi un evento per la consumazione del reato, anzi dalle condanne ci è parso di capire che può compiersi ( o tentare ) la frode anche senza il segmento arbitrale. Premesso che la norma non si può cambiare a piacimento, e quindi trattasi di sterile esercizio giuridico, secondo lei la frode sportiva così com’è può essere quantomeno una norma poco “dettagliata”? Nella mia discussione ho sostenuto che la frode sportiva che si realizza con atti fraudolenti non può essere un reato di pericolo ma deve essere un reato di evento come tutti i delitti di frode previsti nel codice penale. Sono convinto di questo e non sono il solo. Anche parte della dottrina è per questa tesi. La famosa intervista del carabiniere “pentito”: è rimasto anonimo, quindi per il momento si tratta di dichiarazioni senza alcun valore processuale. E’ possibile che un magistrato voglia ascoltarlo, ma in caso contrario, le difese potrebbero richiedere in appello la testimonianza? Mi auguro che venga quanto prima convocato da un magistrato perché se è vera la metà di quello che ha detto sarebbero stati commessi una serie di gravi reati. Le regole del giudizio di appello sono molto rigide. Occorrerebbe ottenere la rinnovazione parziale del dibattimento che è consentita in appello solo se il giudice non è in grado di decidere allo stato degli atti o la ritiene assolutamente necessaria. Al tempo della seconda istanza di ricusazione del giudice Teresa Casoria, sia lei che i suoi colleghi avete dimostrato di non aver a cuore una sospensione del processo, con il rischio di ripartire daccapo: una rarità, quando la prassi è che l’imputato punti alla prescrizione e la procura faccia di tutto per evitarla. Quando scatteranno i termini di prescrizione? La sensazione che alla fine l’unico a farsi tutti i gradi di giudizio sarà Moggi è fondata? Per tutti tranne Moggi i termini scadranno a fine novembre di quest’anno. Ma alla prescrizione si può anche rinunciare. Domanda tendenzionsa: dopo la sentenza l’ex procuratore capo di Napoli Giandomenico Lepore ha dichiarato: “sono servite due ricusazioni per ristabilire la regolarità del processo”. Le due istanze sono andate a vuoto, quindi i tre giudici sono sempre rimasti al loro posto, eppure per Lepore è come se fossero andate a buon fine. Cosa ne dice? Francamente ultimamente Lepore ne ha dette talmente tante che non mi interessa il suo pensiero. Gli inquirenti avrebbero potuto intercettare le famore sim estere in tempo reale, e non ricorrere al complesso metodo di ricostruzione compiuto ex post. L’hanno fatto, anzi, con tre utenze, rivelatesi poi mute. Eppure avrebbero potuto allargare il raggio delle utenze intercettate, era poi così difficile attraverso i tabulati delle tre sim? Si sarebbe potuto risalire “in diretta” alle conversazioni “svizzere”? Se si, perché non è stato fatto? Gli inquirenti sostengono che non hanno potuto intercettare le sim svizzere perchè quando venivano individuate non erano più attive. Diciamo che non è proprio così per numerose sim che hanno continuato a chiamare per un lungo arco temporale. Poi avrebbero comunque potuto interrogare i soggetti italiani che con quelle sim erano stati chiamati per chiedere loro chi fosse il chiamante. Anche questo sorprendentemente non è stato fatto. Sempre in tema di sim estere, l’assoluzione totale di Fabiani che incidenza ha sul teorema per come è stato ricostruito dall’accusa? Non solo l’assoluzione di Fabiani, per tutte le frodi che avevano come fonte di prova solo i contatti c’è stata assolzione. Aspettiamo la motivazione per vedere se ciò è dovuto alla questione procedurale della mancanza della rogatoria o alla inaffidabilità del metodo adottato dai carabinieri o per tutte e due le cose. Moggi viene dipinto dall’accusa come una mente criminale raffinata, non uno sprovveduto. Eppure la sentenza ci dice che prima si adopera per Chievo – Fiorentina per salvare la Fiorentina, poi si arriva all’ultima giornata dove per Lecce – Parma è assoluzione! Ci aiuti a trovare una logica. Anche su questo bisogna aspettare la motivazione. La illogicità della sentenza emerge anche per altri capi d’imputazione. Delle intercettazioni non trascritte e trasfuse nelle informative, quindi il mare magnum scandagliato dal pool difensivo, quante intercettazioni riguardavano il mercato? Moggi era un direttore sportivo, non dovrebbero essere la grande maggioranza? Le intercettazioni riguardanti il mercato erano state trasmesse a Roma per il processo GEA. Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro prossimo? Continuerete a trascrivere e rendere pubbliche le intercettazioni inascoltate? Noi stiamo continuando a lavorare e non ci fermeremo fino a quando non verrà ristabilita la verità. Grazie della disponibilità avvocato, speriamo di poterla avere presto nuovamente nostro ospite. Grazie a voi. -
La Juve Denuncia Taormina E Pastore (Gds) ?
Ghost Dog ha risposto al topic di Meglio Calvo che Pelato in Calciopoli (Farsopoli)
Capisco benissimo l'ira scaturente da questi agguati. Sarà che mi sono lasciato alle spalle (dopo aver opportunamente indossato mutande di ghisa) questo schifo. Ormai partiamo da posizioni di vantaggio talmente elevate che in questi casi mi sembra di osservare dei topolini (di fogna, ovviamente). -
La Juve Denuncia Taormina E Pastore (Gds) ?
Ghost Dog ha risposto al topic di Meglio Calvo che Pelato in Calciopoli (Farsopoli)
Scusate, ma stavolta il deus ex machina del complotto juventino sarebbe Marotta? Sta per tornare Moggi? Già il fatto che i forum ed i blog di tifosi (anche il nostro) siano diventati parte integrante del confronto con i media più classici ci permette di tutelare la Juventus molto meglio rispetto a 6 anni fa. -
La Juve Denuncia Taormina E Pastore (Gds) ?
Ghost Dog ha risposto al topic di Meglio Calvo che Pelato in Calciopoli (Farsopoli)
Taormina, da avvocato esibizionista qual è, non aspetta altro per dare spettacolo in tribunale. IMHO c'è più gusto a lasciarlo crogiolare in quest'attesa, rispondendo a tono, chiamandolo in causa (in)direttamente. -
La Juve Denuncia Taormina E Pastore (Gds) ?
Ghost Dog ha risposto al topic di Meglio Calvo che Pelato in Calciopoli (Farsopoli)
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La Juve Denuncia Taormina E Pastore (Gds) ?
Ghost Dog ha risposto al topic di Meglio Calvo che Pelato in Calciopoli (Farsopoli)
Inimicarsi di nuovo e da subito certi figuri? La Juve ha un sito web-news molto migliorato ed ora anche Antonio Conte, se proprio vuole controbattere sulla stessa falsariga può iniziare da questi assi nella manica. Infine le carte bollate. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Calcioscommesse, pagano le società di VINCENZO DAMIANI (Corriere del Mezzogiorno - Bari 04-02-2012) BARI — Se le inchieste penali sul calcio scommesse delle Procure di Bari e Cremona dovessero trovare conferme, per i due club pugliesi Bari e Lecce la penalizzazione sarà cosa inevitabile. Le dichiarazioni rese dal procuratore federale, Stefano Palazzi, lasciano poco spazio all'interpretazione: «Ci sono delle regole ben precise e la responsabilità oggettiva è l'architrave della giustizia sportiva». Tradotto, le sanzioni per le società, seppur estranee alle presunte combine fatte dai giocatori, sono inevitabili. Ieri Palazzi ha avuto un incontro con il capo della Procura barese, Antonio Laudati, il pm Ciro Angelillis, il colonnello dei carabinieri Francesco Rizzo e il maggiore Riccardo Barbera. Resta da capire solamente quando saranno inflitte e, soprattutto, l'entità. Sui tempi Palazzi non ha dato certezze ma assicurato celerità. «Cercheremo di fare innanzitutto bene - ha dichiarato - perché si tratta di questioni delicate. Ma l'obiettivo è fare il prima possibile, compatibilmente con le difficoltà delle indagini». ------- La stangata è vicina Calcio scommesse, Bari e Lecce rischiano una super penalizzazione Il procuratore Palazzi: «Responsabilità oggettiva architrave del sistema» di VINCENZO DAMIANI (Corriere del Mezzogiorno - Bari 04-02-2012) BARI — Per Bari e Lecce è buio pesto. Se le inchieste penali sul calcio scommesse delle Procure di Bari e Cremona dovessero trovare conferme, per i due club pugliesi la penalizzazione sarà cosa inevitabile. Le dichiarazioni rese dal procuratore federale, Stefano Palazzi, lasciano poco spazio all'interpretazione: «Ci sono delle regole ben precise - ha detto ieri mattina al termine dell'incontro con il capo della Procura barese, Antonio Laudati, il pm Ciro Angelillis, il colonnello dei carabinieri Francesco Rizzo e il maggiore Riccardo Barbera - e la responsabilità oggettiva è l'architrave della giustizia sportiva». Tradotto, le sanzioni per le società, seppur estranee alle presunte combine fatte dai giocatori, sono inevitabili. Resta da capire solamente quando saranno inflitte e, soprattutto, l'entità. Sui tempi Palazzi non ha dato certezze ma assicurato celerità. «Cercheremo di fare innanzitutto bene - ha dichiarato - perché si tratta di questioni delicate. Ma l'obiettivo è fare il prima possibile, compatibilmente con le difficoltà delle indagini. In questo momento non posso entrare nel merito della questione, ma prestò sarà predisposto un calendario del processo che renderemo pubblico per dare trasperaenza all'andamento dell'indagine sportiva». L'impressione è che si possa arrivare ad una sentenza entro il prossimo luglio, in modo da sanzionare i club all'inizio dei campionati 2012-2013. Sull'entità delle penalizzazioni in questo momento è possibile fare solo ipotesi guardando quanto accaduto nel recente passato. Il rischio di una retrocessione d'ufficio non dovrebbe esserci, ma quello di una forte multa e di una corposa sottrazione di punti sì. Molto dipenderà anche dal numero delle partite truccate: per fare un esempio, al momento si parla di otto gare del Bari giocate la passata stagione. Il club biancorosso, se dovessero essere confermate le ipotesi investigative, rischierebbe anche un -15, se non di più. Nonostante la società di via Torrebella sia stata danneggiata con la retrocessione dal comportamento scorretto di alcuni ex tesserati. I club si stanno attrezzando per la battaglia legale. «In questa situazione nessuna società può sentirsi tranquilla - commenta l'amministratore unico del Bari, Claudio Garzelli - dobbiamo intervenire per modificare l'istituto della responsabilità oggettiva». Intanto le inchieste proseguono. Da lunedì riprendono gli interrogatori, a Bari il pm Angelillis e i carabinieri interrogheranno un altro giocatore attualmente in serie A, mentre al momento non dovrebbero essere convocati, come persone informate dei fatti, i dirigenti del club. Dopo le confessioni di Andrea Masiello, Marco Rossi e dell'infermiere Angelo Iacovelli, potrebbero quindi arrivare ulteriori conferme, tasselli fondamentali che andrebbero ad incastrarsi nel puzzle ormai sempre più delineato. Anche il pm lombardo, Roberto Di Martino, a metà della prossima settimana, riprenderà gli interrogatori, poi toccherà alla Procura federale. Secondo una indiscrezione non confermata ci sarebbe già stato un contatto informale tra Palazzi e un dirigente del Bari, ma ancora non c'è stata alcuna convocazione. ___ Palazzi: "Niente sconti sul calcioscommesse" Incontro in procura con Laudati: "Sacrosanta la responsabilità oggettiva per i club" di MARA CHIARELLI (la Repubblica - Bari 04-02-2012) L´ha definita una «visita doverosa istituzionalmente, un incontro di persona per parlare di varie questioni che riguardano le indagini» Dopo Cremona, Bari: il procuratore federale della Figc, Stefano Palazzi ieri mattina ha incontrato il procuratore capo di Bari Antonio Laudati e il pm Ciro Angelillis, titolari del fascicolo d´indagine sul calcioscommesse. Un incontro breve, tenutosi in tarda mattina al quarto piano del Palagiustizia di via Nazariantz e durato poco più di mezz´ora. Al termine Palazzi ha annunciato la predisposizione, a breve scadenza (forse già la prossima settimana), di un calendario di audizioni che, ha dichiarato, sarà pubblico, in modo da «mettere a conoscenza l´opinione pubblica dell´andamento dell´indagine sportiva». E prima di infilarsi nell´auto blu con i due magistrati baresi, Palazzi ha affrontato anche il tema scottante della responsabilità oggettiva, che in tanti vorrebbero modificare sostanzialmente per evitare ai club di subire la mannaia delle penalizzazioni per colpe commesse dai loro tesserati. Insomma punire i colpevoli, ma salvare le squadre. «Nel merito non posso entrare - ha premesso - E comunque ci sono le regole: la responsabilità oggettiva è un´architrave della giustizia sportiva. E se ne è già tenuto conto nei procedimenti della scorsa estate, perché le sanzioni hanno tenuto conto delle situazioni particolari». Quanto ai tempi di conclusione dell´inchiesta sportiva, inevitabilmente risentiranno di quelli delle indagini penali. Lo ha lasciato intendere abbastanza chiaramente il procuratore federale: «Cercheremo di fare bene innanzitutto perché si tratta di questioni delicate - ha affermato Palazzi - e il più presto possibile, compatibilmente alla difficoltà delle indagini». Un lavoro che deve tenere conto di quello delle procure, soprattutto di quella barese, che ha secretato alcuni interrogatori importanti, come quello del giocatore Masiello. Tornato a Roma, Palazzi dovrà riordinare materiale e idee, dopo i faccia a faccia con i colleghi del penale, e ripartire puntando, soprattutto, sulla collaborazione delle persone coinvolte, visto che gli sconti di pena, in vigore già dal 2007 nei processi sportivi, sono stati applicati anche alla prima fase dello scandalo calcioscommesse. ------- Bari, la doppia beffa tradito dai giocatori e a rischio stangata Garzelli: "Un´anomalia inaccettabile" di GIULIANO FOSCHINI (la Repubblica - Bari 04-02-2012) La struttura sembra ormai delineata: alcuni giocatori del Bari lo scorso anno hanno venduto un determinato numero di partite a una banda di malavitosi. Le indagini in corso determineranno, a stretto giro, quali partite siano state combinate. O per lo meno su quali gare ci sia stato un tentativo. Un elenco esiste: Bari-Sampdoria, Bari-Roma, Bari-Palermo e molto probabilmente anche Bari-Chievo, Brescia-Bari e Bologna-Bari. Anche il meccanismo, a leggere gli atti istruttori della procura di Cremona prima e quella di Bari poi, sembra ormai evidente: il gruppo degli zingari scendeva in Puglia, si affidava a persone di fiducia come l´infermiere Angelo Iacovelli e forse anche a elementi della criminalità organizzata. Contattavano i giocatori. Offrivano loro del denaro e chiedevano di truccare le partite: sconfitte, finale con over (più di tre gol) eccetera eccetera. Alcune volte i giocatori si prestavano (Andrea Masiello) altre volte invece declinavano gli inviti. Per lo meno così raccontano. Questo è il quadro. Un quadro così chiaro e definito che potrebbe in tempi strettissimi portare la magistratura a mettere i primi punti. Che nella sintassi giudiziaria significano manette. Questo è un fatto. Perché poi ne esiste un altro, che al momento ha i contorni di un punto interrogativo e il sottotesto di una paura: cosa accadrà al Bari? La risposta rischia di fare scuola nella giustizia sportiva. Perché la vicenda è emblematica. Le inchieste della magistratura penale raccontano che lo scorso anno un gruppo di giocatori pagati dalla criminalità ha taroccato alcune gare. Bene. Queste gare hanno di fatto condannato il Bari in serie B, uccidendo così il sogno di qualche decina di migliaia di tifosi ma costringendo anche la società a mancati introiti per decine di milioni di euro. Le inchieste testimoniano che tutto questo è stato fatto alle spalle della dirigenza che nulla sapeva. E l´unica colpa che ha avuto è stata quella di non vigilare, se è vero come ha raccontato Andrea Masiello ai magistrati che brutti ceffi giravano indisturbati per gli spogliatoi biancorossi. Il Bari quindi è di fatto stato retrocesso per una squadra sbagliata. Per una campagna acquisti non all´altezza. Ma probabilmente anche per colpa di giocatori infedeli. Per questo ha perso dei soldi. E´ stato preso in giro. E in ogni caso rischia di perdere punti in questa stagione (qualora la penalizzazione provocasse comunque un danno alla società, per esempio negandole l´accesso ai play off) oppure di partire con l´handicap nella prossima. Trovandosi così nella incredibile situazione di essere parte lesa nel processo penale. E colpevole in quello sportivo. «Un´anomalia inaccettabile» ha commentato ieri l´amministratore unico del Bari Claudio Garzelli, commentando il summit tra il procuratore di Bari Antonio Laudati, il sostituto Ciro Angelillis e il capo degli 007 della Figc Stefano Palazzi. «In questa situazione - ha detto Garzelli - nessuna società può sentirsi tranquilla. Allo stesso tempo dobbiamo intervenire per modificare l´istituto della responsabilità oggettiva». Palazzi, la Figc e il Coni non sembrano voler discutere su questo argomento. «La responsabilità oggettiva è un architrave della giustizia sportiva» ha detto Palazzi a Bari. Sembra quindi che si sta andando verso un muro contro muro che potrebbe avere degli effetti devastanti non soltanto per i biancorossi. Sono tante le società di serie A e B che si trovano nella stessa situazione, a partire dal Lecce che è in grossa difficoltà per una serie di partite, in primis quella con il Genoa. Ora è una questione di tempi. In attesa di avere tutti gli atti della giustizia penale (cosa non facile, visto che molte delle carte sono secretate) si conta molto sulla collaborazione delle persone coinvolte: gli sconti di pena del resto sono in vigore già dal 2007 nei processi sportivi e sono stati applicati anche alla fase uno del calcioscommesse. Ma per i ´pentiti´ non si devono certo attendere colpi di spugna: Palazzi dovrà valutare l´entità del coinvolgimento e soprattutto l´eventuale gravità degli illeciti commessi e formulare le sue richieste. Poi saranno gli organi di giustizia di primo e secondo grado a comminare le pene. La storia sembra quindi soltanto appena cominciata. A Bari tutti sperano che finisca presto. Molto presto. ___ SCOMMESSOPOLI S'ALLARGA LO SCANDALO Terremoto serie A: salgono a 17 le partite nel mirino! Nove sono del Bari. Palazzi in Puglia, il club: «Noi estranei» Il procuratore Figc: «La responsabilità oggettiva non si discute». Quei retroscena su Lazio-Genoa e Lecce-Lazio di SIMONE DI STEFANO (Tuttosport 04-02-2012) ROMA. Altra scossa sul calcio, stavolta la magnitudo rischia di far crollare tutto il castello della scorsa stagione di Serie A: «Un teatrino», secondo gli inquirenti, per quante gare risultano esser state falsate. Classifica alla mano, piazzamenti in Europa League e retrocessioni, tutto alterato. Le gare sospette sono almeno 14, il treno delle combine lo traina il Bari, che quell’anno retrocesse in B. Se si aggiungono le indiscrezioni dell’ultimo interrogatorio di Andrea Masiello , le gare sospette arrivano a 17. Sotto la lente d’ingrandimento, almeno nove partite dei biancorossi: Brescia-Bari, Bari-Samp, Bari-Roma, Bologna-Bari, Lecce-Bari, quelle che avrebbe rivelato Masiello. E Palermo-Bari rivelata da Gervasoni . PALAZZI-TOUR Dopo la visita al pm di Cremona, Roberto Di Martino , ieri il pm federale Stefano Palazzi ha concluso il suo giro di procure a Bari, dove il procuratore capo Antonio Laudati , e il pm Ciro Angelillis , stanno indagando sulle infiltrazioni mafiose nel calcio. Palazzi ha ricevuto nuovo materiale su cui basare la futura inchiesta sportiva: «Una visita - ha detto Palazzi - doverosa istituzionalmente». Il Bari resta alla finestra: «Per noi non cambia nulla - sostiene l’amministratore unico dei biancorossi, Claudio Garzelli -. Nessuna società può sentirsi tranquilla, di certo noi non abbiamo nessuna responsabilità diretta nei fatti oggetto di indagini». Tra gli ex baresi, oltre a Masiello, nel calderone anche Bentivoglio , Marco Rossi , Padelli , Parisi . Dalla responsabilità oggettiva non si scappa, vale per tutti i club: «È un’architrave della giustizia sportiva - precisa Palazzi - e se n’è già tenuto conto nei procedimenti della scorsa estate». A breve Palazzi sarà chiamato a stilare un «calendario pubblico, con il coordinamento della procura ordinaria». Quanto all’inizio, si parla anche di un possibile slittamento a fine mese: «Sono questioni delicate - ha concluso - per questo cercheremo di fare bene e il più presto possibile, compatibilmente alla difficoltà delle indagini». ILIEVSKY PAGAVA Tra le gare sospette dello scorso campionato, fanno anche più clamore le già note Lazio-Genoa e Lecce-Lazio. Da un’informativa dello Sco, poco prima di Lazio-Genoa del 14 maggio 2011, emerge la presenza dello slavo Hristyan Ilievski a Formello e successivamente nell’albergo del Genoa. La gara finì 4-2 per i biancocelesti, l’over sarebbe riuscito, la sera stessa Ilievsky era a Milano dove incontrò l’ex capitano del Bari, Bellavista , e il giorno dopo lo raggiunsero i genoani Omar Milanetto e Dario Dainelli . Per gli inquirenti questa è la prova dell’avvenuta consegna del denaro per il tarocco riuscito. A pesare su Lecce-Lazio c’è invece l’incontro tra Zamperini e Mauri , e la visita degli “zingari” nell’hotel del Lecce prima della gara. Le conferme di tali combine arrivano da un’informativa della Polizia, che la Procura di Cremona ha utilizzato per opporsi alla richiesta di riesame dai legali di Alessandro Zamperini - quello che tentò di corrompere Simone Farina , e che ha dichiarato di “acchittare” le partite perché «minacciato di morte», una motivazione che per i giudici «non è credibile». Zamperini resta al centro dell’indagine “Last Bet”, attorno a lui ruotavano gli intrighi tra gli “zingari”, i singaporiani e i giocatori da corrompere. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Figc, la denuncia di Farina ai pm con un mese di ritardo Palazzi avvisò Cremona solo dopo 36 giorni di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 04-02-2012) La storia di Simone Farina, il calciatore eroe che denunciò la tentata combine di Gubbio-Cesena di Coppa Italia, rimase per trentasei giorni nel cassetto del procuratore della Figc, Stefano Palazzi. Un mese dopo, quella stessa storia avrebbe fatto inorgoglire gli amanti del pallone pulito, ma soprattutto avrebbe permesso ai magistrati di arrestare alcuni esponenti di spicco della banda degli Zingari. Eppure, nessuno in Federazione, in quei 36 giorni, ha pensato, per un solo istante, che forse c´era una certa urgenza di raccontarla anche al procuratore di Cremona. Il dato è raccontato bene in tre lettere tra il procuratore federale Palazzi e il procuratore Roberto Di Martino. È il 3 novembre del 2011. Palazzi chiede alla procura se per caso ci siano nuovi atti che possano interessare la Federcalcio. «In relazione del procedimento in oggetto - si legge - si richiede di valutare la possibilità di inviare a questo ufficio copia della documentazione inerente l´ulteriore attività di indagine (. . . )» Dopo qualche ora, cortese, risponde Di Martino: «(. . . ) Segnalo che per quanto l´attività di indagine continui proficuamente (.. . ), esigenza di cautela processuale e istruttoria non consente ancora di esternare i relativi dati». Gli arresti degli Zingari e degli uomini di Singapore cominciano a prendere forma proprio in quei giorni e non si può rischiare niente. «Non appena dette esigenze saranno superate - continua però Di Martino - sarà cura di questo ufficio renderne edotta la signoria vostra». Per il momento niente carte, quindi. Ma a questo punto Di Martino, con il tono di una formalità conclusiva, quasi casualmente, aggiunge: «Nel contempo qualora la signoria vostra sia eventualmente venuta nella disponibilità di dati, di dichiarazioni testimoniali, o a conoscenza di fatti che si riconnettano ai noti scandali calcistici oggetto dell´indagine, lo scrivente sarà grato se la relativa documentazione verrà messa a disposizione». Insomma: per caso la Figc ha nuovi documenti? È solo allora che, nel giro di due ore, Palazzi prende carta e penna e avvisa Di Martino della vicenda Farina. E cioè: che un calciatore gli ha raccontato di essere stato avvicinato da un ex compagno (Zamperini) il quale gli ha offerto denaro per truccare una gara di coppa Italia per conto degli Zingari. Si noti che quella degli Zingari era la stessa associazione criminale al centro dell´inchiesta del giugno precedente, la stessa che aveva portato ai processi sportivi dell´estate, la stessa che, dunque, Palazzi conosceva a memoria. Ma di cui, inspiegabilmente, per 36 giorni ha taciuto alla procura penale uno sviluppo decisivo (pur non perdendo occasione per ricordare al mondo di non avere «strumenti investigativi adeguati a indagare un fenomeno criminale diffuso come il calcioscommesse»). Perché quel ritardo? Per motivi burocratici, spiegano dalla procura della Figc: «La Figc non può d´ufficio trasmettere gli atti alla magistratura ordinaria. Per farlo occorre un provvedimento che chieda la trasmissione degli atti». In realtà, più che una richiesta di trasmissione atti - con tutti quei «nel contempo» ed «eventualmente» - quella del procuratore Di Martino sembrava una semplice formula di buon senso. Che, per altro, sarebbe potuta essere sollecitata, eventualmente e nel contempo, con una semplice telefonata. Per quanto misterioso, il ritardo non ha comunque frenato il lavoro degli inquirenti (né quelli sportivi, né quelli ordinari) , né intaccato i loro rapporti. Dopo l´incontro di giovedì a Cremona, ieri Palazzi ha incontrato a Bari il procuratore capo Antonio Laudati, titolare dell´inchiesta "gemella". «La responsabilità oggettiva - ha detto uscendo dall´incontro a chi gli chiedeva come poter uscire dal tunnel che sta imboccando il calcio italiano - è un architrave della giustizia sportiva». ___ CASO IL DOCUMENTO Palazzi disse a Di Martino di Farina con 40 giorni di ritardo Il difensore parlò a settembre, fax inviato a novembre di FRANCESCO CENITI & MAURIZIO GALDI (GaSport 04-02-2012) «Tuttavia nell'ambito di un autonomo procedimento è stata acquisita una dichiarazione di un tesserato che potrebbe presentare qualche interesse investigativo per il suo ufficio e pertanto le trasmetto una copia dell'atto». E' il pomeriggio del 3 novembre quando un fax spedito dalla Procura federale della Federcalcio al pm Roberto Di Martino annuncia l'arrivo di un documento che avrà un impatto mille volte superiore a «qualche interesse investigativo»: si tratta della denuncia di Simone Farina, il difensore del Gubbio avvicinato da Zamperini (gli offre 200 mila euro per conto degli Zingari) nel tentativo di alterare la gara di Coppa Italia contro il Cesena. Fin qui nulla di strano, ma c'è un particolare non secondario che rende la storia quantomeno curiosa. Questo: il difensore incontra Stefano Palazzi alla fine di settembre. . . Perché? A questo punto sorgono spontanee una serie di domande che meritano risposte puntuali della Figc. Come mai passano quasi 40 giorni prima che una denuncia fondamentale per l'inchiesta sul calcioscommesse arrivi dalle parti di Cremona? E' necessario aggiungere un altro aspetto della vicenda. Quel 3 novembre Palazzi scrive a Di Martino chiedendogli altri atti utili ai processi sportivi, ma non fa menzione di Farina. Il procuratore risponde a Roma spiegando che l'indagine prosegue in modo spedito e diversi aspetti hanno sì un impatto su squadre e calciatori, ma aggiunge che ci sono «esigenza di cautela processuale e istruttoria che non consentono di esternare gli atti». In altre parole fa capire che l'indagine è in una fase cruciale che porterà prima di Natale ad altri arresti. Palazzi ringrazia e solo allora «apre» la cassaforte contenente Farina. La solita prassi a rallentatore della giustizia sportiva? La stessa che nel maggio 2011, pochi giorni prima che lo scandalo scoppiasse, ha consigliato di tenere ferme le denunce di Quadrini e Corvia sulle strane proposte ricevute? Farina si è presentato da solo da Palazzi o era stato convocato? E in questo secondo caso, per quale motivo? Tutti quesiti che meritano una risposta. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
IL GIP DI CREMONA Salvini: «Sartor ai domiciliari poteva salvare il suo cane» trafiletto non firmato (GaSport 04-02-2012) Giorni fa abbiamo scritto che Sartor non ha potuto salvare il suo cane, morto in casa, perché ai domiciliari. Il gip Guido Salvini, però, sostiene che l’ex difensore poteva chiamare i vicini o portare il cane dal veterinario avvisando i carabinieri, e questo non sarebbe mai stato «contestato come una violazione degli arresti domiciliari». Sartor «avrebbe inoltre potuto evitare, per l’assistenza a se stesso e a suoi cani, di indicare, nei giorni precedenti, solo una persona, tale M.G. denunciata per una lunga serie di reati, dalla detenzione abusiva di armi alla violenza pubblico ufficiale alla falsa testimonianza, e già soggetta a un divieto di soggiorno, la cui presenza in casa chiaramente non poteva esser autorizzata». -
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Preziosi: «Svoltiamo Paghino i calciatori I club vanno tutelati» «Non credo alla colpa di Dainelli e Milanetto. Ma Figc e Aic ci aiutino a cambiare le norme sulle scommesse» di CARLO LAUDISA (GaSport 04-02-2012) Il sentimento e la ragione. Sono ore tumultuose per Enrico Preziosi. Non solo Milanetto, ora anche Dainelli è entrato nel vortice delle accuse per una combine su Lazio-Genoa. E il presidente rossoblù stenta a crederci: «E' tutto inverosimile, non ci crederò sino a quando non ci saranno le prove. Erano in hotel per partecipare a un addio al celibato e c'erano anche altri calciatori». Le lacrime di Dainelli lo turbano, ma soprattutto lo inquieta il futuro del calcio. Non solo del Genoa: «Il pericolo viene da lontano. I club come fanno a fronteggiare il pericolo-scommesse? Qui bisogna cambiare le regole, per il bene di tutti». Ce l'ha con la responsabilità oggettiva? «Assolutamente no. E' giusto che rimanga come deterrente, ma occorrono nuove norme per aiutare le società a prevenire i problemi. E la Federcalcio deve fare la sua parte». Cosa intende cambiare? «Preciso che ho già consultato molti colleghi e il presidente Beretta. Ne parleremo nella prossima assemblea di Lega. Quindi non è solo la mia posizione». Allora ci spieghi. «In caso d'illecito ora le norme federali prevedono solo pene per le società. Non ci sono i presupposti per prevenire o rivalersi per i danni patrimoniali e d'immagine. Siamo ancora trattati come società dilettantistiche non di capitale. E' anacronistico». Ce l'avete con i calciatori? «Assolutamente no. Dobbiamo fare fronte comune per isolare chi sbaglia. Perciò inviteremo l'Aic ad un tavolo: bisogna intervenire sull'accordo collettivo». Come? «Nel contratto-tipo va inserito l'aspetto etico. Contro chi commette reati di rilevanza penale le società devono avere la possibilità di risolvere il contratto e una deroga sulla clausola compromissoria. Così si può citare per danni chi sbaglia». Quindi è linea dura? «Sia chiaro. Questa è un tutela per tutti. Così chi ora sbaglia a cuor leggero avrà un monito in più...». Ma i club vigilano? «E come? Se arriva un impostore dall'Asia io come faccio a saperlo? La legge sulla privacy lo impedisce. Un esempio su tutti: la causa di Vieri a Moratti, accusato d'averlo fatto pedinare». Che propone? «Anche in questo caso i calciatori dovrebbero valutare le condizioni in cui accettare determinati controlli». Non è una materia semplice... «Con il buon senso di tutti io credo che si possa trovare una soluzione. Ma è ora di voltar pagina. Questa battaglia la vinceremo, a costo di rivolgerci a tribunali internazionali. Ma spero proprio non serva». ___ Scommesse Ilievski e gli ungheresi nell’hotel del Lecce prima della gara con la Lazio «Macché minacce i giocatori truccavano in nome dei soldi» «Si reclutavano facilmente» di CLAUDIO DEL FRATE (CorSera 04-02-2012) MILANO — Il ricorso alla violenza e alle minacce per aggiustare le partite? Mai stato necessario, tanto i calciatori erano ben disposti a cedere alle lusinghe del denaro. Non è un quadro edificante quello che i giudici del riesame tracciano a proposito dei campionati italiani o quanto meno delle partite messe sotto indagine dalla procura di Cremona. Per un Simone Farina del Gubbio che rispedisce al mittente 200mila euro e denuncia il tentativo di corruzione ce ne sono tanti altri che senza troppi complimenti hanno intascato e provocato il rigore o lasciato passare la palla che ha fatto cambiare il risultato. «La facilità di reclutamento di persone disposte ad aderire al sodalizio, da cui la pluralità di indagati dell'intera indagine, esclude allo stato che ci fosse la necessità di ricorrere a specifiche minacce»: dice a pagina 11 l'ordinanza con cui viene negato il ritorno in libertà ad Alessandro Zamperini, il personaggio considerato «ambasciatore» degli zingari all'interno dell'ambiente calcistico della serie A in particolare. E sono parole destinate a lasciare il segno. Le nuove carte depositate dal pm di Cremona Roberto Di Martino mettono di nuovo al centro del meccanismo criminoso il gruppo degli slavi e in particolare il tuttora latitante Hristian Ilievski, lo «sfregiato» riconosciuto da molti testimoni. A dicembre era stata accertata la sua presenza a Formello, ritiro della Lazio, poche ore prima dell'incontro col Genoa, giovedì è emersa la sua vicinanza, poche ore più tardi, nell'albergo dove si trovavano i giocatori liguri; adesso le carte indicano ancora la sua presenza questa volta nell'hotel di Lecce dove era in ritiro la squadra salentina prima di Lecce-Lazio, ultima giornata dello scorso campionato. Secondo il pentito Carlo Gervasoni gli slavi si erano accordati per un over e il match finì effettivamente 4-2 per i capitolini; le informative della polizia allegate all'inchiesta dicono che all'hotel Tiziano, di Lecce quel giorno bazzicava non solo Ilievski ma anche due personaggi nuovi per l'inchiesta, gli ungheresi Ivan Burghulya e Lazlo Schultz. Ieri intanto il presidente del Genoa Preziosi ha detto di non credere al coinvolgimento dei suoi giocatori Milanetto e Dainelli nel calcioscommesse: «Erano nello stesso hotel degli zingari ma con loro c'erano molti altri giocatori rossoblù e si trovavano lì solo per un addio al celibato. Non ci sono altri riscontri». -
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Federcalcio AI RIPARI Idea Abete: a Ferragosto il via e soste a gennaio Il presidente Figc: «Ne discuteremo nel prossimo consiglio federale». Piace l'ipotesi di giocare durante le feste natalizie MAURIZIO GALDI (GaSport 01-02-2012) Presidente Abete il maltempo ha messo in ginocchio il campionato di calcio. Cosa pensa di fare la Federcalcio? «Innanzitutto dobbiamo distinguere tra l'eccezionalità di alcune situazioni e la possibilità che per altre si possa trovare una soluzione. Per questo sin dal prossimo Consiglio federale abbiamo deciso di iniziare un confronto proprio su quelle che possono essere le soluzioni per evitare situazioni di eccezionalità». Lei pensa a provvedimenti che possano cambiare radicalmente il nostro campionato? «Dobbiamo valutare che il Consiglio federale è il luogo istituzionale dove si incontrato le diverse componenti della Federazione. Cambiare, meglio dire proporre dei cambiamenti, necessita di un dibattito aperto. Noi ci confrontiamo con calendari internazionali, impegni delle nazionali, preparazione e allenamenti. Ecco che avere allo stesso tavolo i rappresentanti delle società, degli allenatori e dei calciatori rappresenta la sintesi che può portare al cambiamento». Ma quali possono essere i cambiamenti da proporre? «Le date di inizio dei campionati, la tipologia delle partite da giocare in notturna, i turni infrasettimanali, la sosta invernale. Sono tutti temi sui quali sono convinto si possa aprire il dibattito e trovare soluzioni condivise». Avendo avuto dal presidente Figc Giancarlo Abete assicurazioni sul fatto che la Figc vuole trovare una soluzione al caos che il maltempo ha generato, esaminiamo quali possono essere i cambiamenti. Inizio dei campionati Sin dalla prossima stagione l'inizio del campionato di A dovrebbe essere fissato nel fine settimana del 18-19 agosto e questo fino al 2014, visto che nella settimana di Ferragosto sono già programmate le amichevoli della Nazionale per accordi anche con la Rai. In seguito potrebbe anche essere previsto l'inizio dei campionati subito dopo Ferragosto, per un campionato da giocare interamente in notturna nella sua primissima fase. Obiettivo complementare è anche far arrivare i club a un grado di preparazione maggiore in vista dei primi turni delle coppe europee. Pausa invernale La proposta che Abete sottoporrà al Consiglio federale è quella di spostare in avanti la pausa invernale. Impossibile accorciarla anche se in Spagna (che come noi è il campionato che inizia più tardi) dura solo una settimana. L'idea è di far giocare durante le feste natalizie, in modo da poter anche avvicinare le famiglie allo stadio e di concedere la pausa da metà gennaio, proprio a evitare quelli che per tradizione in Italia sono di solito i giorni più freddi dell'anno. Notturne concentrate Il definire «la tipologia della gare da giocare in notturna» di cui parla Abete, significa soprattutto concentrare su tutto il territorio nazionale le gare serali in autunno e primavera, mantenendo quelle invernali ma limitandole al sud dell'Italia. Format campionati Il punto sul quale si tenterà di intervenire è anche la riduzione del numero di squadre in A. Scendere da 20 a 18 squadre sarebbe un obiettivo auspicabile, ma esclusa la Germania, quasi tutti gli altri tornei sono ormai strutturati così e sarà difficile riuscire a ottenere l'okay della Lega di A e raggiungere la riduzione. Abete, comunque, non rinuncerà a priori a proporre anche una riduzione. Quando si discuterà? Il Consiglio federale dovrebbe essere convocato tra la fine di febbraio e i primi di marzo. Vista anche l'importanza degli argomenti da trattare, la Federcalcio vorrebbe arrivarci a pieno organico, cioè dopo che la Lega A possa aver trovato una soluzione alla sospensione imposta al presidente Claudio Lotito dall'approvazione delle nuove norme etiche da parte del Consiglio Nazionale Coni. ___ La provocazione Il gelo sta facendo emergere involontariamente le contraddizioni di un’istituzione che non funziona più E se la Figc decidesse di abolire la Lega di A? Dal calendario alle liti per i diritti tv: da luglio se ne sono viste di tutti i colori di FABIO MONTI (CorSera 04-02-2012) MILANO — E se la Federcalcio decidesse di abolire la Lega di serie A? È difficile immaginare una paralisi del calcio italiano e per capirlo, basta ripensare a quanto è accaduto nei sette mesi della stagione 2011-2012. Calendario: non era ancora nato e il 27 luglio, il giorno della cerimonia solenne in diretta tv, Aurelio De Laurentiis già fuggiva in motorino (e senza casco), urlando «siete delle m...», perché le partite più difficili del Napoli (ipse dixit) erano state sistemate prima della Champions League. Lamenti a parte, ci vuole del genio per sistemare in orario notturno (ore 20. 45) una giornata intera di serie A fra il 31 gennaio e il 2 febbraio. Come ha osservato Giovanni Capuano, nel suo blog Calcinfaccia, ieri alle 20 si è giocato Herenveen-Roda (Eredivisie) in Olanda e alle 20. 30 Norimberga-Borussia Dortmund (Bundesliga). Oggi e domani sono previste alle 21 Bordeaux-Tolosa e Marsiglia-Lione. Lunedì la Premier ha programmato Liverpool-Tottenham alle ore 20 (inglese), con Anfield Road, che si trova a 1.244 chilometri a nord di San Siro ed è stato costruito ed inaugurato nel 1884, 42 anni prima. Però la decisione della Lega, se non poteva tener conto di un inverno prima inesistente e ora gelido, avrebbe dovuto sapere che gli stadi sono vecchi; che sono quasi tutti senza copertura (da qui l'intervento dei prefetti e del Gos, che li chiudono per il ghiaccio e per evitare rischi agli spettatori); che le condizioni del prato di molti impianti (da San Siro a Genova, ma non Torino e Roma) sono pessime (anche in primavera); che la marcia di avvicinamento agli impianti è complessa. I continui rinvii rischiano di falsare il torneo, con giornate di squalifica continuamente differite; squadre (il Catania) che si trovano a dover recuperare anche tre partite; gare spostate all'improvviso di 24 ore. La Lega di B ha fatto di peggio: due partite di lunedì anticipate a domani, come se la preparazione fosse un divertimento per i tecnici. Del resto, in Coppa Italia si è scoperto che possono giocare anche gli squalificati senza che succeda niente. D'altronde chi regge l'ufficio del giudice sportivo ha altri impegni. Stadi. Adesso tutti parlano della necessità di costruire nuovi stadi, ma dal 2009 a oggi, sono stati soprattutto alcuni presidenti, Lotito in testa, a rallentare l'iter della legge, cercando di imporre norme ad hoc. Format. La Lega di A continua a difendere un campionato a 20 squadre, che non ha più senso: allunga inutilmente la stagione; richiede rose eccessive; moltiplica il numero di partite inutili, favorisce la tentazione di accordi illeciti (non sempre legati alle scommesse). Temendo un diktat dall'alto, la Lega di A ha venduto i diritti tv del campionato a 20 squadre fino al 2015. Diritti tv. A parte la vendita doppia e tripla delle partite di campionato (pay-tv, digitale, trasmissione in chiaro), che serve a puntellare i precari bilanci dei club (soldi che da sempre finiscono in ingaggi) e a svuotare gli stadi, si è assistito per sei mesi allo scontro fra dirigenti impegnati a distinguere fra «tifoso» e «sostenitore». Governance. A Milano c'è un presidente, Maurizio Beretta, dimissionario (è il responsabile delle relazioni esterne di Unicredit, la banca che ha salvato la Roma, prima di consegnarla agli americani), che non ha alcuna intenzione di affrancarsi né dalla poltrona, né dalle dimissioni, perché teme che, dopo di lui, possa succedere chissà quale sconquasso. Nel frattempo la Lega è immobile e l'ultima assemblea ha registrato un tentativo di aggressione del presidente Lotito (Lazio), condannato (in primo grado) per Calciopoli dal tribunale di Napoli e in perenne lotta con il n. 1 del Coni, Petrucci, all'a.d. dell'Inter, Paolillo. Il tutto perché il cartello degli uomini di Lotito non era riuscito a far eleggere l'ineleggibile (lo dicono le carte federali) presidente del Genoa, Preziosi, alla vice presidenza di Lega. Con tutte le soluzioni possibili, un congruo numero di presidenti pretendeva di mettere in una posizione di grande rilievo istituzionale un presidente che aveva fatto fallire il Como e da presidente del Genoa, aveva comprato una vittoria (3-2 al Venezia): per questo era stato retrocesso, squalificato, condannato persino dalla giustizia ordinaria, squalificato da quella sportiva e scampato alla radiazione non si sa bene come. Di certo Preziosi ha acquisito meriti importanti per aver trascinato i presidenti nel tempio del burlesque a Desenzano del Garda, per la cena degli auguri di Natale. Una spettacolo desolante. La domanda è quella iniziale: ma una Lega così strutturata è indispensabile al calcio italiano? ___ CALCIO E FISCO INTESA CON L’AGENZIA ENTRATE I club pagheranno l'Irap per le comproprietà di CARLO LAUDISA (GaSport 04-02-2012) L'Agenzia delle Entrate ha aperto le porte all'Irap. Riunione decisiva ieri a Roma per risolvere la delicata questione delle comproprietà. Il Fisco nei mesi scorsi aveva aperto una serie d'accertamenti sui bilanci della stagione 2006, lamentando il mancato pagamento dell'Iva in questo tipo di trasferimenti: ora circa 200 in A. Perciò, insieme alla Figc, la Lega di Serie A s'è mossa per far valere la caratteristica finanziaria delle operazioni legate alle compartecipazioni. E il presidente del collegio dei revisori, Ezio Simonelli, s'è avvalso dei pareri del professor Maurizio Leo e dell'avvocato Guglielmo Maisto (incaricato dalla Samp) per difendere le ragioni dei club di fronte ai più stretti collaboratori di Befera. Ieri mattina a Roma la riunione risolutiva nella sede dell'Agenzia delle Entrate. E' passata la tesi che le società hanno rispettato le attuali norme e viene concesso loro di chiudere gli accertamenti in corso con il pagamento dell'Irap (imposta regionale sulle attività produttive). Quindi l'onere fiscale sarà intorno al 3%, non l'attuale 21% dell'Iva. Il futuro? Ora tocca alla Figc riscrivere la norma sulle comproprietà d'intesa con il Fisco. Può tornare d'attualità l'Iva, ma è ancora tutto da vedere. -
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Andrea Agnelli «Moggi era il più bravo Giraudo come un padre» Il presidente Juve: «Al Milan toglierei la Champions 2003, all’Inter invece nulla, perché lo scudetto 2006 è già nostro» di MIRKO GRAZIANO (GaSport 04-02-2012) Moggi, Giraudo, Calciopoli, politica sportiva e gli idoli del passato: Andrea Agnelli parla di tutto con Giorgio Terruzzi, in un'intervista a «Studio Sport XXL», magazine di Mediaset. Parole e pensieri destinati a far discutere, anche a riaprire ferite tra l'altro ancora decisamente fresche. Il presidente della Juve definisce Luciani Moggi «il più bravo di tutti nel suo lavoro». Ancora: «Giraudo era come un padre per me». E poi: «Milan migliore alleato in politica sportiva e rivale più temibile sul campo». Scudetto 2006 «Togliere qualcosa a Inter e Milan come scherzo di Carnevale? Ai nerazzurri - dice Agnelli - non leverei niente, perché lo scudetto del 2006 era già nostro. Al Milan toglierei invece la Champions League del 2003». Trofeo che i bianconeri persero ai calci di rigore, proprio contro i rossoneri. «Lo scudetto del 2006 - continua il massimo dirigente della Juve - è una questione di giustizia, sono emersi fatti nuovi che hanno profondamente modificato quelli di sei anni fa, e perciò cercheremo di portare avanti le nostre convinzioni in ogni sede possibile. In quel periodo, Moggi era il più bravo di tutti nel suo lavoro, come lo fu Allodi in passato. Mentre Girando per me è stato un punto di riferimento, come un padre, e come tale c'erano affetti e conflittualità». Di fatto, è la prima volta che Andrea Agnelli parla esplicitamente di Moggi dopo la sentenza di Napoli, con l'ex d. g. bianconero condannato in primo grado a 5 anni e 4 mesi per associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva (la prossima settimana sono attese le motivazioni). In quelle ore, tra l'altro, la Juventus pubblicò sul suo sito un comunicato ufficiale con il quale affermava «la totale estraneità ai fatti contestati della Juventus, che presso il tribunale di Napoli era citata in giudizio come responsabile civile a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell'articolo 2049 c.c.». Moggi lo lesse almeno inizialmente con stupore e un pizzico di amarezza: «Sembra che abbia giocato da solo, non era così», disse. Un presente che esalta Intanto, la Juve è comunque tornata in alto. Spettacolare, vincente, imbattuta, in piena corsa scudetto: questa è oggi la creatura di Andrea Agnelli, Beppe Marotta e Antonio Conte, triade nuova di zecca. E i complimenti del presidente vanno a chi non ti aspetti: «Chi ha cambiato alcuni dei nostri equilibri nell'ultimo anno? Andrea Barzagli». Giocatore pagato 500.000 euro, sempre presente in questa stagione, oggi miglior difensore centrale italiano. E sui tecnici della sua gestione «dico che Delneri aveva un compito difficilissimo, era l'inizio del rinnovamento. Conte lo conosco invece da 20 anni, è stata una scelta quasi naturale». Poi, descrive così lo stile Juventus: «La Juve per la mia famiglia è sempre stata una passione avvolgente, ma siamo più di cento e non so se tutti hanno una fede bianconera. In ogni modo, vincere per noi non è importante, è l'unica cosa che conta, come diceva Boniperti. Lui e Del Piero rappresentano al cento per cento il dna Juve. Il mio campione preferito? Paolo Montero, le figure ideali Torricelli e Nedved». Un pensiero anche per il Toro: «Il derby mi piace, ma vorrei un Torino forte, che dia a quella sfida un'importanza di classifica ben al di là della rivalità cittadina». «Italia indietro di anni» Politica sportiva: «Dieci anni fa i grandi club italiani avevano gli stessi fatturati dei grandi club europei, oggi per colmare il gap tra noi e loro servirebbe un lasso di tempo tra i cinque e gli otto anni. Nel nostro calcio ci sono tre cose vecchie: gli stadi, i diritti televisivi e la protezione dei marchi. Occorrono riforme. Sulla politica sportiva il Milan resta il nostro migliore alleato, sul campo il rivale più temibile. Ho chiesto alla Ferrari i contratti dei piloti di Formula 1 per applicarli al calcio. Un ritorno a Maranello? Sto bene dove sto». Conclusione piena di tenerezza: «Di chi sento la mancanza? Di mio fratello Giovanni». ___ AGNELLI: “Moggi era il più bravo di tutti” art.non firmato (il Fatto Quotidiano 04-02-2012) Così, alla fine, Andrea Agnelli scelse da che parte stare. Non più nel mezzo, non più nel guado dell’affetto trattenuto. Ma altrove, riannodando appartenenze, passati recenti e filiazioni. Dal lato, in una parola, di Luciano Moggi, ex reietto del calcio italiano adesso in odore di santificazione sabauda. In un’intervista a Studio Sport XXL in onda sabato alle ore 00. 30, Andrea Agnelli si è liberato. Prima i soliti temi: Il complotto di calciopoli, la disfida con l’Inter e le ombre sul passato in cui la Juventus venne (e duramente) giudicata in sede di giustizia sportiva. “Togliere qualcosa a Inter e Milan come scherzo di Carnevale? Ai nerazzurri non leverei niente perché lo scudetto del 2006 era già nostro, al Milan invece la Champions del 2003”. Poi l'accelerazione: “Lo scudetto del 2006 è una questione di giustizia, sono emersi fatti nuovi che hanno profondamente modificato quelli di 6 anni fa e perciò cercheremo di portare avanti le nostre convinzioni in ogni sede possibile”. Infine la botta, il piatto forte. Il ritorno del figliol prodigo, l’abbraccio a Big Luciano, direttore generale del tempo che fu e forse, a leggere con attenzione, al di là di squalifiche e radiazioni, anche, nell’ombra, di domani: “In quel periodo, nel suo lavoro, Moggi era il più bravo di tutti, come lo fu Allodi in passato. Mentre Giraudo per me è stato un punto di riferimento, come un padre, e come tale c’erano affetti e conflittualità”. All’editorialista di Libero, Moggi, l’Agnelli in attacco piacerà molto. Alla curva juventina moltissimo, al senso comune e agli illusori tavoli auspicati dagli alti vertici, molto meno. Ci sono questioni che non si possono chiudere. Questioni di pelle. Moggismi di ritorno. ___ Calciopoli e lo scudetto del 2006 Agnelli insiste "Moggi il migliore uno come Allodi" di TIMOTHY ORMEZZANO (la Repubblica 04-02-2012) TORINO - «Togliere qualcosa a Inter e Milan come scherzo di Carnevale? Ai rossoneri la Champions del 2003, mentre ai nerazzurri non leverei niente, perché lo scudetto del 2006 era già nostro. È una questione di giustizia, sono emersi fatti nuovi che hanno profondamente modificato gli eventi di sei anni fa e perciò cercheremo di portare avanti le nostre convinzioni in ogni sede possibile». Ai microfoni di Italia 1, Andrea Agnelli non sotterra l´ascia di guerra di Calciopoli. Anzi, torna in trincea, malgrado i tavoli di pace: non solo le ferite sono sempre aperte, ma non viene persa nessuna occasione per metterci del sale sopra, a Torino come a Milano. «In quel periodo Moggi era il più bravo di tutti nel suo lavoro – prosegue il numero uno bianconero - come lo fu Allodi in passato. Mentre Giraudo per me è stato un punto di riferimento, una sorte di padre, e come tale c´erano affetti e conflittualità». Condannato nel processo penale di Napoli e radiato dalla giustizia sportiva, Lucianone incassa la stima di Agnelli, peraltro già esternata urbi et orbi lo scorso 18 ottobre, tra gli applausi dell´assemblea degli azionisti bianconeri. In chiusura, il nipote dell´Avvocato tasta il polso al nostro calcio: «Per colmare il gap con i grandi club europei servirebbe un lasso di tempo tra i cinque e gli otto anni. In Italia ci sono tre cose vecchie: gli stadi, i diritti televisivi e la protezione dei marchi. Occorrono riforme. Sulla politica sportiva il Milan resta il nostro migliore alleato, sul campo il rivale più temibile». ___ Riavere e vincere scudetti di VITTORIO OREGGIA (Tuttosport 04-02-2012) Lo scudetto del 2006 è il chiodo fisso di Andrea Agnelli, un atto di giustizia nei confronti della società, dei tifosi e verosimilmente della sua Famiglia, da portare avanti fino alla fine e senza lesinare energie. Il presidente della Juventus non perde occasione per ribadirlo, specialmente adesso che altre e nuove e brutte intercettazioni sono spuntate dagli archivi come funghi nel bosco. E’ un qualcosa che sente dentro, Andrea, e che probabilmente “deve”: per rimettere ordine nel disordine di quegli anni agitati. Il fatto che Agnelli consideri (sempre) Antonio Giraudo un secondo padre e Luciano Moggi (all’epoca) il più bravo di tutti, non lascia spazio a fessurine interpretative. La Juventus della Triade era “a prescindere” più forte in confronto al resto della compagnia. E stravinceva per questa semplice ragione. Per tornare invece alla strettissima attualità, la Juventus di Antonio Conte deve riappropriarsi dei medesimi connotati della Juventus di Giampiero Boniperti, per il quale «vincere non è importante, è l’unica cosa che conta». A meno che i bambini non nascano con i baffi, si tratta di un’operazione che richiede tempo, pazienza e - citiamo Arrigo Sacchi - pure «bus de cul». Ma sapere che Andrea la pensa proprio come il suo illustre predecessore deve essere motivo di sollievo per i sostenitori bianconeri, sviliti da sei anni di su e giù, anzi più giù che su, piallati nell’orgoglio da due settimi posti di fila, eccetera eccetera. Viene da pensare che l’unico modo “super partes” per chiudere il cerchio di Calciopoli e del passato recente sia conquistare lo scudetto, al netto delle discussioni sul fatto che possa essere il ventottesimo o il trentesimo, che sia latore della terza stella o solo di una legittima soddisfazione. Alla Juventus ci provano, ricalcando l’epopea dei Montero e dei Nedved, gli idoli del “tifoso” Andrea. -
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Comunicato sindacale (CorSera 04-02-2012) Caro lettore, domani o nei prossimi giorni potresti non trovare in edicola la tua copia del Corriere della Sera e della Ġazzetta dello Sport. È la conseguenza dello stato di agitazione dichiarato, una settimana fa, da poligrafici e giornalisti a difesa dell’integrità delle nostre testate. La nostra convinzione, suffragata in questi giorni anche da altri giornali, è che la voragine finanziaria aperta dal clamoroso passo falso dell’acquisto nel 2007 di Recoletos (Gruppo editoriale spagnolo) abbia portato velocemente a uno stato di crisi economica di tutta Rcs. Questo stato di sofferenza finanziaria viene affrontato dal management, sostenuto dagli azionisti, comunicandoci il proposito di vendere (o svendere?) il patrimonio immobiliare di via Solferino e la società francese, che edita libri, Flammarion. Il tutto dopo aver comunicato la chiusura del quotidiano di free press City, mettendo in mobilità i suoi dipendenti. Riteniamo che queste operazioni non risolvano, se non nel breve periodo, le difficoltà di questo gruppo. Chiediamo perciò agli azionisti, quelli che nell’immaginario collettivo vengono definiti parte del salotto buono della finanza, di mettere mano al loro portafogli ripianando tutti i guasti di una gestione dissennata. RSU Corriere della Sera e Ġazzetta dello Sport __________________________________________________ (Ferruccio de Bortoli) Alcune precisazioni al nebuloso comunicato sindacale. Il giornale verrà fatto regolarmente in tutte le sue edizioni. I poligrafici possono rallentarne la produzione (come è già accaduto), ma la direzione non consentirà, per rispetto di chi legge e di chi lavora, danni gravi alla distribuzione. La direzione comprende molte delle preoccupazioni sindacali, ma chiarisce, ancora una volta che, come già comunicato dall'Editore, il Corriere della Sera, le sue redazioni e i servizi di cui necessita restano nella sede storica di via Solferino. -
I dossier di Tavaroli sui calciatori Le avvisaglie della tempesta di Calciopoli, esplosa nel 2006, risalgono al 2001-2002, quando il dirigente dell’Inter Giacinto Facchetti riceve le confessioni dell’arbitro Danilo Nucini sul sistema di premi e castighi in vigore in Federcalcio per i direttori di gara soggetti al tandem di designatori Bergamo-Pairetto, a loro volta soggetti al tandem juventino Giraudo-Moggi. Facchetti trova una conferma ai sospetti, alimentati da torti arbitrali clamorosi, che l’Inter è stata esclusa dalla stanza dei bottoni e viene danneggiata a vantaggio di altri club, Juventus in testa. Il dirigente interista riferisce il colloquio con Nucini a Moratti, che si confida con il socio e amico Tronchetti Provera. Il capo di Pirelli e Telecom suggerisce di affidare la pratica al suo uomo della sicurezza, Giuliano Tavaroli, che incomincia a interessarsi delle schede sim svizzere regalate da Moggi agli arbitri per i colloqui riservati. Tavaroli è alla guida del Tiger Team, una miniagenzia spionistica foraggiata con decine di milioni di euro da Telecom Italia, allora presieduta da Tronchetti Provera. I collaboratori di Tavaroli sono Emanuele Cipriani e l’ex funzionario di polizia Adamo Bove, arrestato con Tavaroli il primo, morto suicida il secondo dopo l’avvio dello scandalo delle intercettazioni Telecom. I referenti del Tiger Team nel club sono Facchetti e f.. Ma Moratti segue la partita da vicino. Nel 2003 gli investigatori nerazzurri preparano un rapporto riservato. Tavaroli ne parla ai giudici di Milano: «Facchetti mi disse di aver registrato su un cd i suoi colloqui con l’arbitro Nucini e mi chiese di fare delle verifiche sull’arbitro De Santis. Concordammo di dare l’incarico a Cipriani. Chiesi ad Adamo Bove di verificare i numeri dati da Moggi all’arbitro per vedere se fossero riconducibili a personaggi del mondo del calcio. Bove confermò. Cipriani redasse un report: “Operazione ladroni”». Moratti dirà di avere chiesto a Tavaroli un semplice consiglio e che il resto è stato frutto dell’iniziativa personale del capo della sicurezza Telecom. Ma è chiaro che l’atmosfera da private investigation piace molto a Moratti, tanto da prendergli la mano. Il metodo Tavaroli viene esteso ai calciatori, a cominciare dagli atleti più in vista. Il centravanti nerazzurro Bobo Vieri vive due stagioni eccezionali fra il 2001 e il 2003, ma dimostra un tendenza spiccata alla vita notturna. Moratti, d’accordo con l’amministratore delegato Ghelfi, decide di pedinarlo. La richiesta viene inoltrata a Tavaroli. Lui la gira all’amico Cipriani che, oltre a seguire il bomber, effettua verifiche di polizia nella banca dati dell’anagrafe tributaria e nei conti correnti bancari. Tutto viene regolarmente fatturato all’Inter dalla Polis d’Istinto, l’agenzia investigativa di Cipriani. Moratti non avrà problemi ad ammettere l’attività spionistica, come fosse una normale prassi d’azienda. Lo farà ai primi di ottobre del 2006, pochi giorni dopo l’arresto di Tavaroli per le intercettazioni illegali Telecom. A raccogliere la testimonianza del presidente interista è Francesco Saverio Borrelli, ex capo del pool Mani pulite a Milano, incaricato di guidare l’indagine della Federcalcio su Calciopoli. Vieri, dopo sei anni di onesto servizio sportivo e 133 gol in maglia nerazzurra, non la prende bene. L’attaccante fa causa per danni a Moratti con una richiesta di 21 milioni di euro, denunciando di essere caduto in depressione dopo aver appreso di essere stato spiato. Il processo è presieduto da Raimondo Mesiani, il giudice dell’affare Mondadori-Cir e vedrà la prossima udienza il 29 marzo 2012. Finora sono stati chiesti 80 milioni di euro complessivi di danni a Telecom, Pirelli e Inter. A fine novembre 2011 Tronchetti Provera è finito sotto inchiesta per ricettazione e corruzione internazionale per le attività spionistiche del Tiger Team, finanziate con 26 milioni di euro attraverso una voce del bilancio Telecom chiamata «conto del presidente». Si è invece conclusa con semplici condanne sportive l’avventura dello Spezia, la squadra controllata e gestita dall’Inter. Con il club ligure c’era un accordo tecnico complessivo per valorizzare i giovani nerazzurri che ha prodotto altri milioni di perdite. Nel 2005 il club è stato rilevato da Giuseppe Ruggieri, costruttore di origine calabrese con base a Reggio Emilia noto per avere comprato l’Italcantieri da Paolo Berlusconi, che a sua volta l’aveva ricevuta dal fratello Silvio assieme all’intero gruppo Edilnord. L’arrivo di Ruggieri ha compromesso in modo definitivo una situazione contabile già difficile. Il club ligure è fallito nel 2008. Un anno dopo Ruggieri è stato arrestato per tentata estorsione e alla fine del 2010 è finito sotto inchiesta per la bancarotta fraudolenta del club, con un buco stimato in 15 milioni di euro. Nel processo sportivo conclusosi nel giugno del 2011, insieme a Ruggieri (cinque anni di inibizione) sono stati condannati a sei mesi gli ex consiglieri dello Spezia Accursio Scorza, amministratore dell’Inter con quarant’anni anni passati in Saras, e il direttore dell’area tecnica nerazzurra Piero Ausilio. La grana ligure toccata ai dirigenti interisti è passata inosservata, a differenza di un altro guaio datato maggio 2008. Mentre la squadra stava per conquistare lo scudetto, una fuga di notizie dalla Procura di Milano ha svelato le frequentazioni e i colloqui telefonici fra alcuni interisti (l’allenatore Roberto Mancini, il suo vice Sinisa Mihajlovic, il capitano Javier Zanetti, il difensore Marco Materazzi, l’ex attaccante Alessandro Altobelli e altri) e il sarto Domenico Brescia, referente del clan ’ndranghetista Crisafulli con precedenti per omicidio, spaccio, rapina e associazione mafiosa. «È una brava persona» ha dichiarato «Spillo» Altobelli. «Non è una questione molto importante» ha ribadito Moratti. La sartoria di Domenico Brescia a Rovello Porro (Como) sistemava le divise dell’Inter e il titolare aveva rapporti cordiali con molti giocatori, oltre che un posto in tribuna vip a San Siro e accesso libero al centro sportivo della squadra alla Pinetina di Appiano Gentile. La pubblicazione sui giornali delle intercettazioni fra Brescia e il gruppo di dipendenti nerazzurri ha molto irritato la Direzione distrettuale antimafia milanese. Ma forse all’Inter avevano intuito qualcosa in anticipo rispetto ai cronisti. Brescia è stato allontanato dalla Pinetina un mese prima che uscissero gli articoli. Prevenire è sempre meglio che reprimere.
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I Giulini e un manager-poliziotto Poiché non di sola finanza vive una squadra di calcio, fra i consiglieri interisti c’è anche Tommaso Giulini, l’erede più giovane di una famiglia di imprenditori che ha con i Moratti un lungo rapporto di amicizia e di partnership. Il capostipite, Carlo Enrico Giulini, discendente di una famiglia aristocratica della Brianza morto nel febbraio del 2011, è stato un pioniere dello sbarco degli imprenditori continentali in Sardegna. Come Angelo Moratti e come Nino Rovelli con la Sir a Porto Torres, anche lui ha puntato sulla chimica. Ad Assemini, comune alla periferia nord di Cagliari, Giulini senior ha fondato la Fluorsid nel 1969. L’azienda è il leader mondiale nella produzione di fluoroderivati organici, ricava un centinaio di milioni di euro all’anno e, fra dipendenti diretti e indotto, impiega quasi 400 lavoratori contro i 1800 della Saras. Nell’Inter di Massimo Moratti si sono avvicendati vari membri della famiglia Giulini: Jantra Dal Pozzo (moglie di Carlo Enrico), poi Paolo, Gabriele (produttore di moquette per campi di calcio in sintetico con la Olosport, attuale proprietario del Bellinzona e indicato come uno dei possibili acquirenti del disastrato Torino di Urbano Cairo), e appunto Tommaso. La holding di famiglia, la Minmet Financing Company, una finanziaria con sede a Panama, è stata fra i principali azionisti del club milanese, finché i continui aumenti di capitale non hanno diluito la partecipazione a livelli infinitesimali. Tra il 2010 e il 2011 Tommaso, amministratore delegato di Fluorsid, è stato a lungo in trattativa per rilevare la Pro Patria di Busto Arsizio, l’ennesimo club del calcio professionistico travolto dalla crisi. Alla fine ha rinunciato per i costi eccessivi. La famiglia italo-svizzera mostra chiare analogie con un certo modo morattiano di vivere la ricchezza. Al momento di comprare il Bellinzona, Gabriele Giulini veniva descritto nei comunicati stampa come qualcuno che «ha sempre avuto sensibilità verso i valori umani dello sport e verso la loro salvaguardia dalla presunta onnipotenza del denaro». La galleria dei compagni di strada di Massimo Moratti si conclude con il personaggio più atipico. Si chiama s. f. ed è uno dei pochi manager ad avere incarichi sia nell’Inter – dove è vicedirettore generale, segretario del comitato strategico, membro del comitato di direzione e responsabile ad interim della comunicazione societaria – sia nella Saras, dov’è direttore delle relazioni esterne dal 2009. È stato lui a gestire l’emergenza mediatica dopo la morte di tre operai nella raffineria di Sarroch il 26 maggio 2009. Lo ha fatto tanto bene che nell’aprile del 2010 la Confindustria sarda lo ha eletto vicepresidente. Il suo curriculum vitae potrebbe far pensare a un manager cresciuto nel mondo delle pubbliche relazioni. Niente di tutto questo. Dopo la laurea in giurisprudenza e l’entrata in polizia, a trent’anni (1989) f. è già dirigente di Pubblica sicurezza. Poco dopo entra nello Sco (Servizio centrale operativo) dove, fra l’altro, indaga sulla morte del banchiere Roberto Calvi a Londra. Nel 1993 passa alla neocostituita Dia (Direzione investigativa antimafia) di Firenze e collabora con il procuratore Piero Luigi Vigna. Nel gennaio del 2000 il sindaco di Firenze Leonardo Domenici gli affida la struttura di sicurezza del Comune e poi il comando della polizia municipale. Nello stesso anno diventa portavoce del capo della polizia Giovanni De Gennaro, nominato a maggio. Dopo tre anni al fianco di De Gennaro, nel 2003 f. riceve una proposta di ingaggio da parte di Massimo Moratti. Il proprietario dell’Inter si è accorto che c’è del marcio nel pallone.
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Moratti e le banche, un amore ricambiato Le banche adorano gli industriali che muovono tanti soldi. E gli industriali italiani sono fatalmente attratti dagli istituti di credito che muovono tantissimi soldi. Il presidente dell’Inter è uno degli imprenditori che più ama le banche, ed è a sua volta riamato. È stato vicepresidente del Credito Lombardo, poi assorbito da Antonveneta, e consigliere del Banco Lariano, incorporato dal gruppo San Paolo. In cambio, l’elenco di banchieri, finanzieri e avvocati d’affari che amministrano o hanno amministrato il club nerazzurro è il più vario e prestigioso che sia dato di incontrare in serie A. Al confronto, Milan e Juventus sono squadre a gestione familiare. Ernesto Paolillo, attuale amministratore delegato e direttore generale dell’Inter, è stato direttore generale della Banca popolare di Milano (Bpm) dal 1994 al 2004. Peraltro, l’assemblea annuale dei 70 soci dell’Inter continua a svolgersi nella sala delle Colonne di via San Paolo 12, sede della Bpm. Paolillo, barese e interista, ricopre vari incarichi: in Banca Akros (vicepresidente dal 1998), nella filiale italiana del colosso bancario svizzero Ubs (consigliere dal 2009) e nella Cal, la società mista fra Anas e Regione Lombardia incaricata di realizzare la Brebemi, la Tem e la Pedemontana, le tre principali infrastrutture in territorio lombardo per un investimento previsto di circa 6,5 miliardi di euro. Paolillo ha conosciuto Moratti quando era alla direzione finanziaria del Banco Lariano, di cui Moratti è stato consigliere nel 1993. Nel 1994 si è trasferito a Interbanca, l’istituto di credito a medio e lungo termine controllato da Antonveneta e diventato azionista dell’Inter nel 1997. Durante la stagione 2004-2005, appena dopo aver lasciato la Bpm, il manager ha esordito nelle serie minori o, come si dice in gergo, si è fatto le ossa nello Spezia, club controllato dai Moratti di cui si parlerà più avanti. Da Interbanca arriva anche il predecessore di Paolillo, Mauro Gambaro, che dal 1998 al 2004 è stato direttore generale di Interbanca. Poi, con una versione italiana del sistema statunitense della porta girevole, è diventato il braccio destro di Moratti all’Inter. La sua carriera è durata un paio d’anni, dal 2004 al 2006, ed è stata caratterizzata da un arresto per il crac da 500 milioni di euro della compagnia aerea Volare da lui amministrata. Il 27 aprile 2005, subito dopo la notizia dell’arresto, sul sito dell’Inter la proprietà dichiarava di «ribadire la stima più completa nei confronti di Mauro Gambaro». Il processo per Volare, che si tiene al Tribunale di Busto Arsizio, è fra quelli di lungo corso. Si è invece concluso in modo positivo l’altro guaio giudiziario di Gambaro, vissuto in compagnia del collega milanista Adriano Galliani. È il processo per il falso in bilancio delle due squadre milanesi avviato nel settembre del 2007 dal sostituto procuratore di Milano Carlo Nocerino. Per anni nerazzurri e rossoneri si sono scambiati a prezzi insensati giovani giocatori che, nella migliore delle ipotesi, hanno fatto carriera in C2. Il meccanismo era semplice: si prendeva un ragazzo dalla squadra Primavera del Milan e lo si vendeva all’Inter per qualche milione di euro. La cifra era segnata come plusvalenza al Milan. L’anno dopo l’Inter prendeva lo stesso giovane e lo cedeva al Milan a prezzo maggiorato, con una nuova plusvalenza per il venditore. Il prezzo dei calciatori non aveva nulla a che vedere con il valore di mercato, ma era fissato per convenzione fra le parti e migliorava il conto economico del club alla voce «proventi straordinari». La rivalità stracittadina, insomma, era limitata al campo. I giudici ne hanno preso atto e hanno assolto tutti. Oggi nel consiglio di amministrazione dell’Inter, una versione San Siro del salotto buono della finanza, c’è l’avvocato napoletano Carlo d’Urso, fratello dell’ex senatore Mario, a sua volta avvocato e banchiere con Lehman Brothers. Carlo d’Urso è un punto di riferimento assoluto per il mondo del-l’alta finanza. Il suo rapporto privilegiato con Enrico Cuccia, condiviso con l’altro interista Guido Rossi, ha fatto sì che il Grande Vecchio di Mediobanca lo spedisse nel 1993 nel consiglio della Premafin, holding di Salvatore Ligresti in grave difficoltà come la controllata Fondiaria-Sai, nel cui consiglio siede d’Urso. L’avvocato è inoltre consigliere di Che Banca (gruppo Mediobanca) e di Banca Leonardo, fondata dall’ex Mediobanca Gerardo Braggiotti, figlio del banchiere Enrico. Quando il fan interista Alessandro Profumo è stato silurato da Unicredit, nonostante il sostegno dei soci libici e di Ligresti, d’Urso ha curato la trattativa sulla buonuscita, conclusa con un jackpot di 40 milioni di euro. Altro uomo di banca prestato ai colori nerazzurri è Pier Francesco Saviotti, amministratore delegato del Banco Popolare, un istituto che si è dovuto fare carico di due situazioni molto critiche assorbendo Banca Italease di Massimo Faenza e la Banca popolare di Lodi (Bpl-Bpi) di Gianpiero Fiorani, salvate sull’orlo del crac. Ex di Bpl è Amato Luigi Molinari, che ha vissuto buona parte della cavalcata di Fiorani fino alla caduta rovinosa del banchiere dei furbetti. Il 30 gennaio 2006, poco più di un mese dopo l’arresto di Fiorani, Molinari si è dimesso dal gruppo lodigiano, ma il nocciolo della sua carriera è nel settore assicurativo. Dopo trentacinque anni alle Generali, di cui è stato direttore generale, è stato dal 1994 al 1997 amministratore delegato di Fondiaria con d’Urso consigliere. È un uomo delle assicurazioni anche Mario Greco, che non ha nulla a che fare con l’Inter ma è diventato consigliere della Saras dopo avere guidato per sette anni la Ras (gruppo Allianz).
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L’istruttoria è chiusa Contrariamente a quanto capitato ai risparmiatori che hanno comprato Saras, la vicenda giudiziaria della quotazione ha avuto un lieto fine per gli indagati: nel maggio del 2011 il gip di Milano ha archiviato l’indagine su richiesta della pubblica accusa. Il pm Orsi ha confermato che il prezzo era stato gonfiato, ma ha ugualmente evitato di procedere perché «i numerosi e significativi dati che inducono sospetto su siffatta manovra, tanto che siano considerati partitamente quanto che siano valutati nel loro complesso, non sono idonei a prefigurare il successo dell’accusa in giudizio». Una volta la si sarebbe definita assoluzione per insufficienza di prove. Il pubblico ministero ha anche suggerito ai piccoli risparmiatori di intentare un’azione civile. Il che, dopo un’archiviazione penale, suona come la beffa dopo il danno. Come insegna il caso Mondadori, il risarcimento può arrivare, se si aspetta vent’anni e si hanno buoni avvocati. Ma la Cir di De Benedetti ha vinto la causa civile a partire da una condanna penale per corruzione nel lodo Mondadori. Nel caso Saras, se lo stesso pubblico ministero rinuncia persino alle richieste di rinvio a giudizio, per i piccoli azionisti ottenere i danni è una chimera. L’inchiesta sulla quotazione Saras ha escluso fin dall’inizio un coinvolgimento dei Moratti. La tesi è che i fratelli petrolieri siano stati in qualche modo costretti a quotarsi a caro prezzo o abbiano subito pressioni in tal senso da parte delle banche, il cui guadagno sulle Ipo (initial public offering) miliardarie è proporzionale al ricavo totale dell’offerta. È possibile che i Moratti, «obbligati» a incassare 850 milioni, non fossero del tutto convinti della quotazione. Ma quando si devono trovare 200 milioni di euro all’anno per gli stipendi di calciatori e allenatori conviene fare cassa dove si può. Anche l’Inter è stata a un passo dalla quotazione, ben prima della Saras. Nel 1999 sembrava che il club nerazzurro fosse pronto per lo sbarco in piazza Affari. Nel 1997 Interbanca era entrata nell’azionariato in vista del collocamento, fissato per il 2000. Oltre a Interbanca, si sarebbe occupata dell’operazione Morgan Stanley, poi arruolata per il collocamento della Saras. Il progetto è finito in un vicolo cieco a causa, in qualche misura, di Sergio Cragnotti. Il finanziere della Cirio e proprietario della Lazio è stato il primo a portare in Borsa una squadra di calcio. All’inizio del 1999, in piena bolla rialzista, il club biancoceleste capitalizzava più di 500 miliardi di lire. L’idea di Moratti era che l’Inter dovesse valere almeno il doppio: o così o niente. Le banche incaricate del collocamento hanno trovato il prezzo eccessivo e così l’Inter è rimasta una società privata. Considerato l’andamento economico del club, per una volta ai piccoli azionisti è stato risparmiato un bagno di sangue.
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Scudetti e quotazioni a tavolino Domenica 14 maggio 2006 si gioca l’ultimo turno del campionato di calcio di serie A. Da qualche giorno, per la precisione dal 2 maggio, stanno circolando sui giornali le intercettazioni sullo scandalo di Calciopoli. Per il 16 maggio sono attese le convocazioni per il Mondiale di Germania da parte del commissario tecnico della nazionale Marcello Lippi, ex allenatore della Juve e dell’Inter. Quella domenica l’Inter pareggia 2-2 a Cagliari, ma è una partita inutile. La Juventus di Antonio Giraudo e Luciano Moggi è virtualmente già campione, almeno sul campo. Secondo è il Milan e i nerazzurri sono terzi, staccati di quindici punti. Non sanno che diventeranno campioni a tavolino dopo le sentenze della Federcalcio. In quei giorni la partita che davvero conta per i Moratti non si gioca a Cagliari ma fra Sarroch, poco distante dal capoluogo sardo, e Milano, dove si sta definendo il collocamento in Borsa del 35 per cento della Saras. L’operazione è curata da Jp Morgan come global coordinator, coadiuvata da Caboto (gruppo Intesa San Paolo). Il collocamento del titolo presso gli investitori istituzionali come fondi o banche è curato dalla stessa Jp Morgan, guidata da Federico Imbert, e da Morgan Stanley, diretta da Galeazzo Pecori Giraldi. Con Imbert – che nel 2001, quando era alla Chase Manhattan, ha avuto un ruolo decisivo nel passaggio di Telecom Italia dal gruppo Gnutti-Colaninno a Tronchetti Provera – lavora un gruppo di giovani fra i quali Simone Rondelli e Guido Tugnoli. La quota viene messa sul mercato quattro giorni dopo la fine del campionato, il 18 maggio 2006, sulla base di un prezzo di sei euro per azione. Il controvalore per chi vende, cioè i due fratelli Moratti, è di quasi 1,7 miliardi di euro. Il titolo perde quota subito dopo l’inizio delle contrattazioni. Incomincia a scendere del 10 per cento all’esordio e tocca un minimo storico di 1,3 euro per azione nell’agosto del 2010. L’anno dopo, con la tempesta sui mercati finanziari, il titolo scende sotto un euro. Insomma, a cinque anni di distanza l’azione Saras vale un sesto del prezzo di collocamento. Resta da capire chi ha deciso questo prezzo. Nel settembre del 2008 la Guardia di finanza e il sostituto procuratore di Milano Luigi Orsi, uno specialista di reati finanziari, aprono un’indagine per falso in prospetto informativo e aggiotaggio. Se c’è stata sopravvalutazione di Saras, la responsabilità spetta alle banche che hanno seguito la quotazione e che hanno stabilito il prezzo finale. Così finiscono sotto inchiesta nove dirigenti e manager fra i quali Imbert, Pecori Giraldi, Rondelli e Tugnoli. La perizia di Marco Honegger, consulente della procura, indica un valore più corretto di Saras fra quattro e cinque euro, e un danno per il mercato di 770 milioni di euro. Il nocciolo della questione starebbe nei profitti Saras del 2005. La somma record di 292,6 milioni avrebbe dovuto essere depurata da utili straordinari derivanti dalla vendita di scorte di magazzino. Caboto e Morgan Stanley segnalano il problema, ma alla testa del collocamento c’è Jp Morgan, e Imbert decide che l’utile non va rettificato al ribasso. «È vitale che davanti al prezzo ci sia un sei» scrive in una email ai suoi collaboratori. All’ipotesi che la supervalutazione di Saras sia servita per coprire i buchi dell’Inter Massimo Moratti replica: «Solo calunnie, niente di più». Non è però una calunnia che la filiale di private equity di Jp Morgan si prenda in gestione l’incasso dei fratelli Moratti, con un ulteriore margine di guadagno. E non è frutto di immaginazione quello che capita nel giugno del 2006 a Gabriele Moratti: pochi giorni dopo la quotazione il terzo figlio di Gianmarco viene assunto dalla Jp Morgan di Imbert con un incarico nel settore fusioni e acquisizioni da svolgere fra la sede di Milano e il quartier generale di Londra. La presenza di Gabriele Moratti a Londra assomiglia poco a un trionfo professionale, perché dopo qualche mese «Batman» viene restituito alle aziende familiari. Ma le cordialità fra i manager italiani di Jp Morgan e i Moratti non finiscono qui. Nel novembre del 2008 la Cmc di Massimo Moratti costituisce la 77 Holding, presieduta da Angelomario Moratti con il sostegno dell’onnipresente Ghelfi. Cmc ha il 91,7 per cento di 77 Holding. L’altro socio, con una partecipazione dell’8,3 per cento, è la società Four Partners. I quattro partner in questione sono Simone Rondelli, nominato amministratore delegato di 77 Holding, Guido Tugnoli, Domenico Romeo e Alberto Manzonetto. I primi due, Rondelli e Tugnoli, erano in Jp Morgan ai tempi della quotazione Saras e si sono messi in proprio il 19 dicembre 2006, sette mesi dopo il collocamento in Borsa delle raffinerie sarde. Rondelli è anche supervisore della Syntek, la holding privata di Letizia e Gianmarco Moratti. La 77 Holding ha una piccola partecipazione del valore di tre milioni di euro nella torinese Electro Power Systems che realizza sistemi con celle a combustione. L’investimento è stato finanziato quasi per intero da un prestito di Cmc.
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Compagni di strada tra Pirelli e Mediobanca Accertato senza possibilità di dubbio che l’Inter è il peggiore affare economico del calcio italiano e uno dei peggiori d’Europa, risulta ancora più paradossale che il club nerazzurro sia così frequentato da banchieri, finanzieri, imprenditori e manager di chiara fama. Incominciamo dai soci. Nell’avventura di Moratti all’Inter il primo a entrare è stato Marco Tronchetti Provera, figlio di un dirigente delle acciaierie Falck, a lungo vicepresidente del club e vicino di poltroncina di Moratti in tribuna autorità a San Siro. In quel miliardo e 300 milioni di euro abbondanti di perdite complessive accumulate nella gestione Moratti, la Pirelli di Tronchetti ha dovuto caricarsi una quota di svariate decine di milioni di euro. A questa cifra bisogna aggiungere altre decine di milioni per sponsorizzare le maglie della squadra. Se è possibile giustificare il rapporto di sponsorizzazione con ragioni più o meno valide come la penetrazione dei pneumatici italiani nel mercato cinese, non esiste un motivo razionale per cui un’azienda industriale come la Pirelli, un gruppo quotato in Borsa, sia stata socia fino al 20 per cento di una squadra di calcio che perdeva soldi a rotta di collo e dove la stessa Pirelli non esercitava alcun potere di indirizzo o di gestione. È vero che l’azienda dei pneumatici ha una massa di debiti tale che qualche decina di milioni di euro buttati per mantenere i ragazzi di Appiano Gentile non fa poi tanta differenza. Ma sono tempi duri e si taglia dove si può. Così, in un colloquio privato avvenuto non molto tempo fa, Tronchetti Provera ha ribadito il suo affetto per l’amico Massimo ma ha aggiunto che il livello di spesa della squadra non era più sostenibile. In un mondo imprenditoriale più incline alla democrazia societaria di quello italiano, qualcuno avrebbe fatto notare l’anomalia già da qualche anno. Ma il rapporto fra Moratti e Tronchetti va al di là della partecipazione di Pirelli nell’Inter. Basta dare un’occhiata dentro una società del presidente nerazzurro che non ha nulla a che vedere con la Saras e possiede soltanto una piccola quota del club. La società si chiama Cmc ed è presieduta da Rinaldo Ghelfi, il vero amministratore del patrimonio personale di Massimo Moratti, con incarichi in tutte le sue società a eccezione della Saras. La Cmc contiene alcuni immobili di famiglia come la villa a Cortina, una casa a Parigi, una a Londra, una a Milano in via Laghetto e un edificio a uso commerciale a Madrid. Il tutto è a bilancio per 11,5 milioni di euro, quanto pagano all’Inter per comprare un panchinaro. La parte più interessante della Cmc sono le partecipazioni finanziarie. C’è una piccola quota (12,9 per cento) nella Gut edizioni, la società costituita dai tifosi interisti Gino e Michele (Luigi Vignali e Michele Mozzati) che pubblica la Smemoranda e che per Moratti rappresenta un’apertura sul mondo degli intellettuali di sinistra, così come il sostegno finanziario a Emergency, l’organizzazione non governativa dell’altro fan nerazzurro Gino Strada. La Cmc ha investito in tre società della galassia Pirelli, cioè Pirelli & C. (19,3 milioni di euro, pari allo 0,71 per cento del capitale), la Camfin (7,2 milioni, pari all’1,74 per cento del capitale) e la Prelios, l’ex Pirelli Real Estate (1,5 milioni). La cifra totale impegnata nella Pirelli da Cmc (28 milioni) si è ridotta nel 2011 dopo la vendita di un pacchetto consistente. Insomma, se Tronchetti mostra disaffezione verso l’Inter, Moratti non ha motivo di mostrare affetto verso la Pirelli. In ogni caso, il legame d’affari fra i due si è forse allentato, ma non si è certo interrotto. Moratti è consigliere di Pirelli & C. dal 2005 ed è stato confermato per un triennio nell’aprile del 2011. Nello stesso modo è stato amministratore di Telecom Italia fino al 2007, quando Tronchetti Provera è uscito dal colosso delle tlc, anch’esso oberato da oltre 30 miliardi di euro di debiti netti. L’altro impegno finanziario importante di Cmc è nella Sator, la giovane merchant bank fondata da Matteo Arpe qualche tempo dopo la sua estromissione da Capitalia a opera di Cesare Geronzi, con buonuscita di 30 milioni di euro lordi. Anche Arpe, cresciuto alla scuola di Mediobanca e di Enrico Cuccia, non ha potuto fare a meno di trasformare la sua Sator in un salottino buono. La Cmc di Moratti non si è limitata alla partecipazione da 2,8 milioni di euro in Sator, ma ha investito altri due milioni nel Sator Private Equity Fund e altri 10 milioni in un hedge fund della stessa Sator. Oltre a Moratti, tra gli azionisti figurano l’industriale farmaceutico Francesco Angelini, uno degli uomini più ricchi d’Italia grazie a Tachipirina, Tantum e Pampers, nonché ex pretendente all’acquisto dell’As Roma. C’è la famiglia dei petrolieri Brachetti Peretti dell’Api, il costruttore romano Santarelli, gli armatori D’Amico, la Fondazione Roma di Emmanuele Emanuele, ex amico di Geronzi diventato suo avversario, e la Fondazione Monte dei Paschi di Siena. La banca senese, controllata dalla fondazione, ha finanziato la Cmc di Moratti con 35 milioni di euro a titolo di ristrutturazione del debito con altre banche. Com’è tipico della finanza claustrofobica nazionale, gli intrecci di alleanze sono complicati. All’atto di costituzione del patto di sindacato di Capitalia nell’ottobre del 2003, con il tandem Geronzi-Arpe ancora ai comandi in armonia, Moratti arriva nel club dei pattisti proprio su consiglio di Tronchetti Provera, in ottime relazioni con Geronzi. La quota di Moratti, in verità, è modesta: solo lo 0,181 per cento della banca. È un chip da pochi milioni di euro, tanto per essere cortese e, semmai, agevolare qualche finanziamento in corso o in programma. Capitalia, per esempio, ha concesso un mutuo ipotecario da alcuni milioni di euro proprio a Cmc, che lo sta tuttora estinguendo con il successore di Capitalia, Unicredit. Da parte sua, Moratti ha un rapporto con Carraro, presidente di Mcc-Capitalia, che, come si è detto, risale ai tempi di Italia ’90. Per completare il quadro, Cmc controlla due terzi di Digital Television attraverso uno schermo fiduciario di Madeira (Almata Consultadoria). La società puntava a fornire servizi di telefonia e televisione via internet (Voip e Iptv) nelle aree coperte dalla banda larga. L’accordo con l’operatore satellitare Eutelsat non è bastato e Digital Television è fallita nel giugno del 2011 ripetendo l’insuccesso, fra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, di ePlanet-Planetwork. Un’ultima partecipazione della Cmc porta alla questione controversa della quotazione della Saras nel maggio del 2006, in concomitanza con la fine del campionato.
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Un aiuto dal Caucaso La Saras, cioè la principale fonte di guadagno di Massimo Moratti, nei sette anni fra il 2004 e il 2010 ha realizzato profitti netti complessivi per 1334,6 milioni di euro. Ma non sono andati tutti in tasca al presidente dell’Inter. Fino al 18 maggio 2006 la raffineria sarda era controllata dalla solita accomandita per azioni in uso nella casta dei bramini, la Angelo Moratti Sapa di Gianmarco e Massimo Moratti. L’accomandita ha una struttura su due livelli. Gianmarco e Massimo sono usufruttuari al 50 per cento ciascuno: ciò significa che gestiscono la sapa e incassano i dividendi. La nuda proprietà è intestata in parti uguali ai quattro eredi maschi (Angelo, Gabriele, Angelomario e Giovanni). Dopo la quotazione della Saras, con il collocamento del 35 per cento dell’azienda sul mercato, i profitti vanno divisi con tutti gli altri titolari di azioni. Alla Angelo Moratti Sapa vanno quindi due terzi degli utili generati dalle raffinerie a partire dal 2006. Per essere esatti, la quota teorica di pertinenza del-l’accomandita dal 2006 al 2009 è stata di 568 milioni, senza contare il bilancio del 2010 chiuso in perdita per 9, 5 milioni di euro. Se la Saras avesse distribuito tutto il guadagno in dividendi, cosa che non ha fatto, a Massimo sarebbero toccati 284 milioni di euro nel periodo della quotazione (2006-2010). La somma non basta a coprire i 408 milioni di euro spesi per l’Inter in aumenti di capitale a ripianamento delle perdite nel solo quinquennio 2006-2011. E la squadra ha perso tanto anche prima. Insomma, durante la sua gestione il presidente dell’Inter ha dovuto chiudere la voragine della squadra con alcune centinaia di milioni di euro prese dai suoi risparmi. È vero che Moratti ha altre attività, soprattutto immobiliari, oltre la Saras. Ma nulla che consenta di coprire un tale buco. A meno che non ci siano risorse disponibili all’estero. L’attività petrolifera si presta come poche alla costituzione di tesoretti oltre confine. In realtà non c’è bisogno di pensare male. All’atto di quotazione della Saras nel maggio del 2006 i due fratelli Moratti si sono divisi un incasso di circa 1,7 miliardi di euro. Con i suoi 850 milioni, sottratte le perdite successive dell’Inter, Massimo Moratti ha ancora oltre 400 milioni di margine. I tifosi nerazzurri possono quindi dormire sonni tranquilli sul futuro della squadra. Sull’ipotesi di una gestione più oculata, invece, non c’è da illudersi. A dispetto delle promesse di ravvedimento e delle sanzioni annunciate dal presidente dell’Uefa Michel Platini contro i club che non rispetteranno il fair play finanziario, i miglioramenti contabili della società sono illusori. I costi dei dipendenti, in particolare dei giocatori e degli allenatori, sono in aumento perenne. I 160 milioni di euro del 2006-2007 sono diventati 180 un anno dopo, 205 nel 2008-2009 e 234 nel 2009-2010, la stagione del «triplete» Scudetto-Champions-Coppa Italia. Vincere costa e costa sempre di più. Lo confermano i premi versati al personale tecnico per i trofei: 21,6 milioni nel 2007,28 milioni nel 2008, 30 milioni nel 2009 e 50 milioni di euro nel glorioso 2010. Soltanto per lo scudetto del 2006 – quello di Calciopoli assegnato a tavolino all’Inter dall’ex consigliere dell’Inter Guido Rossi, contestato furiosamente dalla Juventus e criticato da un altro ex consigliere interista, Diego Della Valle –, Moratti non ha corrisposto premi. L’indebitamento lordo della squadra è arrivato alla cifra record per l’Italia di 463 milioni di euro. Queste cifre sono compensate in piccola parte dall’aumento dei ricavi, che nel 2010 sono arrivati a 323 milioni contro i 221 del 2009 grazie alle plusvalenze da cessioni e al contributo Uefa per la vittoria in Champions League. Nel 2009-2010 erano arrivate le somme pagate dalla famiglia al Nahyan di Abu Dhabi per portare Balotelli al Manchester City e da Rosella Sensi per l’acquisto di Burdisso (44 milioni di euro in tutto), mentre nel 20102011 i conti hanno chiuso con un rosso di 86 milioni, dopo i 69 milioni di euro persi nel 2009-2010. È vero che gli ingaggi sono scesi a 190 milioni di euro ma, in contemporanea, anche i ricavi sono calati a 270 milioni. Ecco perché a Moratti non è parso vero cedere Eto’o per 27 milioni di euro al petroliere e immobiliarista venuto dal Caucaso Sulejman Kerimov, nuova stella del calcio che se ne frega del fair play finanziario. A dispetto della «nuova politica economica» dell’Inter, il confronto con il Milan di Berlusconi resta impietoso. Negli ultimi cinque anni i rossoneri hanno registrato perdite complessive per 165,5 milioni di euro, circa un quinto della somma persa dall’Inter. Ma il rosso del Milan è largamente coperto da 1306 milioni di euro di utili netti 2005-2010 della capogruppo Fininvest, che non è quotata e gira tutti i profitti direttamente alla famiglia Berlusconi. Il duello fra il Cavaliere e il Petroliere sulla strada delle spese pazze ha fatto molto più danno a Moratti che a Berlusconi.
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Bilanci in rosso a San Siro La lunga fase perdente della gestione Moratti è caratterizzata da un andirivieni di calciatori, allenatori e manager che, per lo più, non si dimostrano all’altezza. Oppure non rendono in base al loro valore finché non vanno a giocare in qualche altra squadra, di preferenza il Milan. Alcuni dei più famosi falliti interisti baciati dal successo altrove sono Clarence Seedorf, Andrea Pirlo e Roberto Carlos. L’elenco dei brocchi invece è troppo lungo per essere citato, ma fa ormai parte della mitologia sportiva del club. Quello che rimane sbalorditivo è l’impegno finanziario di Moratti, e in misura più modesta dei suoi soci, nella caccia allo scudetto, vinto sul campo solo nel 2006-2007, e alla Champions League, conquistata nel 2009-2010. Le cifre che seguono non hanno bisogno di commenti. Dall’inizio della gestione Moratti fino all’ultimo bilancio disponibile, quello chiuso al 30 giugno 2011, la società Fc Internazionale ha accumulato perdite complessive per 1351 milioni di euro in diciassette stagioni senza mai chiudere un esercizio in attivo. L’anno peggiore è stato il 2006-2007, quello del primo scudetto con Roberto Mancini in panchina (- 206,8 milioni). Ma in realtà l’anno precedente era stato ancora più negativo. I 181,5 milioni di rosso sarebbero raddoppiati senza la plusvalenza straordinaria per la cessione del marchio a Interbrand. Queste perdite hanno costantemente eroso il capitale costringendo i soci a ricostituirlo con una frequenza che ha stroncato i più resistenti. Basti pensare che nel 2002 Moratti aveva una quota di controllo del 59,8 per cento. Il secondo socio del club, la Pirelli di Marco Tronchetti Provera, aveva il 19,6 per cento, la Minmet della famiglia Giulini l’11,9 e Interbanca il 5. A furia di non aderire agli aumenti di capitale necessari perché il club non fallisse, i compagni di avventura sono diventati sempre più piccoli, fino a sparire. Oggi Moratti ha oltre il 98 per cento dell’Inter. Solo Pirelli, che è anche lo sponsor principale della squadra, ha resistito con una quota ridotta all’1,6 per cento. Se si restringe l’inquadratura agli ultimi anni, compresa la fase vincente di Mancini e Mourinho, le cifre sono ancora più spaventose. Dal 2003-2004 al 2010-2011 la società ha accumulato perdite per 1062 milioni di euro in otto esercizi. Com’è stato possibile ripianarle?
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Lo sportivo di famiglia L’Inter è stata dei Moratti dal 1955 al 1968, quando il presidente era Angelo. Poi sono passati quasi trent’anni prima che la squadra tornasse nelle mani della famiglia, con l’acquisto nel 1995 da parte del figlio Massimo. La passione per il calcio e per il suo club lo ha reso uno dei presidenti più amati della serie A. La circostanza assume il suo valore reale se si pensa che per i primi dodici anni di gestione l’Inter non ha vinto quasi niente, a parte una Coppa Uefa e qualche Coppa Italia. Niente scudetto, niente Champions League. Le contestazioni da parte dei tifosi, inclusi gli habitué della tribuna, non sono mancate. Ma anche nei tempi bui in cui a San Siro campeggiava lo striscione «Mai una gioia», Moratti ha sempre ottenuto il riconoscimento delle attenuanti generiche (la passione) e specifiche (signorilità ed enormi investimenti nella squadra). Anche prima di comprare l’Inter, Massimo ha sempre mostrato grande passione per gli sport. È stato due volte commissario straordinario e una volta presidente (1992-1997) della Federazione di motonautica (Fim), non proprio una disciplina di massa. Anche qui il figlio ha seguito le orme del padre, che era stato presidente della Fim per cinque anni (1969-1974) subito dopo aver ceduto l’Inter all’imprenditore milanese Ivanoe Fraizzoli nel 1968. Ma il calcio è la passione predominante. Alla fine degli anni Ottanta Moratti collabora con il comitato organizzatore di Italia ’90. Alla guida c’è l’ex presidente del Milan riveriano Franco Carraro, detto «il Poltronissimo» per il suo talento nel passare da una carica all’altra. Il direttore è Luca Cordero di Montezemolo. Al figlio di Angelo tocca l’organizzazione delle partite milanesi del Mondiale. Il torneo è vinto dalla Germania di Matthäus, Brehme e Klinsmann, che in Italia giocano nell’Inter. Proprio a San Siro i tedeschi eliminano l’Olanda di Gullit, Rijkaard e Van Basten, ingaggiati dal Milan. Finito il Mondiale, Massimo Moratti tenta una nuova avventura sportiva. Nell’estate del 1992 il comproprietario della Saras organizza la candidatura di Milano a sede delle Olimpiadi del 2000, con un appoggio su Venezia per il torneo di scherma e le regate. Soltanto per i nuovi impianti si profila un budget da 500 miliardi di lire, in linea con i costi pazzeschi degli stadi di Italia ’90. Altri 120 miliardi sono previsti per realizzare i tre centri stampa allocati al Castello Sforzesco, ad Assago e alla Villa reale di Monza. L’iniziativa viene rilanciata dallo stesso Carraro che, oltre a essere membro del Cio, il Comitato olimpico internazionale, in quel momento è anche sindaco di Roma in quota al Garofano craxiano e guida una giunta che riflette gli equilibri del governo in Italia. Purtroppo da qualche mese tira una brutta aria per l’alleanza Craxi-Andreotti-Forlani. Le inchieste della magistratura sulle tangenti a partire dal febbraio del 1992 sono tra i fattori che contribuiranno ad affondare la candidatura olimpica milanese a vantaggio dei comunisti di Pechino. Ma il nipote del farmacista di piazza Fontana non è tipo da arrendersi al primo rovescio. Il 18 febbraio 1995, circa quattordici anni dopo la morte di Angelo senior, Massimo Moratti compra l’Inter dal re delle mense Ernesto Pellegrini, che non riesce più a stare al passo con le spese dell’espansione milanista. Il suo gruppo di ristorazione è messo in difficoltà proprio a causa dei costi di gestione del club nerazzurro. I contraccolpi finanziari subiti da Pellegrini per l’impegno nel club influenzano la scelta dei Moratti. Gianmarco, il fratello maggiore, mette in chiaro con Massimo che l’acquisto dell’Inter è una sua scelta personale e che la Saras non deve essere coinvolta. Così, a differenza di quanto accade sulla sponda milanista dove il club fa capo alla Fininvest, la maggioranza dell’Inter viene rilevata dalla persona fisica di Massimo Moratti. Il caso è più unico che raro. Il nuovo proprietario non mette di mezzo neppure una società di capitali per limitare la responsabilità. Il suo messaggio ai soci di minoranza è: decido io perché regolo il conto di tasca mia. Ovvio che i soldi arrivino dai profitti annuali della raffineria di Sarroch e che, indirettamente, siano gli operai sardi a pagare gli ingaggi del Chino Recoba, di Ronaldo e di Bobo Vieri. Ma petrolio e football rimangono formalmente separati. Soltanto undici anni dopo Moratti organizzerà una struttura societaria (Internazionale Holding) alla quale trasferirà il controllo del club. Peraltro, la holding rimane controllata da Massimo per il 98,1 per cento e da un’altra sua società, la Cmc, per il restante 1,9 per cento. Come vuole la legge non scritta del calcio italiano, un uomo solo è al comando.
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Le dispari opportunità dei rampolli In Italia, quando si parla di casta, si pensa a un insieme di persone che trae sostentamento e privilegi illegittimi da una nomina politica. La casta di onorevoli, assessori e amministratori di comunità montane in riva al mare è soltanto una delle tante. Non quella di vertice. I bramini in versione mediterranea sono altrove. Si eleggono fra loro, si riconoscono per diritto di nascita e cooptano nuovi membri molto di rado, in genere per eccezionali meriti finanziari. Fermo restando che il trasversalismo fra loro è d’obbligo, a volte sono pure di sinistra, socialmente coscienti, beneficenti ed ecosostenibili. Con Berlusconi, il dominatore della politica italiana dal 1994 al 2011, hanno avuto rapporti altalenanti. Il perfetto bramino deve sempre essere filogovernativo, ma con il Cavaliere non è facile. Lui ha scavalcato i confini della casta di provenienza e, secondo uno schema storico fra i più antichi, ha trovato sostegno diretto nel popolo. Ha dunque tradito l’oligarchia, i suoi simili. Ci sarebbero gli estremi per una congiura di palazzo. Se no, si fa all’italiana. Si litiga, poi ci si accorda. Fino alla lite e all’accordo successivi. L’importante è mantenere quel minimo di coesione che eviti il tracollo della struttura di potere. La famiglia Moratti trova la sua collocazione sociologica sotto la categoria, abbastanza vaga, della «buona borghesia milanese». Con questa definizione si indica un ambiente ristretto ed esclusivo che ha le caratteristiche dell’oligarchia. Solo che il termine oggi fa pensare a limousine stretch popolate da escort e mafiosi russi armati fino ai denti. La buona borghesia milanese, invece, ricorda il panettone. Un po’ pesante ma stabile, nutriente e bipartisan. Il presidente dell’Inter è sposato con Emilia Bossi detta «Milly», sostenitrice di Giuliano Pisapia alle elezioni comunali di Milano del 2011 contro la cognata Letizia Brichetto Moratti, moglie di Gianmarco, che è stata presidente della Rai e ministro dell’Istruzione per nomina berlusconiana. Il duello elettorale è stato vinto dall’ala sinistrorsa della famiglia. È un po’ l’idea del derby trasferita in politica. Tutto con grande fair play, però. Al massimo c’è stato qualche battibecco fra cognate. I fratelli sono rimasti al di sopra delle parti. Anche Pisapia, alla fin fine, è interista e suo padre Giandomenico è stato l’avvocato di Vincenzo Muccioli, fondatore della comunità di San Patrignano che Gianmarco e Letizia Moratti finanziano generosamente. Proprio Letizia aveva suggerito a Muccioli di chiedere l’assistenza legale di Pisapia senior nel processo per la morte di Roberto Maranzano, un ospite della struttura. Il verdetto finale si è chiuso con la condanna di Muccioli a otto mesi per favoreggiamento. La terza generazione dei due fratelli Moratti, i padroni della Saras, è composta da nove eredi. Gianmarco ha due figli dal matrimonio con la giornalista Lina Sotis: Angelo Gino (nato nel 1963), e Francesca (1967). Altri due figli sono nati dal secondo matrimonio con Letizia Arnaboldi Brichetto: Gilda (1977) e Gabriele Paolo (1978). Massimo Moratti ha cinque figli: Maria Celeste nata nel 1972, Angelomario nato nel 1973, Carlotta nata nel 1976, Giovanni Emanuele, classe 1984, e Maria, la più giovane (1986). Nell’organigramma dell’Inter Angelomario è vicepresidente e membro del comitato strategico, dove figurano anche il padre e la madre Milly. Carlotta e Giovanni sono consiglieri di amministrazione con Angelo Gino, l’unico figlio di Gianmarco presente nei ranghi del club. Carlotta presiede Interfutura, cui fa capo Inter Campus, la struttura internazionale per l’infanzia diffusa in una ventina di paesi, dalla Romania al Congo. Angelomario è anche presidente di Interbrand, la controllata alla quale è stato conferito il marchio della squadra per una valutazione di 158 milioni di euro alla fine del 2005. Per quanto riguarda la raffineria di Sarroch, negli organi di governance della Saras sono stati inseriti Angelo Gino, Angelomario e Gabriele. Né in Saras né nell’accomandita di famiglia che la controlla c’è traccia delle figlie di Gianmarco e Massimo Moratti a livello di proprietà o di gestione. Il business a casa Moratti non è gioco per signorine, che si sono per lo più dedicate ad altre attività. Francesca, figlia di Gianmarco, ha avuto qualche esperienza nel mondo delle pubbliche relazioni milanesi. La sua passione, e il suo lavoro, è lo yoga. Ha fondato e dirige il centro Beyoga in via Carlo Botta, in zona Porta Romana. Tra gli aficionados di Beyoga c’è la cugina minore di Francesca, Maria, che nel suo profilo di Facebook si dichiara inoltre fan del programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano Vieni via con me, di Emergency (facile), della lista Milly Moratti per Pisapia (ci mancherebbe) e di una misteriosa iniziativa lobbistica chiamata «Petition to get Gattuso released from captivity». Gilda, l’altra figlia di Gianmarco, si è sposata nel dicembre 2005 con il francese Emmanuel Di Donna, ex responsabile newyorkese della casa d’aste Sotheby’s e oggi gallerista in proprio. Il matrimonio, festeggiato nella tenuta paterna di Cicognola (Pavia) come quello di Angelomario, è stato rallegrato dalla presenza del premier Silvio Berlusconi e dal coro della comunità di San Patrignano diretto da Andrea Muccioli, il figlio di Vincenzo, esonerato dalla guida di Sanpa nel settembre del 2011. Non alla portata di tutti gli sposini il messaggio augurale di papa Benedetto XVI. Maria Celeste, la maggiore fra le figlie di Massimo, fa l’attrice a New York, dove ha studiato allo Stella Adler Conservatory, la scuola di recitazione di Marlon Brando e Robert De Niro. Nel 2010 ha sposato l’ex compagno di studi e collega giamaicano Duane Allen Robinson, membro della Adirondack Shakespeare Company e dotato di una somiglianza impressionante con l’ex attaccante interista Mario Balotelli. Carlotta, oltre a presiedere Interfutura, ha una casa di produzione cinematografica, la Red House, che ha realizzato nel 2008 il documentario sugli Inter Campus diretto dal tifoso interista e premio Oscar Gabriele Salvatores. Anche i quattro maschi, eredi del gruppo Saras, hanno avuto esperienze lavorative diversificate e buoni matrimoni. Il primogenito di Gianmarco, Angelo Gino o più semplicemente Angelo, fra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila ha costituito e quotato sul Nuovo mercato – il canale di accesso ai finanziamenti per le piccole e medie imprese istituito dalla Borsa nel 1999 e mandato in pensione appena sei anni dopo – la società ePlanet-Planetwork insieme ad altri giovani imprenditori di buon nome come Paolo Merloni (figlio dell’ex ministro Francesco e nipote di Vittorio dell’Indesit), Andrea Rocca (cugino di Gian Felice Rocca della Techint) e l’ex McKinsey Luigi Orsi Carbone. La ePlanet è stata collocata in Borsa nell’agosto del 2000 raccogliendo oltre 60 miliardi di lire. Dopo aver toccato un massimo di 80 euro, ha perso tre quarti del valore in un anno. Al termine di vari passaggi di proprietà, il delisting è arrivato nel 2006 al prezzo di due euro. Con ePlanet-Planetwork Angelo Moratti ha prima puntato sulla cablatura delle principali città industriali e sulla fornitura di servizi informatici a una clientela di piccole e medie imprese. Poi ha tentato di diventare il quarto gestore di cellulari, partecipando alla gara vinta da Blutel. Infine si è lanciato nella tecnologia Umts costituendo un consorzio di pura casta bramina con la Securfin di papà Gianmarco e mamma Letizia, la Banca di Roma di Geronzi, l’e-Biscom di Francesco Micheli e Silvio Scaglia, la Pirelli di Marco Tronchetti Provera e la famiglia Agnelli attraverso la finanziaria Ifil, guidata al tempo da Gabriele Galateri di Genola. Dopo l’esperienza fallita con ePlanet, dal 2002 al 2007 Angelo ha presieduto Aon Nikols, la società di brokeraggio assicurativo nata dalla fusione fra il gruppo statunitense Aon e la Nikols Sedgwick di Letizia Moratti e Carlo Clavarino. È stato sposato per dieci anni con Roberta Armani, la nipote dello stilista Giorgio. Il matrimonio è stato celebrato nel 1997 dal parroco di San Patrignano nel castello di famiglia a Cicognola. Fra i presenti, Mario Monti, Marco Tronchetti Provera, Cesare Rimini, Giorgio Falck. Dell’accompagnamento musicale si è occupato il rocker canadese Bryan Adams. Gabriele, fratello minore di Angelo, si è laureato in sociologia e storia negli Stati Uniti alla prestigiosa Duke University. Nel suo curriculum si legge che è entrato nell’organigramma della Saras nel 2001, ad appena ventitré anni, nel dipartimento risorse umane, con incarichi in progetti di tutela ambientale e sicurezza, due settori alquanto delicati delle attività Saras, considerando i problemi di inquinamento e i quattro incidenti mortali sul lavoro negli ultimi due anni (26 maggio 2009 e 12 aprile 2011). Dal 2007 è assistente del direttore generale Dario Scaffardi. Nel 2011, a ridosso delle comunali che vedevano la madre Letizia in corsa contro Pisapia, è stato indagato per l’abuso edilizio nel loft milanese di via Airaghi, un immobile da 447 metri quadri a uso industriale trasformato in abitazione e arredato come il set di un film di Batman. Gabriele è molto legato a San Patrignano, come i genitori e il fratello maggiore. I suoi due partner nella società di ecommerce Redemption sono operatori della comunità fondata da Vincenzo Muccioli. Come la cugina Carlotta, anche lui ha una casa di produzione cinematografica, la Memo Films, fondata a metà del 2010 insieme a Francesco Melzi d’Eril, già produttore dei lungometraggi Albakiara e Io sono l’amore. Dal 2008 è alla guida della Manta, che fornisce servizi di vigilanza. Angelomario detto «Mao» ha studiato filosofia a Pavia e ha seguito corsi di economia presso facoltà di gran nome (London School of Economics, Oxford, Columbia). In Saras si occupa del personale, dello sviluppo nell’eolico, della direzione finanziaria e delle attività commerciali in Spagna, dove i Moratti hanno 124 stazioni di servizio. Il suo matrimonio con Mariachiara Travia in una delle ville di famiglia a Imbersago, in Brianza, è stato uno degli eventi mondani del 2002. Fra gli oltre mille invitati, Alessandro Profumo (Unicredit), Cesare Romiti (Rcs), Paolo Scaroni allora all’Enel, Franco Carraro (Mcc-Capitalia), Marco e Afef Tronchetti Provera, l’esponente dei Verdi Luigi Manconi, un folto gruppo di artisti interisti come Adriano Celentano e la moglie-agente Claudia Mori, Moni Ovadia e Giacomo Porretti del trio Aldo Giovanni e Giacomo. Il rito è stato celebrato da don Gino Rigoldi, parroco del carcere minorile Beccaria e fondatore della onlus Comunità Nuova. Insieme al cugino Angelo, Mao ha aperto nel marzo del 2005 il Sibilla Cafè sul Bund, la zona glamour di Shanghai. Ai party sono state avvistate celebrità come Arnold Schwarzenegger e Quincy Jones. I panini portano i nomi dei grandi italiani: Luciano Pavarotti, Giorgio Armani, Sophia Loren. Nel sito del locale l’identikit della proprietà inizia con la frase: «The Moratti, the most well-known Italian family...». Giovanni Emanuele VI Moratti di Valle Nestore, detto «Gigio» a dispetto del suo nome pontificale, è il più giovane dei maschi ed è consigliere dell’Inter dal 2006, quando aveva ventidue anni. Non ha altri incarichi societari, ma nel 2008 è stato fra le 46 maschere licenziate dal Piccolo Teatro di Milano. Gigio ha annunciato di voler guidare la protesta fino allo sciopero, ma non è bastato. Il suo stipendio era di 700 euro al mese. Ogni estate tiene una festa nella dépendance della villa di famiglia a Imbersago. Il party, molto frequentato, è a tema (Ritorno al futuro, cartoni animati, anni Cinquanta) ed è, fra l’altro, l’occasione per raccogliere abiti da distribuire ai bisognosi.
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La prima Grande Inter Moratti senior è all’origine di una dinastia imprenditoriale che, come gli Agnelli, ha saputo adattarsi alle varie fasi politiche dell’Italia. Figlio del farmacista di piazza Fontana, a due passi dal Duomo di Milano, fa fortuna a Roma e nel Centro Italia poco più che ventenne, in piena era fascista. Inizia dal trasporto petrolifero nel 1932 e nel 1939 apre una miniera di lignite nella valle del Nestore, nei pressi del lago Trasimeno. Il materiale estratto serve ad alimentare la centrale dell’Enel vicina. Oggi è possibile visitare l’area di archeologia industriale dov’è nata la ricchezza di Angelo Moratti. I suoi discendenti hanno il diritto di aggiungere al cognome di famiglia anche l’origine geografica del loro capitale: Moratti di Valle Nestore. Nel dopoguerra la lignite viene gradualmente abbandonata. Il materiale è altamente tossico, come mostra la tragedia di Balvano (1944), quando le esalazioni di una locomotiva alimentata a lignite uccisero oltre 500 passeggeri saliti a bordo di un treno merci. Il petrolio è decisamente più redditizio, più sicuro e più abbondante grazie al boom della produzione in Africa e nei paesi del Golfo Persico. Tra il 1946 e il 1948 Moratti realizza la sua prima raffineria ad Agusta, in Sicilia, grazie all’appoggio finanziario di Giorgio Enrico Falck, re dell’acciaio e senatore su nomina di Mussolini. Nel settore petrolifero Moratti senior ha una carta in più da giocare: è l’amicizia risalente al Ventennio con Enrico Mattei, fondatore dell’Ente nazionale idrocarburi (Eni). Mattei, uno dei protagonisti del boom economico del dopoguerra e gran finanziatore di partiti, muore nell’incidente aereo di Bascapè il 27 ottobre del 1962. Proprio nel 1962, sette anni dopo aver comprato l’Inter, Angelo costituisce la Saras e avvia la costruzione dell’impianto di Sarroch, in una landa desolata a sudovest di Cagliari. Tre anni dopo la raffineria entra in produzione. Nel 1965 Massimo Moratti ha vent’anni. È nato il 16 maggio 1945, tre settimane dopo la Liberazione, a Bosco Chiesanuova, un paese a nord di Verona dove la famiglia è sfollata per sfuggire alla guerra. Ha un fratello maggiore, Gianmarco, nato nel 1936, tre sorelle, Adriana, Gioia e Maria Rosa detta «Bedy», e un fratello adottivo, Natalino Curzola Moratti. Ovviamente sono tutti tifosi dell’Inter. Massimo più degli altri. I primi tempi della gestione paterna sono una sofferenza. La squadra di famiglia stenta a trovare i risultati fino al 1963 quando, a otto anni di distanza dall’acquisto, l’Inter vince lo scudetto. La gioia è guastata dalla vittoria del Milan in Coppa dei campioni quello stesso anno, il primo successo di una squadra italiana nel torneo continentale più importante. Ma il riscatto arriva l’anno successivo. Il 27 maggio 1964 l’Inter di Corso, Jair, Mazzola, Suárez, Facchetti e «mister» Helenio Herrera vince la sua prima Coppa dei campioni battendo il Real Madrid di Puskás e Di Stefano, il club che ha dominato i primi anni della Coppa. L’anno successivo arriva il bis contro il Benfica di Eusebio. Dalla prima Inter morattiana alla seconda passa oltre un quarto di secolo. Di nuovo, gli inizi sono di scarsa soddisfazione e ci vorranno più di dieci anni prima di ottenere risultati importanti. Se Massimo Moratti ha faticato più del padre prima di trovare la strada verso la gloria sportiva, è colpa in gran parte della suggestione ancora viva della Grande Inter. A lungo il club nerazzurro è stato una sorta di casa di riposo per vecchie glorie, calciatori eccezionali negli anni Sessanta ma amministratori mediocri. Lentamente, insuccesso dopo insuccesso, le cose sono cambiate. Sono arrivate le vittorie e oggi la governance dell’Inter si presenta simile a quella di una banca internazionale. Ma la parola finale su ogni decisione, dall’ingaggio di un Primavera all’arredo della sala stampa di Appiano Gentile, spetta al presidente. I dirigenti, come i familiari, hanno soltanto potere consultivo. Nella seconda generazione dei Moratti, soltanto Natalino e Bedy hanno un ruolo nell’organigramma del club. Natalino è consigliere di amministrazione, Bedy è presidente onorario del centro coordinamento Inter Club. Gianmarco, che condivide con Massimo e con i rispettivi figli maschi il controllo della Saras, non ha mai ricoperto incarichi diretti nella società nerazzurra. Né la Saras ha avuto mai formalmente a che fare con il club.
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La dinastia dell’oro nero Angelo Moratti, il capostipite della più nota dinastia di petrolieri italiani, compra l’Inter nel 1955, inaugurando una stagione di gloria sotto la guida dell’allenatore Helenio Herrera. L’acquisto della squadra è il coronamento di un’ascesa imprenditoriale nel settore dei combustibili. Oltre mezzo secolo dopo la ricchezza dei figli Massimo e Gianmarco proviene dal petrolio raffinato alla Saras di Sarroch, nel sud della Sardegna. I due fratelli producono anche energia elettrica con la Sarlux e hanno avviato l’espansione nelle energie rinnovabili con il parco eolico di Ulassai, sempre sotto il controllo del gruppo con base a Sarroch e coordinamento a Milano. Ma il business principale è l’oro nero. Ogni anno la Saras lavora 15 milioni di tonnellate di greggio, il 15 per cento dell’intera capacità nazionale. Ogni giorno alla Saras 300.000 barili in arrivo dai principali paesi produttori diventano benzina, gasolio e gpl da vendere sul mercato italiano ed europeo. A volte tornano da dove sono venuti, per esempio in Libia, uno dei migliori fornitori-clienti dell’impianto di Sarroch. Il documento di bilancio della Saras del 2010 commenta così la crisi del regime del colonnello Muhammar Gheddafi: «Il gruppo Saras, che intrattiene importanti rapporti commerciali con la Libia da molti anni, è in primo luogo preoccupato per la sorte delle popolazioni locali, che stanno vivendo momenti difficilissimi. A loro va il nostro pensiero e l’augurio che la situazione si normalizzi presto». Anche perché, si legge qualche riga più sopra, «i recenti tragici avvenimenti in Libia hanno temporaneamente alterato lo scenario di fondo; la brusca salita delle quotazioni del grezzo, non completamente seguita dal corso dei prodotti raffinati, ha nell’immediato compresso i margini a livello globale». L’anormalità della guerra civile in Tripolitania e Cirenaica si fa sentire non solo sulla sorte delle popolazioni locali, ma anche sui conti della Saras. Infatti «l’acutizzarsi della crisi libica rende impraticabile l’approvvigionamento di certi grezzi con particolari caratteristiche, che la raffineria di Sarroch ha tradizionalmente utilizzato». La speranza dei Moratti è che la caduta del regime di Gheddafi e la morte del Colonnello consentano la ripresa regolare delle attività di estrazione e raffinazione, perché la Saras, in fondo, è come l’Inter. Entrambe dipendono da prodotti stranieri, siano petrolio o calciatori. Entrambe subiscono concorrenze sleali. Nel calcio ci sono gli sceicchi della Premier League che spendono e spandono o i club spagnoli avvantaggiati dal regime fiscale. Il mondo della raffinazione, che segue un sistema di prezzi differente da quello del greggio, è stato investito a partire dalla seconda metà del 2009 dall’entrata in funzione di nuove raffinerie in Cina, in India e in altri paesi dell’Asia. «In questi paesi le raffinerie beneficiano di sussidi statali e regimi fiscali agevolati. Al contrario, i raffinatori europei si trovano sottoposti sempre di più a una moltitudine di vincoli tesi a limitare l’impatto ambientale.» Nonostante la moltitudine di vincoli, nel 2007 uno studio dell’ente di monitoraggio europeo Eper ha messo la raffineria di Sarroch al terzo posto in Italia nella classifica delle emissioni di anidride carbonica: 6,22 milioni di tonnellate contro i 15,8 milioni dell’Enel di Brindisi, campione nazionale di inquinamento, e i 9,56 milioni dell’Ilva di Taranto (gruppo Riva). L’erosione dei margini di profitto, insomma, non sembra provocata dagli sforzi ambientalistici. In ogni caso, non è più la Saras di una volta. I 200-300 milioni di utili netti all’anno sono scesi a 60-70 milioni nel 2008-2009. Il 2010 si è chiuso in perdita per quasi 10 milioni di euro e il primo semestre 2011 è negativo per 45 milioni di euro. All’Inter si brinderebbe per un rosso così limitato. Ma fra incidenti sul lavoro e margini di raffinazione sempre più sottili, a Sarroch tira un’aria pesante, tanto che si parla di cedere quote della Saras a gruppi russi.