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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Qui trovi un articolo su Toni, che a maggio dello scorso anno, già della Juventus, avrebbe festeggiato assieme ad altri ex compagni del Genoa, coinvolti in questo giro di Scommessopoli, presso un hotel in cui alloggiavano pure i famigerati zingari-non zingari. Poi c'è Stellini, collaboratore di Conte oggi alla Juventus, ma per alcuni trascorsi riferibili al periodo senese in ordine a compagnie baresi. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
CALCIOSCOMMESSE Parla Gegic «Pronto a tornare L'Italia è il Paese delle combine» Per i magistrati il latitante è il capo degli Zingari «Non è vero, chiedete a giocatori e società...» di FABIO BIANCHI & FRANCESCO CENITI (GaSport 24-02-2012) «Sono pronto a costituirmi anche domani e sono disposto ad andare agli arresti domiciliari. Chiedo solo ai magistrati di Cremona di togliere il mandato internazionale. Basta un accordo con il mio avvocato, Vitali. Non voglio e non posso più aspettare. Questa non è vita, ho una figlia di 4 anni. . . Torno in Italia a raccontare quello che so, ha tante cose da dire sul calcio italiano e anche su di me. In questi mesi si è scritto di tutto sul mio conto, cose assurde. Ora vi chiedo di ascoltare la mia verità. Non sono il capo di nulla. Non esiste la banda degli zingari. Non sono uno zingaro. Facevo da interprete a Ilievski, perché parlo bene l'italiano. Ma se il calcio italiano è marcio, la colpa non è mia. Lo sanno tutti come vanno le cose: sono le società in difficoltà a cercare accordi e a scommettere per pagare gli stipendi. Poi ci pensano i giocatori a vendere le informazioni al miglior offerente. Sono malati di gioco, scommettono tantissimi e fanno puntare amici, parenti e conoscenti... Dalla B in giù, le ultime cinque gare del campionati sono una farsa. Adesso hanno tutti paura, ma sono sicuro che tra un paio di mesi inizieranno i soliti giochini. Altro che zingari. Troppo facile fare il topo che balla quando il gatto non c'è. Chi è il topo? Gervasoni e qualche altro giocatore che adesso fa il furbetto. Ma il gatto sta per arrivare. . . ». Il gatto è lui, Almir Gegic, che sarebbe un giocatore tesserato per il Rancate, squadra dilettantistica svizzera. Invece è il latitante più ricercato del calcioscommesse. Che ora sembra avere davvero l'intenzione di rientrare in Italia correndo anche qualche rischio. Dopo l'amico Ilievski, si confessa pure lui. E dice le sue verità. Che contrastano quasi in toto a ciò che scrivono i magistrati di Cremona. Il pm Di Martino ha sempre sostenuto: «Su Gegic ho un fascicolo alto così...». Per gli inquirenti è lui il capo della banda che scorazza in Italia assoldando giocatori e offrendo soldi in contanti per alterare le partite. Ed è sempre lui, con Ilievski, ad avere i contatti con il livello superiore, quello che porta a Singapore e alla possibile mafia cinese. Ci sono tantissime intercettazioni e gli inquirenti hanno ricostruito i suoi spostamenti in Italia. Gegic tiene per il pm le questione fondamentali (ci risponde «questo preferisco discuterlo con il pm Di Martino»), ma racconta molto. A partire dall'ultimo giallo. Gegic, ci tolga una curiosità: ma è vero che è rientrato pochi giorni fa in Svizzera per fare il trasloco? «Un'altra grande bugia. Ma se non posso uscire dal Paese. . . Sono furioso con la stampa svizzera. Scrivono anche che ho conti bloccati. Ma quali conti? Questo è un vero incubo. Mi sento malissimo, non sono riuscito a dormire per lungo tempo. Io sono un giocatore che ha fatto qualche scommessa e ha pure perso dei soldi. Altro che boss: tra l'altro ai tempi giocavo nel Chiasso e facevo due allenamenti al giorno. Come potevo manovrare una banda? Non ho mai avuto il minimo problema con la polizia, prima di questo». Ma perché parla soltanto ora di costituirsi se pensa di essere pulito? «Io ero già pronto a parlare appena uscita la vicenda, quest'estate. Ero in vacanza ma sono rientrato in Svizzera apposta, mi sono messo d'accordo col mio avvocato per andare a Cremona, ma dall'Italia mi dicevano d'aspettare. Ho aspettato una, due, tre, quattro volte, passavo la frontiera spesso e volentieri per fare la spesa e nessuno mi ha mai fermato. Poi, il 19 dicembre è arrivato il mandato di cattura internazionale. A quel punto ho avuto paura. Guardate cosa è successo al mio amico Rade (Traikovski, ndr) che veniva con me in Italia a fare shopping. L'hanno preso e trattato come un assassino, per poi rilasciarlo 13 giorni dopo». Insomma, Gegic, lei non c'entra con le partite truccate? «Io traducevo per Ilievski, che ho conosciuto perché vendeva auto, quando si doveva parlava con qualche giocatore per avere informazioni, e scommettevamo. Tutto qui. E' sbagliato, sono stato ingenuo, ma da lì a truccare le partite ce ne corre. Gervasoni è quello che aveva la situazione sotto controllo, lui conosceva tanti giocatori e faceva tutto». Che ci dice di Singapore? «Mai parlato con qualcuno di Singapore, mai fatto telefonate». Masiello e Iacovelli raccontano ai magistrati che siete state voi ad offrire 250 mila euro per alterare Palermo-Bari. Proprio lei avrebbe telefonato a Iacovelli per prendere accordi... «Sì, ma di questo particolare preferisco parlare con i magistrati». E dell'incontro ad Ascoli con Micolucci oppure la telefonata nella quale Gervasoni si scusa per un gol che aveva salvato? «Anche questi sono temi che affronterò con il pm, ma la storia di Gervasoni è vera: mi aveva dato un'informazione sbagliata facendoci perdere dei soldi. Cosa accaduta anche per Siena-Piacenza: dovevano perdere 2-0 e invece hanno vinto 3-2 dopo essere andati sotto di due gol. Non è un caso. . . ». Che cosa vuol dire, Gegic? «Non prendiamoci in giro: dietro l'invenzione degli zingari si nascondono tanti altri gruppi che avvicinano i giocatori, pagandoli. E sono italiani. Io amo l'Italia, lo considero il mio Paese. Ma è anche il Paese delle scommesse. Ho giocato in 5 nazioni diverse a quello che è accade qui è unico. Per non parlare della vera criminalità: ho letto di camorra e mafia, e scaricano tutte le colpe su di me e Ilievski. Assurdo». Come lo vede il suo futuro? «Di sicuro ci troveremo a Cremona. Poi, se Di Martino mi lascia tornare a giocare... Ma come farò? in tutto il mondo la mia faccia ora è sinonimo di boss». -
Nuove alleanze Soci per Moratti: pista araba calda e spunta l'Indonesia Uno sponsor è più probabile della cessione di quote Il presidente deciderà su Ranieri dopo Napoli-Inter di MATTEO DALLA VITE & MARCO IARIA (GaSport 24-02-2012) Nuovi soci per l'Inter di Massimo Moratti. L'anticipazione de La Ġazzetta dello Sport del 15 febbraio scorso trova conferme e riscontri anche negli ambienti finanziari. Milano-Finanza (quotidiano economico) rilancia l'ipotesi di un ingresso nel club nerazzurro. Così. «I rumor delle settimane scorse sul possibile ingresso di soci arabi — racconta MF — hanno lasciato spazio a qualcosa di più concreto e alcune società di consulenza sarebbero già al lavoro per capire quale potrebbe essere il valore economico nerazzurro». Nuovi orizzonti da non escludere quindi, anche se ancora non quantificabili e soprattutto non definiti. Quota e presidenza I sussurri di metà febbraio lasciavano intravvedere più una sponsorizzazione forte che un ingresso vero nelle quote del club. Quest'ultima ipotesi, comunque non esclusa a priori, pareva più difficile e complicata rispetto a un appoggio esterno che si tradurrebbe proprio in uno sponsor come può essere l'attuale (principale) legato a Pirelli o gli Emirates per il Milan o la Qatar Foundation per il Barcellona. Adesso, sempre secondo Milano-Finanza, «l'obiettivo sarebbe quello di valutare un'eventuale cessione di una quota del capitale della società, che al momento sarebbe però minoritaria... perché non sarebbe ipotizzabile la vendita del 49% né che la famiglia Moratti lasci a breve la presa sulla società calcistica». Di certo, comunque, è da tempo che si vocifera un passaggio di mano da Massimo (che comunque non uscirebbe certo dal pianeta-Inter) al figlio Angelomario che fra l'altro è stato nominato vicepresidente esecutivo nell'ultimo consiglio di amministrazione. Arabia o Indonesia? Fin qui la conferma di MF, ma l'ultima indiscrezione da ambienti sportivi allargherebbe gli orizzonti: tempo fa parlammo di interessi provenienti dagli Emirati Arabi nei quali l'Inter ha avviato diverse iniziative, calcistiche e imprenditoriali. L'ipotesi araba resterebbe comunque la più attendibile ma sussurri dell'ultima ora aprirebbero un percorso verso l'Indonesia, nella quale l'Inter sta allestendo due amichevoli di fine stagione e comunque intrecciando rapporti che potrebbero avere un futuro. L'Indonesia, economia in crescita, non fa più parte della Opec (Organizzazione dei Paesi esportatori di Petrolio) dal 2009 ma negli ultimi anni ha registrato importanti scoperte di giacimenti di gas, anche questo un settore di forte interesse per la Saras della famiglia Moratti. Ipotesi nuovo stadio? Naturalmente, come detto, l'eventuale ingresso di sponsor/soci che avverrebbe attorno alla metà del 2012 riporterebbe a galla vecchi discorsi legati alla realizzazione di un nuovo stadio, vecchia idea di Massimo Moratti accantonata ma mai dimenticata. L'ingresso di quelle (arabe o indonesiane) nuove forze, potrebbe anche portare allo sviluppo di nuove vie di investimento fra le quali proprio l'impianto sportivo avrebbe un ruolo non secondario. Ma, visto che i «nuovi ricchi» amano fare shopping in Occidente semplicemente per accreditarsi in determinate piazze finanziarie, ecco che l'Inter potrebbe essere la testa di ponte per ulteriori business. A ogni modo, l'ingresso di capitali freschi darebbe una boccata d'ossigeno alle finanze personali di Moratti, al quale l'Inter continua a costare tanto. L'ultimo bilancio, relativo alla stagione 2010-11, ha registrato un deficit di 86, 8 milioni e si è reso necessario l'ennesimo aumento di capitale (da 40 milioni) facendo ammontare l'esborso del patron, dal 2006 in avanti, a 400 milioni. Ranieri e Napoli In tutto questo, c'è anche la parte sportiva. Il k. o. di Marsiglia ha aggiunto un'altra perla «bacata» nella collana delle sconfitte. Massimo Moratti è uscito dal Velodrome senza passare dagli spogliatoi, sia per il fastidio post 1-0 e sia per evitare le tante telecamere prontissimo ad attenderlo. Ma la domanda che si fanno tutti è: se perde a Napoli, Claudio Ranieri salta? Ipotesi da non escludere, se sarà un altro tracollo tipo Roma. Ma senza dare l'esonero per scontato. Moratti è convinto che prima o poi l'Inter vera riapparirà.
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
CONI News ALTA CORTE DI GIUSTIZIA: Il 27 marzo le udienze dei ricorsi presentati da Giraudo, Mazzini e Moggi contro la FIGC L’Alta Corte di Giustizia Sportiva ha fissato per il giorno 27 marzo 2012, a partire dalle ore 17, una sessione di udienze di discussione nell’ambito della quale verranno trattati i ricorsi presentati da Antonio Giraudo, Innocenzo Mazzini e Luciano Moggi contro la FIGC. Roma, 23 febbraio 2012 -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
IL SISTEMA CALCIO, FRA SCOMMESSE E POTERE Nel capitolo calcioscommesse entreranno molto presto le società. Si scopriranno casi di presidenti conniventi. Perché nonostante i debiti conviene avere una squadra di calcio? Perché dà notorietà e potere. Si può contare sul supporto di milioni di persone. Vi ricordate Cragnotti... Intervista a Gianfrancesco Turano della redazione di Cado in piedi 23-02-2012 Hai scritto un libro sul calcio che forse tutti vorrebbero leggere ma che nessuno, fin qui, aveva avuto il coraggio di scrivere. Si chiama Fuori Gioco. Ecco, partendo da qui, cosa ne pensi del caso calcioscommesse? I magistrati si stanno chiedendo se è possibile che un gruppo di giocatori, tutto sommato di secondo piano (con l'eccezione di Cristiano Doni), e di dipendenti altrettanto di secondo piano di alcuni club calcistici, potessero essere in grado di organizzare un giro di scommesse nei 4 angoli del mondo con il coinvolgimento di soggetti e società straniere. La risposta i magistrati la stanno cercando, ovviamente attraverso gli interrogatori. Ed è una risposta difficile da trovare perché il calcio è un sistema omertoso come e più della criminalità organizzata, ma è evidente che la pista che i giudici seguono porta molto in alto, porta al livello dei dirigenti delle squadre di serie A. Questo sta emergendo con forza per esempio nella questione del Bari (il Bari che è nel mirino adesso come era l'Atlanta e alcuni tesserati dell'Atalanta fino a qualche settimana fa) è sicuramente una delle squadre che sembra più penetrata da questo fenomeno criminale, per cui abbiamo visto che i cosiddetti slavi addirittura giravano per il ritiro del Bari. Credo che francamente sia impossibile che tutta questa macchinazione sia avvenuta all'insaputa dei Presidenti e dei dirigenti della società calcistica, questo perché le società calcistiche hanno una forma di controllo molto stretto sui loro dipendenti. Basta ricordare, per fare un esempio, il caso di Vieri che era intercettato dall'Inter. I Presidenti vogliono sapere dove vanno a ballare i loro giocatori, a fronte di questo tipo di attenzione mi sembra molto difficile che i Presidenti non sapessero quali erano i giocatori che scommettevano. Le procure che indagano stanno cercando di capire se questa era una semplice omissione di controllo sui dipendenti o se ci possa essere dietro qualcosa di più grave. Vogliono capire se dietro questo giro di scommesse clandestine e di partite truccate che portavano denaro e benefici economici illeciti ai calciatori e agli scommettitori clandestini, ci fosse non solo una forma di tolleranza da parte dei Presidenti, ma in alcuni casi una vera e propria connivenza. C'è il sospetto che in un sistema economico come quello del calcio, un sistema (tranne poche eccezioni) in perdita strutturale, le scommesse clandestine offrano una facile occasione per rientrare dalle perdite di bilancio. A proposito di presidenti. Ci tornano in mente i casi molto simili di Cragnotti e Tanzi... Sono due casi che appartengono a una fase del calcio in cui l'esempio del Milan di Berlusconi, quindi delle spese folli per l'ingaggio dei migliori giocatori, aveva contagiato un po' tutta la serie A. In quegli anni Tanzi e Cragnotti che sono due bancarottieri che hanno la squadra e nello stesso tempo stanno devastando rispettivamente la Parmalat e la Cirio, ma si trascina anche altri imprenditori come Cecchi Gori che fa bancarotta con la Fiorentina. Diventa tutto un circuito vizioso che viene messo in piedi in quel periodo, gli anni 90 grossomodo fino ai primi del 2000. Adesso il problema è diverso. Adesso c'è una sorta di marcia indietro. Si va verso una cosiddetta virtù economico - finanziaria. La prima conseguenza di questa virtù economico - finanziaria è che il campionato di serie A non è più il campionato più bello del mondo, perché i giocatori più ricchi e più quotati, con poche eccezioni, sono ormai in Spagna e in Inghilterra. Poi in realtà ci accorgiamo che questa virtù economico - finanziaria è ancora ben lontana dall'essere raggiunta perché l'Inter attuale, l'Inter del famoso triplete è una squadra che ha totalizzato durante la gestione di Moratti perdite per oltre 1.350.000.000 di Euro, una cosa abnorme che soltanto la grande ricchezza della famiglia Moratti ha potuto consentire. Lo stesso Berlusconi un paio di anni fa aveva annunciato la via all'austerità, salvo poi pentirsi (perché si è accorto che gli serviva a fini elettorali) e comprare in gran fretta Ibrahimovic e Robinho. Un altro esempio lampante di questo sistema caotico è quello della legge sugli stadi nuovi, una legge che annaspa in Parlamento nonostante sia una bipartisan. Una legge che non riesce a passare perché ci sono lobbismi incrociati che la bloccano: i Presidenti tentano di emendare questa legge in modo da poter costruire nelle aree archeologiche, nelle aree a rischio di dissesto idrogeologico. La cosa più assurda, infine, è che questa banda di buon temponi ha delle grandi ambizioni politiche. Recentemente hanno più o meno annunciato discese in campo Lotito, Zamparini, lo stesso Della Valle con la pubblicità comprata su Il Corriere. Questo perché in qualche modo loro si sentono, sempre sulla scia di Berlusconi, un po' il vertice di questo sistema Paese. Ma alla fine queste società di calcio sono sempre in perdita? Questi presidenti ci rimettono e basta? Se noi prendiamo per buoni i bilanci sicuramente sono pochi quelli che guadagnano e questo non solo in Italia ma in generale. La domanda è: possiamo prendere per buoni i bilanci delle squadre di serie A? La mia risposta è no, non li possiamo prendere per buoni perché è per la natura delle transazioni estero su estero che sono legate all'acquisto, alla compravendita di calciatori, ci sono infinite possibilità di falsificarli questi bilanci. A fronte di ciò, qual è il beneficio? Il beneficio è l'immunità diplomatica e politica che il calcio garantisce. Prendiamo ad esempio il caso Cragnotti: lui va in carcere 15 mesi dopo la dichiarazione di fallimento della Cirio, una cosa veramente assurda, nel senso che al finanziere viene consentito di continuare a occuparsi della sua società in qualche maniera anche dopo il fallimento e per 15 mesi, dopodiché la Lazio, che è controllata dalla Cirio, non fallisce e non fallisce perché il governo Berlusconi vara una legge ad hoc per cui garantisce alla Lazio 23 anni di rate su un'enorme evasione fiscale. Allora è evidente che fare il Presidente di una società di calcio conviene: conviene perché dà enorme notorietà, dà potere. Ti mette a disposizione un pubblico che sono i tifosi di quella squadra e quindi in alcuni casi stiamo parlando della Juventus, del Milan, dell'Inter, di 10/15/18 milioni di tifosi. -
Due Chicche Sull'Assessore Narducci
Ghost Dog ha risposto al topic di Redfield in Calciopoli (Farsopoli)
L’INTERVISTA FACCIA A FACCIA Marcello Maddalena È uno dei magistrati più coriacei e influenti. Ammette «le notevoli discrezionalità dei pm» e la necessità di controllarli per via gerarchica. E auspica un nuovo sistema elettorale per il Csm Il procuratore generale di Torino spiega perché il compito delle toghe è per definizione «far sempre male» a qualcuno di LUIGI AMICONE (TEMPI | 29 febbraio 2012) Giorgio Napolitano ha fatto intendere che non accetterà più le barricate dell’Anm e ha aperto alla riforma della giustizia. «C’è un positivo mutamento dell’atmosfera che può consentire un confronto costruttivo». Un bel segnale, questo che il Quirinale, parlando dal più alto scranno del Csm, ha voluto dare all’ordine giudiziario. Di qui, anche uno dei più autorevoli rappresentanti della magistratura, ne ha preso atto. «Condivido il suo discorso, penso che sia però difficile attuare delle riforme costituzionali in questo momento». Marcello Maddalena, 71 anni, è procuratore generale di Torino. In magistratura dal 1967, prima nel ruolo di giudice istruttore e poi di pm, è stato membro del Csm e segretario nazionale dell’Anm. Negli anni Novanta è stato procuratore aggiunto e, sempre a Torino, procuratore capo. Ha condotto inchieste di vasta risonanza pubblica (casi Telekom-Serbia e Moggi-Pairetto) e ha sostenuto con convinzione l’azione di “Mani Pulite”. Nel 1997 ha firmato con Marco Travaglio un volume dal titolo abbastanza perentorio (Meno grazia, più giustizia) e medesimo orientamento mostrò in occasione dell’indulto, che lo trovò dissenziente, varato dal governo Prodi nel 2007. È ritenuto uno dei magistrati italiani più coriacei, riservati e influenti. Gli diamo atto di aver risposto con molto garbo e fairplay alle ruvide domande che gli abbiamo sottoposto. In apertura dell’anno giudiziario lei ha affermato che nei processi penali «la prova si deve formare davanti al giudice dibattimentale e non essere, anche inconsciamente, condizionata dai tanti talk show televisivi, che sono sempre estremamente pericolosi anche per la corretta formazione del convincimento del giudice». Parole sante. Ma il processo penale è morto, visto che ormai quasi tutto il materiale dell’accusa e, in specie, le cosiddette “intercettazioni” finiscono puntualmente sui giornali e nei talk show televisivi perché contenuti nei dispositivi di custodia cautelare o comunque sono depositati agli atti, dunque legalmente pubblicabili. Come si fa a ristabilire quei princìpi fondamentali del processo penale che oggi vengono de facto disattesi? In effetti il problema, per quei processi (che per fortuna non sono tutti) che finiscono nei talk show televisivi, c’è. E soprattutto c’è per quelli che vi finiscono anzitempo. I rimedi non sono facilissimi perché si tratta di trovare il giusto equilibrio tra il diritto di cronaca e di critica degli organi di informazioni (che è fondamentale in qualsiasi regime democratico), il diritto al controllo pubblico sul funzionamento delle istituzioni, il diritto alla riservatezza delle persone coinvolte nel processo, il diritto di difendersi (che comporta anche – dopo la fase delle indagini preliminari – il diritto dello stesso accusato alla pubblicità del processo), il segreto investigativo (che quasi sempre è fondamentale per il buon esito delle indagini). In linea di massima, tutta la fase delle indagini preliminari dovrebbe essere coperta dal segreto, cioè fino a quando il pubblico ministero non esercita l’azione penale, e la pubblicità dovrebbe essere riservata alle fasi successive; ma il legislatore del 1988, per venire incontro – a mio avviso, in modo eccessivo – alle esigenze dell’informazione, ha adottato una disciplina contorta e contraddittoria che di fatto favorisce la diffusione del contenuto degli atti anche durante la fase delle indagini preliminari. La realtà è che sarebbe necessario, da un lato, rivedere per legge tutta la materia del segreto, al limite anche riducendone l’area, ma prevedendo poi delle pene severe sia per chi lo viola (ma è difficile scoprirlo e soprattutto provarne la responsabilità) sia anche per chi pubblica atti ancora segreti (e qui non c’è problema di individuazione e di prova: ma entra in gioco il problema della possibile eccessiva compressione della libertà di stampa). Dico subito che i tempi non mi sembrano però maturi per correzioni del genere che richiedono anche un forte convincimento da parte di tutta la società civile, in quanto – anche per effetto di alcune sentenze della Corte europea di Strasburgo – le violazioni del segreto (di ufficio, di Stato, investigativo eccetera) attraverso i mezzi di comunicazione di massa paiono diventati praticamente irrilevanti (tranne che in casi assolutamente eccezionali). Sono un cittadino italiano che non sa, il giorno che dovesse aprirsi una fascicolo giudiziario nei suoi confronti, se la notizia di reato è venuta da qualcuno che mi ha accusato di aver io cagionato un danno a chicchessia, violato una norma del codice penale o essere stato messo sotto inchiesta dopo che una lettera anonima pervenuta in Procura o una conversazione privata intercettata nell’ambito di altra inchiesta ha rivelato a un pubblico ministero che ho riso del terremoto in Abruzzo o ho insultato il presidente della Repubblica. Sto esagerando, naturalmente. Ma è ormai molto diffusa la sensazione che l’obbligatorietà dell’azione penale si sia trasformata in discrezionalità (ne ha parlato anche Luciano Violante), quando non addirittura in arbitrarietà. Cosa ne pensa? È indubitabile che nella gestione delle indagini, nell’acquisizione delle notizie di reato, nelle scelte istruttorie dei pubblici ministeri vi siano notevoli margini di discrezionalità, molto maggiori nella fase iniziale che non successivamente al termine delle indagini dove le loro richieste (di archiviazione o di rinvio a giudizio) sono comunque sottoposte alla decisione di un altro magistrato, il giudice delle indagini preliminari. Peraltro, sotto diverso profilo, il numero delle notizie di reato, o acquisite dallo stesso pubblico ministero o comunque da lui ricevute, è talmente elevato che, in un sistema processuale ultragarantito come il nostro (con tre gradi di giudizio e possibilità di ricorrere in Cassazione contro ogni sentenza), non può essere certamente smaltito nei tempi ragionevoli richiesti dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo e – adesso – dalla nostra Carta costituzionale. Si pone perciò il problema o della selezione delle notizie di reato da coltivare o della individuazione di percorsi differenziati per le varie tipologie di processi e di reati; o – ultima ratio – dell’abbandono del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale (che comporterebbe sicuramente ed inevitabilmente un grosso vulnus al principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale: ma, ad un certo punto, se non si trova il rimedio, l’abbandono diventerebbe persino necessitato). Prima però di arrivare a tanto, vi sono però ancora a mio avviso degli spazi per razionalizzare il sistema attraverso l’adozione di criteri o di definizione anticipata “per irrilevanza penale del fatto” dei processi per fatti minimi o di priorità degli uni rispetto agli altri (che in parte sono indicati dal legislatori ma sono del tutto insufficienti e sopratutto insoddisfacenti) o di scelta di percorsi alternativi che meriterebbero quanto meno di essere tentati. Il magistrato dev’essere un leone, ma un leone sotto il trono ha detto Luciano Violante, uno dei fondatori di Magistratura democratica. Altri pensano che il difficile equilibrio tra potere popolare rappresentativo e potere giudiziario autonomo è di fatto saltato agli inizi degli anni Novanta, quando è cessata la tacita collaborazione tra i due. Da allora si è di mostrato che il potere giudiziario è costituzionalmente più forte del potere parlamentare e di governo, tant’è, il titolo VI della Costituzione consente al magistrato di sollevare la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge. Non solo, è noto che le stesse leggi hanno applicazione elastica, tant’è che dalla legge 40 alla Bossi-Fini, ad esempio, sono decine i conflitti e le interpretazioni diverse che ne hanno dato le corti. Si può ammettere, anche da parte della magistratura, che è venuto il tempo di un riequlibrio dei poteri e, dunque, di una riforma della giustizia, se necessario anche a livello Costituzionale? Personalmente ritengo che i padri costituenti abbiano trovato un mirabile punto di equilibrio tra il potere giudiziario e il potere politico. Ma è stato lo stesso potere politico che, dopo avere malissimo utilizzato lo strumento dell’autorizzazione a procedere che rappresentava uno dei capisaldi di quell’equilibrio, lo ha eliminato, in quanto travolto dagli scandali degli anni Novanta. E questo ha finito per accentuare inevitabilmente la conflittualità, che – entro certi limiti – è fisiologica ad ogni latitudine. Dal canto suo, anche l’attività e il comportamento di alcuni magistrati hanno talora potuto fornire l’impressione di una discesa della magistratura nel campo della competizione politica, con conseguente perdita di quell’immagine di imparzialità super partes che è indispensabile per la credibilità del magistrato e la fiducia dei cittadini nella corretta e imparziale amministrazione della giustizia. La stessa divisione dei magistrati in “correnti” e la stessa legge elettorale del Consiglio superiore della magistratura che esalta questa divisione ed ancora la commistione, nello stesso Consiglio superiore, di funzioni amministrative e di funzioni giurisdizionali (in materia disciplinare) finiscono per avvalorare questa impressione. Sotto questo profilo, delle modifiche, con molta prudenza, si possono anche studiare. Devo però aggiungere che, in un paese come l’Italia, contrassegnato da un altissimo tasso di illegalità, da grosse manifestazioni di criminalità organizzata in sempre più numerose regioni ed in un sempre maggior numero di settori, dalla diffusissima insofferenza del controllo di legalità esercitato dalla magistratura, soprattutto in ambienti politici, la bilancia pende nettamente a favore dell’operato complessivo della magistratura che ha saputo fronteggiare adeguatamente – attraverso lo strumento del processo penale pur con tutti i suoi difetti e nel rispetto di tutte le garanzie proprie di un regime democratico e civile – fenomeni come il terrorismo, la delinquenza organizzata mafiosa, il malcostume politico e amministrativo, l’insicurezza sui posti di lavoro eccetera. Un magistrato deve apparire oltre che essere imparziale. Ma se i magistrati sono di fatto divisi in associazioni sindacali fortemente politicizzate – penso a Md – io cittadino, come posso andare serenamente a giudizio conoscendo le convinzioni ideologiche di chi mi inquisisce e mi giudica? Non mi dica quello che ha detto Gherardo Colombo al Corriere della Sera, e cioè che sarebbe come chiedere a un terrorista islamico quale fiducia può avere rispetto a un giudice cattolico che va a messa tutte le domeniche. Stiamo parlando di magistrati che partecipano a comizi, dichiarano che un certo governo “non ha l’autorità morale” per fare certe leggi, di magistrati che calcano le scene televisive prima di cambiare casacca e da un giorno all’altro trasformarsi in politici. Non sarebbe necessario mettere paletti per evitare che un magistrato si scelga le inchieste che gli danno maggiore visibilità e gli procurano fortune politiche? Per rispondere a questa domanda devo fare due premesse. La prima è che mal si attaglia alle “correnti” della Anm la qualifica di “associazione sindacale” (in quanto l’aspetto degli interessi economici della categoria è oggettivamente l’ultimo di quelli presi in considerazione: e forse una maggiore attenzione agli stessi non guasterebbe neppure). La seconda è che gli orientamenti “culturali” o, se si vuole, lato sensu, “politici” di ogni magistrato finiscono per essere noti in ogni paese del mondo, sia pure con diverse aggettivazioni: conservatore, progressista, liberal eccetera. Ciò non toglie che personalmente io sia stato sempre fortemente critico sulla proclamata “collocazione” politica (di “sinistra”) che si è voluta dare, fin dal suo nascere, Magistratura democratica. Ma questo non incide né sulla imparzialità né, a mio avviso, sulla immagine di imparzialità del magistrato fino a che non si traduce in comportamenti che facciano comprendere o anche immaginare una sua discesa in campo sul piano della competizione politica. Di qui la mia netta convinzione che un maggiore “self restraint” da parte di alcuni magistrati non nuocerebbe. Sono poi assolutamente convinto della necessità di porre alcuni paletti, come ad esempio quello per cui il magistrato, che sia passato alla politica attiva, non possa più far rientro nella professione. Quanto alle inchieste che danno maggiore visibilità e procurano fortune politiche, per quella che è la mia esperienza non è tanto il magistrato che si sceglie l’inchiesta che dà visibilità politica, quanto il fatto che è lo sviluppo di certi procedimenti occasionalmente trattati da un determinato magistrato a dare inevitabilmente visibilità (politica o meno). Ovviamente a questo risultato contribuiscono anche le capacità del singolo nello sviluppare le indagini, ma questo indipendentemente dalle velleità eventualmente politiche dello stesso. A puro titolo di esempio, non vi è dubbio che moltissimi magistrati del pubblico ministero, in qualsiasi città di Italia, in occasione dell’arresto di Mario Chiesa si sarebbero limitati a procedere per direttissima (era stato arrestato in flagranza) e ad ottenerne la condanna. E tutto sarebbe finito lì. Lo sviluppo successivo (qualsiasi giudizio se ne voglia dare) dipende esclusivamente dalla scelta di Antonio Di Pietro di non fermarsi lì ma di scavare più a fondo estendendo le indagini ad altri casi trattati dall’indagato. E lo stesso discorso può farsi per molte altre indagini nei settori più disparati (di criminalità mafiosa ed organizzata, di pubblica amministrazione, di malattie professionali o sicurezza sui posti di lavoro eccetera). Controllo dell’operato della magistratura, argomento delicatissimo, ma che per esempio il giudice Giovanni Falcone affrontava domandandosi «com’è possibile che in un regime liberal democratico non vi sia ancora una politica giudiziaria e tutto sia riservato alle decisioni dei vari uffici di Procura e spesso dei singoli sostituti». E aggiungeva Falcone, «in mancanza di controlli istituzionali sull’attività del pm saranno sempre più gravi i pericoli che influenze informali e poteri occulti possano influenzare tale attività ». Cosa ne pensa? Il problema si pone, ovviamente, solo per gli uffici di procura perché non è pensabile di poter sottoporre a controllo, in un regime non totalitario, l’operato dei giudici per il quale vale il detto: “habeant sua sidera lites”. Per quanto concerne i pubblici ministeri il rischio di andare incontro a tante cosiddette “politiche giudiziarie” o, peggio ancora, a tante diverse giurisprudenze quanti sono i magistrati che compongono gli uffici inquirenti (circa duemila in tutta Italia) può essere adeguatamente fronteggiato, almeno in parte, attraverso l’organizzazione gerarchica delle procure, che è stata caldeggiata anche – proprio per garantire il corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale – dalla Raccomandazione n. 19 del 6 ottobre 2000 del Comitato dei ministri d’Europa. Di più non credo che si possa fare, a pena di non sottoporre il pubblico ministero al potere esecutivo con tutti i rischi che – specie in Italia (che è il paese della raccomandazioni) – ne deriverebbero sia sul piano del rispetto del principio di eguaglianza e di obbligatorietà dell’azione penale sia su quello della “strumentalizzazione” degli uffici di Procura da parte del potere politico: insomma, per chi deplora la possibile “politicizzazione” dei magistrati del pubblico ministero, significherebbe cadere dalla padella nella brace. Né va dimenticato che un controllo – sia pure limitato ai casi di abnormità dei provvedimenti e delle condotte giudiziarie – sull’operato dei pubblici ministeri viene effettuato dal Consiglio superiore della magistratura, come dimostra il caso della condanna e del trasferimento di ufficio di un notissimo magistrato del pubblico ministero passato poi direttamente alla politica (e premiato dall’elettorato) ma prima sanzionato dalla sezione disciplinare del Consiglio. Ancora Falcone sosteneva che se negli Stati Uniti «la giustizia è più rapida, efficiente e attenta ai diritti della difesa» dipende anche dallo «strumento fondamentale della non obbligatorietà dell’azione penale»: «Fino a quando in Italia vi saranno rigide normative sulla obbligatorietà il problema della repressione giudiziaria del crimine organizzato non avrà fatto un passo avanti». Non pensa che i milioni di processi pendenti e le centomila e passa prescrizioni all’anno dipendano da questo feticcio dell’obbligatorietà? A mio avviso, non è del tutto probante il paragone con gli Stati Uniti sia perché – al di là della durata dei processi – è tutto da dimostrare che la giustizia penale funzioni meglio lì che in Italia (rileggasi, per cominciare ad avere qualche dubbio, il romanzo Presunto innocente di Turow) sia perché il rapporto cittadino-istituzioni è lì concepito in modo nettamente diverso che in Italia (lì il diritto alla menzogna non è riconosciuto neppure all’imputato) con la conseguenza che non sono immaginabili le pressioni che si addenserebbero sulla magistratura ove non vi fosse il principio di obbligatorietà dell’azione penale (che costituisce l’unico vero scudo del magistrato che voglia procedere – imparzialmente e senza nessun accanimento accusatorio! – anche nei confronti dei potenti della terra). Se l’autonomia della magistratura è in crisi non dipende anche dalla crisi che investe l’Anm, le cui correnti si sono trasformate in macchine elettorali per il Csm? E non sarebbe ora di riformare anche l’organo di autogoverno della magistratura? Ciò in parte è vero. E come ho detto, sarei favorevole ad una revisione del sistema elettorale (non della sua composizione) del Csm in modo da ridurre lo spazio di incidenza delle correnti (penso ad un collegio uninominale a doppio turno). Penso anche alla possibilità di una sezione disciplinare autonoma rispetto al resto del Csm, per evitare improprie commistioni di funzioni amministrative e giurisdizionali. Ma non farei ulteriori cambiamenti perché i danni che provocherebbero sarebbero, a mio avviso, maggiori dei vantaggi, anche perché è solo una leggenda metropolitana che la sezione disciplinare sia viziata da “corporativismo”. Al contrario, non vi è in nessuna amministrazione pubblica, e in nessuna categoria professionale, una incidenza del disciplinare anche lontanamente comparabile con quella che, da qualche anno a questa parte, si registra all’interno dell’ordine giudiziario. Immagino che anche lei, come i suoi colleghi, sia contrario alla norma sulla responsabilità civile diretta dei magistrati. Ma come fate a sostenere l’unicità di un mestiere che per molti versi può essere comparato a quello del chirurgo da cui dipende la vita delle persone e il chirurgo può essere chiamato direttamente in causa, invece dell’eventuale dolo del magistrato risponde lo Stato, cioè il contribuente? In Italia già esistono la responsabilità penale, quella disciplinare e quella civile del magistrato per colpa grave e diniego di giustizia. Il paragone con il medico ed il chirurgo è improprio, perché il medico ed il paziente sono uniti dal medesimo fine (la salute del malato) e il sanitario non deve necessariamente “far male” a qualcuno (anzi) mentre il magistrato, per definizione, “fa sempre male” a qualcuno (nel civile o all’attore o al convenuto a seconda della persona cui attribuisca la ragione; nel penale, all’imputato rinviato a giudizio o condannato ovvero, nel caso di assoluzione, alla persona offesa o danneggiata dal reato). Se dovesse essere introdotta la responsabilità civile per qualsiasi decisione ritenuta nei successivi gradi di giudizio o in autonomo processo sbagliata, il magistrato finirebbe per restare condizionato, nelle sue decisioni e magari senza esserne neppure consapevole, dal timore che gli potrebbe derivare dalla “parte più forte”. Il magistrato deve emettere dei “giudizi”. Ed un giudizio o è libero o non è un giudizio. E il magistrato, se dal suo giudizio può attendersi o dei vantaggi o del danno, non è più veramente libero. Per questo deve agire “sine spe et sine metu”. Speranze e timori sono fattori di condizionamento e quindi di perdita di imparzialità. Ma noi giustamente vogliamo e pretendiamo che il magistrato (compreso il pubblico ministero che indaga) sia e resti assolutamente imparziale. -
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Sport & Business. Le società della Lega Pro (ex serie C) hanno proposto di applicare anche in ambito sportivo questo contratto, per accedere a sgravi fiscali e contributivi Conti in rosso, l'apprendistato tenta i club di calcio di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 23-02-2012) Quella del calciatore-apprendista sarà pure una figura atipica. Ma per i club della vecchia serie C – oggi Lega Pro – già falcidiati dalla crisi che ne ha fatti saltare solo nell'ultimo anno 13 su 90, il ricorso all'apprendistato è cruciale per salvare i bilanci e dare un futuro a un movimento che dà lavoro a circa 2mila atleti professionisti e conta oltre 6.500 "giovani di serie". Proprio per agevolarne l'"assunzione", la Lega Pro ha proposto martedì scorso, in un convegno a Roma dedicato alle «nuove strategie di gestione delle società di calcio», di applicare anche in ambito sportivo il contratto di apprendistato. Quel contratto che per il Governo Monti dovrà diventare la forma privilegiata di ingresso nel mercato del lavoro per i giovani. Certo, si tratterà di adottare e adattare un modello che per tradizione e natura è più congeniale alle fabbriche che ai rettangoli verdi. Ma gli spazi di manovra, secondo il presidente della Lega Pro, Mario Macalli, e il direttore generale Francesco Ghirelli, ci sarebbero. «Lo so bene – spiega al riguardo il vicepresidente della Lega Pro, Archimede Pitrolo, imprenditore e proprietario di un'industria meccanica – che all'interno di un'azienda, l'apprendista segue un percorso di formazione e può contare sull'esperienza di altri operai specializzati. Mentre l'ala sinistra non è che impara a fare l'ala dal centravanti. Ma noi chiediamo di poter usufruire di una formula contrattuale ad hoc per i giovani calciatori oggi non prevista né dalla legge, né dal contratto collettivo». L'attuale normativa sull'apprendistato (il decreto legislativo 167 del 2011) non ne vieta l'estensione al settore sportivo. Anche se in Lega Pro nessuno nasconde le difficoltà di renderne coerente l'impianto – finalizzato al raggiungimento di una qualifica professionale – con la carriera sportiva. Per questo sarebbe preferibile il varo di una disciplina speciale per i giovani calciatori (dai 16 ai 21/22 anni) magari da inserire nell'ambito della revisione della legge 91 dell'81 sul professionismo sportivo. Eventualmente, dato che solo una parte dei giovani di serie prosegue nel mondo del calcio, il "programma formativo" del contratto dei baby calciatori potrebbe anche essere finalizzato al conseguimento di un diploma o comunque di una qualifica professionale extra-sportiva. I vantaggi dell'adozione di un contratto di apprendistato calcistico per i club di Lega Pro in cronica carenza di risorse (mediamente nel biennio 2008-2010 hanno fatturato meno di due milioni di euro all'anno, spendendone tre) sarebbero evidenti. Dalla possibilità di derogare al minimo contrattuale (oggi fissato a 18mila euro annui in Prima Divisione e 16mila in Seconda), alla facoltà di accedere a sgravi fiscali e contributivi, alla chance di valorizzare i giovani, ottenendo gli aiuti riservati dalla Figc (16 milioni a stagione) a chi schiera under 20 e di ritornare a fare mercato per la serie A e B, come avveniva fino a una decina di anni fa. -
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controinchiesta Calciopoli: trame, suggeritori e intercettazioni scomparse Lo strano asse Baldini-carabinieri contro Moggi. Su 171mila telefonate, trascritte 3mila. Il giallo sul «salvataggio» della Roma di GIAN MARCO CHIOCCI (il Giornale 23-02-2012) Ma cos’è stata davvero l’inchiesta di Calciopoli che ha portato alla condanna di Moggi e compagnia arbitrale? È stata eterodiretta come sospettano i condannati? E da chi? E perché lo scandalo ha travolto solo la Juve e non altre società e dirigenti che colloquiavano allo stesso modo con la classe arbitrale e funzionari Figc? Proviamo a scoprirlo spulciando gli atti processuali. A partire dall’ultimo, depositato il 6 febbraio scorso. Pagina 52 delle motivazioni della sentenza penale di condanna: «Il teste Baldini Franco, in atto general manager della nazionale inglese (oggi Dg della Roma Calcio, ndr), grande suggeritore di accusa, per collaborazione con l’investigatore Auricchio dichiarata da entrambi ». I teorici del gran complotto anti-Juve si sfregano le mani per il virgolettato sul Grande Suggeritore perché mette una pietra tombale su Franco Baldini nemico giurato di Moggi (si sono insultati e denunciati a vicenda durante il processo) «ispiratore» delle indagini contro Lucianone. All’ex maggiore dei carabinieri di Roma Attilio Auricchio conosciuto nel 2003 nell’inchiesta sulle false fidejussioni che puntò alla Roma, Baldini ha offerto l’input a indagare in più e più incontri (non verbalizzati) nel 2004 e nel 2005, indicando personaggi da sentire e filoni da esplorare. Baldini si confessò a verbale il 15 aprile 2005 con il solo maggiore che, cosa rarissima per un ufficiale, verbalizzò personalmente il lunghissimo interrogatorio. Sulla frequentazione con l’ex maggiore, in aula Baldini s’è contraddetto sostenendo di aver frequentato al massimo «una o due volte» Auricchio nel 2005 smentendo quanto da lui stesso affermato nel 2008 al processo Gea allorché giurò di non aver più incontrato il colonnello dall’agosto 2003 (inchiesta Gea) all’aprile 2005 (inchiesta Calciopoli). In aula, il carabiniere l’ha smentito osservando come tra l’agosto 2004 e il marzo 2005 incontrò il Ds della Roma «4 o 5 volte prima» dell’interrogatorio ufficiale, e «3 o 4 volte dopo». Baldini portò al maggiore anche una giornalista economica sua amica per illuminarlo ulteriormente sul «funzionamento delle società di calcio dal punto di vista economico». L’incontro Baldini non lo sa collocare temporalmente ma la difesa lo individua tra la prima informativa del maggiore Auricchio alla procura di Napoli, del 18 settembre 2004 (dove si ipotizzavano quegli scenari apocalittici sul mondo del pallone in quel momento ancora non emersi in alcuna attività che serviranno a dare il là alle intercettazioni) e la telefonata a Baldini del 4 aprile 2005, trascritta integralmente e depositata solo al processo non dai carabinieri di Auricchio ma dai periti tecnici della difesa. Il giudice di Calciopoli la ritiene gravissima, almeno quanto quelle di Moggi. Scrive: «La conversazione è significativa anche perché presenta la comunanza di fiume di parole e discorsi di ampia portata, da cui il pm ha tratto elementi per dimostrare l’esistenza dell’associazione avente il capo in Moggi». La chiamata è quella col vicepresidente federale Innocenzo Mazzini (poi radiato) dove Franco Baldini preannunciava il ribaltone, poi puntualmente avvenuto: «Forse, se tu ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo farò perché io vivo per quello, fare il ribaltone e butterò tutti di sotto dalla poltrona (...) io ti salverò, forse». Baldini dice che con Mazzini stava scherzando. Per i suoi detrattori è invece l’ennesimo indizio dell’eterodirezione romana. Checché ne dicano i cultori del complotto, sul fronte «fughe di notizie» che sputtanò Juve, Lazio e Fiorentina niente è emerso sul duo Baldini-Auricchio: non risultano in contatto con chi fece il vero scoop di Calciopoli, e cioè il Romanista, giornale di tifosi non abituato a pubblicare atti coperti dal segreto. Ad Auricchio ci si arriva indirettamente solo attraverso un cronista della Ġazzetta dello sport , impegnato a tempo pieno a collaborare con i carabinieri romani di via in Selci. Nel processo è emerso che delle 171mila telefonate intercettate il pool dei carabinieri di Auricchio ne ha sentite tante trascrivendone, a dire tanto, tremila. E le ha segnalate sulla base di «baffi» colorati messi sui brogliacci accanto alle telefonate. Verdi, poco interessanti. Gialle/arancioni, interessanti. Rosse, molto interessanti. Il perito della difesa, Nicola Penta, con enorme fatica è riuscito ad ascoltarne 30mila in più ( arriviamo così a 33mila su 171mila) trovandone tante (Roma, Inter, Cagliari ecc) che pur avendo baffi gialli e rossi sui brogliacci, non sono state ritenute meritevoli di approfondimento. Addirittura il pm Giuseppe Narducci replicò sdegnato nella requisitoria nell’«abbreviato » a Giraudo, il 27 ottobre 2008, a chi paventava favortismi: «Piaccia o non piaccia» di telefonate di Bergamo e Pairetto con Moratti, Sensi o Campedelli, disse, «non c’è traccia». Piaccia o non piaccia invece quelle telefonate c’erano, ma son saltate fuori solo quattro anni più tardi grazie ai testardi consulenti difensivi. E non è un caso che il procuratore sportivo Palazzi ha concluso il suo supplemento di indagini ammettendo che se il reato non fosse stato prescritto anche l’Inter avrebbe dovuto essere sanzionata, anziché premiata. Ma è tutta l’inchiesta un mistero. Atti decisivi per le condanne o sono state nascosti o sono stati fatti sparire (il video dei sorteggi falsamente taroccati oppure l’audio dell’incontro a Villa La Massa a Firenze tra i Della Valle, Bergamo, Mazzini). Alcuni testi hanno mentito in aula e sono prossimi destinatari di avvisi di garanzia. Tante telefonate o non sono state mai trascritte o sono state mal trascritte. Si è evitato di riportarne alcune devastanti per trascriverne di inutili come il gossip sulla giornalista D’Amico, il peso e il nome di un neonato, il ragù nei rigatoni di casa Bergamo, i piatti lavati a casa Pairetto. Perché? Ancora dalla sentenza di Calciopoli: «La difesa è stata (...) molto ostacolata nel compito suo proprio dall’abnorme numero di telefonate intercettate, oltre 170mila, e dal metodo adoperato per il loro uso, indissolubilmente legato a un modo di avvio e sviluppo delle indagini per congettura...». Per congettura. Allo stesso modo, ragionando per congettura è lecito domandarsi perché non si è approfondito il «ribaltone » annunciato da Baldini o la telefonata tra l’allenatore Sandreani e il manager Zavaglia sull’intenzione dello stesso Baldini di prendere il posto di Moggi alla Juve col placet di Montezemolo. O perché non sono finite al processo le dieci e passa telefonate con la voce dei giallorossi Baldini e Pradè. Non si tratta di fare un processo alla Roma, piuttosto che all’Inter, al Cagliari, al Palermo, al Milan o a chicchessia. C’è da capire perché si è indagato a senso unico, quale fu il criterio della selezione delle chiamate, come mai i pm napoletani hanno lavorato coi carabinieri di un’altra regione. C’è da capire la genesi delle intercettazioni attivate a seguito dell’imbeccata sulla «combriccola romana» degli arbitri pro Moggi quando lo stesso Auricchio, in aula, le ha ridimensionate a un gruppo d’amici che nemmeno arbitravano a favore della Juve. Già, l’abuso delle intercettazioni. Criticato nel lontano 1996 dall’allora procuratore generale di Catanzaro, Giuseppe Chiaravalloti, che denunciò l’allora giovane capitano Attilio Auricchio (impegnato a indagare con un giovane pm Luigi De Magistris), perché anziché trascrivere correttamente «Provveditore generale » nei brogliacci, l’ufficio da lui diretto mise «Procuratore generale » col nome di Chiaravallotti accanto. Denunce e controdenunce finirono in archiviazioni reciproche. Quattordici anni dopo De Magistris è diventato sindaco di Napoli. Come capo di gabinetto s’è preso proprio il benemerito Attilio Auricchio. Come assessore ha nominato Giuseppe Narducci, il pm di Calciopoli amico di Auricchio e di De Magistris. ’O sindaco tifa Napoli, anche se da piccolo era interista. Sarà stato felice come un bimbo per non aver letto le intercettazioni del suo idolo di un tempo, il compianto Giacinto Facchetti, a cena con Bergamo, in contatto con l’arbitro Nucini e... (2. Continua) -
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laRovesciata di ROBERTO BECCANTINI (GaSport 23-02-2012) Allegri, Conte e il complottismo L'etica protestante e lo spirito del complottismo. Siamo lontani dalle manette di José Mourinho, e dai suoi ponderosi trattati sulle nequizie arbitrali (a meno che non fossero a favore, tipo il Mejuto Gonzalez di Inter-Chelsea); nello stesso tempo, però, qualcosa si muove. E qualcuno, ogni tanto, ristampa i sacri testi. Agnelli, per esempio, ha bacchettato Abete che aveva bacchettato Conte. Il quale Conte, prima di Juventus-Catania, aveva denunciato la carenza di rigori suscitando l'ira funesta del Ranieri interista, dimentico, costui, del liscio e busso che il Ranieri juventino dedicò alle papere di Bergonzi, una sera a Napoli: «Basta, abbiamo già pagato per Calciopoli». L'Allegri che ironizza sul gol della «maestrina» Chiellini (in sintesi: se l'arbitro lo avesse annullato, mi sarei proprio divertito) dovrebbe essere — così, a naso — lo stesso Allegri che bisticciava con il moviolista Paparesta, colpevole di aver sminuito il penalty su Pato a Bergamo, censura che costò a Mediaset (sic) l'embargo televisivo pre-derby. A Cremona, nemmeno gli «zingari» accettavano scommesse su quale dei tre presunti rigori non concessi in Parma-Juventus — Biabiany su Giaccherini, Barzagli su Giovinco, Santacroce su Pirlo — Zeman avrebbe fatto il nido: Barzagli su Giovinco, avevate dei dubbi? Il guru boemo resta il simbolo del calcio pulito, ma quando Sensi gli preferì Capello, perché «caro al palazzo», e insieme vinsero lo scudetto, la Roma romanista sciamò comunque per il Circo Massimo, parcheggiando il martire dietro alla ragion di stato. In attesa del verdetto (Ibra sì o Ibra no), Milan-Juventus prospera all'insegna del solito bar sport. Galliani potrebbe raccontare al suo mister quanto durarono le dimissioni («Irrevocabili») che diede nel dicembre del 1995, sullo slancio di un rigore negato da Tombolini in una sfida con il Toro: due giorni scarsi. Naturalmente, il detonatore era stata la somma degli sgarbi, non il singolo episodio (mano di Angloma). Memorabili i dossier della casta Inter e il «C'è posta per te» della Juventus cobolliana al designatore Collina. Non meno variopinti, e vaporosi, i brogliacci diffusi dal Napoli: ai tempi di Ferlaino, si spingevano fino alle amichevoli, oggi non più. Un passo avanti? Forse, a patto di non chiederlo ai tifosi. Il buon Lotito, scottato da un rigore negatogli contro la Juve quando la Lazio era ancora in lizza per la Champions, parlò di «tintinnìo di manette» (lui quoque) e invocò una «task force» che tenesse d'occhio moventi e movimenti degli avversari. Arrivato casualmente quinto, a un pelo dall'obiettivo (toh), si consolò appendendo al muro il ritratto di Petrucci e un plastico dell'Olimpico. Da che pulpito. Sono gli indignati a orologeria, eredi e naufraghi di Calciopoli dalla memoria lunga, in alcuni casi, undici metri e, in altri, addirittura 444 milioni di euro. Tutti a caccia degli arbitri, scudi umani del nostro scontento. Mourinho, da Madrid, prende nota dei progressi (Conte, meno vago; Allegri, più sciolto) e sottolinea le carenze: Marotta, poco belva; Galliani, troppo serpente; Beretta, troppo Beretta. Lo immagino annoiato, cupo: che barba, queste vigilie; che noia, queste lezioni. Bambini infiniti. E, quando fa comodo, incompetenti. -
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IL CASO INDAGINI A UNA SVOLTA Ora è ufficiale: Bergamini ucciso I Ris confermano Per i Carabinieri l'ex giocatore del Cosenza era già morto quando fu investito dal camion di FRANCESCO CENITI & ALESSANDRO RUSSO (GaSport 23-02-2012) Donato Bergamini è stato ucciso. C'è l'ufficialità alle anticipazioni fatte dalla giornalaccio rosa. Ieri i Ris di Messina hanno consegnato alla Procura di Castrovillari la perizia sugli esami effettuati in questi mesi: smontata la «verità» del suicidio alimentata in questi lunghissimi 22 anni da inchieste superficiali e lacunose, ma soprattutto dalle parole dei testimoni oculari, l'autista del camion e Isabella Internò, l'ex ragazza di Donato. La fuga dal ritiro senza motivo, l'ultima litigata in auto, il «tuffo a pesce» sotto le ruote del pesante mezzo, il corpo trascinato per 60 metri e una serie d'incongruenze rimaste nel tempo a offendere la memoria della famiglia Bergamini che ha sempre lottato per avere giustizia, fino a ottenere la scorsa estate la riapertura del caso sulla base del memoriale dell'avvocato Eugenio Gallerani. Le novità Adesso la «giustizia» invocata dai genitori e dalla sorella dell'ex centrocampista, non sembra una chimera. I Ris partono da un punto che ribalta tutta la storia: Bergamini era già morto quando è stato travolto dal camion. In altre parole è stata una messinscena: il corpo messo sulla strada dai suoi assassini che poi hanno cercato di alterare la scena del delitto, facendogli passare sopra l'autocarro. La certezza è arrivata analizzando (attraverso delle foto) le ferite riportate dal corpo di Donato e alcuni oggetti che indossava al momento della morte. Per il reparto d'investigazioni scientifiche dei carabinieri è praticamente impossibile che scarpe, orologio e catenina non abbiano riportato alcun danno nel trascinamento. I possibili moventi Il lavoro dei Ris si unisce a quello della Procura che in questi mesi ha sentito diversi testi, tra i quali molti ex compagni di squadra, come Michele Padovano. Le domande ora sono due: chi ha ucciso Bergamini e perché? Le piste seguite dagli inquirenti portano alla droga oppure a motivi passionali. Di sicuro il procuratore Franco Giacomantonio potrebbe nelle prossime settimane formalizzare una incriminazione legata all'omicidio volontario. A Cosenza gli ultimi sviluppi sono seguiti con attenzione. Da sempre il caso Bergamini ha appassionato la città che non ha mai dimenticato il suo ex giocatore: la battaglia del papà è stata sostenuta da un vasto movimento di opinione che non ha mai creduto al suicidio. Gianni Di Marzio, ex allenatore dei rossoblù e di Bergamini, ricorda: «Al funerale di Donato avevo detto al padre che ci voleva l'autopsia. Ora comincia ad emergere la verità. La famiglia merita giustizia». -
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CALCIOPOLI Prove “taroccate” partono gli avvisi Il video sparito e le foto manipolate sul sorteggio arbitrale, architrave dell’accusa a Moggi e Giraudo, fanno scattare un’inchiesta sull’indagine e sui due processi di Napoli di ALVARO MORETTI (Tuttosport 23-02-2012) ROMA. Eppur si muove qualcosa sul fronte delle ipotesi di falso e falsa testimonianza conseguenti alle clamorose incongruenze partorite dall’indagine e dal processo Calciopoli. A Roma sono stati aperti fascicoli sui fatti denunciati nelle scorse settimane e sarebbero stati già iscritti a registro un paio di personaggi che in ambienti di Procura vengono definiti figure chiave della vicenda del 2006. A dire il vero a far sbottare gli avvocati e taluni imputati e condannati dei riti napoletani la rivelazione di Tuttosport (e de “ Il Giornale ”) sul video scomparso dal fascicolo processuale del sorteggio preteso come truccato il 13 maggio 2005 e invece rivelatosi regolare. Si approssima la data dell’inizio del processo d’appello per il rito abbreviato, che il 15 dicembre 2009 portò alle condanne di Giraudo , Lanese e degli arbitri Dondarini e Pieri , ma il fatto che proprio la prova regina sul sorteggio taroccato che ha condizionato l’ipotesi di colpevolezza sia stata sottratta il 29 luglio 2009 (quattro mesi prima della sentenza: è stata visionata in camera di consiglio?) dal fascicolo e non sia nella disponibilità ora della Corte d’Appello scatena Gabriele Bordoni , legale bolognese di Dondarini. «Dopo la vostra rivelazione - ci dice - il re è nudo. Quando il 21 marzo ci presenteremo davanti alla quarta sezione del tribunale d’appello di Napoli la questione andrà chiarita preliminarmente: ri-presenterò un’istanza per sapere dove è finito il video, perché non ne sono ancora in possesso io, e chiedere conto di quel che si sta scrivendo su questa prova decisiva per la questione sorteggi. Eppoi ancora: qui ci si condanna per la trascrizione di alcune telefonate, dal 2009 a oggi abbiamo scoperto decine di telefonate di diverso tono e allora chiedo se questo tipo di parzialità nella conduzione dell’indagine ha un profilo di diritto, se segue il dettato costituzionale. Qui vediamo violazioni macroscopiche e alla corte chiederò se intendono eliminare dagli elementi a carico del mio assistito tutto quanto dovrebbe essere oggetto di ben altra indagine. Perché elementi decisivi per le sorti di un processo fanno questa fine? Abbiamo scoperto bobine inascoltabili, brogliacci incompleti, telefonate segnalate e non portate all’attenzione dei giudici, altre lasciate nel dimenticatoio. Si faccia pulizia di questa macroscopica serie di storture e giudicateci su quel che resta.. . Togliamo dal tavolo di chi giudica una volta per tutte il sorteggio truccato che truccato non era. Ed evitiamo allo Stato di dover spendere altri 400 mila euro per riascoltare e trascrivere le telefonate. Dondarini è stato pure vittima di errori per così dire ordinari: condannato per l’annullamento di un gol mai segnato. Ma sviste e travisamenti ci sono sempre stati nei processi». ATTI SPARITI Bordoni ha interessato ufficialmente il Ministero di Grazia e Giustizia. «Ho inviato una segnalazione ufficiale per come è stata condotto questo processo e l’indagine: se spariscono i pezzi di un processo, qualcuno ci deve spiegare perché. Se serve un’ispezione? Lo decida il Ministero. Di certo dopo l’assoluzione che noi chiederemo in appello, ci rivolgeremo in tutte le sedi per denunciare quanto capitato». Su certe questioni era stato chiarissimo Maurilio Prioreschi , uno degli avvocati di Moggi : «Non ero un pazzo che urlava in fase di arringa che quegli atti al centro del servizio di osservazione erano oggettivamente falsi. Se sia stata superficialità o altro lo vedremo. Io alla fine della mia arringa ho chiesto la trasmissione degli atti alla Procura di Roma per indagare su quanto successo in Calciopoli per i reati di abuso in atti di ufficio, falso ideologico in atto pubblico e calunnia in danno del mio assistito. Ma come si fa a scambiare il giornalista sorteggiatore per un dipendente Figc in divisa? Il pm Capuano chiedeva di visionare un video che non c’è eppoi si stupiva delle mie accuse in arringa, ma io non sparavo nel mucchio. E ora voglio la verità su quel video e sulla sequenza fotografica che, tra l’altro, ha condizionato l’indagine sportiva». Per la quale si attende a breve l’udienza finale dell’Alta Corte Coni sulle radiazioni di Moggi, Giraudo e Mazzini ... ___ IL PROCESSO RIPARTE Calciopoli dal 15 maggio alla Corte dei Conti Ma sarà battaglia per la competenza sul danno d'immagine di MAURIZIO GALDI (GaSport 23-02-2012) Il 12 maggio 2009 il processo Calciopoli davanti alla sezione regionale della Corte dei Conti venne sospesa in attesa della sentenza di Napoli. Tre anni dopo si riparte: il 15 maggio si torna in aula. Nel frattempo è cambiato il presidente della sezione, questa volta sarà a presiedere il collegio sarà l'aggiunto del presidente della sezione regionale, Ivan De Musso, che sarà anche relatore. Il procuratore sarà ancora Ugo Montella (viceprocuratore generale regionale). Agli imputati (cioè Mazzini, Bergamo, Pairetto, Lanese, Mazzei, Fazi, De Santis, Babini, Puglisi, Ambrosino, Bertini, Dattilo, Gabriele, Pieri, Racalbuto, Titomanlio) erano stati chiesti 120 milioni. Nel frattempo Paparesta e Cassarà erano stati prosciolti. Il 3 febbraio 2011 ci fu un'udienza dopo le sentenze del rito abbreviato e nonostante Gabriele (assolto all'abbreviato) chiedesse di procedere, tutto fu rinviato. Ora si riparte, anche se dalle eccezioni di competenza. Danno d'immagine Il dubbio che aleggia sul procedimento è quello della legge del 2009 che escludeva il danno d'immagine tra i compiti della Corte dei Conti. «Mi sono permesso di criticare quella legge come giudice - ha detto ieri il presidente della sezione regionale della Corte dei Conti, Salvatore Nottola -, dobbiamo vedere se c'è ancora la nostra competenza». La Procura comunque darà battaglia e sta proprio lavorando all'interpretazione dei limiti della legge del 2009. ALL’ALTA CORTE Lotito fa ricorso per rimanere consigliere Figc trafiletto non firmato (GaSport 23-02-2012) Claudio Lotito non accetta la sua esclusione dal Consiglio federale e ieri, tramite l’avvocato Gianmichele Gentile, ha depositato un ricorso contro la norma etica del Coni all’Alta corte per la giustizia sportiva presieduta da Riccardo Chieppa. Intanto è slittata la convocazione del Consiglio federale della Federcalcio. Si era pensato a martedì 28 febbraio, ma ora sembra che la data dovrebbe essere mercoledì 7 marzo. In quella riunione Lotito non dovrebbe essere convocato. laPuntura di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 23-02-2012) Evidentemente quando Petrucci ha pensato al tavolo della pace non immaginava che la nuova generazione di dirigenti del calcio si fosse formata con i film di Bud Spencer e Terence Hill. Anche loro due risolvevano le cose con i tavoli, e di solito uno non bastava. -
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Avv. Gallinelli: Se fosse stata lesa la corretta Amministrazione della Giustizia? della redazione di JUVENTINOVERO.COM 22-02-2012 [...] Una nota dell'avvocato Paolo Gallinelli - In relazione alle ultime indiscrezioni circa la possibilità che dagli uffici della Procura di Napoli sia sparito un video relativo ai sorteggi, riceviamo dall'avvocato Paolo Gallinelli, difensore di Massimo De Santis', e volentieri pubblichiamo la seguente nota. Sarebbe non solo paradossale, ma costituirebbe una gravissima compromissione della credibilità dell’apparato investigativo - giudiziario laddove dovesse emergere che l'Autorità Inquirente di Napoli, pur di ottenere una condanna per frode sportiva degli imputati nel processo calciopoli, abbia essa stessa, direttamente od indirettamente, “alterato lo stato dei fatti al fine di ottenere dal tribunale una decisione favorevole” all'Accusa (cfr. art. 374 c.p.). Una simile condotta, se inequivocabilmente accertata, sarebbe altamente lesiva di un principio fondamentale posto a tutela di tutti i cittadini: la corretta amministrazione della Giustizia. In tal senso, non potrebbe attribuirsi alcuna rilevanza al fatto che la Dott.ssa Casoria, nella sua motivazione, abbia affermato l’insussistenza di qualsivoglia alterazione dei sorteggi arbitrali, laddove la frode processuale si realizza anche con il mero tentativo di “condizionare” il libero convincimento del Giudice, trattandosi di un reato di pericolo a consumazione anticipata, proprio come i reati di frode sportiva contestati al mio assistito Massimo De Santis. [...] -
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Commento alla recente sentenza di Napoli sul c.d scandalo Calciopoli -
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Eh no cari juventini, a calcio vince il migliore. Ce l’avete insegnato voi Compagni e amici bianconeri, pur concedendovi molte attenuanti per le pene subite, non potete urlare al complotto, adombrare la sudditanza psicologica, fare la contabilità dei rigori. Se le vostre vittorie sono state regolari, lo sono anche quelle degli altri. di FRED PERRI (TEMPI.it 22-02-2012) Perché in questo spazio cinico e baro si costruisce spesso un ponte tra il calcio e la politica? Perché il calcio, come la politica, è l’arte della dimenticanza, il festival dell’incoerenza. Prendete la Juventus e i suoi milioni di tifosi. Ne hanno passate tante, che si prenda la storia del 2006 come oro colato o si consideri tutta la vicenda tutt’altro che chiara, come tutte le (fasulle) rivoluzioni italiane (io propendo per questa seconda ipotesi). Beh, comunque, dopo aver preso una botta terribile, sono tornati competitivi. Meglio, dico io, perché così ci divertiamo di più. Però, compagni e amici bianconeri, pur concedendovi molte attenuanti per le pene subite, non potete urlare al complotto, adombrare la sudditanza psicologica, fare la contabilità dei rigori. Non potete perché prima del 2006 c’eravate voi al governo, in campo e fuori, ed erano gli altri a recitare le stesse giaculatorie nei confronti della Juve. Se pensate che le vostre vittorie siano state regolari, adesso non potete sostenere che quelle degli altri non lo sono. Rimango uno dei pochi a pensare che la Juve vinse regolarmente sul campo i due scudetti che le sono stati tolti. Ma non si può essere garantisti solo quando pare a noi. Dal 2006 al 2010 l’Inter ha vinto perché era la più forte, poi è stata la volta del Milan per l’identica ragione. E se i rossoneri si ripeteranno sarà perché l’avranno meritato. Punto. -
Società di consulenza al lavoro per la possibile cessione di una quota minoritaria Moratti apre a nuovi soci per l'Inter Il presidente possiede la quasi totalità delle azioni e l'operazione non presenta grandi difficoltà dal punto di vista tecnico di LUCIANO MONDELLINI (MILANO FINANZA 22-02-2012) Massimo Moratti potrebbe presto aprire il capitale dell'Inter a nuovi soci. I rumor e le battute delle settimane scorse sul possibile ingresso di soci arabi hanno lasciato spazio a qualcosa di più concreto e alcune società di consulenza sarebbero già al lavoro per capire quale potrebbe essere il valore economico del club nerazzurro. L'obiettivo sarebbe quello di valutare un'eventuale cessione di una quota del capitale della società, che al momento sarebbe però minoritaria. Fonti vicine al presidente Moratti, interpellate da MF-Milano Finanza, assicurano infatti che il numero uno nerazzurro non è intenzionato a cedere la maggioranza del club né tantomeno una significativa quota di minoranza. Insomma non sarebbe ipotizzabile la vendita del 49%, né che le famiglia Moratti lasci a breve la presa sulla società calcistica tanto amata. Anche perché, a conferma della continuità familiare che Moratti intende perseguire, va ricordato che nel cda della società siedono due dei suoi cinque figli, Carlotta e Angelomario, e proprio quest'ultimo è stato nominato vicepresidente esecutivo del club in occasione del cda dello scorso 18 gennaio. Tanto che ormai viene considerato dai bene informati l'erede certo al vertice della società, quando il padre cederà il passo. In questo quadro, tuttavia, la possibilità che nei prossimi mesi nuovi soci entrino nel capitale dell'Inter (apportando, così, risorse fresche per il rilancio della squadra) è più che un'indiscrezione. Tecnicamente, d'altronde, l'operazione non presenterebbe soverchie complicazioni, visto che Moratti possiede quasi interamente la società nerazzurra. All'ultima assemblea degli azionisti (tenutasi a fine 2011), l'Inter risultava, infatti, controllata per oltre il 98% dalla Internazionale Holding, società a sua volta posseduta in maniera pressoché totalitaria da Massimo Moratti persona fisica. E le percentuali non sono mutate un granché neanche dopo l'aumento di capitale da 40 milioni deciso in quell'occasione per ripianare le perdite (pari a 86 milioni nel bilancio che si è chiuso a giugno 2011). In questo quadro l'imprenditore milanese potrebbe tranquillamente cedere una quota significativa del club, senza alterare granché gli equilibri di potere. Il punto è quanto potrebbe essere la valutazione esatta dell'Inter in termini economici. La stima non è affatto semplice, visto che, come la gran parte delle società calcistiche italiane, il club milanese non possiede uno stadio di proprietà. Ciò significa che, a parte il valore degli uffici e dei vari centri sportivi (Appiano Gentile e non solo), gli asset sono soprattutto immateriali, come per esempio il valore dei giocatori e quello del marchio. Certamente, però, si tratta di una delle società calcistiche più conosciute e gloriose al mondo, seconda in Italia solo alla Juventus per numero di tifosi e con sostenitori in tutto il pianeta. La rivista americana Forbes, che annualmente stila una graduatoria sui club calcistici più ricchi al mondo, ha classificato la società nerazzurra al decimo posto al termine della stagione scorsa, con un valore superiore a 304 milioni. Ovvio quindi che anche la cessione di una quota minoritaria potrebbe portare una grande sollievo alle casse del club, rilanciandone le ambizioni sportive.
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CALCIOSCOMMESSE «Incontravo i giocatori gioco 30 mila a weekend ma non trucco le partite» Le verità dello zingaro Ilievski: «Io e Gegic i boss? Ridicolo. In Italia gestisce tutto Gervasoni, tanti calciatori scommettono» di FABIO BIANCHI & FRANCESCO CENITI (GaSport 22-02-2012) «Sì, incontravo i giocatori per avere informazioni sulle partite e poi scommettevo a colpo sicuro. Certo, a volte li pagavo per questo, ma non faccio parte di nessuna organizzazione: il denaro che offrivo era mio. A volte vincevo, ma poteva accadere anche il contrario. E allora rivolevo i soldi indietro. I giudici, però, mi accusano di tante cose non vere. Il 70 per cento di quello che si dice non è vero. Perché non mi costituisco? Ho visto troppe situazioni non corrette. Potrei farlo e sono disposto a sottopormi alla macchina della verità per dimostrare che non mento. Ma ormai giornali e tv mi hanno identificato come un boss. C'è troppa pressione mediatica, non ho nessuna garanzia di un processo corretto. Si scrive che avessi rapporti con giocatori di A e io non ne ho mai conosciuto nessuno. E poi i calciatori per uscire dal carcere hanno scaricato le responsabilità su me e Gegic. Ecco perché non mi muovo da Skopje, dove la legge mi protegge e non permette la mia estradizione. Però voglio dire la verità, desidero riavere la serenità nella mia famiglia». Sono passate le 10 di sera quando Hristyan Ilievski ci risponde al telefono. Lo «sfregiato», com'è indicato nell'inchiesta, ci racconta la sua versione, limitando al minimo indispensabile il ruolo nella vicenda del calcioscommesse. Lo fa in un inglese comprensibile, ma il suo racconto lo è un po' meno. La procura di Cremona ha chiesto il suo arresto dal 19 dicembre non in base alle confessioni di alcuni giocatori (Gervasoni, Micolucci e Carobbio in primis e in modo parziale da Zamperini, poi Masiello) arrivate in una fase successiva e che hanno semmai confermato i numerosi riscontri in mano agli inquirenti. Il pm Di Martino sul conto di Ilievski ha un fascicolo corposo: intercettazioni, tabulati, spostamenti in Italia negli alberghi delle squadre, incontri a Milano con indagati provenienti da Singapore, soggiorni con documenti falsi, numerosi contatti coi giocatori finiti nell'inchiesta. Insomma, forse il motivo che lo spinge a restare al sicuro in Macedonia è più da ricercare in questi passaggi che nella «pressione mediatica». Ma anche nella «verità» di Hristyan ci sono alcuni passaggi significativi. E fanno capire come il calcio italiano sia stato negli ultimi anni preda di bande fameliche alla ricerca del tarocco. Ilievski, lei respinge le accuse più pesanti. Allora che parte ha in questa storia? «Ve l'ho detto. Sono un gambler, un giocatore d'azzardo compulsivo. Ecco perché sono anche disposto a pagare chi mi dà informazioni. I calciatori sono una fonte privilegiata. Io mi gioco 20-30 mila euro ogni week end. A volte vinco, a volte perdo, e molto. Solo per Inter-Novara ho perso 10 mila euro». Dunque, non è con Gegic a capo della banda degli Zingari? «Ridicolo. Gegic è una persona normalissima. E non esiste affatto una banda. E poi perché zingari? Ecco un'altra stupidaggine (usa bullshit, ndr.). Solo perché siamo macedoni? Io non sono uno zingaro, lavoro in banca e sono un ex poliziotto». Ma secondo la Procura di Cremona lei è uno dei boss. Con Gegic contatta i giocatori per corromperli. «Non è così. Certo, ho dato diversi soldi ad alcuni calciatori per avere informazioni. Ma non ho mai alterato direttamente una partita. Lo giuro sui miei figli (frase che ripeterà più e più volte durante l'intervista, ndr)». Quali giocatori conosce personalmente? «Ho incontrato Micolucci, poi una volta Carobbio. Ho incontrato anche Zamperini e Bellavista. E Gervasoni, che poi è quello che gestisce tutto in Italia...». Che cosa vuole dire? «E' Gervasoni ad avere i contatti con i suoi colleghi. Lui ha chiamato centinaia di volte, non io. Mi vendeva informazioni. E sceglieva anche squadre e partite. Se esiste un'organizzazione in Italia, il capo è Gervasoni. Ora piange, ma è lui che tira le fila». Ma non eravate voi a mettere i soldi? Con quelli di Singapore? «Il denaro che offrivo era mio. Gegic non è un giocatore come me, scommette poche centinaia di euro. Quelli di Singapore non so chi siano» Micolucci e Gervasoni raccontano di un incontro nella notte ad Ascoli. Con minacce e offerte per truccare una partita. «Nessuna minaccia, si parlava di una gara con il Novara. Pagavamo per quella informazione». E Zamperini che in una telefonata parla delle sue preoccupazioni: «Qui ci ammazzano tutti», gli avrebbe detto. «Si ho letto, non capisco da dove sia saltata fuori questa cosa». Sempre Zamperini sostiene che lui è andato da Farina per corromperlo offrendo i vostri soldi. «So anche questa storia. Lo ripeto per l'ennesima volta: al massimo noi pagavamo per avere informazioni dirette». Lazio-Genoa e Lecce-Lazio sono partite secondo i magistrati alterate da lei e Gegic. Che cosa dice? «Falso. Certo, sono stato a Roma e Lecce perché Zamperini mi aveva detto che si poteva ottenere qualche informazione per una scommessa. A Milano nell'albergo dei calciatori? Ero a Milano, ma non ho incontrato nessun giocatore. Non conosco giocatori di A. Ci ho provato, ma nessuno mi ha mai voluto incontrare». Neppure Masiello e gli altri ex Bari? «Sì, Masiello l'ho visto. Mi dato un'informazione sbagliata per Palermo-Bari e una buona per Bologna-Bari. So anche chi sono Parisi, Marco Rossi, Bentivoglio e Padelli. Ma non giocano in B?». Perché ha scelto l'Italia per questa attività? E' facile alterare le partite da noi? «I problemi del vostro calcio li conoscono tutti. Si sa che non è pulito. I giocatori che scommettono sono davvero tanti. Pochi in A, ma nelle altre serie sono la maggioranza. Vogliono fare la bella vita, come quelli di A, e hanno bisogno di soldi. E quando non sanno come pagare i vestiti o gli aberghi di lusso della moglie, come Micolucci, finiscono per vendere le informazioni al miglior offerente. Parlate di questa fantomatica banda degli zingari, ma vi posso assicurare che ci sono almeno due o tre organizzazioni reali che in Italia offrono soldi ai calciatori per truccare le partite. E spesso ci riescono. Ma non è il mio caso: ve lo giuro sui miei figli... Vorrei tornare e dire tutto, e Gegic tornerebbe con me. Ma dovrei avere garanzie, e la macchina della verità davanti». -
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IL NODO SOSPENSIONE Petrucci riapre a Lotito le porte della Lega Macalli: «Dalla Figc norme per fare pulizia in Lega Pro» di MAURIZIO GALDI (GaSport 22-02-2012) «Il Coni ha varato un codice etico per evitare che i presidenti (condannati anche in primo grado, ndr) possano continuare a svolgere incarichi da consiglieri federali o di Lega. Detto questo, è giusto invece che continuino a rappresentare le loro società». È nel suo saluto al convegno «Un contributo per nuove strategie di gestione delle società di calcio», organizzato dalla Lega Pro, che il presidente del Coni Gianni Petrucci lancia il giglio della pace a Maurizio Beretta, presidente della Lega di A, appena entrato nell'auditorium e, indirettamente, all'assente Lotito aprendogli le porte dell'attesa assemblea del 2 marzo. Si è parlato di riforma dei campionati, di legge 91, di legge sugli stadi, di normativa fiscale. «Il rinnovamento ci deve essere per tutti, non solo nello sport, ma in tutto il Paese — ha aggiunto Petrucci —. Il calcio ha i suoi problemi ma li affronta sempre al suo interno con grande serietà e competenza». Massima pulizia «Chiediamo alla Figc delle norme per impedire a determinate persone di inquinare il nostro mondo. Non le voglio più vedere, bisogna fare la massima pulizia a fine campionato, la moneta cattiva va scacciata per mantenere quella buona», ha detto il presidente della Lega Pro Mario Macalli, e sugli stadi: «Non vogliamo stadi fatiscenti e per questo è necessario che all'interno della legge ci siano anche le piccole società». E il presidente federale Abete è stato incisivo: «Il ministro Gnudi ha detto che entro giugno la legge ci sarà, ma se dovesse ancora tardare meglio metterci una pietra sopra». Contratto Macalli, ottenendo anche l'appoggio di Beretta, ha parlato di revisione della legge 91 e del contratto collettivo sostenendo l'ipotesi della «introduzione della figura dell'apprendistato sportivo». Sul piano fiscale, poi le proposte sono venute in particolare da Victor Uckmar che ha suggerito l'abolizione dell'Irap per le società in perdita; l'adozione di un regime fiscale agevolato per l'apprendistato; la riduzione dell'incidenza fiscale connessa agli stipendi dei tesserati visto che sono caratterizzati da picchi e sarebbe giustificata una tassazione separata da calcolarsi con l'aliquota pre-picco. ___ ALTRI GUAI DALLA PROCURA FEDERALE Trasferimenti irregolari deferiti Lotito, Zamparini la Lazio e il Palermo Le trattative riguardavano fra gli altri Zarate e Pastore Deferito anche l’allora diesse rosanero Sabatini Rischi: multe e inibizioni di EDMONDO PINNA (CorSport 22-02-2012) ROMA - Claudio Lotito, presidente della Lazio, e Maurizio Zamparini, patron del Palermo, sono stati deferiti ieri dal procuratore federale, Stefano Palazzi, alla Disciplinare per violazioni legate al trasferimento di alcuni calciatori. Con loro, deferite anche le due società, nonché - per quanto riguarda il club rosanero - anche il ds Sabatini, attuale direttore sportivo della Roma. LOTITO - La vicenda che ha coinvolto Lotito riguarda la trattativa legata all’acquisto di Zarate, inchiesta che due anni fa (marzo 2010) il Corriere dello Sport-Stadio aveva anticipato in esclusiva. A distanza di due anni, Palazzi ha formalizzato il deferimento. Tutto partì da una denuncia della Covisoc, c’era qualcosa che non andava nelle cifre della trattativa di Zarate e, successivamente, di Cruz, con mediazioni rispettivamente di 15 e 2 milioni. Troppi. Lotito è stato deferito per plurime violazioni agli articoli 1 (lealtà) e 10 (doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimenti, cessioni e controlli societari), nonchè degli articoli 3, 4 e 10 del Regolamento agenti. Una storia nella quale c’entrano l’agente Petrucchi (deferito), la società della quale era legale rappresentante, la Pluriel Limited, cui Lotito ha versato un compenso per il contratto di Zarate, ma anche la Van Dijk, società alla quale il presidente della Lazio ha conferito l’attività di scouting (ricerca e segnalazione di calciatori), nonché l’irregolarità nel perfezionamento del contratto di Cruz. Rischia dall’ammenda alla squalifica e all’inibizione temporanea che, solo per la violazione dell’art. 10, non può essere inferiore a tre mesi. Per la Lazio, la pena dovrebbe tradursi solo in un’ammenda. ZAMPARINI - Simile, per certi aspetti uguale, la vicenda che ha coinvolto Zamparini, Sabatini e il Palermo. I calciatori in questione sono Pastore, Yacob, Caballeros, Rinaudo, Morganella, Laribi, Acquah, Melinte, diverse gli agenti e le società di scouting coinvolti, davanti alla Disciplinare dovranno comparire anche gli agenti Simonian, Pacheco, Chirila e il segretario del Palermo, Felicori. Anche in questo caso, rischiano grosso i dirigenti. laPuntura di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 22-02-2012) Si parla sempre di più di riformare la giustizia sportiva. Il dibattito è aperto. Anche il presidente del Genoa, Enrico Preziosi, dice di avere una proposta. L'importante è che non la tiri fuori da qualche valigetta. -
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TONI SEMPRE PIÙ ACCESI DOPO LA MAXI RICHIESTA ALLA FEDERAZIONE 443 MILIONI La battaglia Juve-Figc Calciopoli ma non solo di ALVARO MORETTI (Tuttosport 22-02-2012) DICE: ma perché la Juve e la Federcalcio litigano così? A voler fare i banalotti ci sarebbero 443 milioni di motivi per spiegare l’astio tra Federazione e Juventus. 443 milioni come gli euro chiesti come somma risarcitoria per la vicenda dello scudetto 2006. Anche negli anni di Carraro, nonostante i teoremi di Calciopoli, di contrasti e liti di Via Allegri con Moggi e Giraudo ce ne furono eccome: basterebbe ripensare alle stagioni degli scudetti di Lazio e Roma, tra 2000 e 2001. Stavolta, però, la questione è diversa: la Juventus, anche grazie alla gestione del caso del ricorso sullo scudetto 2006, pensa che questo corso federale - considerato alla stregua di un coacervo di poteri da Prima Repubblica - sia uno dei grandi freni alla rivoluzione del calcio italiano. Un fatto: l’azionista di maggioranza della Nazionale sono i giocatori juventini, e la Nazionale è la fonte di reddito più importante della Figc. Per questo il contrasto attuale sembra quasi innaturale. A ripensarci ora quell’incontro del 21 settembre 2010 in Figc tra Andrea Agnelli e Marotta, con il presidente Abete e il suo dg Antonello Valentini che veniva a valle di 5 mesi (i primi di una lunga serie) di attesa che Palazzi muovesse una paglia nella sua indagine su Calciopoli 2, non deve essere andato benissimo: o meglio, non devono essersi capiti o forse capiti pure troppo. E non deve essere bastato ricordare di essere tifoso della Juve e appassionato di Stacchini. L’ESPOSTO Sta di fatto che da quando nel maggio 2010 la Juventus ha presentato il suo esposto e cominciato a richiedere par condicio nelle questioni legate a Calciopoli, dalla Figc sono arrivate - con circonlucuzioni infinite - una serie di porte in faccia. E la contrapposizione s’è estesa ad ogni ambito di politica sportiva. Oggi - per la prima volta dopo la lettera di Cobolli per i torti arbitrali post Calciopoli - siamo agli stracci anche sulle questioni tecniche. Il fatto è che c’è profondissima sfiducia sulla capacità di questa gestione dello sport italiano di poter portare il calcio fuori dalle secche in cui è impantanato. La vicenda Calciopoli, con l’azzeccagarbuglianesimo della “non competenza” sulla tardiva (14 mesi) ma chiarissima Relazione Palazzi trascinata fino al Tnas, ha tracciato un solco. Certo. AVVERSARI UFFICIALI Anche perché da agosto e ufficialmente Figc e Juventus sono avversarie nei tribunali ordinari: il Tar, la Corte dei Conti, la Corte d’Appello civile. E un accoglimento delle richieste enormi della Juve farebbe chiudere i battenti alla Figc e non solo. Il solco è divenuto canyon con le vicende di Lega, però, perché la strategia aggressiva e modernizzatrice dell’avvocato bianconero, Michele Briamonte, con l’appoggio forte e chiaro di Andrea Agnelli ma anche di John Elkann («Scudetto 2006? E la par condicio federale dov’è?»), ha dato impulso forte al movimentismo di Lotito, grande nemico dell’establishment del Palazzo sportivo (e personale di Petrucci). Il tira-e-molla che ha messo Abete nel ruolo scomodissimo di casco blu coi calciatori, col risultato che la firma annunciata, lo sciopero fatto non sono serviti ad avere il tutto nero su bianco per l’accordo ponte che sta già per scadere. ESTATE CALDA L’estate è stata piena di frecciate e ricorsi, di duelli nelle sedi istituzionali nelle quali la Juventus non ha mai fatto mancare la notazione di vedere la Figc sempre a braccetto con l’Inter resistente a mollare lo scudetto figlio della prescrizione sulla Relazione Palazzi. E l’estate s’è chiusa con la polemica dei 29 scudetti, figlia dell’invito accettato all’inaugurazione dello Juventus Stadium. A dire il vero anche i commenti al dopo sentenza di Calciopoli hanno dato il “la” a qualche considerazione polemica: Abete che ritiene confermato il quadro accusatorio che mise la Juventus in ginocchio nel 2006. Peccato che poi proprio le motivazioni, tagliando fuori la Juve dalle responsabilità per i fatti ascritti a Moggi, ci dicano l’esatto contrario. E l’ultima rivelazione sui sorteggi non truccati, base dell’accusa di Borrelli regala appigli sempre nuovi ai ricorsi Juve nelle varie sedi giudiziali esterne al mondo dello sport. Al di là e oltre la decisione del 18 luglio, quando proprio Abete e il suo consiglio federale si presero la responsabilità di dichiararsi non competenti, la crisi di fiducia nella struttura decisionale federale è totale: la Juve è con la Lazio di Lotito anche nello schieramento che resiste alla defenestrazione di Beretta, mentre la Figc si è messa sotto l’ala del Coni nella crociata contro. E la riforma della giustizia sportiva che proprio dal Palazzo ad H sta precipitando su tutte le federazioni piace poco meno di niente alla Juventus. Perché se da una parte - a cose fatte - concede il fatto che il consiglio federale sia sempre competente a decidere sugli scudetti, d’altro canto prevede l’ineleggibilità di chi ha promosso azioni legali contro la Federazione. Un nuovo Agnelli presidente-riformatore come fu il papà di Andrea, Umberto, negli anni ‘60 non è alle viste... E l’idea di una clausola anti-risarcimento è chiaramente rivolta a chi quella strada ha intrapreso per far valere, fuori dal consesso sportivo, i proprio diritti. E nella sede della Juve resta forte l’eco per la famosa frase di Abete «l’etica non va in prescrizione». TAVOLO DELLA PACE Sullo sfondo il tavolo della pace: lì Agnelli e Petrucci si misero sulla stessa lunghezza d’onda, bypassando la Figc, e qualche risultato forse s’è ottenuto proprio per questo. Ma è un tempo lontano, specie se tra questioni politiche e giuridiche si mettono anche le stilettate tra Aia, Can e Juventus e queste più recenti con Abete sulla questione arbitrale applicata alla sfida scudetto col Milan. Andrea, tutto un equivoco trafiletto di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 22-02-2012) Sono il testimone vocale delle dichiarazioni «decisamente inopportune» di Giancarlo Abete, ospite lunedì, come chi scrive, della trasmissione radiofonica «La politica nel pallone». A una domanda del conduttore Emilio Mancuso sulle esternazioni arbitrali di Conte, il presidente federale ha risposto, come sa fare benissimo, senza in pratica dire nulla che non fosse assolutamente scontato e politicamente corretto. Vogliamo rassicurare Andrea Agnelli: Abete, nell'ora di trasmissione, non ha parlato di Allegri, Ranieri, Luis Enrique o Mazzarri, come sembra di capire sarebbe piaciuto al presidente della Juventus, solo perché nessuno gli ha fatto domande su di loro. -
Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"
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BOARD DA RINNOVARE, IL PRESIDENTE PRONTO AD ANTICIPARE LA NORMA SULLE QUOTE Fiat e la svolta «rosa», Elkann valuta le candidate al cda Prima volta nella storia del Lingotto. Maria Sole Agnelli: «Non è nostra abitudine avere donne ai posti di comando» di PIERLUIGI BONORA (il Giornale 21-02-2012) Svolta in vista, per certi versi clamorosa se si guarda al passato, in casa Fiat. Riguarda l’inserimento nel consiglio di amministrazione, in scadenza ad aprile, di una o più donne. Sarebbe la prima volta, se il presidente del Lingotto, nonché azionista, John Elkann, deciderà in tal senso. A Torino si sta lavorando per un’apertura in questa direzione. La norma sulle quote rosa, che proprio ieri ha ottenuto il via libera dalla Consob, prevede infatti che l’ingresso di componenti donne nei cda delle società quotate sia vincolante dal 12 agosto. Siccome la Fiat rinnoverà il proprio consiglio in aprile, in occasione dell’assemblea dei soci convocata mercoledì 4, potrebbe tranquillamente saltare un turno e adeguarsi alla norma nel 2015. Elkann, però, non nuovo alla rottura degli schemi, starebbe già sondando le possibili candidate. Quante saranno le donne nel nuovo board dipenderà anche dal numero dei membri (ora sono 15 e, in questo caso, a termini di legge, le «quote rosa» avrebbero diritto a tre posti, ovverosia il 20%). Le intenzioni del presidente sulla lista dei membri, insieme alle eventuali conferme o meno dei consiglieri uscenti (sicura, a quanto sembra, è quella di Luca di Montezemolo) forse sono note solo all’amministratore delegato Sergio Marchionne. Sta di fatto che l’anticipata (e poi d’obbligo) apertura del cda al gentil sesso sarà una vera mossa contro corrente. «Non è nelle abitudini di casa Agnelli la presenza di donne nella stanza dei bottoni della Fiat - afferma al Giornale Maria Sole Agnelli, sorella di Gianni, seconda azionista nell’accomandita e, soprattutto, prima donna a essere entrata nel consiglio degli accomandatari; non ci sono mai state donne dirigenti. Al contrario, abbiamo sempre avuto delle ottime segretarie. E soprattutto molto potenti ». Maria Sole aggiunge anche di non vedere, in questo momento, figure femminili nell’ambito familiare che potrebbero essere prese in considerazione dal nipote John. «Nella famiglia - conclude ci sono invece tante brave studentesse ». Top secret, dunque, sulle intenzioni di Elkann alle prese con ben tre rinnovi di cda, tutti prima del fatidico 12 agosto: oltre a Fiat Spa, nuovi board anche per Fiat Industrial (assemblea il 5 aprile) ed Exor (il 29 maggio). E proprio la cassaforte Exor ha visto esordire, nel cda in uscita, una donna: la manager francese Christine Morin Postel. «La scelta dei membri del cda Fiat - spiega una fonte - è sempre stata decisa in funzione delle simpatie dell’azionista, degli appoggi che una persona garantisce, ma anche della sua competenza, proprio come nel caso di Marchionne». -
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Lui per ultimo, ma In Spagna non c'è stato solo Contador. Fuentes ha magheggiato per anni senza che le autorità spagnole si preoccupassero d'intervenire ufficialmente, anzi. Ultimamente i boriosi francesi hanno sollevato un polverone contro la inesistente, o meglio, ipertollerante, politica anti-doping spagnola. -
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Pensa che in Spagna probabilmente si bomba(va)no direttamente... -
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LA CONTROINCHIESTA I documenti Calciopoli, il giallo del video-fantasma sparito in procura Era la prova regina contro Moggi ma nelle immagini dei sorteggi arbitrali recuperate dal «Giornale» ci sono strane incongruenze di GIAN MARCO CHIOCCI (il Giornale 21-02-2012) La prova regina dello scandalo di Calciopoli che ha dato il là all’inchiesta su Moggi & co (le tenui motivazioni di condanna sono state rese note il 6 febbraio scorso) è un video. Che non si trova più. Il filmato ritrae, o meglio dovrebbe ritrarre, il taroccamento dei sorteggi arbitrali nella stagione 2004/2005. Il dvd girato il 13 maggio 2005 nel centro tecnico di Coverciano da uno dei carabinieri dell’indagine Off Side ha costituito materiale per la condanna a tre anni col rito abbreviato di Antonio Giraudo e di alcuni arbitri. Non solo. È stato utilizzato dal magistrato Francesco Saverio Borrelli, allora inquirente della Federcalcio, per imbastire il processo sportivo del 2006 che ha stravolto il calcio italiano con la retrocessione della Juve e la revoca di due scudetti. E soprattutto ha rappresentato il perno d’accusa dei pm napoletani Narducci, Beatrice (e poi Capuano) nelle indagini e poi al dibattimento. Un documento importantissimo. Peccato, però, che quella fondamentale ripresa audio-video nei fascicoli del rito ordinario e dell’abbreviato non c’è, nonostante della sua visione abbia parlato il pm napoletano Stefano Capuano nell’ultima udienza, l’9 novembre 2011: «Andate a vedere il filmato anche voi, il filmato parla chiaro (. . . ) rappresenta esattamente quanto vergato dal maresciallo Ziino, l’ho visto io,era senza audio». Impossibile per le difese avere copia dell’originale. Tant’è che la Corte d’appello di Napoli spiega che «il filmato da riprodurre non è in possesso di questa cancelleria» mentre il 23 gennaio 2012, la nona sezione del Tribunale, sottolinea che il video ce l’ha «l’ufficio di Procura dal 29 luglio 2009». Ce l’ha dunque il pm? La domanda ha un senso perché la stessa istanza, rivolta alla procura, è caduta nel vuoto. Perché non esce? E perché si è arrivati alle condanne (abbreviato, Federcalcio, Napoli) senza metterlo a disposizione degli imputati, lasciando a questi ultimi le fotocopie dei fotogrammi delle immagini estrapolate dal filmato? Durante la camera di consiglio del processo napoletano, al giudice Casoria che secondo alcune indiscrezioni ne avrebbe preteso la visione, sarebbe stato risposto che no, al momento, non era possibile dare un’occhiata come suggerito dal pm. Le difese sono certe che la sequenza delle immagini riversate nel rapporto del maresciallo Sergio Ziino non rappresenta il cronologico svolgersi degli eventi di quella mattina. Le foto sono mischiate. Ad arte o per sbaglio? Quel video è scomparso dalle aule giudiziarie ma è stato in parte trasmesso il 15 dicembre 2009, in una fiction de La7 su Calciopoli, poche ore dopo le condanne del rito abbreviato. E cosa si vedeva in quello spezzone? Che a differenza di quanto riportato nel rapporto del maresciallo, dove si asseriva che era stato il designatore Paolo Bergamo a estrarre la pallina «incriminata» dall’urna trasparente davanti a dieci giornalisti e altri testimoni (c’era pure un notaio), a tirar fuori la sfera dello «scandalo» è stato in realtà un cronista. Nel caso specifico Riccardo Bianchi, della Provincia di Como . L’interessato, nell’udienza del primo ottobre 2010 a Napoli, affermerà: «Arrivai a Coverciano 15 minuti prima del sorteggio (...). Pairetto, come da procedura, ha estratto le pallina con le partite, mentre io ho estratto quelle coi nomi degli arbitri (...). Nessuno mi suggerì di muovere la mano a seconda di colpi di tosse, e certo Bergamo e Pairetto non mi indirizzarono in alcun modo: l’avessero fatto nei giorni precedenti avrei potuto fare lo scoop della vita e sarei diventato famoso. Il sorteggio fu regolarissimo ». Di questo giornalista nel rapporto non c’è traccia. O meglio «nella foto numero 9» che lo ritrae viene invece definito «dipendente Figc» che indossa una «divisa ufficiale della federazione». A prescindere dal fatto che Bianchi è in abiti civili, quel che è più grave è che viene immortalato a cose fatte, a sorteggio effettuato, con Bergamo intento a leggere il nome dell’arbitro. Mentre nella foto successiva, la 10, si vede il segretario della commissione arbitrale Manfredi Martino portare le buste per l’estrazione, a urne ancora vuote, col sorteggio ancora da fare. Perché quest’inversione? Un abbaglio? Le coincidenze diventano troppe se si osservano le foto a seguire: nella numero «12» il tavolo è vuoto, le urne vuote, le sedie vuote, e dei designatori non c’è traccia. Le buste delle palline portate in quel momento da Martino sono intatte. All’improvviso, dopo un primo piano di Bergamo (foto 13), ecco la foto 14: tutti al loro posto, dietro al tavolo, buste intatte, urne vuote e il giornalista Bianchi pronto. Il clou arriva con la foto numero 17 quando, scrivono i carabinieri, «a Bergamo cade sul tavolo una pallina». In sentenza l’episodio dubbio viene platealmente ridimensionato. Il sospetto che l’errata disposizione delle immagini non sia casuale nasce dal fatto che è la sequenza delle fotografie estratte dal video (fantasma) sembra fatta apposta - ad occhi disattenti- a dimostrare l’inciucio. Ma come poi dirà il giudice Casoria nel motivare la sentenza di condanna di Moggi «che il sorteggio non sia stato truccato è emerso in maniera sufficientemente chiara al dibattimento. Incomprensibilmente il pm si è ostinato a domandare ai testi di sfere che si aprivano, di sfere scolorite, di altri particolari, se il meccanismo del sorteggio per la partecipazione a esso di giornalista e notaio era tale da porre i due designatori nell’impossibilità di realizzare la frode». Per la cronaca nessun giornalista convocato per i sorteggi è stato interrogato durante le indagini. Quando sono sfilati al processo hanno smentito grossolanamente le elucubrazioni degli inquirenti. Che ci voleva ad ascoltarli prima? E ancora. Sui sorteggi taroccati i pm forse avrebbero fatto bene a dare un’occhiata all’archiviazione dell’inchiesta di Torino (pm Maddalena, estate 2004) nata su ipotesi di doping e finita ai presunti intrallazzi di Moggi, Pairetto e Giraudo (tutti assolti). Bene: nella richiesta di archiviazione, poi accolta, si legge:«È uno dei designatori che materialmente estrae dall’urna la pallina della partita, mentre è materialmente un giornalista sportivo a estrarre dall’altra urna la pallina dell'arbitro (...). Data la presenza di un notaio e di un giornalista (mai lo stesso per ogni sorteggio) pare fortemente improbabile, se non del tutto inverosimile ritenere che i sorteggi fossero truccati». In quell’inchiesta, per escludere intrallazzi nei sorteggi, fu determinante Manfredi Martino, segretario della Can (Commissione arbitrale di serie A) che per i pm di Napoli rappresenterà, al contrario, il teste chiave proprio sui sorteggi. Martino in dibattimento non ha fatto una gran figua. Nelle motivazioni viene definito prima «inaffidabile» e poi presentato dai pm «come colui che doveva far luce sulle irregolarità, quando ha solo prodotto un coacervo di risposte da presa in giro, tipo il colpo di tosse del designatore Bergamo nel bel mezzo del sorteggio dell’arbitro Collina, non imputato, per la partita Milan-Juve, nemmeno presente nei capi di imputazione ». (1. Continua) -
21 02 2012 Il campionato delle scommesse C’era una volta il campionato tranquillo senza scommesse, o quasi, e quelle che c’erano erano clandestine e davano fastidio al Totocalcio. È vero, c’era da sempre la cattiva abitudine di “suggestionare” qualche arbitro, oppure di concordare risultati tra club o allenatori o giocatori anche solo in “calcese”, un dialetto internazionale dell’ambiente, una specie di esperanto rotondologico fatto non solo di parole ma di gesti, sguardi, ammiccamenti. Poi, va da sé, le squadre che erano riuscite a salvarsi per tempo dalla retrocessione, non avevano particolari problemi di classifica né ambizioni e non navigavano nell’oro, vendevano le partite dell’ultima fase del campionato. Nel sereno reame di Calciolandia, però, nessuno si scandalizzava più di tanto. Si sapeva che era così e si tollerava, ogni tanto facendo saltare qualcuno per salvare la faccia e poter dire che dal frutteto dei piedi era stata tirata via la mela marcia. DI QUESTO andazzo però erano al corrente un po’ tutti gli addetti ai lavori e ai livori, e nella recita generale erano compresi alti dirigenti dello sport italiano e più bassi dirigenti di istituzioni e club. In questo pacifico mondo incantato arrivarono i denari delle tv e stravolsero il contesto. Il calcio era diventato ostaggio di diritti senza doveri, aveva continuato nella sua neghittosa amministrazione bancarottiera, si era speso tutto e non sapeva più come fare: i magheggi di cui sopra stavano impallidendo di fronte al buco nero del deficit. Così quando arrivarono i piccoli Stavijnski delle scommesse nel frattempo legalizzate, in parecchi pensarono di aver svoltato: la struttura del calcio arrangiato in toto o in parte, secondo le summenzionate cadenze stagionali, c’era già, predisposta a puntino. Si trattava di elevare a potenza il trucco, professionalizzando la faccenda. C’erano esperti del settore la cui annosa pratica si fuse con ex calciatori in cerca di denari, che a loro volta convinsero altri addetti al campo o ai dintorni di esso, fino ad arrivare agli indispensabili attori della pièce da manomettere, i calciatori (per ora non risulterebbero arbitri…). La cosa cominciò a funzionare, e attirò gli appetiti dei club che fino a qualche anno fa si accontentavano di qualche simpatico e contemplato (dalla tradizione.. . ) arrangiamento, non sentendosi per esso affatto in colpa. C’era, nel pallone dei pionieri, un modo di sistemare la cosa se non proprio tra gentiluomini almeno tra faccendieri, integrando le partite combinate con l’imminente calciomercato o accendendo una cambiale per il campionato successivo. SOLO CHE adesso, dopo varie pernacchiette di poco conto con scandali durati lo spazio di un pomeriggio, è scoppiato il bubbone, leggansi le inchieste delle Procure di Cremona, Bari e Napoli. Tre, per ora. E sono tutti preoccupatissimi, anche se per il momento non lo danno a vedere. Tutti: manutengoli, giocatori, ex giocatori, dirigenti, paradirigenti, alte cariche dello sport italiano. E stampa di complemento, con alle spalle una lunga e affettuosa tradizione “protezionistica” nei confronti del business pallonaro. E ci credo: se fare il giornalista è sempre meglio che lavorare, fare il giornalista sportivo può spesso diventare “holiday on news”, un’autentica ricreazione generale. Perché però tremano in tanti nel reame di Calciolandia e nell’empireo dello sport italiano? Appunto perché sanno benissimo come funzionava l’andazzo in un calcio sporco da un pezzo, e sanno altrettanto bene che il fenomeno invasivo delle scommesse con la sua codona di partite truccate si è rovesciato su una Rotondocrazia dalle regole deboli e di certo straviolate, in continua franchigia. Dunque temono che le inchieste delle Procure grazie al mestolone delle scommesse scoperchino una vecchia pentola di loro piena conoscenza. E se fosse così, qualcuno, e non necessariamente Adriano Celentano alla Domenica Sportiva…, potrebbe domandare urbi et orbi dove fossero i nostri eroi del settore, da me parzialmente ma puntigliosamente su elencati, mentre il calcio puzzava d’altro marcendo. Il superProcuratore della Federcalcio, l’ormai preclaro Stefano Palazzi, ci sta dando dentro con la sua inchiesta sportiva e i relativi interrogatori. NE SAPREMO presto qualcosa. Ma non vi sembra che uno scandalo che potrebbe dissestare il pallone in profondità meriterebbe un poco più di attenzione? Forse stanno tutti studiando come insabbiare, aiutati dal fatto che la sfida Milan-Juventus, l’immersione fantasmagorica nella Champions, il livellamento verso il basso foriero di incertezza delle altre cinque/sei squadre successive in classifica ecc., possa facilmente distrarci. Dopo averne scritto per una manciata di lustri, mi assumo la responsabilità della affermazione seguente: lo scandalo di “Calciopoli” in confronto a questo è nulla o quasi, è semplicemente la fotografia scattata male del calcio descritto all’inizio di questo articolo, con sfumature alte e basse. “Scommettopoli” lede alla radice tutta la pianta del campionato, anche toccando coloro che non c’entrano perché sicuramente ce ne sono, rendendola deforme e destinata a morire, o a sopravvivere in condizioni penose. Così stando le cose, vi segnalo il tuffo appassionato di Vucinic, sabato sera, nell’area del Catania per rimediare un rigore che manca alla Juve da un pezzo (ma c’aveva già pensato Chiellini a riscuotere...): un carpiato a gambe unite che andrebbe mostrato nelle scuole calcio per insegnare che imbrogliare non va bene (non c’è l’ho con il montenegrino, gran mezzo marinaio, ho preso lui come sineddoche). Certo, in confronto alle scommesse presumo che Napolitano possa riceverlo in futuro al Quirinale...
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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Italiane in Europa, aveva detto già tutto Zidane di RIO PALADORO (IL FOGLIO 21-02-2012) Il mistero del calcio a cavallo dei due Millenni è uno: perché negli anni Novanta in Europa vincevano solo le italiane e ora non più? Oggi vincono un po’ tutte, a fasi alterne. Noi siamo un po’ in declino, per problemi di budget, ma in generale c’è un livellamento che in nulla ricorda il predominio italiano di due decenni fa. Si posso fare tante congetture per spiegare il perché di quella supremazia ma alla fine, gira e rigira, la spiegazione è soltanto una e l’ha data Zidane nel 2002 in un’intervista al Monde: “Alla Juve – ha detto – prendevo la creatina. Al Real non ne prendo più, prendo solo vitamine”. Le squadre italiane andavano avanti a creatina. All’estero non veniva usata. Se fossimo stati negli anni Novanta, Lazio-Atletico Madrid sarebbe finita a reti invertite. -
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CALCIOPOLI L'ULTIMA SCOPERTA Sorteggi falsati? Che bluff! Gli incredibili errori della fotosequenza e del filmato non consultabile dai giudici La cronologia delle immagini dei carabinieri è illogica ma evidenzia che è un giornalista a prendere la sfera e non un uomo Figc come disse l’accusa di ALVARO MORETTI (Tuttosport 21-02-2012) NON BASTAVANO le telefonate occultate per 4 anni; non erano bastati i baffi rossi delle segnalazioni sulle telefonate “calde” trascurati quando erano attribuiti a personaggi di squadra che «non interessavano» a chi indagava sul malcostume nel calcio. C’è pure il mistero del video scomparso tra le prove e una relazione fotografica a supportare la tesi dei sorteggi truccati da cestinare. Ora vi spieghiamo perché. NON C’E’ E’ la voce del pm Stefano Capuano , l’8 novembre 2011, che riecheggia, mentre guardiamo le istanze andate buca degli avvocati difensori per avere visione del filmato del sorteggio arbitrale del 13 maggio 2005. Quel video nel faldone processuale che ha partorito la sentenza della giudice Casoria non c’è; e non c’è nemmeno nell’incartamento girato alla Corte d’Appello dall’ufficio del gup De Gregorio che condannò Giraudo e alcuni arbitri nel rito abbreviato del dicembre 2009. Sparito, meglio sottratto. Perché come scrive la Cancelleria della IX sezione del tribunale di Napoli «il documento richiesto è in possesso dell’Ufficio di Procura dal giorno 29/7/2009». Anche se le istanze riguardavano anche la Procura che ai legali risposta sul video non l’ha ancora data... IL SORTEGGIATORE A supportare quella che doveva essere la prova regina del taroccamento dei sorteggi - abbattuta dalla Casoria - solo la sequenza fotografica tratta dal video, passato per stralcio nella docu-fiction Off-Side su La7 il 15 dicembre 2009 e presente anche sul nostro sito Tuttosport. com, e commentata dal rapporto del maresciallo Sergio Ziino , autore del servizio a Coverciano. Peccato, però, che la sequenza fotografica e il suo commento a latere siano totalmente sballati: foto numerate in ordine crono. . . illogico, erronea attribuzione di identità e ruolo a chi materialmente svolgeva il sorteggio, non un imprecisato «dipendente Figc» come possiamo dimostrare pubblicando qui sopra proprio il documento prodotto dagli inquirenti, ma il giornalista scelto a rotazione dall’Unione stampa sportiva come ogni settimana. Nel caso di specie Riccardo Bianchi , cronista della Provincia di Como venuto apposta per l’occasione. E vestito non nella divisa federale, come scritto nei rapporti, ma con l’abito buono e la cravatta delle occasioni migliori. «GUARDATELO!» Ma torniamo alla voce di Capuano che nella controreplica e in extremis risponde alle accuse dei difensori, ad arringhe al veleno. «Più volte si è dileggiato sull’investigazione in merito ai sorteggi, io incuriosito sono andato a vederli, andate a vedere il filmato - dice accalorato alle giudici, l’unico pm rimasto, dopo gli abbandoni di Beatrice e Narducci - Il filmato parla chiaro, addirittura ricordo la difesa di Moggi che parla di falso per quanto riguarda servizio di Ocp: il filmato rappresenta esattamente quanto vergato nell’Ocp dal maresciallo Ziino, il filmato che ho visto io era senza audio (ma l’audio c’è: in tv si sente Pairetto pronunciare “Lecce-Milan” e il giornalista estrarre “ Trefoloni ” come pronuncia Bergamo, ndr). Non si palesa così come è voluto far credere questa assoluta distinzione: prima sorteggia Pairetto poi sorteggia Bergamo, c’è una sorta di confusione come descritta. Vi è il famoso colpo di tosse, vi è il colpo di tosse (...) Le palline si aprono, lo vedete, basta vederlo è agli atti del dibattimento: non si deve fare altro, si vede la pallina che si apre e si richiude. (...) Questa è la situazione e la potete vedere dai due filmati che avete in vostro possesso». Veramente no, non lo potevano vedere perché il filmato fantasma non c’è più: lo trovate sui siti, nell’archivio di La7, ha il sonoro e fa capire che proprio di quel 13/5/2005 si tratta (Lecce-Milan, arbitro Trefoloni, è la gara in cui venne fatto cambiare referto per fallaccio di Konan su Kaká ). LA SEQUENZA SBALLATA Il giornalista Bianchi in aula il 1° ottobre 2010 disse le cose come stavano (nessuno dei giornalisti, nessuno dei notai protagonisti del sorteggio fu mai interrogato in fase d’indagine), smentendo la sequela di errori commessi nella sua testimonianza dal capo investigatore Auricchio che affermava essere stato Bergamo ad estrarre. «Arrivai a Coverciano 15 minuti prima del sorteggio - disse Bianchi -, venni a sapere dopo che era stato filmato dai carabinieri. Pairetto, come da procedura a estratto le pallina con le partite, mentre io ho estratto quelle coi nomi degli arbitri (?). Nessuno mi suggerì di muovere la mano a seconda di colpi di tosse, e certo Bergamo e Pairetto non mi indirizzarono in alcun modo: l’avessero fatto nei giorni precedenti avrei potuto fare lo scoop della vita e sarei diventato famoso. Fu un sorteggio regolarissimo, assolutamente». Bianchi, però, è il protagonista anche del clamoroso errore di persona che troviamo nel reportage fotografico del maresciallo Ziino: del cronista nessuna traccia, perché viene scambiato (foto 9) per un «dipendente della federazione (lo stesso che successivamente ha collaborato con il Bergamo all’estrazione delle palline) mi chiedeva il motivo della mia presenza in quella sede ed io, senza qualificarmi, giustificavo la mia presenza. L’uomo non si presentava, ma aveva una divisa ufficiale della Figc». Quanti errori! L’uomo non è in divisa Figc e l’operazione del sorteggio è in pieno corso (foto A) con tanto di pallina appena estratta dal Bianchi, con Bergamo pronto a leggere il nome dell’arbitro. La foto B, poi, è chiaramente riferibile ad un momento precedente: il notaio sta arrivando, le urne sono vuote. Beh, guardiamo allora la foto C: tavolo senza designatori, notaio e giornalisti e una sola urna, le buste con le palline appena portate, siamo alla fase preparatoria. Improssivamente alla foto D tutti al loro posto, ma palline ancora da inserire e buste chiuse. Alla foto E il colpo di scena (e non di tosse): Bergamo raccoglie una pallina caduta, «dopo averla sorteggiata», (è la fascia C, quella con i match più semplici di serie B). Epperò ha nell’altra mano la busta appena svuotata. Non è che la pallina è caduta mentre veniva inserita? A TORINO, INVECE... La domanda sull’ordine con cui vengono numerate le foto confrontata con la descrizione delle operazioni ci sta: seguendo le sole foto - senza il video - capire di che fasi del sorteggio si parli è impossibile. La giudice Casoria, rispetto a De Gregorio e ai giudici Figc, va a fondo e scrive in sentenza: «Che il sorteggio non sia stato truccato, così come sostenuto dalla difese, è emerso in maniera sufficientemente chiara al dibattimento. Incomprensibilmente il pm si è ostinato a domandare ai testi di sfere che si aprivano, di sfere scolorite, di altri particolari, se il meccanismo del sorteggio per la partecipazione ad esso di giornalista e notaio era tale da porre i due designatori nell’impossibilità di realizzare la frode». E a dire il vero allo stesso porto era approdato il procuratore capo di Torino, Maddalena , che archiviò l’indagine su Calciopoli: «E’ uno dei designatori che materialmente estrae dall’urna la pallina della gara, mentre è materialmente un giornalista sportivo ad estrarre dall’altra urna la pallina dell’arbitro (?). Data la presenza di un notaio e di un giornalista (mai lo stesso per ogni sorteggio) pare fortemente improbabile, se non del tutto inverosimile ritenere che i sorteggi fossero truccati». Ci erano arrivati senza video, a Torino. La Juve ha pagato tarocchi inesistenti di ALVARO MORETTI (Tuttosport 21-02-2012) MA PERCHE’ è così importante ritornare sul mistero del video scomparso e - soprattutto - sulla sequenza fotografica che induce - irrimediabilmente per i disattenti (non la giudice Casoria, in verità) - all’errore di valutazione? Beh la sentenza del rito abbreviato condanna Giraudo (e alcuni arbitri) per le frodi nei sorteggi; Borrelli - addirittura - fonda l’accusa, poi passata col copia-e-incolla da Palazzi e dai giudici Figc sul fatto che Bergamo menta sul sorteggio taroccato. Ebbene, Bergamo non mentiva sul sorteggio, qui ci sono le prove, e nemmeno sui rapporti telefonici e conviviali con Facchetti e gli altri. LA SENTENZA GIRAUDO Leggiamo, allora, il passaggio della sentenza di condanna del rito abbreviato, che dal 21 marzo verrà esaminata in appello a Napoli: «Deve rilevarsi che le notizie fornite da Martino ebbero riscontro da positivi accertamenti di Polizia giudiziaria; invero i solerti (sic! Ndr) carabinieri - scrive a pagina 109 delle motivazioni De Gregorio - per due volte si recarono, e da credere sotto mentite spoglie (da soli? Ndr), a metà ed alla fine del campionato presso le sedi dove si svolgevano i sorteggi e verificarono in entrambi i caso che le importantissime sfere contenenti i nomi degli arbitri e delle gare da abbinare tramite sorteggio erano riempite e imbustate prima in luogo riservato e poi portate all’ estrazione in buste sigillate, come in effetti riferito anche da Martino. La valutazione degli elementi probatori sul punto induce a ritenere provato, nel compendio complessivamente emerso, che il “sorteggio” in realtà non era tale e cioè affidato alla Dea Bendata ma che, al contrario, era ampiamente pilotato - espressione del resto più volte adoperata dai designatori su argomenti attinenti alle scelte degli arbitri». LA RELAZIONE BORRELLI Nella relazione di Borrelli, capo degli investigatori Figc, ovvero nel documento d’accusa che ha inchiodato la Juve e gli altri puniti della prima Calciopoli, si tratta del sorteggio a pagina 21. Se ne parla come di un elemento primario della frode: «Bergamo ha sottolineato che da allora (stagione 2002-03, ndr) “non si è mai più fatto un sorteggio senza la partecipazione attiva di un giornalista” e comunque “da quella data non ho più estratto una pallina dall’urna”. L’ultima affermazione contrasta con le prove acquisite dal Nucleo Operativo dei carabinieri del comando provinciale di Roma. Dal servizio di osservazione svolto a Coverciano il 13 maggio 2005, infatti, risulta che Bergamo eseguiva direttamente la fase della estrazione delle palline dall’urna (cfr. Le foto contenute nel servizio di osservazione eseguito dal Nucleo Operativo CC del comando provinciale di Roma del 13-5-2005)». Ebbene sì, proprio “quel” servizio foto smentito dalle immagini di un video ritirato dalla Procura di Napoli il 29 luglio 2009.