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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
LA STORIA Platini, Europeo scomodo Anonymous all'attacco La situazione nebulosa, dal punto di vista della democrazia, che si stanno verificando in Ucraina, potrebbe creare problemi di immagine del presidente dell'Uefa. Dall'arresto dell'ex premier Yulia Tymoshenko, al maltrattamento degli animali randagi, ai sospetti sugli appalti per strade e stadi: e gli hacker attaccano di LUIGI PANELLA (Repubblica.it 01-02-2012) Riuscire a mediare tra propositi di rinnovamento del sistema calcio e 'convivenze' scomode è impresa improba nell'era della tecnologia più avanzata applicata a internet. Ne sa qualcosa Michel Platini, costretto a fare i conti con Anonymous, che ha preso di mira il sito dell'Uefa ed il suo presidente in vista dello svolgimento dei prossimi Europei di calcio in Polonia e soprattutto in Ucraina. Un esercito di hacktivists, pronti all'azione diretta in stile Hacker, aggregazione solo apparentemente slegata di opinioni, termometro dell'evoluzione a ritmi frenetici dei tempi: in pratica, il corteo di piazza trasformato in protesta telematica. Una sorta di legione informatica che, senza entrare nel merito della liceità dell'azione, usa l'eclatante mezzo di protesta generalmente per la rivendicazione di diritti civili. Ma Anonymous versus Platini quando nasce? Le origini del dissenso prendono il via da lontano. Il progetto di riforma portato avanti dall'ex fuoriclasse della Juve alla guida dell'Uefa è stato chiaro subito dall'inizio: pur tenendo conto delle tradizionali potenze del calcio, apertura più ampia possibile verso i paesi piccoli, nei campionati Europei (l'edizione del 2016 avrà 24 squadre alla fase finale) ed in Champions. In tale contesto, la favola dei ciprioti dell'Apoel Nicosia, può essere celebrata come un suo trionfo personale. Platini ha puntato forte anche sull'est: la cosa gli ha portato consensi e soprattutto voti. La scelta di Ucraina e Polonia quali sedi per la prossima rassegna continentale suscitò polemiche anche al momento della scelta, ma continua a generarne a getto continuo. Stringendo il discorso all'Ucraina (oggetto della protesta), nel mirino non ci sono gli stadi, o l'organizzazione, ma la situazione democratica nebulosa che vive quel paese. Il caso di Yulia Tymoshenko, sta destando scalpore. Accuse sommate ad accuse, tanto che l'eroina della rivoluzione arancione del 2004 è stata arrestata. A nulla sono valse le ondate di protesta, portate avanti a livello internazionale anche dal campione del mondo dei pesi massimi di boxe, il popolarissimo Vitali Klitschko: le condizioni di detenzione della Tymoshenko sono a dir poco discutibili, tanto da rendere necessario anche un ricovero in ospedale. Il responsabile di questa deriva autoritaria viene identificato nel presidente filorusso Victor Yanukovich. E Platini, che farà? Potrà evitare la stretta di mano con Yanukovich mentre questo si godrà il bagno di folla durante le partite dell'Ucraina?. Difficilmente potrà esimersi, e la situazione è ancora più scomoda con il moltiplicarsi delle denunce. Video che circolano su internet e che testimoniano i metodi brutali per l'eliminazione - termine forte ma purtroppo calzante - degli animali randagi. E poi le voci, per ora sottili ma in futuro probabilmente tuonanti, sui rapporti tra il governo di Kiev e le imprese destinatarie di convenientissimi appalti per la costruzione di stadi e strade, ed ancora frange di giovani nazionalisti capaci di creare seri problemi di ordine pubblico, e chi più ne ha più ne metta. Non sono certo questioni sottovalutabili per un uomo che fa del fair play finanziario la propria bandiera. Una sorta di frullatore di contraddizioni per uscire indenne dalle quali le 'Roi' dovrà fare ricorso a tutta la sua diplomazia. Basterà? Anonymous è in agguato... -
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Galliani, ma secondo Lei noi dormiamo? di ALESSIO EPIFANI (JUVENTINOVERO.COM 01-02-2012) Caro Presidente, tutti i bollettini meteorologici per i prossimi giorni, e in particolare per il fine settimana, prevedono condizioni climatiche proibitive, quali non se ne vedevano da 27 anni: a Milano, neve e temperature fra gli 8 e i 10 gradi sotto lo zero. In queste condizioni, credo fortemente che giocare una partita, quale Milan/Napoli in calendario per le 20,45 di domenica 5 febbraio, sia assai più che inopportuno. Le condizioni davvero estreme che tutte le fonti prevedono, mi inducono pertanto a chiederti, anche in applicazione dell'art. 31, comma 2, dello Statuto-Regolamento della LNPA, di differire la partita predetta a data nella quale sia climaticamente possibile disputare una gara normale. Confido che la mia richiesta sia accolta e, in tale attesa, grato dell'attenzione, ti saluto cordialmente. Adriano Galliani Con questa lettera pubblicata sul sito ufficiale dell'A. C. Milan, Adriano Galliani apre a una nuova era di quel Circo Medrano che è ormai diventato il calcio italiano: l'era dell'autogestione. Eh sì, non ci lamentiamo forse da sempre che le istituzioni sportive sono vecchie e guidate da gente inadeguata? Ebbene, il sciur Adriano ha la soluzione: facciamo come cązzo ci pare. Anzi, meglio: facciamo come dico io. La cosa incredibile è il silenzio mediatico in cui tutto ciò avviene. E sì che non bisogna essere dotati di chissà quale coraggio eh... ma un minimo di capacità di indignarsi, è ancora rimasta a qualcuno? L'uomo è quello che è, lo conosciamo: è quello dei riflettori di Marsiglia, quello che non parla mai di arbitri tranne quando non gli danno un fallo laterale, quello che è sempre brillante coi giornalisti quando vince ma litiga persino con Abatantuono quando perde e se ne va via indignato da Controcampo (sì, avete capito bene), quello che nega le interviste a Mediaset (sì, avete capito bene) perché Paparesta è poco allineato. Quello che rimedia la figuraccia Tevez ma nessuno glielo fa notare, anzi manca poco che Maxi Lopez non diventi il nuovo Van Basten. Sarà per questo che si sente in diritto ormai di andare oltre ogni limite del pudore, con un comunicato-lettera che sulla stampa narcotizzata italiana finisce buttato lì, tra il rinvio di Bologna-Fiorentina e quello di Siena-Catania. Galliani, quello del "Secondo Lei io dormo?" sibilato a Meani, ci ha riprovato. Deve avere una certa fissa per i calendari, siamo sicuri che non ci dorme la notte. E stanotte, magari ispirato dal rinvio di Parma-Juventus, ha partorito il nuovo colpo di genio: autogestione! Chi l'aveva mai vista una richiesta di rinvio recapitata con quattro giorni di anticipo? E soprattutto, quali "bollettini meteorologici" consulta Galliani? Perché noi, terra terra, abbiamo guardato su meteo.it e per domenica sera a Milano di neve non se ne parla, e la minima risulta essere -5, non "tra gli otto e i dieci gradi sotto lo zero" come scritto nella lettera. E allora cosa bisogna fare, rinviare per freddo? Certo, a voler essere maliziosi si potrebbe guardare il calendario e vedere che Milan-Napoli sarebbe la terza partita in una settimana e che arriverebbe proprio tre giorni prima della semifinale di andata di Coppa Italia contro la Juventus. Rimandarla a dopo il turno di Champions, uno potrebbe pensare, sarebbe proprio una bella cosa (e infatti anche De Laurentiis sembrerebbe non disdegnare l'idea). Ma appunto, questa è proprio malizia fine a se stessa. Una volta che abbiamo un dirigente così lungimirante, in grado di vedere i problemi prima degli altri, stiamo pure qui a fargli le pulci. E a voi, cari lettori, vi avanza per caso una partita da rinviare? Non so, avete già preso il biglietto per domenica ma vi siete beccati proprio adesso l'influenza? No problem: scrivete una lettera a Beretta. Evviva l'autogestione. -
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Il Fisco chiede l'Iva e i club si cautelano: dimezzate le comproprietà nel mercato di gennaio di GIOVANNI CAPUANO dal blog "Calcinfaccia" 01-02-2012 Sarà certamente un caso, però da quando l'Agenzia delle Entrate ha messo nel mirino il sistema delle comproprietà chiedendo alle società chiarimenti sul versamento di Iva e Irap legato alle plusvalenze degli scambi tra calciatori, l'utilizzo di questo strumento si è più che dimezzato. Nell'ultima sessione di mercato invernale appena chiusa la Lega Calcio ha registrato sotto la voce 'partecipazione' la miseria di 14 trasferimenti su un totale di 263: poco più del 5% per uno strumento che negli anni scorsi era stato scelto come escamotage per alleggerire i bilanci e - secondo alcune inchieste giudiziarie - in alcuni casi anche per creare plusvalenze fittizie ed alleggerire i conti in rosso. A gennaio, invece, la comproprietà ha smesso di andare di moda. Un crollo vero e proprio considerato che solo in estate la percentuale era stata doppia: 50 'partecipazioni' su 487 contratti depositati con un'incidenza del 10, 2% e in tutta la serie A se ne contano attualmente circa 200. I presidenti hanno spiegato con forza nei giorni scorsi di non avere nulla da temere dai controlli del fisco: secondo le norme calcistiche, infatti, le compartecipazioni sono operazioni di natura finanziaria sulle quali non si paga l'Iva. L'Agenzia delle Entrate ha chiesto ai club di chiarire, però, cosa succede in caso di plusvalenza al momento del riscatto: va o no pagata l'Iva? Per il fisco sì e proprio per questo il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, e i vertici del mondo del pallone hanno aperto un tavolo di confronto alla presenza dei rispettivi tecnici per arrivare a una definizione senza la necessità di contenziosi pericolosi e antipatici. Sullo sfondo alcuni avvisi di accertamento relativi agli anni scorsi con multe per decine di club. La materia, insomma, è all'ordine del giorno. Il mercato, però, ha dato una prima risposta e il risultato è che la formula preferita per i trasferimenti è stata quella del prestito (188 contratti su 263) e anche le cessioni definitive hanno superato le comproprietà (61 a 14). Solo un caso? Certamente sì, oltre che il risultato della crisi che ha reso questa sessione invernale particolarmente povera di contanti con i club costretti ad arrangiarsi pur di non appesantire ulteriormente bilanci già in sofferenza. Chi ha continuato ad utilizzare le comproprietà come in passato è stata l'Inter: Viviano con il Palermo per oltre 4 milioni di euro, Livaja e Pedrabissi (Cesena) e i giovani Yao, , Galimberti, Crisetig e Mella inseriti con il Parma nel giro che ha portato Jonathan in prestito agli emiliani e restituito ai nerazzurri la titolarità del cartellino di Obi. La formula della partecipazione è stata scelta anche da Juventus e Genoa per il promettente attaccante del Pescara Immobile e da Juventus e Bologna per il doppio scambio Sorensen-Taider. Il resto sono operazioni di contorno: il centrocampista Nicolas Viola (a metà tra Reggina e Palermo), Marchi (Bologna e Piacenza) e Speziale (Milan e Lecce). Poi c'è il caso di Borini: era alla Roma in prestito dal Parma e le due società hanno rescisso il contratto temporaneo aprendone contestualmente uno di compartecipazione a 4,6 milioni di euro pagabili in due anni. "In ogni caso tutti siamo d'accordo che non c'è danno erariale perché, trattandosi di società, l'Iva che si versa poi si recupera e il saldo è zero" ha spiegato nei giorni scorsi il presidente della Lega Beretta. In attesa di capire, però, i club hanno scelto di muoversi diversamente. -
Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"
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Aumento di capitale Juventus: un nuovo socio in arrivo? di SALVATORE COZZOLINO (JUVENTINOVERO.COM 01-02-2012) Nella serata di lunedì è stato diramato dalla Juventus il comunicato stampa definitivo con riferimento all'aumento di capitale. Dalla lettura del comunicato si evincono alcune interessanti informazioni circa la composizione della nuova compagine sociale di Juventus F.C. Alla fine delle operazioni di aumento Exor detiene infatti il 63,8% del capitale, pari a 642.611.698 azioni su un totale di 1.007.766.660 in circolazione. Il dato fine a se stesso può sembrare privo di significato, in realtà nasconde una circostanza molto particolare. Exor infatti, come ricorderete, prima dell'avvio dell'aumento di capitale aveva dato la propria disponibilità a sottoscrivere, oltre ai suoi diritti di opzione, tutti quelli inoptati relativi al 7,5% del capitale in mano ai libici di LA.FI.CO, pari a 15.121.352 diritti per complessive 60.485.408 azioni di nuova emissione. Successivamente, nell'ambito del comunicato stampa del 18 gennaio 2012, che sanciva la conclusione della prima fase dell'aumento di capitale, Exor aveva rincarato la dose, dichiarandosi disponibile a sottoscrivere non solo l'inoptato LA.FI.CO bensì l'intero stock di diritti inoptati dopo la prima fase, pari a 25.429.225 diritti d'opzione per complessive 101.716.900 azioni di nuova emissione, pari a un controvalore di 15,1 mln di Eur. Come previsto dalla normativa vigente i diritti inoptati sono stati offerti in Borsa dal 23 al 27 gennaio e sono stati tutti venduti e sottoscritti, garantendo l'intero incasso dell'aumento di capitale. Secondo i nostri calcoli, nel caso in cui Exor avesse dato seguito ai suoi propositi, si sarebbe trovata con 706.387.730 azioni, pari a circa il 70,1% del capitale sociale. In realtà, dal comunicato di lunedì sera si evince che Exor ha in mano, post aumento, solo 642.611.298 azioni, pari a circa il 63,8% del capitale sociale. La notizia è quindi che, durante l'offerta in Borsa dei diritti inoptati qualcuno (diverso da Exor) ha comprato 15.944.108 diritti e ha sottoscritto 63.776.432 azioni di nuova emissione, pari al 6,3% del capitale della società Juventus. Chi ha comprato questi diritti e sottoscritto le azioni? E perché? E' evidente che a fare questa operazione potrebbe essere stata una pluralità di piccoli azionisti, che peraltro avrebbero potuto farlo anche durante gli ultimi giorni della trattazione regolare in Borsa dei diritti stessi. Ma è altrettanto verosimile (anzi probabile) che, viste le circostanze e il momento del passaggio di mano, questi diritti siano stati intermediati e rastrellati da qualche investitore istituzionale. Uno o più fondi d'investimento, ad esempio, oppure un privato, magari un nuovo socio che nel medio periodo possa affiancarsi ad Exor e sostituire LA.FI.CO come secondo azionista. Il mistero però verrà presto risolto. Se per effetto dell'operazione di rastrellamento dei diritti e della relativa sottoscrizione delle nuove azioni ci dovesse essere qualche azionista (persona fisica o giuridica) che ha superato la soglia del 2% del capitale circolante, questi dovrà darne comunicazione tempestiva alla Consob e alla società Juventus, ai sensi dell'art. 120 del Testo Unico della Finanza. Nei prossimi giorni quindi dovremmo capire chi, e a che titolo, ha comprato quel 6,3% del capitale. E' evidente però che tale comunicazione alla Consob potrebbe anche non esserci, qualora le azioni sottoscritte siano state divise su più intermediari in modo da non superare la soglia tecnica del 2% ed eludere in questo modo gli obblighi informativi. Resta comunque alta la possibilità che qualcuno, allettato dai prezzi bassi e da una società con un rilevante patrimonio immobiliare (stadio, nuova sede, Vinovo) e un marchio in forte ripresa, possa aver deciso di entrare nella compagine sociale per un investimento di lungo periodo. Nei prossimi mesi ne capiremo certamente di più. -
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Metà schermo, metà scherno di ROBERTO BECCANTINI dal blog "Beck is Back" 02-02-2012 Dietro ai rinvii di Parma-Juventus, Siena-Catania, Bologna-Fiorentina e Atalanta-Genoa non c’è soltanto l’emergenza neve (emergenza?). C’è la crisi, storica e cronica, di una classe di dirigenti senza classe (Petrucci, Abete, Carraro, Beretta: si salvi chi può), oltre alla bulimia che spinse Silvio Berlusconi a invadere il calcio e trasformarlo in un prodotto funzionale alle sue tele-ambizioni. Nei bordelli di Las Vegas sono le prostitute che dettano il prezzo. Nei lupanari del pallone, sono i clienti, sono le tv: Sky, Mediaset. Volete una montagna di euro? Bene, fatemi questo, e soprattutto fatemelo a quest’ora. Ci siamo capiti. Scrivo da anni che la serie A è obesa e che, con il Cavaliere in regia, i salotti sono diventati stadi e gli stadi non sono diventati salotti, tranne uno. Prendete, inoltre, il fatturato 2010 delle tre Grandi: i diritti tv incidevano per il 60% nel Milan, per il 62% nell’Inter e per il 65% nella Juventus. Paragoniamoli con le Grandissime d’Europa: Real Madrid 36%, Barcellona 44%, Manchester United 37%, Arsenal 38%, Chelsea 41%, Liverpool 43%, Bayern Monaco 26% (dati ricavati da «Vincere con il fair play finanziario» di Paolo Ciabattini). Da noi, la prostituzione non è solo intellettuale (Mourinho dixit), ma soprattutto televisiva: sia in regime di vendita individuale, come in passato, sia in ambito collettivo, come adesso. I calendari sono saturi: Francia, Inghilterra, Italia e Spagna hanno venti squadre, la Germania diciotto. Su un totale di oltre sette miliardi di diritti televisivi, non un euro – negli ultimi dodici anni – è stato dedicato agli stadi. Non uno. Soltanto la Juventus si è costruita il suo. Anche gli inglesi copulano di sera con Murdoch, ma volete mettere la qualità dei loro talami? Nessuno vuole rinunciare a nulla: nemmeno i giocatori, golosissimi. Metà schermo metà scherno: ecco l’Italia. ___ INCREDIBILE: FA FREDDO di ALESSANDRO VOCALELLI (CorSport 01-02-2012) Magari non di questa intensità, ma che al primi di febbraio facesse freddo, ci fosse il rischio gelate, e in parecchie zone sarebbe caduta anche la neve, l'avrebbe previsto anche un bambino nel luglio scorso. Quando invece i nostri dirigenti hanno piazzato il turno infrasettimanale e (notturno) appunto nel periodo storicamente più rigido dell'anno. Ma questo d'altronde è il calcio di oggi, in cui si litiga, ci si insulta, venendo quasi alle mani, si fanno roventi riunioni in Lega, senza minimamente soffermarsi sui problemi reali. Problemi di regolarità del campionato e di tutela dei tifosi da stadio: e chi se ne importa di quelli che si muoveranno, o magari hanno affrontato una trasferta, per vedere una partita rinviata o giocata in condizioni proibitive. Il problema, dicono, è nel calendario troppo compresso. Non per i nostri club, che chiudono i battenti per 20 giorni durante le feste natalizie, in cui la gente avrebbe avuto piacere di andare (magari di pomeriggio) in uno stadio. Come succede d'altronde anche d'estate, quando si gioca la Supercoppa Italiana. A Pechino. ___ Anticipo L’allenatore bianconero: «Non è vero che non volevamo giocare: bastava andare in campo alle 15» Neve e polemiche su Parma-Juventus Partita rinviata solo 45' prima del via. Conte furente: «Una vergogna» di ROBERTO PERRONE (CorSera 01-02-2012) PARMA — «Ci scommetto che nevica, ci scommetto dal freddo che fa» (Francesco De Gregori). Non ci voleva un mago, le previsioni, come sostiene un furente Antonio Conte, si conoscevano da giorni. L'attacco dell'allenatore arriva verso le nove, quasi a sorpresa. Ormai chi ha avuto, ha avuto, Parma-Juventus è stata rinviata (probabilmente il 7 marzo). Trattasi, anche se al contrario, come per Napoli-Juve, non disputata per sole, di farsa, improvvisazione, dilettantismo di tutti, a cominciare da una Lega assente e incapace di governare il più importante spettacolo del Paese. Il 6 novembre 2011 la decisione di rinviare (per pioggia) una partita in programma alle 20. 45 venne presa alle 12. 40 (e poi spuntò o' sole mio). Troppo presto. Ora il pronunciamento è alle 20, a 45 minuti prima dal fischio d'inizio. Non un po' tardi? Che cosa è successo? Riassunto di un'altra giornata grottesca per il calcio italiano. Parma viene investita dal nevischio intorno a mezzogiorno. Poi c'è un lungo intervallo. Alle 17 la neve riprende a scendere. Cominciano vertici, discussioni e voci più o meno controllate: il prefetto Luigi Viana ha detto sì, il Parma vuole giocare, la Juve no. C'è un battibecco tra i due amministratori delegati, Leonardi e Marotta. Alle 19.15 arrivano le squadre, la Juve in giacca e cravatta, il Parma in tuta. Anche l'abbigliamento esprime la posizione ufficiale? I cancelli, intanto, restano chiusi. Il campo è a posto, sebbene non riscaldato, sulle tribune c'è una leggera coltre bianca. Alle 20, dunque, si decide per il no. Lo spiega Stefano Perrone, responsabile del Tardini: «La situazione era sempre più critica ed è stato convocato un Gos, gruppo collegiale operativo straordinario: mancavano le condizioni, soprattutto per la viabilità di sicurezza». Tutto finito, nessuno contento. Pietro Leonardi, a.d. del Parma: «Mai detto che si doveva giocare, ma che si doveva arrivare a far decidere le autorità competenti. Ma io sono ancora arrabbiato per Parma-Palermo. Una nebbia fittissima, nessuno ha visto nulla, nemmeno i calciatori. Neanche una parola, però. Ci vuole uniformità, non solo quando giocano altre squadre». Cioé squadre importanti. Beppe Marotta attacca frontalmente Lega, Sky e stadio Tardini. «In Italia non si possono conciliare calendari del genere, con partite in notturna a gennaio, con strutture obsolete come gli stadi italiani». Fuori dallo stadio, un cinquantina di tifosi del Parma blocca i cancelli da dove dovrebbe uscire il pullman della Juve. Tirano qualche palla di neve, urlano contro i calciatori. Antonio Conte, irato, torna indietro: «Sono molto arrabbiato. Tutto questo era previsto, lo stadio di Parma non è quello della Juve. Mi dispiace aver sentito che io e la Juve non volevamo giocare. È una vergogna. I tifosi del Parma erano arrabbiati con noi ma la verità è che si poteva fare qualcosa. Tipo anticipare alle 15. Avremmo giocato e saremmo stati tutti contenti». Alle 22, quando al Tardini non c'è più nessuno, si ode, lontano, attutito dai fiocchi, il presidente di Lega, Beretta: «Il calendario è praticamente obbligato: non ci possiamo stupire oggi». Comunque la migliore della serata resta quella di Del Piero: «Una volta che gioco si mette a nevicare. Mi conservo la distinta. Speriamo valga per la prossima volta...». ___ UN MECCANISMO DA RIVEDERE (CON NUOVI STADI) La tivù paga e impone i calendari. Ma si può svoltare. La Juve... di ALESSANDRO DE CALÒ (GaSport 01-02-2012) Per giorni ci hanno spalancato gli occhi sul grande freezer in arrivo. Vento, gelo, neve, la settimana più fredda degli ultimi ventisette anni. Eccolo qua, l’inverno. Il nostro calcio malconcio poteva sperare di attraversarlo indenne e di farla franca? Evidentemente no. E’ chiaro, ci sono problemi molto più gravi. Città in stato di allerta, ospedali in tilt, persone in difficoltà, trasporti bloccati. Il calcio è un niente, in confronto, ma il problema che si porta addosso è maledettamente annunciato. Parma-Juve, il match saltato per la neve e appesantito dalle polemiche, è soltanto la punta dell’iceberg di un meccanismo che non funziona più: ha bisogno di correzioni. Già in mattinata è cominciato lo sfoglio della margherita: si gioca oppure no, vediamo, aspettiamo. Già, siamo in balìa. Vediamo cosa succederà oggi, con altre partite a rischio. L’allarme resta rosso. Si può organizzare un turno infrasettimanale di campionato con i match in notturna, nei "giorni della merla"? Secondo la tradizione, sono i giorni più freddi dell’anno. Si fa se la ragione che governa questa scelta risponde soprattutto ai palinsesti della tivù. C’è una logica: più gelo c’è fuori, per le strade e negli stadi, più sarò spinto a stare al calduccio su un divano, per godermi la mia bella partita davanti allo schermo, magari plasmato. La questione è che andando avanti così, si finisce col godere sempre meno. Il calcio italiano rischia di venir strangolato dalle necessità televisive che, naturalmente, continuano a essere la maggiore fonte di reddito per i club. Molti scalpitano, ma nessuno protesta apertamente perché ci sono in ballo un sacco di soldi. In realtà, il problema restano gli stadi: fossero nuovi, pieni e adeguati ai tempi, porterebbero più ricchezza ai club e farebbero felice la gente, senza togliere nulla alle tivù. Bisogna arrivarci. Intanto i calendari restano un incastro quasi obbligato, dettati dagli impegni internazionali, dalla pausa estiva, dalla sosta natalizia e dalla A affollata da venti club. A Parma, si è capito che gli emiliani volevano giocare, nonostante il maltempo, un po’ più della Juve. Si possono pensare molte cose, ma la chiave resta scritta nelle parole dette, alla fine della vicenda, da Giuseppe Marotta e Antonio Conte. Il succo è questo. Sabato, a Torino, si è giocata Juve-Udinese: c’era una neve siberiana ma nessuno se n’è accorto, perché lo Juve stadium è progettato per funzionare anche in queste condizioni. Il Tardini, che pure è un impianto super, appartiene a un altro secolo. Per dire, ad Amsterdam e Arnhem, in Olanda, da una quindicina d’anni ci sono stadi che possono aprire e chiudere il tetto, quando serve. Stadi cabrio, anti neve, anti nebbia, anti pioggia. Gli olandesi sono avanti. Hanno strappato chilometri e chilometri quadrati di terra al mare del Nord. Noi, dopo decenni, stiamo ancora discutendo se una diga che si chiama Mose farà bene o male a quella meraviglia che è Venezia. Ma coraggio, possiamo metterci d’accordo e riuscire a farcela. ___ A Parma vince la neve e perde il calcio dei miopi di TONY DAMASCELLI (Il Giornale.it 01-02-2012) D'accordo sui giorni della merla. Tutto previsto. Ma vogliamo parlare del calcio dei polli. O degli asini. Previsto anche questo. Cambiando l'ordine degli animali il prodotto non cambia. Nevica, saltano le notturne. Nebbia in val Padana, idem come sopra, niente football. Gelo da nord a sud. Non si gioca. Piove governo ladro, ma questa è un'altra storia anche se si hanno ricordi di arbitri muniti di ombrello. A gennaio può accadere, lo diceva Bernacca, lo conferma Giuliacci, basta consultare barometri e termometri. Dove sta la notizia? Ormai è un classico, una commedia prevista. Comandano le televisioni, con i loro milioni tengono in piedi il giocattolo costosissimo, senza quei soldi tutti i club, grandi e piccoli, sarebbero inguaiati, ridotti al calcio a cinque, alla faccia del ranking Uefa. Dunque il prime time, sarebbe la prima serata per chi non frequenta le lingue, è l'orario ideale per mandare in onda lo spettacolo più bello del mondo, una partita di pallone, anzi tutte le partite di pallone quando l'appuntamento è infrasettimanale. Il fatto coincide con la stagione peggiore e più rischiosa per il clima? Un dettaglio. Domanda: come mai il calendario delle coppe europee è sospeso in questo stesso periodo? Forse perché sono tutti in vacanza? O le meteorine si sono trasferite in Svizzera? O forse perché a Nyon ritengono che sia più intelligente e opportuno non sfidare l'inverno con tutti i suoi optionals? Eppure si lamentano tutti, allenatori e calciatori, così non si può andare avanti, protestano, si agitano. Scelgono, invece, il silenzio diplomatico, imbarazzato e imbarazzante, i dirigenti che pensano soltanto all'incasso televisivo per riequilibrare bilanci precari e pagare salari a se stessi e ai dipendenti. Se poi i tifosi sono costretti, in caso di nebbia, a immaginare l'evento, se poi i calciatori rischiano le gambe e altro sul ghiaccio e lo stesso azzardo riguarda il pubblico sulle gradinate polari, chissenefrega, tanto in tribuna d'onore ci sono coperte, the caldo e riscaldamento con serpentina e il montepremi è al sicuro. Non infierisco, la demagogia è facile e comoda, ma il problema sussiste e viene riproposto puntualmente. La sosta natalizia, in omaggio alle esigenze famigliari e turistiche dei calciatori, costringe poi a ricorrere ai turni di mezza settimana, infischiandosene dei tifosi in trasferta che in quei giorni dovrebbero lavorare. Nemmeno i teloni protettivi, il riscaldamento sotto il prato, gli spalatori volontari e a gettone, i trattori e i camioncini, riescono a modificare il quadro. Prevedo vertici per fissare nuove date ideali per il recupero, sempre di sera, ovviamente. Una volta si giocava il giorno appresso (ricordo, a memoria, un Toro-Milan, bloccata per una spettacolare nevicata al Comunale, con il presidente Orfeo Pianelli che fece questa testuale promessa: «Dumàn basteranno dieci spallatori», con doppia elle perché a spalle sarebbe stato sicuramente più facile). Bei tempi, senza tivvù e senza ranking. Fa freddo, da qualche parte nevica che è un piacere, la merla se la ride, in diretta su tutte le reti e su tutti i comignoli. ___ Calendario sbagliato, impianti inadeguati: sotto accusa non c’è solo il maltempo Un caso con i fiocchi Tempesta di neve, rinviata Parma-Juve e scoppia la polemica di MIMMO FERRETTI (Il Messaggero 01-02-2012) ROMA - Chissà, forse servirà da lezione. O meglio: la speranza è che almeno serva da lezione. Perché programmare un’altra volta un turno di campionato in notturna a cavallo tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio sarebbe un’impresa da Guinness dei primati paradossali. Pari (forse.. . ) a quella di mandare in campo due squadre alle ore 12,30 a metà agosto. È accaduto, non è detto che non accadrà. La partita di Parma, dove era attesa la capolista Juventus, ieri è stata rinviata per una tempesta di neve (a rischio l’incolumità degli spettatori, soprattutto: Juve d’accordo, Parma contrario e polemico). In dubbio per stasera ci sono altre partite e, per carità, che non si dia la colpa solo al Generale Inverno, che ha sconvolto anche il programma della Serie B. Colpa di chi, allora? Il presidente federale, Giancarlo Abete, ha idee chiare. «Ci si lamenta sempre quando arriviamo a questo periodo dell'anno, ma nel momento in cui i club decidono di valorizzare il mezzo televisivo per avere introiti si finisce per pagare pegno riguardo alle date e agli orari delle gare. Comunque è una problematica la cui piena titolarità è della Lega. In mancanza degli stadi e con un merchandising che non traina è inevitabile da parte dei club massimizzare gli introiti dai diritti tv», le sue parole. Insomma, tutto - per Abete - è riconducibile al fatto danaro. Possibile che sia solo questo? No, perché un ruolo altamente negativo lo giocano gli stadi italiani, vecchi, fatiscenti, molti ai limiti dell’inagibilità. Non è un caso, ad esempio, che l’altra settimana la Juventus abbia potuto giocare tranquillamente a Torino sotto la neve contro l’Udinese: stadio moderno, terreno di gioco moderno, zero problemi anche per gli spettatori. Beppe Marotta, dg della Juve, ne fa un vanto. «Calendario sbagliato, ma con uno stadio come il nostro questi problemi non ci sarebbero». E il tecnico Conte. «Si doveva fare di più, il problema è stato sottovalutato e noi ne paghiamo le conseguenze. Si poteva giocare alle 15. Adesso dobbiamo farci ore e ore di pullman per tornare a Torino». Le nevicate in Emilia Romagna dovrebbe proseguire anche oggi ma in maniera più debole nel capoluogo regionale. Il Bologna, che ospita la Fiorentina, ha provveduto a coprire il campo con i teloni e a spargere il sale sugli spalti dello stadio. Difficile prevedere l'agibilità del terreno, che verrà valutata in giornata. Non sembra a rischio Udinese-Lecce: la partita si giocherà regolarmente, insidie potrebbero arrivare dal terreno di gioco probabilmente ghiacciato. Non dovrebbe correre rischi anche Inter-Palermo: ieri è scattato il piano emergenza. A Bergamo ieri è caduto un leggero nevischio e - per ora - Atalanta-Genoa non sembra correre alcun rischio di rinvio. Allerta neve, invece, a Siena: il prato dello stadio Franchi ieri è stato coperto da teloni protettivi. ___ IL PALLONE SENZA TESTA di FABRIZIO BOCCA (la Repubblica 01-02-2012) NON si gioca. Che poi è normalissimo: se si mette in calendario notturno a fine gennaio una giornata di campionato - anzi due, c'era pure la B - è normale che non si giochi. In Italia funziona così, prima si sfida l'impossibile, poi al limite si litiga mentre gli spalatori si fanno il mazzo: c'è sempre una squadra (e un dirigente) che non vuol giocare, e gli altri il contrario. È successo pure per Parma-Juve, il Parma voleva provarci in slitta forse, la Juve no. L'impressione è che quasi nessuno parli nell'interesse generale, ma per il proprio: si fanno calcoli su incasso, infortunati, squalificati, sulle condizioni della squadra. Qualcuno borbotta sempre, eppure un rinvio è solo un rinvio, non una sconfitta o una vittoria a tavolino. A quanti altri teatrini del genere assisteremo stasera? Marotta ha ragione quando dice che i decrepiti stadi italiani non permettono certi azzardi (servono tribune interamente coperte, terreni riscaldati, strade e parcheggi agibili), elogiando cosi indirettamente la Juve, che uno stadio del genere se lo è costruito. E che ha superato già la prova neve sabato sera. Giustamente furibondo Conte per l'inutile viaggio a Parma e la follia di giocare alle 20.45 a scapito di un più prudente ore 15. I tifosi del Parma coperti di neve hanno a loro volta coperto di insulti il pullman della Juve che tornava a casa. In ogni caso, perché la Juve non è stata altrettanto dura, prima, con la Lega che da anni - infischiandosene dei precedenti insiste con i folli turni notturni in pieno inverno? No, nessuno parla mai prima. I calciatori per caso si erano rifiutati? Altri capoccioni del calcio avevano detto qualcosa? I prefetti avevano imposto altri orari? No. Torniamo sempre al solito, alla guida del calcio non c'è un organismo pensante ma Sky e Mediaset quando gioca il campionato e la Rai quando c'è la Coppa Italia. Più che con Beretta forse dovremmo protestare con Murdoch e Berlusconi jr. Bisogna pensare che sia colpa loro se si sfida l'impossibile infilando 21 partite di A e B proprio nei giorni della merla. E si deve pensare che i calciatori imbacuccati - addirittura ridicoli quelli in maniche corte e guanti di lana - i campi bianchi (a parte Parma, Genova e Modena, c'era neve anche a Torino, Brescia, Livorno e sottozero ovunque), e le pattinate sul ghiaccio servano allo show come il mago Otelma in mutande bianche all'Isola dei Famosi. ___ LO SPUNTO Per calciatori e tifosi il rispetto va sottozero di GUIDO BOFFO (LA STAMPA 01-02-2012) I dirigenti della Lega Calcio non leggono i giornali, non seguono i tg e probabilmente non ascoltano la radio. Devono avere un rapporto complicato anche con internet. Di sicuro considerano le previsioni del tempo un’impostura, come certi oroscopi. Fatto sta che la settimana più fredda degli ultimi 27 anni, annunciata con un preavviso da parto cesareo, in tutta Italia ha colto di sorpresa solo loro. Non si spiegherebbe altrimenti la decisione sconsiderata di confermare due campionati in notturna, nei giorni dei campi patinoire. Strepitosa la difesa di Abodi, presidente della Lega di B: «Quando si fanno i calendari ad agosto è impossibile prevedere se nevicherà a gennaio, a febbraio e persino a marzo». Ma certo, che nevichi a gennaio è un evento eccezionale. E correggersi in corsa, anticipando le partite alle 15, in un orario in cui Parma-Juve probabilmente si sarebbe disputata? Impossibile anche quello, perché le tv a pagamento versano l’obolo che regge il carrozzone e dunque dettano legge, cioè i palinsesti. La notturna infrasettimanale non si discute, si accetta. Il tifoso da stadio è una presenza trascurabile, marchiato dalla clamorosa colpa di esibire un biglietto anziché un telecomando. Non ha diritti, nemmeno il più elementare: assistere ad una partita di pallone anziché al gran galà del ghiaccio. E intanto più si intasano i calendari, più si frammenta il campionato, meglio riesce lo spezzatino televisivo. Non siamo nostalgici di «Novantesimo minuto» ma questo non è il futuro che avanza, è il futuro che brancola. E disprezza l’incolumità dei calciatori quanto quella degli spettatori. ___ Calcio sotto la neve Tutti protestano, nessuno interviene. E nel fine settimana a San Siro si arriverà a -14° di GIOVANNI CAPUANO (Blog PANORAMA.it 01-02-2012) Incrociare le dita e sperare che i metereologi abbia sbagliato previsioni e che davvero il vento siberiano che sta investendo l’Italia portando neve e gelo non faccia fino in fondo il suo lavoro. Il calcio italiano si scopre senza armi davanti a Generale Inverno e si lecca le ferite. La figuraccia di Parma con le sue polemiche potrebbe non rimanere isolata considerato che a Bologna, Siena, Milano e Bergamo non ci sono certezze che si giochi e, anche se accadesse, si andrà in campo in condizioni proibitive. Un copione destinato a ripetersi anche domani sera a Novara (posticipo contro il Chievo) e nel prossimo fine settimana: sabato sera va bene perché Roma-Inter dovrebbe svolgersi a temperature accettabili ma il posticipo di domenica tra Milan e Napoli, secondo gli esperti, potrebbe toccare addirittura i -14°. E alle viste c’è una settimana con la sfida tra rossoneri e Juventus di Coppa Italia (mercoledì ore 20,45) seguita a breve distanza da un altro turno spalmato addirittura su quattro giornate con partite a rischio altissimo di congelamento a Udine (Udinese-Milan ore 18 dic sabato) e Bologna (contro la Juventus domenica sera). Meglio incrociare le dita visto che soluzioni immediate non ce ne possono essere. I calendari sono dettati dalle esigenze delle televisioni che pagano profumatamente il prodotto e non accettano la logica della tutela del prodotto né, tanto meno, di programmare in inverno prime serate a base di sfide di Lecce, Cagliari, Napoli, Palermo e le altre del sud. Ascolti e abbonamenti si fanno con i grandi club soprattutto del Nord. L’ondata di gelo di questi giorni rappresenta certamente un fatto eccezionale, ma la Lega Calcio aveva programmato un mese di gennaio con 21 partite in notturna in 19 giorni di cui due terzi concentrate tra Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna: il rischio, dunque, era previsto e oggi fa sorridere chi se ne dissocia. Nella bufera è finita la Lega Calcio ma il suo presidente (dimezzato) non ci sta: “Il calendario e’ praticamente obbligato, impegni internazionali e competizioni nazionali li conosciamo tutti: non ci possiamo stupire - attacca Maurizio Beretta -. Il calendario ricalca quello di altri Paesi e non conta se la gara sia in notturna o meno, se c’e’ neve non cambia se e’ di pomeriggio”. La ricetta? Per le società è sempre la solita: “Una nuova generazione di stadi potrebbe dare un contributo importante” dice Beretta. I calciatori si lamentano però quando bisogna decidere se giocare di pomeriggio durante la sosta natalizia o ingolfare il calendario a gennaio preferiscono immolarsi sull’altare delle vacanze. Anche la voce di Damiano Tommasi, presidente AIC, suona stonata. A Panorama.it aveva detto: “Basterebbe coordinarsi meglio, però se rifiutassimo di giocare in notturna di inverno cosa direbbero? Chi organizza i campionati ha sempre considerato il calciatore come un lavoratore dipendente e non come una risorsa per il sistema”. Battere i pugni sul tavolo per rifiutare? “Noi possiamo solo decidere se giocare o meno e altri se andare allo stadio o meno. Ma è prima che bisogna farsi delle domande e capire cosa si debba privilegiare perché scegliendo il calcio visto solo in tv il rischio è abbassare la qualità. Per se noi tirassimo fuori la testa ci direbbero che siamo i privilegiati che hanno pure il coraggio di lamentarsi”. Gli altri? Defilato Petrucci: “Preferisco occuparmi di etica dello sport lasciando ad Abete il compito di riformare il campionato”. Riformare, appunto. Significherebbe serie A a 18 squadre, calendari meno compressi anche a rischio di scontentare i club che senza i soldi delle tv rischiano di sparire e che si stanno attrezzando a vendere altri pezzi del prodotto-calcio pur di incassarne ancora di più. Cosa ne pensa Abete? Chi lo ha intercettato dopo la figuraccia di Parma lo descrive come infuriato: “Nel momento in cui i club decidono di valorizzare il mezzo televisivo per avere introiti si finisce per pagare pegno riguardo a date e orari”. Punto. Margini di intervento quasi nulli. Il calcio italiano si consegna nelle mani di prefetti e addetti ai lavori. Questa sera - come ieri a Parma - alla fine saranno quelli del Gos (Gruppo Operativo di Sicurezza) a decidere se si gioca o meno. Arbitro e dirigenti ascolteranno e obbediranno come scolaretti. Poi a fine inverno si farà la conta dei sopravvissuti e magari ci si chiederà perchè una squadra come il Milan - campione in carica e in lotta per lo scudetto - fatica a riempire metà di San Siro e ha una media spettatori in picchiata rispetto all’anno scorso. Vuoi mettere che un po’ per volta la gente ha deciso che è meglio evitare infilarsi in un freezer per guardare i suoi campioni pattinare sul ghiaccio? ___ Palle di neve e palle di football di TONY DAMASCELLI dal blog "RadioRadio.it" 01-02-2012 Hanno scoperto il gelo. Si sono accorti che l’inverno è rigido come certi cervelli di riferimento. Eccoli, allineati a discutere del calendario, quello del football che non conoscono come quelli di certe femmine esplosive. Lega, Coni, federcalcio, dirigenti, allenatori, improvvisamente si occupano di quella cosa di cui per altri trecentosessantaquattro giorni evitano, trascurano, snobbano. Riporto una splendida immagine di un collega amico “il calcio italiano è una splendida astronave guidata da scimmie”. Chiedo scusa ai primati ma avete capito il senso. C’è una Lega che non è affatto legata, non riesce a eleggere un vicepresidente, ha un presidente part time, quando si ritrovano parlano di denari, per i regolamenti non c’è posto e tempo. Poi ci sono i soliti furbetti che danno un’occhiata al calendario di cui sopra e sentendo puzza di bruciato chiedono un rinvio, uno slittamento, un posticipo. Ognuno pensa a se stesso, il senso comune non esiste, il calcio italiano si preoccupa del ranking Uefa e se ne fotte di stadi che sono latrine e di latrine, all’interno degli stessi, che sono discariche. Quando è ora di prendere una decisione ecco sfilare il corteo: prefetto, questore, vigili del fuoco, sindaco, arbitro, presidente di Lega ma è una melina stucchevole, si passano la palla, di neve, da uno all’altro, sperando che alla fine qualcuno si assuma la responsabilità per poi criticare come da repertorio italiano. La buffonata di Parma è stata uno schiaffo in faccia al Palazzo, oggi mercoledì si sono presi paura di un bis. Ma non è finita. Il campionato non è nelle mani di Ibra o Matri, di Totti o Cavani, di Klose o di Milito. Dipende da Giuliacci e dal termometro. Un bell’applauso, con risata finale. ------- Galliani: rinviate Milan-Napoli. La neve sta seppellendo di ridicolo la serie A di XAVIER JACOBELLI dal blog "RadioRadio.it" 01-02-2012 Bollettino meteo alla mano, Adriano Galliani ha chiesto alla Lega il rinvio di Milan-Napoli, in programma domenica sera a San Siro, "perchè su Milano si annunciano proibitive condizioni atmosferiche. Le peggiori da 27 anni a questa parte". Bravo. Ma la solerzia dell'ex presidente della Lega nonchè uomo forte dei Campioni d'Italia sarebbe stata degna di miglior causa. Per non suonare né sospetta né improvvida. Quelli che sono abituati a pensar male, anche se a pensar male si fa peccato, insinuano che mai neve e ghiaccio sono state tanto provvidenziali, considerata l'emergenza infortuni che assilla Allegri e considerato che, se ieri sera a Parma non ha giocato la Juve, il Milan pensa sia giusto non giocare domenica. Lungi da noi eseguire esercizi di dietrologia. Non ci piacciono, sono deleteri, sono sterili. C'è però una domanda da porre a Galliani, così come ai colleghi che periodicamente si riuniscono in via Rosellini per dissertare di spartizione dei diritti tv e per non trovarsi mai d'accordo su nient'altro, ivi compreso il nome del nuovo presidente di Lega che da mesi non riescono a nominare il successore del dimissionario Beretta. Poichè le previsioni del tempo non vengono formulate cinque ore prima che nevichi, ma con giorni e giorni di anticipo, è possibile che nessuno in Lega abbia pensato quanto fosse delirante programmare un turno infrasettimanale per il 31 gennaio e il 1° febbraio, per giunta in notturna? Ma che cosa ci stanno a fare in Lega? Ma dov'è Beretta o chi per lui? Ma dove vivono? Ma conoscono lo sprezzo del ridicolo? No, non lo conoscono. ___ IL PUNTO DI VISTA Proteggere lo spettacolo unica strada di GIANNI LOVATO (Tuttosport 01-02-2012) GIUNTI A QUESTO punto, ovvero all’ennesimo rinvio, più che un’altra brutta figura al nostro calcio servirebbe una controfigura. Ovvero un professionista capace di sostituire i Pirlo o i Buffon per evitare loro i pericoli connessi al mestiere. Proprio come succede a Hollywood per proteggere De Niro e colleghi. In fondo non sarebbe nemmeno un brutto mestiere quello della controfigura calcistica. Mica gli verrebbe richiesto di buttarsi in mezzo al fuoco, al limite di prendersi qualche calcione e parecchio freddo. Di scivolare sul ghiaccio, o rischiare una bronchite. Parlando seriamente, il problema sollevato da Antonio Conte - e che gli studios hanno risolto da decenni - in realtà è meno banale di quanto potrebbe apparire a una lettura distratta: bisogna proteggere le star e quindi la qualità dello spettacolo. «Voglio evitare infortuni al Pirlo della situazione, altrimenti perdo lo scudetto» lo sfogo del tecnico con i suoi dirigenti. Perché di altri Pirlo in giro non ce ne sono, perlomeno al maschile. Certo ci sono incombenze peggiori che giocare a calcio in una fredda notte invernale e con una buona dose di populismo si potrebbe dire: «Con quel che guadagnano...». La prospettiva però sarebbe del tutto sbagliata. Perché proprio in funzione dei loro ingaggi, gli assi del pallone vanno messi in condizione di rendere al meglio, altrimenti sono davvero soldi sprecati. I nostri, s’intende. Per cui, signori del calcio, pensate seriamente a rivedere i calendari. Perché, e qui il ragionamento di Conte è incontestabile, una nevicata invernale è facilmente prevedibile. Così come il fatto che attorno alle 20.45 il termometro scenda sotto lo zero. E alla Juve di notturne ne toccheranno cinque nel prossimo mese... -
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Il retroscena Due gli avvallamenti al di sotto degli spalti che hanno fatto scattare l’allarme Emergenza in curva B, rischiata l’inagibilità Subito la manutenzione il Comune è riuscito a scongiurare il pericolo art.non firmato (Il Mattino 01-02-2012) Due avvallamenti, uno di cinque metri e un altro di poco più della metà, proprio all’altezza della curva B, sotto gli spalti. Ma che hanno fatto lanciare per qualche ora l’allarme sull’agibilità dello stadio San Paolo in vista della gara di questa sera tra Napoli e Cesena. Per due giorni il Comune ha mobilitato i vigili del fuoco e i tecnici municipali per un sopralluogo: l’ispezione - eseguita da vigili urbani e dagli ingegneri comunali dell’ufficio tecnico - ha tranquillizzato sia il Napoli che l’assessorato allo sport: si sarebbe trattato di un leggero cedimento del pavimento dovuto alle infiltrazioni d’acqua. Cosa, ovviamente, non da trascurare nè da prendere sotto gamba. Si è così immediatamente risaliti all’origine della perdita e così, dopo un intervento di diverse ore completato solo nel tardo pomeriggio di ieri, il Comune è riuscito a scongiurare il pericolo del rinvio della gara dopo aver ottenuto da parte della ditta che ha sistemato la perdita e riasfaltato la parte che aveva ceduto, il parere di non pericolosità. I due piccoli avvallamenti sono stati sistemati col cemento. Ovviamente non ci sono pericoli per sull’agibilità delle strutture dello stadio. Nel frattempo Mazzarri stasera troverà un campo completamente rimaneggiato dopo le critiche della settimana scorsa. La ditta che ha l’appalto della manutenzione - il manto erboso è, in base alla convenzione tra Comune e club, di pertinenza del Napoli - è intervenuta rizzollando le parti critiche. -
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Il caso Il giocatore dell’Atalanta al centro del calcio scommesse Doni si confessa agli ultrà «Noi non ti perdoniamo» di ARIANNA RAVELLI (CorSera 01-02-2012) MILANO — Cristiano Doni si fa i complimenti. In fondo «ho tradito lo sport, ma una volta sola»; ha partecipato a una combine «ma quello non era il vero Doni»; è stato «debole, perché non ho allontanato il male», «ma avevo un ruolo marginale e sappiamo benissimo che quella partita lì (Atalanta-Piacenza 3-0, 19 marzo 2011, ndr) finiva così anche se io non l'avessi saputo»; ha negato per mesi ogni coinvolgimento, «ma la speranza era sempre la possibilità di tornare a giocare» e quindi di farla franca, «e questo è capibile». Come no. C'è sempre un «ma» in ogni frase iniziata da Doni e conclusa con quella che ha tutta l'aria di essere un'autoassoluzione. Toccherà ai giudici stabilire se le responsabilità di Doni stanno tutte nell'aver saputo di una combine, non aver denunciato e aver fatto capire a Gervasoni del Piacenza, già desideroso di perdere, di essere al corrente dell'accordo. Di certo, i tifosi dell'Atalanta non gli credono. Nessun riavvicinamento, nessun perdono in vista, anche se l'ex bandiera atalantina si dice disponibile a un incontro «perché io c'ho sempre messo la faccia». Tutto avviene sul sito degli ultrà bergamaschi (atalantini. com), termometro dell'umore dei tifosi: in cinque file audio è possibile ascoltare per 23 minuti la voce di Doni, intervistato dal curatore del sito. Poi, sotto, è possibile leggere i commenti. Civili per lo più, arrabbiati tutti. Eccone uno: «Il silenzio e il tempo FORSE potevano riabilitarlo... ora più parla e più si sputtana». Qui la tesi di Doni non passa: gli errori per lui si condensano «in un piccolo periodo» mentre «tutto quello che di buono ho fatto con l'Atalanta non me lo toglie nessuno», fino a dire «sono stato un professionista esemplare e io mi faccio i complimenti per essere arrivato a 38 anni in queste condizioni fisiche e mentali». In conclusione: «Non è come scrivono i giornali che hanno strumentalizzato». Ma non sono i giornali a essere duri con lui. Semmai i suoi ex tifosi. In quell'audio di Doni c'è anche una versione diversa su Atalanta-Pistoiese del 2001: «Quell'episodio ha distorto la mia immagine, da allora mi hanno additato come scommettitore», dice Doni lasciando intendere di essere stato vittima di un pregiudizio. Lo stesso giorno ad alcuni giornali ha ammesso che quella partita era combinata, ma non da lui. Allora? «Se questo è quanto doveva dire alla ‘‘sua'' città per spiegare, beh... credo non ci sia altro da aggiungere — un altro commento —. Capisco che su molte cose ci sia il processo aperto, ma a me ha lasciato molta amarezza leggere alcune affermazioni. Auguro al Sig. Cristiano Doni ogni bene in futuro, non andrò certo a cercarlo per insultarlo, ma ora per cortesia non cerchi riabilitazioni- lampo alla luce del ‘‘volemose bene, ho fatto solo una sciocchezza''». E ancora: «Non ti preoccupare, hanno riabilitato tutti, vedrai che tra qualche annetto (...) ti chiameranno a fare il commentatore televisivo». -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
RETROSCENA In Italia come in Europa Domina la recessione nel segno del Fair play di MARCO IARIA (GaSport 01-02-2012) Il calcio italiano è lo specchio del Paese. Stadi vecchi e campi gelati (un po' come le autostrade, o presunte tali), scarsa fiducia nei giovani (l'età media della A — 27,54 anni — è la più alta d'Europa dopo Cipro e fa il paio col 31% da record della disoccupazione giovanile), un'economia in ginocchio. Quando il Pil, cioè la ricchezza di una nazione, sprofonda in territorio negativo, si entra tecnicamente nella fase di recessione. E recessione è il termine che più si adatta a fotografare l'avara finestra di mercato di gennaio. D'altronde, le tre grandi storiche del nostro campionato, Juve, Inter e Milan, hanno accumulato un deficit di 252 milioni negli ultimi bilanci e i bianconeri hanno appena completato il secondo aumento di capitale in cinque anni. Motivi La campagna conclusa ieri è stata la più oculata dell'ultimo quinquennio: tra entrate e uscite, saldo addirittura positivo di un paio di milioni. Niente botti, e non è una novità. In estate i club italiani erano stati i più bravi a vendere, perché la priorità è sfoltire le rose e abbassare il monte-ingaggi. Questa è la prima stagione del fair play finanziario e la regola del pareggio di bilancio (che, nel primo step, consentirà uno sforamento di 45 milioni tra 2012 e 2013) rappresenta uno spauracchio per tutti. Non c'è dubbio che gli strali di Platini stiano condizionando le politiche delle nostre big, Inter e Milan in particolare. Ma è altrettanto vero che la crisi finanziaria non ha lasciato indifferenti i padri-padroni del pallone: nel 2011 il valore del titolo Mediaset a Piazza Affari si è dimezzato e Berlusconi jr ha annunciato tagli da 250 milioni l'anno per il prossimo triennio; i Moratti meditano da un bel po' di tempo di cedere una fetta della Saras. Non deve sorprendere, così, che la società che ha speso di più (al netto delle entrate) sia stata il Genoa, con una quindicina di milioni investiti: i Gormiti lasciano dormire sonni tranquilli a Preziosi. Le altre Spira il vento dell'austerity, però, in tutta Europa. L'emblema è il vorrei ma non posso cui è stato costretto, per la prima volta, Mancini. Il manager del City si aspettava un extra-budget dallo sceicco, ma niente da fare. Ha dovuto accontentarsi di prendere Pizarro dalla Roma in prestito. E nessuno sconto per Tevez. D'altronde, il Manchester ha da poco archiviato il deficit più alto della storia del calcio inglese: -220 milioni, a distanza siderale dai parametri dell'Uefa. Il gennaio 2011 della Premier era stato fantasmagorico: 50 milioni di sterline per Torres, 35 per Carroll, 27 per Dzeko, 26 per Luiz, per un totale di 225 milioni spesi. Il gennaio 2012 è tutta un'altra cosa: il segno meno è di appena 30 milioni. La spinta inflattiva di ingaggi e trasferimenti aveva drogato il mercato e reso insostenibile il rapporto costi-ricavi dei club. Bisognava uscirne per forza, chissà se questa è la volta buona. Braccino corto anche nella Liga, che chiude con un saldo positivo e un pieno di prestiti. Evidentemente, l'escamotage italiano del «pagherò» ha contagiato la concorrenza, in un momento di scarsissima liquidità. E in Germania gli unici davvero spendaccioni sono stati quelli del Wolfsburg, foraggiati dalla Volkswagen: 30 milioni in acquisti, nessuno ha fatto meglio tra le leghe più importanti. Emergenti Se la «vecchia» Europa arranca, c'è qualcun'altro che mostra i muscoli e fa capire che i tempi, forse, sono cambiati. La Russia dell'Anzhi, per esempio. L'osservatorio demografico del Cies rivela che la percentuale di calciatori internazionali militanti nella prima divisione russa è cresciuta del 17% dal 2009. In questa stagione solo Inghilterra (41,2%) e Germania (33,3%) vantano, in proporzione, più giocatori con presenze in nazionale: col 28,6% il campionato di Putin sopravanza Ligue 1 (25,8%), Serie A (25,1%) e Liga (23%). -
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Spettatori in calo ma non è colpa della televisione In Serie A solo 22 mila presenze, la metà che in Germania, dove grazie ai Mondiali gli stadi sono nuovi, comodi. E la gente ci va di FELICE DIOTALLEVI (l'Unità 01-02-2012) Concluso il girone di andata, la media spettatori della Serie A è appena superiore alle 22 mila presenze: 22.353. Siamo in lotta con la Ligue 1 (la Serie A francese) per il quarto posto fra i campionati europei (in Francia sono a 21. 900). Per numeri di appassionati che intendono comprarsi un biglietto, domina la Bundesliga, unico campionato che riesce a coinvolgere più di 40 mila persone: 42.101 la media di quest’anno, calcolata prima della sosta invernale. Poi viene la Premier League inglese, con circa 34 mila presenze, e quindi la Liga spagnola, con 29mila spettatori. Posizioni nettamente delineate, dunque. CHIAMALE DIMENSIONI Colpo d’occhio differente, però. Questa è una premessa importante a qualsiasi analisi: la capienza media degli stadi di Serie A, in questo momento, con queste piazze coinvolte nel massimo campionato, è di 43mila posti. Il conto è dunque semplice: gli stadi sono mezzi vuoti (o mezzi pieni, dipende dal punto di vista). Altrove questi luoghi per il calcio sono dimensionati all’uso. Da noi sono rimasti tali e quali, anche se le cose sono cambiate. Basta pensare che nel decennio fra il 1970 e il 1980 la media degli spettatori solo in una stagione (‘71-‘72) fu inferiore a 30 mila, e trovò il picco di 35 mila presenze nell’anno 1974-75. Ma è nel decennio successivo, più precisamente nella stagione 1984/1985 (la stagione dello scudetto al Verona, davanti al Torino. Con la Serie A a 16 squadre... ), che il nostro massimo campionato raggiunge il picco di presenze più alto degli ultimi quarant’anni: è proprio all’ora, infatti, che gli spettatori mediamente presenti ad un match di Serie A sono ben 38.872, quindi 16mila più di oggi. Un crollo. Con Stadi troppo grandi, che sembrano così deserti, e tristi. CHIAMALE SCUSE La ragione principale a detta dei presidenti e dei media starebbe nell’abbondante offerta del prodotto-calcio sulle varie televisioni, a pagamento, o in chiaro. Negli anni ottanta c’era 90esimo minuto, poi la Domenica sportiva, e nel mezzo una sintesi di 40’ all’ora di cena. Se volevi vederlo tutto, il calcio, dovevi andare allo stadio. Ma i numeri degli altri campionati ridicolizzano questa convinzione. In Germania, Francia, Spagna e Inghilterra le televisioni non hanno affatto intaccato l’abitudine di andare allo stadio. Perché la vera differenza è culturale: all’estero, si passa una giornata sugli spalti, festosa, pratica, comoda. In Italia il tifo ha preso vie fanatiche, che hanno complicato l’accesso a tutti (tessera del tifoso, limite di vendita dei biglietti...). E gli stadi sono brutti, vecchi, scomodi, freddi (quasi tutti per lo più scoperti: se piove, è un dramma per gli spettatori). «Nel complesso dei diritti televisivi (Inghilterra 1. 358, Italia 1.000, Spagna 670, Francia 655, Germania 472), solo l’Inghilterra riesce a vendere meglio di noi», si vantò Maurizio Beretta, manager che guida la Lega Calcio, che altro non fa che piazzare il prodotto. Se quei soldi vengono “letti” in tendenza, la forbice si avvicina. E contemporaneamente la Germania ha aumentato gli spettatori: stadi nuovi, grazie ai Mondiali del 2008. Così come nuovi saranno quelli francesi: 11, di zecca, per gli europei del 2016. L’esempio della Juventus dimostra che lo stadio comodo, nuovo, perfetto, invoglia le persone: tutto esaurito, e diretta tv anche degli allenamenti... Un ultimo dato, il più penoso: le seconde serie dei maggiori campionati europei hanno spettatori medi al di sopra dei 10 mila di media (in Inghilterra quasi 20 mila, ma lì è davvero un’altra cultura). Nella Serie B italiana, sull’enorme numero di 22 squadre partecipanti, ben 16non riescono a superare le 5mila presenze medie. PICCOLO È BELLO SEMPRE SOLD OUT LO JUVE STADIUM Tutto esaurito in 13 gare il nuovo stadio funziona. 37mila spettatori di media, l’87% di capienza. Neanche ai tempi di Capello così tanta gente di LORENZO LONGHI (l'Unità 01-02-2012) Lo stadio che cambia il calcio», lo aveva definito il presidente bianconero Andrea Agnelli nel giorno dell’inaugurazione. Slogan d’impatto, magari piuttosto pomposo. Ma in effetti, per la Vecchia Signora e i suoi tifosi, lo Juventus Stadium rappresenta davvero un altro mondo. Tanto che, a cinque mesi dall’apertura dei battenti, l’impianto sorto sulle ceneri del Delle Alpi continua a fare registrare numeri al di sopra delle più rosee previsioni e, per le casse e per l’immagine del club, si sta rivelando un vero e proprio asset strategico. Sinora lo stadio bianconero ha fatto tredici. 13 sono infatti i «sold out» (tutto esaurito) fatti registrare in altrettante partite in cartellone, a prescindere dall’identità dell’avversario: l’amichevole inaugurale con il Notts County, le dieci gare casalinghe in campionato e le due di Coppa Italia con Bologna e Roma hanno sempre visto i tifosi bianconeri andare all’assalto di tutti i tagliandi messi in vendita, riempiendo così gli spalti per l’87, 5% della capienza considerata al netto dei 2100 biglietti dedicati al settore ospiti e dei 4 mila tagliandi appannaggio di sponsor e addetti ai lavori. Numeri che equivalgono a incassi per 12, 6 milioni di euro per il solo campionato, sommando le vendite dei tagliandi e la quota proveniente dagli oltre 24 mila abbonati. La scorsa stagione, sempre con riferimento al campionato, la Juventus incassò dal botteghino 11, 6 milioni in 19 partite: in poco più della metà di incontri, oggi, ha dunque già sorpassato gli introiti dell’intero torneo 2010-2011 e la proiezione lascia immaginare che vengano superati a fine stagione i 23 milioni. Considerando anche la Coppa Italia e l’incasso dell’amichevole inaugurale, l’incasso annuale proveniente dai botteghini dello Juventus Stadium potrebbe superare i 30 milioni. SPINTA Senza contare che, con il nuovo impianto, la Juventus sta sperimentando quanto sia piacevole giocare in uno stadio pieno. I giocatori sostengono, per quanto sia difficile da dimostrare, che la spinta dello stadio abbia portato anche qualche punto in più: stima impossibile da quantificare, ma c’è chi è convinto che a fine stagione uno stadio pieno porti dai 5 ai 7 punti. Potere di un dodicesimo uomo che, anche per questioni strutturali, la Juventus mai ha avuto. All’Olimpico - per quanto meno capiente dello stadio attuale - la media viaggiava sui 21mila spettatori, con cadute verticali per le partite di Coppa Italia contro avversari non di grido. Allo Juventus Stadium la media attuale supera quota 37mila e così la squadra ha scoperto il calore del pubblico. Non è solo una questione relativa agli ottimi risultati della squadra di Conte, ma si tratta del segno che qualcosa è cambiato nell’idea di vivere lo stadio: la Juve di Capello, Trezeguet e Ibrahimovic aveva medie spettatori significativamente più basse: 26mila nel 2004-05, 30mila nel 2005-06. I risultati erano trionfali, in campo c’erano fuoriclasse assoluti ma sugli spalti del Delle Alpi (67mila posti la capienza) andavano in pochi. E, in casi di partite di scarsa importanza, appariva gelido, oltre che vuoto. Allo Juventus Stadium invece c’è voglia di esserci. Chi ci va, evidentemente, si trova bene. Magari si regala la visita al museo bianconero, spesso si ferma a mangiare nei punti ristoro dell’impianto. E sono altre centinaia di migliaia di euro di indotto. FREDDO A proposito di gelo, sabato scorso contro l’Udinese lo stadio bianconero ha superato al meglio anche l’esame del freddo: nevicata a tratti anche copiosa su Torino, serpentine di riscaldamento in azione e terreno in perfette condizioni, prima, durante e dopo la partita, quando in realtà altrove la realtà di un terreno logoro e difficilmente praticabile sarebbe stata altamente probabile. Nemmeno l’indagine sulla qualità dell’acciaio, aperta dalla procura di Torino (lo stadio non ha problemi statici e il club sarebbe eventualmente parte lesa) modifica la percezione di successo. Allo Juventus Stadium tutto è futuro. Anche il nome che, ancora, non c’è. La Sportfive, agenzia cui la Juventus ha venduto i «naming rights» per 12 anni, ancora non ha chiuso il contratto con lo sponsor che battezzerà l’impianto. Perché ha capito che non c’è fretta: ogni giorno che passa, infatti, lo Juventus Stadium vale di più. In ogni senso. Tanto che il ministro per gli Affari regionali, Turismo e Sport, Piero Gnudi, ieri davanti ai parlamentari in commissione Cultura alla Camera lo ha elogiato: «Il nuovo stadio di Torino è un esempio perfetto su come far tornare la gente a vedere le partite allo stadio». -
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PARLA GNUDI «Voglio essere il Ministro dello sport praticato» «Che sfide in bici con Prodi! Io sono velocista, Romano scalatore». «Pensiamo a una "legge Balotelli" per dare la cittadinanza a chi si distingue nello sport» di RUGGIERO PALOMBO & PIER BERGONZI (GaSport 01-02-2012) L'ufficio di via Castiglioni, nel cuore antico di Bologna è maestoso come gli affreschi rinascimentali che esaltano le pareti. Piero Gnudi, 73 anni, ministro dello sport e del Turismo nel governo Monti, ha l'aria seria e al tempo stesso gioviale di ogni Gran Bolognese. E' in sella da poco più di due mesi e si è già trovato faccia a faccia problemi che sono la sintesi del nostro Paese, dalla tragedia della Costa Concordia, alla scelta (venerdì la decisione) sull'Olimpiade di Roma 2020. Ma basta un accenno al ciclismo, il «suo» ciclismo perché si parta con un sorriso. «E' una passione che viene da lontano, dall'epoca di Coppi e Bartali. Io ero bartaliano, e ricordo come se fosse adesso quel giorno di luglio del 1948. Bologna, la rossa, era molto più che in fermento per l'attentato a Togliatti, e gli umori della piazza all'improvviso si trasformarono in gioia per il successo di Gino a Briancon, sulle Alpi, nella tappa regina del Tour de France. Bartali rivinse la maglia gialla 10 anni dopo il primo successo». Rimase sempre bartaliano? «Certo! Difficile capire perché si fa il tifo per questo o per quell'altro. Succede così anche per il calcio. Poi è più facile cambiare religione che fede sportiva... Quella però di Coppi e Bartali fu un'epoca irripetibile, come l'era di Tomba per lo sci. Da allora ho sempre seguito il ciclismo senza più innamorarmi di un campione. O forse sì. . . di Pantani, l'unico che dava emozioni assolute. Nel calcio sono per il Bologna, ma senza fanatismi. Ero per quella grande squadra che "tremare il mondo fa"». Lei è uno sportivo praticante. «Mi piace sciare e andare in bici. Uscivo con Romano Prodi e un gruppo di fedelissimi, facevamo anche una nostra gara da Bologna a Ravenna: 105 chilometri con arrivo in volata. Una volta ho vinto e due volte sono arrivato secondo. Sì, sono un velocista... Prodi, invece è molto forte in salita» Verrà a seguire una tappa del prossimo Giro d'Italia? «Molto volentieri. Qual è la tappa più bella? Le ultime edizioni sono state molto interessanti. Che spettacolo due anni fa sullo Zoncolan... Io sono per le grandi montagne, per la corsa dura e sotto il profilo dei percorsi il Giro è meglio del Tour». E agli Europei di calcio o all'Olimpiade di Londra ci sarà? «Per gli Europei non ho ancora deciso. A Londra ci sarò sicuramente. Non vorrei perdere le gare di atletica leggera, 100 metri in particolare, quello è per il cuore dell'Olimpiade». A proposito di Giochi. E' di grande attualità la decisione del governo su Roma 2020. Lei cosa ne pensa?. «La decisione dovrebbe essere presa nel prossimo consiglio dei ministri. L'Olimpiade è il sogno di ogni ministro dello sport, ma dobbiamo anche considerare il momento di grave difficoltà economica internazionale. Non semplicemente un problema del sistema Italia. È la congiuntura finanziaria a farci riflettere. Solo quella». La Spagna non naviga in acque più tranquille eppure l'appoggio alla candidatura di Madrid non è mancata. «La Spagna ha un debito pubblico meno pesante del nostro». Non crede che un no venga letto come un atto di sfiducia nella ripresa del Paese? «In questo momento posso soltanto dire che le ragioni del sì sono tante e credibili, ma lo sono anche quelle del no». Lei è ottimista? «Sono un uomo di sport e mi rimetto allo spirito di squadra». Dopo oltre 2 mesi da ministro, come vede lo sport italiano? «Più o meno come me lo aspettavo. Quello che mi interessa non è tanto lo sport professionistico, quanto l'attività di base. Voglio diventare il ministro della pratica sportiva. Ho intenzione di spendere quel poco che abbiamo in portafoglio in quella direzione. Penso alle scuole: una su quattro non ha la palestra... E penso al ritorno dei Giochi della Gioventù per i quali ho già un discorso avviato con il ministero dell'istruzione e al rilancio dei CUS. Lo sport è un percorso straordinario di crescita per i nostri ragazzi ed è la via migliore per l'integrazione degli immigrati». Questo però contrasta con l'attuale legislazione sugli stranieri. «Sto concordando con i Ministri Cancellieri e Riccardi un percorso più breve per consentire l'acquisizione della cittadinanza italiana da parte di giovani che si sono contraddistinti per meriti e capacità sportive. Condivido peraltro le iniziative parlamentari già presentate da esponenti di diverse forze politiche. L' emendamento è già stato ribattezzato come "legge Balotelli"» Pensando agli anni che verranno, come vede l'organizzazione dello sport italiano. È per l'autonomia del Coni o per un sistema alla francese con la gestione diretta del governo? «Il nostro modello attuale funziona e prima di cambiare ci penserei tre volte... I modelli dipendono dalla qualità delle persone che li fanno funzionare e Petrucci mi pare che stia facendo bene» E il finanziamento del Coni? I 470 milioni di euro, scesi a 430 e ora a 408… «Lo so, ci vogliono più soldi, ma i soldi non ci sono o sono pochi e per i prossimi anni non potranno certamente aumentare.. . Si può però pensare di spenderli ancora meglio». Si discute molto della riforma del calcio professionistico. Sull'enorme numero delle squadre, sulle tre leghe. . . Lei cosa ne pensa? «Non sono questioni che riguardano il governo. Credo che certe questioni siano piuttosto di competenza del Coni e delle federazioni». A proposito della Lega Calcio c'è chi chiede di arrivare al più presto alla sostituzione del dimissionario presidente Beretta. «Beretta è sempre più impegnato nel suo nuovo ruolo ma è anche il miglior presidente che la Lega possa avere perché è una persona di grande equilibrio. Uno migliore, in giro, non c'è. . . Decisione non facile». Ieri si è incontrato con la commissione bicamerale che da oltre due anni deve prendere una decisione sulla Legge per gli stadi. A che punto siamo? «Non facciamo nomi, ma c'è qualcuno che chiede sempre di più... e chi troppo vuole nulla stringe. Sotto il profilo delle infrastrutture, non solo sportive, il nostro Paese è fermo da 20 anni... e i nuovi stadi farebbero da volano agli investimenti» Lei ha avuto parole dure per lo scandalo scommesse. «E' un'offesa per le migliaia e migliaia di persone che sacrificano gratuitamente il loro tempo libero per diffondere i valori dello sport. Ci vuole il pugno duro, anzi durissimo». -
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Cotroneo, da zebra a lupo. Ma si può cambiare la squadra del cuore? di MICHELE DE FEUDIS (Secolo d'Italia 31-01-2012)) Si può cambiare fede calcistica? Lo scrittore Roberto Cotroneo, sulle colonne della “Ġazzetta dello Sport” – il quotidiano più letto dagli appassionati della dea Eupalla - ha confessato pubblicamente di aver abbandonato la passione per la Juventus per abbracciare il credo della Roma di Francesco Totti. Cresciuto ad Alessandria, la città di Gianni Rivera, ricorda gli anni giovanili in una comunità sportiva di “gente ruvida, che amava i calciatori concreti”. Allora era “uno juventino non praticante: per vicinanza geografica, per simpatie torinesi”, sedotto dalla classe di Michel Platini, “Le Roi” della Vecchia Signora. La conversione è avvenuta nella Capitale, la conversione: “Poi ho dimenticato il calcio. La Juventus rimase un ricordo dei miei anni piemontesi. A malapena sapevo come finivano i campionati. Finché non sono arrivato a Roma, 25 anni fa. Roma è tutto meno che grigia. Città esagerata, ironica, sfottente, magica. Maglie giallorosse e due figli romani, appassionati di calcio: entrambi nati con Totti che già indossava la maglia numero 10. Ho ricominciato a guardare le partite con loro e ho scoperto un mondo”. Per spiegare questo cambio di casacca, e scongiurare di esser rinchiuso in un cerchio dantesco insieme ai traditori, Cotroneo ricorre all’antropologia: “La fede calcistica spesso ha qualcosa di arcaico. È un’appartenenza tribale prima di essere una scelta sentimentale. Ogni volta che racconto che sono diventato romanista, da juventino latente, vengo guardato dal mondo dei tifosi con un misto di sospetto e una certa accondiscendenza”. Lo scrittore sudamericano Eduardo Galeano non avrebbe dubbi nel biasimare la scelta di Cotroneo, che non è poi nella sostanza dissimile da quella del giornalista Emilio Fede, diventato milanista una volta sbarcato alla Fininvest dopo aver sostenuto per una vita la Juve: “Nella propria vita si può cambiare tutto: la fede politica, la fede religiosa, la cittadinanza, gli amori. Ma non si può cambiare – scrive il romanziere uruguaiano - la squadra per cui si è scelto di tifare da piccoli”. L’outing di Cotroneo è tuttavia coraggioso, dichiarato “urbi et orbi” sulle pagine della bibbia rosea del calcio, ma sferzante nei confronti dei suoi detrattori: “Cos’è uno che cambia squadra? Uno che di calcio non capisce niente. E invece rivendico l’appartenenza non tribale, ma quella sentimentale”. Tifare per una squadra di calcio è qualcosa che ha molto in comune con la fede, e chi tiene ai colori della propria squadra per tutta la vita non è un troglodita. Il discrimen è tra credenti e non credenti. Cotroneo è calcisticamente un laico. E non sa cosa si perde. -
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UN RIGURGITO DI MORALITÀ Fallito il blitz della Lega che voleva l'amnistia per Calciopoli Ora 7 top club rischiano la retrocessione: Super Lig nel caos di FABIO BIANCHI & SELCUK MANAV (GaSport - ET 31-01-2012) Il pastrocchio non è riuscito e la bufera per la Calciopoli turca è tornata a soffiare con prepotenza. La Lega, spinta dalle grandi squadre e dai poteri forti coinvolti, ha fallito il blitz del 26 gennaio scorso: un congresso straordinario ad Ankara cui hanno partecipato e votato 243 delegati del mondo del pallone. Tema: cambiamo la legge sportiva numero 58, una tantum. Per questa volta non retrocediamo le squadre che hanno comprato partite e corrotto persone per vincere. Solo punti di penalizzazione, please. Ma l'assemblea, in un rigurgito di moralità, ha detto no. Sia quel che sia. E adesso bisogna muoversi, l'immobilismo decisionale del presidente della federcalcio turca, Mehmet Ali Aydinlar, non è più accettato. Sono in molti a chiedere le sue dimissioni, ma proprio nel vertice di ieri Aydinlar ha deciso di continuare, per ora. Anche perché non è che ci siano molti candidati. Facile intuire il motivo: il successore dovrà prendere subito decisioni drastiche e farsi parecchi nemici. Ben 93 incriminati Povero Aydinlar, non è stato fortunato. Quattro giorni dopo il suo insediamento, è scoppiato lo scandalo. È il 3 luglio 2011: la polizia, dopo un inchiesta basata anche su intercettazioni e durata 8 mesi, arresta 31 persone, tra le quali il presidente del Fener Aziz Yildirim, i due vice Mosturoglu e Eksioglu, e gli allenatori di Besiktas e Eskisehirspor. Alla fine gli incriminati saranno 93. In carcere ci sono tuttora 23 persone. In meno dolce attesa degli altri 70 del processo che comincerà il 14 febbraio. Mentre la giustizia penale corre e va giù duro, quella sportiva latita. Lettera dal carcere Ma ormai siamo al dunque. Il limite è il 15 aprile, inizio dei playoff: non si può farli giocare a chi poi retrocederà. Pensate che ribaltone in Super Lig. Le squadre che rischiano la B sono 7 (e una, il Giresunspor, la C) e stanno tutte vicine al Galatasaray capolista: Fenerbahçe e Besiktas (secondi e terzi) , Trabzonspor (4°), Sivasspor (5°), Istanbul BB (7°), Eskisehirspor (8°) e Mersin Idman Yurdu (13°). L'Uefa sta alla finestra, ma è pronta a escludere club e nazionale dall'Europa. Come quando ad agosto indusse la federazione a sostituire in Champions il Fenerbahce (accusato di aver vinto il titolo comprando partite) col Trabzonspor (2°, poi però accusato di aver comprato la finale di coppa). Nel frattempo, Yildirim ha scritto dal carcere a Platini sostenendo con arroganza che è stato un errore escludere il Fener dalla Champions, che bisognava aspettare la giustizia, che nel dossier ci sono solo bugie e invenzioni. E ha fatto ricorso al Tas (processo il 22 marzo a Losanna) chiedendo 45 milioni di danni per la Champions negata. Mentre uno dei suoi vice liberi, Ali Koc, ha appena acquistato il senegalese Moussa Sow dal Lilla per 10 milioni. E ora vuole Krasic. Strano modo per prepararsi alla retrocessione. ------- LO SCANDALO ALI AYDINLAR ATTACCA ANCHE L’UEFA Calcio turco nel caos Lascia il presidente di FABIO BIANCHI & SELCUK MANAV (GaSport 01-02-2012) Grande è la confusione che regna nel calcio turco dopo Calciopoli. Grande soprattutto è la confusione che regna nella testa del presidente della Federcalcio di Istanbul, Mehmet Ali Aydinlar. Anzi, ex. Nemmeno 23 ore dopo aver diramato un comunicato dove dichiarava che non si sarebbe dimesso, ecco il dietrofront. E con lui hanno lasciato l'incarico i due vice, Goksel Gumusdag e Lutfi Aribogan. Il 27 febbraio ad Ankara ci sarà un congresso straordinario per eleggere il nuovo presidente. Nel frattempo, ad interim, la poltrona sarà occupata da Husnu Gurel, membro del comitato esecutivo della federcalcio. Aydinlar ha lasciato la carica con i fuochi d'artificio, attaccando l'Uefa. Così: «Me ne vado perché qualsiasi interlocutore prima dice una cosa, e il giorno dopo ne dice un'altra totalmente diversa. Non è solo il caso di alcuni presidenti della Super Lig, ma anche dell'Uefa. Durante il nostro faccia a faccia, ci hanno detto delle cose. Ma nella relazione mandata al Tas (tribunale amministrativo sportivo) riguardo al processo aperto dal Fenerbahce, hanno dato una versione del tutto diversa». La calciopoli turca scoppia il 3 luglio 2011 quando la polizia incrimina 93 persone e ne manda subito in carcere 31 (23 sono ancora lì) con l'accusa di aver comprato partite e corrotto persone. Sette squadre rischiano la B, tra le big solo il Galatasaray è fuori. Il Fener, accusato di aver comprato gare per vincere lo scudetto, fu sostituito dal Trabzonospor in Champions. E ora ha fatto ricorso al Tas chiedendo 45 milioni di euro per danni. Mah. Aydinlar, che si era insediato solo 4 giorni prima dello scandalo, paga l'immobilismo decisionale. Il suo successore dovrà usare il pugno di ferro. Lo chiede la piazza. -
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Il boom dei fondi PER NON ANDARE a fondo In tempi di crisi economica, i club cedono una parte del cartellino dei loro giocatori a società di investimento: un meccanismo di auto-finanziamento di moda in Brasile, Spagna, Turchia e Portogallo. Con problemi etici e di regolarità: il calcio è a rischio? di ANDREA LUCHETTA (GaSport - ET 31-01-2012) Nell'autunno 2007 la marcia della Spagna sembrava inarrestabile. Poche volte i nodi sono venuti al pettine in modo così veloce e doloroso. La disoccupazione giovanile oggi sfiora il 50%, l'economia è in recessione. Il calcio, in questo deserto, si è trovato di fronte a due scelte: stringere la cinghia o cercare nuovi finanziatori. L'ultimo elisir del pallone spagnolo ha assunto le sembianze dei fondi d'investimento. Il meccanismo è semplice. Succede, per esempio, che il Benfica Stars Fund spende poco più di 1 milione di euro per il 10% di Garay. Gli investitori avranno diritto al 10% dei profitti sulla prossima vendita, mentre il Benfica incassa 1 milione per un difensore di cui continua a disporre. Oro colato, con la crisi di liquidità che attanaglia l'Europa. Il modello dei fondi ha conquistato per prima l'America Latina, dove giganti come Traffic e Dis (che controlla il 55% di Ganso e il 40% di Neymar) si sono specializzati nella ricerca di talenti. Poi li mettono sotto contratto e ne finanziano la formazione. Molti fondi ricorrono a delle «squadre ponte», vetrina e piattaforma per le cessioni. Oltre Atlantico Dal Brasile al Portogallo il passo è breve. Dietro ai Dragoni di Mourinho si celava un'operazione di risanamento delle finanze del Porto. Il First Portuguese Football Players Fund acquistò a man bassa i diritti dei biancoblù, realizzando profitti da record dopo la vittoria della Champions '04. In prima linea oggi troviamo il Benfica Stars Fund, lo Sporting Portugal Fund e il Soccer Invest Fund: i 3 grandi club - per il Diario do Noticias - detengono al 100% solo 28 giocatori su 88. Presto il modello ha varcato la frontiera spagnola. Quality Footbal Ireland - di cui il procuratore di Mourinho, Jorge Mendes, è consulente - e Doyen Capital Partners sono fra i più attivi: è di ieri il passaggio di Baba Diawara dal Maritimo al Siviglia per 3 milioni pagati in parte dal fondo Dcp, che si è così assicurato il 20% del cartellino lasciandone il 10% al club portoghese. Con Falcao, invece, non ci sono certezze: l'opinione comune, secondo cui il colombiano sarebbe stato acquistato dall'Atletico con l'aiuto di Quality Football Ireland, è stata smentita sia dal club sia da Mendes. Promette scintille anche il Royal Football Fund, da poco allestito dalla United Investment Bank di Dubai. Atletico Madrid e Saragozza finora le squadre più sensibili alle lusinghe, complice il peso di un debito che ammonta a 456 e 134 milioni di euro. Servono soldi per arrancare dietro a Barça e Real, e i vivai fanno gola. Niente di strano, alla luce di un rosso per Liga e Segunda che supera i 4 miliardi. Il fondo per cui collabora Mendes è attivo anche a Istanbul, sponda Besiktas: Hugo Almeida veste bianconero, mentre tre giovani - fra cui il talento Demirci - sono entrati nell'orbita Qfi. Scelta contestata dai fan, che accusano il club di aver ipotecato il futuro. Questioni serie L'ingresso dei fondi solleva questioni serie. La prima riguarda l'autonomia delle società: è chiaro che se un gruppo di investitori punta su un giocatore - così come potrebbe fare per un barile di petrolio - esigerà un profitto. Ma se il club fosse contrario alla vendita? La Fifa all'articolo 18bis vieta qualsiasi contratto capace di incidere sull'«indipendenza, la politica o le performance» di una squadra. Una formula che lascia un certo margine di manovra. E in tempi di crisi non è difficile intuire chi ha il coltello dalla parte del manico. Il secondo problema riguarda un conflitto d'interesse d'altro tipo. Può accadere che il proprietario di un club detenga una quota del cartellino di un giocatore avversario: difficile allontanare i sospetti in un «derby» del genere. Come spiega l'avvocato Daniel Geey alla ET «la manipolazione è improbabile, ma il solo dubbio basterebbe a intossicare l'ambiente». Un rischio ancora più forte in tempi di calcioscommesse. La «third party ownership» può spalancare praterie alla criminalità organizzata. È successo in Finlandia ad aprile. La Exclusive Sport di Singapore avrebbe promesso 300 mila euro al Tampere United, ponendo come condizione l'impiego dei giocatori di sua proprietà, per indirizzare le partite. Il Tampere, per l'articolo 18bis, è stato espulso dal campionato. Il caso Timão Con l'ingresso di strumenti così «permeabili», aumentano le possibilità che il calcio diventi una piattaforma per il riciclaggio. Un sospetto che ci porta all'avventura più controversa, la collaborazione fra Corinthians e Media Sports Investment (2004-07), valsa al Timao uno scudetto con giocatori del calibro di Tevez e Mascherano. Nel 2006, la giustizia brasiliana avanzò il sospetto che gli investimenti della Msi servissero a ripulire denaro sporco. La cavalcata del Corinthians si concluse con la rottura dell'accordo e la retrocessione nel '07. Per il Guardian, la Msi sarebbe appartenuta all'oligarca georgiano Badri Patarkatsishvili, mentre resterebbe da chiarire la partecipazione del miliardario russo Boris Berezovsky. Sul quotidiano pende però una querela del procuratore Kia Joraabchian - allora coinvolto nel fondo - che ne contesta la ricostruzione. La saga di Tevez - prestato al West Ham, poi allo United e infine ceduto al City - ha spinto la Premier a proibire ogni forma di «third party ownership». Il calcio inglese è partito all'offensiva, chiedendo all'Uefa di valutare se i fondi siano compatibili col fair play finanziario. «È una questione che affronteremo a breve — ci spiega un portavoce Uefa — Siamo consapevoli che alcuni club sfruttano la third party ownership per alleviare i problemi di liquidità». Ma il fair play, prosegue, è concepito per tenere conto dei cicli del mercato, ragion per cui un club che non possiede il 100% dei suoi giocatori rischia un danno economico. Se all'Uefa non dovesse prevalere la linea dura, i club inglesi rischierebbero di patire uno svantaggio. Un timore già esemplificato dall'eliminazione in Champions dello United, nello stesso gruppo del Benfica. «I fondi sono una formula per non perdere competitività in mezzo alla crisi», sintetizza Miguel Ángel Gil Marín, ad dell'Atletico Madrid. «Tre anni fa — sembra rispondergli John Sinnott della Bbc — l'economia mondiale è finita in guai seri per l'uso di strumenti finanziari che poche persone comprendono. Accadrà lo stesso per il calcio?». Decatrends di ALESSANDRO DE CALÒ (GaSport - ET 31-01-2012) SE LO SPACCIO DI TALENTI DIVENTA SCIENTIFICO I vecchi squali del mercato cedono il passo. Ma serve una legge uguale per tutti Quando c'è crisi ci si arrangia. Si vende l'argenteria di casa e, per quanto si può, si aggiustano le cose, autentiche e posticce. Una dozzina di anni fa, lo scandalo dei falsi passaporti di brasiliani, argentini e uruguagi ingaggiati in Italia, ci aveva aperto gli occhi su un mondo poco conosciuto. La zona grigia era la proprietà del cartellino dei calciatori, spesso spartita tra club e società parallele che continuavano a detenere i diritti e li cedevano in affitto. La punta dell'iceberg di questo fenomeno copriva un labirinto di movimenti di denaro poco chiari e vagamente leggibili dalle istituzioni che governano il calcio. Una commissione d'inchiesta, voluta dal parlamento brasiliano, si era messa a scavare con pazienza, per portare a galla alcune verità, anche imbarazzanti, sui rapporti tra futebol e sponsor, compresi alcuni della gloriosa Seleção. Se tanti guadagnavano così molti soldi sul trasferimento di un giocatore, perché non investire pochi denari in un falso passaporto? Tutto torna. E basta modificare pochi articoli di regolamento per liberare i filoni d'oro. Già allora i grandi squali del mercato tenevano in pugno intere squadre e controllavano il territorio nelle capitali del calcio sudamericano. Adesso il meccanismo è diventato più scientifico. I fondi d'investimento seguono logiche finanziarie: cacciano soldi su giovani da valorizzare e rivendere; ogni tanto puntano a qualche cavallo di ritorno, grandi nomi da spremere in pubblicità e marketing. Negli anni scorsi club come Palmeiras, Corinthians e Santos hanno dimostrato interesse nei fondi. Siccome non si può investire direttamente in giocatori, le mani di chi mette i soldi si allungano sui club. Nella Premier, la partecipazione di terzi ai diritti economici del calciatori è vietata dal 2008. Si coprono i problemi con qualche toppa. Ma bisognerebbe alzare lo sguardo e prendere una decisione che vale per tutto il calcio. Non conviene a nessuno regalarlo agli speculatori. 3 domande a JOSÉ M.GAY professore di economia MA COSÌ IL CALCIO DIVENTA FINANZA 1 Come valuta l’apparizione nella Liga dei fondi? Con l’ingresso in scena dei fondi il calcio, non solo quello spagnolo, rischia di diventare un’economia finanziaria, di semplice speculazione. E il ruolo dei fondi sul mercato potrebbe generare conflitto d’interessi. 2 In Spagna si è parlato molto di Jorge Mendes, procuratore di Mourinho e altri giocatori del Real, che pare legato a movimenti di giocatori controllati dai fondi. Potrebbe trovarsi coinvolto in un conflitto d’interessi, col fondo che cerca di trasferire i propri giocatori per trarne beneficio, andando contro gli interessi del club. 3 I fondi sono legati alla crisi del calcio? Sì, investono in giocatori giovani e spesso di categorie sociali non protette, e sfruttano la situazione dei ragazzi come dei club in crisi. 3 domande a DANIEL GEEY avvocato dello sport INGLESI CONTRO PER IL FAIR PLAY 1 Perché i club inglesi temono di subire uno svantaggio competitivo dai fondi? La «third party ownership» è vietata in Inghilterra. Se Arsenal e Porto vogliono un giocatore da 20 milioni, l’Arsenal dovrà pagarli tutti, ma al Porto potrebbe bastare molto meno, se riuscisse a coinvolgere un fondo d’investimento. 2 Per la Premier l’intervento dei fondi non rispetta il fair play finanziario. Il fair play mira a ridurre le spese per stipendi e trasferimenti. Difficilmente la Premier riuscirà a convincere l’Uefa a rimuovere i vantaggi di cui godono i club di altri Paesi nel ricorrere alla «third party ownership». 3 E il rischio di conflitto d'interessi? C’è almeno un problema di percezione. Molti potrebbero chiedere di rendere noti tutti gli accordi per assicurare che nessun proprietario di club abbia interessi economici su altri giocatori. 3 domande a JEAN-LOUIS DUPONT avvocato PERÒ LA PREMIER UCCIDE IL MALATO Jean-Louis Dupont è stato l’avvocato di Bosman. In un’intervista alla Bbc non ha nascosto le sue perplessità sul divieto della Premier ai fondi. 1 Come giudica l’interdizione della «third party ownership» in Inghilterra? È il tipico caso in cui, per combattere la malattia, si uccide il paziente. Se uccidi il paziente non c’è più la malattia, ma neppure il paziente. 2 Crede che un ricorso contro il divieto potrebbe vincere? Avrebbe ottime possibilità. Il principio guida della legge europea è la libertà d’impresa, dove la restrizione rappresenta l’eccezione. 3 Giudica il provvedimento eccessivo? La regola non è proporzionata. L’obiettivo è proteggere il gioco, la sua etica. Per raggiungerlo, però, non puoi semplicemente dire no fino a cancellare la libertà di qualcuno. IL CASO SARAGOZZA E ROBERTO SE I CAPITALI ESTERNI SONO DEL PRESIDENTE di ANDREA LUCHETTA (GaSport - ET 31-01-2012) Il trasferimento di Roberto Jiménez al Saragozza, in estate, ha spinto alcuni osservatori a parlare di nuovo caso Bosman. L’acquisto del portiere madrileno ben rappresenta il modo in cui i fondi d’investimento - dirottando sul pallone dei capitali esterni - permettono al calcio di diluire l’austerity imposta a tutti. Roberto ha lasciato il Benfica per 8,6 milioni di euro. Ad accoglierlo un club oppresso da 134 milioni di debiti, costretto ad aprire la più grande istanza di fallimento nella storia della Liga. Com’è possibile che si sia potuto permettere il 3° portiere più costoso dell’ultimo mercato? Il Saragozza in realtà si limiterà a pagare lo stipendio. Il resto verrà versato da un fondo d’investimento. Quale? Mistero, all’inizio. Poi, visto che l’authority della Borsa portoghese ha sospeso i titoli del Benfica, che essendo quotato è costretto a spiegare la provenienza del denaro, il presidente del club spagnolo, Iglesias, ha confessato: il fondo è diretto da lui stesso. L’affaire Roberto, benché legale, non è piaciuto a chi vi ha visto un tentativo di aggirare l’impasse finanziaria. Critica la Liga, giunta a minacciare di dissociarsi dalle trattative per la riduzione del debito. Ma Iglesias ha già annunciato di voler replicare il modello. -
31 01 2012 Tanti fanno finta di nulla ma c’è poco da stare Allegri Il mercato dà i suoi colpi di coda, il campo i primi responsi decisi se non ancora decisivi, ma è soprattutto lo stadio a gridarci alcune cosucce nelle orecchie, o a schiaffarci delle immagini negli occhi. Cose di costume & società, tracce di infingardaggine e incultura (ma non solo) nelle urine del calcio tifato e giocato. Analizziamo il consueto zibaldone. Urlano contro lo scomparso Oscar Luigi Scalfaro dalla Curva Sud, e non è una bella faccenda. Sui “non ci sto” in carriera si può discutere come fanno i giornali del Caimano e non solo quelli, in un Paese unto di vergogna; sui cori e sui fischi al defunto proprio no: era Roma-Bologna... E fiocchino dopo la neve le ammende sulla Juve per i suoi tifosi eroicamente dediti anche all’addiaccio ai cori razzisti in una partita di livello e di tregenda atmosferica: era Juventus- Udinese... INVECE si accenda un dibattito epocale sullo sciopero di parte del tifo, fuori dallo stadio di Firenze, e dei notabili del club nella prima fila della Tribuna Autorità all’interno del Franchi. Una partita tra scioperati: era Fiorentina-Siena... Ma nel terzo caso, al contrario del becerume, vedo tracce umorali di civismo sportivo e le distinguo completamente: mi sembra legittimo lo sciopero dei tifosi, al netto di insulti, violenze o minacce, così come la risposta uguale e contraria della presenza assente da parte della proprietà e dei dirigenti, per impersonare la distanza e la delusione, anche qui però al netto di proteste societarie vagamente ricattatorie contro le critiche che vengono loro rivolte. È tale intolleranza che la dice lunga su come siamo messi in fatto di libertà d’opinione in questo e in tutti i campi. NON POSSO criticare i Della Valle Bros per come gestiscono la Tod’s o la Fiorentina? E chi lo dice? Nei limiti della decenza e del rispetto, dovrebbero essere invece addirittura contenti dell’attenzione e magari stufi dell’agiografia che li circonfonde a colpi di pensierini gentili. Per esempio adesso Corvino e company si stanno muovendo benissimo sul mercato riparatorio, hanno un tecnico adatto, se recuperano autostima e serenità manageriale e ambientale possono riprendere per i capelli la stagione. Uno sbaglia e poi si corregge, l’importante è la chiarezza. Quindi sciopero per sciopero, anche se il vocabolo di questi tempi andrebbe usato con diversa oculatezza... ben venga anche questo confronto assente tra una proprietà che non è un clan francescano e la tifoseria che è la tifoseria e spesso investe emotivamente in una squadra quanto non fa in tutto il resto della sua giornata. Ma quello che non sembra arrivare negli stadi, se non molto attutito dai media, è la vicenda di “scommessopoli”. Le Procure indagano, a Bari c’è la fila, Doni intervistato dice “ho confessato tutto, ora anche gli altri facciano come me, da dodici anni vado avanti a giocare” ma nel senso di scommettere, e il mondo del calcio fa lo gnorri. I mass media ne parlano il minimo necessario, le tv sono arcifelici di biscardeggiare di campo e di calciomercato, la Federcalcio partecipa ai convegni di studio con i suoi vertici, ma su Doni& c. tace, Prandelli da Coverciano in uno di quei consessi si complimenta “eticamente” con la Roma. Tu ingenuo pensi che ci sia qualcuno anche della Roma che aiuti le indagini, giacché è noto che in ballo ci sono varie partite di Serie A e parecchi campioni usi a scommettere (anche in Nazionale), ti dici quindi che seguendo la linea prandelliana dell’etica forse ce la faremo a ripulirci, ti prude il polpastrello sulla tastiera degli elogi e poi vai a leggere bene: “Brava la Roma perché ha messo fuori Osvaldo mesi fa per una questione di etica comportamentale”, tipo menarsi con un compagno, segnatamente il virgulto Lamela. Ohé, ma stiamo scherzando? Doni ha vuotato il sacco in procura a Cremona e non solo con Repubblica, chiunque sia anche solo alla lontana un addetto ai lavori sa benissimo quanto sia marcio il pallone, c’è da essere preoccupatissimi perché in ballo c’è la passione massima degli italiani per giunta in tempi di crisi, e nessuno accusa ricevuta? Tutti ad aspettare i verbali degli interrogatori? Oppure tutti soddisfatti che il Mister del Milan campione d’Italia abbia ribadito alle accuse di Doni “ma è tutto prescritto”, perché è roba di dodici anni fa, aggiungendo “lo dicono solo perché sono il tecnico del Milan”? Nessuno che gli domandi se non c’è un leggerissimo aspetto etico nella brutta storia di Atalanta-Pistoiese con Allegri giocatore, nessuno che gli domandi semplicemente: “Ci dica a telecamere e microfoni accesi se le accuse di Doni sono vere o no, al di là della prescrizione... ecco, risponda, guardi in camera...”. Altro che discorso etico, siamo di fronte a una gigantesca presa per i fondelli del tifoso che del resto non chiede altro che essere preso per i fondelli. È IL RITORNO di Vanna Marchi, o del mago Otelma, ammesso che se ne siano mai davvero andati dal nostro orizzonte... L’importante è che stasera si rigiochi subito il turno infrasettimanale, che in extremis arrivi l’ultimo acquisto risolutore (leggo di cifre incredibili, anche se scontate per il periodo di vacche magre, per giocatori che una volta avrebbero visto la Serie A in tv, a dimostrazione del fenomenale livellamento verso il basso di questo pallone, perlomeno da noi), che il “brand” sferico non venga offuscato. Se la giocheranno Juve e Milan, si affacceranno sull’orrido in fondo Cesena, Novara e Lecce, in mezzo la classifica resterà corta. Chi vuole sapere davvero chi truccava e/o chi trucca il nostro calcio?
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PUGNI e Caresse Amnesty liberi Di Marzio di ANDREA SCANZI (il Fatto Quotidiano 31-01-2012) C’È UN DRAMMA umano che si sta compiendo, davanti agli occhi insensibili del mondo. Riguarda Gianluca Di Marzio. Figlio dell’ex allenatore Gianni. Trentotto anni. Telecronista, conduttore e soprattutto esperto di calciomercato. Questo è il suo primo dramma: essere specializzato sul nulla (cosa c’è di meno importante del calciomercato, a parte l’alchermes? Nulla). Il secondo dramma è estetico. Costretto a rimanere appollaiato – all’angolo dell’inquadratura a destra, in perenne castigo – per tutto l’arco di Sky Calcio Show, vederlo accanto a Ilaria D’Amico è come osservare una vignetta di Forattini a fianco di un Rembrandt. Il terzo dramma è il ruolo mediatico. Ogni volta che Di Marzio appare sul piccolo schermo, con quel profilo sbarazzino da pensionato che sbaglia la mano decisiva a tressette, gli altri – fingendo savoir faire – lo trattano da mezzo reietto: Bonan, Costacurta, Mauro, Marchegiani (sì, persino “Stanis La Rochelle” Marchegiani). Tutti lo sovrastano e nessuno gli dà mai la parola. Lui, timidamente e con voce metallica, qua e là interviene, ponendo domande di spiccata irrilevanza: “Ce lo ufficializza Roger Carvalho?”, “Avete preso anche la metà di Immobile?”, “Pazienza tornerà al Napoli?”, “Può confermarci che Thiago Motta rimarrà all’Inter?”, “Prenderete anche Cerci?”. Di Marzio vive nel disperato tentativo di attirare l’attenzione, ma nessuno lo considera. Chi lo sminuisce, chi lo zimbella. Un martirio. Anche due giorni fa. Senza neanche la soddisfazione di essere inquadrato, ha timidamente chiesto a Reja: “Ma arriva Honda?”. Reja: “Seeeh, ondaaa su ondaaaa”. Costacurta: “Seeeh, e Kawasaki?”. E giù, tutti a ridere. Verosimilmente, dietro la telecamera, anche la D’Amico lo ha irriso: così per umiliarlo ulteriormente. Gianluca Di Marzio sta subendo, da anni, una vera e propria gogna mediatica. Non c’è più tempo da perdere: Amnesty International si mobiliti. -
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Beha: “Scudetto alla Juve? Avrebbe una funzione salvifica” di OLIVIERO BEHA da Partite&Partiti su "il Fatto Quotidiano.it" 30-01-2012 “Il Milan ha gli assi, ma occhio alla stanchezza”. Oliviero Beha nel suo editoriale di oggi spiega quali sono le variabili che potranno influenzare le prossime partite: la stanchezza, sopratutto dei giocatori rossoneri per la concomitanza della Coppa Italia con la Champions League; il gioco di squadra e le abilità dei singoli calciatori. Il Milan sembra avere tutte le carte in regola, ma secondo Beha la vittoria della Juventus avrebbe una funzione salvifica per l’Italia, dopo gli scandali di Calciopoli del passato e del Calcio scommesse. Nel frattempo si gioca un’altra partita, nelle Procure. Cristiano Doni ha confessato e ha tirato in ballo altre squadre. “Farà prima la Procura a ripulire il calcio o il calcio a riscattarsi?”. -
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L'inchiesta I TALENTI Lameglio gioventù Tutto il mondo cerca di emulare il metodo Barcellona per creare in casa i campioni di domani. Viaggio nelle "cantere" d´Italia: mezza serie A schiera un giocatore cresciuto nella Roma, una ventina sono targati Bergamo, l´Inter inizia ad allevarli da 8 anni, Monza sforna portieri e Udine ora vuole rilanciare i friulani di ANGELO CAROTENUTO & FRANCESCO FASIOLO (la Repubblica 30-01-2012) È come per la formula della Coca Cola. Tutti a cercare l´ingrediente segreto di quella parola magica, la cantera; tutti dietro il made in Barcellona, che un giorno gioca la Champions con 9 ragazzi del suo vivaio e spinge il mondo sulla via dell´emulazione. C´è chi ne copia la struttura, chi corre a soffiargli i tecnici delle giovanili: da Hong Kong (Josep Gombau) alla Polonia (Bakero), da Tblisi (Garcia) a Dubai, dove la squadra allenata da Maradona ha affidato i ragazzini allo scopritore di Iniesta, Albert Benaiges. Fino a Liverpool (l´Accademia a Rodolf Borrell) e alla Roma. Dove da tempo ha sede una delle fabbriche italiane di talenti, uno dei vertici del triangolo Roma-Milano-Bergamo. MODELLO TRIGORIA Mezza serie A ha mandato in campo almeno un giocatore formato a Trigoria. Luis Enrique ne ha utilizzati sette, altri arriveranno: «Il mercato? Se prendiamo qualcuno, bene: altrimenti c´è la Primavera che ha giocatori di qualità. Preferisco lavorare così, penso che la squadra possa migliorare in questo modo». È il trapianto più diretto, più consistente e più recente del dna barcellonese nel nostro calcio. LA FABBRICA ATALANTA Ben 20 giocatori dell´attuale serie A vengono da qui. Hanno avuto a che fare con Mino Favini, che da vent´anni gestisce il più prolifico settore giovanile d´Italia. «Spendiamo 2 milioni l´anno, che per noi non sono pochi. Ma possiamo permetterci di far esordire molti più giovani rispetto a Milan, Inter o Juve: lì se non offri garanzie, non rischiano. Da noi invece i ragazzi conquistano visibilità e interesse, il rientro c´è sempre, a volte è strepitoso». Dopo Scirea e Donadoni sono venuti Pazzini e Montolivo. I prossimi sono Gabbiadini e Bonaventura. L´ingranaggio funziona, dietro c´è un´organizzazione che pesca talenti a Bergamo e nelle province confinanti. INTER DA CHAMPIONS L´Inter investe 5 milioni l´anno, cifra analoga a quella di Milan e Juve. Una ventina di osservatori, una rete di società affiliate cui appoggiarsi, due persone all´estero (così sono stati scoperti Martins e Pandev). Nella neonata Champions per squadre Primavera - la Next Generation Series - l´Inter è in semifinale: la giocherà a marzo contro il Marsiglia. Roberto Samaden, responsabile del settore, racconta: «La metà dei ragazzi della rosa sono con noi da quando avevano 8 anni. È la nostra filosofia. Dai 14 ai 17 anni vivono tutti insieme in una villa gestita da una famiglia di nostra fiducia: così ricreiamo l´ambiente di casa. Non credo che i nostri vivai siano così poveri come si dice, anche se il Barça è lontano: spende il triplo di noi». ritorno al made in italy I più esterofili di tutti stanno facendo marcia indietro. Per anni gli osservatori dell´Udinese hanno importato talenti: Felipe è arrivato a 15 anni dal Brasile, Sanchez dal Cile a 17. Ora l´obiettivo è un vivaio made in Friuli, d´altronde patron Pozzo lavora a Barcellona e conosce bene il modello originale. Andrea Trevisan, che cura il settore, spiega: «Ogni anno lasciavano il Friuli tra i 10 e i 15 calciatori di 14 anni, età in cui per regolamento ci si può trasferire fuori regione. Andavano all´Inter, alla Juve, al Milan. Ma quanti di questi sono arrivati in A? Nessuno. Ci siamo detti: invece di girare il mondo, cominciamo a trattenere qui i più forti. Ora vogliamo portare ragazzi friulani in serie A». LA RINCORSA DEL CHIEVO Ambizione simile in casa Chievo, da anni "favola" italiana, ma ancora senza giovani suoi nel grande calcio. Maurizio Costanzi, responsabile del settore, spiega: «Il nostro è un progetto recente, appena partito con ragazzi del ‘90. Dobbiamo affrontare la concorrenza delle grandi anticipandole sulle scelte, convincendo calciatori e famiglie che anche un piccolo club come il nostro può garantire un percorso formativo, magari meno esasperato e più tranquillo». Ed è già al secondo posto nel suo girone Primavera dietro il Milan. I PORTIERI Ne cercate uno? Fate un giro a Monza. Hanno dato alla attuale serie A Abbiati, Antonioli e Castellazzi. Qui è cresciuto anche Castellini, oggi preparatore portieri dell´Under 21. Sull´onda di questa tradizione, da ottobre è partita una scuola dedicata esclusivamente alla formazione di giovani numeri uno. «Abbiamo 11 preparatori che si dedicano a 100 ragazzi tra gli 8 e i 16 anni iscritti al corso» spiega Gianluca Andrissi, dt del settore giovanile. Il Monza spende 200 mila euro annui per i costi di gestione (dai pullman agli stipendi dello staff) e poche migliaia di euro per gli acquisti. IL FATTORE PROVINCIA L´ambiente familiare spiega gli exploit di provincia. Il Piacenza ha prodotto negli anni gli Inzaghi, Gilardino e Lucarelli; altri 3 giocatori di A provengono da una realtà come il Cittadella. Un vero e proprio caso è la Renato Curi di Pescara (oggi fusa con l´Angolana): la prima squadra mai più su della serie D, ma ben 6 scudetti fra gli Allievi dilettanti e due campioni del mondo, Oddo e Grosso. Niente male per un club che gioca nello stadio da 2000 posti di Città Sant´Angelo. L´EMERGENTE VARESE Il Varese ha costruito quasi da zero lo scorso anno. Ed è stata subito finale scudetto. In panchina Devis Mangia, poi in A con il Palermo. Racconta: «L´errore è ritenere il settore giovanile un obbligo. Se lo vivi così, lo fai male e con fastidio. A Varese abbiamo puntato sul talento, su quei ragazzi ostacolati nella loro crescita dal carattere, magari scartati dai grossi club. A Palermo avevo iniziato il lavoro con lo stesso criterio». LA MODA DEL PRECOCISMO Su 511 calciatori Primavera in Italia, ben 349 sono nati nei primi sei mesi dell´anno: il 68%. E si sale all´80% comprendendo le altre categorie. Significa che fra ragazzi dello stesso anno, si reclutano quelli con maggiori doti fisiche. Un setaccio alla base. È la filosofia del "precocismo". Forse perché Messi, Iniesta, Xavi, Piquè, Fabregas, Puyol e Thiago sono tutti nati fra gennaio e giugno. E pazienza se Maradona e Pelé erano di ottobre. --------- La storia Quando le nuove stelle si scoprivano a Viareggio A lungo l’unica vetrina, lunedì il via di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 30-01-2012) Un po´ oasi protetta e un po´ riserva di caccia, il Torneo di Viareggio è lo storico marchio del calcio giovanile, una specie di garanzia di qualità che attraversa le tormentate epoche del nostro pallone. Anche in tempi di WyScout, il database che archivia 70 mila calciatori da scoprire con un semplice tocco del mouse, andare, cercare, annusare, stanare ed eventualmente opzionare (a Viareggio, in diretta e con un computer, consumando suole e pupille), restano infiniti da usare quasi all´infinito. Perché lo sport è materiale umano, non elettronico. Chi vince la Coppa Carnevale - anche se il nome completo contiene ormai un inevitabile "Viareggio Cup", siamo o non siamo globali? - si porta a casa il trofeo con la statua di Burlamacco. Si comincia lunedì 6 febbraio per la sessantaquattresima volta, le squadre al via sono 48 dalla A dell´Arzanese alla V della Virtus Entella, e ovviamente non mancano Juventus, Milan, Roma e le altre grandi. L´ultima edizione se l´è presa l´Inter, le due precedenti la Juve. Come da tradizione, finale allo stadio Dei Pini, un lunedì, il 20 febbraio, perché è quello il giorno in cui Burlamacco si diverte di più. Seicento ragazzi, seicento potenziali affari, materiale da maneggiare con la massima cura. Come quando arrivò a Viareggio un certo Edinson Cabani, era il 2006, il nome era scritto con un refuso nella distinta consegnata dal suo club, il Danubio, ma lui non impiegò molto tempo a rimettere a posto consonanti e portieri. Due anni dopo, la Coppa Carnevale se la prese Balotelli, uno che con gli scherzi ha pure troppa confidenza, e ovviamente non si contano le generazioni di fenomeni passate sotto aghi e pigne di questo tetto naturale, bellissimo, sopra lo stadio che odora di mare: Trap e Bulgarelli, Mazzola e Facchetti, Zoff e Scirea, Paolo Rossi e Corso, poi Vialli e i due Baresi, Maldini e Baggio, Del Piero e Buffon, Cassano e Totti, fino a Marchisio e Balotelli, gli azzurri di oggi e domani, viareggini l´altro ieri. Anche tra gli stranieri, l´elenco è un Almanacco Panini che comprende tra gli altri Uwe Seeler e Sepp Maier, Batistuta e Pandev, Schweinsteiger e Cavani (con la "v"), fino ai più recenti Zapata e Kjaer. Per capire la classe di alcuni di loro, per non dire di quasi tutti, forse non occorreva una mostruosa e visionaria fantasia, però un conto è vederli in azione dal vivo, un altro andarli a pescare negli sperduti angoli del mondo. Perché oggi è così che funziona, si setaccia il pianeta con le reti dei "segnalatori", qualcosa di diverso rispetto ai più classici osservatori, questi sono professionisti che possono lavorare anche per più club diversi, e chi si muove per primo e con più scaltrezza vince, e magari si porta a casa la pepita d´oro senza svenarsi. Poi, resterebbe da risolvere la contraddizione tra vivai sempre più trascurati e necessità anche economiche del "fai da te", montando i propri talentini come librerie dell´Ikea. La Federcalcio ha capito che è lì che bisogna puntare, e da qualche tempo ha rivoluzionato il settore tecnico, quello giovanile e quello scolastico, affidato al ballerino Rivera. La notizia è che si sta smettendo di allevare i calciatori un tanto al chilo, come vitelli, e si torna ad accudire la classe come principale virtù. In fondo è l´eredità più cospicua del Barcellona, che stravince per sé ma indica la strada a tutti, amando ogni piantina della propria serra come l´unica e già vedendo, in quei piccoli semi, la quercia che verrà. -
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retroscena Nodo comproprietà: spunta l’Irap di CARLO LAUDISA (GaSport 30-01-2012) Compare l’Irap nella trattativa con l’Agenzia delle Entrate per le compartecipazioni. Se ne parlerà al tavolo che la prossima settimana vaglierà le soluzioni per uscire dal tunnel delle contestazioni poste dal Fisco ai club calcistici dal 2006 in poi. Sono circa 200 i casi solo nella massima serie ed è interesse di tutti sciogliere al più presto questo nodo. Summit A rappresentare la Lega di Serie A c’è Ezio Maria Simonelli, presidente del collegio dei revisori di via Rosellini: ha a suo conforto le consulenze del professor e dell’avvocato Guglielmo Maisto, legale della Samp. L’Agenzia delle Entrate chiede il pagamento dell’Iva, che attualmente è del 21%, considerando gli utili derivanti da queste operazioni. Sinora, però, le società di calcio hanno pagato le tasse su queste compravendite, considerando che per le norme federali l’istituto della compartecipazione è formalmente di natura finanziaria. Così ora la tesi dei club è che tali plusvalenze debbano essere intese come dei veri e propri derivati. E il Fisco regola questi casi proprio con l’Irap . Il risparmio per le società sarebbe consistente, visto che la quota meno dell’Irap è del 2,75%. Essendo però un’imposta regionale ci sono anche delle addizionali. Per la sponda Lega questa soluzione potrebbe essere adottata per il pregresso, in attesa che la Figc faccia ordine in materia. Non è da escludere, però, una via mediana. Cioé che si applichi l’Iva per le plusvalenze, regolando con l’Irap le situazioni neutre. Il presidente Vanno lette in questa direzione le parole di ieri del presidente della (Lega) di A Maurizio Beretta a TGCom: «Il confronto è su come qualificare le operazioni che possono diventare soggette o meno a Iva. Nelle compartecipazioni, finora si trattava di un’operazione finanziaria, se condividiamo con l’Agenzia delle entrate che è qualcosa di diverso e da assoggettare all’Iva non c’è alcun problema ». ___ A COVERCIANO Quale futuro per il calcio Figc e Ussi a convegno trafiletto non firmato (GaSport 30-01-2012) «Il calcio e chi lo racconta» è il titolo del quinto seminario di aggiornamento voluto dalla Federcalcio e dall’Unione stampa sportiva che comincia oggi a Coverciano per chiudersi domani con l’intervento del presidente del Coni Gianni Petrucci. Molti i relatori che si alterneranno nella due giorni, ma l’attenzione è tutta riservata all’intervento del presidente federale Giancarlo Abete che a chiusura di questa prima giornata farà il punto sul calcio con la relazione dal titolo «Riforme per il futuro del calcio italiano». Il seminario sarà chiuso domani dall’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta che parlerà di «Autonomia dell’ordinamento sportivo, una garanzia per il sistema». Tra i relatori i c. t. Prandelli (calcio) e Pianigiani (basket), Sacchi e Viscidi per le nazionali giovanili, Braschi, gli arbitri Banti e De Marco, Bogarelli di Infront, Marchetti e Traverso dell’Uefa. Apriranno i lavori Valentini, Figc, e Ferraiolo, Ussi. Previsto un saluto di Petrucci. -
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L’episodio a fine partita in «zona mista» tra i giornalisti: il difensore del Bologna, infortunato, sbotta Raggi, parolaccia per Totti: è caos di ROBERTO MAIDA (CorSport 30-01-2012) ROMA - Si sono toccati in campo, si sono sfiorati fuori. Fin qui tutto ok. Totti con il figlio Cristian si allontanava dallo stadio con un bel sorriso, Raggi lo seguiva di un paio di minuti raccontando la partita al padre via telefonino. Sarebbe stata un’uscita normale di due avversari che hanno pareggiato una partita normale. Ma nella zona mista, sotto al tunnel che porta dagli spogliatoi al pullman della squadra in visita, Raggi ha perso le staffe davanti a una cronista bolognese che gli chiedeva lumi sul suo infortunio: «Mi fa male la caviglia. Chiedete a quella męrda di Totti» . E’ calato il silenzio, con trenta giornalisti sorpresi da una frase così forte. Poi il gelo si è sciolto in rabbia, perché qualcuno dalla mischia dei cronisti ha urlato: «Cosa hai detto?» . E Raggi ha ripetuto: «Sì, quella m. . . Avete problemi?» . TENSIONE - A quel punto si è rischiato il contatto fisico tra il giocatore e alcuni giornalisti, sistemati al di là delle transenne che dividono le squadre dalla stampa. Ma l’allarme è rientrato subito perché Raggi è stato portato via in tutta fretta da uno degli addetti stampa del Bologna. Meglio così. PRIVACY - Lo scambio di battute non è stato registrato o filmato. Tanto che da Bologna raccontano una verità differente. La società smentisce che Raggi si sia rivolto ai giornalisti insultando Totti. E Raggi giura che si è trattato di un equivoco grossolano: nel mezzo di una conversazione con il padre, è uscita fuori qualche parola poco gentile. Ma niente di ufficiale e niente di pubblico. Non solo. Il Bologna assicura che Raggi si sia sentito «aggredito verbalmente» dai giornalisti romani, uno dei quali (secondo la versione bolognese) si era rivolto al giocatore con un tono minaccioso. E così si spiegherebbe il successivo scatto di nervi. I FATTI - Comunque sia, è stata una coda antipatica. Ma cosa era successo tra Totti e Raggi? A partita quasi finita, con la palla lontana, i due si sono scontrati fuori dall’area di rigore del Bologna. L’arbitro Guida e gli assistenti non hanno visto nulla, lasciando correre il gioco, e le immagini televisive non chiariscono la gravità dell’episodio. Si vede solo che Totti taglia la strada a Raggi, poi sostituito da Pioli durante il recupero per l’infortunio. Potrebbe quindi essere stato un contatto involontario. Totti ha preferito non rispondere a caldo agli insulti. Si riserva di farlo eventualmente oggi, dopo l’analisi dei giornali. ___ LA POLEMICA Nel finale fallo di Totti su Raggi E il bolognese: «È una mer...» di ALESSANDRO CATAPANO (GaSport 30-01-2012) Fischi sulla Roma, insulti al suo capitano. La domenica giallorossa può sintetizzarsi così. L’Olimpico non apprezza la prestazione contro il Bologna, Andrea Raggi non gradisce un fallo subito nel finale di partita. E quando lascia zoppicante lo stadio si sfoga con i cronisti bolognesi. «La botta? Colpa di quella męrda di Totti». Lo ripete due volte, e il suo sfogo viene intercettato anche da un gruppetto di giornalisti romani: ne nasce un battibecco che non fa onore alla categoria. Totti non replica, fa trapelare solo il suo rammarico per il pareggio: «Peccato, era la giornata giusta per scalare la classifica». Anche Luis Enrique ha la sensazione di aver perso un’occasione d’oro. «Potevamo fare un colpo», ammette. E invece il pareggio lascia più o meno immutata la distanza dalle zone nobili. «Spero che il nostro campionato non diventi anonimo», prosegue l’allenatore. Il rischio c’è, se la vera Roma è quella vista ieri. Colpa della cena dello scandalo? Luis smentisce («Fisicamente stavamo benissimo»), ma precisa: «Manovra lenta in effetti. Il Bologna ha meritato il pareggio». Infine, tiratina d’orecchie a Lamela. «Gli avevo pronosticato due gol, non sono stato buon profeta. Deve imparare a gestire le pressioni». Onore al Bologna. Stefano Pioli è soddisfatto. «Ai miei giocatori ho chiesto di fare il contrario rispetto alla gara d’andata. Potevamo anche vincerla». Gli fa eco Di Vaio, conquistato da Pioli. «Molto bravo, sta andando oltre le mie aspettative. Il pareggio? Una grande prestazione». ___ Raggi, che insulti a Totti Il difensore lancia accuse al capitano per l’infortunio di FEDERICO VESPA (Il Messaggero 30-01-2012) ROMA - Va giù pesante Andrea Raggi, difensore centrale del Bologna. Se la prende con il capitano della Roma per l’infortunio che l’ha costretto ad uscire dal campo, qualche secondo prima che la partita finisse. Il calciatore rossoblù mette sotto accusa Totti per un colpo (apparso involontario) al tallone. «Cosa mi sono fatto? Perché sono uscito? Per colpa di quel pezzo di m... di Francesco Totti», la bruttissima frase pronunciata in mix zone. Un attacco pesante, che segue il parapiglia scaturito negli spogliatoi con urla e qualche spintone fra giocatori. Da parte di Totti non c’è stata nessuna replica alle pesanti accuse del difensore avversario. Che fanno il paio con le parole pronunciate alla vigilia da Alessandro Diamanti, e riferite alla facilità del capitano nell'essere una bandiera della Roma a dieci milioni di euro l'anno. L’allenatore del Bologna, Stefano Pioli, preferisce sorvolare sul fatto, godendosi la soddisfazione sia per il risultato che per il gioco espresso. La sua squadra ha fermato un'altra grande dopo il Milan, facendo un figurone: «Ovvio che la prestazione dei ragazzi mi soddisfa, in particolar modo dopo una partita del genere giocata contro una delle squadre che, a mio avviso, è inferiore a poche dal punto di vista del gioco». Un ringraziamento particolare Pioli lo rivolge a Marco Di Vaio, che da alcune domeniche è tornato più che mai uomo decisivo nella corsa alla salvezza del Bologna: «Credo ci sia molto di Marco in questo pareggio, non solo per il gol realizzato ma per le occasioni che ha avuto e il sacrificio che costantemente mette al servizio della squadra. Fisicamente è in una condizione straordinaria». C’è tempo anche per un elogio a Tadier. «Il ragazzo è giovane ma di grandi prospettive e adatto al calcio moderno. Mi spiace invece per il goal subito su punizione; non dovevamo commettere fallo perché la Roma sui calci piazzati sa essere letale». -
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L´incontro Indignados Eduardo Galeano Bigliettaio, dattilografo, operaio, fattorino, solo poi giornalista e infine scrittore. Sempre e comunque grande appassionato di calcio e di giustizia: "Più che a scuola, è nei caffé di Montevideo che ho appreso le lezioni della vita. La prima: l´arte è una menzogna che dice la verità La seconda: le parole che meritano di esistere sono soltanto quelle migliori del silenzio" di SEBASTIANO TRIULZI (la Repubblica 29-01-2012) «Da bambino sarei voluto diventare un pittore. Cercavo di comprendere il mondo attraverso le immagini. Crescendo sentii che c´era una distanza troppo grande tra ciò che potevo e ciò che volevo fare. Ancora oggi però la mia memoria funziona per immagini». Effettivamente nei libri di Eduardo Galeano, costruiti attorno alla riscrittura di storie private, di cronache e miti collettivi, di episodi dimenticati e dolorosi, segreti e cicatrici del continente latinoamericano, l´atto dello sguardo, inteso come conoscere e riconoscere, è quasi sempre un presupposto. Talvolta lui stesso disegna le figure che accompagnano i suoi testi e nelle dediche agli amici tratteggia, a mo´ di autoritratto, un maialino con un fiore in bocca: «È un omaggio a un animale antieroico condannato a un triste destino di salame, sanguinaccio o salsiccia». I primi passi nel giornalismo Galeano li compie pubblicando a soli quattordici anni caricature politiche su un settimanale socialista, El Sol, che siglava col nomignolo "Gius", versione in castigliano del cognome del padre (Hughes). Quando cominciò a scrivere optò invece per quello della madre, Licia Esther Galeano. La famiglia apparteneva alla borghesia urbana su cui l´Uruguay aveva basato il suo sviluppo economico nei primi decenni del Novecento. Nato a Montevideo il 3 settembre del 1940, discendente della migrazione europea - con geni «italiani, gallesi, castigliani, tedeschi, un miscuglio incredibile» - dopo sei anni di scuola primaria e un solo anno di scuola secondaria abbandona gli studi, «in parte per una ragione economica e in parte», rivendica con orgoglio, «per il desiderio di libertà». Bigliettaio, dattilografo, operaio in una fabbrica di insetticidi, al seguito di un fotografo, e altro ancora, sempre spinto da quell´ansia di cercarsi e trovarsi che l´ha reso da adulto un camminatore instancabile. «I miei libri - spiega - nascono da questo girovagare senza sosta», come se non si finisse mai di vedere. L´ultimo impiego prima di vivere di solo giornalismo fu il fattorino in una banca: «Dopo quattro anni capii che non faceva per me. Lì appresi che i principali rapinatori di banche sono i banchieri stessi ma nessun allarme suona mai per loro». Definisce il cattolicesimo l´influenza più profonda dell´infanzia: «Fino a tredici anni ho creduto nel messaggio divino. Per sua fortuna la Chiesa si è salvata e io ho intrapreso altri percorsi. Però c´è sempre qualcosa che lavora sul fondo della botte di vino e questa volontà di trascendenza si è trasformata in altro. Oggi mi sento vicino alle religioni indigene, le più disprezzate eppure più umane di quelle che mi hanno formato». La lettura del Capitale - «per intero» sottolinea - avvenne a casa di amici, in gruppo e fu fondamentale per la sua formazione. «Ci faceva lezione Enrique Broquen, un professore argentino che tutte le settimane per tre anni ha preso l´aereo da Buenos Aires per venire a spiegarci il marxismo», in una versione non leninista, vicina all´insegnamento di Rosa Luxemburg. «Penso che la grande tragedia del secolo scorso sia stata il divorzio tra libertà e giustizia. Una parte del mondo ha sacrificato la libertà in nome della giustizia, e l´altra parte ha fatto l´opposto. La migliore eredità di Rosa sta nell´idea che libertà e giustizia siano due fratelli siamesi. Ricucire quel legame rappresenta la grande sfida di questo nuovo secolo». I caffè di Montevideo, frequentati da adolescente, sono stati la sua università: «I miei primi maestri furono i narratori anonimi seduti ai tavolini. Un giorno un uomo cominciò a descrivere una battaglia durante la guerra civile. A scuola la storia mi sembrava un mondo di statue, senza carne né sangue. Ma lui raccontava con tanta intensità che sentivo lo scalpiccìo degli zoccoli dei cavalli e il clangore delle armi. Era trascorso più di un secolo, non poteva averla vista con i suoi occhi. Così appresi la mia prima lezione: l´arte è una menzogna che dice la verità. Nel campo erano tutti morti, proseguì l´uomo, e a un certo punto si imbatté in un ragazzo che pareva un angelo tanto era bello. Aveva le braccia in croce e una bandana a sorreggere i capelli. Sopra c´era scritto "Per la patria e per lei", cioè la sua donna; la pallottola che l´aveva ammazzato era entrata nella parola "lei". Seconda lezione: quello che è successo una volta attraverso la magìa del racconto accade nuovamente». A ventotto anni diventa direttore di un quotidiano, Época. «È stata una delle mie tante pazzie. Di mattina curavo le pubblicazioni dell´università e il pomeriggio andavo al giornale dove oltre agli editoriali mi divertivo a scrivere l´oroscopo. Consigliavo sempre di peccare». Scriveva anche di calcio, la sua grande passione: «In quegli anni era malvisto dagli intellettuali di destra e di sinistra: per i primi era la prova che il popolo pensava con i piedi, per i secondi era colpevole di non far pensare il popolo». Una delle partite per lui più significative fu giocata alle Olimpiadi del ´36, dal Perù contro l´Austria, paese d´origine di Hitler che assisteva dal palco d´onore. «Fu una vera umiliazione. Il Perù si impose 4 a 2, l´arbitro annullò tre gol ma non riuscì a evitare la sconfitta. La notte stessa le autorità olimpiche annullarono la partita. Non è solo la disfatta di un potente a renderla bellissima, mi sembra anche pedagogica: se la realtà non piace si decreta che non esiste, che è la specialità di molti dirigenti dello sport internazionale. E poi è una storia di dignità, di cui oggi c´è un gran bisogno. L´unica frontiera in cui ho sempre creduto è quella che separa gli indegni dagli indignati». Nel giugno del 1973 ci fu un colpo di stato in Uruguay. Galeano viene imprigionato e dopo una decina di giorni rilasciato perché, precisa sornione, «non avevano alcuna prova». Se ne andò a Buenos Aires dove fondò Crisis, una rivista che ebbe successo e per questo fu poi stroncata dalla dittatura. «La cultura veniva intesa come comunione collettiva, non solo quella professionale ma anche le mille e una espressioni della cultura anonima, che la gente fa, senza saperlo, scrivendo sui muri o parlando intorno a un falò. Alcuni ci rimisero la pelle». Avevano formato una squadra di calcio e ogni mercoledì mattina se ne andavano al campo del Palermo «i cui cancelli erano allora sempre aperti». Il suo ruolo era mezzala destra, più avanti che dietro: «Ero il peggiore di tutti ma a nessuno importava perché giocavamo per il piacere di farlo e non per il dovere di vincere». I militari arrivarono poi anche in Argentina, nel ´76, secondo il disegno pianificato dagli Stati Uniti per i quali la presenza di governi democratici in quella parte del mondo era una cattiva notizia. Inserito nella lista degli uruguagi da eliminare non gli restò che l´esilio, dapprima in Brasile e poi in Spagna, un periodo, ricorda, di penitenza: «Convertire questo tempo lontano dalla mia terra e dalla mia gente in qualcosa di creativo fu la mia sfida. Mi venne l´idea di raccontare la storia delle Americhe attraverso brevi narrazioni, il che implicava assidue ricerche in biblioteca. Ci misi undici anni a finire Memoria del fuoco», grandioso affresco che parte dai miti precolombiani della creazione e in cui compaiono campesinos e dittatori, furfanti e figure storiche, eroi e visionari. Solo nel 1985, una volta caduta la dittatura, Galeano poté fare ritorno in patria. Riscattare e recuperare la memoria collettiva è ancora oggi il suo imperativo: «La convinzione di essere la voce di quelli che non l´hanno è però un grave errore poiché tutti abbiamo una voce. Il problema è che non sempre viene ascoltata. Dobbiamo sentire cosa hanno da dire gli invisibili, le donne, i poveri, perché sono le voci che contrastano con la voce del potere, questa sì eco di echi, ripetizione all´infinito di una versione bugiarda della realtà». Nelle ultime opere (Il libro degli abbracci, Specchi), s´è accentuata la sinteticità delle sue narrazioni e la vocazione alla nitidezza: «Tendo ad assomigliare a Juan Carlos Onetti», spiega, che fu insieme a Juan Rulfo uno dei suoi maestri. «Due uomini dal carattere difficile. Due figure imponenti della letteratura eppure così timidi. Quando lo andavo a trovare, Onetti mi offriva un vino che causava una cirrosi istantanea e mi impastava la bocca, sicché mi chetavo subito. Fumava come un turco e per dare lustro alle sue parole mentiva attribuendole a un proverbio cinese o a un detto etrusco. Una volta mi disse: le uniche parole che meritano di esistere sono quelle migliori del silenzio. Non solo gli scrittori ma anche i politici dovrebbero imprimerselo nella mente. Il silenzio è un linguaggio perfetto ed è dura per la parola competere. Per questo riscrivo più volte un testo finché non sento che è migliore del silenzio». I suoi libri sono il frutto di un ossessivo lavoro di lima, «perché sono nato nel segno della Vergine, tutti maniaci-perfezionisti». Rulfo invece dopo La pianura in fiamme e Pedro Paramo «non pubblicò praticamente più nulla. Scrisse quello che doveva e si ammutolì come uno che ha fatto l´amore nella migliore maniera e poi si addormenta nella camera da letto. Un giorno, nella sua casa in Messico, prese una lavagna a due facce che aveva da un lato una penna e dall´altra un cancellino: si scrive con questa, mi disse indicando la penna, ma soprattutto con quest´altra, con il cancellino. Penso di essere stato un buon allievo». -
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I pentiti scuotono il calcio Petrucci: "Chi sa ora parli" Altri quattro pronti a deporre. Allegri risponde a Doni: "Io assolto" di GIULIANO FOSCHINI & STEFANO SCACCHI (la Repubblica 29-01-2012) Qualcosa si è mosso. E si è mosso così forte che presto potrebbe far crollare il gigante. Tra l´incredibile silenzio della Federcalcio e di tutto il mondo del pallone, la Procure che in Italia stanno indagando sul calcioscommesse cominciano ad avere i primi risultati al lavoro che stanno conducendo da mesi: il muro dell´omertà sembra essersi rotto, i calciatori hanno voglia o bisogno di raccontare cosa è accaduto negli ultimi due anni sui campi dei campionati italiani. Dopo le lunghe dichiarazioni di Andrea Masiello e Marco Rossi davanti ai pm, e prima ancora di Micolucci o Gervasoni, dopo l´intervista di Cristiano Doni ieri a Repubblica e Ġazzetta dello Sport, sul taccuino della procura di Bari sono finiti i nomi di alcuni calciatori di serie A pronti a raccontare cosa hanno visto lo scorso anno. E che non hanno denunciato. Sono almeno quattro e potrebbero essere ascoltati (fermo restando il turno di serie A infrasettimanale) dal procuratore capo Antonio Laudati e dagli uomini del reparto operativo dei carabinieri già la prossima settimana. Le storie sono sempre le stesse: scommettitori che provano a corrompere, migliaia di euro offerti ai calciatori, malavitosi italiani e stranieri che girano nei ritiri delle squadre. Storie taciute ma che ormai sono esplose. «Chi sa parli» tuona il numero uno dello sport italiano, il presidente del Coni Gianni Petrucci. Silenzio invece, assai poco comprensibile, dalla Figc: ieri il presidente Abete è tornato ad applaudire Farina e Pisacane senza fare alcun accenno ai pentiti. La scelta di collaborare con la Giustizia è anche propedeutica per uno sconto in chiave di giustizia sportiva: lo ha ottenuto il difensore dell´Ascoli, Vittorio Micolucci, il primo a parlare nella storia del calcioscommesse di Cremona. Spera di avere uno sconto anche Masiello, fermo restando che chi non ha responsabilità ha diritti e mezzi per provare la propria innocenza. E´ il caso di Thomas Manfredini, il capitano dell´Atalanta difeso anche lui dall´avvocato Salvatore Pino (lo stesso di Doni e Masiello): coinvolto nella prima tranche di Cremona, è stato assolto e ora gioca regolarmente a Bergamo. Proprio per valutare la situazione sportiva il procuratore federale, Stefano Palazzi, la prossima settimana farà un giro di procure: giovedì incontrerà il numero uno degli investigatori di Cremona, Roberto di Martino. Poi si vedrà con il capo dell´ufficio di Bari, Antonio Laudati (che Palazzi conosce bene, visto che è stato il suo uditore). Se c´è chi vuole raccontare tutto sul calcioscommesse, c´è chi invece continua ad accennare solo timide risposte. È il caso dell´allenatore del Milan, Massimiliano Allegri, citato da Doni in merito alla presunta combine tra Atalanta-Pistoiese di Coppa Italia dell´agosto 2000. Una gara attorno alla quale si registrarono flussi anomali di scommesse sulla combinazione 1-X (vantaggio bergamasco al 45´, pareggio al 90´), poi effettivamente realizzata sul campo. «Il processo mi ha assolto e la questione è archiviata - ha detto Allegri - che altro devo dire? Andate a rivedere gli atti del processo. Sono passati dodici anni. Forse sono stato tirato in ballo perché sono l´allenatore del Milan. Per il resto chiedete a Doni: si assumerà la responsabilità di quello che ha detto». -
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Anti evasione Il nuovo fronte I conti dei club di calcio sotto la lente delle Entrate Faro sull'Iva per le cessioni, vertice con la Federcalcio di STEFANIA TAMBURELLO (CorSera 29-01-2012) ROMA — Facile dire che il Fisco voglia veder chiaro nel mondo del calcio. E' una ricerca complessa, in cui si intrecciano procedure contabili e sofisticati strumenti finanziari, meccanismi che danno valore all'abilità specifica e temporanea dell'atleta, regole incerte e tanti tanti soldi. Questa volta sembra però che l' Agenzia dell'Entrate, col suo direttore Attilio Befera, voglia arrivare fino in fondo. Tanto da allargare il confronto, nato su come e se le squadre di calcio debbano versare l'Iva sulle vendite e sugli acquisti in compartecipazione dei giocatori, a tutti i nodi fiscali dello showbusiness del pallone. Befera, il presidente della Lega Calcio serie A, Maurizio Beretta, e il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete si sono incontrati venerdì scorso. E dopo il primo confronto hanno deciso di aprire un tavolo permanente sul fisco per mettere a punto, una volta per tutte, le regole tributarie valide per l'intero sistema. Con l'obiettivo di affidare a Federcalcio e quindi a cascata alle diverse Leghe, il tutoraggio fiscale. Che poi è il compito di monitorare l'osservanza delle norme da parte di tutti i protagonisti di partite e campionati per evitare che qualcuno ne approfitti danneggiando gli altri. Una sorta di tutela della concorrenza, perché pagare o non pagare nella maniera corretta il dovuto all'erario quando si tratta di milioni di euro, fa una bella differenza non solo per le casse dello Stato ma anche per quelle delle singole società di calcio. L'incontro è nato sull'esigenza di trovare una soluzione all'ondata di accertamenti partiti a sorpresa alla volta di quasi tutte le società di calcio negli ultimi giorni di dicembre sulla scia del caso sollevato dalla uffici tributari della Liguria in merito alla fatturazione dell'Iva, pari attualmente al 21% ma destinata a salire in ottobre al 23%, nel caso della cessione di un giocatore in comproprietà della Sampdoria risalente al 2006. Il primo problema sul tavolo pone l'interrogativo se l'imposta sul valore aggiunto vada o meno versata sul plusvalore eventualmente realizzato nei contratti di compartecipazione. O meglio su quel plusvalore che si registra quando, nella seconda fase dell'accordo, l'acquisto o la cessione frazionata tra più squadre si conclude. A rigore potrebbe essere una questione neutrale per il fisco visto che, trattandosi di un rapporto tra imprese, una verserà l'imposta e l'altra la dedurrà. Al netto ovviamente dei furbi e degli evasori. In ogni caso le Entrate ritengono che la comproprietà sia un'attività accessoria, soggetta all'Iva, la Federcalcio che si tratti di un'attività finanziaria, esente da Iva, che utilizza peraltro un contratto derivato, uno swap, che in grande sostanza scommette sul valore futuro del giocatore. Il nodo fiscale più grosso riguarda però il pagamento dell'Irap sulle plusvalenze dei giocatori. Qui le regole sono incerte, tanto che le società quotate e comunque le maggiori versano l'imposta per non incorrere nel rischio dell'accertamento anche se in molti casi ne chiedono subito dopo la restituzione al Fisco, affidando al contenzioso la soluzione della vicenda. Si tratta di un problema che si trascina da anni: il ministero insiste nel dire che l'Irap è dovuta perché si tratta di operazioni ordinarie per una squadra; il mondo del calcio resiste affermando, con un po' di difficoltà, che si tratta di operazioni straordinarie non soggette quindi all'imposta sull'attività produttiva. Anche la terza questione è da tempo sul tappeto e attiene ai procuratori, ai cacciatori di teste del mondo del calcio: il fisco vorrebbe porre i loro costi a carico al 50% su giocatori e società; queste ultime ribattono invece che occorre verificare caso per caso come avviene nelle aziende. Infine al tavolo governo-calcio saranno riesaminati i criteri contabili per l'ammortamento dei diritti di sfruttamento delle prestazioni degli atleti. L'intervista Maurizio Zamparini, presidente del Palermo «Una bolla di sapone solo cavilli per far cassa» di ALESSANDRO PASINI (CorSera 29-01-2012) Calcio e fisco sono i campi di battaglia preferiti di Maurizio Zamparini. Da presidente del Palermo ama combattere in egual misura i potenti club del Nord e i propri allenatori (compresa l'avventura al Venezia, dal 1987 ne ha esonerati 35 e ne va fiero). Da imprenditore (ramo grande distribuzione) e da italiano arrabbiato ha appena fondato il «Movimento per la gente», il cui programma manifesto è difendere i diritti delle persone verso tasse e burocrazia. Di solito lo Stato italiano lo irrita quanto il Palazzo del football, ma stavolta stravince lo Stato e lui, con la solita non-diplomazia, non lo nasconde. Presidente, ha sentito? Il Fisco si sta interessando di calcio. . . «Bé, lo Stato si sta interessando a tutti i vasi da notte degli italiani per vedere cosa c'è dentro». Che bella immagine. «Comunque fondata. Da tempo parlo di Stato canaglia e questa è l'ennesima dimostrazione». In che senso? «Intanto bisogna dire una cosa: il sistema di tassazione nel calcio così com'è non procura allo Stato alcun danno. Tutto il meccanismo è stabilito da tabulati che la Federcalcio ha concordato con la Covisoc. Dunque, è tutto legale. Le faccio un esempio». Prego. «Viviano è in comproprietà fra il Palermo e l'Inter. Tecnicamente, la cosa è andata così: io l'ho comprato dall'Inter a 10 milioni, più 2 di Iva. Successivamente, come prevede la formula all'italiana, ho ceduto la metà all'Inter per 5, ma su quella cifra l'Iva non c'è. Se ci fosse, tuttavia, le cose non cambierebbero, perché anziché versare noi i 2 milioni della prima operazione, ne verseremmo uno a testa noi e l'Inter. Mi spiega cosa cambia per lo Stato?» Secondo lei? «Nulla appunto. Poi, se vuole un altro mio parere, la regola così com'è è stupida. Però l'hanno fatta loro e ce la dobbiamo tenere. Il punto comunque è più generale». E cioè? «Cioè che questi sono tutti escamotage per cercare di raccattare soldi dalle tasche degli italiani non agendo sull'evasione fiscale, ma sui cavilli, sulle interpretazioni delle leggi e sull'eventualità che la gente non faccia ricorso davanti alle cartelle più piccole». Un'altra della sue tesi forti. «E anche questa è fondatissima. Lo so bene io che ho ricevuto cartelle fasulle per 30 milioni. Proprio di recente ne ho ricevute cinque piccole, sui 1500/2000 euro: erano tutte fasulle, proprio di quelle che se ti metti a far ricorso finisci per spendere di più...». Come si dovrebbe reagire? «Indagando caso per caso: vedere singolarmente quali di queste cartelle sono vere e quali fasulle». Lo ha detto anche in televisione parlando del suo Movimento per la gente. «Infatti, vogliamo dire basta a tutto questo». Se la accusano di demagogia che dice? «Che solo da noi bisogna dimostrare al Fisco di essere innocenti. Ma perché invece non provvedono loro a dimostrare l'eventuale colpevolezza del cittadino? Noi vogliamo coinvolgere la magistratura e chiamarla a indagare per tutelare i diritti degli italiani. Le prime rivolte le vedete in giro, no? Ecco, tra un po' si ribellerà tutta l'Italia». Tornando al pallone, siamo proprio sicuri che tutto sia limpido e perfetto? Il nostro calcio non è un luogo di comportamenti virtuosi. . . «Vero, ma dal punto di vista amministrativo io dico che il calcio italiano è il migliore di tutti». Addirittura? «Sì, e per due motivi: anzitutto per le garanzie date dalle fideiussioni bancarie, poi per il controllo periodico della Covisoc. Ormai non è più come in passato: se uno le tasse non le paga, non può iscriversi. Anche se magari a gente come Lotito è andata diversamente». Accusa il suo collega della Lazio? «Bé è lui l'amico di Befera (direttore delle Entrate, ndr).. . ». Secondo lei questa storia come andrà a finire? «In niente, sono sicuro». Dunque, calcio sano? «Amministrativamente sì. Non sarà qui che lo Stato potrà cercare di ridurre un debito creato solo da chi stampa la carta». ___ Il fisco ai club: “Nuove regole Altrimenti stop alle iscrizioni” Nel mirino le tasse sulle comproprietà: rilevati vizi nel sistema di SIMONE DI SEGNI (LA STAMPA 29-01-2012) Discuterne oggi, per non trovarsi di fronte a brutte sorprese domani. L'obiettivo è quello di arrivare ad un insieme di norme condivise, al centro c'è il meccanismo tributario a cui devono attenersi le società di calcio, per questo Fisco e Pallone siedono da giorni allo stesso tavolo: sarà pur vero che il problema è più tecnico che reale, come garantiscono i protagonisti degli incontri avvenuti, ma, una volta riscritte le regole, i club che verranno colti in difetto non potranno iscriversi al campionato. Piani di ammortamento, commissioni, riconoscimenti ai procuratori, diritti per lo sfruttamento dell'immagine e (soprattutto) plusvalenze derivanti da comproprietà: l'Agenzia delle Entrate ha notato una certa asimmetria nei comportamenti delle società, quando si tratta di pagare le tasse sulle varie attività che svolgono. Le istruzioni della Federazione, risalenti al 1992, peraltro non sono perfettamente in linea con gli intendimenti del Fisco. Per il momento, lo Stato ha adottato una linea soft: non si tratta, ovvero, di punire degli illeciti, ma di correggere il vizio a monte: quello di sistema. In molti casi si parla di trattamento neutro: tasse a costo zero, perché se c'è uno che le paga, ce ne è un altro che le recupera. Il tema delle compartecipazioni, tra l'altro il più dibattuto, può valere da esempio. Vendo il 100% di un cartellino, lo riacquisto al 50% in chiave futura (in realtà funziona così): se l'anno successivo si verificasse una plusvalenza, bisognerà calcolare (e pagare) anche l'Irap (imposta regionale sulle attività produttive) ? Due risposte: trattasi di operazione finanziaria, come dicono le istruzioni della Figc, pertanto non è tassabile; viceversa, non lo è, secondo la tesi dell'Agenzia, quindi va pagato il 3,75%, che in ogni caso sarà deducibile. Il punto è proprio questo: il Fisco e il mondo del calcio (ai primi incontri con il direttore delle Entrate Attilio Befera hanno partecipato il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, quello della Lega di serie a, Maurizio Beretta, oltre al patron della Lazio Claudio Lotito) vogliono evitare incomprensioni e asimmetrie. Sensibilità, tutoraggio, regole condivise: le linee guida. Spetterebbe alla Covisoc (la commissione di vigilanza delle società di calcio) accertare eventuali illeciti e porre il veto sulle iscrizioni ai campionati. «Ci stiamo confrontando con l'Agenzia proprio per evitare contenziosi in futuro", spiega Ezio Simonelli, presidente del collegio sindacale della Lega, incaricato di affrontare in prima linea la questione. «Dal canto suo, la Figc stessa ha interesse ad arrivare ad una serie di regole condivise, così da scongiurare il rischio di interpretazioni asimmetriche da parte dei club. Più che il faro o la lente d'ingrandimento del Fisco, c'è la volontà di conoscere meglio e regolamentare un sistema». Tra le Entrate e la Figc è già in atto un protocollo di intesa per la cooperazione e la vigilanza sui conti delle società professionistiche. Il 12 dicembre scorso venne ratificato l'accordo, che si basa sullo scambio di informazioni. Sarà sempre meglio dialogare (o discuterne) oggi, piuttosto che trovarsi di fronte a brutte sorprese, domani. ___ TASSE DOPO LE MULTE RELATIVE AL 2006, APERTO UN TAVOLO TRA AGENZIA DELLE ENTRATE, FIGC E LEGA Fisco, comproprietà nel mirino: sulle plusvalenze si paghi l'Iva Beretta: «Sarà fatta chiarezza, ma non c'è stato danno per l'Erario» di MARCO IARIA (GaSport 29-01-2012) L'Agenzia delle Entrate torna a occuparsi del calcio. In realtà, tra le provvigioni agli agenti e l'Irap, non aveva mai smesso di farlo. Stavolta nel mirino del Fisco sono finite le operazioni di comproprietà, sempre più in voga nel calciomercato (se ne contano circa 200 in A). L'Agenzia ha sollevato dubbi su un meccanismo comune a tutti i club perché disciplinato dalla Federazione dal lontano 1992: secondo le Noif, le normative interne, le compartecipazioni sono operazioni di natura finanziaria e quindi, all'atto della liquidazione, l'Iva non si paga. Il problema si pone nel caso in cui il riscatto di un giocatore diviso a metà tra due club generi una plusvalenza. Facciamo un esempio: la società X compra un calciatore dalla società Y per 10 milioni più il 21% di Iva per un totale di 12, 1 milioni, contestualmente la società Y rileva la metà del cartellino versando 5 milioni alla società X; se l'anno dopo la società X decide di riscattare il calciatore a un valore superiore (poniamo 11 milioni) ne versa altri 6 alla società Y, ma quel milione di plusvalenza non è soggetto all'Iva. La contestazione dell'Agenzia è proprio su quest'ultimo anello della catena. Tavolo Da qui l'apertura di un tavolo di confronto, a cui hanno partecipato il direttore delle Entrate Attilio Befera e i presidenti della Figc Giancarlo Abete e della Lega di A Maurizio Beretta, e che poi si è allargato ai tecnici Betunio (Agenzia), Maugeri (Covisoc) e Simonelli (Lega) e al patron della Lazio Lotito. Una presenza non casuale la sua: i difetti di comunicazione istituzionale tra gli enti sono stati da lui sollevati nell'ultima assemblea. Il mondo del calcio ha spiegato che le comproprietà sono equiparate a operazioni finanziarie, come i derivati, la controparte ha ribattuto che nella sostanza si tratta invece di operazioni di compravendita dei calciatori. «Tutti quanti siamo d'accordo — spiega Beretta — sul fatto che non c'è stato un danno erariale perché, trattandosi di società, l'Iva che si versa poi si recupera: il saldo è zero. L'importante è fare chiarezza». Il tavolo si concluderà nel giro di qualche mese, in tempo per la prossima stagione, quando dovrebbero essere recepite a livello normativo le indicazioni dell'Agenzia delle Entrate: in futuro, anche i riscatti delle comproprietà saranno assoggettati a Iva, ma cambieranno a quel punto i principi contabili. Passato C'è però un pregresso da sanare. Per il 2006 il Fisco aveva già fatto partire una montagna di avvisi di accertamento, scattati da una verifica effettuata sulla Sampdoria. Multe per diversi club, generalmente dell'ordine di qualche decina di migliaia di euro il Palermo, a esempio, 16 mila. Finora, l'unica società che ha chiuso la pratica è stata la Juventus, ma l'ha fatto nell'ambito di un accordo transattivo molto più vasto, per un totale di 7,4 milioni. Se il tavolo si chiuderà positivamente, i conti con il passato si limiteranno a quell'annualità. «Abbiamo anche discusso — dice Ezio Maria Simonelli, presidente del collegio dei revisori della Lega — della possibilità di attivare un tutoraggio da parte di Figc e Leghe affinché vengano rispettate le regole sugli adempimenti fiscali, come fa la Covisoc con i bilanci. La libera concorrenza nel calcio si realizza se tutti i club pagano le tasse dovute». ___ Tavolo Agenzia-Lega-Figc. In discussione l'Iva sui «diritti di compartecipazione» Anche il calciomercato finisce sotto la lente degli uffici di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 Ore 29-01-2012) Calciomercato sotto la lente del Fisco. Il direttore dell'agenzia delle Entrate, Attilio Befera, e i presidenti della Lega, Maurizio Beretta, e della Federcalcio, Giancarlo Abete, hanno deciso di avviare un tavolo tecnico allo scopo di appurare le modalità di tassazione dei cosiddetti "diritti di compartecipazione". L'impressione, però, è che la partita tra Fisco e Figc sia appena cominciata e che le questioni aperte siano molte di più. Si tratta spesso, peraltro, di prassi consolidate anche in virtù dei suggerimenti contabili forniti dalla Covisoc (Commissione di vigilanza della società di calcio), come per l'Irap non versata dai club sulle plusvalenze e pretesa dalle Entrate. Agenzia e Figc ormai da alcuni anni hanno stipulato accordi per garantire la regolarità dei campionati attraverso lo scambio di informazioni utili a rafforzare l'attività di controllo fiscale sulle società sportive professionistiche. Un'alleanza confermata fino al 28 febbraio 2013. Questa moral suasion del Fisco, tuttavia, non comporta una copertura dalle verifiche tributarie come è accaduto anche di recente per il trattamento fiscale degli emolumenti a manager e procuratori. Molti club, infatti, stipendiano stabilmente gli intermediari, anche dopo la conclusione degli affari, per una serie di servizi prestati dagli stessi ai giocatori che assistono, come ad esempio l'attività "personalizzata" di ufficio stampa o di tutela legale. Per il Fisco, però, in questo "costo" supplementare sostenuto dalla società si anniderebbe una quota dell'ingaggio pattuito con gli atleti, equivalente a un fringe benefit. Versarlo al procuratore anzichè direttamente al giocatore permetterebbe alle società di risparmiare la quota di Irpef che, per consuetudine, si accollano elargendo ai calciatori compensi "netti". Tra le prassi del calciomercato su cui il Fisco vuole vederci chiaro c'è ora quella di assicurare al club che vende – specie quando si tratta di giovani di prospettiva – un diritto di compartecipazione sulla rivalutazione dell'atleta. Si stabilisce, in altri termini, che la società che cede l'atleta avrà diritto a percepire una certa percentuale dal maggior "valore" raggiunto dal giocatore dopo un anno o un periodo più lungo. Questo indipendentemente da situazioni di formale comproprietà e di eventuali plusvalenze realizzate rivendendo il cartellino a un prezzo maggiorato. Il diritto di compartecipazione riguarda, dunque, l'apprezzamento, anche potenziale, del giocatore che nel frattempo, magari, ha esordito in serie A o ha maturato un certo numero di presenze nella massima serie. Questo maggior valore è considerato dalla Figc esente da Iva. E trattandosi di importi, talvolta milionari, tassabili teoricamente al 21%, non è un risparmio da poco. Ma per l'agenzia delle Entrate, che non intende accanirsi sui già fragili equilibri economici del calcio tricolore, questa soluzione non è così pacifica. Prima di arrivare ad accertamenti veri e propri nei confronti delle società con cui sono in atto "schermaglie" su questo tema – sembra sia stata la Lazio di Claudio Lotito a sollevare per prima il caso – si cercherà di trovare un compromesso. Prima di tutto, andrà chiarita qual è la natura giuridica del diritto di compartecipazione. Se si trattasse di un'associazione in partecipazione allora si sarebbe fuori dal campo dell'Iva. Se invece venisse considerato come un'"obbligo di fare" l'Iva sarebbe applicabile, mentre qualora fosse configurabile come una sorta di contratto derivato, l'incremento di valore andrebbe sì fatturato ma l'Iva non si pagherebbe, essendo i rapporti finanziari, come questo, in regime di esenzione. IL PROBLEMA 01 | LA QUESTIONE Nell'ambito delle operazioni di calciomercato, specie quando si tratta di giovani di prospettiva, viene assicurato al club cedente un diritto di compartecipazione sulla rivalutazione del calciatore. In pratica, la società che cede l'atleta avrà diritto a percepire una percentuale dal maggior "valore" raggiunto dal giocatore dopo un anno o un periodo più lungo. Tutto ciò per la Figc è esente da Iva ___________________________________________________ 02 | LE SOLUZIONI Per l'agenzia delle Entrate questa soluzione non è pacifica. Nel tavolo aperto con Lega e Figc si cercherà di trovare un compromesso. Prima di tutto andrà definita la natura giuridica del diritto di compartecipazione. Varie le ipotesi allo studio: contratto di associazione in partecipazione (fuori dal campo dell'Iva); patto equivalente a un'opzione/derivato di natura finanzaria (esente dall'Iva); ovvero obbligazione di fare (alla quale l'Iva sarebbe applicabile in pieno) ___ Esattori scatenati Gli 007 delle tasse all’attacco del calcio di UGO BERTONE (Libero 29-01-2012) Dopo il blitz tra i gioiellieri di Cortina, l’Agenzia delle Entrate ha scelto un altro bersaglio: il mondo del calcio. Cambiano i modi, però. Non c’è stata l’incursione delle Fiamme Gialle negli spogliatoi o, più semplicemente, negli uffici della Lega ove vengono depositati i contratti di compravendita dei calciatori. Stavolta il direttore dell’Agenzia Attilio Befera, formidabile cannoniere che di questi tempi non sbaglia un calcio di rigore, ha scelto la formula del “tavolo tecnico” con Maurizio Beretta, presidente dimissionario della Lega Calcio e Giancarlo Abete, presidente della Federazione, per dettare le regole di una materia complicata ed opinabile: la tassazione Iva sulle compartecipazioni dei calciatori. Proviamo a capirci qualcosa. Come attestano le cronache sportive, è sempre più comune il caso di calciatori posseduti a metà, con le formule più diverse. Tanto per stare sul concreto, prendiamo il caso di Sebastian Giovinco, oggi del Parma ma su cui la Juventus, società d’origine, vanta la possibilità di riscatto del 50%. In termini giuridici, l’accordo, così come previsto dalla Federazione, è così configurato: il Parma ha comprato il 100% del cartellino di Giovico (e ha pagato l’Iva per intero, oggi del 21% presto al 23%): La Juventus, invece, ha acquistato un diritto di credito da esercitare, se crede, ad una data prefissata. Se Giovinco tornerà bianconero, toccherà al club presieduto da Andrea Agnelli versare l’Iva prevista. Fino ad allora, dal punto di vista del bilancio, Giovinco sarà patrimonio del Parma. Alla Juve spetterà solo un credito. Fin qui è tutto facile. E, diciamolo pure, di scarso valore economico. Le società di calcio, infatti, l’Iva la possono scaricare: l’evasione dell’Iva tra due club di serie A o tra società di Paesi dell’Unione Europea sembra a prima vista, un gioco a somma zero. Ma la partita in realtà è molto più complicata ed interessante, almeno dal punto di vista di Befera. Tanto per cominciare, si deve vigilare sul prezzo di quel che impropriamente possiamo definire il riscatto del giocatore o sulla plusvalenza realizzata dai due club nel caso il giocatore finisca ad un terzo. Non è un caso teorico sotto i cieli del business del calcio che non conosce frontiere, nemmeno quelle fiscali. Basti, a mo’ di esempio, ricordare il contenzioso tra il presidente del Palermo Zamparini e i precedenti proprietari del cartellino di Pastore al momento della cessione del gioiellino argentino al Paris Saint Germain. Questi ultimi rivendicavano un diritto di compartecipazione sul calciatore negato dal dirigente rosanero. Intendiamoci, l’esempio Pastore non tocca il problema dell’Iva. Ma serve a sottolineare come sempre più spesso (in Sud America soprattutto) il cartellino dei giocatori più promettenti non è nelle mani di un club bensì di associazioni di investitori privati che scommettono sulla carriera dei ragazzi come un tempo si faceva sui puledri dei campioni. Club di investitori che non hanno alcuna possibilità di farsi rimborsare l’Iva, cosa che ha senz’altro attratto l’attenzione degli 007 del fisco. Fin qui gli aspetti tecnici. Ma al di là del tema, moralmente noioso ed indigesto della compartecipazione dei calciatori, la novità vera è che l’Agenzia delle Entrate fa sapere che intende giocare in prima persona il girone di ritorno del Campionato, un po’ per rastrellar quattrini, molto per riscuotere il tifo degli italiani spremuti come limoni. Si comincia dall’Iva ma con il forte sospetto che le irregolarità del mondo del pallone siano ben più gravi. E la squadra delle Fiamme Gialle, si sa, è maestra nel praticare il pressing a tutto campo per cogliere in fallo evasori, elusori o anche solo campioni dal conto milionario e che, per questo motivo, qualcosa avranno pur da nascondere. O no? Statene sicuri: dal tavolo tecnico verrà fuori qualcosa di più dell’Iva. Commento Con un fisco bestiale il pallone italiano retrocede in serie B di IVAN ZAZZARONI (Libero 29-01-2012) Sta per nascere il Campionato Equitaliano di calcio. Dalla vecchia Serie A, quella che ieri sera ci ha regalato Juve-Udinese. Partendo dagli esiti di una serie di accertamenti e delazioni, il governo Monti ha deciso di colpire (anche) il pallone aumentando l’Iva sulle compravendite dei calciatori - dal 21 al 23 per cento, e così sarà per tutti - e soprattutto introducendola nelle compartecipazioni. «L’obiettivo è ridisegnare l’imposizione Iva sulle operazioni dei club e non certo a costo zero, ma con un più che probabile aggravio per le casse della società». Una simpatica trovata, per certi versi simile alla liberalizzazione delle licenze dei taxi. Per il sistema Italia un’altra bella botta (subita) di demagogia e l’urgenza di trovare in fretta nuovi sistemi di sopravvivenza - mentre scrivo queste cose mi viene in mente Zamparini che mesi fa lanciò il «Movimento per la gente» proprio per ribellarsi alle truppe di «Artiglio» Befera che secondo il presidente del Palermo «blocca la crescita del Paese lasciando in mutande le imprese, l’imprenditoria». Il nostro calcio e non solo il nostro, si sa, si è retto per almeno trent’anni sull’evasione di campo, sul nero, ma negli ultimi tempi si è dato una notevole ripulita finendo peraltro col perdere un sacco di posizioni a livello europeo. Soltanto di recente il premier spagnolo Mariano Rajoy ha cancellato la legge Beckham che indiscutibilmente favoriva la Liga attraverso una sensibilissima riduzione della pressione fiscale. L’input di Monti che - ricordo - anni fa da presidente Ue si schierò giustamente contro il decreto spalmadebiti, è chiaro: per rimettere a posto i conti ci vuole un Fisco bestiale. PS. Leggo: «La modifica del sistema Iva applicato al calciomercato rientra in un più vasto piano di collaborazione tra Figc e Agenzia delle Entrate, a partire dal protocollo firmato a dicembre che prevede per la federcalcio l’obbligo di comunicare subito al Fisco l’elenco delle società sportive professionistiche completo di denominazione societaria e codice fiscale. A sua volta l’Agenzia delle Entrate è impegnata a fornire alla Federcalcio, entro il prossimo 31 maggio, i risultati dei controlli fatti sulle dichiarazioni dei redditi e su alcuni adempimenti (compreso il pagamento di cartelle esattoriali) relativi ai pagamenti Ires, Irap, Iva e Irpef per i periodi d’imposta 2009 e 2010». Cresce il consenso dei club nei confronti di Abete. ___ La normativa Scambi, riscatti e buste: un attaccante vale anche mille euro di FRANCESCO DE LUCA (Il Mattino 29-01-2012) Le comproprietà, definite tecnicamente «compartecipazioni», erano state abolite dopo l’introduzione della legge 91 all’inizio degli anni ’80. Sono state successivamente reintrodotte perché la Federazione e la Lega Calcio non volevano che vi fossero scritture private tra i club per il passaggio della metà dei cartellini dei giocatori. Quattro anni fa l’ex presidente dell’Assocalciatori, Sergio Campana, si è battuto affinché le comproprietà venissero cancellate, ma non è riuscito a spuntarla. Peraltro, per motivi di bilancio, nell’estate 2010 le società hanno cominciato ad effettuare un nuovo tipo di operazione: prestito con obbligo di riscatto dei calciatori (non contemplato nei regolamenti, ma ispirato da di gentlemen agreement). Il meccanismo della comproprietà non è diretto. La società A, dopo aver venduto alla società B l’intero cartellino di un giocatore (e la società B paga l’Iva al 21 per cento), acquista dalla società B la metà del cartellino (e la società A non paga l’Iva su questa seconda operazione). Il riscatto della comproprietà può essere predeterminato dalle due società (abitualmente è la stessa cifra della valutazione di metà cartellino) oppure essere libero e in questo caso si va «alle buste»: prima della scadenza della stagione (30 giugno), se i due club non si accordano, scrivono una cifra per il 50 per cento del cartellino del calciatore. A volte, la cifra può essere molto bassa. Ad esempio, nella scorsa estate il Napoli ha riscattato dalla Sampdoria la metà del cartellino di Mannini per 1.000 euro, girandolo poi al Siena. Il Fisco è intenzionato ad imporre il pagamento dell’Iva sulla cessione del 50 per cento del cartellino, al momento «esente». I club hanno seguito le indicazioni della Federcalcio in materia e in particolare della Covisoc, la commissione che controlla i bilanci. Le norme in materia fiscale sono diventate più rigide: nel corso della stagione vi sono frequenti controlli, con possibili penalizzazioni in classifica per le squadre inadempienti, e c’è perfino il rischio di esclusione dai tornei. Nel corso di questa fase del calciomercato c’è stato uno scambio di comproprietà tra Roma e Parma: Borini nella capitale e Okaka in Emilia. Diviso tra due club è Giovinco, uno dei talenti della Nazionale di Prandelli: il suo cartellino è diviso tra il Parma e la Juve. Il caso più recente e singolare riguarda l’attaccante Sculli. Nella scorsa estate Lotito ha acquistato dal Genoa la metà del cartellino del calabrese e due settimane fa l’ha restituita alla società ligure. ------- La storia Nuovo round nella telenovela delle tasse non pagate dall’ex pibe de oro durante al sua esperienza in azzurro Maradona, no alla sospensiva sul maxi debito da 38 milioni La commissione tributaria non accetta la richiesta La difesa: è inspiegabile di GINO GIACULLI (Il Mattino 29-01-2012) Tasse non pagate. Una maledetta storia che va avanti dagli anni ’80. Dagli anni in cui Diego Armando Maradona era il «pibe de oro», l’incantatore, il pifferaio magico delle folle pallonare napoletane. Oggi Diego, il signor Maradona allenatore a Dubai, è sempre il debitore di oltre 38, sì 38 milioni di euro allo Stato italiano. Tasse non pagate. E il contenzioso ha un nuovo capitolo: è stata infatti rigettata la «sospensiva» del debito di oltre 38 milioni di euro. La sezione 17 della commissione tributaria provinciale di Napoli, presidente il magistrato Gaetano Annunziata, non ha accettato le richieste del nuovo collegio difensivo dell’ex pibe. Diego, insomma, al momento resta un debitore: l'udienza per discutere il merito è stata fissata per il prossimo 5 aprile. Nell'ordinanza si indica esplicitamente «il rigetto dell'istanza di sospensione degli atti impugnati» e si «fissa per la trattazione del merito l'udienza del 5/4/2012». Una storia tormentata. Che ha visto lo Stato italiano, tramite Finanza, sequestrare a Diego dagli orecchini ai Rolex ai preziosi, l’ultima volta al complesso di Chenot circa un anno e mezzo fa. Da ricordare poi che Diego non mette piede a Napoli dal 2005 per l’addio al calcio di Ciro Ferrara. E che nel 2010 la partita della festa per i suoi 50 anni che voleva organizzare Salvatore Bagni non si tenne proprio a causa dei «debiti» di Diego che, in pratica, lo tengono lontano da un normale transito in Italia. Angelo Pisani, docente di Processo tributario all'università Parthenope di Napoli, e difensore di Diego Armando Maradona ritiene «incredibile e inspiegabile la provvisoria decisione della sezione della commissione tributaria di impedire ancora a Maradona di poter tornare liberamente a Napoli fino all'esito del processo. Il 5 aprile noi legali di Maradona dimostreremo davanti a nuovi giudici l'inesistenza del titolo che lo perseguita». Pisani rileva «l’illegittimità e la prescrizione della scandalosa pretesa di Equitalia, con l'infondatezza del rigetto della sospensiva da un collegio che dall'inizio non ha assicurato alla difesa un giusto processo. Faremo ricorso alla corte europea di Strasburgo per la violazione della convenzione dei diritti dell'uomo - prosegue quindi il legale - La commissione tributaria negando a Maradona di poter di fatto esercitare il proprio diritto di circolazione in Italia, prima ancora di una sentenza definitiva, non accerta l'inesistenza della presunta cartella e dei titoli del fisco mai esibiti in giudizio». -
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SETTE GIORNI DI CATTIVI PENSIERI di GIANNI MURA (la Repubblica 29-01-2012) BASTA COMPLESSO SPAGNA LA BATTIAMO NELLA PROVA TV Smettiamola di piangerci addosso e di considerarci le ultime ruote del carro in Europa. Siamo meglio della Spagna per la prova tivù, almeno per quella. Dias dà un pugno a Van Bommel? Tre turni di squalifica. Pochi, perché colpire alle spalle dovrebbe essere un´aggravante, ma già qualcosa. Pepe calpesta una mano di Messi steso a terra? Non succede niente, a livello di sanzioni. Succede che Pepe si copre di ridicolo affermando di non averlo fatto apposta, mentre i filmati dimostrano che prima guarda in basso, poi calpesta. E da questo particolare che si può decidere di arruolare Pepe tra quelli che picchiano per piacere, come Passarella, e non per necessità. Mourinho, c´era da scommetterci, crede al suo giocatore, credibile come la storiella di Ruby nipote di Mubarak. Quando potevamo godere più spesso delle esibizioni di Mourinho lo avevo definito una via di mezzo tra Berlusconi e Vanna Marchi. Sui quotidiani di ieri trovo altre definizioni. Una, su "Libero", di Giampiero Mughini, titolo: «Allenatore part- time, bullo a tempo pieno». Sì, specie in tivù (il bullo della diretta) ma a volte è compitissimo e geniale (un bullo in maschera) e molto spesso vince (un bullo compressore). Sommario: «José è un incrocio fra un comico e una pin up». Di ben altro avviso Michel Platini, intervistato dal "Corsera": «Lo adoro». Forse sbalestrato dal dono di un salame (7,5 sulla fiducia) che l´intervistatore ha portato a Nyon dall´Italia, Platini esprime un altro concetto discutibile: «Aiutiamo Blatter a uscire di scena a testa alta». Discutibile nel senso di 3: Blatter non ha bisogno di aiuti, se Platini vuole lo aiuti pure lui ma il coinvolgimento no, grazie. Il giorno in cui Blatter uscirà dal calcio dovrò aiutare a stappare molte bottiglie Restiamo in Svizzera e da un bullo passiamo a un Bulat, cognome Chagaev, pseudomiliardario ceceno che nel maggio dell´anno scorso ha rilevato il Neuchatel. Da allora ha cambiato quattro allenatori e accumulato debiti. Si è scoperto che la garanzia finanziaria firmata da Bank of America era un falso. Vero il rosso in bilancio: 6 milioni di franchi. La prossima settimana ripartirà in Svizzera un campionato col Sion penalizzato di 36 punti e il Neuchatel spedito in quinta divisione. Del presidente Chagaev si ricorderanno le guardie armate con pistoloni alla cintura mentre lui minaccia i giocatori. Che poi una banca svizzera si faccia fregare da un ceceno con una falsa garanzia bancaria statunitense è un fatto che può ispirare riflessione agli esperti di economia, quindi non a me. A me, semmai, non sembra il caso di replicare a Der Spiegel" che ha definito il comandante Schettino "un italiano tipo" chiedendo se il tedesco tipo sia Eichmann o Goethe, o Beethoven, o Rummenigge. Caratterizzare un popolo è ingeneroso e spregevole, conclude una delle lettere inviate a Corrado Augias. Concordo. L´affermazione sull´italiano tipo appartiene in toto a chi l´ha formulata, un coglionazzo nato in Germania che si chiama Jan Fleischhauer. Tipi così prosperano anche nei nostri giornali, con altre generalità. Diciamolo serenamente, anche perché non dirlo ci metterebbe ai livelli di Fleischhauer. Smettiamola (e due) di piangerci addosso, ma continuiamo a guardare a quel che accade all´estero. In Inghilterra a fine febbraio c´è la finale di Carling Cup e vedrà in campo a Wembley, contro il Liverpool, la squadra di Cardiff, serie B. In Spagna è arrivato alle semifinali di Coppa del Re il Mirandes, serie C. Nelle ultime tre sfide ha eliminato tre squadre di A: il Real, Racing Santander ed Espanyol. In semifinale giocherà con l´Athletic Bilbao. Miranda de Ebro ha 39mila abitanti, uno stadio da seimila posti e un budget annuale di 1,2 milioni di euro. Da noi cose così non possono succedere perché i Golia non hanno una gran voglia di misurarsi con David, le grandi squadre non amano iniziare l´avventura a Monza o a Benevento perché un Mirandes può nascondersi ovunque ci sia un budget molto basso. Tant´è che si sta celebrando l´impresa del Siena, che arriva in semifinale con tre grandi ma è pur sempre una squadra di A. Alla fine del girone di andata nella classifica delle multe inflitte alle tifoserie le tre più buone sono Milan e Bologna (zero euro) e Udinese (2. 000). Le tre più cattive Atalanta (79,500), Inter (71) e Roma (67). Sull´Atalanta pesano i 35mila della partita con la Juve: oltre al lancio di fumogeni e petardi, una monetina che colpiva l´arbitro a una spalla. Dal settore juventino, in compenso, venti bengala lanciati in mezzo al pubblico (cinque feriti): multe di 20mila euro, la stessa cifra pagata dall´Inter per due striscioni ingiuriosi. Doveroso sanzionarli, ma i razzetti sparati nel mucchio sono più pericolosi. Chiusura sempre sull´Inter. La lapide per Weisz è stata scoperta venerdì pomeriggio, presenti Ranieri, il capitano Zanetti e Milly Moratti. Quanto a un trofeo, a una partita annuale per ricordare l´allenatore morto ad Auschwitz, il Bologna s´è già dichiarato disponibile. L´Inter ci penserà. -
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Il tecnico replica all’atalantino «Doni risponderà per quello che dice» di ALBERTO COSTA (CorSera 29-01-2012) MILANO— In un’intervista Cristiano Doni, finito agli arresti per la combine di Atalanta-Piacenza e per la stessa partita squalificato per tre anni e mezzo, ha rispolverato quanto accadde in Atalanta-Pistoiese, gara di Coppa Italia giocata il 20 agosto 2000 («L’illecito c’è stato, ma non da parte mia che fui processato e assolto») per cui la giustizia sportiva punì in primo grado con un anno di squalifica alcuni giocatori, tra cui l’attuale tecnico del Milan Massimiliano Allegri (all’epoca alla Pistoiese), poi prosciolti dalla Corte d’Appello della Figc. «È un fatto archiviato 12 anni fa—ha commentato ieri l’allenatore rossonero—. Io ho passato un processo e sono stato assolto, andatevi a riguardare le carte. Non ho niente da dire, queste sono cose che non mi riguardano. Doni si assumerà le sue responsabilità per quello che dice. Mi tira in ballo perché sono allenatore del Milan». ___ Allegri contro Doni «Le sue accuse non mi toccano» L'allenatore del Milan: «Atalanta-Pistoiese combinata? Sono stato assolto tanti anni fa» di GIUSEPPE CALVI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 29-01-2012) «Sì, Atalanta-Pistoiese era combinata, non posso continuare a dire diversamente», ha detto Cristiano Doni alla giornalaccio rosa. Che quella (insignificante) partita di Coppa Italia di 12 anni fa nascondesse verità non dette lo si sapeva da tempo. L'assoluzione generale in secondo grado non aveva convinto, perfino un ex dirigente atalantino, Giacomo Randazzo, nel 2009 scrisse in un libro: «Ho il grandissimo dubbio che l'illecito sia stato commesso e, aggiungo, che sia stato commesso con il coinvolgimento di altri giocatori e, forse, degli stessi allenatori delle due squadre. E' un dubbio che nessuna sentenza, rispettabilissima ed enunciata da grandi giuristi, riuscirà a rimuovere». Sia Randazzo, sia Doni hanno parlato sapendo che nulla sarebbe cambiato. Gli eventuali illeciti sono prescritti per la giustizia sportiva, le nuove rivelazioni possono avere un peso soltanto «morale». Forse con i nuovi strumenti investigativi e le nuove regole (le scommesse non erano vietate ai tesserati) le cose sarebbero andate in modo diverso, chissà... Non mi riguarda Per quei fatti furono prima squalificati e poi assolti sei calciatori: Gallo, Siviglia, Zauri, Banchelli, Aglietti e Allegri. Soltanto quest'ultimo, all'epoca alla Pistoiese e adesso allenatore del Milan, ha accettato di parlare, ma senza troppa voglia: «Si tratta di un fatto archiviato 12 anni fa, io non ho niente da dire perché la cosa non mi riguarda. È stato fatto un processo e sono stato assolto. Forse sono stato tirato in ballo perché sono l'allenatore del Milan. Doni si assuma la responsabilità di ciò che ha detto». Marco Stagliano, nel 2000 ex vice capo dell'Ufficio indagini della Figc, ha detto invece a Sky Sport: «Avevamo visto giusto, le ricostruzioni erano state approfondite nonostante i pochi mezzi a disposizione, purtroppo non è bastato per ottenere prove. Però gli insulti che abbiamo ricevuto per anni adesso andrebbero restituiti ai mittenti». Questione morale Doni nell'intervista ha aperto un altro fronte, invitando a denunciare il marcio nel calcio. Parole di pentimento a cui non credono i suoi ex tifosi, scatenati nei blog, e anche gli investigatori sono convinti che l'ex atalantino abbia detto soltanto il dieci per cento di quello che ha fatto e di quello che sa. Però, ha aperto il dibattito. Per Reja, tecnico della Lazio, «se c'è qualcuno che sa qualcosa, denunci. All'estero c'è una lealtà sportiva superiore a quella che c'è in Italia». E Cosmi (Lecce) sulla presenza della malavita nel mondo del pallone: «Alla mia età, non vorrei trovarmi in certe situazioni. E, comunque, sarebbe più giusto aspettare eventuali sentenze prima di etichettare una persona come corrotta. Dinanzi a pressioni di quel genere, è dura per tutti decidere come comportarsi. Giudicare dall'esterno è molto più semplice». Interrogatori Intanto, dopo Masiello e Marco Rossi, tra domani e venerdì saranno convocati dalla Procura di Bari per essere interrogati gli ex biancorossi Parisi, Belmonte, Padelli e Bentivoglio. Ma presto toccherà ad altri giocatori, non solo ex Bari. ___ Pentimenti e assoluzioni Allegri: Partite truccate? Chiedete a Doni di GIANCARLO PADOVAN (il Fatto Quotidiano 29-01-2012) Se il giornalismo sportivo avesse ancora buona memoria, e magari anche qualche dose di coraggio in più nei confronti di quella sorta di Minculpop che sono diventati gli uffici stampa delle società di calcio, ieri non avrebbe perso l'occasione per mettere alle strette Massimiliano Allegri, attuale allenatore del Milan ed ex giocatore talentuoso, seppur con qualche macchia che gli provoca sempre un certo fastidio. Insomma, in una situazione più conflittuale, Allegri non avrebbe replicato con: “Io sono stato assolto, è una cosa che si riferisce a dodici anni fa, Doni si assumerà la responsabilità di quanto detto”. Perché tutto questo è ovvio, anche se non è del tutto vero. E, soprattutto, perché non smentisce quanto affermato da Doni: quell'Atalanta- Pistoiese, gara di Coppa Italia del 2000, naturalmente finita 1-1 come indicavano i flussi anomali alla Snai, era una combine. Nata, pare, da una goliardata dopo una cena un po' troppo corposa. All'epoca lavoravo per il Corriere della Sera e fui destinato al servizio del processo sportivo che si teneva nei saloni della Lega Calcio di Milano con circuito televisivo aperto. Ricordo bene tutto, dal terreo pallore degli imputati alle loro imbarazzanti spiegazioni. C'ERA UN atalantino che sostenne di aver lasciato la propria abitazione alle due del pomeriggio di un agosto feroce per andare agli allenamenti a Zingonia che sarebbero cominciati almeno tre ore più tardi (in realtà passò alla Snai dove lo riconobbero). Vidi Allegri, un ragazzo di 33 anni, irrigidirsi di fronte a una domanda: “Non voglio mica finire nei casini io”. Strano come non capisse di esserci già dentro. E non certo per quell'inveterata abitudine di scommettere sui cavalli. Anche allora in aula si parlò di telefonate. Troppe e a tutte le ore. La differenza, non accessoria, è che non eravamo ancora di fronte a intercettazioni – cioè ai brogliacci dei colloqui – ma a una quantità smisurata di chiamate tra utenze dei calciatori delle due squadre, alcuni loro familiari, qualche fidanzata. L'epicentro era la Toscana e il Pistoiese. Ora non è propriamente vero che Allegri venne assolto. Non in primo grado, per lo meno. Visto che la Commissione disciplinare inflisse un anno di squalifica sia a lui, sia ad Aglietti, compagno di squadra nella Pistoiese. Stessa pena a Gallo, Zauri e Siviglia (Atalanta), sei mesi per Banchelli, anch'egli dell'Atalanta. Solo in seconda istanza, a prosciogliere tutti, ci pensò la Corte d'appello federale. Cosa può accadere adesso? Dal punto di vista sportivo, purtroppo, nulla. La revisione del processo è ammessa solo se si verificano due ipotesi contemporanee. La prima: l'accertamento dei fatti nuovi raccontati da Doni che, peraltro, ammette “se qualcuno vorrà altre spiegazioni sono pronto a darle”. La seconda: la condanna di almeno un imputato. Ma essendo stati tutti prosciolti, la possibilità della revisione decade. Più interessante capire se il procuratore federale Palazzi voglia risentire Doni sul contenuto delle sue recenti dichiarazioni. Nel frattempo, il pentitismo dilaga tra gli ex del Bari: dopo Andrea Masiello, anche Marco Rossi ha iniziato a dire tutto. -
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Partite truccate, anche Rossi confessa Interrogato, il difensore conferma le parole di Masiello: "Picchiato da Morrone" di GIULIANO FOSCHINI (la Repubblica - Bari 28-01-2012) Un altro giocatore è stato ascoltato, nella veste di indagato, ieri mattina a Bari: si tratta di Marco Rossi, ex difensore biancorosso quest´anno al Cesena. Rossi è stato senti per più di due ore, accompagnato dal suo legale Roberto De Maio (lo stesso che ha seguito Nicola Ventola anni fa in uno scandalo sul calcio scommesse che è finito archiviato sia penalmente che da un punto di vista sportivo). Verbale secretato anche in questo caso, ma ritenuto «assai interessante» dagli investigatori. Da Rossi sono arrivate nuove conferme all´impostazione accusatoria. Avrebbe sostanzialmente raccontato la stessa storia di Andrea Masiello sulla partita con il Palermo: la riunione con Iacovelli e lo zingaro prima della gara, l´offerta di denaro per truccare l´1-3 (ma la gara finì poi 1-2). Rossi ha giurato di non aver mai preso gli 80mila euro promessi e di essersi rifiutato di entrare nella combine. «Io queste cose non le faccio» ha detto. Per poi però ammettere che effettivamente qualcosa di strano lo scorso anno a Bari è accaduto. A partire dalla gara contro il Parma quando fu picchiato negli spogliatoi da Morrone. «Mi diceva - ha detto in sintesi a verbale il giocatore - Non erano questi gli accordi ma io non sapevo di cosa stesse parlando». Poi magari un´idea se l´è fatta. Anche perché nelle famose nove partite di campionato sulle quali sta indagando la procura di Bari lo spogliatoio ha cominciato a chiacchierare. Rossi ha confermato che Iacovelli era un frequentatore assiduo della squadra. E che spesso si vedevano in giro anche "brutte facce", che lui non sarebbe individuare ma che per gli investigatori altri non erano che uomini vicini al clan Parisi. Anche per questo motivo la dichiarazione di Rossi è ritenuta molto interessante dalla procura di Bari. Che in questo momento sta agendo a scaglioni ma che presto potrebbe unificare tutti i fascicoli: da una parte c´è il fascicolo dell´antimafia sul riciclaggio di denaro tramite le agenzie di scommesse, legate al clan Parisi. Fascicolo che sta seguendo direttamente il procuratore Antonio Laudati. Una decina gli indagati. Dall´altro c´è quello sull´associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva sul tavolo del pm Ciro Angelillis e dei carabinieri del reparto operativo di Bari: iscritti sono Andrea Masiello, Marco Rossi, Alessandro Parisi, Simone Bentivoglio e Angelo Iacovelli. Da valutare le posizioni di Nicola Belmonte e Simone Padelli. La procura ha la certezza della combine sulla gara di Palermo ma sospetta su altre otto gare (sono le ultime nove dello scorso campionato). Masiello ha raccontato di aver subito pressioni per la gara contro il Chievo, la Roma, la Sampdoria e di non aver mai accettato. E di aver preso "per paura" la mazzetta della gara contro il Palermo dagli Zingari per poi però restituirla immediatamente visto che la combine non era andato in porto. La Procura ha elementi concreti per sospettare che siano state truccate anche la gara contro il Brescia (0-2) e quella di fine campionato vinta contro il Bologna (4-0). E proprio quella contro gli emiliani sarebbe l´unica a far pensare a un coinvolgimento della squadra avversaria. Infine: dagli atti a disposizione, secretati e non, non emerge mai il nome di Almiron. Almeno per il momento. È tutt´altro da escludere che vengano ascoltati come persone informate dei fatti dirigenti del Bari, a partire dal direttore sportivo Guido Angelozzi.