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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
I NON-LUOGHI PER ECCELLENZA Ma che ci andate a fare allo stadio tra esaltati, fighetti e inutili cronisti? di FRED PERRI (TEMPI | 1 febbraio 2012) Perché uno dovrebbe andare a vedere una partita di calcio in uno stadio italiano? Siete mai stati a San Siro? Avete mai attraversato il piazzale alla fine, su un letto di bottiglie di birra, di liquame vario e assortito, di bicchieri di plastica, di cartacce? No? Beati voi. Gli stadi italiani sono brutti, sporchi e scomodi (a parte quello della Juve). Sono mal frequentati, esaltano il peggio che c’è in noi. Sono freddi e inospitali. È più accogliente uno stadio inglese durante la tormenta che uno italiano a tarda primavera. Sono dei nonluoghi per eccellenza, spersonalizzano. Sono frequentati da torme di esaltati dimentichi della civiltà, da fighetti che vengono per il buffet e da giornalisti che si credono emuli di Gianni Brera e invece non contano più nulla. E a tutta questa gente, praticamente ogni domenica, viene data in pasto la promozione di un qualche evento benefico o, peggio, viene chiesto un minuto di silenzio per la scomparsa di qualcuno. Ovviamente il silenzio non lo fa nessuno. Se va bene ci sono i cretini che applaudono, se va male ci sono quelli che si tirano i petardi da una curva all’altra. Sentite a me: non ne vale la pena. È già un grosso risultato che nessuno si faccia male, date retta. Pretendere attenzione da questi è come sperare di avere un parlamento di gente onesta, preparata e capace di risolvere i problemi del paese. È già molto se non lo affossano. -
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“Grazie a Bosman il calcio ora unisce tutto il continente” di CAYETANO ROS VALENCIA (LA STAMPA - europa 26-01-2012) Senza Bosman, io non sarei qui», afferma Sofiane Feghouli, parigino 22enne e centrocampista del Valencia, grato a quel pioniere belga che aprì la strada a migliaia di calciatori. Tra loro, anche Feghouli. «Sei mesi prima del termine del contratto è possibile negoziare con un altro club», aggiunge, cosciente dei suoi diritti dopo che, nel 1995, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (UE) dichiarò illegali le indennità per il trasferimento al termine del contratto e il tetto del numero di calciatori stranieri dagli stati membri UE. Feghouli arrivò gratis al Mestalla, due anni fa, dal Grenoble, dove a stento era riuscito a partecipare all’ultimo allenamento a causa di una lesione al ginocchio. Ma il Valencia aveva intuito le sue capacità di crescita, è stato paziente nel prepararlo e oggi, con tre gol, rappresenta la rivelazione della squadra di Unai Emery. Feghouli conosce le conseguenze della sentenza Bosman, ma non i particolari: appellandosi al Trattato di Roma del 1957, Jean-Marc Bosman intentò causa contro il Liegi e la Uefa davanti all’Unione europea perché, al termine del contratto, il gruppo belga voleva far pagare il trasferimento al Dunkerque francese. «Il caso Bosman rappresenta il punto di svolta nella liberalizzazione del mercato dei giocatori. Quando dieci anni fa nacque l’euro, si ambiva ad un mercato che, mentre in molti altri ambiti non ha funzionato a causa delle barriere linguistiche, è stato utile per il calcio professionale», spiega Ramón Llopis, professore di sociologia dell’Università di Valencia e direttore del progetto Free (Football research in a large Europe) finanziato dall’UE e al quale partecipano nove università europee. «All’inizio la decisione fu considerata negativa: avrebbero tolto il posto agli spagnoli; ma la libera circolazione ha beneficiato a tutti», afferma Francis Cagigao, osservatore dell’Arsenal di origine galiziana, artefice dell’approdo di Cesc Fábregas nei Gunners prima del ritorno al Barcellona l’estate scorsa. «Cesc è un punto di riferimento per gli altri giovani, perché lui ce l’ha fatta. Tutto è avvenuto nella legalità, senza alcun furto alla cantera del Barça. La legislazione non è cambiata: si possono ingaggiare i giocatori dell’Unione Europea che hanno compiuto 16 anni, età in cui è possibile firmare un contratto professionale. Quello che invece è cambiato è il compenso per la formazione del giocatore. Prima gli indicatori erano incerti e ora sono più o meno adeguati: siamo intorno ai 90.000 a stagione per le giovanili di un club d'élite, Prima e Seconda Divisione. Cesc arrivò all'Arsenal a 16 anni e rimase con noi otto stagioni. Ciò aiutò molto la Nazionale spagnola (campione d'Europa nel 2008 e del mondo nel 2010), perché il calciatore si rafforza di più all’estero, acquisisce la maturità e viene a contatto con l'energia del campionato inglese, che rappresenta la competizione più intensa e più simile a quella spagnola. A Cesc all’inizio andò male, ma poi si unirono Xabi Alonso, Reina, Torres, Silva, Mata… I giovani spagnoli sono molto più preparati ora rispetto agli Anni 60 o 70». Alla fine degli Anni Novanta, una valanga di giocatori comunitari popolò l'organico dei club spagnoli. Al tempo stesso la Spagna diventò, per la prima volta, un Paese esportatore di calciatori e tecnici. Non si tratta solamente di grandi stelle, ma anche di ragazzi umili che giocano in campionati modesti come, ad esempio, David Fuster, dal 2010 arrivato all'Olimpiakos greco dal Villarreal. Il giocatore spagnolo non ha più timore a viaggiare in Europa, grazie al prestigio della stella di campione del mondo che serve da garanzia. È molto lontano da quei rari personaggi che, negli Anni Sessanta, trionfarono nel calcio: Luis Suárez, Joaquín Peiró o, in misura minore, Luis Del Sol. Tuttavia, il fenomeno più rivoluzionario è accaduto sulle panchine. «La Spagna», spiega Cagigao, «è stato il Paese per eccellenza dei tecnici stranieri negli Anni 80. Ora, fortunatamente, si è tornati alla normalità. Sono presenti sempre più allenatori spagnoli sia nella Liga che all'estero. Il trasferimento di Benítez al Liverpool, grazie alla rilevanza del club di Anfield, è stato molto positivo». Ora, la Spagna si vanta di alcuni degli allenatori più conosciuti sul mercato: il commissario tecnico, Vicente del Bosque; l’allenatore del Barça, Pep Guardiola, o lo stesso Benítez. «Il calcio è il minimo comun denominatore d'Europa», afferma Llopis. «Nella fragilità dell'Unione Europea, l'identità europea è cresciuta grazie al calcio, senza paragoni in altri ambiti. Tuttavia, non ne siamo consapevoli a causa di due fattori che nascondono ciò: la globalizzazione e l'esacerbazione nazionalista presente nei grandi tornei», aggiunge il sociologo, convinto che l'Europa abbia influito moltissimo nella gestione dei club e negli stili di gioco dei Paesi. Sono finiti i vecchi stereotipi: il gioco meccanico dei tedeschi, il catenaccio degli italiani. . . E non perché tutti si siano omogeneizzati, ma esattamente per il contrario. Tutti attingono da fonti diverse e la Germania, ad esempio, riconosce la ricerca di uno stile nel quale primeggia l'abilità dei giocatori, caratteristica tipica dei campionati sudamericani dei tempi passati. In quanto Paese tradizionalmente isolato e innamorato del calcio, la Spagna ha beneficiato del processo di europeizzazione e, d'altra parte, ha contribuito alla diversità culturale favorendo l'ingresso in Europa di centinaia di giocatori sudamericani. Lo stesso è avvenuto in Francia con gli africani. Feghouli è di origine algerina e, nonostante abbia giocato nella Nazionale francese nelle categorie inferiori, ha accettato la chiamata della Nazionale algerina in onore dei suoi genitori. «Mi sento europeo e africano», sostiene. L'Unione Europea non ha autorità in termini sportivi, avverte Llopis, ma è nel suo interesse regolare il settore negli ambiti economici e fiscali, fuori dal controllo dei singoli Paesi. «La Uefa è antiquata», conclude Llopis, «non si rende conto che gli interessi economici e commerciali si stanno spostando verso l'ambito europeo. E arriverà un momento, non molto lontano, in cui i club vorranno creare una Lega europea formata da 20 squadre». Per quel momento, Feghouli vuole essere pronto. -
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CALCIOPOLI LA PROMESSA «Non ci fermiamo» BRIAMONTE «Faremo danno a chi ci ha creato danno» L’avvocato: «La Juve continuerà a perseguire chi ha sbagliato anche quando non ricoprirà più le cariche attuali» di MARCO BO (Tuttosport 26-01-2012) TORINO. La sensazione è che il presidente Andrea Agnelli quando sceglie le figure più importanti a cui affidare responsabilità di primo livello per la sua Juventus non si limiti a valutare curriculum e colloqui. In ufficio deve nascondere una sorta di metal detector speciale, in grado di rilevare quanta grinta uno possiede in corpo. Perché se in campo la squadra aggredisce l’avversario con la famelicità che era il marchio di fabbrica di Conte giocatore, chiedere ai lupi giallorossi sbranati l’altra sera allo Juventus Stadium, dietro la scrivania e in particolar modo in tribunale, il team di legali juventini è diretto dall’avvocato Michele Briamonte che a livello di determinazione può tenere testa all’allenatore. SUPERLAVORO Ad accomunare poi Briamonte e Conte è la mole di lavoro che non solo non spaventa i due, ma anzi galvanizza entrambi, Soltanto così si può spiegare, per esempio, il fatto che in questi ultimi mesi la Juventus abbia aperto il varco per stilare il nuovo contratto dei calciatori ispirato alla filosofia statunitense delle star dello sport professionistico. Ma c’è molto di più. Briamonte, infatti, sta portando avanti la battaglia della Juventus in merito a Calciopoli. In ballo, sostanzialmente, due obiettivi: la revisione dell’attribuzione dello scudetto 2006 dato allì’Inter per i noti fatti calciopoleschi emersi da un’inchiesta risultata nel tempo “smagliata” e ottenere un risarcimento economico dalla Federazione Gioco Calcio a cui è stato fatto un conticino da oltre 440 milioni di euro. SILURI IN AULA In attesa che Gianni Petrucci , presidente del Coni, riesca a concretizzare a Roma una seconda puntata del tavolo della pace, ieri, all’Università di Milano, si è tenuta una tavola rotonda sul tema “Diritto Sportivo e Giustizia Sportiva” a cui era invitato anche Michele Briamonte. L’avvocato bianconero, dopo aver espresso i propri giudizi sui temi specifici legati al corso di perfezionamento post laurea, è entrato a gamba tesa su ciò che riguarda il rapporto Juventus e Calciopoli. E così rispondendo alle accuse di doping legale, ha replicato secco: «Doping Legale? Non mi sembra giusto parlare di doping legale. Purtroppo ci sono persone antiche e non aggiornate che si accorgono in ritardo che il mondo si muove. Allora parliamo pure di narcolessia». Che, per chi non lo sapesse, è una malattia neurologica, non psichiatrica, caratterizzata da eccessiva sonnolenza diurna. Ma c’è di più, perché, ieri a Milano, nell’aula universitaria sono volati siluri ancora più roboanti con obiettivi precisi. Per esempio questo: «Le nostre azioni Legali? Faremo ricorso alla Corte d’Appello di Roma contro la decisione del Tnas. Quando ci fermeremo? L’obiettivo è fare danno a chi ci ha fatto danno, andremo avanti a oltranza sino a quando ci saranno strade legali percorribili. Anche perché una cosa è certa. La Juventus ha saputo resistere a cosa ha subito e esisterà anche in futuro quando continuerà a perseguire i responsabili anche se nel frattempo avranno smesso di ricoprire le cariche attuali o quelle avute». Insomma, altro che venti di pace. La Juventus è determinatissima a proseguire sulla propria linea, chiedendo giustizia nei tribunali competenti e rigettando con decisioni favoritismi inesistenti: «Non bisogna creare false illusioni sulla questione stadi. L’amministratore delegato dell’Inter, Ernesto Paolillo , ha detto che abbiamo ricevuto in regalo il terreno. Peccato non sia vero, l’abbiamo pagato al comune 25 milioni». Punto e a capo. -
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Mentre si avvicina la nuova era le società continuano a spendere Fair play, ecco le sanzioni Ma il rosso sale: 1,6 miliardi L'Uefa vara le misure per un calcio europeo più sostenibile: dalle multe all'esclusione dalla Champions Punizioni dal 2014, oggi 13 club sarebbero fuori Rischio di ricorsi di FABIO LICARI (GaSport 26-01-2012) È un lavoro sporco ma, parafrasando i film di Hollywood, qualcuno deve pur farlo. Solo che qui non ci sono indiani e cow-boy, eroi e criminali: semplicemente club europei che vivono al di sopra delle loro possibilità (niente di nuovo sul fronte occidentale di questi tempi) e rischiano il collasso o, come dice l'amministratore delegato dell'Inter Ernesto Paolillo, «lo scoppio di una bolla tipo quella immobiliare» che ha appena scatenato la crisi mondiale. Ecco perché l'Uefa s'è inventata il fair play finanziario: che forse non sarà il migliore dei sistemi possibili, ma in qualche modo costringerà – già lo sta facendo – presidenti con le mani bucate a frenare una spirale pericolosissima, riducendo gli stipendi folli dei calciatori. «Questa è l'ultima chiamata per chi non ha ancora capito», dice Gianni Infantino, segretario Uefa e architetto del sistema. Non è detto neanche che funzioni, soprattutto quando arriverà il momento di punire i «cattivi»: la protezione giuridica dell'Ue è ancora flebile, il rischio del ricorso ai tribunali civili in agguato. Ma almeno si comincia. Tredici nei guai Le cifre sono impressionanti. Il deficit dei club europei dei 53 campionati, dal Portogallo al Kazakistan, ha raggiunto nel 2010 la bella cifra di 1,6 miliardi di euro. Era 1,2 l'anno scorso, sono 400 milioni in più. Il problema è che le entrate sono aumentate: da 12 a 12, 8 miliardi (i ricavi aumentano di 10% all'anno, come in un'industria sana). Il che significa che le spese sono cresciute ancor di più, da 13,3 a 14,4. Nel rapporto Uefa ci sono altre cifre da paura: il 56% dei club è in «rosso» e la percentuale sale considerando quelli nelle coppe. Gli stipendi costituiscono il 64% del fatturato (ma per qualche club più del 100%). Nella Champions e nell'Euroleague in corso ci sono 13 club che non rispettano il fair play: l'Uefa non fa nomi, ma la lista comprende City, United, Inter, Chelsea, Milan, Barcellona, Valencia, Liverpool, Paris Saint Germain. Mentre i più virtuosi sono Arsenal, Real Madrid, Bayern e Napoli. Regole utili I nomi non sono pubblici: l'Uefa non vuole creare liste di proscrizione. Anzi: con i club la collaborazione è ottima e, come aggiunge Paolillo, «noi abbiamo bisogno di queste regole. Stiamo lavorando con Nyon per trovare regole utili per tutti, anche se non possiamo escludere che, al momento delle sanzioni, qualcuno non sia d'accordo e ricorra in tribunale». E Jean-Michel Aulas, presidente del Lione: «Il calcio si è lasciato andare e Platini ha preso una decisione coraggiosa per fermare la spirale. Quindi ci vogliono regole che non siano accettate ma addirittura suggerite da noi club per creare un nuovo modo, più etico, di gestire il calcio». Scadenze e deficit Dalle belle parole si passerà un giorno ai fatti. Quel giorno non è lontanissimo. Il fair play è cominciato quest'anno e, a cicli triennali (escluso il primo che è biennale), monitorerà i bilanci dei club. In parole semplici: nel 2013-14 l'Uefa svolgerà i primi controlli sui bilanci 2012 e 2013 e, in caso negativo, nel 2014 arriveranno le sanzioni. Ormai si sa: nel biennio, o nel triennio, i club possono avere un deficit globale non superiore a 45 milioni e più avanti 30 milioni (escluse le spese virtuose per stadi e giovani, che non fanno passivo). Questo deficit, comunque, deve essere coperto con ricapitalizzazioni e donazioni, non con prestiti. C'è una tolleranza di 5 milioni, poi si entra nel radar del nuovo organo di controllo. Sanzioni e appelli Le sanzioni non saranno automatiche. Nel senso che un club potrà essere in passivo ma aver anche dimostrato un miglioramento progressivo: si sta impegnando, gli evitiamo gli esami di riparazione. Ma dopo si fa sul serio e la lista di sanzioni, anticipata martedì dalla Ġazzetta, è lunga: le minori (avvisi, multe), poi penalizzazioni di punti, riduzione delle liste Uefa o mancata iscrizione di nuovi acquisti, perdita dei premi di Champions (o Europa League) e infine squalifica ed esclusione. Con il rischio – non nega l'ufficio legale Uefa - «che chi non rispetta le regole sia poi quello che va in tribunale». Dovrebbe accettare il giudizio dell'organo di controllo e poi l'appello al Tas, ma non è detto. No Sion-bis? L'Uefa ha il sostegno della Commissione Ue. Ma la protezione speciale del presidente Barroso, chiesta da Platini, non arriverà a breve, forse mai: perché il Trattato Ue tutela sempre la libertà di impresa. Più proporzionate e giuste saranno le sanzioni, meno si rischieranno nuovi casi Sion. Ma la partita, una finalissima davvero, è appena cominciata. Negli ultimi sette anni già 31 club, minori per la verità, sono stati esclusi dalle coppe. Ora 39 club europei (per l'Italia Milan, Inter, Napoli e Udinese), tra i quali Real, Barcellona, United, City, Bayern, Psg hanno accettato di sottoporsi a un test per gli anni 2009-11: vediamo se il sistema va. E magari il giocattolo più bello del mondo non si rompe. ___ Poco fair play, Europa spendacciona Il Bayern: “Perché solo noi a posto?” L’Uefa svela i debiti del pallone. Platini all’Italia: «Anche voi avete gli sceicchi» di GIULIA ZONCA (LA STAMPA 26-01-2012) L’Europa è sempre la stessa, calcio o politica non fa differenza. Da una parte c’è la Germania che ha già messo i conti a posto e pretende il rispetto delle regole, dall’altro Paesi che ritardano, aspettano o peggio traballano. L’Uefa ha mostrato i conti del 2010, un avviso per dimostrare che allo stato attuale in pochi potrebbero passare la prova financial fair play. Le squadre di prima divisione dei campionati europei hanno messo insieme un debito di 1,6 miliardi e anche se i ricavi aumentano, nell’ultimo anno sono cresciuti del 9,1 per cento, da 12 a 12,8 miliardi, le spese restano folli e, cosa che più fa inalberare i tedeschi, quasi tutte per gli stipendi dei giocatori. In pochi pensano a rimettere a posto gli stadi, i vivai vengono dimenticati e le entrate vanno direttamente al mercato. Karl Heinz Rumenigge, dirigente del Bayern Monaco è piuttosto esplicito: «Non capisco perché il nostro campionato è già in attivo e gli altri no e soprattutto mi chiedo come mai l’Uefa non abbia ancora spiegato nel dettaglio le conseguenze per chi non metterà i conti a posto. Si parla di multe, di eventuali esclusioni dalla Champions ma si resta sul vago. Hanno avuto tempo per capire come vanno le cose». Ne avranno ancora perché le punizioni per chi scialacqua scattano solo nel 2014 e intendono prenderselo tutto. Il calcio europeo dà i numeri ma non i nomi. I club che in questo momento stanno partecipando alla simulazione (ovvero il monitoraggio dei bilanci con i canoni del fair play) e oggi sarebbero bocciati sono 13. Dentro pare esserci il meglio: Manchester United, Chelsea, City, Psg, Barcellona, Real Madrid, Inter, Milan, probabilmente anche la Juve fotografata però prima del nuovo stadio (unico di proprietà per una squadra italiana) che cambia il suo status economico. Le cifre oscillano e i canoni esistono ma ancora non sono così rigidi da essere una tagliola come pretende la Germania. Michel Platini ha aperto la strada della sobrietà e la percorre a passi cauti. Sgrida via Sky gli italiani concentrati sugli sceicchi: «Strano che pensiate a City e Psg, l’Inter e il Milan hanno sempre speso troppi soldi. Gli sceicchi erano più in Italia che negli altri Paesi fino a poco tempo fa. Anche Moratti è uno sceicco: mette 100 milioni tutti gli anni». Poi però si fa più politico, attenua e guarda al futuro: «Si stanno facendo degli sforzi». Vero, il Barcellona ha venduto la maglia dopo una vita di resistenza, il mercato langue e nessuno è disposto a staccare maxi assegni. Tevez resta in bilico però i debiti non mettono ancora paura. L’Inter ha spedito l’amministratore delegato Paolillo a promettere ubbidienza e lui prova a mantenere un equilibrio: «Certo che siamo d’accordo con l’Uefa e le regole sono giuste solo è inevitabile che il calcio italiano paghi questo momento». Sarà, ma la Germania è in attivo da 7 anni e ci ha pure fregato un posto in Champions. Magari per cambiare invece di lamentarci dei loro rimproveri potremmo provare a imitarli. -
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laRovesciata di ROBERTO BECCANTINI (GaSport 26-01-2012) Balotelli, Raiola e il ct tra rispetto e codici A Mario Balotelli, come in passato ad Antonio Cassano, trovo opportuno chiedere cosa farà «di grande», visto il talento che ha, e non cosa farà «da grande», visto il peccatore che sono. Dicono che gli inglesi lo abbiano preso di mira, e facciano la ola ogni volta che lo beccano in flagrante, ostaggi come sono della morbosità dei lettori. Non ci credo: spesso, è Mario in persona a ispirare i titoli dei tabloid. Così come conservo forti dubbi sulla volontarietà del calcio a Scott Parker del Tottenham, episodio che, sfuggito alla terna e smascherato dalla tv, ha fatto scattare quattro turni di squalifica. Ecco, il nodo è proprio questo. Il «reclamo» non l’ha presentato il Manchester City, ma Mino Raiola, l'agente di Mario. Cito dal pezzo di Stefano Boldrini: «L’arbitro è stato un codardo. Si è fatto influenzare da Redknapp e dai media. Ha scritto di non aver visto nulla ma era a un metro. Se la federazione inglese non protegge Balotelli, noi qui non ci possiamo stare. Andremo altrove». «Se la federazione inglese non protegge Balotelli »: e perché mai dovrebbe o avrebbe dovuto proteggerlo? E Parker, e gli altri? Nessuno è perfetto, e nemmeno gli inglesi lo sono. Da quelle parti, però, tira un’altra aria. Luis Suarez, attaccante uruguagio del Liverpool, diede (sette volte) del negro a Patrice Evra del Manchester United e si beccò otto giornate. E il Liverpool, come il Manchester City, rinunziò al ricorso. Raiola adombra lo scenario del quale noi italiani siamo gelosi e ghiotti, molto ghiotti: il complotto. Nel dettaglio, la congiura contro il suo pupillo. Non la indica apertamente ma vi gira attorno con arroganza: dice e non dice, allude e minaccia, mescola torti (?) e sbocchi dimercato. Viceversa, avrebbe dovuto parlare di rispetto: per la sentenza, per la corte, per tutto. Non si tratta di essere moralisti un tanto al chilo. Non siamo di fronte a uno dei troppi misteri irrisolti che zavorrano l'Italia: più terra terra, siamo davanti a un caso non così oscuro o viscido da innescare, e giustificare, reazioni così brusche, così becere. A 21 anni, Balotelli sembra un giovane in perenne fuga da se stesso. Cesare Prandelli ha deciso di convocarlo comunque per l'amichevole con gli Stati Uniti, in programma il 29 febbraio a Genova. Voce dal fondo: e il codice etico? In teoria, l’etica—che, secondo il presidente Abete, «non va mai in prescrizione»—non dovrebbe cibarsi di pestoni furtivi e neppure di testi scritti, di misure vincolanti. Soprattutto nello sport, dovrebbe far parte del quadro, senza esserne la cornice ruffiana, ipocrita, da appendere in base alle emergenze o, peggio, alle convenienze. Sventurato quel popolo, scriveva Bertolt Brecht, che ha bisogno di eroi; e di codici etici, aggiungo. L’importante è il rispetto: tanto per la scelta del nostro ct, che slega Balotelli, quanto per il verdetto inglese, che lo lega. Poi, sia chiaro, liberi tutti di discutere tutto: se squalificare Mario sia stato corretto o no, e se precettarlo da squalificato sia giusto o no. Parafrasando Giorgio Gaber, il problema non è Balotelli in sé ma Raiola in lui. ___ loSpunto UNO, DIECI, CENTO JUVE STADIUM E LA CRISI DEL CALCIO VA IN SOFFITTA di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 26-01-2012) Posti a sedere 41mila, spettatori paganti 38. 498. Numeri dello Juventus Stadium di martedì, coppa Italia. Che non c'entrano con quelli di Del Piero, ma che hanno suggerito a qualcuno della Roma, ancora stranito dalla batosta, osservazioni pertinenti. Taddei: «Uno stadio così vale 15-16 punti a campionato». Baldini: «Magari non così tanti, ma 6-8 di sicuro». E' un fatto che la cornice, anche se non fa la squadra, aiuta. E parecchio. In questo senso, onore ai dirigenti della Juventus. Dell'altro ieri, di ieri e di oggi. Un filo d'Arianna lungo sei anni che ha portato a questo risultato. Uno stadio-salotto che produce vittorie e ricavi. Anche solo a seguirla in televisione, Juve-Roma faceva venire i brividi a prescindere da quanto accadeva in campo. Sembrava di essere in Premier League o in Bundesliga. Recessione, crisi economica e qualitativa del calcio italiano, calcioscommesse, Lega di Serie A persa dietro grottesche baruffe. . . Ebbene, dateci altri nove-dieci Juventus Stadium e vi solleveremo il mondo. Non ci vuole molto a capirlo. A chiacchiere sembrano averlo compreso tutti, non c'è intervista in cui lo stadio nuovo non sia posto come priorità. Eppure, gli stessi lobbisti che si riempiono la bocca di quella che in realtà è una ovvietà, che cosa sono riusciti a fare finora? Di rinvio in rinvio la legge che avrebbe potuto sbloccare la situazione è ferma presso la Commissione cultura della Camera da due anni. Il neoministro dello sport Piero Gnudi ha dato un cenno di interesse, qualche settimana fa. Ma lì la sua attenzione sembra essersi esaurita. Ora il relatore Claudio Barbaro promette di ricalendarizzare la legge in Commissione. Gli suggeriamo di portarsi dietro il filmato di Juve-Roma, un martedì qualsiasi di coppa Italia. -
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Scommesse Masiello interrogato inguaia Almiron di CLAUDIO DEL FRATE (CorSera 26-01-2012) Un memoriale di dieci pagine, nel quale il difensore Andrea Masiello racconta di aver saputo che alcuni giocatori del Bari, sua squadra della passata stagione, sarebbero stati coinvolti in un giro di scommesse. Il giocatore, ora in forza all'Atalanta, ha consegnato il dossier ieri pomeriggio ai pm di Bari che l'hanno interrogato nell'ambito di un'inchiesta su infiltrazioni malavitose nell'ambiente calcistico locale; il verbale di interrogatorio è stato segretato e l'incontro si è tenuto in una caserma dei carabinieri per evitare intemperanze da parte degli ultrà. Il calciatore avrebbe raccontato di aver notato che suoi ex compagni avrebbero avuto contatti con un giro di scommettitori specie nella parte finale del passato campionato. Masiello avrebbe scagionato se stesso ma avrebbe fatto il nome del suo ex compagno Almiron, che si sarebbe speso per truccare Bari-Lecce, ultima partita dello scorso campionato finita 0-2 con un'autorete dello stesso Masiello. Identica linea era stata tenuta dal giocatore davanti al pm di Cremona dal quale si era presentato una settimana fa. Forse già oggi Masiello si farà interrogare anche dal procuratore della Federcalcio Stefano Palazzi. ___ "Costretto dalla mafia a vendere partite" II pentito Masiello interrogato ieri in segreto: "Mi minacciavano" di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 26-01-2012) La mafia lo scorso anno ha bussato al campanello della serie A. Uomini del clan barese dei Parisi hanno aspettato i calciatori sotto casa, hanno frequentato gli spogliatoi, esercitato pressioni e minacce, distribuito mazzette e incassato denaro per combinare i risultati di una serie di partite: almeno quattro, ha ammesso ieri l´ex difensore biancorosso, oggi all´Atalanta, Andrea Masiello. Il verbale del giocatore è stato secretato visto «che riguarda persone diverse dal dichiarante» scrivono nel decreto il procuratore Anonio Laudati e il pm Ciro Angelillis (lo stesso che si è occupato del caso Tarantini). Ma una cosa appare già chiara: «Gervasoni era un ex giocatore del Bari. Bellavista anche. Micolucci, pure. Con i biancorossi ha giocato Carobbio. La storia del calcioscommesse negli ultimi anni in Italia pone le sue fondamenta a Bari. E a Bari speriamo di farla crollare» dice un investigatore. Masiello, quindi. Il ragazzo ha parlato. Non a caso la sua audizione è stata trattata come quella di un vero pentito di mafia. Lui stesso e i suoi legali hanno saputo solo mezzora prima dove e a che ora ci sarebbe stato l´interrogatorio. Martedì hanno dormito a Lecce dopo essere arrivati con un volo a Brindisi per scansare gli occhi dei tifosi. Hanno pranzato in Salento, poi al telefono gli è stato detto di avvicinarsi al capoluogo. All´uscita dello svincolo per Carbonara, sulla tangenziale di Bari, li aspettava un auto dei carabinieri. Li hanno scortati fino in caserma. Quattro ore di interrogatorio davanti al pm Angelillis e agli uomini del Reparto operativo dei Carabinieri. Masiello ha ammesso di aver partecipato alla combine contro il Palermo (non riuscita per il rigore sbagliato da Miccoli) perché ha avuto paura. Ha raccontato che i baresi («tutti mi dicevano di stare attenti, che era gente poco raccomandabile») sono andati sotto casa sua per due volte e gli hanno messo una mazzetta da ottantamila euro in mano (poi restituita essendo saltata la combine). Che "quelli" hanno fatto lo stesso con Parisi, Rossi e Bentivoglio. Ha raccontato che non era la prima volta che accadeva. Sempre dallo stesso personaggio (Angelo Iacovelli) era stato avvicinato prima della partita con il Chievo (persa dal Bari per 2-1), della Roma (2-3) e con la Samp (0-1). Gli avevano offerto e consigliato di non impegnarsi. Che altri giocatori avevano già detto di sì. Iacovelli era accompagnato volta per volta da personaggi vicini alla malavita barese. E in due occasioni dagli Zingari: Masiello ha riconosciuto la foto dello slavo che, come ha accertato Cremona, era a Formello prima di Lazio-Genoa. La Procura di Bari ha ora sul taccuino il nome di altri calciatori - il difensore Belmonte e il portiere Padelli - ma ci sono anche i nomi di insospettabili e di qualche dirigente della squadra (la società però era all´oscuro di tutto). Gli investigatori sono poi convinti che ci fossero complicità anche nelle altre squadre (nel mirino in particolare le partite di Parma e Bologna) ma anche su questo stanno lavorando. Masiello nei prossimi giorni vedrà il procuratore federale Stefano Palazzi, per raccontare le "sensazioni" sui compagni in merito ad altre partite. Postilla: Masiello conferma completamente le dichiarazioni dell´altro pentito del calcioscommesse, Gervasoni. Ecco perché questo è soltanto l´inizio. ___ LE INDAGINI DOPO L’INTERROGATORIO DI IERI Arresti in arrivo Altri giocatori pronti a parlare? La Procura di Bari ha molti riscontri Masiello potrebbe essere imitato da altri ex compagni di FRANCESCO CENITI (GaSport 26-01-2012) «Questa brutta storia è nata a Bari e morirà a Bari. Il calcio non ha gli anticorpi per difendersi dall'attacco della criminalità. La nostra inchiesta dimostra come anche la A sia sotto scacco». E' una stilettata al cuore dei tifosi quelle che a tarda sera pronuncia un investigatore. Masiello è già in autostrada, altri non avranno questa possibilità: parlare e poi ritornare a casa. Le mani della mafia sul Bari. Su questo e molto altro ruota l'inchiesta condotta dal procuratore Laudati. Sono tanti i riscontri raccolti in oltre due anni d'indagine. Adesso siamo davvero alle battute finali: le persone sotto inchiesta sono diverse decine e molte di loro potrebbero nelle prossime settimane ritrovarsi con le porte del carcere spalancate. I reati sono pesantissimi: associazione per delinquere di stampo mafioso (l'articolo 416 bis), riciclaggio attraverso le scommesse e la frode sportiva. Nella rete dovrebbero finire impigliati diversi giocatori, non solo quelli del Bari. Questa è la prima novità. Ma forse ce n'è una seconda. Nuovo pentito La scelta di Masiello ha spazzato via il muro dell'omertà. Ci sarebbero altri pronti a collaborare. Gli stessi inquirenti non escludono l'ipotesi. Chi è? Forse un ex compagno di Masiello. Di sicuro qualcuno avvicinato da Iacovelli. Le gare che puzzano sono sempre le stesse: Bari-Catania 1-1, Cesena-Bari 1-0 e Bologna-Bari 0-4. Più Parma-Bari 1-2 dove accade un episodio messo sotto la lente d'ingrandimento dalla procura: Marco Rossi al fischio final fu inseguito e insultato dagli avversari. Fu proprio Masiello a proteggerlo. Rossi dichiarò: «Mi si accusa di aver fatto il professionista...». Frase che riletta oggi assume un significato sibillino. Anche perché gli inquirenti hanno tutta una serie di riscontri (intercettazioni, movimenti bancari, tabulati e testimonianze) che incastrerebbero i calciatori di altre squadre: tra i possibili arrestati ci potrebbero essere delle sorprese. Non solo, come è accaduto a Cremona, qualche indagato ha fornito un assist agli investigatori con una attività telefonica diventata frenetica dopo la confessione fatta da Masiello. Palazzi e Masiello Le continue novità renderanno complicato il lavoro di Palazzi. Non sarà facile imbastire il processo sportivo quando sempre più calciatori e squadre finiscono nel tritacarne. Il procuratore potrebbe scendere nei prossimi giorni a Bari per parlare con Laudati (di cui è stato auditore). Difficile però che possa avere ora degli atti: c'è di mezzo il 416 bis. Ecco che diventano fondamentali le collaborazioni. Primo fra tutti Masiello («premiato» con un solo anno di squalifica): il giocatore sarà sentito nella prossima settimana e fornirà nomi e cognomi dei colleghi avvicinati dal clan. Oggi, intanto, tornerà ad allenarsi con l'Atalanta, ma il tecnico Colantuono non dovrebbe convocarlo. -
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IL MEDIANO CONTESO TRA ISRAELIANI E PALESTINESI È nella Nazionale araba, ma ha scelto il team di Haifa di ROBERTA ZUNINI (il Fatto Quotidiano 26-01-2012) L’unico terreno su cui, finora, gli israeliani e i palestinesi non si erano scontrati, è quello erboso dei campi di calcio. Ma ora anche lo sport più seguito in Israele e nei Territori palestinesi, è rimasto coinvolto nel conflitto. La contesa tra le squadre Hapoel Haifa e Jabal Mukaber per il centrocampista israelo-palestinese Ali Khatib è scoppiata quattro giorni fa, agli inizi peraltro di una settimana che sarebbe dovuta risultare cruciale per la ripresa dei negoziati di pace. Entrambi i team giocano nella Serie A dei loro paesi: Hapoel Haifa per Israele, Jabal Mukaber per i Territori, essendo una squadra di Gerusalemme Est. Ali Khatib è palestinese, ma può giocare anche in Israele perché è nato 23 anni fa nella città santa. Khatib è più di una promessa per il calcio palestinese e israeliano, visto che ha già giocato per alcune squadre palestinesi e israeliane, ma è, e rimane, soprattutto un ragazzo. E agisce come tale. Per questo, lunedì scorso, non ha pensato alle implicazioni di ciò che stava per fare: ha solo seguito il suo istinto che lo portava verso una squadra più forte, indipendentemente dalla nazionalità. Senza dire nulla al suo allenatore, Mohammed Issa, si è presentato al provino dell’Hapoel Haifa, ottenendo un contratto immediato. Certo, Khatib non è uno sconosciuto e sembrerebbe essere davvero molto bravo. Avrà però ottenuto l’ingaggio immediato solo per la sua bravura o anche per indebolire il Jabal Mukaber e togliere al campionato palestinese uno dei suoi attori principali? Sono davvero in tanti a chiederselo in Palestina, visto che tutti impazziscono per il calcio e la sorte dei calciatori è importante quasi quanto la nascita di un vero Stato palestinese. Mister Issa, non appena saputo del “furto”, ha immediatamente annunciato che farà ricorso alla Fifa perché Khatib avrebbe un contratto legalmente vincolante. “Presenterò un reclamo – ha detto, furibondo –, proprio per il fatto che non ci sono rapporti ufficiali tra le associazioni di calcio israeliana e palestinese non significa che le squadre israeliane possono portarci via i giocatori”. L’Hapoel Haifa ha ribadito che Khatib non è sotto contratto ed è quindi libero di muoversi. E Khatib, cosa ha replicato, dopo essersi accorto di aver combinato un guaio, non solo di natura sportiva? Ha fatto un’azione che ha spiazzato tutti, da vero fuoriclasse: ha rivelato candidamente di essere ancora registrato con la sua ex squadra israeliana, l’Hapoel Shfaram. La smentita del coach palestinese però è stata immediata: “Questo è semplicemente non vero. Abbiamo ingaggiato Khatib regolarmente, gli paghiamo uno stipendio e l’affitto. Gli accordi sono chiari. Lui è quindi un nostro giocatore e non può decidere da solo di andarsene”. Chi uscirà vincitore da questa battaglia non è ancora possibile saperlo, il dibattito però è molto acceso e i siti israeliani e palestinesi aggiornano senza sosta i commenti dei tifosi di entrambe le squadre che non vogliono rinunciare a far valere le proprie ragioni. Un po’ come è avvenuto ad Amman dove ieri si è tenuto l'ultimo incontro tra i negoziatori israeliani e palestinesi per cercare di mettere a punto un’agenda che porti alla ripresa dei negoziati di pace diretti, interrotti dal settembre 2010. Dopo tre riunioni, l’Autorità nazionale palestinese ha sentenziato che sono “chiusi”: i negoziatori Saeb Erekat e Yitzhak Molcho, con il sostegno della Giordania e del Quartetto (Usa, Russia, Ue, Onu) hanno cercato di porre le basi per la riapertura del processo di pace ma non hanno trovato un terreno comune. Il sovrano giordano Abdallah, uno dei primi e più forti alleati arabi di Israele, per la prima volta ha minacciato ritorsioni nei confronti di Israele mentre il presidente dell’Anp Abu Mazen ha sottolineato che un’ipotetica “estensione” dell’iniziativa giordana è rinviata a questo punto a consultazioni con la Lega Araba, in programma entro fine mese. Mentre nelle strade di Ramallah, la capitale amministrativa dell’Anp, centinaia di persone si sono radunate non per una delle abituali manifestazioni contro l’occupazione israeliana, ma per denunciare l’aumento delle tasse. I problemi della vita quotidiana superano i massimi sistemi. -
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Il colpo di genio della Redazione del Blog di JUVENTINOVERO.COM 25-01-2012 video di antocon Ovviamente il titolo non si riferisce al bellissimo gol di Alessandro Del Piero, con il video riportato (realizzato da un tifoso presente in curva) che testimonia l'esultanza di tutto lo stadio. Si riferisce bensì a un episodio non mostrato dalle telecamere della Rai durante la diretta della partita, impegnate come erano a seguire i festeggiamenti dei giocatori. Chi ha visto la partita in TV (come noi, purtroppo) ha notato, poco dopo il gol, solerti proteste da parte dei giocatori romanisti, pensando che riguardassero una presunta posizione di fuorigioco di Borriello (che poi le immagini hanno dimostrato non esserci, con buona pace di Civoli, Cerqueti e compagnia rosicante). Tutto sommato ci potevano stare, anche se sono sembrate esageratamente prolungate, la posizione dell'attaccante era dubbia e si sa come funziona in campo: più si protesta meglio è, soprattutto quando si gioca contro una certa squadra. Ma... quando chi era allo stadio ci ha spiegato come in realtà erano andate le cose abbiamo stentato a crederci, e abbiamo avuto una reazione tra il divertito e lo sconfortato. Nelle immagini, se pur di qualità non certo professionale, si nota infatti che, mentre i giocatori della Juventus stanno riprendendo posizione nella propria metà campo, i giallorossi battono in fretta e furia il calcio d'inizio di loro iniziativa, Totti fa qualche metro palla al piede e calcia la palla verso la porta sguarnita, tra l'altro prendendo in pieno il palo. Seguono quindi le proteste. Rimane da capire dove volessero arrivare i giallorossi dato che l'arbitro Banti, che ne ha fatte di tutti i colori durante la partita, per fortuna ha avuto la dignità di non cascare in questa pantomima fermando i giocatori, visto che evidentemente non aveva fischiato la ripresa del gioco come previsto dal regolamento. Provarci ci può anche stare, magari per disperazione, anche se scadendo in una situazione abbastanza grottesca per non dire patetica, ma anche le proteste vibrate ci volevano? Dunque ci rivolgiamo ai lettori per la risoluzione di questo mistero: Totti e compagni per cosa hanno protestato? Per la dimensione irregolare delle porte del nuovo stadio bianconero, che non ha permesso "ar pupone" di mettere il pallone in porta almeno per finta? Per la deviazione della palla dovuta al "vento del nord", con conseguente figuraccia "der capitano"? Per la mancata revisione al regolamento durante la partita, come ai bei tempi di Nakata, con conseguente convalida postuma del gol (ma si è almeno accorto di aver preso il palo a porta vuota?) Volevano l'assegnazione morale del gol perché, anche se sul palo e a gioco fermo, il tiro era bello e andava premiato? Perché dopo "er gò de Turone", "er controfallo de Cicinho", ed "er guanto de non zo più chi", volevano a tutti i costi anche "er palo der Pupone"? Per solidarietà con le proteste dei camionisti? A questo punto "voglio sentire Lollobrigida" (cit.) -
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Pubblicata la relazione comparativa licenze per club La quarta relazione comparativa UEFA sulle licenze per club europee arriva in contemporanea con l'implementazione delle prime misure di fair play finanziario volte a garantire la stabilità economica del calcio europeo. di UEFA News Mercoledì, 25 gennaio 2012, 14.10CET La UEFA ha rilasciato la sua quarta relazione comparativa sulle licenze per club europee, che prende in esame i risultati finanziari di oltre 650 club di massima divisione delle 53 federazioni nazionali affiliate alla UEFA. Lo Scenario sul Calcio Europeo di Club è un documento di 124 pagine pubblicato in quattro lingue – Inglese, Francese, Tedesco e, a partire dall'inizio di febbraio, Russo. La relazione arriva in un momento cruciale, in contemporanea con le prime misure di fair play finanziario introdotte dalla UEFA per arginare i problemi di natura economica che affliggono il calcio di club in Europa La Relazione Comparativa Licenze per Club UEFA per l'Anno Finanziario 2010, la più ampia nel suo genere, prende in analisi i dati finanziari di 665 club, ovvero il 90% di quelli che militano nei campionati di prima divisione. Le informazioni finanziarie sono state prelevate direttamente dai bilanci certificati inviati dai club come parte dei requisiti necessari per aderire al programma di licenze. La relazione è centrata su temi squisitamente economici, ma analizza anche altri aspetti rilevanti del calcio europeo, prendendo in esame il periodo che termina con la conclusione dei campionati nazionali 2010/11, e include una sezione dedicata ai giocatori cresciuti nei vivai, oltre ai profili di 535 allenatori di squadre che militano nei massimi campionati. Sono inoltre stati presi in esame i trend di affluenza negli stadi, i livelli di utilizzo degli impianti, i trend legati ai coefficienti nazionali, le strutture dei campionati nazionali e i risultati del programma di licenze per club. La relazione adotta uno stile visivo molto chiaro, utilizzando numerosi grafici e adottanto la formula domanda e risposta. Ad esempio, una delle domande presenti riguarda la durata media della permanenza di un tecnico (capo allenatore) sulla panchina di un club di massima divisione. Prendendo in esame oltre 500 club si evince che oltre la metà dei tecnici impegnati nei massimi campionati sono rimasti in carica per meno di 12 mesi e che la media di "sopravvivenza" è di circa 17 mesi. Un'altra domanda ha come tema l'impatto sui club del regolamento UEFA sui giocatori cresciuti nei vivai e le analisi dimostrano come sia aumentato l'utilizzo di giocatori delle giovanili e Under 21 in UEFA Champions League. La seconda parte della relazione analizza in dettaglio la situazione finanziaria dei club a livello europeo, nazionale e individuale, oltre ad esaminare i dati economici delle società impegnate nelle competizioni UEFA per club. Dai numeri si evince che, nonostante la persistente crisi economica, le entrate del calcio continuano a salire: nel 2010 le entrate complessive dei club delle massime divisioni sono cresciute del 6,6%, toccando la cifra record di 12,8 miliardi di euro. Questa tendenza positiva non è prerogativa solo dei principali campionati nazionali europei: negli ultimi cinque anni il tasso di crescita delle entrate del calcio ha superato quello del Prodotto Interno Lordo in 49 dei 53 paesi le cui federazioni sono affiliate alla UEFA. Tuttavia, a dispetto delle cifre sopraccitate, i segnali di difficoltà finanziarie non mancano: l'aumento delle entrate va di pari passo con il record negativo di perdite nette aggregate per una cifra pari a 1.641.000.000 euro, con un aumento del 36% rispetto all'anno finanziario conclusosi nel 2009. Come spesso accade in questi casi, i dati più significativi si ricavano dai dettagli e ad un'analisi approfondita dei rendiconti finanziari - estranea ai più in gran parte delle occasioni - si evince che l'aumento delle perdite è dovuto quasi esclusivamente alla riduzione dei profitti derivanti dai trasferimenti a causa di un decremento dell'attività di mercato nel 2010, e non all'aumento di perdite operative: per la prima volta da diversi anni, infatti, la spesa media per coprire il monte ingaggi (indicatore chiave per il calcio di club) si è assestato al 64% delle entrate. Mentre il risultato è stato perciò simile a quello del 2009 e molti club hanno riportato buoni risultati finanziari, resta il fatto che metà dei maggiori club europei hanno riportato perdite, e, fatto più preoccupante, il 29% ha riportato perdite significative equivalenti a una spesa di €12 per ogni €10 di entrate. La proporzione di club che riportano perdite sale al 75% quando si tengono in considerazione solo i club più grandi (quelli con fatturato superiore a €50m). A controbilanciare in parte le cattive notizie, c'è il dato secondo il quale i club hanno fatto fonte alle perdite combinate di 4 miliardi di euro negli ultimi cinque anni grazie all'iniezione di capitali da parte di proprietari e benefattori per un totale di 3,4 miliardi di euro. Contesualizzando il dato, si sono registrate perdite nette per oltre 600 milioni di euro in un periodo che ha segnato una crescita significativa delle entrate. L’attuale situazione economica rappresenta una sfida per i club in tutta Europa e solo due dei 20 maggiori campionati hanno chiuso in pareggio. La situazione è ancora peggiore nelle zone più basse della piramide calcistica, dove il rischio di insolvenza e bancarotta è molto più elevato rispetto a quello dei campionati maggiori. In questo contesto, sottolinea la relazione, l’implementazione del nuovo Regolamento sulle Licenze UEFA per Club e sul Fair Play Finanziario ha l'obiettivo di incoraggiare i club a gestire meglio le loro finanze e i movimenti di cassa e a ottenere un equilibrio sostenibile tra entrate, spese e investimenti. Secondo la relazione, se le nuove regole sul pareggio in bilancio venissero applicate oggi diversi club non riuscirebbero a stare al passo e club di 22 paesi dovrebbero ricapitalizzare per pareggiare perdite "medie" (perdite entro "un limite accettabile" secondo il fair play finanziario). Anche se la simulazione finanziaria della relazione copre un periodo precedente alla nuova disposizione sul pareggio in bilancio, non ci sono dubbi sul fatto che diversi club debbano iniziare ad adattarsi oggi per prepararsi al domani. L'implementazione delle nuove regole, conclude la relazione, sarà una sfida per numerosi club che dovranno mettere ordine nelle loro finanze. L'organo di governo del calcio europeo, però, crede che un trattamento sistematico degli attuali problemi sia l'unico modo per garantire competizioni eque, oltre alla disciplina finanziaria e alla stabilità a lungo termine. -
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LETTERA AL RISPARMIATORE RCS: L'IMPAIRMENT I conti 2011 affrontano la prova di tenuta delle attività spagnole La holding iberica ha 1,2 miliardi di «intangibles», i due terzi di tutti gli asset immateriali del gruppo di ANTONELLA OLIVIERI (Il Sole 24 Ore 22-01-2012) Inutile guardare alla Borsa. Non è un metro affidabile per prendere le misure a Rcs: con l'accaparramento delle azioni, dentro e fuori patto, gli scambi sono ormai ridotti a meno di 100mila euro a seduta. Senza infamia nè lode, il titolo non si è sottratto alla generale ondata di ribassi, ma ha comunque resistito meglio del settore, cedendo nel 2011 il 34% contro il quasi 50% dell'indice dei media. Di argomenti per movimentare la scena ce ne sarebbero però parecchi. Nei prossimi mesi la casa che, tra l'altro, edita il Corriere della Sera e i suoi azionisti avranno più di un nodo da sciogliere. A partire dalle attività spagnole, sulle quali incombe la minaccia di una pesante svalutazione. Una vera spada di Damocle perchè la holding iberica Unidad Editorial, sul totale di 1,4 miliardi di attività, a fine 2010, aveva in pancia i due terzi di tutti gli intangibles del gruppo, per la bellezza di 1.193,4 milioni, di cui 641 milioni relativi al goodwill di Recoletos e altri 420 milioni, del prezzo pagato per l'acquisizione, attribuiti al valore delle testate in portafoglio, mentre 110 sono l'avviamento di El Mundo che era preesistente. Finora l'impairment è sempre filato liscio, ma per continuare a sostenerne il valore la provincia iberica dovrebbe essere in grado di espandere i ricavi al ritmo del 6,2% all'anno almeno fino al 2015. I primi nove mesi del 2011 non confortano le rosee aspettative. Madrid è stata investita in pieno dalla crisi del debito sovrano, la disoccupazione è salita alle stelle (uno su cinque è senza lavoro) e le entrate del gruppo in Spagna si sono inevitabilmente contratte, calando dell'8% ai 360, 8 milioni di fine settembre rispetto ai 392 milioni dello stesso periodo dell'anno prima. La pubblicità, nella media dei nove mesi evidenzia una flessione limitata al 2% a 152 milioni, ma se nel primo trimestre si festeggiava ancora la crescita con un +8%, nel terzo si apriva una falla da -13%. Contraccolpo dovuto anche al venir meno degli accordi di raccolta pubblicitaria con Antena 3 per il canale tv Veo 7 (1% di share). I ricavi diffusionali hanno sofferto (-9% a 164 milioni), ma i collaterali sono proprio spariti con un crollo del 65% a 6 milioni. Ai multipli di Borsa (si può prendere a riferimento l'Ev/Ebitda di Prisa, pari a 7 volte sulle stime 2012), il complesso delle attività spagnole non arriverebbe a 300 milioni. Insomma, l'impairment test, il cui esito sarà noto in tempo per il cda del 20 febbraio, questa volta non sarà una passeggiata. Comunque vadano le cose, l'aumento di capitale non sarà però una conseguenza automatica. Il codice civile imporrebbe l'abbattimento del capitale e la sua eventuale ricostituzione solo se le perdite superassero un terzo del capitale sociale, vale a dire se il rosso oltrepassasse i 254 milioni. Ma Rcs, alla bisogna, ha comunque da sfruttare quasi 300 milioni di riserve per utili riportati a nuovo. La possibile cessione di Flammarion non servirebbe certo a compensare a ritroso la possibile svalutazione degli asset spagnoli, ammesso che si produca una plusvalenza, ma semmai a fare cassa. Flammarion, quarto gruppo editoriale transalpino, con una serie di titoli ben azzeccati, nel 2010 era arrivata a un soffio dal terzo competitor su piazza con una quota di mercato del 5, 9%, inferiore appena dello 0,1%. Ma nel 2011 non è andata altrettanto bene: la quota è scesa al 5,3% e con essa l'Ebitda. Gallimard la vuole (ma ci sarebbe anche un'altra offerta) e il board presieduto da Piergaetano Marchetti alla fine ha deciso di "vedere". La casa francese, pagata 300 miliardi di vecchie lire nel 2000, ha attaccato valori immateriali per quasi 100 milioni. Fare cassa per cosa? In realtà, il vero problema delle attività spagnole è il debito collegato. Per finanziare l'acquisizione di Recoletos nel 2007, Rcs si è ritrovata a superare stabilmente il miliardo di esposizione. Cosa che ne ha indebolito la struttura patrimoniale, tanto che il capitale netto tangibile, pari a quasi due volte e mezzo l'ammontare dei debiti nel 2006, l'anno dopo era già negativo. Secondo gli analisti servirebbe un'iniezione di mezzi freschi dell'ordine di mezzo miliardo per dimezzare il rapporto indebitamento netto/Ebitda che oggi sfiora le 6 volte. Ma è un esercizio teorico, perchè vorrebbe dire imbarcarsi in un'operazione che vale quanto l'intera capitalizzazione di Borsa. La società, poi, ha ancora accesso a 1, 7 miliardi di linee di credito, senza covenants e a tassi bassissimi (3% il costo medio del debito nel 2010), che non conviene estinguere anticipatamente. A fine 2013, però, circa un miliardo di questi finanziamenti andrà in naturale scadenza, proprio quando ci sarà da rinnovare il patto, valido fino al 14 marzo 2014 ma disdettabile entro il 14 settembre 2013. Ci sarà modo allora di verificare chi tra i soci stabili è disposto a scommettere sul futuro di Rcs. Se ce ne sarà bisogno, investendoci ancora. Per ora l'argomento, dal gruppo guidato da Antonello Perricone, è stato accantonato. Del resto fare oggi la conta di chi sarebbe disposto a metter mano al portafoglio avrebbe l'effetto di rimettere in discussione anzitempo gli equilibri: ci sarà già probabilmente da riassorbire la quota del 5,26% che i Ligresti abbandoneranno con FonSai. Per contro si perderà però, almeno per ora, l'occasione di ridare significatività alla quotazione con un'operazione che avrebbe potuto contribuire a diluire un azionariato che, dentro e fuori il sindacato, immobilizza quasi il 90% del capitale. Domande & risposte 1 Quando sono state rilevate le attività spagnole di Rcs? Rcs era già in Spagna con El Mundo, secondo quotidiano del Paese, quando nel 2007 è stata acquisita Recoletos, presente nei quotidiani, con il giornale sportivo Marca e l'economico Expansion, nei periodici, nella radiofonia, nella tv (Veo) e Internet. Recoletos era stata valutata 1, 1 miliardi, includendo l'indebitamento netto di 272 milioni. Per l'acquisizione, Rcs aveva fatto ricorso anche finanziamenti, che hanno portato da allora il livello dei debiti complessivi stabilmente sopra il miliardo. A fine 2006 la posizione finanziaria netta di Rcs era addirittura in attivo per qualche milione. 2 Come sono andati i conti dei primi nove mesi 2011? A fine settembre i ricavi consolidati di Rcs ammontavano a 1.511,9 milioni che si confrontano con i 1.644,7 milioni dello stesso periodo 2010, e i 1. 554, 1 a perimetro omogeneo – a gennaio era stata ceduta Ge Fabbri (ricavi per 62, 9 milioni, Ebitda di 5,2 milioni) e a dicembre 2010 Delagrave (ricavi per 3, 3 milioni e Ebitda negativo per 0,3 milioni) – mentre l'Ebitda si attestava a 82, 7 milioni in calo dai 124, 1 dell'anno prima (115, 7 milioni a perimetro omogeneo). L'indebitamento netto si è attestato a 981,7 milioni, poco variato dai 970,8 milioni al 30 settembre 2010. I primi nove mesi si sono chiusi con una perdita di 25,5 milioni, rispetto a un utile di 0, 7 milioni nello stesso periodo precedente. In particolare ha pesato l'andamento di Unidad Editorial, holding iberica del gruppo, che ha riportato ricavi in calo dell'8% a 360, 8 milioni e un Ebitda sceso a 2, 2 milioni. Il management ha predisposto un ulteriore piano di interventi, con benefici stimati in un centinaio di milioni rispetto alle ipotesi del piano 2011-2013. Nel 2009 era stato varato un programma di taglio costi per 200 milioni, già superato a 247 milioni alla fine di settembre. 3 Come è composto l'azionariato? Rcs è governata da un patto che vincola il 63,54% del capitale, anche se agli azionisti del sindacato è riferibile in tutto il 65, 68% del capitale. All'interno della compagine, il maggior singolo azionista è Mediobanca con il 13,7% vincolato, davanti a Fiat che detiene il 10,3%. Del patto, con una quota importante – il 5,26% – fa parte anche FonSai, prossima a passare sotto le insegne di Unipol. Con l'uscita della famiglia Ligresti, la quota in Rcs della compagnia potrebbe essere distribuita all'interno del patto, di cui fanno parte anche Pesenti, Della Valle, Pirelli, Intesa, Generali, Lucchini, Mittel, Bertazzoni ed Edison. L'accordo scade il 14 marzo 2014 ed è automaticamente rinnovabile per un altro triennio, salvo recesso entro il 14 settembre 2013. Fuori dal patto, l'imprenditore della sanità Giuseppe Rotelli detiene circa l'11% dei diritti di voto, mentre Benetton e Toti hanno un altro 5% ciascuno. -
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Rcs vende il palazzo di «Corriere» e «Ġazzetta» di NINO SUNSERI (Libero 25-01-2012) Il supermercato di via Solferino ha aperto ufficialmente i battenti esponendo uno dei gioielli più preziosi. Vale a dire lo stesso palazzo che ospita Corriere e giornalaccio rosa. A dare l’annuncio è il sindacato interno. Un comunicato di protesta in cui mette le mani avanti chiedendo all’azienda di rinunciare immediatamente al progetto. Il piano prevede di lasciare nella sede storica di via Solferino solo Ferruccio De Bortoli e la sua redazione. Tutto il resto compresa la giornalaccio rosa e i poligrafici verrebbe trasferito nel palazzo di via Rizzoli, alla periferia di Milano. Gli uffici ospitano tradizionalmente la divisione periodici. Di recente si sono aggiunti gli uffici di Rcs Mediagroup (il trasloco è costato sette milioni avvertono i sindacati). Il palazzo di via Solferino, (quattrocentomila mq in pieno centro) svuotato quasi per intero, potrebbe essere venduto o messo a reddito. La vendita della sede è un classico per i momenti di difficoltà della casa editrice milanese. Già trent’anni fa era stato posto sul mercato per tamponare le urgenze. Erano i giorni bui di Angello Rizzoli, Bruno Tassan Din e della P2. Ad acquistare l’Eurogest di Paolo Federici, uno dei maghi della finanza “atipica” di quel periodo. Il Corriere era riuscito a riprenderne possesso solo nel 2003 rilevandolo da un fondo immobiliare di proprietà di Pirelli e Morgan Stanley. Ora torna sul mercato con una valorizzazione che dovrebbe aggirarsi sui 2-300 milioni. Una boccata d’ossigeno in vista di sacrifici ben più corposi. Fra una settimana cesserà la free press City chiudendo una piccola fonte di perdita (circa 1,5 milioni l’anno). Ma il peggio deve ancora arrivare. -
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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 25-01-2012) Basta 'ergastolo sportivo' Adesso tocca al Parlamento Addio tessera del tifoso (vedi Spy Calcio del 23 gennaio). Sicuramente una buona notizia, perché adesso è cambiato, sta cambiando, il vento: non c'è più il ministro Roberto Maroni. L'attuale n.1 del Viminale, Anna Maria Cancellieri, sta pensando, con il capo della polizia, Antonio Manganelli, e i vertici dell'Osservatorio (Roberto Sgalla e Roberto Massucci) di cancellare la parola "tessera del tifoso", che in questi due anni di vita ha raccolto molte critiche. Vero che oltre 800.000 tifosi hanno dovuto prenderla, ma lo hanno fatto, ricordiamolo, solo per l'amore che hanno per la loro squadra e per poter seguire le partite dal vivo (e non dalla tv...). Ora si cambia: non ci sarà più l'abbinamento tessera tifoso-abbonamento, e si sta studiando qualcosa per le trasferte, dove ormai vanno in pochi perché sono diventate un percorso ad ostacoli. Un (piccolo) suggerimento al ministro: ascolti anche la voce dei tifosi, faccia quello che Maroni non ha mai voluto o saputo fare. Da un governo tecnico, e non più politico, ci sono davvero speranze che non ci sia più prevenzioni, tantomeno ostilità verso gli ultrà. E' ora di finirla, e di cambiare rotta. I club dovrebbero fare la loro parte, cosa che (raramente) hanno fatto. La tessera del tifoso deve andare in soffitta: gli stadi piano piano devono tornare ad essere luoghi di civiltà, di allegria, di folclore, di sfottò. Con le bandiere, gli striscioni (civili). L'aspetto che meno è piaciuto ai tifosi della (famigerata) tessera è stato l'articolo 9 delle legge 4 aprile 2007, quello che prevede, come ci ha spiegato l'avvocato Lorenzo Contucci, "che non possano avere titoli di accesso, e quindi tessere del tifoso, coloro che sono stati sottoposti a provvedimento Daspo (e quindi in ogni epoca) e che siano stati condannati per reati da stadio (e quindi in ogni epoca)". L'Osservatorio è favorevole a modificare questa norma, e ha limitato, almeno in piccola parte, la portata assurda, limitandoli agli ultimi cinque anni. Ma non ha lo stesso alcun senso: in curva (e in tribuna vip.. . ) possono sedere tranquillamente dei pregiudicati per reati non da stadio (ma sicuramente molto più gravi) e non, magari, un ragazzino che cinque fa ha acceso un fumogeno. Ha sbagliato? D'accordo, ma non condanniamolo ad un "ergastolo sportivo". Ci vuole poche per riparare questo errore: basta andare in Parlamento e sostituire il comma 1 dell'art.9 in questa maniera: "è fatto divieto alle società organizzatrici di competizioni riguardanti il gioco del calcio, responsabili della emissione, distribuzione, vendita e cessione dei titoli di accesso, di cui al decreto ministeriale 6 giugno 2005 del Ministero dell'Interno, pubblicato nella Ġazzetta Ufficiale n. 150 del 30 giugno 2005, di emettere, vendere o distribuire titoli di accesso o "tessere del tifoso" a soggetti che siano in atto destinatari di provvedimenti di cui all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989 n. 401, ovvero a soggetti che siano stati, comunque, condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, fino al completamento dei cinque anni successivi alla data della condanna e che non abbiano già scontato, anche parzialmente, per lo stesso episodio la misura inflitta con provvedimenti di cui al citato articolo 6 della legge 401/1989". Chi ha scontato, deve poter tornare allo stadio. Forza, politici: datevi da fare. Basta poco. E bisogna fare in fretta prima che torni, il prossimo anno, un governo politico (di qualsiasi colore sia). E i tifosi, ripeto, facciano sentire adesso la loro voce. "E' una battaglia che dobbiamo, vogliamo assolutamente vincere", ripete Contucci, convinto anche lui che questo sia davvero il momento giusto. -
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CALCIO & EROS L’infortunio di Boateng. Le rivelazioni (poi smentite) della fidanzata Melissa Satta: la questione è aperta Il sesso fa male ai muscoli Ci si infortuna anche in camera da letto? Così hanno risposto tre uomini di calcio di FURIO ZARA (CorSport 25-01-2012) La storia del calcio è un eterno e mai riuscito dribbling attorno alla camera da letto: occhio a non pestare le tradizioni secolari e la biancheria intima abbandonata per terra. Finché succede un imprevisto e allora alziamo tutti lo sguardo dal buco della serratura e scopriamo che - forse - una fidanzata può essere più pericolosa di un terzino carogna. Ahia, e non era nemmeno entrata in tackle. La notizia di questi giorni è la rivelazione - poi smentita - fatta da Melissa Satta, fidanzata di Kevin Prince Boateng, a Vanity Fair e ripresa dal quotidiano spagnolo Marca. Brutalmente, o anche o, dipende dai punti di vista: il Boa non ha retto le maratone della Satta, almeno sette e fino a dieci volte alla settimana, e alla fine è caduto, come corpo morto cadde. Infortunato: muscoli flessori della coscia. Stop, fine delle trasmissioni. Anzi, no. Si è scatenato l’inferno di supposizioni e ironie, peraltro confortate dalla tempestiva uscita della ragazza. E dunque: è stato l’eccesso di sesso la causa dell’infortunio? Forse sì, forse no. Forse è stata una trovata pubblicitaria, forse un equivoco. Al di là della smentita della showgirl, resta una domanda di fondo: il sesso fa male ai muscoli di un atleta? Se provi la semirovesciata tra i cuscini o sperimenti posizioni snodabili che neppure una ballerina indiavolata del Bolshoi, non è che alla fine ti strappi? Messa così sembra una di quelle questioni su cui si discuterà fino ai supplementari, recupero incluso. Del tipo: è inutile curare i denti da latte, tanto cadono. Sarà vero? Oppure: chi cena a tarda sera ingrassa di più. Fattene una ragione oppure blinda il frigo. O anche: la caffeina fa bene o no? Si apra il dibattito decaffeinato. Quello che ci interessa, invece, è cercare di alzare un altro velo sullo strato di ipocrisia che copre la questione legata all’attività sessuale del calciatore. Abbiamo chiesto - nelle interviste che potete leggere sotto - ad un allenatore (Gigi Cagni), ad un ex campione (Stefano Tacconi) e ad un medico sociale (Giovanbattista Sisca del Bologna), di affrontare la questione dal loro punto di vista. Da quello che ne è emerso è che non c’è una verità definitiva, tutt’altro. A noi basti sapere che, oltre il rischio infortunio sul lavoro, esiste pure il rischio infortunio a letto, stiramento più stiramento meno. Non è una novità. Nel nostro calcio è sempre successo: fin da quando le donne avevano la coda, i buoni allenatori preferivano il centravanti sposato perché rendeva meglio negli ultimi sedici metri, l’odore di olio canforato si mescolava allo Chanel n.5, faceva buio presto ed era bello - chiedetelo ai mediani mandrilli degli anni ‘70 e ‘80 - chiudersi in camera da letto e provare di tutto, fuorché la simulazione. Viviamo in altri tempi, qui dove la privacy di un qualsiasi esterno di serie B viene spiattellata in rete. Matteo Ferrari, quando stava con la soubrette Ayda Yespica, confessò la sua media: « Se capita anche quattro volte al giorno ». Se capita, ovviamente. Antonio Cassano nella sua biografia ha svelato di aver avuto tra le seicento e le settecento amanti, calcolate per difetto. Fernando Gago, così narrano le cronache, ha fatto i salti con la sua compagna, Pia Martinez, nello spogliatoio dello Stadio Monumental, dopo un Argentina-Colombia. I numeri da circo di Cristiano Ronaldo, dell’altro Fenomeno, Ronaldo quello vero, e di Maradona, per dire di tre campioni, sono record omologati dalla Fifa. Insomma, vale tutto, perché quando anche il Kamasutra sdoganerà il 4-3-1-2 potremmo dire di essere entrati ufficialmente in un’altra era, o in un altro campionato. Resta il fatto che infortunarsi ai muscoli della coscia facendo le acrobazie a letto è appena più divertente che farlo sulla trequarti, mentre un terzino in attesa di giudizio sta per entrare in spaccata. L’unica consolazione è che puoi chiamare il massaggiatore, nell’altro caso meglio stare zitti. ___ L’ALLENATORE: CAGNI «Ai giocatori dico sempre: voi state sotto si rischia meno l’infortunio...» «I centrocampisti usano di più i flessori per loro è pericoloso: meglio i difensori...» di FURIO ZARA (CorSport 25-01-2012) «Ai miei giocatori dico: comunque state sotto» E nessuno dica sotto la linea della palla. «Sotto si rischia meno l’infortunio» E’ una tattica anche questa. Comunque: Gigi Cagni, allora è vero: può essere stata la Satta a spingere Boateng verso l’infortunio? «Certo. Il calcio è uno sport fisico, bisogna fare attenzione con i propri muscoli. I flessori poi...» Bisognava dirlo a Boateng. «Ha una muscolatura particolare, lo vedete no? Grande forza esplosiva, grande agilità. E’ più soggetto ad un certo tipo di infortunio. E poi conta anche il ruolo...» No. Non dica così. «Sì, a centrocampo usi di più i flessori, in difesa per esempio meno» I terzini a letto possono fare acrobazie che manco Tarzan. «I difensori devono stare attenti ai quadricipiti...Dai che scherzo, in realtà ai miei tempi era diverso» Cioè? «Io lo facevo solo di lunedì» Che allegria: il giorno di riposo dei barbieri. «Eh, eravamo fatti così, ligi alle regole. Ora si gioca ogni tre giorni, è un calcio molto più fisico e violento. Intendiamoci: far l’amore fa bene ed è bellissimo, ma bisogna darsi delle regole» Quelle che lei dà ai giocatori quali sono? «Mai la sera dopo la partita, e mai il martedì e il mercoledì: sono i giorni in cui li faccio lavorare di più. E sappiamo tutti che la cosa più importante per un atleta è il recupero» Messa così sembra un sudoku. C’è tempo per divertirsi? «Ma certo, tutti gli altri giorni. Ma ogni giorno no, dai, per un atleta è uno sforzo fisico e mentale che poi è difficile recuperare in fretta». ___ L’EX CAMPIONE: TACCONI «Sesso a go go è la mia regola Nell’85 a Tokyo geishe alla vigilia e due rigori parati» «Io a letto non mi sono mai infortunato: e dire che mi sono sempre divertito...» di FURIO ZARA (CorSport 25-01-2012) «Sesso a go go» Prego? «Massì, i calciatori possono fare tranquillamente sesso a go go. Boateng e la Satta? Bravi» Tutti in piedi per l’applauso. «Io a letto non mi sono mai infortunato. E sì che mi sono divertito parecchio...» Stefano Tacconi, lei giocava in porta. Lì si suda meno. «E’ un fattore psicologico. I muscoli non c’entrano. Te lo ricordi Pacione?» Marco Pacione, centravanti anni ‘80. «Io ho in mente questa scena: alla fine di Juventus-Barcellona di Coppa Campioni torniamo negli spogliatoi e Pacione è distrutto. Gli era andato tutto storto, aveva sbagliato un paio di gol clamorosi» Ok, ma che c’entra col sesso? «Aspetta. Pacione era affranto, me lo ricordo bene, ripeteva a noi compagni che era colpa del fatto che la sera prima aveva fatto sesso. Ne era convinto, si sentiva in colpa. Ma dai....» Ma dai. «Io ho fatto l’amore anche il giorno prima» Si chiama riscaldamento. «Allora, Coppa Intercontinentale del 1985, siamo a Tokyo» Bella città. «Lascia perdere. Ti dico questo: io e un mio compagno il giorno della vigilia l’abbiamo passato con due geishe. Ce le hai presente due geishe?» Le ho viste sulle figurine. «Giornata fantastica. Ti ricordi chi ha vinto quella volta?» Juventus-Argentinos Juniors 2-2 dopo i tempi supplementari. Partita epocale: alla fine vince la Juve ai rigori. «Sai quanti ne ho parati? Due» Il guizzo del campione. «Ero bello carico, altroché..» ___ IL MEDICO SPORTIVO: SISCA «Equilibrio e buonsenso Un consiglio? Mai a ridosso della partita» «Nessuna tabella per i giocatori. Ognuno dovrebbe saper gestire il proprio corpo» di FURIO ZARA (CorSport 25-01-2012) «Equilibrio e buonsenso. Il codice di autoregolamentazione che ogni atleta deve avere prevede soprattutto questo» Così affronta la questione Giovanbattista Sisca, 48 anni, medico sociale del Bologna da tredici stagioni, le ultime dieci passate in panchina Dottor Sisca: le maratone a letto di Boateng ci suggeriscono che il sesso può fare male ai muscoli. «Io non do giudizi sulle abitudini e i costumi dei giocatori» Certo è che rischiano di infortunarsi. «Diciamo questo: un’attività fisica intensa come quella sessuale a ridosso di una attività agonistica è da sconsigliare» Perché? «Da un lato c’è un appagamento fisico e dall’altro un dispendio di energie anche dal punto di vista mentale che possono essere penalizzanti» Lei è il suo staff medico preparate tabelle specifiche per i giocatori? «No. Consigliamo una vita regolata. Il che non vuol dire monastica, ci mancherebbe...» E’ mai venuto da lei un giocatore a dirle: mi sono stirato perché facevo le acrobazie a letto? «No, non ho mai trattato infortuni da mettere in relazione diretta con l’attività sessuale» O magari quella era la natura dell’infortunio e le è stato tenuto nascosto. «Beh, sì, può essere capitato» L’esperienza maturata in questi anni cosa le suggerisce? «Che ogni atleta dovrebbe riuscire a gestire il proprio corpo e la propria mente. Talvolta succede, altre volte no. I casi di attività agonistica più longeva testimoniano una sana gestione di se stessi» -
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L’inchiesta: lo sport al tempo della crisi (1a puntata) La recessione mette in fuga gli sponsor -25% negli ultimi 3 anni StageUp prevede un calo del 5% nel 2012. La Serie A di calcio fa eccezione, bene golf e vela. «Resiste chi si rivolge all'estero» Inizia oggi la nostra inchiesta a puntate che cercherà di spiegare quali effetti sta avendo la crisi economica sullo sport italiano, il cui giro d'affari rappresenta il 3% del Pil del nostro Paese, pari a circa 50 miliardi di euro. di MARCO IARIA (GaSport 25-01-2012) L'economia è in ginocchio, anche lo sport se n'è accorto. Ma, come nella scala sociale, la piramide restituisce istantanee variopinte: il vertice continua a vivere beatamente, mentre tutto il resto annaspa. Più sei in basso, più ti esponi allo tsunami della crisi: tagli, ridimensionamenti, fino a quando la saracinesca si abbassa con su scritto «game over». Prendete il comparto delle sponsorizzazioni, che rappresentano mediamente un terzo della fetta del fatturato. Quindi ossigeno puro. Secondo l'indagine predittiva di StageUp, che siamo in grado di anticiparvi, i numeri parlano in modo eloquente: tra il 2008 e il 2011 la contrazione degli investimenti è stata del 25,4%, con le entrate scese da 1. 147 a 856 milioni, praticamente al livello degli Anni 90. E non finisce qui perché le previsioni per il 2012, stimate dalla società di ricerca e consulenza nello sport business in collaborazione con Ipsos, segnalano un ulteriore calo del 5, 2% per l'anno in corso: altri 45 milioni in fumo nonostante l'accoppiata Olimpiade-Europeo di calcio. «Il mercato — spiega Giovanni Palazzi, presidente di StageUp — sta avvertendo molto fortemente la congiuntura negativa. In tempi di crisi le attività di comunicazione sono tra le prime a essere colpite. Inoltre, in questo comparto si genera una maggiore concorrenzialità e i prezzi dei contratti scendono. A differenza della pubblicità, la sponsorizzazione implica un investimento a prescindere per uno o più anni e, in una fase di sfiducia, le aziende ci pensano due volte prima di spendere. Anche perché c'è un'enorme difficoltà a valutare i ritorni in termini di redditività». Figli e figliastri Sponsor in fuga, insomma, ma non per tutti. La Serie A di calcio, per esempio, pare essere immune da tutto ciò. I ricavi dagli sponsor di maglia lo testimoniano: secondo Sport+Markt, in questa stagione si è registrato addirittura un incremento rispetto al 2010-11, da 65, 9 a 75, 9 milioni, e comunque nell'ultimo quinquennio il trend si è mantenuto stabile. Scendendo di categoria, qualche scricchiolio comincia a sentirsi: in due anni i proventi dai top sponsor delle società di Serie B sono calati del 15%. Tutta colpa della congiuntura, perché la visibilità del campionato è invece aumentata. «I club hanno dovuto fare a meno di qualche contratto pesante — rileva Paolo Bedin, direttore generale della Lega di B — ma l'aspetto positivo è il maggiore radicamento delle attività di marketing sul territorio». Basket e volley soffrono come tutto il resto del movimento, perché il mercato delle sponsorizzazioni risponde alla teoria darwinista della selezione naturale. Come fa notare Palazzi: «Le società di alto livello, che hanno una rilevanza internazionale, non risentono della crisi. L'Inter ha appena annunciato un nuovo top sponsor: è un'azienda polacca. Se il brand è veicolato su scala globale, resiste meglio. Chi invece si muove solo in un ambito nazionale soffre di più. Basta guardare alle attività industriali: le aziende che esportano stanno andando forte». Personaggi nuovi Nell'anno dell'Olimpiade, comunque, bisogna sempre mettere nel conto l'effetto novità. Riflettori puntati sui testimonial, e allora gli sport minori possono salire alla ribalta con personaggi da medaglia, sconosciuti un attimo primo di salire sul podio e capaci di bucare il video grazie a una forza comunicativa speciale. Guardando, invece, alle discipline ci sono quelle che vivono su una nuvoletta di benessere. «Sono gli sport orientati al mercato del lusso — dice il presidente di StageUp — come il golf, che ha anche profonde ricadute in termini turistici, e la vela, che si giova del nuovo format dell'America's Cup, senza dubbio più spettacolare». Ma in tempi bui come questo, come si fa a rilanciare il settore? La ricetta è variegata. «Bisogna dimostrare che una sponsorizzazione crea valore, senza però vendere solo le emozioni ma essendo più pratici. E le società sportive più piccole riscoprano l'importanza della responsabilità sociale: se ho una squadra di ragazzini — conclude Palazzi — devo "venderla" alle aziende perché è portatrice di valori sani». Una scommessa sul futuro. -
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Allarme Platini, club sempre più in rosso Tre italiane a rischio. Ma anche il n.1 Uefa ha un problema di fair play... di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 25-01-2012) Profondo rosso. I club europei spendono più di quello che guadagnano, la situazione è fuori controllo: oggi a Nyon, il presidente dell´Uefa, Michel Platini, svelerà lo stato di salute dei club, svelando la "relazione comparativa dell´anno 2010". Questo, spiega l´Uefa, nell´ottica di portare avanti il processo del fair play finanziario, che può, deve, dare "maggiore stabilità finanziaria al calcio e ridurre quegli eccessi che hanno messo in difficoltà molti club negli ultimi tempi". La situazione, rispetto a un anno fa, è addirittura peggiorata: lo spauracchio del fair play non ha spaventato nessuno. Lo scorso anno i dati erano già allarmanti: ricavi 11, 7 miliardi di euro, costi 12,9 miliardi, perdite record di 1,2 miliardi (con un incremento dell´85% rispetto all´anno precedente!). Questo primato oggi sarà battuto. Ad affondare i club erano (e sono) gli stipendi dei calciatori che incidono mediamente per il 64% del fatturato (in Italia il 72%). Platini l´11 gennaio 2011 ci disse: «Tagliare gli ingaggi è l´unica salvezza per i club. Le star che oggi prendono 15 milioni si accontenteranno di due o tre: sempre venti volte più di Pelè…». Non lo ha ascoltato nessuno. Il fair play andrà in vigore nel 2014, il prossimo 22 marzo a Istanbul verranno approvate le sanzioni che vanno dal blocco del mercato europeo (non di campionato), alla trattenuta dei premi Uefa sino all´esclusione da Champions ed Europa League. Moltissimi grossi club (lo scorso anno erano 11) sarebbero a forte rischio e qualcuno non si potrebbe nemmeno iscrivere alle Coppe. City, Chelsea, Manchester United, Barça, Milan, Inter, Juve e altri (presto anche il Psg) non rispettano i parametri Uefa e dovranno "ripulire" i loro bilanci, portando entro fine 2013 il deficit a un massimo di 45 mln di euro. Ma sceicchi e Abramovich vari se ne infischiano dell´Uefa, e continuano a spendere: qualche club ha già minacciato di rivolgersi ai tribunali civili o di organizzare per conto suo una Superlega. Come reagirà Platini? Tra l´altro l´ex campione franco-juventino si trova in una situazione imbarazzante: è stato "sponsor", con Sarkozy, dello sceicco Al Thani, figlio dell´emiro ed erede al trono del Qatar, che ha acquistato il Psg. Il club francese fa parte del fondo sovrano Qsi per cui lavora anche il figlio di Platini, l´avvocato trentatreene Laurent. Un bel guaio. Inoltre Al Thani, che ha portato i Mondiali 2022 di calcio in Qatar (a 40 gradi) e ora ha candidato Doha per l´Olimpiade 2020, è cugino dello sceicco Mansour bin Zayed al Nayan, proprietario del City. Il fair play anche in Italia viene vissuto come un´imposizione poco gradita. Umberto Gandini, direttore organizzativo del Milan e vicepresidente dell´Eca (European Club Association), è perplesso: «Come Eca, appoggiamo la linea di Platini ma siamo consapevoli che sia necessario un equilibrio». Preoccupato Ernesto Paolillo, ad dell´Inter: «In un paio d´anni i club italiani rischiano di essere meno competitivi in Europa: non si potrà più ripianare grazie agli aumenti di capitale e i nostri ricavi potranno crescere ben poco, visti gli stadi. Si dovrà tagliare gli ingaggi…». Vallo a spiegare a Milito e c. -
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TROPPA OMERTÀ I BUONI ESEMPI DI FARINA E PISACANE SONO ANCORA ISOLATI Quelle partite accomodate a cui è vietato sottrarsi Tanti indagati, pochi disposti a parlare. Eppure di storie dell’orrore ne circolano tante... di FRANCESCO CENITI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 25-01-2012) A Simone Farina e Fabio Pisacane eravamo fermi. E ancora fermi a quei due nomi, a quei due esempi, siamo. Forse perché tracciare una strada è più facile che ripercorrerla. La Procura di Cremona ha indagato, da giugno a oggi, 120 persone, in gran parte calciatori di Serie A, B e Lega Pro in attività. Fatta eccezione per Andrea Masiello, che si è presentato spontaneamente dai magistrati anche grazie ai consigli dell’avvocato Pino, e ricordando coloro (da Micolucci a Parlato) che hanno patteggiato nel processo sportivo di agosto, approfittando degli strumenti introdotti dal 2007 nel codice di giustizia sportiva (articolo 24, collaborazione degli incolpati), nessun altro calciatore schiacciato dalle recenti accuse di Gervasoni & C. si è ancora messo una mano sulla coscienza fissando un appuntamento con investigatori e/o Procura federale. Più pentiti Nessun passo in avanti neppure da coloro che rischiano soltanto l’omessa denuncia, per aver visto, saputo, ma aver chiuso un occhio, o entrambi. Il più classico dei comportamenti italiani, quello di farsi i fatti propri, nel contesto di un ambiente— quello del calcio—che incoraggia l’omertà e le bugie già nella culla. Se ci fossero altri Masiello, altri Micolucci, le inchieste di Cremona, Napoli e Bari potrebbero fare il salto di qualità e il calcio darsi una ripulita in tempi brevi, senza rischiare che a pagare siano soltanto alcuni. Non necessariamente i piùmarci, sicuramente i più stupidi. Sono sempre di più, infatti, le partite nominate dagli indagati che sarebbero state combinate per esclusive esigenze di classifica, e non (o non solo) per le scommesse. Si fa così Negli ambienti calcistici circolano storie di orrori, tutte in attesa o in corso di verifica investigativa. Per esempio, in una di queste partite sospette si sarebbe svolto il seguente siparietto. Nel finale, a pareggio già «sicuro», l’allenatore di una delle squadre effettua un cambio e mette in campo un attaccante, che in un sussulto d’orgoglio avrebbe detto: «Se entro, segno ». La replica del tecnico sarebbe stata questa: «Tu fai quello che ti diciamo noi». L’attaccante entra e non segna. Ma alla ripresa degli allenamenti sarebbe avvenuto il secondo cazziatone, davanti ai compagni, nello spogliatoio: «Se è stato deciso che la partita deve andare in un cert omodo, tu esegui. Devi fare quello che ti dicono società e allenatore». Verità o leggenda metropolitana? Chi indaga ha gli strumenti per capirlo. Ma se tutto ciò fosse vero, vuol dire che nessuno dei giocatori che ha ascoltato quella bella lezione di etica calcistica ha avuto poi la forza di ribellarsi, di denunciare. Chi per paura, chi per convenienza, chi perché le cose vanno così e non si possono cambiare. Invece, la voce di tanti ragazzi che potrebbero essere rimasti impigliati, loro malgrado, in questa e altre presunte combine, servirebbe a fare chiarezza sul delicatissimo tema del coinvolgimento delle società. Nel frattempo, restiamo fermi a Farina e a Pisacane e a qualche pentito fondamentale come Micolucci, Parlato e Masiello. Resteranno soltanto loro, se il calcio li lascerà soli. ___ Masiello, la trasferta più dura il pentito a Bari sotto protezione Scommesse, minacce all´ex che torna per testimoniare di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 25-01-2012) In una città di un´altra provincia. A un orario che verrà ufficializzato soltanto nella mattinata di oggi. Nascosto come un collaboratore di giustizia, braccato e protetto come fosse un pentito di mafia ma in realtà stranito e stordito com´è normale che si senta un terzino in una situazione del genere, Andrea Masiello (ora all´Atalanta) verrà ascoltato nella tarda mattinata di oggi dai pm della procura antimafia di Bari. Sono pronti a raccogliere la sua verità il procuratore capo di Bari, Antonio Laudati e il suo sostituto Ciro Angelillis. Pronti a verbalizzare cosa è accaduto nello scorso campionato di serie A i carabinieri del Reparto operativo di Bari. Due le domande fondamentali: chi e quali partite sono state truccate. E con quali soldi sono state organizzate le combine. Non sarà un interrogatorio al buio. Gli investigatori baresi hanno in mano una serie di prove. Intercettazioni telefoniche e movimenti bancari che dimostrano come sia stata truccata Bari-Livorno di Coppa Italia del dicembre del 2010. Intercettazioni su Bari-Chievo. Il racconto del pentito asiatico su Bari-Brescia. Intercettazioni per Bari-Parma. Riscontri dalle celle telefoniche (e un´informativa sugli Zingari della polizia ungherese) per Bari-Sampdoria, dichiarazioni di Gervasoni e dell´infermiere che portava il denaro ai calciatori per Bari-Palermo. Sospetti vari su Bologna-Bari. Un quadro considerato «completissimo». Ma che potrebbe diventare ancora più chiaro se Masiello decidesse di collaborare, come già ha fatto a Cremona, dove ha parlato della combine sulla partita con il Palermo e ha accennato ad altre gare. Da Bari i pm si aspettano risposte precise però su quei personaggi che gravitavano la scorsa stagione attorno allo spogliatoio biancorosso e che facevano girare il denaro. Per i magistrati erano uomini del clan Parisi, che da tempo ha investito sul calcio così come sul traffico di sostanze stupefacenti: controllano agenzie di scommesse internazionali, hanno dimostrato le indagini, e per arrotondare probabilmente hanno cominciato anche a scommettere. Il meccanismo era oliato: i giocatori fornivano l´imbeccata. E scommettevano. Ad anticipare il denaro era però il clan: in caso di vittoria, veniva pagata la vincita. Se si perdeva, invece, i giocatori erano tenuti a ripagare i boss. «Una scommessa sicura» fanno notare gli investigatori. Che proprio vista la delicatezza della questione stanno trattando il caso Masiello con grande attenzione. Dopo la prima confessione a Cremona, e la possibilità di uno sconto dalla giustizia sportiva per chi collabora con la giustizia, i tifosi del Bari hanno cominciato a individuare in Masiello «il nemico pubblico numero uno». «Il traditore», «il mercenario» che lo scorso anno «ha venduto le partite del Bari». Ora, secondo gli investigatori Masiello era soltanto uno dei protagonisti della combine (tra gli indagati ci sono il portiere Padelli, i difensori Parisi e Rossi, il centrocampista Bentivoglio). Ma è l´unico che ha mostrato un atteggiamento collaborativo verso la giustizia. Per questo va premiato. I tifosi non sono sulla stessa linea. Da qui la necessità di una protezione: da una parte c´era chi annunciava un´«accoglienza calda» in aeroporto (il giocatore è arrivato in auto con il suo avvocato e alloggia in una città fuori dalla provincia di Bari dove domani sarà ascoltato). Dall´altra c´è il timore che dietro la furia dei tifosi sportivi, ci sia la voce della mala che ha tutti gli interessi che Masiello non dica quello che sa. «Per questo deve essere chiaro - conclude in investigatore - che chi non sta dalla parte del calciatore, sta da quella della mafia». -
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L’allenatore fucilato dai nazisti di CARLO MARTINELLI dal blog "Palle di carta 24-01-2012" La sua immagine campeggia nel retro di copertina di questo romanzo delicato, inattuale, sorprendente. Giusto ricordarlo pensando al 27 gennaio, a quel Giorno di cui fare sempre Memoria. Lui è Géza Kertész, ungherese, allenatore di calcio: dell’Atalanta, della Lazio, della Roma, della Salernitana, del Catania. Gli eventi della seconda guerra mondiale portarono all’interruzione del campionato italiano: Kertész decise quindi di tornare in patria dove costituì un’organizzazione resistenziale che salvò un centinaio tra ungheresi ed ebrei dai campi di sterminio nazisti. Kertész fu però arrestato nel 1945, dopo che un delatore riferì alla Gestapo che nascondeva un ebreo in casa, e morì fucilato. C’è anche lui in questo romanzo dove si ritrova l’Italia di oggi, con la sua scuola disastrata eppure ricca di risorse e di slanci, con il suoi tifosi comunque non rassegnati all ineluttabilità della combine. Questo è un romanzo lieve lieve, il racconto di un piccolo grande uomo nella tempesta, la storia di un professore – insegna italiano in un liceo di Jesi -, che vive con la mamma, ama il suo lavoro, ancora aspetta di vivere l’innamoramento che ti rapisce, stravede per l’ Atalanta. E’ bergamasco l’autore, Stefano Corsi, insegnante in quel di Lodi e al quale è impossibile non voler bene, per quel suo poetico aggirarsi tra le scritture di sport e di vita quotidiana, fedele ai colori dell’Atalanta ma anche ad un decoro, esistenziale e civile, che dovrebbe essere la cifra dei brav’uomini. Ecco, il suo professor Caudano è una bella persona. Lo scoprirà chi dovesse leggere il romanzo, lo riscoprirà chi avesse già conosciuto Caudano ai temi del primo romanzo, edito a suo tempo da Limina. Si legge, ad un certo punto del romanzo: “Forse, in questo ventisette gennaio aveva solo voglia di scrivere e di fantasticare sul volto umanissimo di Géza Kertész, ed è contento di averlo fatto. Anche se non servirà a nulla perché nessuno leggerà quel tributo di affetto al più sfortunato degli allenatori passati da Bergamo e dall’Atalanta. Alla sua promozione persa sul filo e alla sua esistenza persa per niente”. Ed invece va letto, quel tributo. Perché il professor Caudano è un mite e silenzioso insegnante di lettere di mezza età, pingue nel fisico e competente nelle sue discipline. Ma all’ umbratile professore della provincia italiana, il semplice resoconto di un anno scolastico e di un campionato (quello di serie B 2010-2011, conclusosi con la promozione dell’Atalanta e insieme con l’esplosione dell’ennesimo scandalo legato alle scommesse illecite) finisce per offrire uno spaccato della nostra vita pubblica e di un piccolo rovello privato. Caudano attraversa l’una e l’altro con l’umile pazienza dei solitari coscienziosi. Stefano Corsi Il campionato del professor Caudano Curcu & Genovese, 160 pg., 12 euro -
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SU VANITY FAIR È nata Vita, la terza figlia di John Elkann Nata al Sant'Anna di Torino. Lunghi summit per il nome della Redazione Corriere.it 24-01-2012 MILANO - Dopo Leone e Oceano, è arrivata Vita. La prima figlia femmina di John Elkann e Lavinia Borromeo è nata al Sant'Anna di Torino. Il nome originale scelto per la terzogenita sarebbe stato individuato dopo lunghi summit familiari. Lo ha rivelato una fonte vicina a Fiat Spa a Vanity Fair, che ha poi trovato conferma da una fonte dell'ospedale. La bimba è nata alle 22 del 23 gennaio. Il 24 gennaio del 2003 moriva invece il suo bisnonno, «l'avvocato» Gianni Agnelli. I due fratelli della piccola, Leone e Oceano, sono nati nello stesso ospedale pubblico. La coppia è sposata dal 2004 ed è legata da 10. Anche la sorella di Lavinia Borromeo, Isabella Brachetti Peretti è incinta al quarto mese. La bimba pesa 3 kg e 200 e gode di ottima salute. -
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Agnelli, ribaltone da titolo Dietro i successi bianconeri c’è una società più forte, più giovane e tutta nuova Lo stadio, la ricapitalizzazione, la rosa rifatta, la scelta dell’allenatore dal dna bianconero. I segreti del team di under 40 allestito dal presidente di MARCO BO (Tuttosport 24-01-2012) TORINO. Tra i difetti dell’umanità ce n’è uno, tipico del cosiddetto mondo civilizzato: abituarsi in fretta, troppo in fretta, al bello. Così in fretta che i tempi bui diventano in tempo zero uno sbiadito ricordo. L’automobile senza aria condizionata, il cellulare che non fa le foto e così via. Anche il popolo della Juve, nuovamente leader a metà strada del campionato dopo sei anni dietro le quinte, potrebbe cascarci. E sarebbe davvero un peccato. Perché la mole enorme di lavoro che la società ha svolto sotto la gestione di Andrea Agnelli e Beppe Marotta non può finire archiviato alla voce “normalità”, solo perché tutti si danno appuntamento nel salone delle feste dove si ride, si balla e si sogna un futuro ancora più grandioso. LA RIVOLUZIONE Già, una vera rivoluzione quella di Andrea e del suo amministratore delegato. Dietro la scrivania che una volta vedeva seduto suo papà, il giovane Agnelli applica il credo sabaudo. Puntuale al mattino in ufficio alle 8, va avanti per dodici ore filate tra riunioni, telefonate, analisi e incontri. Poi la famiglia, da godersi tra moglie e due bimbi. Entrato al comando della società bianconera il 19 maggio 2010, quando non aveva compiuto ancora 35 anni, ha creato un club giovane non solo nelle idee. La squadra di management che ha allestito intorno a sè è under 40 a eccezione deel’indispensabile esperienza calcistica e amministrativa di Beppe Marotta e quella finanziaria di Aldo Mazzia. Ha cambiato molto, quasi tutto: dai dirigenti ai magazzinieri il ribaltone è stato profondo, praticamente totale: nei quadri dirigenziali è rimasto solamente uno che c’era anche prima, nello staff tecnico e sanitario sono rimasti un medico e un massaggiatore. Il resto è finito fuori dalla società. Da imprenditore facoltoso e giovane qual è, ha deciso di puntare sull’energia pulita che anima i cervelli di chi per la prima volta può giocarsi le proprie carte in un ruolo di prestigio e strategico. Chi è entrato alla Juventus in questi due anni di sua presidenza ha avvertito il piacere di far parte di un team che non solo deve cercare di vincere ma deve farlo con orgoglio senza perdere mai la misura, che non è solo forma. La sintesi sublime del concetto di Juve che ha in testa il presidente si è concretizzata nella cerimonia d’inaugurazione dello Juventus Stadium: semplicemente impeccabile. I PUNTI DI QUALITA’ Quando si parla di rivoluzione made in Agnelli ci si rifà a una strategia precisa e pianificata, volta a far crescere il club a 360 gradi e non solo, quindi, a livello di risultati da conquistare sul campo. Sull’agenda di Agnelli l’elenco dei lavori “spuntati”, ovvero già fatti, è di tutto rispetto. La riorganizzazione, ormai, completa, dellla struttura deputata a monitorare il mercato estero con specificità precise legate ai campioni piuttosto che i giovani talenti: Lo sfruttamento dello stadio capace di offrire un doppio impulso: economico e di spinta per i giocatori grazie agli “esauriti”. La ricapitalizzazione della società. Il rimescolamento pressochè completo della rosa ereditata da Cobolli-Blanc. La decisione di puntare su un allenatore giovane con un dna bianconero a prova di Ris, con il quale stabilire un rapporto prolifico grazie a continui scambi di vedute pure sul mercato. La fermezza con cui si è intervenuti su Calciopoli, anche per recuperare un’immagine infangata a causa di fatti distorti da un’indagine e un’inchiesta rivelatasi a due tempi e amplificati con sommo gaudio da molti media. LEADERSHIP E’ una Juventus dunque determinata a riconquistare le posizioni perse negli utlimi anni sia in classifica che in altri ambiti. Basta citare, ad esempio, il fatto che la società di corso Galileo Ferraris abbia svolto il ruolo di apripista per la determinazione dei nuovi contratti dei calciatori e la revisione dei criteri attraverso i quali distribuire i proventi dei diritti televisivi. L’autorevolezza la si conquista con i fatti. Il fatto, poi, che un presidente così giovane stia stimolando il sistema calcio nel suo complesso ad ammodernarsi non può che essere un ulteriore motivo di vanto per il popolo bianconero. -
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Celo manca, le figurine che ci hanno fatto sognare Giorgio Morini, il jolly finito in tribunale di ROBERTO PERRONE (CorSera - Milano 24-01-2012) Giorgio Morini era quello che un tempo si definiva «jolly». C'erano nomi ora dimenticati, nel calcio di quegli anni: terzino, stopper, ala, mediano. Chi poteva ricoprire più ruoli era il «jolly». Giorgio Morini, ala, centrocampista, il 23 marzo 1980, Milan-Torino, faceva lo stopper: Bet era infortunato. Era un Milan un po' così. I giocatori rossoneri avevano tutti il nome stampato sulla maglia, omaggio alla stella conquistata l'anno prima. «Forse per identificarli meglio» sfotteranno poi i tifosi delle altre squadre. Quella domenica finirà 2-0 per il Torino e Giorgio Morini, con Albertosi e il presidente Felice Colombo, finirà nel cellulare della guardia di finanza. L'accusa: aveva portato a Roma 20 milioni (del presidente), avvolti in carta da giornale (a quei tempi erano veramente utili), per chiudere la bocca a Trinca e Cruciani, i due scommettitori «pentiti», o meglio arrabbiati, da cui scaturì il primo e ancora oggi insuperato scandalo scommesse. Morini, come tutti gli altri, non avrà conseguenze penali. Un anno arrivò dalla giustizia sportiva. Quel 23 marzo giocò la sua ultima partita in serie A, dopo quattro stagioni, uno scudetto storico, una Coppa Italia, 107 presenze e 7 gol in maglia rossonera. Fece bene alla Pro Patria, dove conquistò la promozione in serie C1 e chiuse la sua avventura al Chiasso. Dopo una lunga stagione da allenatore delle giovanili, nel campionato 1996-97 è sulla panchina del Milan, con Tabarez direttore tecnico, ma non dura. L'anno dopo è assistente tecnico di Capello II. Del grande «mascellone» è sempre stato amico. Del calcio italiano, nel bene e nel male, è stato sicuramente un protagonista. -
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IL NEOVIOLA Amauri avverte «Juve mi toglierò tanti sassolini...» «Ho maggior voglia di rivincita dell’anno scorso, desidero solo cancellare questi mesi. L’addio a una squadra in testa al campionato? Nessun rimpianto» di BRUNELLA CIULLINI (Tuttosport 24-01-2012) FIRENZE. Visite mediche stamani verso le 10,30, incontro in sede per la firma sul contratto che lo legherà alla Fiorentina fino a giugno per un milione di euro, primo allenamento agli ordini di Delio Rossi al Centro sportivo viola alle 14,30 poi, a metà pomeriggio, la presentazione ufficiale al Franchi. Salvo cambiamenti dell’ultima ora, è questo il programma del primo giorno viola di Amauri che Cesare Prandelli, il ct che gli ha regalato in un passato ormai lontano la gioia di vestire la maglia azzurra, definisce l’acquisto giusto per questa Fiorentina. Amauri ovviamente ha una gran voglia di dimostrarlo per sentirsi di nuovo protagonista e anche per mettere a tacere tutti coloro che hanno smesso di credere in lui relegandolo in un angolo. In questa prima intervista a Tuttosport da neo giocatore della Fiorentina fa capire di avere davvero tanti sassolini da togliersi che riguardano anche naturalmente la Juventus. Buongiorno Amauri, sta per cominciare la sua nuova avventura. Come si sente? «Bene, non vedo l’ora. Finalmente è tutto a posto. Sto arrivando a Firenze, domani (stamani ndr ) farò gli esami medici eppoi comincerò questa nuova avventura. Almeno lo spero (sorride)». Ha un messaggio d’addio da rivolgere alla Juventus? «Non è questo il momento, quando questo arriverà parlerò, dirò tutto quello che penso, risponderò a tutto. Ora sto pensando solo a venire a Firenze, a conoscere la ma nuova squadra, a iniziare a lavorare con Rossi e i miei nuovi compagni». Ma da uno a dieci, quanto è arrabbiato con la sua ormai ex società? « Io sono tranquillo. Ormai mi sono buttato tutto alle spalle e voglio guardare soltanto avanti. Mi preme solo questo. Voglio fare bene e continuare a dimostrare il mio valore». Era più animato dalla voglia di rivincita l’anno scorso oppure adesso? «L’anno scorso ne avevo tanta ma adesso ne ho ancora di più, dopo tutto quello che ho passato questa voglia è ancora più forte, voglio cancellare questi mesi. La mia fame di rivincita è ancora maggiore rispetto ad una stagione fa». La Juve intanto si è laureata campione d’inverno: neppure un piccolo rimpianto? «No, nessun rimpianto. E come detto, al momento opportuno parlerò di tutto, risponderò a tutto». Intanto cosa risponde alle voci secondo cui dietro al rinvio del suo trasferimento a Firenze c’era lo zampino del Milan? «Voci infondate, non c’è nulla di vero. Una volta detto sì alla Fiorentina e dopo l’accordo con la Juve il mio arrivo non è stato mai in discussione. Parlerò presto anche di quello che non mi è piaciuto in questa vicenda. Comunque ribadisco che ci sono stati soltanto dei motivi familiari dietro a questo slittamento, motivi di cui ho informato subito la società viola». A proposito, come sta sua moglie? «Meglio. Tanto che stiamo anche valutando se far nascere la bambina a Firenze (la coppia ha già due figli ndr ). Dobbiamo organizzarci, verificare ancora tante cose ma è un’eventualità che non escludo. Vediamo, comunque è tutto a posto». La Fiorentina ha un gran bisogno di gol e punti: se la sentirebbe di scendere in campo già domenica per il derby con il Siena? «Certo. Fisicamente sto bene, mi sono sempre allenato con un preparatore, mi manca solo il ritmo-partita, però mi sento pronto. Ho così tanta voglia di respirare di nuovo l’erba del campo, di sentirmi di nuovo utile. Tutto questo mi è mancato tanto. Mi è mancato davvero troppo. Ma ora finalmente il passato è alle spalle, voglio solo guardare avanti». -
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Il vicepresidente Coni Pancalli: «È difficile che lo scudetto non lo vinca una big che spende tanto» di PINO TAORMINA (Il Mattino 24-01-2012) Ingaggi folli, dalla Premier League sino all’Italia. Uno schiaffo a Michel Platini che vuole il fair play finanziario. «Non credo che ci siano strade diverse da percorrere. Anche se difficilmente da noi nei prossimi anni una squadra diversa da Juventus, Inter e Milan potrà vincere lo scudetto». A parlare è Luca Pancalli, vicepresidente del Coni ed ex commissario straordinario della Figc ai tempi di Calciopoli. Insomma, chi più spende più vince? «Per fortuna non è sempre così. Ovvio che c’è una connessione diretta tra le due cose, ma non è questa la regola. Può anche capitare che un gruppo di undici meravigliosi solisti strapagati possa essere messo ko da una formazione di orchestrali di periferia. La differenza possono farla tanti elementi». L’Udinese e il Napoli sono, per esempio, due eccezioni. «Esatto. Sarà pure una fortunata coincidenza ma due club che adottano strumenti finanziari assai rigorosi e che tra si sono dotati di un salary cup sono comunque tra le società nell’elite italiana. E questi sono elementi di speranza». Ma il calcio ce la farà a cambiare? «Penso di sì: quando sono stato commissario ho trovato un mondo molto rigido, ma tutti devono fare un passo indietro e ritrovare i valori autentici, che non sono solo quelli del business. Il calcio è uno sport e la gente lo vuole vivere come tale: un divertimento». Sembra molto simile al programma di Michel Platini, paladino del calcio che non è solo business? «Sono con lui al cento per cento. La Uefa fa bene a cercare di mettere un freno alle spese pazze dei club e a spiegare che non si spendere più di ciò quello che si guadagna. Però io non sono un moralizzatore». In che senso? «I club restano proprietà di privati. Quindi chi vuole spendere di più è pur sempre libero di farlo. Anche se c’è la crisi». Nel ’78 quando il Vicenza pagò alle buste con la Juve per Rossi 5 miliardi di lire l’allora presidente della Lega Carraro si dimise per lo scandalo. «Un’altra epoca. Ora nessuno si scandalizza più di niente. E forse questo il vero problema. Probabilmente per normalizzare questo sistema occorrerebbe una sorta di governo di salute pubblica». Cosa fare per prima cosa? «Progetti seri e impianti nuovi. La legge contro la violenza negli stadi, per esempio, funziona bene. Bisogna andare avanti su questa strada. Senza paura dei cambiamenti». -
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Crosetti è sinonimo di giornalista anti-sportivo, infatti. -
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Le telecronache di Bergomi fanno arrabbiare Moratti L´Inter protesta con Sky. San Siro, allarme campo di ANDREA SORRENTINO (la Repubblica 24-01-2012) E´ dal 10 dicembre che l´Inter vince sempre: la striscia si è allungata fino a otto vittorie consecutive, di cui sette in campionato. Eppure Moratti ha un sassolino nella scarpa, chiamato Sky. O meglio: più che Sky nel suo complesso, il presidente dell´Inter non gradisce le telecronache di Fabio Caressa e Beppe Bergomi. La faccenda è tornata d´attualità negli ultimi tempi, ma ci sono dei precedenti che risalgono almeno all´anno del Triplete: dopo un Roma-Inter 2-1, l´Inter si lagnò assai per un commento ritenuto troppo filoromanista, e ci furono polemiche. Ora si replica, e la cosa bizzarra è che uno dei due "colpevoli", Bergomi, è una delle più grandi bandiere della storia nerazzurra. Eppure all´Inter non hanno gradito le valutazioni sugli episodi arbitrali nelle ultime due partite contro Milan e Lazio. E voci di corridoio raccontano persino di una lagnazione che il club avrebbe espresso ai vertici di Sky, in forma più o meno ufficiale, perché alla base di tutto ci sarebbe la convinzione di una disparità di trattamento: i commenti alle partite di Milan e Juventus sarebbero più carezzevoli, mentre con l´Inter i telecronisti andrebbero giù pesanti. Inizia tutto col derby del 15 gennaio, quando a Thiago Motta viene annullato un gol valido. Moratti, che è a casa, si arrabbia perché i telecronisti parlano di fuorigioco "dubbio", anziché dire chiaramente che la posizione di Thiago Motta è regolarissima. Un commento "scandaloso", pare che dica Moratti lì per lì. Già quella sera parte una prima lamentela dell´Inter con l´emittente, anche se a fine partita, nell´euforia della vittoria, il presidente concede proprio a Sky un´intervista sotto la propria abitazione (gli citofonano, lui scende e parla). Ma pochi giorni dopo racconterà di una telecronaca "incredibile, che mi ha fatto girare le scatole". Per Inter-Lazio Moratti è allo stadio, ma nel dopopartita ascolta le valutazioni sul fuorigioco di Pazzini nel 2-1 e sul rigore non assegnato alla Lazio per un braccio di Lucio, e dato che secondo Caressa&Bergomi l´arbitro ha sbagliato a favore dell´Inter, Moratti si arrabbia di nuovo: Dias dova essere espulso dopo un minuto e non lo dice nessuno, sostiene Moratti. Infatti ieri dichiara: «Se le proteste della Lazio sull´arbitraggio mi hanno fatto arrabbiare? No, più che altro quelle della stampa», e il riferimento è proprio a Sky. Insomma, Inter contro la tv, quella tv matrigna che paga profumatamente per trasmettere le gare di campionato ma che impone anche calendari pesanti, con troppe partite in notturna nei mesi invernali. Ecco perché il campo di San Siro, dopo quattro gare in una settimana, in Inter-Lazio era un vero disastro, pieno di buche e sconnesso, quasi impraticabile. E proprio per motivi di telegenia, si è ancora ricorsi al vecchio trucco della vernice per farlo sembrare bello in tv, come ha rivelato proprio Cambiasso a fine partita, a Inter Channel: «Sono stati bravi a pitturare bene il campo di verde, sicuramente da sopra sembrava un tappeto magnifico… Ma sotto era un disastro». -
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IL GENOANO ERA STATO FERMATO PRIMA DELLA PARTITA CON L’INTER Il gip: “Liberate il tifoso del Genoa la versione della polizia non regge” L’arresto allo stadio «illegittimo»: fu ammanettato privo di conoscenza di GIOVANNA TRINCHELLA (LA STAMPA 24-01-2012) Arresto illegittimo. Il giudice per le indagini preliminari di Milano, Gianfranco Criscione, dopo l’interrogatorio avvenuto in ospedale dove era piantonato, ha scarcerato Massimo Moro, il 38 enne tifoso genoano finito in prognosi riservata dopo essere stato fermato dalla polizia. L’uomo, ubriaco, era stato bloccato ai tornelli di San Siro poco prima della partita di Coppa Italia Inter-Genoa del 19 gennaio. Il gip ha applicato la speciale causa di non punibilità prevista dall’articolo 393 bis del codice penale che prevede una reazione legittima ad atti arbitrari. Non ci sarebbe «alcuna significativa contraddizione» tra i fatti avvenuti e quanto poi riportato a verbale dagli agenti, ma se è vero che le dichiarazioni dei testi sono «compatibili» con quella ricostruzione, è anche vero che negli atti non compare quello che descrive uno dei medici dell’infermeria dello stadio Meazza: ovvero che il tifoso era a terra «in un lago di sangue e vomito dal forte odore alcolico». Per il giudice il fatto viene incasellato nella possibilità che la non menzione sia stata «una mera disattenzione» e anche «leggerezza» piuttosto che «indice dell’ideologica falsità degli atti in questione». Quella sera, secondo la ricostruzione della Questura di Milano, il tifoso era stato portato al posto di polizia perché era apparso «fuori controllo»: tanto che tre agenti lo avevano ammanettato e nel trambusto l’uomo, che aveva battuto la testa con violenza, era caduto. Moro, che era stato fatto inginocchiare e che si era rifiutato di consegnare le sue sciarpe, era stato ricoverato in condizioni molto gravi. Le sue condizioni sono poi migliorate fino a permettere ieri mattina l’interrogatorio da parte del giudice. Per il gip non è credibile che il fermato abbia continuato a essere violento anche dopo aver battuto la testa – come invece raccontano gli agenti – perché era aveva una grossa ferita alla testa ed era poi svenuto; inoltre le lesioni (quattro giorni, ndr) riportate dai poliziotti fanno dubitare della «violenta caratura della resistenza» dell’uomo. Infine secondo quanto dichiarato da un altro medico dell’infermeria dello stadio, Moro era stato ammanettato anche quando era privo di sensi e quindi inoffensivo: «Indice di una condotta connotata perlomeno da scarsa attenzione per l’incolumità personale dell’arrestato» chiosa il giudice. Il magistrato in assenza di querela degli agenti feriti ha quindi deciso di non convalidare l’arresto come richiesto dalla Procura cui sono stati trasmessi gli atti per le valutazioni del caso. «Per il momento non procederemo a una denuncia», fa sapere l’avvocato Riccardo Lamonaca, legale di Moro e della famiglia. Subito dopo il ricovero la sorella del tifoso, che aveva ricevuto la visita in ospedale di Domenica Ferrulli figlia dell’uomo morto durante un complicato controllo di Polizia a Milano la scorsa estate, aveva chiesto chiarezza: «Io non cerco colpevoli, ma solo che mio fratello possa uscire da questa situazione».