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Ghost Dog

Tifoso Juventus
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  1. Calciatori nel mirino di GIANFRANCESCO TURANO (l’Espresso | 26 gennaio 2012) «Non c’è riscontro che i delitti siano finalizzati a un piano criminale». L’assessore alla Sicurezza Giuseppe Narducci commenta così i furti e le rapine che hanno colpito i calciatori del Napoli, le loro compagne, i parenti e gli agenti. La magistratura sta esaminando tutte le ipotesi. Alcuni investigatori sottolineano il cambio di atmosfera rispetto all’età d’oro di Corrado Ferlaino, quando la maglia azzurra garantiva immunità anche grazie ai rapporti del capitano Diego Maradona con i Giuliano, i boss di Forcella. «Vado controcorrente», aggiunge Narducci, «ma il Napoli ha vinto gli scudetti nel momento di massimo degrado della città». Meglio rapinati che collusi? La scelta è complicata, soprattutto con una pistola puntata contro come è capitato a Yanina Screpante, compagna del “Pocho” Lavezzi. Il consiglio del presidente Aurelio De Laurentiis è stato: non girate con il Rolex. Bisognerà dirlo anche ai tifosi del Chelsea in arrivo a Napoli per gli ottavi di Champions League il 21 febbraio.
  2. MONDIALE 2014 Brasile, bionda in campo La Fifa vuole la birra negli stadi. Il governo carioca si oppone. di MARCO TODARELLO (Lettera43.it 21-01-2012) Si può negoziare su tutto, ma la birra non si tocca. Un aut aut che sembra venuto fuori dalla cocciutaggine di un alcolista alla sua prima visita medica, e che invece è stato il leit motiv del segretario generale della Fifa Jérome Valcke durante la sua ultima visita in Brasile. Il funzionario francese vuole che il diritto alla vendita di birra negli stadi rientri nella legge speciale sulla Coppa del Mondo 2014 e che da mesi è in discussione nel parlamento brasiliano. Una legge che, grottescamente, si è arenata alla Camera proprio sulla questione della bevanda alcolica più bevuta al mondo, un punto su cui Valcke non è disposto a trattare. L'ESTATUTO DEL GOVERNO LULA NEL 2003. In Brasile la vendita di birra nei campi sportivi è vietata dal 2003, quando il governo Lula promulgò l’Estatuto do torcedor, una legge rivolta a tutelare i diritti e la sicurezza degli spettatori delle partite di calcio. Il ministro della Salute del governo Rousseff, Alexandre Padilha, appoggiato da alti rappresentanti del settore della Sanità sta facendo pressioni sul Congresso affinché si mantenga il divieto anche nella legge sui Mondiali di calcio. «Mi dispiace se suona un po' arrogante», ha dichiarato Valcke ai giornalisti di Rio de Janeiro, «ma l’alcol fa parte della tradizione della Coppa del mondo ed è qualcosa su cu noi non vogliamo negoziare. Il diritto alla vendita di birra deve essere inserito nella legge». Interessi commerciali e partnership strategiche in gioco Le ragioni dell’irremovibilità non stanno nella passione del segretario della federazione per le bionde con le bollicine, ma piuttosto negli enormi interessi della Fifa legati agli accordi commerciali con il marchio statunitense Budweiser, che dal 1986, anno della Coppa del Mondo in Messico che consacrò Diego Maradona, ha un contratto come sponsor della manifestazione. LA SOCIETÀ BRASILIANA DI BIRRA AMBEV. Per sottolineare come il vincolo riguardi anche lo stesso Brasile, Valcke ha ricordato che il partner della Fifa è una società brasiliana, produttrice della birra AmBev, che come Budweiser fa parte della multinazionale Anheuser-Busch InBev, il più grande produttore di birra al mondo. La multinazionale belga, nata dal matrimonio, nel 2008, tra la belga InBev e la statunitense Anheuser-Busch, è proprietaria di circa 300 marchi di birra e ha chiuso il terzo trimestre 2011 con un utile netto salito a 1,59 miliardi di dollari (da 1,43 miliardi del 2010) su un fatturato complessivo di 10, 22 miliardi. IL DISEGNO DI LEGGE TORNA ALLA COMMISSIONE. Sotto le prevedibili pressioni di un tale colosso, durante un incontro con funzionari del governo brasiliano Valcke ha detto che il Brasile si sente in diritto di chiedere troppo alla Fifa «solo perché ha vinto cinque Coppe del Mondo». Dopo le ripetute discussioni concluse senza accordi, il disegno di legge è ritornato alla commissione Sport e Turismo per nuove valutazioni. Ora, con la sospensione delle attività parlamentari, la questione dovrebbe essere di nuovo ridiscussa nel mese di febbraio. LE MEDIAZIONI GIÀ ACCETTATE DALLA FIFA. Valcke ha ricordato che la Fifa ha già accettato diverse richieste da parte del governo brasiliano, come ad esempio sul prezzo e sul numero dei biglietti da concedere alle categorie disagiate. In Brasile, ad esempio, studenti e anziani hanno diritto a comprare i biglietti a metà prezzo, e la Fifa ha risolto offrendo una categoria speciale di biglietti a 25 dollari. Un’altra richiesta di Brasilia riguarda la messa a disposizione di 300 mila biglietti ad altri gruppi sociali indigenti come gli indigeni, le persone a reddito molto basso e quelle che consegnano un’arma alla polizia. Anche su questo, la Fifa è disposta a trattare. I LAVORI PER LO STADIO DI FORTALEZA. La visita di Valcke in Brasile comprendeva anche una sorta di ispezione sullo stato dell’arte riguardo all’organizzazione dell’evento, non ultima la costruzione di stadi e altre infrastrutture. Il segretario della federazione ha ammirato l’avanzamento dei lavori negli stadi di Fortaleza e di Salvador de Bahia, però ha espresso preoccupazione per la lentezza delle operazioni negli altri dieci stadi e soprattutto ha chiesto che si acceleri il lavoro nel settore delle infrastrutture, come stazioni e aeroporti. «La gente crede che una partita di Coppa del Mondo sia una gara come le altre ma si sbaglia», ha dichiarato Valcke, «bisogna pensare a più di 20 mila persone che si spostano da una città all'altra, a volte in meno di 24 ore, e il paese deve essere preparato a questo». La ventesima edizione del campionato mondiale di calcio si terrà in Brasile dal 12 giugno al 13 luglio 2014.
  3. I SOLDI DELLA LIBIA TORNANO IN ITALIA I capitali di Tripoli fanno comodo all’Italia. Principale azionista di Unicredit, la Libia non ha tuttavia sottoscritto il maxi aumento di capitale della banca. Ma si appresta ad attuare nuove incursioni nelle imprese italiane in crisi, che sono dunque più facilmente scalabili di GIANNI DRAGONI (Cado in piedi 21-01-2012) I soldi della Libia tornano in Italia. Probabilmente, si discuterà anche di questo oggi a Tripoli, dove il premier Monti incontrerà rappresentanti del nuovo governo libico "per rilanciare l'intesa tra i due Paesi". In realtà, questi capitali non se n'erano mai andati, ma erano stati congelati l'11 marzo dell'anno scorso, in seguito alla rivolta contro Gheddafi e alle sanzioni decise dall'Onu e dalla Ue per bloccare i beni accumulati dalla famiglia del dittatore. Quelle delibere sono state revocate da poche settimane, in seguito all'uccisione dell'ex leader della rivoluzione. Adesso i capitali libici sono sbloccati e le partecipazioni azionarie nelle imprese italiane tornano attive. I capitali di Tripoli fanno comodo all'Italia. La cifra congelata in Italia fu stimata in 6-7 miliardi di euro, di cui tra 3 e 4 miliardi di depositi bancari, il resto in partecipazioni azionarie. E' curiosa una coincidenza: lo sblocco dei beni libici è avvenuto pochi giorni prima che scattasse il maxi aumento di capitale di Unicredit, la più importante banca italiana per patrimonio. E' un'operazione, in corso fino al 27 Gennaio, da sette miliardi e mezzo di euro che è stata mal digerita dal mercato e dai principali azionisti, le fondazioni bancarie, in primo luogo quelle di Verona e Torino, che erano felici quando la banca pagava dei dividendi, ma adesso che c'è da investire e aprire il portafoglio sono diventate di cattivo umore. La Libia era il principale azionista della banca, con la partecipazione costruita, mattone su mattone, sulle quote detenute da quando Tripoli entrò nell'ex Banca di Roma di Cesare Geronzi, poi divenuta Capitalia e incorporata nel 2007 nell'Unicredit, all'epoca guidata da Alessandro Profumo. Attratti inizialmente da Geronzi e dall'amicizia del suo sodale Salvatore Ligresti con l'ambasciatore a Roma, Abdulhafed Gaddur, i libici sono arrivati a possedere quasi il 7,5 per cento del capitale di Unicredit: il 4,9 per cento di proprietà della banca centrale, più il 2, 6 per cento della Lybian Investment Authority (Lia) acquisito successivamente, d'intesa con Profumo. Alcune settimane fa il governatore della banca centrale di Tripoli aveva annunciato l'adesione per la sua quota del 4,9 per cento alla ricapitalizzazione di Unicredit, per un esborso pari a 375 milioni di euro. Ma il 19 gennaio c'è stato un ripensamento. Il medesimo governatore ha annunciato che non verrà sottoscritto l'aumento di Unicredit: "C'è una decisione del Consiglio dei ministri di non investire né azioni né denaro liquido negli investimenti stranieri, c'è un paese da ricostruire", ha detto il governatore della banca centrale, Saddeq Omar Ekaber. La quota della banca scenderà così al 2, 8 per cento. E neppure il fondo sovrano Lia lo farà, riducendo la sua quota all'1, 5 per cento circa. Con l'aumento di capitale c'è un'avanzata del mondo arabo nel capitale Unicredit. Il fondo sovrano di Abu Dhabi, Aabar Investments, che dal marzo 2009 detiene il 4,9 per cento della banca, ha avviato operazioni di acquisto di diritti di opzione per incrementare la sua partecipazione al 6,5 per cento. Il colosso arabo diventerà così il primo azionista della banca guidata da Federico Ghizzoni. Comunque sia, i capitali dei libici e degli arabi che si arricchiscono con i petrodollari fanno comodo alle banche e imprese italiane. Con lo scongelamento dei beni la Libia torna a poter gestire in pieno le sue partecipazioni in aziende italiane, può incassare i dividendi bloccati l'anno scorso, può vendere le azioni, ma potrebbe anche comprare altre azioni. In particolare nella Finmeccanica, la Libia ha il 2 per cento del gruppo statale che produce armi, aerei, radar e sistemi elettronici militari. Nell'Eni la Libia ha l'uno per cento, il gruppo energetico è il primo investitore straniero a Tripoli. Un interesse della Libia è stato segnalato anche per Telecom. La Libia possiede inoltre il 14,7 per cento ed è il primo azionista della Retelit, società di telecomunicazioni quotata in borsa. I capitali tripolini si sono tenuti alla larga da un altro aumento di capitale, appena concluso, quello della Juventus, la squadra di calcio degli Agnelli. La finanziaria Lafico, che deteneva il 7,5 per cento, non ha sottoscritto la sua quota, pari a nove milioni di euro. Questa somma la verserà la Exor, la finanziaria degli Agnelli che ha già il 60 per cento della società bianconera e salirà al 70 per cento circa del capitale. Malgrado le dichiarazioni di prudenza la Libia, con la sua ingente potenza di fuoco, resta pronta a nuove incursioni nelle imprese italiane, compresi i grandi gruppi che in Borsa hanno perso terreno negli ultimi anni e sono più facilmente scalabili.
  4. LA STORIA "Rispettate il voto del silenzio" Le suore contro il Marsiglia Il club allenato da Deschamps vorrebbe acquistare un terreno di dieci ettari per farne un piccolo stadio e un centro di formazione. Ma le religiose, della congregazione delle Figlie di Gesù, proprietarie del terreno dalla fine dell'800, non vogliono che la loro contemplazione venga disturbata: "Le nostre terre non si vendono" della Redazione Repubblica.it 20-01-2012 MARSIGLIA - Sembra una storia uscita da un film dal copione abbastanza scontato. Il ricco 'prepotente' che vuole imporre la legge del suo potere economico che incontra la resistenza dei piccoli proprietari. E' un po' il tema che sta incuriosendo il calcio francese. In campo c'è l'Olympique Marsiglia, e l'avversario, decisamente fuori dal comune, è di quelli tosti: una congregazione di suore. Le religiose, il cui convento sovrasta il campo di allenamento della squadra, rifiutano ostinatamente di vendere un terreno di 10 ettari al club di calcio che vorrebbe estendersi e costruire un piccolo stadio di 3. 000 posti per le riserve e il centro di formazione. Stadio da 3.000, partite - anche se delle giovanili -, urla, rumore, macchinoni dei bui che raggiungono il campo di allenamento. Decisamente troppo per il voto di silenzio e di contemplazione fatto dalle suore, che appartengono alla congregazione delle Figlie di Gesù e che sono proprietarie del terreno dalla fine dell'800. Le religiose non escono mai e non hanno mai contatti con gli estranei. Unica frase, ma emblematica, rilasciata da una giovane e timida religiosa al quotidiano locale La Provence: "Le nostre terre non si vendono, è tutto quello che abbiamo da dire". ___ Francia, Olympique Marsiglia vs convento Il club vuole i terreni, le suore non vendono La società in cui allena l'ex Juve Didier Deschamps vuole acquistare i terreni dell'istituto religioso per realizzare lo stadio per la squadra minore, ma le Figlie di Gesù non aprono neanche la trattativa: "La nostra terra non è in vendita, è tutto quello che abbiamo da dire" di DARIO PELIZZARI dal blog su "il Fatto Quotidiano.it 21-01-2012" “La nostra terra non è in vendita, è tutto quello che abbiamo da dire” ha risposto una suora della congregazione delle Figlie di Gesù al giornalista del quotidiano francese La Provence che cercava conferme rispetto al progetto dell’Olympique Marsiglia di costruire nel quartiere di Trois-Lucs un piccolo stadio da 3000 posti per far allenare la squadra riserve. Il piano c’è da tempo e pare che abbia convinto gli amministratori della città francese. Peccato che le religiose del convento de la Serviane, che si trova a pochissima distanza dall’attuale campo di allenamento dell’Olympique, non siano assolutamente d’accordo. Il terreno è loro dalla fine dell’Ottocento. E non hanno alcuna intenzione di venderlo. La congregazione è proprietaria di una decina di ettari che circondano il convento. Si tratta per lo più di campi incolti che La Provence definisce ‘bucolici’ per via della ricca vegetazione che li carratterizza. Un terreno che farebbe la fortuna di diversi imprenditori con la passione per il mattone. E certo, pure dei dirigenti della squadra allenata dal tecnico Didier Deschamps, vecchia conoscenza del calcio italiano, che sarebbero felici di ampliare lo spazio a disposizione dei giocatori. Insomma, un affare per tutti. Tranne che per loro, le suore del convento de la Serviane, che rivendicano i loro titoli e fanno sapere che la questione è chiusa e gli spazi per trattare sono prossimi allo zero. Le religiose vivono in una solitudine quasi assoluta, interrotta soltanto alla bisogna per acquistare le cose che non possono produrre autonomamente. Il club ha cercato di entrare in contatto con loro, anche via lettera, ma ha capito che la situazione andrà gestita con tutte le accortezze del caso. “Ci ho già provato io anni fa – fa sapere il sindaco di Marsiglia, il senatore dell’Ump, Jean-Claude Gaudin -, ma non c’è stato niente da fare. Dicono di essere già abbastanza disturbate dal rumore che arriva dalla Commanderie (il centro allenamento dell’OM, ndr), figuriamoci se accetterebbero di avere a che fare con le auto che passerebbero a due passi dal convento”. Insomma, l’Olympique si trova a sfidare un avversario temibilissimo. Altro che Paris Saint Germain degli sceicchi, ora il vero problema è convincere un gruppo di suore a vendere il proprio terreno. Per perorare la causa dell’OM, il sindaco si era perfino rivolto all’arcivescovo di Marsiglia. Ma non è stato sufficiente. E se i tifosi spingono perché sia dato il via libera al progetto che migliorerebbe certamente la gestione della squadra, c’è una voce fuori dal coro che appoggia la scelta delle religiose. E’ quella della presidente del CIQ (Comités d’Intéret de Quartier) di Trois-Lucs, Annick Vergez, che fa sapere di essere dalla loro parte “perché le sorelle hanno il diritto di difendere la loro calma”. “E poi – aggiunge – non va dimenticato che le condizioni di accesso alla zona sono molto difficili”. Come dire, lasciatele in pace, il gioco non vale la candela. Pardon, il convento.
  5. Soccer's Heavy Boredom It's true. Mostly nothing happens. Why do we keep watching? By Brian Phillips (Grantland.com January 17, 2012) art.scoperto grazie alla rivista Studio Il calcio è un gioco soporifero? Sì, a volte lo è, eppure lo si ama comunque. Il lato “noioso” del calcio difeso con strenue passione da un giornalista americano meglio di quanto potrebbe fare qualsiasi europeo. Un estratto: «Nello sport, il caos puro porta alla noia. Il calcio offre ai suoi giocatori più caos di qualunque altro sport. Quindi c’è un qualcosa dii unicamente emozionante nei momenti in cui questi cercano di imporvi il proprio ordine.». Soccer is boring. One of the misconceptions non-soccer fans have about soccer fans is that we don't know this. The classic Simpsons parody of a soccer match — "Fast kickin'! Low scorin'! And ties? You bet!" — hangs on the joke that the game puts Americans to sleep while somehow, bafflingly, driving foreigners wild with excitement. Calling the game for Springfield TV, Kent Brockman practically grinds his teeth with frustration: "Halfback passes to the center … back to the wing … back to the center. Center holds it. Holds it. [Huge sigh.] Holds it." One booth over, the Spanish commentator is going nuts: "Halfback passes to the center! Back to the wing! Back to the center! Center holds it! Holds it!! HOLDS IT!!!"1 It's a great comedy bit, but it's not really accurate as a depiction of soccer culture. Soccer fans know soccer is boring. Soccer fans have seen more soccer than anyone. We're aware that it can be a chore. Fire up Twitter during the average Stoke City-Wigan match and you'll find us making jokes about gouging out our own eyes with wire hangers, about the players forgetting where the goals are, about what would happen if we released a pride of lions onto the pitch. (Answer: The game would still finish 0-0. ) When Ricky Gervais recorded his "David Brent on Football Management" clip for the BBC during the first run of The Office, he snuck in a similar dig at the tedium of some of Liverpool's greatest teams: Do you think that Alan Hansen or Mark Lawrenson would have had the careers they had if they'd had the skills but not the discipline? If they didn't have the concentration? It's not easy passing the ball back to the goalkeeper every single time you get it. For ninety minutes. Translation: Those guys were good. Now please, God, someone release the lions. So why do soccer fans do this? Assuming we follow sports for something like entertainment,2 what do we get out of a game for which the potential for tedium is so high that some of its most famous inspirational quotes are simply about not being dull?3 I keep thinking about this question lately, maybe because I've been finding myself drawn to more and more boring games. This past weekend, I sat through the slow cudgeling death of Liverpool-Stoke. The final score was 0-0, but the final emotional score was -5. During Swansea's deliriously fun 3-2 upset of Arsenal on Sunday, I kept switching over to Athletic Bilbao's mundane 3-0 win over Levante. Why am I doing this? I thought, as Fernando Amorebieta whuffed in a gloomy header and Levante pinned themselves into their own half. But I kept checking back. There are two reasons, basically, why soccer lends itself to spectatorial boredom. One is that the game is mercilessly hard to play at a high level. (You know, what with the whole "maneuver a small ball via precisely coordinated spontaneous group movement with 10 other people on a huge field while 11 guys try to knock it away from you, and oh, by the way, you can't use your arms and hands" element.) The other is that the gameplay almost never stops — it's a near-continuous flow for 45-plus minutes at a stretch, with only very occasional resets. Combine those two factors and you have a game that's uniquely adapted for long periods of play where, say, the first team's winger goes airborne to bring down a goal kick, but he jumps a little too soon, so the ball kind of kachunks off one side of his face, then the second team's fullback gets control of it, and he sees his attacking midfielder lurking unmarked in the center of the pitch, so he kludges the ball 20 yards upfield, but by the time it gets there the first team's holding midfielder has already closed him down and gone in for a rough tackle, and while the first team's attacking midfielder is rolling around on the ground the second team's right back runs onto the loose ball, only he's being harassed by two defenders, so he tries to knock it ahead and slip through them, but one of them gets a foot to it, so the ball sproings up in the air … etc., etc., etc. Both teams have carefully worked-out tactical plans that influence everything they're trying to do. But the gameplay is so relentless that it can't help but go through these periodic bouts of semi-decomposition. But — and here's the obvious answer to the "Why are we doing this?" question — those same two qualities, difficulty and fluidity, also mean that soccer is uniquely adapted to produce moments of awesome visual beauty. Variables converge. Players discover solutions to problems it would be impossible to summarize without math. The ball sproings up in the air … and comes down in just such a way that Dennis Bergkamp can pull off a that spins the ball around the defender and back into his own path … or Thierry Henry can a 40-yard pass in the air before lining it upand scoring a weak-foot roundhouse … or Zlatan Ibrahimovic can through an entire defense. In sports, pure chaos is boring. Soccergives players more chaos to contend with than any other major sport.4 So there's something uniquely thrilling about the moments when they manage to impose their own order on it. But I think there's more to the relationship of fans and boredom than just magic moments. I want you to like soccer if you don't already, so I probably shouldn't admit this. But the game gets in your head. Following soccer is like being in love with someone who's (a) gorgeous, (b) fascinating, © possibly quite evil, and (d) only occasionally aware of your existence.5 There's a continuous low-grade suffering that becomes a sort of addiction in its own right.6 You spend all your time hoping they'll notice you, and they never do, and that unfulfilled hope feels like your only connection to them. And then one day they look your way, and it's just, pow. And probably they just want help moving, and maybe they call you Josie instead of Julie, but still. It keeps you going. And as irrational as it sounds, you wouldn't trade this state of being for a life of quiet contentment with someone else. All you could gain would be peace of mind, and you'd lose that moment when the object of your fixation looked at you and you couldn't feel your face. Soccer is, in other words, both romantic and tragic, and the soft agony of a bad game is an inescapable part of this. You spend all your time hoping something will happen, and it never does. You get a surge of adrenaline every time the ball flies anywhere near the goal,7 and you're always disappointed. But then, every once in a while, James McFadden will to give Scotland an impossible 1-0 lead over France, anda ponderous game will go all kinds of nervous-breakdown crazy. And for fans it's practically an out-of-body experience — not just because it was a great play, but because it was so unlikely that this match could have been graced with a great play to begin with. So it's not that a boring game is purer than an entertaining game or that there's something moral about enduring tedium (although I know fans who might make that argument). I watch soccer to be amazed. One of my favorite books about fandom is Soccer in Sun and Shadow, by the Uruguayan writer Eduardo Galeano, whose guiding principle is "a pretty move, for the love of God. " But the beauty of the game matters more when you know you can't take it for granted — when it arrives, as Galeano writes, it's a "miracle. "8 There was a moment last Sunday when I was flipping between the extremely exciting Swansea-Arsenal match and the generally-not-in-any-way-exciting Athletic-Levante match. Just as I switched over, Athletic's Oscar De Marcos, who had previously failed to score on an easy rebound,9 dribbled straight through two defenders into the area, drawing the goalkeeper out to the right side10 of the six-yard box. Then he lofted a high cross that dropped a foot from the goal line, just inside the left post, just as the lurking Fernando Llorente, who'd sneaked behind the defense, appeared in precisely that spot to head it into the empty net. In its weird, furtive way, the goal was better than the undeniable drama going on in Swansea. It was like a wink from the eye of the abyss. One of those lovely, foolish moments when you think that soccer might love you too. 1. This is all from "The Cartridge Family" (1997). 2. Or, if you object to that word, at least for reasons that are antithetical to the experience of grueling monotony. 3. Cf. Danny Blanchflower, 1972: "The great fallacy is that the game is first and foremost about winning. It's nothing of the kind. The game is about glory. It's about doing things in style, with a flourish, about going out and beating the other lot, not waiting for them to die of boredom." 4. The classic American sports control the danger of appearing random in all kinds of ways — baseball constantly resets to the same starting position, football does the same while adding 29, 384 rules about who can and can't do what on which plays, basketball breaks itself into discrete timed segments, etc. 5. Whereas following the NFL is like being in a stable, settled relationship. You know what you're getting, good stuff happens all the time, and even if it's not electrifying day-to-day, you're happy. Oh, and you're constantly tuning out commercials, i. e. , conversations about how Wanda didn't let Mark take a personal day at work. 6. That's right, nerds, I'm calling soccer the Swann in Love of sports. 7. To non-soccer fans, it's amazing how many soccer highlight clips end in missed shots. To soccer fans, this is totally normal. 8. Here's the full quote: "I go about the world, hand outstretched, and in the stadiums I plead: 'A pretty move, for the love of God. ' And when good soccer happens, I give thanks for the miracle and I don't give a damn which team or country performs it. " 9. And apparently missed another easy chance, too, although I didn't catch it. 10. De Marcos' right side.
  6. Tempo di quaresima Al «Corriere» non resta che vendere i gioielli Saltato l’accordo con l’Huffington Post per colpa di «Repubblica», il gruppo ha un mese per il piano di dismissioni. Possibile buco da 400 milioni di NINO SUNSERI (Libero 21-01-2012) Per il «Corriere della Sera» si apre la stagione dei grandi saldi. Inutile parlare di investimenti. Proprio ieri è stato annunciata la nascita di Huffington Post Italia, frutto dell’alleanza tra il sito d’informazione Usa creato fra Arianna Huffington e il Gruppo L’Espresso. L’operazione vale dieci milioni e la Rcs ci girava intorno da un po’ di tempo nel tentativo di rafforzare la sua presenza sulla Rete. A quanto pare l’ultimo rilancio da parte degli arcirivali di «Repubblica» è stato irresistibile. Non resta che la quaresima. Entro un mese il gruppo dovrà esaminare un piano di dismissioni con un duplice scopo: da una parte di fare cassa e dall’altra di tagliare le perdite. Alla prima voce compare la cessione della francese Flammarion specializzata nell’editoria libraria. Dall’altra si torna a parlare di un vistoso dimagrimento dell’area periodici. Comunque non ci sono preclusioni. Tutto quello che trova un compratore, a questo punto, può essere venduto. «Anche il Corriere della Sera » spiega una fonte in vena di sorrisi amari. Una battuta certo. Ma offre la misura del problema. La Rcs è forte in Italia e in Spagna. Vale a dire le due nazioni dell’Eurozona messe peggio. L’emorragia di pubblicità e il declino dei lettori stanno scavando come talpe sui conti di Via Solferino. Nella buona sostanza sono solo Corriere della Sera e la Ġazzetta dello Sport a tirare la carretta. Con difficoltà crescenti, peraltro. I libri hanno un equilibrio un po’ precario e qualche rivista perde un po’ meno di altre. Tutto qui. In Spagna è tempesta. L’insieme di queste fatiche potrebbe portare, secondo alcuni analisti, a una perdita di bilancio pari a 400 milioni. Una cifra piuttosto consistente che imporrà scelte rigorose. O un aumento di capitale oppure una severa cura dimagrante. Non è nemmeno escluso che servano entrambe le medicine. La sola vendita di Flammarion potrebbe non essere sufficiente. La casa editrice francese, nella migliore delle ipotesi, porterà 200 milioni. Una bella cifra. Ma certamente non risolutiva. Già adesso il debito di Rcs è vicino al miliardo. Il peso della Spagna ha aggravato la situazione. Senza contare la svalutazione degli avviamenti. Anche Flammarion avrebbe bisogno di una bella tirata a lucido prima di essere messa sul bancone del supermercato. Il 77% della casa editrice venne acquistata da Rcs Libri nel 2000 per circa 230 miliardi che equivaleva ad una valutazione complessiva dell’azienda di 300 miliardi. Di recente sono emersi dei problemi. Come recita l’ultima relazione di bilancio «ricavi e margini sono sensibilmente diminuiti rispetto al 2010. Nei nove mesi dell’attuale esercizio la controllata transalpina ha garantito un giro d’affari sceso a 147,9 milioni (-2%)». Dal punto di vista industriale non rappresenta più quell’importante presidio nel mercato francese dei libri come un tempo. I problemi di bilancio della Rcs si incrociano con gli appuntamenti societari. All’assemblea di aprile il consiglio d’amministrazione deve essere rinnovato. Diego Della Valle e Giuseppe Rotelli sono intenzionati a far sentire il loro peso. Soprattutto il patron della Tod’s non ha mai nascosto le proprie ambizioni. Vuole accrescere la sua quota del 5%. E vorrebbe anche la responsabilità della gestione convinto di poter sistemare l’azienda facendola tornare fonte di guadagno (da aggiungere al peso politico che non ha mai perso). Gli altri azionisti puntano i piedi (a cominciare da presidente di Banca Intesa, Giovanni Bazoli). L’urgenza di un aumento di capitale favorirebbe il riassetto. Il nuovo consiglio sarà l’esito del braccio di ferro.
  7. TIFO E ORDINE PUBBLICO Stadi più sicuri (forse) di MARCO IARIA (Sport Week 21-01-2012) I bollettini parlano ancora di giocatori presi a pugni (quelli della Sampdoria dopo il k.o. con la Nocerina, il 29 ottobre), di striscioni indegni sulla strage dell’Heysel (al Meazza per Inter-Juve, ancora il 29 ottobre), di teppisti che si azzuffano e costringono l’arbitro a sospendere la partita per qualche minuto (Genoa-Milan, 2 dicembre), di assalti in stile Far West negli spogliatoi (quelli dell’Ebolitana, squadra di Seconda divisione, 10 gennaio). «Io allo stadio non porterei mai un bambino», ha detto di recente il milanista Antonio Nocerino. Difficile dargli torto, non fosse altro per gli impianti scomodi, vetusti, così privi di fascino che l’Italia si trascina dietro come un fardello: l’età media di quelli di Serie A è 68 anni. Eppure i freddi numeri disegnano una parabola discendente nell’escalation del tifo violento e sanciscono, almeno in parte, l’efficacia delle misure repressive adottate dopo la morte dell’ispettore Raciti a Catania, il 2 febbraio 2007. Dalla stagione 2005-06 a quella scorsa, gli incontri di calcio professionistico con incidenti sono diminuiti del 56%, i feriti tra i tifosi del 58%, i feriti tra le forze di polizia dell’81%, gli arrestati del 48% e i denunciati del 10%. Un trend che sta proseguendo quest’anno, come dimostra un particolare: l’Osservatorio sulle manifestazioni sportive ha adottato finora misure straordinarie nei confronti di due sole tifoserie, quelle di Nocerina e Verona (in B), cui è stato dato un avvertimento: se violate il “codice etico”, per esempio intonando cori razzisti, vi togliamo la Tessera del tifoso. L’uscita dall’emergenza ha prodotto una sensibile riduzione del personale delle forze dell’ordine: dai 243 mila uomini impiegati nel 2005-06 ai 158 mila del 2010-11. Perché ormai sugli spalti ci sono quasi solo steward. Ne vengono utilizzati 200 mila nell’arco di una stagione e le loro funzioni sono state potenziate: possono perquisire i tifosi, ma le curve più selvagge restano off-limit. La smilitarizzazione è stata avviata, eppure i sindacati di polizia chiedono che, visti i tempi di crisi e di tagli, i costi della sicurezza siano a carico delle società di calcio. E comunque uno stadio senza agenti non basta, se restano le barriere a dividere campo e tribune. L’ex ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ne aveva fatto il punto finale del suo programma. L’abbattimento delle recinzioni, tra l’altro, è un mantra per l’Uefa, che non ha visto di buon occhio l’introduzione della Tessera del tifoso. Al suo secondo anno di vita, la card continua a suscitare polemiche, l’ultima legata all’abbinamento con le carte di credito prepagate imposto da alcuni club ai sostenitori e considerato dal Consiglio di Stato una pratica scorretta. Ma, guardandola dall’oblò dell’ordine pubblico, la tessera ha funzionato, senza portar via tanti spettatori (-2,4% in a nella stagione del via). Tutto quanto nell’estenuante attesa che passi la legge sugli stadi di proprietà: a quel punto le società italiane, assuefatte alle rendite della tv e poco attente agli spettatori “live”, non avranno più alibi.
  8. Palazzo di Vetro di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 21-01-2012) CONI & GIUSTIZIA, DEDICHE PER ABETE PALAZZI E LOTITO Giovanni Morzenti non potrà ricandidarsi ai vertici della Federazione italiana sport invernali attualmente commissariata, e Claudio Lotito presto non potrà più sedere nel Consiglio federale della Federcalcio. Sono le conseguenze più dirette della direttiva Coni del 20 dicembre scorso sulla sospensione dalle cariche federali per quanti siano stati condannati penalmente anche solo con giudizio di primo grado, che, riveduta e (pochissimo) corretta, giovedì 2 febbraio sarà licenziata dalla Giunta e dal successivo Consiglio Nazionale. Norma «cautelare» e non «sanzionatoria» a tutela dell’etica sportiva, ha anticipato il Coni: il modo per bypassare l’eccezione sollevata dalla Corte di Giustizia federale, che aveva valutato come impraticabile l’esercizio della «retroattività», facendo infuriare Petrucci. Basterà per placare le voglie ri-elettive di Morzenti e la tradizionale «vivacità» di Lotito? Probabilmente no. Il primo temporeggia nel ricorrere al Consiglio di Stato dopo la sentenza del Tar del Lazio che ha dato ragione all’Alta Corte del Coni sull’annullamento delle elezioni Fisi con una precisa finalità: per la nuova assemblea elettiva è stata fissata la data del 31 marzo e se c’è pendente un ricorso l’assemblea è a rischio di sospensiva e dunque di rinvio. E Morzenti, che ad aprile ha il processo d’appello per la concussione cui è stato condannato in primo grado, punta tutto su un’assoluzione che gli consentirebbe poi di ricandidarsi. Quanto a Lotito, avrà comunque diritto a partecipare al primo Consiglio federale, quello in cui Abete dovrà fare proprie le decisioni del Coni. Altre puntate in arrivo, insomma. Ma Giunta e Consiglio Nazionale riserveranno ben altre sorprese, intervenendo pesantemente sui Codici di Giustizia Sportiva, con dedica personalizzata per il Procuratore Palazzi (e pure per Abete). Brevi per definizione ma diventati talvolta assai lunghi nel pianeta calcio, i tempi della giustizia federale saranno ulteriormente ridotti. Le indagini dovranno essere aperte e chiuse entro 90 giorni e dunque non ci sarà più una Juventus costretta ad aspettare 14 mesi per sentirsi rispondere. I gradi della giustizia sportiva passeranno da tre a due, consentendo agli appellanti di ricorrere in secondo e a quel punto ultimo grado all’organo di giustizia preposto dalla Federazione o, in alternativa, al Coni (sia essa l’Alta Corte o il Tnas, a seconda dei temi trattati). E ancora: sarà sancito che i titoli vengono attribuiti o revocati dal Consiglio federale, che dunque non sarà più «incompetente». Anche qui, ai dirigenti della Juventus (e dell’Inter) fischieranno le orecchie.
  9. MANOVRE LUNEDÌ L’ASSEMBLEA DOVREBBE ELEGGERE COME NUMERO 2 IL PATRON DEL GENOA E COME CONSIGLIERE IL ROMANISTA FENUCCI Lega, Preziosi vicepresidente E Beretta rimane fino all’estate Si chiudono 7 mesi di vacanza anche per dare un segnale a Figc e Coni: niente commissario di MARCO IARIA (GaSport 21-01-2012) Maurizio Beretta resta in sella fino alla scadenza del quadriennio olimpico, cioè per tutta la stagione. Però la Lega si sveglia dal letargo e, sette mesi dopo, decide di riempire le caselle vacanti del suo organigramma. Lunedì l’assemblea dei club di A dovrebbe eleggere Enrico Preziosi vice presidente di Lega e Claudio Fenucci consigliere: sostituiranno rispettivamente Rosella Sensi e Riccardo Garrone. La prima era decaduta dall’incarico dopo aver venduto la Roma agli americani, il secondo aveva lasciato in seguito alla retrocessione della Sampdoria in B. La domanda è: come mai ci si è pensato solo ora? Probabilmente perché è arrivato il momento giusto per lanciare un segnale di compattezza politica e di inattaccabilità formale verso l’esterno. Antefatti Claudio Lotito è ai ferri corti con Fig e Coni, che sta esercitando un fortissimo pressing perché abbandoni la poltrona di consigliere federale dopo la condanna penale in primo grado. Una battaglia nella quale il patron della Lazio —il cui consenso tra i colleghi è sempre più vasto—ha trascinato la stessa Lega, che a novembre chiese a gran voce alla Federazione di modificare l’articolo 22 delle Noif congelando la sospensione dei dirigenti coinvolti in Calciopoli. E c’è di più. Dallo sciopero dei calciatori al «doping legale» non sono mancati gli attriti tra la Serie A e Petrucci, con più o meno esplicite minacce di commissariamento. Ecco, uno degli appigli che potrebbe giustificare un’azione così clamorosa è la struttura monca della Lega: un presidente dimissionario da marzo, un vice e un consigliere vacanti. Preziosi e Fenucci colmano quei vuoti. Il presidente del Genoa, già vicepresidente di Lega tra il 2004 e il 2005 (lasciò per la combine col Venezia) , ha un grande feeling con Lotito e Galliani: nella battaglia sui diritti tv stava con le medio-piccole ma sa come barcamenarsi. Quanto all’amministratore delegato della Roma, la sua competenza è apprezzata un po’ da tutti, e poi il club giallorosso andava ricompensato dopo l’addio della Sensi. Varie ed eventuali Lunedì all’ordine del giorno c’è pure la governance, con la scelta di un modello organizzativo più efficiente che strizzi l’occhio a Premier e Bundesliga. Ma la sensibilità di club come Palermo e Udinese non pare contagiare gli altri. Sembra, invece, essere arrivata l’ora di tornare a intavolare una trattativa con l’Aic: oggetto la spinosa convenzione promopubblicitaria.
  10. LA RETE DEL CALCIOSCOMMESSE TUTTI DENTRO? Masiello parla di altre sette partite di A combinate: secretato l’interrogatorio di ANTONIO MASSARI & MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 21-01-2012) Le parole. Il volto. La paura. Se la fisiognomica significasse qualcosa, Andrea Masiello e il calcio italiano starebbero sguazzando in uno stagno più sporco di quanto non appaia. Eccolo, il supertestimone. Il “pentito” che storce la bocca quando lo si etichetta come tale, mentre esce alle 17:30 dall’interrogatorio di Cremona. Stravolto. Gli occhi che cercano qualcosa all’orizzonte. Sensibilmente più stretti di due ore prima quando si impegnava a sillabare la versione concordata con il suo legale, Salvatore Pino: “Sono tranquillo come è sereno chi non ha nulla da nascondere” e provava a mostrarsi in equilibrio. Impresa improba. L’interrogatorio di Masiello viene secretato dal Pm De Martino (è la prima volta e non è un caso), ma appare chiaro che il difensore non abbia eretto barricate. Avrebbe allargato il contesto. Raccontato gli inconfessabili retroscena di più di una gara del Bari. Fatto i nomi di altri giocatori. Messo alle strette, aveva deciso di presentarsi “spontaneamente”. Sapeva di non avere scelta. Di dover optare tra l’assoluta omertà e il coinvolgimento degli antichi compagni. Davanti ai magistrati e ai loro riscontri, se la sarebbe cavata sostenendo di non aver partecipato direttamente alla tentata alterazione di Palermo-Bari (terminata 2-1), ma di aver solo saputo della combine tramata dal gruppo degli zingari e da altri quattro tesserati. Omessa denuncia, dunque. Reato grave, ma non gravissimo se valutato con i parametri della giustizia sportiva. Masiello che uscirebbe dal fango come l’anti Farina, il calciatore del Gubbio che davanti al bivio, aveva scelto la strada giusta. Non pulito magari, macchiato, ma quasi salvo perché l’entità del reato contestato rappresenterebbe comunque l’unica via d’uscita per giocare ancora, forse, domani. Anche se il suo attuale allenatore Colantuono, al centro di una realtà, l’Atalanta, già duramente toccata dallo scandalo domenica lo lascerà a riposo per “stress” e come in un effetto domino senza allegria, anche il resto del castello, perse le fondamenta, rischi di crollare insieme ai suoi occupanti. In Puglia sono preoccupati. E non hanno torto. La procura barese (cha da tempo ha avviato un’inchiesta parallela) ascolterà il giocatore dell’Atalanta mercoledì prossimo. E gli chiederà conto di altre sette gare (le ultime del torneo 2010-2011) sulle quali si sta indagando da mesi. SU QUESTE partite, anche a Cremona, Masiello avrebbe ammesso più di qualcosa. E da lì, anche a Sud, si ripartirà. Nell’attesa si può solo tornare a ieri. Al Bari dello scorso anno, precipitato dalla possibile Europa League della stagione 2009-2010 alla retrocessione anticipata. Agli stipendi non pagati da marzo del 2011. Ai cattivi pensieri. Alle frequentazioni di Masiello (in buoni rapporti con uno dei terminali della banda degli zingari, l’ex mediano Antonio Bellavista). Alle partite strane, perse senza un apparente perché. A una realtà pesantemente indebitata e oggi nei guai. Penalizzazione in vista dai 3 ai 5 punti (se non peggio) e rilettura popolare (senz’appello) del recente passato. Una squadra, il Bari, allora guidata dall’attuale timoniere del Torino, un galantuomo genovese di nome Giampiero Ventura, cresciuto nelle tempeste. A tarda sera, mentre cena con i suoi ragazzi, lascia sul taccuino una lama: “Come mi sento? Obiettivamente molto triste”. Una formazione franata su se stessa, il Bari, su cui in città si rincorrevano le voci. Il luogo in cui giocava Masiello che chiamato in causa dall’ex difensore del Piacenza Carlo Gervasoni, si sarebbe finalmente liberato riannodando i fili . Nata nello scetticismo e proseguita in un clima di impaurito silenzio, l’inchiesta di Cremona fa passi lunghi. Chi sa, rimane in carcere. Chi deve ancora essere ascoltato (si parla di 41 nuovi indagati, un mazzo di calciatori di serie A) lo sarà. Tra coloro che son sospesi rimane l’ex calciatore Alessandro Zamperini. I suoi legali avevano chiesto la scarcerazione immediata. Niente da fare. Ed evitato pare, ma solo per ora, il rischio di frammentazione dell’inchiesta. I giudici del tribunale del Riesame di Brescia, hanno riconosciuto la competenza della procura di Cremona e l'esistenza del reato di associazione per delinquere, anche transnazionale. MA HANNO fornito un'indicazione di cui De Martino e i suoi, dovranno necessariamente tenere conto valutando i singoli reati. La competenza futura è infatti una nebulosa. Si tratterà di individuare il luogo in cui il “delitto” e' stato consumato e non si tratterà necessariamente della sede dell’ipotetica gara incriminata. C’è lavoro alle porte ma a prima vista, nella rete, rimarranno soprattutto palloni sgonfi.
  11. Non sarà la solita passerella Perché la Coppa d'Africa di quest'anno può essere l'alba di un nuovo calcio di FRANCESCO CAREMANI (Il Foglio.it 20-01-2012) La strada che porta allo stadio di Bata spazzata dal vento dell’Atlantico, mentre lo sguardo si perde nel golfo di Guinea. Sarà così la prima volta della Guinea Equatoriale alla Coppa d’Africa. L’esordio con la Libia aprirà la ventottesima edizione della manifestazione continentale, che non sarà (solo) la solita passerella per i procuratori europei e arabi a caccia del nuovo Boateng, perché potrebbe essere l’anno zero di un nuovo calcio africano con Costa d’Avorio, Ghana e Senegal in prima fila, anche se quest’ultimo non ha mai vinto, i ghanesi l’ultima delle quattro coppe l’hanno conquistata nell’82 e l’unica degli ivoriani risale al ’92. Venendo, infatti, a mancare in un colpo solo Egitto, Camerun, Nigeria, Algeria e Sudafrica, vengono a mancare ben 15 vittorie, senza contare che le ultime tre edizioni gli egiziani se le sono aggiudicate contro Costa d’Avorio, Camerun e Ghana. Ma mentre in Libia la Nazionale, nella partita col Mozambico, scendeva in campo con una maglia che richiamava la bandiera degli insorti (ricevendone la benedizione), l’Egitto s’è sportivamente perso nel caos di una rivoluzione a metà. Non mancano all’appuntamento, invece, Marocco e Tunisia, il primo allenato dal belga ex Milan Eric Gerets, il secondo dal tunisino Sami Trabelsi. Mbark Boussoufa è la stella dei marocchini che dopo aver vinto molto in Belgio è volato dai russi dell’Anzhi con passaporto olandese. Oussama Darragi, playmaker offensivo e capitano dell’Esperance Tunisi è invece l’osservato speciale delle Aquile di Cartagine, reduci dalla rivoluzione dei Gelsomini che ha liberato il Paese da Ben Ali. Espressione di un continente che ha nel Nord uno dei principali motori della crescita economica, negli ultimi cinque anni l’incremento medio del Pil dei Paesi che si affacciano sul mediterraneo è del 5 per cento, con il settore energetico e quello agricolo a farla da padroni. Il forte controllo pubblico delle banche e la ridotta dipendenza da finanziamenti stranieri ha, inoltre, tenuto questa zona al riparo dalla crisi finanziaria. Ma la vera rivelazione africana è l’Angola. Uscita ai quarti di finale nelle ultime due edizioni della Coppa d’Africa, qualificatasi ai Mondiali di due anni fa, nell’ultimo decennio è il Paese che è cresciuto di più al mondo con un Pil medio annuo dell’11,1 per cento contro il 10, 5 della Cina. Stabilità politica (dopo una guerra civile durata quasi trent’anni), riforme economiche, aumento del prezzo del petrolio, nuovi giacimenti offshore, espansione della spesa pubblica e nuove infrastrutture gli elementi che hanno reso il Paese una nuova tigre economica. Anche se il 60 per cento della popolazione vive in condizione di povertà, estrema un altro 25 per cento, con un’aspettativa di vita intorno ai 42 anni e Luanda, la capitale, è la città più cara al mondo. Contraddizioni di un continente capace, come nel football, di grandi exploit e in entrambi i casi sarà solo la continuità a fare la differenza. A volte il calcio può esprimere una ricchezza diffusa, altre è solo la forza della disperazione, come per il Burkina Faso. Dilaniato dalla malaria e dell’Aids è una della nazioni più povere del mondo con un’alta mortalità infantile, infrastrutture nulle e una dittatura militare che soffoca un’economia in cui la struttura industriale è praticamente assente. Il Ct è il portoghese Paulo Duarte, che dopo quattro anni di lavoro spera di raccoglierne i frutti con giovani interessanti, un nome? Fadil Sido, classe ’93. Come la Guinea Equatoriale, che ospita la manifestazione insieme al Gabon, anche Niger e Botswana sono esordienti, ma il giocatore più atteso resta Didier Drogba alla ricerca della consacrazione con la propria Nazionale, motivatissimo e con una condizione fisica in crescita. Un africano plasmato alla scuola europea, come quasi tutto il calcio continentale; sono pochissimi, infatti, i giocatori che militano nei campionati locali, a parte l’eccezione Gabon, anche se qualcosa si sta muovendo sul lato allenatori, ma finché il calcio sarà una delle poche scappatoie dalla povertà difficilmente nascerà una scuola africana. Gli unici tre campionati continentali censiti da transfermarkt.de (egiziano, tunisino, sudafricano) hanno un valore di mercato complessivo che oscilla dai 75 ai 92 milioni di euro, la media di una campagna acquisti di un club dei più importanti tornei europei. Libia-Senegal, Costa d’Avorio-Angola e Marocco-Tunisia i match da non perdere, in attesa dei quarti e di qualche sorpresa. Per la finale di Libreville c’è tempo.
  12. LA TIRANNIA DELLA RETE Che triste quest’era di spioni in cui non si può essere cazzari in santa pace di FRED PERRI dalla rubrica "SPORT ÜBER ALLES" (TEMPI | 25 gennaio 2012) L’altro giorno parlavo con mia moglie: perché non facciamo una crociera, che dici? Una tempistica perfetta, direi, ha risposto lei indicandomi Sky Tg24 che trasmetteva in diretta il disastro del Giglio. Che dramma, ma non è di questo che voglio parlare, piuttosto di You Tube: pochi istanti dopo la tragedia, in rete, c’erano già i filmati girati dai passeggeri. Cioè questi stavano affondando, al freddo e al gelo, e intanto filmavano. È un po’ come quando mi si è incendiata l’auto sotto i glutei. Mi sono ritrovato circondato di aspiranti seguaci della Gabanelli. È un po’ come quello che ha messo in giro la storia di De Sanctis, il portiere del Napoli che non esulta. È un po’ come quelli che ora vanno in giro a denunciare i commercianti che non danno gli scontrini, o come quelli che hanno rovinato quell’incauto di Iachini, l’allenatore della Sampdoria, che insulta i genoani. Ma siete così anche voi, lettori di Tempi? Siete dei cialtroni voyeuristici, degli spioni improvvisati del terzo millennio? Mi auguro, per voi, di no. Io ripenso, con nostalgia, alla setta a cui appartenevo all’Università, nei mitici Settanta. Ci chiamavamo “i cazzari maledetti”. Il perché, è ovvio. Oggi finiremmo sputtanati sulla “rete” in un attimo. Oggi viviamo, senza aver fatto i provini, in un gigantesco grande fratello. E qualcuno è pure contento. Io, se fosse davvero mio fratello, lo prenderei a calci nel cülo.
  13. Finalmente affrancati dallo schiavismo di cuoio di ITALO CUCCI dal blog "La barba al palo" (Avvenire.it 20-01-2012) Nel 2004 ho recensito un libro straordinario capitatomi sott'occhio per un titolo particolare: “Sognando Maldini”. Autrice una famosa scrittrice senegalese di lingua francese - Fatou Diome - non parlava di calcio se non per il desiderio d'Europa che nasceva fra i giovani di un piccolo villaggio del Senegal che come tanti coetanei del mondo correvano dietro a una palla. Ne ho conservato memoria perché mi ispirò alcuni articoli e interventi tivù al Mondiale di Germania che ci laureò campioni dopo avere battuto (anche) una squadra africana, il Ghana. E anche per queste indimenticabili parole di Fatou: «Essere ibrido, l'Africa e l'Europa si chiedono perplesse quale parte di me appartenga all'una o all'altra. Sono il bambino presentato alla spada di Salomone per un'equa spartizione... Sono la cicatrice spuntata là dove gli uomini, tracciando le frontiere, hanno ferito la terra di Dio... ». Per me è sempre stato motivo di scandalizzato stupore il fatto che le miriadi di scrittori di calcio - moltissimi gli abusivi, come notava anche Brera - pronte a catoneggiare, a cedere al moralismo più vieto per antiche o recenti cialtronate di protagonisti del gioco più popolare del mondo, non abbiano mai denunciato quella forma di schiavismo del ventesimo secolo rappresentata dalla tratta dei calciatori africani in Europa. Già la tecnica d'ingaggio rivelava una sorta di colonialismo: allenatori avventurieri europei accorrevano alla guida della Nazionali africane, talvolta a quella di club professionali, per “scoprire” talenti da comprare a quattro soldi e rivendere in Inghilterra, in Spagna, in Italia, per non dire della Francia o dell'Olanda colonialiste, pronte a naturalizzare le loro prede. Alla periferia della civilissima Bologna fu addirittura scoperto un misero ricovero, un piccolo lager dove si occultavano ragazzini neri per un immondo mercato. Oggi, se Dio vuole, si assiste a un cambiamento fondamentale, e ne parlo alla vigilia della Coppa d'Africa che non è più una fiera/mercato ma una competizione rispettosa degli atleti, degli uomini, dello sport. Della dignità dell'Africa che vede partecipare al torneo anche l'orgogliosa, appassionata Libia appena sortita da una sanguinosa guerra fratricida. Sono sei i calciatori africani d'Italia partiti per Guinea e Gabon, Paesi ospitanti la Coppa. La Nazionale più rappresentata è il Ghana, con l'interista Muntari, il genoano Alhassan e i Due dell'Udinese (Asamoha e Badu); due i marocchini (kharja della Fiorentina e Benatia dell'Udinese). Grandi assenti dalla Coppa: Egitto, per problemi interni; Camerun, per dissidi di squadra espressi al massimo da Eto'o superstar, squalificato per cinque turni; e Nigeria, la Nazionale più forte a livello mondiale. Oggi gli africani d'Italia sono tutti ragazzi estranei all'antica tratta dei neri, spesso liberi di scegliersi anche un'altra patria calcistica, e non solo. Non sono più - salvo rari casi - oggetto di cronache curiose o di insolenze razziste. E soprattutto sono invocati, come Emmanuel Badu e Kwadwo Asamoha, senza i quali l'Udinese rischia di perdere il titolo di Signora Qualità.
  14. L'irresistibile voglia che anche il calcio sia un gioco migliore e senza eroi di GIUSEPPE CERETTI (Il Sole 24ORE.com 20-01-2012) Nel Paese che abbonda di eroi, ma è carente di normali persone responsabili che fanno il proprio dovere, il calcio non fa ovviamente eccezione. Simone Farina, chi è costui? Fino a qualche settimana fa solo un difensore del Gubbio, più uomo di panchina che di campo, alla soglia dei trent'anni e con una dignitosa carriera alle spalle nelle serie minori. Ora quel giovanotto viene osannato ed è diventato un eroe per aver rifiutato una bella somma e denunciato i corruttori delle scommesse. Ha resistito alla seduzione del denaro, senza nemmeno disporre quale contropartita del talento che può produrre moneta pulita in abbondanza (anche se, come si è visto, ciò non costituisce deterrente). Ora il carneade Simone è diventato una celebrità: Blatter lo ha invitato alla cerimonia della consegna del pallone d'oro mentre Prandelli lo vuole nel prossimo ritiro della Nazionale. Pare così che altri giocatori reclamino il loro angolo di notorietà per aver resistito ai figuri delle scommesse. Spiega ai cronisti Fabio Pisacane, giocatore della Ternana: anch'io dissi no e li denunciai, sei mesi prima di Farina. Detto e fatto, tanto che l'associazione calciatori lo ha invitato e premiato a un galà. Sotto al prossimo. Nulla da dire se in passerella finisce una volta tanto l'onestà. Tuttavia resta il timore che le luci della ribalta accese sugli onesti non aiutino più di tanto il calcio così come il capitano De Falco (quello che ha preso telefonicamente per le orecchie lo sciagurato comandante Schettino) serve a ben poco a tutti noi se trattato come una star. È sempre e solo tifo, buoni contro cattivi, eroi contro vigliacchi. Meglio i riflettori spenti e il silenzio: forse capiremmo che Simone Farina, a dispetto dell'età, è solo un galantuomo, capace di rifiutare denaro illecito per tirar calci a un pallone così come per noi dovrebbe essere normale rifiutare una mazzetta per evadere una pratica o non cercare di aggirare il fisco. Farina è un buon esempio e non un guitto della commedia umana da far sfilare in passerella. Così ci regalerebbe davvero il più bel sogno: un calcio migliore in un'Italia migliore, beata e senza bisogno di eroi come il Paese immaginato da Brecht nella vita di Galileo. Meno qualità alla ripresa del campionato Onore all'Inter che ha vinto il derby, a dispetto della maggioranza dei pronostici. Il saggio Ranieri ha fatto di necessità virtù e della prudente attesa la sua arma vincente, in attesa di ritrovare i suoi uomini più fantasiosi (buono il ritorno di Sneejder nell'incontro vinto dai nerazzurri in Coppa Italia contro il Genoa). Resta tuttavia l'immagine non esaltante offerta da due delle maggiori squadre italiane, l'una attendista per necessità e l'altra troppo lenta per offrire spettacolo e troppo dipendente da Ibrahimovic. Dopo una buona fine del 2011, con la qualificazione di ben tre squadre agli ottavi di Champions, il campionato è ricominciato in tono minore e con meno qualità. Alle spalle dell'affaticata coppia di testa, solo i nerazzurri vanno spediti: stentano Udinese, Lazio, Napoli e la sorpresa Atalanta, che non sembrano in grado di tenere il passo proposto in apertura di campionato. Solo un fenomeno stagionale? La follia s'è fermata a Eboli Dalla leggenda alla cronaca degli orrori. A Eboli alcuni teppisti hanno fatto irruzione negli spogliatoti della squadra locale, l'Ebolitana, che milita nel girone B della Seconda Divisione. Giocatori picchiati e locali devastati dopo la sconfitta in casa contro il Gavorrano per 6 a 1. Un altro episodio che si aggiunge a una catena di aggressioni d'identico segno che fanno scuola. A tal punto che anche un brutto voto assegnato da un giornalista a un giocatore genera assurda violenza. Il cronista Rocco De Rosa del Quotidiano della Basilicata è stato colpito e messo ko con un pugno da Antonello Scavone, attaccante del Cristofaro (serie D, girone H) che ha inteso così "lavare l'onta" dell'insufficienza ricevuta. Cancellata una porcheria, resta la vergogna Con colpevole ritardo, dati i tempi di consegna di questa rubrica, ma con altrettanto piacere segnaliamo che la Corte Federale ha cancellato la penalizzazione inflitta alla squadra Freccia Azzurra di Gaggiano, comune del Milanese. Il 21 novembre scorso Sergio Gaudino, dirigente della società, muore d'infarto a bordo campo, poco prima dell'inizio dell'incontro, sotto gli occhi del figlio giocatore e della moglie che siede in tribuna. Immediata la decisione, d'intesa con la squadra avversaria, di non disputare l'incontro. Il giudice sportivo punisce la Freccia Azzurra: partita persa, penalizzazione e multa. Una porcheria, commenta la giornalaccio rosa e il collega Franco Arturi, artefici di una campagna stampa che ha portato al ribaltamento della sentenza. Una battaglia di civiltà alla quale il Sole 24Ore online si è subito associato. Ora la decisione va accolta con soddisfazione, ma senza applausi. Resta la vergogna di chi ha potuto generare un simile caso. Buon campionato a tutti
  15. Perché non si può fare outing nel calcio? di GABRIELLA GREISON dal blog su "il Fatto Quotidiano.it" 20-01-2012 Ecco: la discussione continua (leggi il post precedente), con Damiano Tommasi che interviene, di nuovo, con una sua risposta. Entra nei dettagli più significativi e pone nuove domande (che rilancio a tutti quelli hanno voglia di rispondere). Una lettera più articolata, della precedente, con un leggero passo indietro, un’apertura maggiore, e molto altro. Ve la posto. Come vedi l’ora è sempre post nanna dei bimbi….. Il link al quale mi riferivo non aggiungeva nessuna illuminata sapienza o novità, erano solo due considerazioni del tipo che non ho nessun pregiudizio ma non confondiamo la libertà di essere gay (nel senso che ognuno è, o cerca di essere, se stesso e per questo non deve essere additato, emarginato o discriminato) con l’obbligo di dirsi gay. Della trasmissione radio, poi, volevo che si notasse come non ho mai minimamente pensato di sconsigliare l’outing. (Se non ricordo male non ho detto questo e ora non vorrei attardarmi ad andare a riascoltare). Come potrei dare consigli se non conosco per bene la realtà che vive chi si dovrebbe/vorrebbe esporre? Alla domanda perché i gay nel calcio (perche ci sono di sicuro, lo si deduce dalle statistiche) non lo dicono, ho solo posto alcune riflessioni del tutto personali che non mi hanno mai impedito di convivere serenamente con eterosessuali e omosessuali. Mi ha chiesto l’intervistatore, se avessi mai conosciuto gay nel calcio e (è la verità non astuzia) non ne ho mai conosciuti, o meglio, non mi ha mai detto nessun calciatore di essere gay per cui magari conosco calciatori che sono gay ma non lo so che lo sono……( non mi sembra omofobia) Detto questo mi sono sempre chiesto perché nella mia vita non mi sono mai dichiarato eterosessuale? E perché se un calciatore è omosessuale lo dobbiamo sapere? Credo che da giornalista affermata non possa tu non ammettere come sarebbe (ahimé) travolgente la notizia di un calciatore famoso gay per i media, tv, riviste di gossip e tutto ciò che ne segue. O forse sarebbe trattato alla stregua di un conduttore televisivo o uno stilista? Cioè con assoluta normalita’? Comunque, non è che anche considerare ‘doveroso’ l’outing sia una forma di discriminazione? Perché l’eterosessuale no e l’omosessuale sì? Infine per esperienza personale posso immaginare cosa significhi tenersi tutto dentro quando le proprie tendenze sessuali sono considerate un problema, non potrei mai pensare che, come si può evincere da certi commenti alla mia intervista, che sono retrogrado e non accetto l’omosessualità nel calcio…….solo non accetto la banalizzazione di un tema che genera ‘prurito’ e ‘curiosità’ spesso a discapito solo ed esclusivamente dei diretti interessati e non certo al mondo del calcio. Ora basta perché immaginando che verrà postata anche questa mia piccola/lunga digressione non vorrei che si pensasse ……. ”ma non ha nient’altro da fare quello?” P.s. : La terza persona era riferita al personaggio dal quale in questo mondo si fatica sempre più a distaccarsi per essere sempre più spesso persona……hai fatto bene a non prenderla sul serio anche se la considerazione di me è soprattutto la consapevolezza di avere la completa responsabilità di me stesso ma qui si aprirebbe un altro capitolo che lascio volentieri perdere……… Hasta la proxima Damiano Dunque, sì, Tommasi ci ha visto giusto: tutto verrà postato, per il semplice motivo che leggendo la raffica di commenti apparsi sia sul mio blog, sia su quello sul sito del Fatto Quotidiano, sia su quello di Cadoinpiedi, in cui tutta la discussione è stata ripresa fin dall’inizio, dicevo: visto il gran numero degli interventi, l’argomento è di grande interesse, ma ci sarebbe ancora e ancora e ancora tantissimo da dire, e chissà che non si arrivi a qualcosa di più significativo. Andando con ordine, ma partendo da fine lettera, e salendo, prima rispondo a Tommasi su una cosa: nessuno dirà mai “non ha nient’altro da fare quello”, con il tono che pensi tu, perché parlare di queste cose fa bene, e sicuramente l’aver risposto (e di persona), ti rende umano, e intellettualmente interessante. Poi, rifletto sulle domande. Intanto, è un passo avanti il fatto che il presidente dell’Assocalciatori, abbia voglia di tenere alta l’attenzione su questo tema, senza nasconderne l’esistenza o fingendo che non ci sia (statistiche alla mano: secondo gli ultimi dati diramati dall’Oms, 10 persone su 100 sono omosessuali: una rosa di calcio è composta da 30 giocatori, il conto si fa in fretta…). Sta nel suo ruolo, comunque, di impegnarsi a limitare o risolvere il problema della discriminazione: senza rafforzare il tabù esistente, chiedendo di non fare coming out ai calciatori omosessuali, come (erroneamente? bah, io l’ho riascoltata, e diceva proprio così) abbiamo tutti capito lui avesse detto durante quella famosa intervista. Ma le domande che pone, non sono del tutto condivisibili: perché io devo sapere che Cassano è stato con 600 donne, o che Vieri sta con l’ennesima velina? Perché il mondo del calcio inneggia, esalta, mitizza, i calciatori che hanno tante donne. E perché succede questo? Perché c’è uno spogliatoio da condividere? Mi sembra assurdo. Nel calcio femminile, per esempio, non avviene questo. Oppure, nei tuffi? Ricordate quando Matthew Mitcham ha fatto coming out, e tutte le istituzioni australiane si sono strette intorno a lui, sorreggendolo nella sua scelta di parlare di questo davanti alle telecamere? L’ho conosciuto di persona, Mitcham, durante gli ultimi mondiali di nuoto qui a Roma, è mi ha raccontato della normalità della cosa. E lui era stupito del nostro stupore. Eppure, seguendo la logica delle domande di Tommasi, non condivide pure lui lo spogliatoi con altri tuffatori? Oppure, Anton Hysen, in Svezia, è calciatore, e ha detto di essere gay, di recente. Cosa è successo? Niente. Gioca e vive, da calciatore. Da noi non può succedere? Veramente Tommasi pensa che la stampa possa uscire con titoli a quattro colonne, e tutti giù a ridere? Siamo circondati, nella moda, nella musica, nello spettacolo, da gente che si dichiara omosessuale, e lo fa per stare bene con se stesso, per non fingere di essere quello che non è. Ma nel calcio, l’omosessuale, non può ammettere di esserlo, e addirittura deve fingere di girare con questa o quella modella, per mascherare l’apparenza. Quanto male sta uno che fa così? Io penso, forse ingenuamente, che se mai facesse coming out un calciatore del nostro campionato, con grande coraggio e stima per se stesso, beh, sì, a ruota lo farebbero pure tutti gli altri. E noi (stampa, società di calcio, istituzioni) dobbiamo essere pronti a reagire di conseguenza, accogliendo la normalità della cosa. Quello che si chiede Tommasi, invece, è perché c’è questa curiosità sull’argomento. Beh, no, non c’è nessuna curiosità morbosa, ma semplicemente, credo che il machismo nel mondo del calcio sia una cosa così ridicola, antica, povera, arrogante, stupida, bassa (e berlusconiana?), che andrebbe debellata.
  16. LEGGETE! LA COLLANA CHE SI INDIGNA. CON IL PUNTO ESCLAMATIVO DAL BESTSELLER INDIGNATEVI! CHE IN ITALIA HA VENDUTO 150 MILA COPIE (E TRE MILIONI NEL MONDO) ALL’ULTIMO GODETE!. STORIA DI UN GRANDE RITORNO, SIA COME GENERE LETTERARIO CHE COME GUADAGNO: IL PAMPHLET. GLI EDITORI? AGNELLI, DALAI, BOOSTA . . . di MARCO CICALA (IL VENERDI DI REPUBBLICA 20 GENNAIO 2012) TORINO. Sono partiti con appena dieci titoli l’anno. E meno male, verrebbe da dire, trattandosi di titoli che attentano gravemente alla tenuta del miocardio. Tutto è cominciato con Indignatevi! Poi via, a raffica: Ripartiamo! Scegliete! Liberatevi! Godete! E, da ultimo, Liberiamo Babbo Natale! Calma. Macché. A passo d’adunata bersagliera, la casa editrice torinese Add corre verso i tre anni di vita. Anni rullanti, al ritmo di un nuovo format: il pamphlet esclamativo. Quando, nel 2010, il 93enne Stéphane Hessel diede alle stampe in Francia il fortunato Indignez-vous!, non immaginava certo di aver scoperchiato un vaso di Pandora. Da allora – complice la crisi – l’indignazione è diventata movimento di piazza, modus protestandi, sentimento popolare, griffe di neo-civismo, parola sulla bocca di tutti quelli che non ci stanno. A puntellarla, blandirla, istigarla, una sfilza di opuscoli che sembrano rianimare una formula ritenuta sopita, se non estinta: quella del brûlot, il libello incendiario. Salvo che, a differenza di una tradizione compresa fra Illuminismo e Novecento, qui non si vuole tanto bruciare il nemico quanto accendere l’amico, scongelare nel torpido citoyen del XXI secolo l’eros ibernato della passione partecipativa. O quantomeno critica. Perciò il neo-pamphlet non ha nulla di eversivo, non vuole épater le bourgeois né écraser l’infâme: è sdegno democratico, antiideologico, interclassista. Al vieto interrogativo del Che fare? preferisce l’esclamativo. Non intima: esorta. Scuote. Ridesta. Tiene connessi. Vigili. È fermo, quasi mai cattivo. Concentrandoli, mette in ordine bollori diffusi, inquietudini disperse o in sonno. Denunciando, conforta. Alza la voce, ma senza sforare oltre i decibel della decenza. Mira a qualcosa che sta fra pancia, cuore e cervello. Dunque possono accusarlo di rimestare nel torbido inconscio populista come, al contrario, di sigillare l’esasperazione dentro il soffice packaging del politicamente corretto, o di un neo-idealismo da patrioti civici, anime belle. Ma tant’è. In tutto il mondo Indignatevi! ha venduto oltre 3 milioni e mezzo di copie, più di 150 mila in Italia. Solleticando che genere di corde? «Il successo dei pamphlet » ritiene l’editore Michele Dalai, «rivela che c’è un bisogno di messaggi nitidi, conclusi». Non è per forza una buona notizia: tra l’esortazione e la parola d’ordine il crinale è sdrucciolevole. «Certo, esiste il rischio di flirtare con una sorta di massimalismo populistico. Ma c’è esclamazione e esclamazione» C’è il Vaffa! dell’antipolitica e – fa notare Dalai – «il Si vergogni! che tra i politici è di gran moda». Vergognosamente. Mentre i pamphlet guardano altrove. Non all’elettore/consumatore, ma alla leggendaria società civile. «Ero di sinistra. Oggi mi definirei attivista democratico. Faccio libri, non lavoro a Silicon Valley» dice Dalai, classe 1973, spiegando un tentativo, stando ai numeri riuscito, «di portare idee, con un format accessibile che per una volta non sia di puro svago». Un format che impegna, ma senza soverchio impegno. Prezzo: tra 5 e 7 euro. Pagine: tra 60 e 120. Tempo di lettura calcolato? «Duetre ore». Più o meno un tragitto Milano- Roma in Frecciarossa. Profilo dell’acquirente medio? «Un lettore già forte. Da uno o più quotidiani al giorno». Molti gli studenti universitari. Però occhio: in alcuni dei neo-pamphlet si produce una saldatura inedita, e tutta da indagare, fra generazioni: un pubblico giovanile che si connette con figure della terza, o quarta, età, (Hessel in Francia, in Spagna l’economista 95enne José Luis Sampedro, da noi – ma presso l’editore Aliberti – Pietro Ingrao e Luciana Castellina). A naso, vi si potrebbe scorgere una segreta, sottilmente punitiva, volontà di scavalcare le schiere di padri e nonni (quei cattivacci che hanno vissuto nel benessere, ma egoisticamente, senza lasciare in eredità alcuna garanzia; che magari si sono ribellati, ma per meglio vendersi e integrarsi), dribblarli tutti per riattingere alle idealità generose, incorrotte, di più nobili antenati. Non necessariamente vivi (in chiave indignata si riscoprono Gramsci come Calamandrei). «Ma non è archeologia» assicura Dalai, «l’understatement, l’anti- divismo di personalità come Stéphane Hessel» sembrano intercettare il bisogno di riaffermare con fermezza non urlata – con indignazione, appunto, non vetero-rabbia «cose come lotta, diritti, partecipazione, necessità di memoria ». Di lotta e di memoria. È ancora troppo presto per dire se, con una chimica del genere, il moto dell’indignazione (che in Italia fatica parecchio a farsi movimento) possa diventare laboratorio di novità, al riparo dalle tentazioni, mai dome, della politica-vintage. Gli stroncatori hanno già liquidato il fenomeno dei neo-pamphlet come un’anticaglia, «richiamo a un sapere nostalgico, vagamente sessantottino». L’hanno buttato a mare, legandogli alla caviglia la solita categoria-macigno: «moralismo». Gli opuscoli esprimerebbero così una forma di «engagement un po’ glamour» nata «alle feste nelle case giuste» (Tommy Cappellini su Il Giornale). Perché il marchio Add ammicca, sì, al verbo inglese To add, aggiungere, portare qualcosa, ma è anche l’acronimo dei fondatori: A come Agnelli Andrea –figlio di Umberto e presidente della Juve; D come Dileo Davide, in arte Boosta – quello dei Subsonica; e D come Dalai Michele, figlio d’arte editoriale. Il fatto è però che la formula del neo-pamphlet è ormai praticata da più editori. Sta sul santissimo mercato, come tutte le altre. Funziona, e perciò viene clonata, perfino arci-spremuta. Embé? È la vecchia, cara concorrenza, bellezza. Con o senza il punto esclamativo. Interpunzione che nella modernità tecno-fredda sta vivendo una nuova giovinezza. Non solo nei pamphlet. Basti pensare a quanti sms o email si chiudono con Ciao! per tacere di Un bacio! O Un abbraccione! Come a comunicare uno straccio di calore elettronico. Tu chi@male, se vuoi, e-mozioni.
  17. L’inchiesta Il calciatore, che ha militato anche nel Chievo, sentito in Procura nel corso dell’interrogatorio su ipotesi di frodi sportive Scommesse, Cossato ammette: parlai con Gianello Il giocatore prima nega poi conferma le telefonate ma esclude «gare truccate» di LEANDRO DEL GAUDIO (Il Mattino 20-01-2012) Si è limitato a raccontare la sua passione - passione sofferta - per il calcioscommesse, per le puntate estreme, per un piatto sempre pronto ad inghiottire nuove fiches. Ha raccontato se stesso, la sua foga per il calcio immaginato, ma ha tenuto a rimarcare un concetto: niente combine, niente trucchi, niente tentativi di maneggiare i risultati (o l’andamento delle partite), niente trame occulte. La firma alla fine del racconto la mette Michele Cossato (ex del Chievo), ascoltato ieri mattina in Procura a Napoli, nel corso dell’interrogatorio reso nell’inchiesta su ipotesi di frodi sportive. Difeso dal penalista napoletano Francesco Picca, Michele Cossato non è passato inosservato. È arrivato a Napoli assieme al fratello Federico (che si è avvalso della facoltà di non rispondere), ha deciso di raccontare la sua versione dei fatti su una storia destinata - almeno per il momento - a rimanere sullo sfondo del cammino del Napoli dello scorso campionato. Interrogatorio secretato, non è impossibile immaginare dove sia andata a battere l’azione investigativa: il rapporto con l’ex portiere del Napoli Matteo Gianello, qualche conversazione di troppo, evidentemente non sfuggita al lavoro degli inquirenti. Sulle prime Michele Cossato sembra aver ammesso lo stretto indispensabile: si, è vero, ho scommesso. Sono uno scommettitore, ma non ho mai contattato colleghi nel corso del campionato per costruire il risultato perfetto. Poi, messo alle strette, sembra che si sia lasciato andare, al punto tale da concedere qualcosa in più agli inquirenti, soprattutto in merito alle telefonate con Gianello. I tabulati, in fondo, parlano chiaro, difficile negare l’evidenza. Telefonate che risalgono allo scorso anno - stando a quanto trapela dallo stretto riserbo investigativo - e che non avrebbero comunque avuto il potere di influenzare il cammino del Napoli o di altre squadre. Volevo sapere solo che aria tirava - sembra questa la posizione difensiva dell’ex calciatore - non l’ho fatto per truccare le carte, ma solo per capire come stavano le cose. Versione al vaglio degli inquirenti. Inchiesta condotta dal pool del procuratore aggiunto Gianni Melillo, un fascicolo che si arricchisce di nuovi tasselli. Pochi mesi fa, il caso Cossato era emerso anche alla luce di un altro intervento di polizia giudiziaria. È la scorsa estate, quando la Procura acquisisce computer, supporti informatici dei Cossato, ma anche di tecnici ed esperti di calcio giocato. Cosa cercano gli investigatori? O meglio: qual è il punto dell’indagine? Chiara la strategia: si indaga su un possibile traffico di informazioni gestito dentro e fuori gli spogliatoi, notizie dettagliate sulla condizione di salute dei calciatori, sulle scelte tecniche, sul clima del prepartita, sulla decisione di convocare in rosa un giocatore in particolare. Traffico di informazioni, appunto. E non è un caso che nel corso dell’interrogatorio reso da Cossato, il discorso sarebbe caduto su Cremona, o meglio, sulle indagini condotte dalla Procura di Cremona, culminate in arresti e sequestri. Vicende per molti versi speculari, indagini che puntano ad accertare suggestioni, a sgomberare il campo da sospetti. Sotto i riflettori il cammino del Napoli nelle ultime due stagioni, tante partite passate al setaccio, immagini e audizioni messe a confronto. Un chiarimento però è doveroso: non c’è traccia di combine, né è possibile parlare di ombre sul cammino del club partenopeo. Si procede per step, tanto da spingere qualche mese fa a convocare per un interrogatorio lo stesso Matteo Gianello. Difeso dal penalista Vincenzo Maria Siniscalchi, anche l’ex portiere del Napoli si è limitato ad una alzata di spalle: ho scommesso, ma non ho mai truccato le partite, mi chiedete di incontri (tipo Lecce-Napoli) per i quali non risultavo neppure tra i convocati. Passioni, alzate di spalle, incrocio di dati a voce alta.
  18. Paolillo: “Il calcio europeo è sull’orlo del crac. Anche gli sceicchi rispettino le regole” di GIOVANNI CAPUANO (Panorama.it 20-01-2012) Il calcio europeo cammina su una sottile lastra di ghiaccio portando sulle spalle un fardello pesante. Una situazione che, invece di migliorare, peggiora. Un anno fa Michel Platini definiva “immorale” la situazione patrimoniale dei grandi club: denunciavano perdite stagionali per 1, 2 miliardi di euro. Oggi il fardello è diventato ancora più insostenibile: 2 miliardi di euro di deficit nei soli bilanci chiusi al 31 dicembre 2011. “E’ l’indicazione chiara che dobbiamo fare qualcosa” dice Ernesto Paolillo, amministratore delegato dell’Inter, un passato nel mondo della finanza, braccio destro del presidente Uefa Platini sul tema del Fair Play Finanziario. Un concetto che verrà ribadito con forza anche martedì prossimo a Ginevra quando i dati della situazione finanziaria verranno presentati nella loro drammaticitò. Paolillo usa un’immagine di grande impatto: “Ricordate il timore nel 2007 che l’esplosione dei derivati provocasse il disastro dei mercati finanziari? Non essere intervenuti ha provocato la crisi a partire dal caso Lehman Brothers. Il calcio europeo oggi è esattamente in quella posizione” Nessuno pensava che una grande banca potesse fallire e, invece, accadde. Succederà anche nel calcio? “Qualche segnale l’abbiamo già avuto in Belgio, Austria e Spagna. Società costrette a finire nelle serie minori o a sparire. Qualche passaggio traumatico ci sarà” Rischiano anche i grandi club? “Forse sono più protetti perché queste regole arrivano in tempo. Però bisogna agire” Visti anche gli ultimi movimenti di mercato la sensazione è che non tutti abbiano colto la gravità della situazione. “Alcuni l’hanno capito, altri aspetteranno l’ultimo momento e altri ancora sono in difficoltà. Ma il momento è arrivato” Non è pensabile un passo indietro? “I bilanci delle squadre di calcio ricordano quelli degli stati con deficit troppo pesanti. Dobbiamo tagliare e garantire liquidità per consentire la sopravvivenza dei club medio-piccoli che vivono di mercato e senza sarebbero condannati a morire di asfissia” Eppure le resistenze non mancano “Iniziare è sempre traumatico perché si parte da un sistema senza regole” L’arrivo degli sceicchi con le loro ricchezze smisurate è un bene o un male? “Sono nuovi investitori ed è positivo perché portano soldi in un mercato che ha debiti. Però è un male se non rispettano le regole. Dovranno farlo” A dir la verità sembra che vadano nella direzione opposta… “C’è l’euforia di essere arrivati in un mondo nuovo e la volontà di vincere subito. Ma anche loro dovranno rispettare le regole se vorranno partecipare alle coppe europee” Avrete la forza di estromettere qualche grande squadra in nome del rispetto delle regole? “Cambieranno molti valori perché chi è più lontano dal punto di equilibrio dovrà tagliare in fretta e indebolirsi. Però…” Però? “Si apriranno nuove possibilità legate alla valorizzazione dei settori giovanili e credo che alla fine saranno comunque i grandi club a potersi permettere investimenti ingenti su scuole e giovani di talento” Quindi benvenuti gli sceicchi ma nessun ripensamento? “E’ così anche se dobbiamo stare attenti a non creare un sistema troppo rigido che non attragga gli investimenti” Il Fair Play Finanziario l’avete scritto quando gli sceicchi non erano ancora arrivati. Nasce già vecchio? “No. E’ vero però che l’abbiamo scritto preoccupati per la situazione dei bilanci ma adesso siamo alle prese con un mercato che si sta impoverendo anche a causa di queste regole. Dobbiamo solo aggiungere qualcosa che assicuri investimenti e iniezioni di liquidità” Troppe rigidità? “E così. Non dobbiamo far morire i piccoli” [Continua...]
  19. Premio partita: 1 milione La Coppa d’Africa ai tempi del dittatore Domani il via in Guinea Equatoriale, il Paese più piccolo E per Amnesty International tra i più corrotti del mondo di GIULIA ZONCA (LA STAMPA 20-01-2012) Un presidente despota, un delfino viveur e una squadra al debutto carica di troppe aspettative. La Coppa d’Africa inizia domani in Guinea Equatoriale con l’esordio di uno dei Paesi ospitanti (l’altro è il Gabon) contro la Libia. La sorpresa dovrebbero essere i giocatori-guerriglieri che sono riusciti a ribellarsi a Gheddafi e a qualificarsi per il torneo contemporaneamente eppure i più ansiosi sono gli altri. La Guinea Equatoriale non sa come gestire l’improvvisa attenzione. Il Paese è piccolo, 700 mila abitanti, la squadra minuscola e inesperta ma, giusto per rendere l’idea delle pressioni che si ritrova addosso, in caso di vittoria nella gara inaugurale si porta a casa un montepremi di un milione di dollari più un bonus di altri 20 mila per ogni gol. Gentile omaggio del figlio del presidente, anche ministro a tempo perso e protagonista di vari scandali grazie a una vita mondana senza freni e a spese folli mai motivate. È l’erede del grande capo, suo padre Teodoro Obiang Nguema Mbasogo è in carica dal 1979 e nelle ultime elezioni, nel 2009, è stato rieletto con il 97 per cento delle preferenze. Quanto basta per definirlo un dittatore. In caso servissero altri dettagli si può scorrere il dossier di Amnesty International che piazza la Guinea Equatoriale tra i posti più corrotti ed elenca un’impressionante serie di soprusi. I diritti umani non sono esattamente il centro del programma dell’onnipotente Teodoro Obiang NguemaMbasogo. Lui gestisce una discreta ricchezza: negli ultimi 20 anni il Paese è cresciuto grazie al petrolio e questa Coppa d’Africa fa parte di un mastodontico progetto di sviluppo. Hanno costruito un nuovo stadio e rinnovato quello che già esisteva e stanno tirando su una cittadella dentro Bata, la capitale politica, con un avveniristico centro congressi e hotel di lusso aperti la scorsa estate per il summit dell’Unione africana. È già in cantiere un fronte mare faroinico e una nuova area residenziale, Oyale. L’immagine traino di tutta questa espansione dovrebbe essere la nazionale, chiamata Nzalang, tuono in lingua Fang. Il capo di stato, addestrato all’accademia militare della Spagna franchista, già li chiama «eroi», dice che porteranno in giro per il mondo la «nuova Guinea Equatoriale». Quel che resta dell’opposizione li considera invece «un depistaggio, l’ennesima truffa. Giusto il modo di distrarre la gente dai brogli e dai problemi». E loro in mezzo. L’allenatore che li aveva preparati, il navigato Henri Michel, se ne è andato sbattendo la porta meno di un mese fa: «Troppe interferenze del governo, impossibile lavorare». La palla è passata al brasiliano Gilson Paulo che ha cercato di tenere unita la truppa. Non ci sono campioni, il meglio è Rodolfo Bodipo, una punta di 34 anni che gioca nel Deportivo La Coruna, nella serie B spagnola. Seguono Juvenal, stella della serie C spagnola e Javier Balboa, passato da promessa, con tanto di contratto al Real Madrid nel 2005, e presente da sopravvalutato al Beira Mar, in Portogallo. Tutto qui, la nazionale langue al posto numero 151 della classifica Fifa, il più basso di tutta la Coppa d’Africa. Una squadra in cerca di identità costretta a farsi bella davanti ai potenti di casa e a inventarsi forte contro avversari complicati. Tra due giorni la Libia, neo nazione esaltata dal calcio libero, poi il Senegal e lo Zambia. Il presidente assicura: «Passeremo il turno» e per fortuna dei calciatori non esiste libertà di parola: non c’è bisogno di mentire.
  20. Il pestone a Messi Mou & Pepe Così ti alleno un bullo di MARCO ANSALDO (LA STAMPA 20-01-2012) A Madrid sono tempi duri per i portoghesi. Il gesto da bulletto isterico di Pepe, il difensore del Real, che ha calpestato volontariamente la mano di un avversario ha riscosso un giudizio unanime, «vergognoso», anche perché la mano è di Lionel Messi, la classe pura che non dovrebbe essere toccata neppure con un piumino. Nè se la passa meglio Mourinho, battuto ancora dal Barcellona in Coppa del Re con l’atteggiamento più infamante che un tifoso madridista immagini: «Ha regalato il pallone e il campo agli avversari», ha scritto As, giornale intriso della tradizione «merengue». Mou ha perso da catenacciaro. Per molto meno il pubblico del Bernabeu dedicò a Capello una «pañolada», lo sventolio dei fazzoletti in segno di riprovazione. Le critiche si intrecciano. Pepe è stato bollato come un «vero idiota» da Rooney e in Spagna chiedono una lunga squalifica, sul tipo delle 10 giornate che rimediò l’anno scorso per un fallaccio ignobile su Casquero del Getafe, scalciato mentre era a terra. Di lui dicono che è scorretto e sleale, picchia davvero e simula per finta. Una fama che il brasiliano naturalizzato portoghese si è costruito da quando è arrivato Mourinho. Al Porto, dove emerse, e in Nazionale la media di espulsioni era in linea con le sue caratteristiche di difensore duro e sopravvalutato. Nel Real invece Pepe si trasforma in «Animale», un Pasquale Bruno più vigliacchetto. Il dubbio è che sia Mou a caricarlo a pallettoni quando deve affrontare il Barcellona, contro il quale è già stato espulso 2 volte. Lo Special One lo trasforma in Highlander, con un malinteso spirito guerriero. Mercoledì lo ha piazzato davanti alla difesa per spezzare il palleggio ricamato dei catalani con le buone e soprattutto con le cattive: il giochino aveva funzionato nell’unica occasione (su 9) in cui Mourinho ha battuto il Barcellona e ci ha riprovato. Pepe, che non deve essere un genio dai nervi saldi, è andato oltre le consegne ma le consegne c’erano. La Spagna, e forse il mondo, comincia a chiedersi se sia davvero un fenomeno l’allenatore cui la frustrazione di non saper battere il Barcellona suggerisce di ridurre ogni «Clasico» in una caccia all’uomo.
  21. CHE COSA RESTA DI UN HOMBRE POCO VERTICAL Hector Cuper coinvolto in una brutta storia di calcioscommesse in Spagna Avrebbe ricevuto 200mila euro dalla camorra per addomesticare 4 partite di ANDREA ASTOLFI (l'Unità 20-01-2012) Il prossimo 5 maggio saranno dieci anni dal Maracanazo interista, dalla madre di tutte le sconfitte nerazzurre e allora, forse, Hector Cuper, l’artefice vertical e un po’ gonzo di quel folle pomeriggio romano, sarà impegnato in ben altre faccende per ricordare quelle scene e quel dramma, Ronaldo in lacrime, il gol inutile di Vieri, Gigi Di Biagio che mostra la maglia e si batte il petto, le esultanze a metà di Poborsky, Materazzi che chiede un po’ smarrito clemenza ai laziali sibilando «vi ho fatto vincere uno scudetto». A maggio, ma anche molto prima, Hector Cuper dovrà rispondere alla magistratura italiana di frode, corruzione e riciclaggio di denaro. In una conversazione tra camorristi interessati al florido mercato transnazionale delle partite truccate, il nome di Cuper viene fatto più volte, in riferimento a quattro partite combinate dei campionati spagnolo e argentino della stagione 2006-2007. Il tecnico, stando ad alcune intercettazioni della Dda di Napoli, avrebbe ricevuto 200mila euro per dare delle dritte al clan D'Alessandro di Castellammare di Stabia e questi soldi li avrebbe ricevuti direttamente in Spagna in un modo piuttosto goffo, trasportati lì dentro i calzini e le mutande dai suoi interlocutori malavitosi. TRA BETIS E CAMORRISTI Corrotto e maneggione, sì, ma anche reticente e bugiardo. Interrogato, Cuper avrebbe negato tutto, ma un file registrato da uno dei camorristi con la voce e le dritte dell'allenatore argentino lo incastrerebbe senza appello. Per di più, uno dei quattro risultati suggeriti dall'hombre vertical non si era nemmeno verificato, mandando su tutte le furie i camorristi, che sulle quattro partite avevano investito somme milionarie. All’epoca Cuper allenava il Betis Siviglia. Fin qui l’attualità. A ottobre scorso, quando il nome di Cuper era già spuntato, l’hombre vertical aveva negato tutto. Ora le cose si complicano notevolmente e i ricordi, anche quelli belli, svaniscono. Svaniscono, ad esempio, le due finali consecutive di Champions League centrate col Valencia degli sconosciuti, entrambe perse contro squadre molto più ricche e forti, Real e Bayern, ma giocate stupendamente. Moratti si innamorò di quell’intensità e di quell’allenatore che prima di scendere in campo batteva il petto dei suoi giocatori urlando «yo estoy contigo». Lo volle a Milano dopo la disgraziata stagione divisa tra Lippi e Tardelli, quella del derby perso per 6-1. Cuper accettò la sfida italiana, recuperò Ronaldo e andò vicinissimo allo scudetto. SOGNI SPEZZATI Poi venne l’Olimpico, il 4-2 subito dall’ormai demotivata Lazio e il titolo consegnato alla Juventus in volata. L’Inter finì addirittura terza e dovette anche giocare, all'inizio della stagione successiva, i preliminari di Champions League. Durante l’estate Cuper vinse il braccio di ferro con Ronaldo, che dopo il Mondiale vinto ne aveva chiesto a Moratti la testa per restare a Milano. Moratti si tenne il tecnico. Ma durò poco l’hombre, pochi mesi e un modesto pareggio a Brescia. Dopo quell’esonero la vita del tecnico argentino che parlava chiaro e deciso imbocca un tunnel. Tantissime squadre, per lo più spagnole, pochissime soddisfazioni, al massimo qualche salvezza, con una serie infinita di esoneri a segnare senza appello la sua carriera di perdente di strasuccesso. Persino una comparsata a Parma, nel finale del campionato 2008, in tempo per farsi cacciare - misteriosamente - alla vigilia dell' ultima partita, decisiva per la salvezza dei ducali, contro la sua ex Inter al Tardini. Partita poi vinta da Ibrahimovic con una doppietta, vittoria decisiva per lo scudetto nerazzurro e la retrocessione gialloblù. Ridotto al rango di mestierante della panchina, per Cuper altre modeste apparizioni da ct della Georgia e da tecnico di Aris Salonicco, Racing Santander e, attualmente, persino Orduspor, nel campionato turco, in una squadra «illuminata » dalla classe del rumeno Stancu, della stella locale Tekke e dall'ivoriano Gosso. Dieci anni fa Cuper gestiva Ronaldo e una delle Inter più forti di tutti i tempi. Un finale di partita decisamente crepuscolare, e il peggio per l’ex hombre vertical, s’intuisce dall'intercettazione napoletana, deve ancora venire.
  22. CAMBIO IL VERTICE RINNOVATO COMANDA GIA' DAL PRIMO GENNAIO Credito sportivo: nuovi commissari Da Cardinaletti a Clarich e D'Alessio L'ex numero 1: «Così ha deciso la Banca d'Italia» di MAURIZIO GALDI (GaSport 20-01-2012) Dal primo gennaio l'Istituto per il credito sportivo ICS ha due nuovi commissari: Marcello Clarich e Paolo D'Alessio. Il ministero dell'Economia — su proposta della Banca d'Italia — ha sostituito Andrea Cardinaletti che, prima da presidente e dal 17 giugno da commissario, ne ha avuto la guida. Cardinaletti con il passaggio di consegne ha anche espresso la sua «premura nei riguardi di un grande progetto, di un'esperienza dall'immenso valore». Un sereno bilancio «L'ICS è una banca pubblica — spiega Cardinaletti —, l'unica banca pubblica del Paese. All'inizio del mio mandato, molte erano le criticità che ne limitavano la buona operatività, e l'obiettivo che auspicavo raggiungere era rimuovere gli ostacoli che ne impedivano l'opportuna realizzazione degli scopi e delle attività, mettendo a frutto le ampie potenzialità che la struttura possedeva. Ritenevo, infatti, e fermamente ritengo che adoperarsi per garantire il sano funzionamento del sistema pubblico, nelle sue più varie articolazioni, debba rappresentare un'urgenza avvertita diffusamente; e contribuire a tale fine è per me un successo di inestimabile valore, professionale tanto quanto personale». Il commissariamento Ma perché non ha traghettato Cardinaletti l'Ics al nuovo assetto che prevede una riduzione del numero dei consiglieri nel Cda? «Alla terza proroga del mio commissariamento da parte del Governo, la Banca d'Italia ha pensato di proporre suoi commissari e così è stato. Ma noi avevamo già predisposto tutto per la nomina dei nuovi amministratori e servirà farlo in fretta visto che gli impegni che attendono l'Istituto candidatura olimpica, ristrutturazione degli oratori, costruzioni di nuovi impianti sportivi, ndr necessitano di una gestione ordinaria e non straordinaria». Negli ultimi mesi del suo mandato sono state fatte operazioni di finanziamento in conto sponsorizzazioni per Milan, Inter e Parma. «Ho solo assicurato la continuità di certe operazioni come era anche nella volontà del Governo di una decina di società. Ma tutto è stato vagliato dalla Banca d'Italia e che il decreto del 28 dicembre che nomina i nuovi commissari non fa nessun riferimento ad attività amministrative».
  23. LA CURIOSITA' IL GUARDALINEE CHE HA ANNULLATO IL GOL VALIDO DI THIAGO MOTTA Il signor no del derby operato agli occhi Tempo fa Copelli si è sottoposto a una «correzione di astigmatismo miopico composto» di SEBASTIANO VERNAZZA (GaSport 20-01-2012) Cristiano Copelli, guardalinee. Domenica in Milan-Inter ha fatto annullare un gol regolare a Thiago Motta. Caso limite, di scuola. Non era facile tenere la bandierina giù. Chi scrive ha avuto bisogno di tre replay per stabilire che il fuorigioco non c'era. Calciopoli Errore comprensibile, umano, tanto più che non troppi anni fa, con le vecchie direttive, la rete sarebbe stata giustamente invalidata. Non ci sia chi pensi male, anche se a molti interisti i cattivi pensieri sono scattati in automatico. Tutta colpa di Calciopoli. Copelli venne lambito dal grande scandalo del 2006: scontò tre mesi di «sospensione cautelare», perché intercettato a parlare al telefono con Leonardo Meani, l'ex tesserato del Milan addetto alle terne arbitrali, «specializzato» in guardalinee. In un interrogatorio reso a Francesco Borrelli nell'estate del 2006, Copelli mise a verbale quanto segue: «Se un assistente avesse voluto arbitrare un incontro del Milan, non si doveva rivolgere ai designatori, ma a Meani. Io e Puglisi eravamo graditi al Milan, era evidente che contro il Chievo le designazioni erano volute dalla società rossonera». Nell'ultimo derby Copelli non ha sbagliato apposta. Ripetiamo: l'errore è spiegabile e «ci sta». Casomai ci sarebbe da interrogarsi sull'opportunità di designare ancora Copelli per partite del Milan. Non crediamo che il 44enne assistente di Mantova sia in malafede, ma forse sarebbe meglio non insistere. Per buon senso. Anche Kakà e Borriello Qui vogliamo parlarvi di un'altra cosa, che gira sul web. Una curiosità. Collegatevi ad appiotti.it. E' il sito del dottor Angelo Appiotti, medico chirurgo specialista in microchirurgia oculare. «Presso il poliambulatorio chirurgico modenese - si legge - il dottor Appiotti ed il team Perfect Vision eseguono interventi specialistici per la correzione definitiva di miopia, ipermetropia ed astigmatismo. Dal 2001 si utilizza una nuova tecnica - unica al mondo - di chirurgia refrattiva, la Two Laser Combined Technique, con la quale sono stati trattati con successo migliaia di pazienti affetti da ogni tipo di astigmatismo, molti dei quali sportivi professionisti». Il dottor Appiotti ha operato Kakà, Borriello, il rugbista Dallan e lui, Cristiano Copelli. Tempo fa l'assistente del derby si è sottoposto a un intervento «lasik per correzione astigmatismo miopico composto». Operazione riuscita, oggi Copelli ha una vista da aquila. «Arbitro, occhiali!», urlavano una volta i tifosi inviperiti. «Copelli, Appiotti!», avrà forse suggerito qualcuno all'assistente. Non è bastato. La complessità del fuorigioco 2.0 è a prova di laser.
  24. Rissa con un poliziotto Tifoso del Genoa grave Scontro prima della partita tra un agente e un trentottenne che batte la testa e finisce al Policlinico: prognosi riservata di LUCA TAIDELLI (GaSport 20-01-2012) Una notizia tragica scuote San Siro e la serata di Coppa, un episodio che conserva ancora troppi contorni da chiarire: un tifoso genoano è stato ricoverato in gravi condizioni al Policlinico di Milano dopo uno scontro con un agente di Polizia. In nottata però è circolato un nuovo comunicato in cui si esclude il pericolo di vita, anche se Massimo Moro, questo il nome del 38enne fedelissimo rossoblù, deve essere tenuto 24 ore sotto osservazione. Il tifoso (che non fa parte di gruppi organizzati e che non è un ultrà) è ricoverato in terapia intensiva, intubato, al padiglione Monteggia, situato al secondo piano del nosocomio milanese. Trasportato in ambulanza, Massimo Moro ha percorso il tragitto dallo stadio all'ospedale da solo, senza essere accompagnato da altri tifosi della sua squadra. Ora è sorvegliato da un agente fuori dalla stanza. I medici hanno preferito non pronunciarsi sulle sue condizioni nelle prime ore dopo l'accaduto. I fatti Stando alla versione fornita dalla Polizia, alle 20.25 Moro si è presentato al varco 9 dello stadio visibilmente ubriaco e rifiutandosi di sottoporsi a un controllo di identificazione. Costretto nel posto di polizia all'interno dello stadio, ha cercato nel tragitto di divincolarsi per scappare, ma un agente ha provato a bloccarlo. I due sono caduti e il tifoso ha battuto la testa, perdendo conoscenza. È stato dunque trasportato dal 118 in codice rosso al Policlinico, in zona centrale, dove — sempre stando alla Polizia — le condizioni sono apparse meno gravi, anche se c'è sempre la prognosi riservata. L'amarezza di Ranieri Claudio Ranieri non nasconde l'amarezza. «Un fatto assurdo che fotografa il brutto del nostro calcio e purtroppo di tutta la società. Un episodio che non va proprio bene. Bisognerebbe andare allo stadio come si va a teatro o al cinema». Resta il fatto che questo dramma riporta alla memoria un altro episodio che ha segnato la nostra storia, con protagonista un altro tifoso genoano. Nel 1995 infatti Vincenzo Spagnolo fu accoltellato a morte fuori da Marassi da alcuni tifosi milanisti. Quando la notizia si diffuse a Marassi, le due squadre, Genoa e Milan, con un gesto senza precedenti, decisero in segno di lutto di non scendere in campo per il secondo tempo. Da quel momento si innescò una spirale di violenza che tenne la città in stato d'assedio fino a tarda sera. Soltanto verso mezzanotte 700 tifosi milanisti, che erano stati trattenuti nello stadio per evitare incidenti con i genoani, vennero portati a Milano con pullman della polizia.
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