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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -
Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
La storia Paralizzato dai guerriglieri "E di me se ne fregano tutti" Il portiere del Togo vittima dell´attentato di due anni fa di FRANCESCO FASIOLO (la Repubblica 16-01-2012) La Coppa d´Africa maledetta, quella che non ha mai giocato, è scritta tutta lì, sulla sua gamba destra. Non si muove, non la comanda più. E un calciatore che vive sulle stampelle non è più un calciatore. «Ho sognato l´attentato ogni notte e ho ancora dolore, tutti i giorni». A 27 anni Kodjovi Obilalé è un ex portiere. Ha chiuso la sua carriera un proiettile che si è infilato nella vertebra, ed è arrivato al midollo. È cominciata così, nel 2010, la scorsa edizione della coppa: appena entrato in Angola, la mattina dell´8 gennaio, il pullman della nazionale del Togo viene assaltato. «Venti minuti di inferno. Mi colpirono ai reni e all´addome con raffiche di mitra, ma non ho mai pensato che sarei morto: sapevo che non era ancora arrivata la mia ora». A scatenare la sparatoria gli indipendentisti della provincia di Cabinda, la zona in cui il Togo stava andando a giocare il suo girone. Muoiono l´autista, l´aiuto allenatore, l´addetto stampa. Emmanuel Adebayor, la stella della squadra, se la cava con un grande spavento. Obilalé è il ferito più grave, nelle prime ore si diffonde addirittura la notizia della sua morte. Comincia invece un lungo percorso di riabilitazione. In Sudafrica, dove è rimasto due mesi dopo essere stato operato a Johannesburg, e poi in una clinica specializzata di Lorient, in Bretagna, cittadina dove vive oggi. Fino a qualche tempo fa, nelle interviste, gli chiedevano quando sarebbe tornato in campo: «Se lavorerò bene ce la farò, sono sicuro». Mese dopo mese, Kodjovi ha smesso di aspettare il giorno in cui avrebbe buttato via le stampelle. Ha capito che non sarebbe arrivato: una gamba recuperava, l´altra no. Difficile da accettare, difficile far capire ai suoi due bambini, di 9 e 3 anni, che tutto faceva parte del passato. La nazionale conquistata nel 2006, la convocazione al Mondiale di Germania, i viaggi per le qualificazioni, la speranza di strappare il posto da titolare. I campetti della quarta divisone in Francia, al Pontivy, e il sogno di fare il salto in Ligue 1. Di quella vita non è rimasto nulla. «Se esci dal giro conservi pochi contatti, i calciatori frequentano solo i calciatori. E io non sono più uno di loro. A ferirmi è la mancanza di considerazione. Anche la Federazione se ne frega, se ne fregano tutti», racconta a L´Equipe. Il quotidiano francese gli ha dedicato un reportage di due pagine: magari "Kodjo" lo aveva sempre sognato. Ma certo non per raccontare le sue giornate a Lorient tra tv, Facebook e lunghe chiacchierate con i ragazzi della drogheria africana di fronte alla stazione, i suoi nuovi amici. E, naturalmente, le ore passate nel centro di riabilitazione. Persa la speranza del campo, lì ha scoperto altro: «Il valore della vita. Stavo con persone che soffrivano molto più di me, amputati, tetraplegici. Ho capito che anche potersi alzare, guidare, è una fortuna». Le cure però costano tanto. E Obilalé non ha più un lavoro. Dall´Angola, paese organizzatore di quella coppa, non è arrivato nulla. Dal Togo la Federazione ha mandato un mazzo di fiori, il governo 50. 000 euro. Centomila ne sono arrivati dalla Fifa, tutti spesi per terapie e operazioni, e qualche migliaio da Federazione e Lega calcio francesi. Due azioni legali sono in corso, una in Francia e l´altra in Angola. Non solo per i soldi dell´assicurazione, ma perché venga riconosciuta la sua condizione di vittima. Le richieste di Obilalé rischiano di perdersi tra le ramificazioni della burocrazia calcistica: l´associazione calciatori francese ha fornito un avvocato, ma complica le cose il fatto che Kodjovi in Francia non giocava tra i professionisti e per di più quando ha avuto l´incidente era con la maglia del Togo. Nel frattempo, bisogna immaginare un futuro. Trovare un lavoro, fare colloqui. Scrivere nuove pagine, non solo in senso metaforico. Da un po´ Kodjovi si siede al computer e ricorda l´attentato, ma anche «come sono cresciuto in Africa e quando sono partito, a sedici anni, per andare in Francia a giocare. Tiro fuori tante cose». Perché la sua storia non è finita in quel pullman. Prima, e soprattutto dopo, con molta fatica, c´è tutto un mondo ancora da raccontare. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
Vi prego, non trasformatemi in eroe l’uomo che pretende lo scontrino di FRED PERRI (Tempi.it 13-01-2012) Com’è andata? Avete messo su qualche chilo? Io mi sono mantenuto un fuscello, passando leggero tra capponi e cenoni. Ah, ah, lo so che non la bevete. Ci sarebbero voluti gli ispettori del peso. Avrebbero dovuto bussare alla mia porta e controllare frigo e dispensa per vedere se quello che avevo denunciato prima del Natale (sobrietà, pochi grassi, movimento) rispondesse al vero. L’accertamento sarebbe finito male, sarei finito alla berlina come i ricchi col macchinone ma nullatenenti. E a questo proposito, compagni e amici, vorrei cominciare l’anno con un inno alla morale. Perché quello che ci circonda, ormai, è il trionfo del moralismo, del mondo alla rovescia, del sensazionalismo fine a se stesso. Scusate, ma c’è bisogno di salire fino a Cortina per sapere chi possiede il macchinone? Basta recarsi al concessionario Ferrari-Maserati-Jaguar-Mercedes-Bmw all’angolo. Adesso c’è la campagna “denuncia chi non ti dà lo scontrino”. Leggo celebrazioni di un tale che ha fatto casino in un locale milanese per una focaccia. Ora gli eroi sono questi? Mi fa piacere che Simone Farina, del Gubbio, faccia una gita a Zurigo, ospite di Blatter al Pallone d’oro, ma rifiutando la grana per truccare una partita ha fatto solo il suo dovere. Lui lo sa, noi no. È che abbiamo perso il senso della morale e allora ci affidiamo al moralismo, compiacendoci per comportamenti che dovrebbero essere normali. ___ IL GRAFFIO di Emilio Marrese (Repubblica.it 14-01-2012) Santo subito Gubbio-Grosseto 4-0: Farina otto minuti in campo, sfiorando anche il gol con un colpo di aureola. ___ da Libero VeLeNo Numero 2 (Libero 15-01-2012) -
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Scommesse Bari, altre gare di A sotto inchiesta S´indaga sui contatti tra clan e calciatori di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 15-01-2012) BARI - Ci sono una decina di nuove gare di serie A che finiscono nelle inchieste che le procure italiane stanno conducendo sul calcioscommesse. Le partite sono nel fascicolo seguito dal procuratore di Bari, Antonio Laudati. E sono legate alla posizione di un infermiere, Angelo Iacovelli, iscritto nel registro degli indagati per concorso in frode sportiva. Si tratta dell´uomo che - secondo gli investigatori - portava il denaro dagli scommettitori ai calciatori per truccare le partite che il Bari ha giocato lo scorso anno in A. Tutte gare (ci sarebbero Bari-Chievo, Bari-Sampdoria, Palermo-Bari e Bologna-Bari) giocate dai biancorossi nella seconda fase di campionato. Nell´inchiesta pugliese sarebbero dunque stati provati dai carabinieri del reparto operativo i passaggi di denaro con i calciatori. Tenuti a restituire i soldi incassati agli scommettitori qualora non si fosse realizzato il risultato promesso. Una circostanza del genere l´ha raccontata il difensore-pentito Carlo Gervasoni ai pm di Cremona indicando come gli Zingari avessero corrotto cinque giocatori del Bari per perdere con più di due gol di scarto a Palermo. Ma il risultato (la partita finì 1-2) non si verificò perché Miccoli sbagliò un rigore. Da Bari potrebbero arrivare importanti novità nei prossimi giorni. Notizie sono attese anche da Napoli dove sono in ballo due inchieste sul calcio scommesse. Da un lato è indagato l´ex portiere Gianello, accusato di frode sportiva per la partita contro il Chievo vinta 3-0 (e dove rischiano la squalifica per omessa denuncia tre azzurri, tra cui il capitano Cannavaro). Dall´altro si indaga sulle infitrazioni mafiose partendo dalla gara contro il Parma. In uno dei filoni è indagato l´ex allenatore dell´Inter Hector Cuper. In un altro è stato sentito come teste il presidente del Chievo Luca Campedelli chiamato a spiegare il perché avesse tesserato Bettarini. ___ Scommesse, indagato un infermiere portava ai calciatori i soldi delle truffe Inchiodato dai telefoni. Quattro partite nel mirino di GIULIANO FOSCHINI (la Repubblica - Bari 15-01-2012) L´inchiesta di Bari sul calcio scommesse ha il suo primo indagato ufficiale. Si chiama Angelo Iacovelli, è un infermiere ma avrebbe lavorato per i mercanti del calcio. E´ lui l´uomo, sospettano i carabinieri del reparto operativo, incaricato di portare ai calciatori biancorossi il denaro per truccare le partite. Iacovelli ha ricevuto un avviso di garanzia per concorso in frode sportiva ed è stato ascoltato dal pm Ciro Angelillis insieme con il suo avvocato Piero Nacci Manara. Iacovelli ha però deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. «Era un nostro diritto - spiega il legale - noi non conosciamo nemmeno un atto dell´indagine, non potevamo rispondere al buio di un´accusa che davvero non capiamo. Aspettiamo di vedere cosa accadrà nelle prossime settimane». La situazione non sembra delle migliori per le persone coinvolte nell´indagine. Gli investigatori avrebbero le prove che almeno in una gara, che il Bari ha giocato fuori casa, Iacovelli ha portato le buste dagli scommettitori ai calciatori. E viceversa. La partita non è andata infatti come promesso e i giocatori comprati hanno dovuto restituire il denaro. La gara non è però l´unica. Ce ne sarebbero molte altre nelle quali Iacovelli ha svolto lo stesso ruolo. E, in questi casi, le partite sarebbero andate anche a buon fine. Agli atti ci sono i nomi dei calciatori protagonisti delle combine. Ci sono i tabulati telefonici, le presenze negli alberghi che testimonierebbero il quadro. Inoltre da qualche giorno nel fascicolo d´inchiesta è finito l´interrogatorio che Carlo Gervasoni, l´ex difensore del Bari, ha reso dopo essere stato arrestato ai pubblici ministeri di Cremona. Il procuratore Antonio Laudati - che sin dal principio sta seguendo personalmente l´inchiesta - ha avuto uno scambio di atti con il collega di Cremona, Roberto Di Martino. Compreso il verbale di Gervasoni del 27 dicembre scorso quando il calciatore ha raccontato quello che sapeva sulla combine di Palermo-Bari, partita terminata per 2-1 per i padroni di casa. La gara sarebbe stata gestita dal gruppo degli Zingari che, racconta Gervasoni, avrebbero corrotto cinque calciatori biancorossi finiti ora nel registro degli indagati della procura lombarda: sono gli ex baresi Andrea Masiello (ora all´Atalanta), Nicola Belmonte (Siena), Daniele Padelli (Udinese), Marco Rossi (Cesena), Simone Bentivoglio (Sampdoria) e Alessandro Parisi (Torino). «La prima partita di serie A combinata di cui parlai - ha raccontato Gervasoni al procuratore Di Martino - è Palermo-Bari del 7 maggio 2011, finita 2-1, laddove il risultato concordato era di un over con la sconfitta del Bari, con almeno due gol di scarto: si tratta di notizie che mi ha riferito Gegic nell´immediatezza della partita, in quanto ho scommesso sulla medesima». «Ricordo - aveva raccontato Gervasoni - che sempre secondo quanto lui mi riferì, era stato Carobbio a mettersi in contatto con i giocatori del Bari o con qualcuno che gli stesse vicino. Gegic mi riferì che erano stati corrotti i seguenti giocatori del Bari: Padelli, Bentivoglio, Parisi, Andrea Masiello e Rossi. Il risultato concordato non fu raggiunto perché Miccoli sbagliò il rigore che era stato volutamente provocato. Miccoli non sapeva nulla della combine». Accanto alle dichiarazioni di Gervasoni, nel fascicolo di Bari ci sono i nomi di tre imprenditori vicini ai calciatori (alcuni dei quali sono stati già ascoltati come testimoni) che avrebbero scommesso cifre importanti su indicazione dei giocatori stessi. Spesso, tra l´altro, non vincendo perché venivano date loro informazioni non corrette. Agli atti, anche in questo caso, ci sono tabulati telefonici e le prove dei pagamenti che sarebbero avvenuti in alcuni casi con assegni bancari. Iacovelli è indagato in un fascicolo parallelo a quello aperto per associazione a delinquere e riciclaggio dallo stesso Laudati sempre sulla vicenda calcio. La procura ha cominciato a indagare sul calcio dopo una segnalazione di un bookmakers austriaco, Skysport365, che segnalava flussi anomali su una gara di Coppa Italia (Bari-Livorno) del dicembre 2010. Dai primi accertamenti, è venuto fuori un interesse della criminalità organizzata (e in particolare dei Parisi) alle scommesse sportive. Da anni i clan avevano individuato nelle scommesse una delle vie maestre per il riciclaggio del denaro. La possibilità, offerta da alcuni calciatori, di truccare le gare di serie A dava la possibilità di guadagnare qualche soldo in più. Ecco che sarebbero entrati nell´affare, prima gestendolo da solo. E poi facendo riferimento al gruppo degli Zingari, lo stesso finito sotto indagine a Cremona. Non è un caso che gli slavi più volte sono arrivati a Bari, come testimoniano presenze alberghiere e celle telefoniche: per esempio, hanno passato in città tutto il fine settimana in concomitanza con Bari-Sampdoria. E potrebbe non essere soltanto una coincidenza. -
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Ghost Dog ha risposto al topic di CRAZEOLOGY in Calciopoli (Farsopoli)
UCCISO A 28 ANNI Un libro ricostruisce la morte del calciatore RE CECCONI RESTÒ MUTO di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 15-01-2012) Il campo d’allenamento era sotto la collina. Tra le puttane di via Tor di Quinto, gli insediamenti nomadi e la caserma dei Carabinieri. Lì si poteva vedere dalla strada. Un fumetto. Polvere ed erba. Disordine voluto. Magliette di lana azzurra, bestemmie, la gente in tribuna e sotto, la bolgia. Tutti dietro un pallone e il signore più saggio, Tommaso Maestrelli, davanti. La Lazio del maggio 1974. Quella che sposa la storia, mentre il paese divorzia. Il regno di Chinaglia e Re Cecconi. Il lombardo di campagna, finito sotto terra a 28 anni, da esule, da straniero, proprio 35 anni fa. Ucciso in una gioielleria di Roma da un colpo di pistola sparato dal marchigiano di ventura Bruno Tabocchini. Il padroncino che affrontata la gavetta si era messo in proprio, vivendo asserragliato tra i preziosi. L’uomo che aveva già reagito a una rapina (due revolverate, un bandito a terra) nell’inverno del ‘76. Un “self-made man”, come disse a suo tempo il Pm Marrone con il difetto di covare: “Una visione egocentrica del mondo che lo spinse a farsi giustizia da sé. Lui dentro, i nemici fuori. Lui il bene. Gli altri, tutti gli altri, il male”. In via Francesco Crispi, quartiere Fleming, alle 19:40 del 16 gennaio ‘77, Tabocchini aprì dal suo bunker al profumiere Fraticcioli, suo amico, che gli portava due deodoranti. L’odore della morte. IN GIOIELLERIA, entrarono anche Pietro Ghedin e Re Cecconi in libera uscita con un altro calciatore, Renzo Rossi, che li aveva lasciati da due minuti per acquistare un litro di vino. Ghedin e “Cecco”. Con le mani in tasca. Era “l’ora brutta” degli assalti e spaventato, Tabocchini fece fuoco. Prima puntò l’arma su Ghedin, poi la spostò e a mani giunte chiuse le ali a Re Cecconi. Il rumore sordo, l’urlo di Ghedin: “Siete pazzi qui?”, l’ultimo appello di Cecco: “Ghedo, aspettami, vengo con te”, l’ambulanza, il decesso, alle 20:04, al San Giacomo. La faccia contrita di Emilio Fede al Tg 1: “Tragico scherzo, è morto il calciatore Re Cecconi”. Tabocchini sostenne che quella sera Re Cecconi avesse gridato: “Fermi tutti, questa è una rapina” e che la replica calibro nove fosse stata naturale: “Ho sparato prima che lui lo facesse con me”. Gli diedero retta. Assolto dall’imputazione di “eccesso colposo di legittima difesa”. Nonostante Re Cecconi fosse disarmato e la discussione tra innocentisti e colpevolisti fosse diventata merce da bar sport. Un libro e un documentario tenuto nascosto nelle teche Rai dal 1983 a causa di una dura battaglia legale, raccontano questa storia di mancata resurrezione e ne ribaltano il senso. La tesi portante dei due lavori è chiara. Non ci sarebbe stato uno “scherzo” di Re Cecconi, ma solo un omicidio. Il film, straniante, lo girò Tomaso Sherman, veneziano approdato poi a soap come Incantesimo. “Il caso Re Cecconi”. Attori come Andrea Occhipinti, Simona Marchini e Haber e un’ora scarsa che preludeva alla distruzione della versione ufficiale. Il volume l’ha scritto invece un giornalista appassionato, Maurizio Martucci. Si è calato a sangue freddo, in questo dirupo dostoevskiano di metamorfosi e uomini trasformati in bestie. Non scherzo, Re Cecconi, 1977. La verità calpestata (Libreria sportiva, 80 pagg, 10 euro) è un’indagine al di sopra di un unico sospetto. Ribalta le presunte verità dell’epoca e restituisce a Re Cecconi l’innocenza. Secondo Martucci: “Re Cecconi ebbe la vita distrutta per un equivoco e non fece nulla per essere ucciso. Il clima processuale fu inquinato dalle potenti lobby orafe al grido di ‘maggiori tutele’. E poi il pregiudizio contro una Lazio politicamente scorretta e la tesi del folle gioco superficialmente accettata, fecero il resto”. TABOCCHINI lasciò Roma poco dopo, tornò a casa, si eclissò. Luciano il biondo, il numero 8, è rimasto nella memoria. Lo riconoscevi dall’alto. In quella squadra di pazzi (fascisti e comunisti, clan rivali, noia da ritiro sfogata nell’albergone sull’Aurelia) “CeccoNetzer” era l’anarchico che per coraggio e fisiognomica somigliava alla stella del Borussia. Da ragazzo, a Nerviano, aveva visto la fame. Mangiare l’erba era la naturale conseguenza di un’origine. Re Cecconi che “visse da re e morì da Cecconi”. Luciano che cadde senz’aria da respirare e a paracadute chiuso, amava lanciarsi con il suo amico Gigi Martini. Prima terzino, poi pilota e deputato a destra della destra, nella seconda vita che a Re Cecconi fu negata. Saltavano d’annunziani dai portelloni dei C 119 che sollevavano lamiere e sedili inospitali dalla base di Tirrenia. Prima delle riflessioni postume: “Eravamo tanto uniti perché avevamo paura di essere stati troppo fortunati” vennero i funerali di Cecco. Diecimila persone. Il vecchio presidente Lenzini, il Sor Umberto, a testa bassa, i pianti, il silenzio e i compagni della Lazio in Qatar per un grottesca tournée. Luciano tornava spesso dai due figli. Sua moglie Cesarina (che per giorni Corriere della Sera e Stampa chiamarono Graziana) aveva 23 anni. Dopo lo sparo, avrebbe avuto solo l’età indefinita dell’assenza. Nelle foto d’epoca, Tabocchini è cupo. Veste completi severi. Sembra incazzato con chi vuole cancellare i frutti della sua scalata sociale. Il denaro, la rispettabilità, la casa di lusso per la madre, in via Prati degli Strozzi. All’inizio lo interrogò il vicequestore Masone (decenni più tardi capo della Polizia). Tabocchini dichiarò di detestare il calcio e non aver mai visto prima Re Cecconi. Ma qualche testimone suggerì che con “il biondo”, l’orefice fosse stato addirittura vicino di casa sulla Cassia. Vero o falso che fosse, vittima e carnefice rimangono sempre abbracciati. Cecco sapeva perdonare. Chissà se in questi anni ne ha avuto la forza. -
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Calcio senza giornalismo di CARLO TECCE (il Fatto Quotidiano 15-01-2012) Il calcio in italiano è una liturgia con virtù tribali e vizi moderni. I giornalisti televisivi, che raccontano le partite nemmeno fossero le gesta di Enea, rispettano il calcio con omertoso silenzio. Quasi per tenere fede a un patto di sangue, pardon: di quattrini. Domenica scorsa, Lecce-Juventus, il telecronista annuncia uno striscione contro Marco Borriello (i tifosi bianconeri gli danno del mercenario, per un presunto rifiuto), ma evita di leggerlo chissà per quali timori aziendali. La scena è stata veloce, dunque il telecronista non avrà ricevuto censure, semplicemente è scattato un sistema di controllo interno: l’auto-censura. I telegiornali sportivi e le cosiddette trasmissioni di approfondimento parlano sempre mal volentieri dei clamorosi scandali o degli sviluppi di un’inchiesta giudiziaria che riguardano i campionati italiani. Lo fanno con la stessa superficialità con cui insultano un calciatore straniero, che non può ascoltare né protestare, rispetto agli ossequiosi giri di parole reperiti in archivio o creati al momento per commentare i bidoni made in Italy. Il rapporto società di calcio-società televisiva è saldata con i milioni di euro per i diritti televisivi, che si convertono in milioni di euro con gli abbonamenti dei telespettatori. Spesso gli uffici stampa preferiscono offrire le interviste esclusive ai calciatori, che poi sono un insieme di balbettii, ai giornalisti televisivi per saldare, continuamente, il legame commerciale. Raramente un’inchiesta giornalista rivela il marcio su cui si regge il calcio, ma c’è sempre bisogno di una procura e di un magistrato per scoprire quello che si sussurra. E dove? Nell’ambiente, pessima abitudine per descrivere quel sistema trasparente e controverso che circonda il pallone italiano. Mentre le telecamere entrano fisicamente negli spogliatoi, per mostrarci i calciatori in mutande che ascoltano musica e vorrebbero un minuto di pace e concentrazione, quelle stesse telecamere evitano di inquadrare la parte brutta di una favola che ormai ha stancato persino i più piccoli. Il calcio viene raccontato come se fosse un incontro fra purezze e bandiere di chissà quale caseggiato, non c’è mai il timore, o il sospetto, che dietro un rigore si nasconda un biscotto. Sappiamo qualsiasi cosa dei calciatori che scendono in campo, che musica ascoltano, che carni mangiano, dove vanno in vacanza, come fanno la spesa, non sapremo mai esattamente chi sono. Un paio di sere fa, il telegiornale di Skysport esultava per un’intervista esclusiva al procuratore di Pato, attaccante del Milan nonché compagno di Barbara Berlusconi. L’inviato di Sky aveva intercettato il procuratore brasiliano all’uscita di Giannino, il solito ristorante dove si ritrovano i calciatori per far finta di non cercare un posto tranquillo con il desiderio di farsi inquadrare. Concitazione. Attesa. Ansia. Il servizio va in onda, l’agente brasiliano con il cappellino dice un paio di parole incomprensibili, annuisce senza comprendere le domande, cerca di sfuggire con l’aria di chi custodisce la verità. Non c’è spazio, però, per la verità nel calcio. Si preferisce credere che sia tutto, ancora, un gioco. -
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IL CASO IL BULGARO IONOV SI È SOSTITUITO A RAITCHEV, DESIGNATO PER L’AMICHEVOLE Un «falso» arbitro per Werder-Az E c’è l’ombra delle scommesse di MARCO DEGL’INNOCENTI (GaSport 15-01-2012) Un ex arbitro bulgaro, noto per le sue irregolarità e privato della licenza dalla federazione del suo Paese per aver diretto senza autorizzazione partite in Venezuela e Argentina, si è sostituito, fornendo false generalità, al collega designato a dirigere mercoledì scorso l’amichevole tra Werder Brema e AZ Alkmaar, nella città turca di Belek (2-1). Si tratta di Lachezar Ionov, ex arbitro della serie B bulgara che si è spacciato per il connazionale Raicho Raitchev, arbitro designato. La sostituzione di persona è venuta alla luce quando Raitchev ha dichiarato di essere rimasto a casa per infortunio. «Abbiamo subito avvertito la federazione tedesca: il comportamento dell’arbitro ci era apparso strano, ha prolungato di 10’, senza motivo, il recupero della gara», ha detto il general manager del Werder, Klaus Allofs. Scommesse La partita potrebbe essere stata oggetto di scommesse e non è escluso il sospetto di irregolarità. La terna arbitrale per l’amichevole era stata designata dall’agenzia che ha organizzato il ritiro dell’Alkmaar. Un anno fa una terna ungherese aveva diretto, anche allora con falsi nomi, l’amichevole Bulgaria-Estonia 2-2, con tutte le 4 reti segnate su rigore e sospettata di essere stata taroccata: gli arbitri non figuravano nella lista della Fifa. -
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Gattuso: «Per 4 mesi sbagliate le cure» Cassano, prime corse Rino: «Non è un bel vivere. Spero e penso non si sbagli più» Per Antonio qualche passaggio. E scherza: «Posso giocare?» di MARCO PASOTTO (GaSport 15-01-2012) Le due facce dell'infermeria rossonera sono a pochi metri di distanza. Quella sorridente di Antonio Cassano corre sul prato di San Siro assieme al preparatore Bruno Dominici. Quella assorta e nascosta dagli occhialoni scuri di Rino Gattuso riceve abbracci e conforto a bordo campo. Sono i due lungodegenti particolari del Milan. Particolari perché alle prese con nemici subdoli che di solito non si incontrano sui campi di calcio. Uno ha ripreso a sperare, l'altro a tribolare dopo aver accarezzato invano la luce in fondo al tunnel. Dipendenza Cassano ha ripreso il filo del suo lavoro due mesi e mezzo dopo la maledetta trasferta di Roma. Ieri è stata la prima corsa dopo il malore che gli è costato un intervento al cuore. Tuta sociale e scarpe da ginnastica, è sbucato un po' a sorpresa dal tunnel del Meazza, si è fermato a chiacchierare con i compagni e ha iniziato a inanellare giri di campo al piccolo trotto. Poi a un certo punto ha raccolto una pettorina da terra, se l'è infilata e ha chiesto: «Posso giocare?» Risate. L'umore è alto, la voglia immensa. Una dipendenza totale dal pallone, che si traduce in qualche passaggio blando con Pato e Robinho. Di più, per ora, non è permesso. Ma nella sua situazione è già tantissimo. Dalla prossima settimana Antonio riprenderà ad allenarsi a Milanello tutti i giorni, ma con una grande novità: sostituendo la corsa alle camminate che avevano contraddistinto la prima fase di riabilitazione. E se tutto andrà come si deve, chissà che Allegri non possa riaverlo in squadra già ad aprile. «Non mi esprimo nelle cose mediche, speriamo rientri fra poco», dice Galliani. Cose strane FantAntonio scherza coi compagni, saluta l'a.d. e poi fa rientro negli spogliatoi mentre Gattuso osserva la scena ai lati del campo. Sembrava che l'incubo stesse finendo, ma non è così. La miastenia oculare appena diagnosticata per lui è un termine medico nuovo. E che tra l'altro ha colpito l'altro occhio, quello destro. La trafila riparte praticamente da zero: riposo assoluto (tre settimane, un mese circa), poi controlli accurati per capire se si può riprendere l'attività fisica. E Rino riflette a metà fra la rabbia e l'amarezza: «Per quattro mesi abbiamo curato una cosa che si è rivelata sbagliata — racconta a Milan Channel —. Devo vivere il quotidiano: e non è un bel vivere. Spero e penso che in questo momento non si sbagli più». Poi prova a scherzare: «Tavana (il medico sociale, ndr) deve stare attento altrimenti gli viene un infarto. Sono successe cose strane, che in una squadra di calcio si vedono ogni 50 anni... Cassano? Reagire è l'unico modo per uscirne fuori. Non ha una voglia pazza di lavorare — ride —. E' un grande giocatore, ma deve mettere la testa a posto, ad esempio quando mangia». Galliani fa una carezza a Rino e assicura: «Uscirà anche da questo. I tifosi pensano che i giocatori siano eroi, ma sono persone normali». ___ Gattuso, continua il calvario "Curata malattia sbagliata" Il centrocampista rossonero segue da bordocampo la rifinitura dei compagni in vista del derby. Nonostante i guai alla vista, non perde la voglia di scherzare quando si parla di Cassano: "Non ha una voglia pazza di lavorare e quando mangia sembra un bambino. L'Inter? Va presa con le molle" della redazione Repubblica Sport 14-01-2012 MILANO - Alla vigilia del derby, in casa rossonera c'è chi dovrà guardare la partita dagli spalti, con tanta amarezza per i mesi trascorsi ai margini. Si tratta di Rino Gattuso e, per un combattente come lui, fa male dover rimanere lontano dal campo, osservando i compagni che svolgono l'allenamento di rifinitura in vista della supersfida con l'Inter: "Per quattro mesi abbiamo curato una cosa che si è rivelata sbagliata - ammette 'Ringhio' ai microfoni di Milan Channel - devo vivere il quotidiano: non è un bel vivere. Sono stato bene da un anno e mezzo, ora voglio solo migliorare insieme ai miei compagni". "CASSANO? DEVE METTERE LA TESTA A POSTO" - Lo spirito è quello di sempre , battagliero e positivo, e il centrocampista rossonero non perde di vista il 'pallinò del gioco, come dimostra la sua dichiarazione circa il derby di domenica sera: "E' una partita fondamentale e da prendere con le molle, sanno di non poter sbagliare altrimenti son fuori da giochi", sono le parole di Gattuso riportate da milannews. it. Il giocatore ha anche parole d'incoraggiamento per Cassano, un altro che è ancora ai box (dopo l'intervento al cuore) ma sta lottando per rientrare quanto prima in campo: "Reagire è l'unico modo per uscirne fuori: lui è un ragazzo particolare, non ha una voglia pazza di lavorare - dice Gattuso in maniera ironica - è un grande giocatore, deve mettere la testa a posto. Ad esempio, quando mangia non è che non sa mangiare, ma mangia come un bambino". Gattuso "Cura sbagliata per quattro mesi" trafiletto non firmato (Repubblica 15-01-2012) MILANO - Grazie alla febbre di Dubai, Rino Gattuso ora conosce l´origine dei suoi problemi (la mioastenia oculare) e i tempi di guarigione (un mese e mezzo) : «Per quattro mesi abbiamo curato una cosa sbagliata». ___ DOPO LA NUOVA DIAGNOSI DEL SUO PROBLEMA ALLA VISTA RINGHIO SI SFOGA Gattuso: «Quattro mesi di cure sbagliate! Vivo alla giornata: non è bello» di FURIO FEDELE (CorSport 15-01-2012) MILANO - Giustamente perplesso, Gattuso (presente a bordo campo ieri durante la rifinitura a San Siro) ha confidato a Milan Channel lo sconforto per una prima diagnosi, riguardante l’occhio sinistro, che evidentemente non era quella esatta. Venerdì, infatti, è stata rivelata una patologia (mioastenia oculare) diversa da quella individuata, pur senza certezze, ai primi di settembre quando si era manifestato il problema. FIDUCIA - Gattuso, però, come suo solito non si arrende. E’ pronto a ripartire, vuole tornare in campo presto e bene. «Per quattro mesi abbiamo curato una cosa che si è rivelata sbagliata - ha puntualizzato il centrocampista milanista - e, comunque, devo vivere il quotidiano: non è un bel vivere. Ora voglio solo migliorare insieme ai miei compagni. Quando hai dei bei rapporti e riesci ad avere fiducia è una cosa bella. Spero e penso che da questo momento non si sbaglierà più». Ma cosa sta succedendo al Milan? L’infermeria non riesce a svuotarsi. Così Gattuso: «Tavana (il medico sociale rossonero; ndr) deve stare attento altrimenti gli viene un infarto. Sono successe cose strane (compreso il problema cardiaco di Cassano; ndr) che in una squadra di calcio si vedono ogni 50 anni». Gattuso, però, mette in guardia i suoi compagni contro la determinazione dell’Inter. «Il derby è una partita fondamentale per i nostri avversari che hanno tra le loro fila tanti campioni. E' una gara che noi dobbiamo prendere con le molle perchè gli interisti sanno di non poter sbagliare o sono fuori da giochi». SAN SIRO E I VIP - Botteghini chiusi, biglietti introvabili ormai da una settimana. Per il derby, si sa, San Siro dovrebbe raddoppiare la sua capienza. Così come la tribuna d’onore dove sono attesi molti vip rossonerazzurri. Da Felipe Massa (milanista d’adozione anche se di brasiliani ce ne sono anche nell’Inter. . . ) a Valentino Rossi interista senza...freni. Le wags rossonere hanno una nuova. . . capitana: Mellissa Satta. E’ atteso il cittì Prandelli, non mancherà il super-interista sindaco Pisapia. Dolce e Gabbana, Savicevic, Maldini, Paolo Scaroni (ad di Eni) , Mirko Bergamasco (rugbista azzurro), il rossonerazzurro Zaccheroni e Simona Ventura completeranno il parterre dove, ovviamente, spiccherà la presenza di Silvio Berlusconi mentre Massimo Moratti è in forse. ___ CURE SBAGLIATE Gattuso: «Persi quattro mesi» trafiletto non firmato (Tuttosport 15-01-2012) MILANO. Starà fermo per almeno un altro mese e forse si rammarica del tempo perduto. Ma Gennaro Gattuso crede di aver finalmente trovato la causa dei suoi mali: «Per quattro mesi abbiamo curato una cosa che si è rivelata sbagliata, devo vivere il quotidiano: non è un bel vivere. Spero e penso che in questo momento non si sbagli più. Il derby è una partita da prendere con le molle, l’Inter sa di non poter sbagliare altrimenti è fuori da giochi. Cassano? Reagire è l’unico modo per uscirne, lui è un ragazzo particolare». ___ A San Siro (ore 20,45) Ranieri vuol ridurre il distacco da Allegri: è una sfida che vale doppio Il derby della verità Il Milan cerca tre punti per il primato, l’Inter per sognare ancora di MIMMO FERRETTI (Il Messaggero 15-01-2012) È il derby più derby d’Europa, dicono i numeri di campionato e coppe delle due milanesi. E anche le cronache legate al calciomercato, protagonista l’argentino Carlos Tevez. È un derby che, classifica alla mano, vale doppio anche se il girone d’andata non è ancora terminato. Da una parte il Milan campione d’Italia e capolista; dall’altra l’Inter che viaggia con otto punti di ritardo dalla vetta. Come dire: vietato perdere per entrambe, perchè la squadra di Max Allegri, fresco fresco di rinnovo fino al 2014 (è il tecnico più pagato della serie A, 2, 5 netti a stagione bonus esclusi), non può concedersi passi falsi visto il ruolino di marcia della Juventus, l’altra capoclassifica impegnata nel pomeriggio in casa contro il Cagliari, e perchè l’Inter di Claudio Ranieri, ultimo allenatore a battere il Milan a San Siro (era sulla panchina della Roma), in caso di ko precipiterebbe a undici punti dalla vetta, vanificando così - forse in maniera irrecuperabile - la vigorosa rincorsa/risalita degli ultimi mesi. È il derby della verità, in parole povere. Massimiliano Allegri, alla quarta sfida all’Inter da milanista, spiega. «L’Inter quest’anno ha cambiato modo di giocare tra Gasperini e Ranieri. Ha trovato equilibrio, subisce poco e avrà a disposizione tutti i giocatori della rosa. Troveremo un’Inter in stato di forma e difficile da affrontare. É il derby di andata, siamo lontani dal finale di campionato, ma dobbiamo uscire dal campo con un risultato positivo. È un derby più decisivo per l’Inter che per noi». E ancora. «Le vicende di mercato? Ci sono perché c’è mercato. Tutto si è risolto: Pato resta e tutti siamo contenti. Nessuno ha mai detto di non voler tenere Pato e io non ho mai detto di doverlo cedere», le parole del tecnico, in ansia per le condizioni di Thiago Silva. «Ho deciso di tenere Pato perchè lo ritengo un giocatore di grande talento. L’intera operazione non mi convinceva nè dal punto di vista tecnico nè da quelle economico. È una scelta che ho preso in totale autonomia. Sono convinto sia la cosa migliore per il Milan», ha precisato Silvio Berlusconi. Preso dal Lecce Mesbah, intanto. Ranieri, che tra Juventus e Roma non perde una stracittadina dal 2007, ha idee chiarissime, tanta voglia di far giocare Sneijder, assente da una vita, e un po’ di preoccupazione per il mal di schiena di Julio Cesar. «Se vinciamo, ci rimettiamo in corsa e il Milan comincia a pensare che l’Inter è tornata. Se perdiamo, abbiamo altre venti partite a disposizione. Più volte ho detto di voler vincere una gara che conta. L’ho sottolineato contro il Napoli, contro la Juventus e contro l’Udinese. Il derby è importante per i tre punti: a ottobre siamo usciti sconfitti dal primo scontro diretto contro il Napoli, poi ne abbiamo persi altri due contro Juventus e Udinese. I derby sono particolari, escono dal contesto del campionato. Non si può fingere. Detto questo, siamo pronti per affrontare il Milan che è lassù: è imbattuto da dodici partite, lo rispettiamo e proveremo a batterlo». Tevez? «Non parlo mai di mercato. Il Milan ha Pato, che ha dimostrato il suo valore e sarà un’arma a disposizione dei rossoneri», ha glissato Ranieri. E poi. «Come si ferma Ibra? Ci proveremo. I nostri difensori avranno la massima attenzione per un giocatore che, dove è andato, ha sempre vinto il campionato». Ibra ieri ha preso una botta al ginocchio, ma dovrebbe esserci. Nella scorsa stagione, il Milan ha fatto sue entrambe le stracittadine punendo i nerazzurri in contropiede. «Uomo avvisato, mezzo salvato.. . Dobbiamo stare attenti alle ripartenze, il Milan sa far male. Mi auguro che sia una serata di calcio vero e che i tifosi si divertano. Vedremo chi è più forte, vinca il migliore», ha proseguito. Infine, Gattuso. Polemico, dopo la scoperta della miastenia all’occhio destro. «Per quattro mesi abbiamo curato una cosa che si è rivelata sbagliata». L’altro convalescente Cassano si è allenato correndo a San Siro guardando i compagni, e invidiandoli non poco. ___ I guai di Gattuso «Per 4 mesi curata la cosa sbagliata» trafiletto non firmato (LA STAMPA 15-01-2012) Si chiama mioastenia la malattia di Rino Gattuso e stavolta ha colpito l’altro occhio, quello sinistro. «Per 4 mesi abbiamo curato una cosa che si è rivelata sbagliata – ha raccontato il centrocampista a Milan Channel- Adesso devo vivere il quotidiano e sinceramente non è un bel vivere. Sono stato bene per un anno e mezzo, ora voglio solo migliorare con il sostegno dei compagni. Mi auguro che non si sbagli più». ___ L’eliminatore Allegri a valanga: «Li facciamo fuori» di FRANCESCO PERUGINI (Libero 15-01-2012) Mancano solo poche ore alla fine della settimana più difficile della carriera di Massimiliano Allegri. L’allenatore del Milan non sembra però aver risentito troppo delle ultime vicende che gli hanno regalato un Tevez in meno, un Pato forse di troppo e due anni di contratto in più. E così il tecnico rossonero si presenta ai giornalisti prima del derby in versione “Terminator” per far fuori i cugini dalla corsa-scudetto: «Non so se abbiamo più noi da perdere o l’Inter», sottolinea Allegri, «è come l’anno scorso, quando potevamo allungare oppure farci sorpassare. Certo, se noi dovessimo vincere è difficile che l’Inter possa rientrare nella corsa scudetto ». La partita di stasera è perciò un «crocevia per il campionato», ma il suo Milan deve restare sereno: «La squadra ha proseguito nel lavoro visto che è l’ultima settimana di allenamenti completi», ha spiegato Allegri, «poi inizieranno le coppe e, sperando di andare avanti il più possibile, non avremo lo stesso tempo. Mentalmente siamo tranquilli, comunque». Come tranquillo è lo stesso Allegri dopo il tanto agognato rinnovo di contratto fino al 2014, arrivato quasi come conseguenza del no di Pato al Psg: «Quella vicenda non ha accelerato il rinnovo del contratto», assicura il diretto interessato, «non ho mai detto che volevo cedere Pato: è un campione che per le potenzialità che ha deve fare molto meglio. Lui è rimasto, l’allenatore ha rinnovato, quindi abbiamo risolto tutti i problemi». Qualche indizio in più sul reale andamento della vicenda lo darà forse la scelta del compagno di Ibra per questa sera. Il favorito è Robihno, ma le chance di una maglia-premio per il Papero sono altissime. Chi ci sarà di sicuro è Thiago Silva, nonostante un problemino alla coscia accusato ieri. Fermi per influenza Taiwo e Seedorf, anche se l’olandese è stato comunque convocato (ma come vice-Aquilani giocherà Emanuelson). Guarderanno il derby dalla tribuna, invece, i due milanisti più sfortunati dell’anno: Gattuso che dovrà star fermo altri 30 giorni («per 4 mesi abbiamo curato una cosa rivelatasi sbagliata», ha commentato Rino dopo la nuova diagnosi di miastenia oculare) e Cassano. Ieri il barese è tornato in campo per una prima sgambata, ma ha fatto subito impazzire il medico sociale rossonero: Cassano ha chiesto ripetutamente di unirsi ai compagni per la partitella e il dottor Rodolfo Tavana ha faticato per trattenerlo. Anche Fantantonio è carico: abbastanza per cancellare entro fine stagione il ricordo di Tevez. ___ DERBY DA ARENA Allegri sfida Ranieri: "L'Inter va liquidata" Il tecnico rossonero su Pato: "Mai chiesto di cederlo. Se uno può dare 100, deve dare 100". E lo fa giocare. Ranieri, lo "stregone" da spot: "Col cuore si vince" di FRANCO ORDINE (Il Giornale.it 15-01-2012) Chissà se i giornalisti cinesi, con interprete al seguito, hanno capito qualcosa. Sono arrivati in sala-stampa a San Siro per ascoltare Allegri, tastare il polso al Milan, seguire il test sul prato rizollato e invece si sono ritrovati dinanzi a un clima quasi surreale. Già perché il derby numero 277 è rimasto dietro le quinte, appena qualche accenno, una risposta, due al massimo sull’argomento. «Ci sarà grande tensione, servirà concentrazione, la sfida può essere un crocevia per loro, se vincono tornano in corsa per lo scudetto» la convinzione di Allegri. Poco derby e molto altro, allora. E cioè Pato e i rapporti tra Allegri e Pato, il nodo del contratto sciolto e il ribaltone del mercato, con un benvenuto a Cassano, rivisto in campo ieri a San Siro, «magari potremo riaverlo per il finale di campionato» il pronostico che è una specie di esorcismo dinanzi alle ripetute sventure (ultima quella di Gattuso, 4 mesi di cure sbagliate) che hanno colpito il gruppo. Chissà se i giornalisti cinesi hanno capito qualcosa, certo è risultato molto istruttivo sulla discussa questione Pato prendere nota dell’intervento di Silvio Berlusconi: «Ho deciso di tenere Pato perchè lo ritengo un giocatore di grande talento. L’intera operazione non mi convinceva nè dal punto di vista tecnico nè da quello economico. É una scelta che ho preso in totale autonomia. Sono convinto sia la cosa migliore per il Milan». Evidente lo scopo: ribadire in modo solenne l’estraneità della figlia Barbara alla vicenda. Dopo Berlusconi, Allegri ha messo in fila una serie di riflessioni da mandare a memoria. Eccole: 1) «Quando ho letto i giudizi di Pato sono caduto dalle nuvole perché non ho rapporti freddi con lui ma una relazione basata sul rispetto professionale e umano»; 2) «Non ho mai chiesto di cedere Pato e ora che è rimasto sono contento per lui e per il Milan»; 3) «In questi giorni non ho mai notato un atteggiamento mentale non consono, altrimenti a Bergamo non lo avrei schierato titolare»; 4) «Lo considero un campione, può e deve fare molto meglio, se uno può fare 6 deve fare 6, se può fare 100, deve fare 100. Quando è stato bene, ha sempre giocato, poi è normale che ogni tanto vada in panchina, è capitato ad altri, impossibile giocare 50 partite in una stagione»; 5) «Tevez avrebbe dovuto rimpiazzare Cassano, se la società ha cambiato indirizzo, chiedete spiegazioni a Galliani». Chissà se i giornalisti cinesi hanno capito qualcosa ma anche la firma del contratto (2 milioni più premi) è stata girata e rigirata, nonostante il catenaccio di Allegri disponibile solo a riferire del cordialissimo colloquio telefonico con Berlusconi, seguito all’accordo biennale. «Non è mai stato un problema, ne abbiamo parlato dopo Cagliari, dovevamo trovare il tempo per farlo, la vicenda Pato non ha accelerato i tempi»: sull’argomento è stato più semplice per Allegri imporre la propria linea. «Sono felice di continuare il lavoro portato avanti da un anno e mezzo» il soffietto. Più attraente il passaggio successivo: «Qualcuno mi ha definito il “liquidatore”, invece sono riconoscente alla vecchia guardia che mi diede una mano tra Bari e Palermo e sono contento di aver contribuito a ringiovanire il Milan senza perdere di vista i risultati». Il derby canonico è cominciato appena Allegri si è messo ad allenare. Perché c’è stato il panico per Thiago Silva (indolenzimento muscolare, in dubbio) e non è mancato il brivido per un colpo al ginocchio di Ibra, prima di regalarsi un gran gol, imitato più tardi da Pato. A proposito: giocherà lui titolare. E da stanotte le polemiche ricominceranno. -
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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 14-01-2012) Calcioscommesse, ecco cosa succederà alla serie A... Ora tocca alla giustizia sportiva: la procura della Repubblica di Cremona ha fatto (sta facendo) un lavoro importante sul vasto, delicatissimo fronte della giustizia sportiva. E il merito principale è delle intercettazioni, che hanno consentito di scoprire intrecci internazionali che diversamente non sarebbero stati scoperti (e pensare che qualcuno voleva proibirle, le intercettazioni...). I rapporti fra il capo della Procura cremonese, Di Martino, e il procuratore federale, Stefano Palazzi, per fortuna sono ottimi: si sono sentiti anche nei giorni scorsi. Di Martino ha chiesto a Palazzi di aspettare sino al 20 gennaio prima di mettersi in movimento: i due magistrati si incontreranno al termine della prossima settimana. Solo dopo, Palazzi e i suoi investigatori (fra cui ce ne sono alcuni di grande esperienza ed affidabilità) potranno iniziare gli interrogatori: probabilmente toccherà a circa 40 "tesserati", fra calciatori e dirigenti, dalla A sino alla Lega Pro. I processi (sportivi) dovrebbero iniziare verso aprile. Ma il vero problema è che le condanne devono essere afflittive. Ad esempio: chi si salva sul campo, deve retrocedere se penalizzato. Come fare quindi per non sconvolgere il campionato di serie A proprio nelle battute finali? Una soluzione c'è: fare scontare le condanne solo dalla prossima stagione. In questo caso serie A, B e Lega Pro avrebbero un discreto numero (forse più di una decina) di club che partirebbero con una penalizzazione dai tre punti in su. Ma almeno si salverebbero i campionati in corso. Questa idea comincia a prendere sempre più corpo. E a molti club, anche importanti, farebbe comodo. . . E se Lotito diventasse vicepresidente della Lega di A? Una vicenda assurda, una battaglia di cui il mondo del calcio avrebbe fatto volentieri a meno: è lo scontro, senza esclusione di colpi, fra Claudio Lotito, presidente della Lazio (ancora sotto scorta, e non si capisce bene il perché) e i vertici dello sport (Coni e Figc). La Cgf, Corte di giustizia federale, ha dato ragione a Lotito: pur condannato per frode sportiva a Napoli, non decade da consigliere federale. Ma questo è solo un parere, consultivo e non vincolante, e il presidente della Corte, Giancarlo Coraggio, ha preferito dimettersi sia perché a febbraio diventa presidente del Consiglio di Stato (al posto di De Lise, altro uomo di sport), sia perché la sua decisione-intrusione ha portato ad un durissimo attacco da parte di Giovanni Petrucci. Attenzione, il n.1 del Coni non è intervenuto su una sentenza, cosa che mai ha fatto e mai farebbe, ma solo su un parere, che come detto è solo consultivo. E anche la Figc, pur non essendosi espressa ufficialmente, fa sapere di essere in piena sintonia con Petrucci, perché la Corte è intervenuta su un terreno che non le competeva. Adesso Abete (come d'altronde gli altri presidenti federali) deve ratificare le nuove norme del Coni, fissate dalla Giunta (di cui fa parte lo stesso Abete) all'unanimità: in base a queste regole etiche Lotito non può più fare parte del consiglio federale, e lui di dimettersi non ha alcuna intenzione (anzi...). La Figc prende tempo e non essendoci motivi di urgenza non ha ancora fissato il primo consiglio federale del 2012, dove chiaramente Lotito si presenterà. Fra l'altro, il 23 gennaio c'è un assemblea di Lega dove c'è da nominare il vicepresidente (il n.1 dicono che sia Maurizio Beretta.. . ). Secondo alcune voci, ci sono ottime possibilità che Lotito venga nominato vice, in modo da rafforzare ancora di più la sua posizione. In questo caso, lo scontro con Coni-Figc aumenterebbe. Tessera del tifoso: è arrivato il momento di abolirla Prima riunione del 2012 dell'Osservatorio del Viminale: si è insediato a dicembre il nuovo numero 1, il dirigente generale Roberto Sgalla, che già conosce bene il mondo del calcio. Si è parlato soprattutto della tessera del tifoso: secondo il Viminale deve diventare sempre più "un vero e proprio servizio per il tifoso" e non essere, come "peraltro accaduto solo in pochi casi, come strumento di attuazione di politiche commerciali". Saranno pochi casi, d'accordo, quelli della tessera-business, ma vanno cancellati, e in fretta. C'è anche una sentenza che lo dice. Anzi, a questo punto, passata l'ondata emergenziale e cambiato il governo, sarebbe il caso di abolire la tessera e trovare altri sistemi per emarginare i violenti. E' assurdo penalizzare le persone perbene, cercare di tenerle lontane dagli stadi, e dalle trasferte. La tessera è arrivata alla sua seconda stagione: ci pensi il nuovo ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, e ci pensino i "tecnici" dell'Osservatorio se non è il caso di chiudere l'esperienza qui. Lunedì a Napoli master in "management delle imprese sportive" Un Master in "Management delle imprese sportive", finalizzato alla formazione di figure in grado di dirigere società ed enti che operano nel settore sportivo, si svolgerà lunedì 16 gennaio a Napoli, presso la Basilica di Santa Chiara (inizio ore 11). Si tratta di una iniziativa quanto mai importante, soprattutto di questi tempi, e che apre nuove possibilità di lavoro ai giovani. Organizzato dall'Università Telematica Pegaso (www. unipegaso. it) e dal presidente Danilo Iervolino, il corso sarà inaugurato dal presidente della Corte Costituzionale Alfonso Quaranta e avrà tra i docenti il presidente della Figc, Giancarlo Abete, il vice presidente vicario e presidente della Lnd, Carlo Tavecchio, il presidente dell'Aia, Marcello Nicchi, il responsabile del Centro Studi, Sviluppo e iniziative speciali della Figc, Michele Uva, il professore di diritto dello sport e consulente giuridico del Coni Elia Valori. Direttore dei lavori è il presidente del Comitato Paralimpico e vice presidente del Coni Luca Pancalli, coordinatore didattico (e moderatore al convegno di Napoli) il revisore dei conti della Figc Belardino Feliziani. L'Università Telematica Pegaso è un ateneo aperto, non statale, che adotta un modello di insegnamento a distanza avvalendosi di tecnologie di ultima generazione: una piattaforma on-line con l'assistenza costante degli orientatori didattici, dei tutor e di un corpo docente di fama internazionale. Il master si svilupperà in 7 moduli. -
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Il contenzioso fiscale Maradona-Equitalia, si riparte Il legale: «Pretese illegittime» L’ex campione dovrebbe pagare 38 milioni di euro: nuovo collegio giudicante di TULLIO DE SIMONE (Il Mattino 14-01-2012) Maradona-Equitalia, un match infinito. È scattato il «secondo tempo» di questa sfida tutt’altro che conclusa e che vede di fronte l'ex campione argentino Diego Armando Maradona e il fisco italiano. La storia è nota: l’ex «pibe de oro» è accusato di evasione fiscale, motivo per il quale è stato condannato a pagare 38 milioni di euro (a fronte dell’originaria somma richiesta di 8 milioni) per mettersi in regola e poter, quindi, anche rientrare in Italia. Il durissimo contenzioso fiscale ora è cominciato «ex novo» innanzi a un nuovo collegio giudicante della commissione tributaria di Napoli, e il motivo per cui si è giunti all’azzeramento del processo precedente è stato chiarito. «Uno dei giudici del precedente collegio era il padre di un avvocato di Equitalia, quindi incompatibile nelle controversie di tale società» ha spiegato il legale di Maradona, Angelo Pisani, docente di processo tributario all’Università Parthenope ed esperto in contenzioso della riscossione. «Ed ora sono in grado di dimostrare l'infondatezza delle richieste del fisco - sostiene l'avvocato Pisani - che poggiano su una sequela impressionante di anomalie e irregolarità commesse negli anni dalle varie società di riscossione». Il legale dell’ex capitano del Napoli calcio chiarisce: «Sino ad oggi il fisco ed Equitalia non hanno fornito prova dell’esistenza della cartella ed è stata interrotta la palese e insanabile prescrizione di un credito degli anni '85-'86 oramai estinto». La «partita» dunque, prosegue. Pisani non s’arrende: «Se Maradona nel 1988 avesse ricevuto una regolare notifica dell’originaria cartella esattoriale, di cui a tutt’oggi non esiste prova cartacea dell’esistenza, avrebbe potuto esercitare ogni diritto di difesa e dimostrare che la pretesa del fisco non era legittima». Poi, l’affondo finale del legale: «Diego sarà il simbolo della battaglia di legalità e giustizia contro il fisco e i metodi medievali di riscossione dei tributi dello Stato italiano in danno dei suoi contribuenti, colpiti da un sistema vessatorio con le cosiddette «cartelle pazze», condite di interessi, sanzioni e spese a dir poco usurai». -
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Borsa, azionariato popolare e futuro La svolta con l’aumento di capitale Mercoledì si chiude: con i risultati la Exor valuterà le strategie di GUIDO VACIAGO (Tuttosport 14-01-2012) TORINO. Mercoledì prossimo si chiude l’aumento di capitale della FC Juventus Spa. Già in serata si avranno i primissimi dati, nelle 24/48 ore successive si avrà il quadro completo e, a quel punto, l’azionista di maggioranza bianconero, cioè la Exor (il cui presidente è John Elkann e di cui Andrea Agnelli è consigliere d’amministrazione) potrebbe anche trovarsi davanti a una decisione molto importante e comunque sarà il momento di impostare strategie importanti per il futuro della società. CHE ATTESA C’è grande attesa per capire quanti dei piccoli azionisti hanno sottoscritto l’aumento di capitale, che è stato varato nella scorsa primavera e che ha finanziato il rosso di bilancio delle precedenti gestioni e che dovrà servire per gli investimenti sul mercato prossimi venturi. Quattro anni fa, ai tempi dell’aumento di Cobolli&Blanc, il successo in Borsa fu strepitoso: i piccoli azionisti lasciarono le briciole, sottoscrivendo quasi completamente la loro parte (all’epoca oltre 35 milioni di euro). NUOVO CONTESTO Oggi gli scenari sono diversi: soprattutto quello economico generale che lascia meno spazio all’euforia. Insomma, non è detto che tutti i piccoli azionisti (gente che nella maggioranza nei casi non ha “investito” nella Juventus, ma ha acquistato le azioni per una questione simbolica e affettiva) versino la loro quota. Tanto più che rimarrebbero comunque azionisti, anche se con una quota inferiore. Molto inferiore, perché l’aumento immetterà sul mercato circa 800 milioni di azioni che andranno ad aggiungersi ai circa 200 milioni già circolanti. Semplificando al massimo il discorso, questa massiccia immissione avrà come effetto una forte “diluizione”. LA FETTA EXOR Insomma, non è escluso che alla fine la quota della Exor, che già si farà carico della quota della libica Lafico, diventi molto più importante: da un minimo di 66% a un massimo di 92% circa. Una forchetta nella quale si può leggere il futuro della Juventus. Perché più ci si avvicina al massimo della quota, più diventa percorribile la strada del delisting, ovvero dell’uscita dalla Borsa. Una scelta che non è nell’agenda a breve scadenza dell’azionista di maggioranza, ma che rappresenta comunque un’ipotesi di cui si è discusso nei mesi scorsi. BORSA IN BILICO L’uscita dalla Borsa, che deve avvenire attraverso una offerta pubblica di acquisto, diventa sicuramente più semplice possedendo una quota molto alta (oltre il 95% è addirittura automatica). L’addio a Piazza Affari lascerebbe più libertà alla gestione della Juventus, nella quale si potrebbe anche fare strada l’idea dell’azionariato popolare. Un’idea che stuzzica i vertici della Famiglia, convinti che la forza della Juventus siano i 14 milioni di tifosi e che un coinvolgimento più diretto (e non mediato dalla Borsa) del popolo bianconero sia la strada per garantire un futuro più “ricco” in tempi di fairplay finanziario. Le nuove regole, infatti, limitano gli aumenti di capitale (sia quelli finanziati dai magnati che dal mercato), mentre lasciano libertà a club come Real Madrid e Barcellona che dall’azionariato popolare ricavano una fetta importante del bilancio. Le strade per arrivare a quel tipo di soluzione sono infinite (e gli esempi spagnoli non sono necessariamente quelli che ispirano la Juventus), ma la filosofia del futuro può essere quella. Futuro anche più remoto se l’aumento di capitale avesse riscosso successo tra i piccoli azionisti, perché se la composizione azionaria rimanesse più o meno inalterata (con la Exor che passa “solo” al 66%, per intendersi), sarebbe difficile ipotizzare un delisting e la Juventus rimarrebbe in Borsa per un altro po’. -
Borsa, azionariato popolare e futuro La svolta con l’aumento di capitale Mercoledì si chiude: con i risultati la Exor valuterà le strategie di GUIDO VACIAGO (Tuttosport 14-01-2012) TORINO. Mercoledì prossimo si chiude l’aumento di capitale della FC Juventus Spa. Già in serata si avranno i primissimi dati, nelle 24/48 ore successive si avrà il quadro completo e, a quel punto, l’azionista di maggioranza bianconero, cioè la Exor (il cui presidente è John Elkann e di cui Andrea Agnelli è consigliere d’amministrazione) potrebbe anche trovarsi davanti a una decisione molto importante e comunque sarà il momento di impostare strategie importanti per il futuro della società. CHE ATTESA C’è grande attesa per capire quanti dei piccoli azionisti hanno sottoscritto l’aumento di capitale, che è stato varato nella scorsa primavera e che ha finanziato il rosso di bilancio delle precedenti gestioni e che dovrà servire per gli investimenti sul mercato prossimi venturi. Quattro anni fa, ai tempi dell’aumento di Cobolli&Blanc, il successo in Borsa fu strepitoso: i piccoli azionisti lasciarono le briciole, sottoscrivendo quasi completamente la loro parte (all’epoca oltre 35 milioni di euro). NUOVO CONTESTO Oggi gli scenari sono diversi: soprattutto quello economico generale che lascia meno spazio all’euforia. Insomma, non è detto che tutti i piccoli azionisti (gente che nella maggioranza nei casi non ha “investito” nella Juventus, ma ha acquistato le azioni per una questione simbolica e affettiva) versino la loro quota. Tanto più che rimarrebbero comunque azionisti, anche se con una quota inferiore. Molto inferiore, perché l’aumento immetterà sul mercato circa 800 milioni di azioni che andranno ad aggiungersi ai circa 200 milioni già circolanti. Semplificando al massimo il discorso, questa massiccia immissione avrà come effetto una forte “diluizione”. LA FETTA EXOR Insomma, non è escluso che alla fine la quota della Exor, che già si farà carico della quota della libica Lafico, diventi molto più importante: da un minimo di 66% a un massimo di 92% circa. Una forchetta nella quale si può leggere il futuro della Juventus. Perché più ci si avvicina al massimo della quota, più diventa percorribile la strada del delisting, ovvero dell’uscita dalla Borsa. Una scelta che non è nell’agenda a breve scadenza dell’azionista di maggioranza, ma che rappresenta comunque un’ipotesi di cui si è discusso nei mesi scorsi. BORSA IN BILICO L’uscita dalla Borsa, che deve avvenire attraverso una offerta pubblica di acquisto, diventa sicuramente più semplice possedendo una quota molto alta (oltre il 95% è addirittura automatica). L’addio a Piazza Affari lascerebbe più libertà alla gestione della Juventus, nella quale si potrebbe anche fare strada l’idea dell’azionariato popolare. Un’idea che stuzzica i vertici della Famiglia, convinti che la forza della Juventus siano i 14 milioni di tifosi e che un coinvolgimento più diretto (e non mediato dalla Borsa) del popolo bianconero sia la strada per garantire un futuro più “ricco” in tempi di fairplay finanziario. Le nuove regole, infatti, limitano gli aumenti di capitale (sia quelli finanziati dai magnati che dal mercato), mentre lasciano libertà a club come Real Madrid e Barcellona che dall’azionariato popolare ricavano una fetta importante del bilancio. Le strade per arrivare a quel tipo di soluzione sono infinite (e gli esempi spagnoli non sono necessariamente quelli che ispirano la Juventus), ma la filosofia del futuro può essere quella. Futuro anche più remoto se l’aumento di capitale avesse riscosso successo tra i piccoli azionisti, perché se la composizione azionaria rimanesse più o meno inalterata (con la Exor che passa “solo” al 66%, per intendersi), sarebbe difficile ipotizzare un delisting e la Juventus rimarrebbe in Borsa per un altro po’.
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"Pæne di Gene" ------- IL ROMPI PALLONE di GENE GNOCCHI (GaSport 13-01-2012) Ultima trovata della Juve per disfarsi di Amauri. Ieri Andrea Agnelli lo ha abbandonato in autostrada. ------- UFFICIO DI GENE di GENE GNOCCHI (SPORTWEEK 14-01-2012) Sulla neve artificiale si deve sciare in modo diverso? Ti risponderò con una similitudine. Tra sciare sulla neve naturale e quella artificiale c’è la stessa differenza che passa tra pettinare i capelli naturali e quelli di Antonio Conte. -
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Bettarini, l’Isola dei Famosi e la sorella di… di SEBASTIANO VERNAZZA dalla rubrica "NON CI POSSO CREDERE!" (SportWeek 14-01-2012) Il Giornale ha pubblicato il verbale dell’interrogatorio del presidente del Chievo, Luca Campedelli, davanti all’ufficio inchieste della federcalcio: era l’estate scorsa, infuriava la nuova Scommessopoli e gli investigatori sportivi volevano vederci chiaro sullo strano tesseramento di Stefano Bettarini da parte del club di Verona. Questa la versione di Campedelli: «Nella stagione 2009-10, stante il fatto che la sorella del signor Sartori Giovanni, nostro direttore tecnico, avrebbe avuto immenso piacere a partecipare alla trasmissione televisiva “L’Isola dei Famosi”, in qualità di pubblico negli studi televisivi di Milano, mi rivolsi al signor Stefano Bettarini, che conoscevamo da molto tempo, affinché in qualità di partecipante al reality si adoperasse per soddisfare tale desiderio (…). Mi venne in mente l’idea di ricalcare quanto già avvenuto in precedenza con il sig. Gene Gnocchi e il Parma Calcio proponendolo come uomo immagine della società (…). Il sig. Bettarini non svolse alcuna attività pubblica in relazione alla società chievo». Ricapitolando: per far sedere la sorella di Sartori tra il pubblico dell’“Isola”, il Chievo tesserò l’ex giocatore Bettarini, oggi abbonato al gossip e scommettitore dichiarato. Domanda: se la “sartorina” avesse voluto partecipare al programma come naufraga, il “Betta” sarebbe stato nominato vicepresidente? ___ CALCIOSCOMMESSE Bettarini tesserato: sospetti sul Chievo Campedelli dai pm Il presidente ascoltato a Napoli dall’Antimafia. Si indaga sui rapporti tra l’ex giocatore e il club veneto di FRANCESCO CENITI & MAURIZIO GALDI (GaSport 14-01-2012) Il Chievo, la segretaria e il tesseramento di Bettarini giudicato sospetto. Mentre l’eco dell’inchiesta del pool «reati da stadio» sulle partite del Napoli non si è ancora spenta, è la Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Napoli a mettere a segno un altro colpo. Ieri il pool coordinato da Rosario Cantelmo con i sostituti Pierpaolo Filippelli e Claudio Siragusa ha ascoltato Luca Campedelli, presidente del Chievo Verona, per uno dei filoni di inchiesta che la Dda sta portando avanti nel mondodelle scommesse e dintorni. Sotto la lente degli inquirenti i rapporti tra Stefano Bettarini e il Chievo, con il quale è risultato tesserato al tempo del procedimento sportivo di questa estate. Uno «scherzetto » che ha costretto l’ex giocatore a patteggiare un anno e due mesi di squalifica, mentre la società è stata multata di 80 mila euro. Intercettazioni La Dda di Napoli ha acquisito da Cremona le intercettazioni delle telefonate intercorse tra Bettarini e la segretaria del giudice sportivo, Stefania Ginesio. Ai magistrati, però, non interessavano le «promesse» e le «richieste » di aiuto per la giustizia sportiva, mala «strana» preoccupazione mostrata da Bettarini che chiedeva alla Ginesio di intervenire presso i dirigenti del Chievo per nascondere che lui era un loro tesserato. Perché questa paura? Il presidente Campedelli, all’epoca sentito dalla giornalaccio rosa, aveva ammesso che Bettarini «era stato ingaggiato a fini promozionali », ma il suo nome non era mai stato ufficialmente presentato né la sua immagine era mai stata associata al club o all’industria dolciaria di Campedelli. La curiosità I magistrati stanno cercando anche di capire cosa c’entri in tutto questo Silvio Giusti, un nome ricorrente in molte inchieste giudiziarie sportive sulle scommesse (indagato dai due pool napoletani, ma anche da qualche altra Procura) e legato a Federico e Michele Cossato (anche loro indagati a Napoli e Cremona). In una delle intercettazioni il suo nome verrebbe fatto perché sarebbe stato lo «sponsor» dell’ingaggio di Bettarini al Chievo. Cosa lega Bettarini a Giusti e cosa lega Giusti a Campedelli? L’ipotesi è che in qualche modo il Chievo sia stato «costretto» a tesserare l’ex giocatore, forse perché sotto scacco? Da non dimenticare che a Cremona il pentito Gervasoni ha fatto mettere a verbale: «Gli zingari avevano referenti nel Chievo». Non solo, i fratelli Cossato sono ex gialloblù e conoscono benissimo l’ambiente veronese. La posizione del club è in bilico anche per un altro passaggio secondo i magistrati: Bettarini poteva avere un vantaggio dal tesseramento (i contributi pensionistici), mentre il Chievo ha solo avuto guai da questo «favore». Perché, allora, non chiedere un risarcimento danni a Bettarini dopo la multa di 80 mila euro? Tutti questi punti sono stati affrontati nell’incontro che i magistrati della Dda hanno avuto con Campedelli che avrebbe fornito la sua versione sui fatti. La segretaria Per il momento i magistrati non hanno ancora deciso se ascoltare o meno Stefano Bettarini. La scorsa settimana era stata sentita Stefania Ginesio in merito proprio alle sue telefonate con Bettarini («Stefano non ti preoccupare: il club negherà il tuo tesseramento. Certo, Palazzi può arrivarci lo stesso...») e se era a conoscenza dei rapporti tra Giusti e il Chievo. -
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DIMISSIONI DOPO LE CRITICHE DEL MASSIMO DIRIGENTE CONI LA DECISIONE DEL PRESIDENTE Corte di giustizia: Coraggio se ne va di MAURIZIO GALDI (GaSport 14-01-2012) Il presidente della Corte di giustizia federale (Cgf) Giancarlo Coraggio si è dimesso ieri «manifestando disappunto per il tono delle critiche rivolte al parere emesso mercoledì scorso» dalla Cgf sul caso Lotito. Era stato il presidente del Coni Gianni Petrucci a criticare la decisione anche perché sollevava dubbi sulla norma «etica» che lo stesso Coni aveva emanato a tutte le federazioni proprio per sottolineare che i dirigenti «condannati anche solo in primo grado» per reati attinenti lo sport fra questi la chiaramente la frode sportiva dovevano immediatamente essere sospesi dalle loro cariche. Il parere La Sezione consultiva della Cgf era stata investita da Abete per l'interpretazione dell'articolo 22 bis delle Noif sulla sospensione dei dirigenti condannati anche solo in primo grado. Norma che in parte contrasta con un'altra statutaria e per questo era intervenuto il Coni che aveva fissato regole «uguali per tutti», ma la Cgf aveva detto che Lotito — pur dovendosi sospendere dalle cariche all'interno del suo club — poteva continuare a partecipare alla vita federale. Reazioni «Ho criticato la poesia, non il poeta», ha commentato il presidente Petrucci all'Ansa e ha aggiunto: «Confermo tutto quel che ho detto mercoledì» quando aveva attaccato il parere sulla direttiva Coni ritenendolo una vera e propria «invasione di campo». Petrucci ha richiamato la letteratura: «Faccio presente che, come diceva Ezra Pound, un critico è cattivo quando discute il poeta, non la poesia». La Federcalcio e il presidente Abete non hanno commentato, ma nel comunicato sul sito federale si legge: «Il presidente della Figc rinnova al dottor Coraggio il vivo ringraziamento per l'attività svolta volontaristicamente nell'interesse del calcio italiano, con l'augurio più fervido per i nuovi importanti impegni istituzionali che si appresta ad assumere». Coraggio, infatti, aveva già manifestato la sua intenzione di lasciare a scadenza del mandato (il 30 giugno) la presidenza della Cgf perché è stato recentemente nominato presidente della Sesta sezione del Consiglio di Stato, la stessa che aveva «bocciato» l'uso commerciale della tessera del tifoso rinviando al Tar per un più approfondito esame della vicenda. Il retroscena Il presidente federale Giancarlo Abete, dopo il contrariato silenzio con il quale aveva incassato il parere della Cgf, ieri si apprestava ad intervenire sull'argomento a Coverciano dove era programmata la periodica riunione di dirigenti e capitani della Lega Pro con gli arbitri. Per questo nelle prime ore della mattinata aveva anche avuto una telefonata con il presidente del Coni Petrucci. Poi, proprio mentre era in viaggio per Firenze, è arrivata la telefonata di Coraggio che gli ha anticipato l'intenzione a rassegnare immediatamente le sue dimissioni. A questo punto l'intervento di Abete a Coverciano è diventato solo «istituzionale» e di saluto. ___ Caso-Lotito: il Coni non si pente, la Lega di A pronta a sfidarlo Corte Figc, il n. 1 se ne va per protesta art.non firmato (CorSera 14-01-2012) ROMA — La tempesta intorno al caso-Lotito ha fatto registrare le dimissioni del presidente della Corte federale, Giancarlo Coraggio, a due giorni dal parere consultivo con il quale la Corte non solo aveva detto no alla sospensione del presidente della Lazio dagli incarichi federali (in attesa di sentenza definitiva della magistratura ordinaria), ma aveva pure criticato la direttiva etica del Coni, andando ultra petita. Petrucci, che aveva attaccato la sentenza (non era piaciuta nemmeno in Figc), ma non chi l'aveva scritta, non si è commosso: «Io ho criticato la poesia, non il poeta». Ieri Coraggio aveva avvertito il presidente della Figc, Abete, per telefono, poi gli aveva inviato una lettera, nella quale aveva manifestato il disappunto per le critiche mosse al parere della Corte. In realtà Coraggio ha anticipato le dimissioni che fra un mese, sarebbero state obbligate per l'incarico che andrà ad assumere (la presidenza del Consiglio di Stato). In queste ore la Lega di Milano sta mettendo a punto un piano per sfidare il Coni: eleggere Lotito alla vice-presidenza della Lega nell'assemblea di lunedì 23 che dovrà rinnovare il Consiglio. -
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Il caso IL BUON GUSTO CHE MANCA A LOTITO NELLA GUERRA CONTRO PETRUCCI di RUGGGGGGGIERO PALOMBO (GaSport 13-01-2012) Il quesito è: può un organo di giustizia di una federazione mettere bocca su decisioni assunte in sedi esterne a detta federazione e di grado istituzionale superiore nella scala gerarchica dell'ordinamento sportivo? La risposta, che diamo in punta di buonsenso prima che di diritto è «no». Non può. La Corte di Giustizia federale del calcio, presieduta da Giancarlo Coraggio («Ci vuole un bel Coraggio!» ha esclamato un buontempone federale) ha ritenuto di fare altrimenti. Richiesta di un parere da Abete, che non comprendeva le successive delibere del Coni ma norme interne alla Figc, è andata molto oltre. Per la gioia del presidente della Lazio e consigliere federale Lotito, bacchettando il Coni, che aveva stabilito come i condannati anche solo in primo grado dalla giustizia ordinaria dovessero essere sospesi dalle cariche federali. La replica di Petrucci è stata di fuoco, mentre Abete ha scelto la strada di un solidale (ma dal Coni non apprezzato) silenzio. I conti con gli organi di giustizia intende farli il 30 giugno, quando i mandati andranno in scadenza e spetterà a lui decidere se rinnovarli o procedere a nuove nomine. Ma la guerra Petrucci-Lotito (se ne farebbe volentieri a meno) solleva un secondo interrogativo: può il Coni introdurre una norma ad uso federazioni che abbia anche effetto retroattivo come è avvenuto in questo caso? Qui Lotito e la Corte di Giustizia potrebbero non avere tutti i torti. Perché la risposta, in punta di diritto prima che di buon senso, secondo autorevoli pareri è «no». Non può. Coni-Corte di Giustizia uno a uno? No, perché c'è un terzo quesito, etico. che pretende una risposta: può un tesserato condannato in primo grado per frode sportiva continuare a occupare una poltrona nel Governo federale? La risposta, prescindendo da norme più o meno retroattive, è perfino ovvia. No, non può. Non potrebbe. E se proprio può, caro Lotito, dovrebbe avere il buon gusto di provvedere. Facendosi spontaneamente da parte. Ma questo, passando ieri in federazione a salutare Abete, Lotito naturalmente non lo ha fatto. E non lo farà. -
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Come dire In nome degli Agnelli di STEFANO BARTEZZAGHI (l'Espresso | 19 gennaio 2012) L’Avvocato non c’è più; la Fiat ha rischiato di sparire e non è più la stessa; idem la Juventus. Oggi degli Agnelli fanno notizia soprattutto i nomi che danno ai loro discendenti. Il lato Elkann era tradizionalmente quello più creativo, con John e Lapo, e i figli di John, Leone e Oceano. Era una certa voga aristocratica per il nome proprio che è anche un nome comune (Acqua, Diamante, Orchidea): ma poi va anche detto che Leone è stato il nome di 13 papi (oltre che di Leone Ginzburg) e che sul calendario non manca persino un Sant’Oceano. Anche il figlio di Briatore, Nathan Falco, su cui tante ironie sono state fatte, ha due nomi inusuali ma non inventati: Nathan è un personaggio biblico ed esiste un San Falco. L’onomastica della famiglia Agnelli è tornata ora alla ribalta con la nascita del secondogenito di Andrea Agnelli, Giacomo Dai, che farà compagnia alla primogenita Baya. Mentre su Giacomo non c’è proprio nulla da eccepire, Dai e Baya sono nomi imperscrutabili: corrispondono a etnie rispettivamente cinesi e congolesi. «Dài», oltretutto, prima di essere la parte ripetibile di un tormentone del film “I soliti idioti”, era anche l’esortazione più ripetuta dai genitori italiani ai loro figli, come certificano tutte le baby-sitter e le ragazze au pair straniere accasate presso famiglie italiane. La bizzarria alla fonte battesimale non è certo un’esclusiva delle famiglie altolocate: probabilmente si può interpretare come volontà che il proprio figlio abbia sin dalla nascita un marchio di unicità. Eppure il caso degli Agnelli merita molta attenzione, quanto meno per i suoi precedenti. Si pensi all’impressionante linea ereditaria su cui si è imperniato il Novecento italiano: lo scettro è passato dal capostipite Giovanni Agnelli al nipote Giovanni, ma per tutti Gianni, e da questi al nipote John. Giovanni, Gianni, John: una linea ereditaria onomastica che sintetizza una storia del costume italiano. Anagramma: Andrea Agnelli: La grande linea -
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Mi pare che... La guerra tra Mediaset e rossoneri prova che le tv hanno il bavaglio di LUCIANO MOGGI (Libero 13-01-2012) Torna in ballo “l’etica” e stavolta la brandisce Petrucci contro Abete. Non cambia la sostanza ma il bersaglio. Abete diceva (ma non l’applicava), che “l’etica” non va in prescrizione, Petrucci sentenzia che “l’etica” non ha bisogno di interpretazioni. È un “incartamento” generale al più alto livello delle istituzioni sportive, perché ognuno usa “l’etica” a suo piacimento. Il giochetto di Abete di cercare scappatoie sotto l’aspetto di pareri interpretativi stavolta gli si è rivoltato contro. Il parere c’è stato, ma è una bomba, coraggio ha preso coraggio, e la sua decisione è di fatto in linea con la posizione della Figc, un siluro al Coni e dunque a Petrucci. Qual è il gioco? È solo l’effetto di un coacervo di norme che non collimano o si tratta di un orientamento politico, nel caso solo della Figc? Potrebbe essere, chissà, anche un guazzabuglio imprevisto. Tre gradi In Italia vi sono tre gradi di giudizio, un verdetto è definitivo quando passa in giudicato. Che senso ha soppesarlo come definitivo quando si è appena al primo grado? Solo per motivi etici? Ma allora Abete spiegasse perché “l’etica” è stata messa in prescrizione nel caso della relazione di Palazzi e dei connessi accertamenti per Calciopoli di illeciti sportivi a carico dell’Inter (art.6 e non art.1), fatti per i quali è stato detto che era ormai intervenuta la prescrizione: se “l’etica” non va in prescrizione almeno la rimozione dello scudetto 2006 regalato all’Inter per presunti (e caduti) valori etici doveva essere presa e attuata. Può rispondere anche Petrucci a questo semplice quesito nel giorno in cui ci tiene a sottolineare che “l’etica” non va interpretata. Se in tutta la vicenda il cane si morde la coda è solo perché su quegli aspetti morali non è stata fatta alcuna chiarezza. Petrucci bolla con parole di piombo il valore “solo consultivo” del parere della Corte Federale, e quindi dell’esecutività comunque di quanto deciso in senso nettamente contrario dalla Giunta del Coni, ma la Corte Federale con altrettanta durezza afferma che «sul quadro normativo non incide la direttiva della Giunta del Coni», ed in più - è l’aspetto più grave - mette in dubbio la competenza dell’organo. Una bella lotta tra poteri che apparentemente non ha soluzione. Conoscendo Lotito non abbiamo dubbi che la battaglia continuerà e sarà dura, ma insistiamo, se la Figc e il Coni avessero dato prova di ritenere imprescrivibile nei fatti e non solo a parole “l’etica”, ora sarebbe più facile sbrogliare la matassa. E stavolta Abete non può inventarsi nuovi gradi di discussione per confondere le acque allo scopo di arrivare a decisioni precostituite. L’uomo va per Alte Categorie. Dopo la prescrizione si è riempito la bocca di “dignità”, la sua, che non avrebbe prezzo e che lui avrebbe sempre dimostrato. A chi? Non risulta a nessuno, e meno che meno alla Juve. La risposta ricevuta da Andrea Agnelli è di incompetenza della Figc, mortificante per chi l’ha data. Nella realtà si trattava di trovare un escamotage, non importa se risibile, che però è quello che non è uscito stavolta dalla Corte Federale. Il presidente Figc è ora in difficoltà, l’asse con Petrucci si è fatto debole, se non è venuto meno del tutto. Il presidente del Coni ha memoria lunga. Sono lontane le reciproche attestazioni di stima, fiducia e condivisione di intenti. Porte chiuse Il Milan chiude la porta ai giornalisti di Mediaset. Sbaglierebbe chi volesse interpretare questa inusitata decisione come l’affermazione di una indipendenza e autonomia tra club rossonero e testata. È vero invece il contrario. Infatti non appena qualcosa non è andato in linea (giusta) ecco il botto pesante, tanto per far capire che, o si commentano i fatti in una certa maniera, anche a livello di ospitate, o al contrario si paga il pedaggio. Tutto è nato dal diverbio Allegri-Paparesta a commento dell’ ultimo rigore avuto dal Milan. L’ex arbitro ha dato il suo parere, il rigore non c’era, e apriti cielo, è esploso il caos. Tra le tante chiacchiere messe in giro in proposito, risulta che Paparesta, dopo essere evaso dallo spogliatoio di Reggio Calabria, rischia ora di finire rinchiuso in un camerino di Cologno! E adesso tutti capiranno come e perchè il col. Auricchio abbia detto con sorprendente innocenza, durante la fase dibattimentale del processo Calciopoli (in aula e sotto giuramento), che non gli risultava che il Milan avesse televisioni proprie. Ingenuo.. . Auricchio - ora non più colonnello - è indicato tra i dirigenti del Comune di Napoli e tra quelli più pagati, terzo in lista. Adesso anche gli ignari capiscono dove voleva arrivare. -
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CALCIOSCOMMESSE Gianello e la gara del boss Guai in arrivo per il Napoli Ora rischiano tre giocatori Inchiesta sul k.o. col Parma: il portiere coinvolto nella combine, il club ne risponderebbe. Cannavaro, Grava e Mascara: omessa denuncia? di FRANCESCO CENITI & MAURIZIO GALDI (GaSport 13-01-2012) Arrivano cattive notizie per il Napoli: la squadra di Mazzarri ha iniziato nel migliore dei modi il 2012, ma potrebbe ritrovarsi a correre in salita per via di una possibile penalizzazione. Come mai? Tutto dipende dal filone di inchieste sulle scommesse gestito dai magistrati del capoluogo campano. Soprattutto un'inchiesta ha avuto un'improvvisa accelerazione che avrà sicure ripercussioni anche per la giustizia sportiva. Napoli indaga su diversi fronti, da un lato c'è il pool «reati da stadio» che lavora sulle partite degli azzurri e su eventuali tentativi di combine, dall'altro la Dda Direzione distrettuale antimafia che lavora sulle infiltrazioni della camorra in particolare il clan D'Alessandro di Castellammare di Stabia nel mondo dei bookmaker, ma che va anche oltre. Reati da stadio Ha fatto notevoli passi avanti l'indagine partita da una strana coincidenza: alla partita Napoli-Parma 2-3 dell'aprile 2010 assisteva tranquillamente da bordo campo Antonio Lo Russo, figlio di un boss della camorra, entrato qualche giorno dopo in latitanza. Quella gara è stata messa sotto il microscopio perché il risultato e i flussi anomali sulle scommesse tra primo e secondo tempo, non convinceva i giudici l'aggiunto Giovanni Melillo e sostituti De Simone e Ranieri. Alla fine sono scattate le iscrizioni nel registro degli indagati per i fratelli Cossato e per Matteo Gianello, portiere del Napoli fino allo scorso giugno. L'accusa è frode sportiva in concorso. Nel registro degli indagati, infatti, sono finite anche altre persone. Insomma, per gli inquirenti su quella partita è stata tentata di sicuro una combine: da capire se andata a buon fine come sembra oppure no. Personaggio chiave È Gianello, ex portiere azzurro, il personaggio chiave. È stato ascoltato dai magistrati a giugno e subito dopo sono stati sentiti tre calciatori del Napoli: Cannavaro, Mascara e Grava. Gli inquirenti hanno anche voluto verificare se i tre commentassero e come gli interrogatori attraverso delle intercettazioni. Nessuno di loro risulta indagato, ma le indagini proseguono anche perché ai fratelli Cossato la polizia ha sequestrato pc e telefonini che ora sono al vaglio degli esperti per «superare le numerose password di protezione». La giustizia sportiva Il Procuratore federale Stefano Palazzi, che con Melillo è in stretto contatto, pur informato dell'inchiesta non ha ancora ricevuto nessuna documentazione, ma è probabile che quanto prima debba aprire un fascicolo sulla vicenda visto, soprattutto, che sono diverse le partite del Napoli entrate nel mirino della magistratura sia napoletana che cremonese. Secondo i magistrati ma il legale di Gianello Siniscalchi smentisce il portiere potrebbe aver partecipato alla frode. Se questa ipotesi dovesse essere confermata, il Napoli parte lesa per la giustizia ordinaria avrebbe conseguenze in sede di giustizia sportiva vedi i casi di Cremonese e Benevento penalizzati a causa del tesserato Paoloni per responsabilità oggettiva. A rischio squalifica Cannavaro, Mascara e Grava per i quali Palazzi potrebbe far scattare l'omessa denuncia se, come ipotizzano gli inquirenti, erano a conoscenza delle scommesse di Gianello o, cosa ancor più grave, che avesse tentato di alterare delle partite. De Sanctis Gli stessi magistrati hanno acquisito le immagini della «delusione» di De Sanctis in Napoli-Lecce dopo il 4-1 Cavani, sentendo ieri il portiere che ha ribadito la sua versione «non ho l'abitudine di esultare in campo, ma nello spogliatoio. Ero nervoso per le numerose occasioni mancate dai miei compagni». -
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ALLA SCUOLA / DI MOGGI SE MI CRITICHI NON TI PARLO Allegri rompe con le Tv Mediaset: ormai la proverbiale intolleranza dei club calcistici sfiora il grottesco di GIANCARLO PADOVAN (il Fatto Quotidiano 13-01-2012) Arsenico e vecchi dispetti. Nella settimana che conduce al derby, il Milan ha deciso di non parlare con Mediaset perché Paparesta, ex arbitro coinvolto in Calciopoli e attuale moviolista televisivo, ha litigato con Allegri. Che a Sky aveva già litigato con Massimo Mauro. Il problema non è, come sembra, la suscettibilità dell’allenatore milanista, ma tutta una serie di concatenazioni che muove dall’appartenenza di Mediaset alla holding Fininvest e arriva ai soldi versati dalle casse della tv alle casse del club di uno stesso padrone: Silvio Berlusconi. Riepilogando il triangolo, Mediaset paga una cifra spropositata alla Lega Calcio perché i giocatori del Milan, anziché mettersi a disposizione delle tv, non parlino. Ci sarebbe da trasecolare se non fosse che i rapporti tra media e società calcistiche, a prescindere dalle scuderie, sono scesi da anni ai minimi storici. SONO stampa e televisione ad aver cambiato il calcio o è il calcio che ha cambiato chi lavora per giornali e tv? Il circolo è vizioso e a intossicarlo hanno provveduto i mezzi prima dei messaggi. Anche chi scrive ricorda ancora che fino alla metà degli anni Ottanta il rapporto con l’interlocutore (calciatore, allenatore, dirigente che fosse) era diretto e non mediato. Un’aneddotica vasta squaderna racconti di interviste fatte sotto la doccia o di liti registrate in diretta dietro le porte degli spogliatoi mentre volavano gli zoccoli. La creazione di sempre più muniti uffici stampa, abili a erigere barriere e steccati, ha reso la ricerca più difficile e la dichiarazione più laconica. Per contro chi, seppur in pochi minuti, è costretto a incalzare il protagonista sui temi caldi e cogenti, non è più disponibile a far da reggitore di microfono in scontate passerelle televisive. Spesso a generare il corto circuito è la tensione del dopo gara. Altre volte – il più delle volte – è proprio l’indisponibilità al rilievo critico. È probabile che Allegri, più che in disaccordo sul rigore concesso a Pato e contestato da Paparesta, sia stato semplicemente sgarbato (perché rivolgersi all’ex arbitro dicendogli “Tu hai fatto di peggio”). Piuttosto la notizia è che ad adeguarsi alle sanzioni nei confronti dei giornalisti sia stato il Milan, un club che non l’aveva mai fatto con nessuno e per nessuna ragione. Altra musica, casomai, a Torino, fronte Juve, quando la triade comminava “squalifiche” ai giornalisti meno graditi impedendone l’accesso al campo di allenamento. Memorabile, anche per la rara e fiera reazione dei colleghi al seguito, la rivolta generata da una frase di Marcello Lippi, allora allenatore bianconero, che negò la risposta a Maurizio Crosetti di Repubblica. All’unisono la decina di giornalisti italiani si alzò abbandonando la conferenza stampa. Poi, naturalmente, tutto si ricomponeva, auspice Moggi che squarciava gli imbarazzi grazie al suo tonitruante “Ci penso io”. La verità è che chi adesso vive nel calcio è sempre più lontano da chi lo racconta, non accetta il contraddittorio, è discretamente prevenuto quando non addirittura afflitto dalla sindrome del complotto. E a chi fa risalire il fenomeno all’arrivo di Mourinho ricordo che Mancini era ancora peggio. Forse, più semplicemente, fare il giornalista di calcio è diventato difficile, forse sappiamo troppo di tutti e non abbiamo abbastanza coraggio per raccontarlo, forse l’essenza del gioco è quella che interessa meno. Vale più la cornice del quadro. ARSENICO e vecchi dispetti. Stavolta c’entra il mercato e, naturalmente, c’entra ancora Allegri e il suo controverso rapporto con Berlusconi (a proposito, a quando il contratto?). Nel pomeriggio era convinto di essersi liberato di Pato cedendolo al Paris Saint Germain (35 milioni più 8 di bonus) senza aver fatto il conto col padrone. Soprattutto con la figlia del padrone, Barbara, sempre più zarina. Nessuna ufficialità, ma l’af fare l’ha fatto saltare lei. Chi mai avrebbe potuto suggerire sul sito ufficiale del Milan parole tanto definitive al giovane brasiliano: “Il Milan è casa mia”. Se non è una prova di forza è un lapsus freudiano. Il precipitare degli eventi ha costretto Galliani a un affannoso rientro da Londra, dove era andato per prendere Tevez coi soldi di Pato. L’argentino adesso è più vicino all’Inter. Insomma, tra Mediaset e Fininvest è un bel ginepraio: tutti contro tutti e nessuno che abbia più nemmeno la voglia di parlarsi. -
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MISTERO KENNEDY Il libro voluto da Gianni Agnelli per svelare il complotto su JFK Torna in commercio l’inchiesta sull’assassinio del presidente Usa, che l’Avvocato aveva fatto stampare decenni fa, poi sparita dagli scaffali di mezzo mondo di FRANCESCO SPECCHIA (Libero 12-01-2012) La foto cristallizza i due fratelli, John e Bob, il Castore e Polluce della Nuova Frontiera, l’uno di fronte all’altro in controluce, avvolti in un silenzio innaturale nella stanza d’un motel. È quasi un presagio. L’omicidio più misterioso della storia d’America, quello di John F. Kennedy, si sarebbe compiuto di lì a poco, il 22 novembre 1963 a Dallas, su una Limousine troppo scoperchiata, che andava troppo piano, guidata da un autista troppo distratto. E da quella fotografia si snoda Il complotto (The Plot, pp. 232, euro 16, 5, Nutrimenti curato da Stefania Limiti) ovvero «La controinchiesta segreta dei Kennedy sull’omicidio di JFK», libro scomparso prematuramente da oggi rieditato; al centro, a sua volta, di un mistero editoriale mai risolto. Il libro ha una storia affascinante. Innanzitutto è un rapporto che la famiglia presidenziale affidò ai servizi segreti sovietici e a quelli francesi operanti direttamente sotto Charles De Gaulle. E ha lo stigma della bomba politica che avrebbe ribaltato la versione ufficiale sul caso Kennedy confezionata dalla Commissione Warren. Firmato «James Hepburn» - nom de plume, omaggio all’attrice Audrey Hepburn - rivela quanto il presunto omicida Lee Oswlad fosse solo un fantoccio; e che «Kennedy fu fatto fuori da un «Comitato» costituito da esponenti dei grandi monopoli industriali, essenzialmente miliardari petroliferi texani che controllavano polizie, quadri militari, servizi segreti», spiega Limiti. Nomi e cognomi Nulla di nuovo, rispetto al grumo delle teorie complottiste fiorite nei decenni. Se non fosse che ora si fanno davvero nomi e cognomi. «(Il libro) indica in Haroldson Lafayette Hunt e Edwin Walker (il «petroliere più ricco del mondo e il generale più fascista degli Stati Uniti», scrive Saverio Tutino, l’unico giornalista che in Italia ne parlò sulle pagine di Linus) i massimi dirigenti del Comitato che ha pensato e portato a termine l’operazione dell’uccisione di JFK», continua la Limiti nella prefazione «e rivela pure che Edgar Hoover, capo dell’Fbi - e anche di una struttura parallela costituita da killer professionisti e addetta ai lavori sporchi, ad esempio far sparire i testimoni scomodi dell’assassinio di Dallas, secondo il racconto di un ex agente alle sue dipendenze, Michael Milan - era al corrente del complotto, così come lo stesso vicepresidente, Lyndon Johnson». Ed ecco scorrere le citazioni di «compagnie che figuravano nei libri paga del Pentagono, la General Dynamics, la Lockheed, la Boeing, la General Electric e la Nord Aviation, non gradivano il controllo civile sulla Difesa inaugurato da Kennedy insieme al suo ministro Robert McNamara, e proprio nei loro uffici maturò, insieme a quelli che Hepburn chiama i “guerrieri”, cioè i vertici militari, l’idea di cambiare drasticamente registro. Inoltre le tre principali organizzazioni paramilitari, la John Birch Society, i Minutemen e il Ku Klux Klan, di cui Walker allevava i capi, e che vedevano in JFK un braccio dell’Unione Sovietica». «Il Comitato» sa molto di setta degli Illuminati, di Men in Black, di lobby potentissime che controllano il respiro del mondo. Il complotto, dunque, consegna ai posteri una ricostruzione simile a quella - sostenuta da importanti «confessioni», tra cui quella dell’ex agente Cia poi giallista Hoaward Hunt - accreditata anche da Jackie Kennedy, i cui dialoghi registrati con Arthur Schlesinger infiammarono le cronache, l’estate scorsa. Ma è il destino del libro in sè a lambire la storia della nazione. Se per pubblicarlo negli States e in Francia col titolo di Farewell America vennero create due case editrici fittizie, tra cui Frontiers Publishing Company, nel Belpaese intervenne direttamente Gianni Agnelli. L’ombra dell’avvocato Il quale ne commissionò sia la traduzione a Luca Bernardelli (che ricevette il manoscritto da un personaggio oscuro, che lo pagò in contanti), sia la pubblicazione ad un piccolo editore torinese, Albra, specializzato nella pubblicazione di testi scolastici. Albra lo diffuse nel novembre del 1968 con il titolo L’America brucia. Ma il dossier soggiornò pochissimo sugli scaffali. Agnelli, allora osteggiatore della scalata alla Montedison di Eugenio Cefis aveva coi Kennedy un rapporto viscerale: «Secondo alcune cronache del tempo, molto amico della first lady Jackie, Gianni Agnelli stabilì con JFK un vero sodalizio» che si sarebbe rivelato di grande importanza per il suo noviziato politico e le sue proiezioni ideali. «L’esempio trascinante di Kennedy, con il suo carisma e il gusto innato per le sfide lo contagiò senz’altro». Eppoi a misteri s’aggiungono misteri: «In questo scenario, appena tratteggiato, si materializzano copie del nostro misterioso libro nella città della Fiat: tra le pagine, nel capitolo dedicato ai «Petrolieri» c’è spazio anche per un’esaltazione della figura di Enrico Mattei... ». In Germania la Bild scrisse che «il libro era esplosivo come una bomba in Canada, Belgio, Liechtenstein: ma non fu mai letto, perchè l’Fbi dappertutto si attivò per comprare quasi tutte le copie stampate per evitare contaminazioni. . . ». E a renderci finalmente negli anni 70 nota l’opera, a poterne pompare l’effetto mediatico fu la rivista famigerata e fortemente anti-Vietnam Ramparts. Attorno alla sua estemporanea pubblicazione orbita un mondo di ecclesiastici, di boiardi, di anticastristi, di società estere «di cui i Kennedy mai si fidarono». Al Complotto è allegato il contributo di Paolo Cucchiarelli sulle similitudini tra l’assassinio di Dallas e la nostra strage di piazza Fontana. Bob Kennedy aveva un sogno. Poter varcare, da presidente, il soglio della Casa Bianca con l’inchiesta sul fratello sottobraccio. Sparì lui, sparì l’inchiesta... -
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Mancano i dettagli relativi al periodo pre-Calciopoli e post-Calciopoli. Comunque il personaggio viene inquadrato abbastanza bene. Stessa generazione di uno come Carraro: bestie anti-democratiche. ___ De Lise, il giudice nababbo Amico della Cricca, grande accumulatore di incarichi e di retribuzioni, a forza di poltrone è diventato uno degli uomini più ricchi di Roma. E ora è stato incaricato da Passera di 'sviluppare le autostrade' di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso 12.01.2012) Il vero Pdl ormai è lui. Pasquale De Lise da Boscotrecase, alle pendici meridionali del Vesuvio, resiste a ogni variazione di clima politico da un quarto di secolo. Il suo esordio risale al 1987, quando il premier democristiano Giovanni Goria lo sceglie come capo di gabinetto. Venticinque anni dopo il ministro Corrado Passera gli cuce addosso una nuova Agenzia, non proprio quello che manca in Italia. Dopo essere andato in pensione da presidente del Consiglio di Stato, il settantacinquenne De Lise si occuperà di sviluppare strade e autostrade. E lo farà da conoscitore. Nel 2006-2007 ha dato il suo nome al nuovo codice degli appalti. Per stare a tempi più recenti, a fine novembre 2011 ha chiuso l'arbitrato che opponeva l'Anas e Impregilo-Condotte, il consorzio appaltatore del macrolotto 5 sulla Salerno-Reggio Calabria che si è visto riconoscere oltre 300 milioni di euro. E' un verdetto record persino per De Lise, uno dei pezzi da novanta nella lista di magistrati amministrativi e contabili italiani che abbinano gli emolumenti degli incarichi pubblici ai guadagni delle commssioni di concorso, dei collaudi e dei lodi arbitrali. E' una lobby poderosa in cui figurano nomi come Corrado Calabrò, Lamberto Cardia, Mario Egidio Schinaia, Antonio Catricalà, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Mario Monti, e Carlo Malinconico, uscito dal governo dopo lo scandalo dell'hotel all'Argentario pagatogli da Angelo Balducci. Il ras della Cricca ha messo in imbarazzo anche l'amico De Lise, consultore di Propaganda Fide e ritenuto vicino all'Opus Dei. Nelle intercettazioni il magistrato napoletano veniva sollecitato per sbloccare gli appalti del G8 insieme al genero, l'avvocato amministrativista Patrizio Leozappa. "Nel rispetto della legge", ha dichiarato De Lise anni fa, "ognuno di noi ha la possibilità di svolgere attività che non contrastano con la propria professione di magistrato. E se ci riesce per capacità o lavorando la notte, che cosa c'è di strano?". Di strano, nulla. Se non forse qualche conflitto di interessi che nel 1996 Franco Bassanini e Giovanni Maria Flick avevano proposto di risolvere vietando gli incarichi extra ai magistrati amministrativi e contabili. Un'idea mai trasformata in legge. A furia di notti insonni, già nel 1992 la dichiarazione dei redditi di De Lise (1,1 miliardi di lire) stava alla pari con l'ingaggio di un buon calciatore di serie A. Il paragone viene a proposito perché il magistrato ha due grandi passioni: la lirica e il football. Su chiamata dall'allora numero uno del pallone italiano, Franco Carraro, De Lise è stato il capo della Procura Federale della Figc, portandosi poi dietro il genero. Ma a differenza di tanti calciatori, De Lise ha saputo investire. Il patrimonio immobiliare intestato a lui, alla moglie Gabriella Speranza, alle figlie Flavia e Fabiana, moglie di Leozappa, è nell'ordine di decine di milioni di euro e si concentra nelle zone top dell'immobiliare italiano. A Roma i De Lise hanno 112 vani complessivi e vari locali commerciali tra la centralissima via del Seminario e il quartiere Parioli dove il magistrato frequenta il circolo Antico tiro a volo insieme al suo grande sponsor Gianni Letta e a un Gotha di giuristi, ex ministri e gran commis come Luigi Mazzella, Pier Alberto Capotosti, Franco Frattini, Andrea Monorchio, lo stesso Catricalà. Solo le proprietà romane dei De Lise valgono ben oltre 20 milioni di euro. Vanno poi aggiunte una villa a Golfo Pevero in Costa Smeralda e tre villette all'Argentario, senza contare quella venduta al docente di diritto amministrativo Franco Gaetano Scoca a giugno del 2009 per 1 milione di euro. Anche a Cortina d'Ampezzo i De Lise hanno fatto investimenti d'oro. Oltre alla residenza dove hanno come vicini di casa Gianni Mezzaroma e i suoi figli Cristina, moglie di Claudio Lotito, e Marco, marito di Mara Carfagna, la signora De Lise possiede 13 vani in centro (corso Italia e via Roma), più altri locali commerciali. Non c'è da stupirsi che il Vaticano abbia scelto De Lise come consulente per il patrimonio immobiliare. -
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Calcio e tv: è nato lo spettatore competente di MARIO SCONCERTI dal blog "Lo sconcerto quotidiano" 12-01-2012 C’è una grossa novità che fa discutere. Parlo delle partite in tv sparse per tre o quattro giorni,a orari anche tre volte diversi nello stesso giorno, pranzo-pomeriggio-cena. A me va bene perché permette di vedere molte più partite che mi interessano. Ma io faccio questo lavoro, ho una moglie paziente e non esco molto di casa. Non so che effetto faccia in generale. E’ chiaro che perde forza la giornata di campionato come evento, come pacchetto complessivo di storie e risultati. Una cosa è un grande film, altra è quel film a puntate. Sta però cambiando completamente il nostro modo di guardare il calcio. Quindici anni fa poteva vedere calcio solo chi andava allo stadio. Non c’erano le pay tv e la Rai non trasmetteva un minuto di campionato. Oggi si possono vedere in diretta le partite di tutti i campionati più importanti del mondo. Ogni giorno. Questo ha portato forse assuefazione, ma ha soprattutto creato un nuovo tipo di tifoso: lo spettatore competente. Oggi molti sanno tutto, la conoscenza del calcio si è moltiplicata in modo quasi esponenziale. Questa raggiunta competenza ha creato discussione, si è saldata con la Rete, è diventata scienza. E’ rimasta la vecchia fede nella propria squadra davanti alla quale ognuno va d’isitnto, ma si è aggiunto un bisogno continuo di informazione e di visione diretta delle cose. Quello che era cominciato una trentina di anni fa con gli album di figurine e poi con il Fantacalcio, è diventato oggi testimonianza attiva, scambio, nuovo divertimento. Le scommesse hanno finito per dare anche un motivo pratico alla nuova competenza. Sapere di più fa rischiare di meno. Oggi è davvero come se tutti giocassero a calcio. -
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È malato di debiti (e altro), non ha alternativa alla riforma CALCIO 2012 MENO COSTI E PIÙ RICAVI. MENO POTERE ALLE TV E STADI NUOVI. INGAGGI RIDOTTI AI GIOCATORI E UN MODELLO DA SEGUIRE: LA GERMANIA. A POCHI MESI DALL’INIZIO DEGLI EUROPEI, TRA SCANDALI E POLEMICHE, LA PAROLA AI VERTICI DELLO SPORT ITALIANO (ABETE, PETRUCCI E TOMMASI). CHE CON SETTE PREFIGURANO LE NOVITÀ di AGOSTINO GRAMIGNA (SETTE 12-01-2012) C’è sempre una frase che riassume simbolicamente uno stato di fatto. Quello del calcio italiano, all’alba del 2012, è tutto nella dichiarazione del numero uno dello sport, Gianni Petrucci: «Ci ho provato ma è andata male». Tutto qui. Poche parole pronunciate il 15 dicembre scorso dopo il clamoroso fallimento del cosiddetto Tavolo della Pace, voluto proprio da Petrucci con l’appoggio di Giancarlo Abete. Tavolo che nelle intenzioni dei protagonisti avrebbe dovuto ricomporre le fratture tra i big della Serie A (eredità di Calciopoli) e rappresentare un punto di partenza per riformare il calcio. A detta di molti gravemente malato. L’anno invece si è chiuso con le riflessioni amare del presidente del Coni: «La verità è che i presidenti continuano a pensare solo ai soldi, ai ricavi, perdendo di vista la realtà globale, i problemi veri. Così non si va avanti». I problemi? Il 2011 ne ha evidenziati tanti. La lista è lunga: debiti dei club; stadi vecchi e inadeguati (la legge di riforma giace in Parlamento); scandali giudiziari (l’anno sarà ricordato per le manette ai polsi di giocatori coinvolti nel calcio scommesse); contratto collettivo dei calciatori ancora in alto mare che rischia di fermare il campionato pure nel 2012; polemiche sugli arbitri e sulla moviola in campo; arretramento nel Ranking Uefa con la conseguente perdita di una squadra in Champions. Le note positive? Il ritorno di una nobile (la Juventus) ai vertici del calcio giocato, l’impresa del Napoli in Champions, la qualificazione della Nazionale con largo anticipo agli Europei di giugno e tre squadre approdate agli ottavi di Champions league (unica nazione). Tutto qui. È in questa cornice che Sette ha provato a fare il punto sulla situazione con l’occhio proteso al nuovo anno. Mettendo a confronto le opinioni degli uomini che a vario titolo hanno le redini di questo sport: il presidente del Coni (Petrucci), quello della Figc (Abete) e Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Calciatori, l’uomo che rappresenta le vere star del calcio accusate di percepire ingaggi stratosferici. TAVOLO DELLA PACE (ADDIO) Anticipiamo un dato: le opinioni dei tre riflettono gli interessi che tutelano. Come da copione. Abete recita la parte dell’ottimista, quello che tra il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto privilegia il primo. Tommasi difende i calciatori dall’accusa di avidità. Mentre Petrucci, dall’alto della sua carica, fa la voce critica e invita i protagonisti a partire da un punto: l’etica dell’appartenenza. Scusi presidente, appartenenza a cosa? «Alla Lega, alle Istituzioni. Ricordo ai presidenti di calcio che non si vive di soli soldi. La verità è che i club dimostrano di non rispettare la Lega». Il Tavolo della pace è fallito, dovremo quindi aspettarci un 2012 sempre all’insegna della guerra tra Juve e Inter? Abete è fiducioso: «I due club hanno posizioni diverse e ci sono le tifoserie. Ma spetta ai dirigenti trovare un equilibrio. Se ho la coscienza a posto? La Federazione ha fatto ciò che doveva. Ha l’obbligo del rispetto delle regole. Non potevamo intervenire nel campo che compete alla giustizia sportiva». Così facendo però ha guadagnato qualche nemico. «Io non ho nemici». Il presidente del Coni ripete il concetto come un mantra: per la pacificazione occorre il rispetto delle Istituzioni. L’unico modo per fargli trovare il sorriso è spostare il tema sulla Nazionale. «La vedo molto bene e ha fatto benissimo Abete a scegliere Prandelli, uno che ha portato gli Azzurri a giocare su un campo sequestrato alla ’ndrangheta. Se mi aspetto una vittoria agli Europei? Ho la mia idea ma non dico nulla. Non faccio pronostici, non ne farò mai più. M’è bastato sbagliare una volta con il basket». Mancano pochi mesi agli Europei che si giocheranno in Polonia e Ucraina. Paesi non poprio all’avanguardia che però hanno soffiato la sede proprio all’Italia. Abete sorvola sulla questione e spende sulla Nazionale parole di ottimismo. «Perché mi ricorda quella di Lippi, soprattutto dal punto di vista dello spirito». Obiettivo minimo la semifinale? «Una Nazionale come la nostra non può andare all’Europeo dicendo “siamo qui per partecipare”. Ma neanche arrivare con la presunzione che ci ha penalizzati all’ultimo mondiale». Quindi? «Mi auguro continuità con il lavoro svolto dall’agosto del 2010. Ci sono molti giovani e c’è la necessità di fare gruppo». Gruppo che invece non preoccupa Tommasi, ex giocatore della Roma, che la maglia Azzurra l’ha indossata 29 volte. Motivo? «C’è un blocco Juventus e questo può essere un vantaggio considerando che i bianconeri non hanno la Champions e meno partite nelle gambe». All’Europeo ci sarà subito la Spagna, campione del Mondo in carica. Sarà un’occasione per confrontarsi con realtà calcistiche molto più avanti di noi. Abete ammette: «È vero. Soprattutto la Germania, che vanta il calcio più sano e che considero modello da imitare. Se pensiamo agli stadi, ai ricavi che non dipendono solo dalle tv e altri aspetti non c’è dubbio che ne usciamo male. Occorrerebbe fare come loro». E non si potrebbe fare? Abete sorride. In effetti fa un po’ sorridere che la confessione di arretratezza provenga da uno dei vertici della galassia che governa il calcio. Sembra un paradosso. Scusi presidente, perché non si riesce a far approvare la legge sugli stadi? «Forse il nostro Paese ha altre priorità. In ogni caso il disegno di legge c’è. Giace in Parlamento ma c’è». Dobbiamo consolarci così? «Fino a ora non si è riusciti a farla approvare perché si è legato l’aspetto prettamente urbanistico a quello delle risorse dei diritti televisivi. Adesso finalmente si punterà solo al primo. Per questo sono fiducioso per il 2012». Può affermare che avremo stadi nuovi tra 4-5 anni? «Ho fiducia». Pure di un calcio oberato di scandali come quello delle scommesse? «Non ne farei una questione italiana: il problema c’è ed è internazionale. Pensiamo a cosa è successo in Germania. Come se ne esce? Tutti gli attori devono vigilare al massimo: arbitri, giocatori, dirigenti. Spetta a loro questa responsabilità». FAIR PLAY FINANZIARIO Intanto l’unico concetto che pare avere un contenuto di realtà è il cosiddetto “fair play finanziario”, voluto da Platini. Che tradotto significa: tagli e meno soldi da spendere per i grandi giocatori che così scelgono altri campionati. Del resto la situazione fotografata da ReportCalcio 2011 sullo stato del calcio italiano è illuminante. Trentuno milioni di tifosi, oltre 1, 2 milioni di tesserati a fronte di livelli di debito altissimi: 2, 7 miliardi (nel 2007 erano 2,2). Allora presidente Petrucci? «Allora io dico che la legge sugli stadi deve essere approvata e credo che ci siano buone possibilità per il semplice fatto che è a costo zero. Quanto al famoso fair play finanziario è una cosa serissima. Non una favola inventata da qualcuno. Aggiungo pure che i giocatori devono avere ingaggi adeguati ai tempi. Insomma dovranno abituarsi ad avere meno soldi nello loro tasche». Ha sentito Abete? Petrucci si auspica ingaggi adeguati perché i costi superano i ricavi (la Serie A è la più costosa d’Europa: in tre stagioni ha bruciato qualcosa come 1 miliardo di euro). E c’è chi accusa gli organi federali di cecità, di non fare nulla di fronte all’allarme bancarotta. «Non sono d’accordo con questo catastrofismo e non è vero che il nostro campionato è il più costoso d’Europa. Ma sul fair play c’è poco da dire che gli organi federali non si muovono: è una cosa seria voluta dalla Uefa, appoggiata da noi». Tommasi non ci sta, nel senso che si tira fuori. «Il fair play finanziario riguarda le società, sono loro che decidono. Quanto agli ingaggi dei giocatori mi pare un falso problema. Se il club paga tanto è perché può farlo. La verità è che nelle società ci sono soggetti poco affidabili che le portano al fallimento. Piuttosto sono d’accordo sull’urgenza degli stadi. Parlo spesso con giocatori di qualità che si lamentano del terreno di gioco, non solo degli spalti vuoti. Nel 2012 auspico meno tv. La Juventus ha indicato la strada». Se l’aspettava una Juve così forte dopo anni di magra? «No, ma evidentemente il nuovo stadio le ha dato una maggiore consapevolezza. Sicuramente è una candidata alla scudetto». Tommasi pensa pure alla Lega Pro. «Bisognerebbe imitare la Spagna dove i grossi club hanno la seconda squadra che partecipa al campionato minore. Questo garantisce attenzione mediatica e maggiori introiti». EXPLOIT NAPOLI Il Napoli in Champions che effetto le fa? Petrucci e Abete considerano la performance della squadra di Mazzarri come la nota positiva del 2011. «De Laurentiis viene dal mondo del cinema ma sta dimostrando di capirne pure di calcio». E gli arbitri, la moviola in campo? Le riassumo la posizione di Petrucci e di Abete. Per il primo il problema non esiste. Punto. Per il secondo invece «la qualità dei nostri fischietti è alta, lo dice la Uefa che li chiama spesso. Sono ben 10 gli arbitri internazionali. Pensare che una partita possa essere decisa dall’arbitro è un errore. Quanto alla moviola non rientra nelle 17 regole del calcio. Ci sono 208 Paesi: o decidono tutti o nessuno. Piuttosto noi appoggiamo l’idea della Uefa dei 5 arbitri». Allora d’accordo Tommasi? «Non saprei. Dico solo che i nostri sono di livello altissimo». Più debiti, meno spettatori allo stadio 1 Presenze negli stadi. Diminuiscono le presenze. Secondo l’Osservatorio del calcio italiano la media dei presenti nel 2011 è stata di 23.675, la peggiore degli ultimi 4 anni (25.779 nel 2008). 2 Ranking Uefa. L’Italia è sempre al quarto posto (57.70). Comanda l’Inghilterra (80.9), seguita da Spagna (74.33) e Germania (70.02). 3 Debiti. Secondo Report calcio 2011 è in ascesa il livello di indebitamento delle società: i debiti Ònanziari sono aumentati del 43%, quelli commerciali del 39%. 4 L’esempio. Il nuovo stadio della Juventus, costato 120 milioni di euro. Il fatturato bianconero dovrebbe salire del 20%. -
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È ORA DI POTARE LE ROSE Il calcio è un’azienda che deve ridurre gli organici: 200 milioni vanno in stipendi a giocatori che non giocheranno mai di MARIO SCONCERTI (SETTE 12-01-2012) Restano molti i problemi che il calcio continuerà a portarsi dietro nel nuovo anno, ma uno resterà determinante, il numero eccessivo di calciatori. È la grande questione irrisolta degli ultimi dieci anni. Una qualunque squadra ha bisogno massimo di due giocatori per ruolo. Questo porta il totale a venti giocatori più tre portieri. Venti giocatori per venti squadre fa un totale di quattrocento giocatori. Questo è il numero corretto. In Italia in questo momento il numero di professionisti è praticamente doppio, circa 800 solo in serie A. Questo significa che ogni società ha in media circa 40 giocatori tesserati. Se calcoliamo uno stipendio medio di 500 mila euro otteniamo un totale di 200 milioni netti che vengono pagati a giocatori che non giocheranno mai. Questa è esattamente la cifra che il calcio perde ogni anno come deficit di gestione. In sostanza il calcio è una grande azienda che perde duecento milioni l’anno perché paga dipendenti che restano a casa. Come è possibile? Molto semplice. L’errore comincia dal mercato. Si comprano spesso giocatori che non si conoscono bene. Si investe molto sul destino, sulla speranza. Ma dopo un anno i risultati costringono a cambiare, quindi ad aumentare la rosa. L’esigenza di spendere sempre meno ha aumentato il rischio. Si pagano meno i giocatori, ma si hanno anche meno garanzie tecniche. In altre parole molti giocatori non portano vantaggi e vanno presto cambiati. Nel frattempo ogni stagione sono almeno una cinquantina i nuovi professionisti che arrivano dal settore giovanile e che fanno subito eccedenza. In sostanza il calcio non è in grado di far fronte ai contratti firmati, è una classica azienda troppo affollata che avrebbe bisogno di ridurre gli organici. Nelle aziende normali ci si aiuta ricorrendo agli stati di crisi, ai prepensionamenti coatti e pilotati attraverso vari tipi di welfare. Nel calcio questo è impossibile e sarebbe anche ridicolo. Così si discute se il giocatore in esubero possa o meno allenarsi con la prima squadra, possa cioè avere accesso al diritto elementare di un lavoratore: lavorare. Perché è l’unica forma di pressione possibile per convincerlo ad accettare di andarsene. Questo è il vero problema. Abbiamo giocatori per quaranta squadre, ma ne giocano solo venti. Si può continuare? No. Ma attenzione, perché a saltare per prime saranno le grandi squadre, quelle dei grandi stipendi. -
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L'intervista Abete e gli extracomunitari "La politica intervenga" di COSIMO CITO (la Repubblica 12-01-2012) Circa undicimila ragazzi tesserati in società giovanili italiane sono nati in Italia da genitori stranieri, parlano perfettamente la nostra lingua, sono italiani a tutti gli effetti, ma non per i regolamenti del calcio, che li equipara a extracomunitari. Sul tema degli immigrati di seconda generazione nella società italiana si è pronunciato anche Giorgio Napolitano. Presidente Giancarlo Abete, la Federcalcio, in concreto, cosa può fare per loro? «Da sola davvero molto poco. Quello sportivo è un ordinamento derivato, è sottomesso naturalmente alle leggi dello stato italiano e se per lo stato un ragazzo è extracomunitario, noi non possiamo obiettare nulla e agire di conseguenza». La legge Bossi-Fini rende, poi, tutto ancora più difficile. «Come tutti i lavoratori extracomunitari, anche i professionisti del calcio obbediscono al criterio di contingentamento degli ingressi nel nostro paese. In tutto lo sport professionistico italiano, nel 2010, sono stati circa 1400 gli extracomunitari al primo tesseramento. Nel calcio il tetto massimo è 60. Illimitato è invece il numero di ragazzi tesserabili dalle società dilettantistiche. Ogni anno fanno richiesta di tesseramento circa 8000 ragazzi extracomunitari. Naturalmente moltissimi di loro non arrivano mai al professionismo. La base è larghissima, il vertice molto stretto, pochissimi sono gli extracomunitari che sfondano la soglia tra dilettantismo e professionismo. Le cause sono da ricercare certamente in una burocrazia che rende le cose più complesse, ma anche nella naturale selezione». Dopo Sudafrica 2010 la Figc ha accelerato sulla salvaguardia dei vivai nazionali. Alcuni obiettano però che in realtà, più che i vivai nazionali, si voglia tutelare l´italianità dei vivai. «Non è esattamente così. Da una parte c´è l´ovvio interesse per i ragazzi di cittadinanza italiana e quindi selezionabili per le nazionali. Dall´altra però la Fifa insiste molto sul tema della formazione dei giovani, sulla necessità di coltivare talenti, sulla scia del fantastico esempio del Barcellona. Ci si muove su un doppio binario. Noi vogliamo aprire il calcio al più grande numero possibile di ragazzi. Chiediamo però alla politica un serio esame della situazione». È stato bello vedere Simone Farina a Zurigo sul palco con Blatter: il ragazzo è diventato un simbolo. «Il merito maggiore di Farina è stato quello di rispettare le strutture, Assocalciatori e Procura federale, mettendole immediatamente al corrente del tentativo di combine. Ha sì fatto il suo dovere, ma al dovere ha dato un volto e un nome. Farina rappresenta il punto di rottura di un sistema sotterraneo e pericolosissimo, che può essere combattuto solo attraverso l´impegno dei tesserati, la loro onestà e il loro rispetto per le istituzioni sportive». Il giocatore del Lumezzane Fabio Pisacane lamentava una disparità di trattamento. Anche lui denunciò un tentativo di illecito, ma non ha avuto gli stessi riconoscimenti. «I due gesti sono in tutto simili, la mancata notorietà del gesto di Pisacane è dovuta a cause del tutto mediatiche, allo spessore del fatto preso in considerazione, alla mancanza di un impegno della magistratura ordinaria nella vicenda. A lui però va il nostro grande apprezzamento e la nostra gratitudine». Il lungo braccio di ferro tra Aic e Lega sui fuori rosa aveva portato persino allo sciopero, ma quella vertenza che risultati ha prodotto se Amauri, e altri come lui, non hanno avuto alcun beneficio? «Chiedemmo la riscrittura del famoso articolo 7 del contratto collettivo entro 30 giorni: da allora in pratica non se n´è più parlato e non c´è stata alcuna riscrittura. Fu una battaglia di principio tra principi inconciliabili. Difficile dire chi la vinse e chi la perse».