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andrea

Tifoso Juventus
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  4. andrea

    Maurizio Sarri

    «Mi manca tutto del calcio ma ho avuto offerte irricevibili Deve accendersi la scintilla» Il tecnico e il tempo libero: «Lista di libri da leggere e di gare da guardare» di Monica Colombo · 22 feb 2025 ” Un anno difficile Ho perso mia madre e uno zio a cui ero molto legato, mia moglie è stata in terapia intensiva e io ho avuto un infortunio CASTELFRANCO PIANDISCÒ (AREZZO) Un grande meticcio bianco ci viene incontro con aria circospetta, attento a proteggere la signora Marina. «L’ho salvato dal marciapiede, ma lui riconosce mia moglie come padrona» dice affettuoso Maurizio Sarri accarezzando Ciro. «Un giorno a Castel Volturno stavo mangiando un toast, lui mi fissava dall’altra parte della strada. Gli diedi un boccone, da quel giorno continuò a tornare sempre alla stessa ora. Alla fine, lo portai a casa». L’allenatore che ha dato una nuova mentalità al Napoli, vinto uno scudetto con la Juventus e un’Europa League con il Chelsea non è così burbero come traspare all’esterno. Nel suo studio dove un enorme televisore manda in onda le immagini dell’Uae Tour di ciclismo («il mio secondo amore»), campeggia un poster con una citazione di De André. «Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, con il suo marchio speciale di speciale disperazione». Sulla scrivania, perfettamente allineati, due fogli, con grafia ordinata e sottolineature con l’evidenziatore. «Sono un po’ maniaco eh... Qui c’è l’elenco dei libri da leggere: quando non ho voglia di impegnarmi, mi piacciono i gialli. Là la lista delle partite da guardare». Quasi un anno dalle dimissioni dalla Lazio. Come è stato senza calcio? «Difficile a causa di problemi personali: qualcuno si è risolto, altri no. Ho perso mia mamma e uno zio a cui ero legatissimo. Mia moglie è stata in terapia intensiva e anche io ho avuto un infortunio. Dopo la sofferenza ci siamo ripresi». Ha ricevuto offerte? «Più di una e da continenti diversi, anche una ricchissima dall’Arabia. Nessuna proposta mi ha fatto scattare quel clic interiore per rimettermi in gioco». Cosa serve per procurarle entusiasmo? «Un grande progetto. Ho lavorato in squadre importanti negli ultimi 10 anni, ora spero di ricevere la chiamata giusta, così da far accendere la scintilla. Sennò sto fermo». È vero che ha rifiutato un contratto di 6 mesi al Milan che poi ha scelto Conceicao? «Non rispondo, le dico solo che in generale ho ricevuto proposte formulate in maniera tale da non farmi vacillare». Potesse scegliere, dove si sentirebbe a suo agio? «Nel campionato italiano, che è casa mia e il torneo più adatto alle mie caratteristiche. Poi in Premier dove si respira un clima unico». Cosa le è mancato di più? «L’adrenalina. Poi il campo, la preparazione quotidiana della partita, il vissuto del gruppo. Mi piace tutto del calcio, tranne una cosa». Quale? «Il mercato: sembra la soluzione per risolvere ogni problema. Non si parla mai invece di come sviluppare il talento». Ha visto molto calcio in tv? «Sulle piattaforme specializzate. Ma un conto è vedere le partite, un divertimento di 90’. Un altro è studiarle, un lavoro di tre ore». Chi la sorprende? «Il Como di Fabregas mi intriga. Mi piacciono il progetto e la connessione che Cesc ha con la società. È stato un mio giocatore al Chelsea, un ragazzo molto intelligente. L’ho incontrato di recente e ci siamo scambiati impressioni sulla tattica, ha preso appunti. È umile». Si dice che a lei serva tempo per inculcare i suoi principi di gioco. Un pregiudizio? «Luogo comune: sono arrivato al Chelsea a fine luglio, a settembre abbiamo ottenuto risultati straordinari. Mi hanno dato del lamentoso quando ho sollevato il problema dei calendari, ora tutti protestano: certamente con tante gare ravvicinate un gioco più rozzo si assimila prima». Gli allenatori giovani della nouvelle vague hanno fallito in Champions. «Mi auguro che la stessa distinzione valida fra i giocatori, e non fra giovani e vecchi, ma fra bravi e meno bravi, si applichi anche ai tecnici. Il valore di un allenatore deve essere però misurato sul torneo più lungo, il campionato. Non sulla coppa, dove incidono i singoli episodi». Il suo rapporto con due presidenti vulcanici come De Laurentiis e Lotito? «Aurelio forse è una persona più complessa, ma gli sarò sempre riconoscente per avermi fatto allenare la squadra per cui tifavo da bambino. Lotito è diverso da come appare: gli voglio bene ma le discussioni sono state frequenti nell’ultimo periodo. Dopo un secondo posto e la vendita di Milinkovic Savic mi aspettavo rinforzi. Alla fine, avevo attaccato il mio malcontento alla squadra». Gli altri dirigenti iconici con cui ha lavorato? «A Torino ho avuto Andrea Agnelli, il punto di riferimento di tutta la Juve. Poi mi sono relazionato con Roman Abramovich, meno algido e più ironico di quanto si pensi. Fra tutti il più simpatico è però Corsi dell’empoli. Mi manca lavorare con i fondi». Farebbe fatica? «Non credo: il fondo punta a realizzare utili con un club. Ma per incrementare i ricavi servono risultati sportivi, quindi gli obiettivi coinciderebbero». Il rapporto con i big data? «Sono uno dei primi ad aver usato le statistiche ma gli algoritmi devono essere un parametro, non l’unico». Il calciatore più forte che ha avuto? «Sono legato a un ragazzo, sensibile e delicato, che avrebbe potuto avere una carriera strepitosa, Riccardo Saponara». I trascorsi in banca cosa le hanno insegnato? «L’organizzazione del lavoro e la velocità decisionale». Il suo rapporto con i soldi. «Non sono parsimonioso ma nemmeno li butto via: un orologio dopo lo scudetto è il regalo più prezioso che mi sono concesso. L’ingaggio alto è uno status per un tecnico». Come è andata veramente nel 2015: era fatta o no al Milan? «Dopo il colloquio Galliani mi disse che la trattativa stava andando a buon fine. Ma poi non lo sentii più: secondo me il Cavaliere trasalì quando lesse una mia intervista dove dissi che non avrei votato Renzi perché troppo a destra come Berlusconi». Da quando stiamo parlando ha finito un pacchetto di sigarette. Com’è il suo rapporto con il fumo? «Disastroso, direi».
  5. andrea

    Nicola Berti

    «Alle mie feste pazze venivano anche i milanisti Per punizione fui spedito in un hotel per camionisti» Dal nostro inviato a Piacenza Paolo Tomaselli · 19 feb 2025 Nicola Berti: «I tifosi rossoneri dicevano che io e Aldo Serena eravamo amanti, la gelosia è una brutta bestia...» Nicola Berti, ma lei si ricorda come disossare un prosciutto? «Farei fatica, ma mio padre me lo aveva insegnato nel negozio di famiglia. Non credeva che avrei mai sfondato nel calcio, per cui mi prese un banchetto con il quale giravo i mercati. D’inverno stavo lì con un giaccone enorme, stile omino Michelin. E mi ricordo ancora il gelo alle mani quando prendevo le ricotte dall’acqua». Però era già un baby fenomeno, visto che a sedici anni iniziò la scalata dalla C. «Sì, giocavo, anche come centravanti e lavoravo. Tanto che Carmignani a Parma mi ripeteva di smettere con i mercati, perché mi vedeva stanco. A diciassette anni ho debuttato in serie B, facevo anche lo stopper. Avevo una grande tigna, anche se tecnicamente non ero il massimo...». Quando firmò il primo contratto con la Fiorentina venne definito «il miliardario con lo zero in condotta». Perché? «Assieme ad altri dieci “geni” in prima media andammo su una collina di Salsomaggiore a fumare e a perdere tempo. Per separarmi dalle cattive amicizie mi bocciarono». A quattordici anni fu ripescato dai carabinieri in una fontana. «A Salsomaggiore c’era già Miss Italia, allora scavalcai un muro per entrare nel giardino dell’hotel che ospitava le ragazze e mi ritrovai accanto a Patty Pravo. A Salso mi sentivo a casa mia e facevo un po’ di casino...». Marco Tardelli era il suo idolo da ragazzo? «Fu Claudio Gentile, mio compagno a Firenze, che un po’ mi forzò a dire questa cosa. Certo Tardelli mi piaceva e quando me lo hanno presentato sono arrossito, anche se io ero più bravino (ride ndr). Nel Mondiale del 1982 comunque io impazzivo per il Brasile». E nel 1994 se lo ritrovò in finale. «Contrariamente a quanto si pensa mi ero candidato per calciare il rigore, ma Sacchi mi saltò. Mi consolai per la sconfitta andando a San Diego con i miei amici brasiliani». Il suo appartamento a Soho, New York, tornò utile in quel Mondiale? «L’avevo comprato un anno e mezzo prima ed era fighissimo. Ma quello “str****” di Sacchi, mi raccomando lo scriva tra virgolette, nel giorno di riposo ci dava libertà dalle 11 alle 23, quindi ci toglieva la serata. Però due-tre chiamate per fare festa al pomeriggio con i miei compagni forse le ho fatte (esplode a ridere, ndr)». Lei, unico interista della spedizione, sembrava il meno sacchiano di tutti. «E invece forse lo ero più degli altri, perché giocavo dove voleva lui. Ero uno serio, anche se fumavo il cubano in camera di Baresi. Quell’anno dopo un lungo infortunio, come ha detto il nostro allenatore Marini, ho salvato l’inter dalla B, ho segnato nella finale di andata della Coppa Uefa che abbiamo vinto. E poi ho giocato tutto il Mondiale in fascia: un ruolo non mio». Le malelingue dicevano: «Berti esce e beve». E oggi? «Come allora: bevo il giusto». Ha mai pensato: avessi fumato o bevuto meno, avrei vinto di più? «No, perché non ho mai esagerato. Cioè, una sera fatta bene ogni tanto la facevo. Ma una ogni tanto». Del resto non tutti abitavano in Piazza Liberty. «Milano era bellissima, anche se oggi è troppo incasinata e sto bene in centro a Piacenza. In quell’appartamento sono rimasto nove anni: duecentocinquanta metri quadri, con terrazza sul Duomo, se i muri potessero parlare... Ma appunto, non è che si faceva festa tutti i giorni, anche perché organizzare per cento persone non era una cosa così semplice. Il festaiolo ero sempre io, ma c’erano tanti compagni e tanti milanisti. Veniva anche Vialli da Torino». Tra le sue frasi celebri c’è questa: «Sono antipatico perché la gente non sopporta di vedere uno che si diverte». Che cosa ne pensa? «Vale ancora oggi. Anche ai miei compagni davo un po’ fastidio a volte, perché guadagnavo tanto, sorridevo sempre, e mi permettevo di andare a bere una birra al pub, anche due. E qualche volta è capitato che alla domenica sbagliassi la partita». Per lei, a differenza di altri, il calcio era una festa? «Il giorno del derby lo zio Bergomi era tutto incupito perché doveva marcare Van Basten e ogni tanto lo prendo ancora in giro per questo. Io non vedevo l’ora di trovarmi davanti a quella folla: San Siro per me era la gioia assoluta». Ogni tanto gliela facevano pagare? «Per scherzo mi hanno bruciato un paio di scarpe da squash a cui tenevo molto. Le avevo indossate per due mesi di fila: l’ideatore fu Pagliuca». La Fiorentina l’aveva già venduta al Napoli, ma lei si rifiutò e volle l’inter. Perché? «Ero già in Nazionale e si scatenò l’asta. Erano tutti a Salsomaggiore per me: Moggi, Boniperti, Galliani, Beltrami dell’inter. Il rialzo nerazzurro arrivava sempre di notte e finii per guadagnare più di Bergomi, Ferri e Zenga messi insieme. Vincemmo subito lo scudetto dei record e l’asse fondamentale era Brehme, Berti, Serena». Dove ha conosciuto sua moglie? «A Saint Barth, era la direttrice del ristorante più bello dell’isola. È francese, di origine algerina. Sapeva che ero un ex calciatore, ma in quel periodo pesavo centodieci chili e giravo con lo scooter e il sigaro. Avevo progettato di andare lì a vivere, perché sapevo che l’adrenalina mi sarebbe mancata da morire. Ai Caraibi sono rimasto cinque anni e ho tenuto la casa: ho ammortizzato così l’addio al calcio». Che padre è? «Non sono uno che stressa i figli. Il piccolo è un gigante, fa il classico e tira di boxe, il più grande ha smesso con il calcio per il Covid, fa il chitarrista e canta: genere metal». Nel ’94 fece il Mondiale senza contratto: flirtava col Milan? «Sì, ho incontrato Berlusconi ad Arcore per un pourparler. Io non sarei mai andato e anche lui si è tirato indietro, forse perché politicamente non sarebbe stato conveniente. Mi avevano proposto la scorta, avrei dovuto vivere vicino a Milanello: ma che vita sarebbe stata? Per fortuna l’inter poi si è data una mossa». La pedinavano per la sua vita notturna? «Sì, poi mi convocavano in sede, mostrandomi dove ero stato. In un periodo storto mi mandarono per punizione una settimana a San Pellegrino Terme da solo con il preparatore, in un albergo per camionisti: non c’era neanche la tv in camera». Sempre al Mondiale ’94 disse che l’inno di Mameli «non si può sentire». «Invece per far ridere i miei compagni a Italia 90 mi mettevo la mano sul petto, ma a destra. Ero uno che sdrammatizzava, in un ambiente che si prende troppo sul serio. Ho fatto la carriera secondo le mie regole, mantenendo un equilibrio. Per questo non ho nessun rimpianto». Gli interisti le perdonavano tutto? «No. Dopo una sconfitta con la Samp a San Siro mi avevano puntato. Allora ho chiesto ad Eriksson se mi ospitava nel pullman doriano per uscire dallo stadio. E mi sono disteso fra i sedili...». I fischi da ex a Firenze le fecero male? «Sì, è stata l’unica volta che mi sono tremate le gambe, c’erano i vecchi che mi tiravano le monetine e il Trap mi ha tolto nel primo tempo. Mi sono incazzato, ma aveva ragione lui». Disse anche che il calciatore è una sorta di «oggetto sessuale». Che ne pensa? «Ci sono momenti in cui sei figo, sorridente, magari ci sai anche fare. Però poi mi sono venuti dei dubbi, ho fatto dei viaggi in posti dove non ero conosciuto, per vedere se c’era differenza. E posso dirlo: il risultato non era lo stesso di quando facevamo le vasche in centro a Milano». Altra fase celebre: «Ho ricevuto proposte sessuali anche da uomini». Anche colleghi? «No, colleghi mai. Poi ovviamente i milanisti dicevano che io e Aldo Serena eravamo una coppia: la gelosia è una brutta bestia». La sua amica Uma Thurman le ha mai detto che ha la faccia da attore? «No, ma me lo dice Gabriele Salvatores». La sua passione per Elvis Presley dove nasceva? «Nessuno l’ha mai davvero capito, ma ho ancora tutti i vinili». Con soldi e investimenti hanno mai cercato di fregarla? «No, sono piuttosto attento. E mio fratello è il mio commercialista: purtroppo dice che mi mancano altri tre anni alla pensione, per un cavillo dei tempi del Tottenham». Lo scherzo delle «Iene», con la figlia ventenne illegittima che viene dai Caraibi per incontrarla, è riuscito bene, che ne dice? «Ci sono cascato alla grande! Secondo me l’ideatore è stato proprio Aldo Serena, gliel’ho anche chiesto, ma non dirà mai la verità. C’è stato un periodo in cui a Saint Barth ero single e passavano di lì le navi da crociera, poi c’erano gli shooting delle modelle...». Uno gioioso come lei ha mai avuto momenti di sconforto? «No, non li voglio. Ho qualche preoccupazione per i figli che crescono: cose normali». Nel pieno del campionato se ne usciva con frasi come «l’attesa è la parte più bella del calcio». Non era banale. «Volevo che l’attesa di una partita importante non finisse mai. E quei momenti ancora oggi mi mancano da morire». Però se li è goduti. «Sì. Mi sono goduto le cose e l’ho fatto in maniera del tutto consapevole: c’erano ottantamila persone che cantavano “Nicola Berti, facci un gol”. A me, un centrocampista, uno che da ragazzino vendeva le ricotte nei mercati: pura emozione. Dall’altra parte, quei cori li facevano a Van Basten. Ma si rende conto?».
  6. andrea

    EL PENTAPLETE

    Le quote dopo il sorteggio Real Madrid 5.00 Liverpool 6.00 Barcellona 6.00 Arsenal 7.50 Bayern Monaco 9.00 Paris Saint-Germain 12.00 Inter 12.00 Atletico Madrid 25.00 Bayer Leverkusen 25.00 Aston Villa 33.00 Borussia Dortmund 66.00 Lille 100.00 Benfica 100.00 PSV Eindhoven 300.00 Feyenoord 300.00 Club Brugge 300.00
  7. Juve, il quarto posto o scatta il ribaltone Delusione, non disperazione dopo il ko. Ma adesso Thiago Motta non può più sbagliare Di Massimiliano Nerozzi · 21 feb 2025 Tattica e gestione Oltre alla tattica, la gestione del gruppo non convince tutti e spesso è sorprendente Punti di vista Locatelli: «Abbiamo buttato la partita», il tecnico: «Non abbiamo buttato niente» C’è delusione, tanta, non disperazione a casa Juve, il giorno dopo aver subito il ribaltone a Eindhoven, da favorita a tradita (dai suoi, anche): «Siamo arrabbiati, perché volevamo andare avanti, ma alla fine il Psv ci è stato superiore», sintetizzava Thiago Motta. Che «è e resterà il nostro allenatore», lo cementano sulla panchina gli spifferi della società, anche per la prossima stagione, nonostante sia svanito il primo traguardo stagionale, monetario ancor prima che sportivo. Tra gli obiettivi definiti nel Piano strategico per gli esercizi 2024/25 – 2026/27, con stime aggiornate nel cda del 27 settembre 2024, c’è infatti anche «la partecipazione agli ottavi di finale di Champions a partire dall’edizione 2024/2025». Risultato che avrebbe portato nelle casse del club altri 11 milioni di euro. Dopodiché, nell’elenco dei target c’è pure «un piazzamento finale nel campionato che consenta ogni anno di partecipare alla stessa Champions, fino alla stagione 2026/2027». È la linea del Piave, oltre la quale nulla potrà essere escluso: con Madama fuori dal ballo delle prime quattro, anche la posizione dell’allenatore sarebbe in discussione, come accade in questo mestiere. Confine tracciato dalla proprietà, ancor prima che dalla società, visto che per risanare il bilancio, e affrontare la crisi post terremoto giudiziario, fu scelto un cda da consiglio di guerra (contabile). Poi certo, peserà pure il tipo di percorso sportivo, da qui a fine maggio, tra sviluppo di gioco e di giocatori; di più avendo investito, e creduto, in un tecnico come Thiago, e lavorato tagliando gli ingaggi e assemblando la seconda squadra più giovane della serie A. E che, anche nel covo del Psv, aveva una line-up da futuro prossimo, con 25 anni, 8 mesi, e 20 giorni di età media. Proprio per questo, fin dall’inizio, il direttore dell’area tecnica Cristiano Giuntoli, aveva illustrato la road map: ci vorranno un paio d’anni — il concetto — per tornare virtuosi sui conti e competitivi sul prato. Dunque, ora et labora. Il che, va da sé, non garantisce comunque l’immunità da errori, che ci sono stati, partendo dalla gestione dell’ultima sfida europea. Per dire, c’era una volta una squadra che si difendeva con il possesso palla, disarmando così in partenza il nemico: eppure, nel secondo tempo di Eindhoven, i bianconeri hanno tentato 132 passaggi, di cui 86 completati; compresi 35 lanci lunghi, di cui 12 andati a buon fine. Anche per questo, un primo tempo equilibrato (4 tiri il Psv, 7 la Juve) è diventato una grandinata nel secondo (17 tiri a 3 per gli olandesi) e nell’overtime (4 a 1 gli spari nello specchio). «Nella ripresa — spiegava ancora Thiago — ci sono state situazioni che dovevamo evitare: il secondo gol nasce da una palla nostra, che diamo a loro e prendiamo contropiede; il terzo era evitabile, perché Bakayoko stoppa la palla dentro l’area di rigore, e a questo livello non puoi permetterlo». Oltre alla tattica, c’è una gestione del gruppo che, ad alcuni, può sembrare vagamente naif, al di là della differente visione dopo la sconfitta in Olanda, tra Manuel Locatelli («Abbiamo buttato via la qualificazione») e il tecnico («Non abbiamo buttato via nulla»). A tratti, pare quasi una questione di empatia, con lo spogliatoio. Danilo, che pure pensa che Thiago sia un ottimo allenatore, era perplesso sulle modalità comunicative scelte, mica solo nei suoi confronti. Da qui, impressioni, tra gli stessi giocatori, che sono zenith e nadir: «Per certe intuizioni pensi possa essere il nuovo Guardiola»; e «a volte non sai mai cosa aspettarti, anche per la formazione che farà giocare». Altra sirena, da un pezzo di spogliatoio: manca una figura «alla Agnelli», presente e non solo presidente (o ad). Impossibile però lo possano essere Ferrero e Scanavino, chiamati a ristrutturare la contabilità: che è poi quella che deciderà il futuro, di tutti.
  8. JUVE: PAGA YILDIZ SENZA CHAMPIONS SARÀ SACRIFICATO PER 80-90 MILIONI Le big inglesi già attive tramite Mendes, ma il turco vuole restare. Giuntoli pensa a fare cassa per Osimhen e Tonali Di Filippo Cornacchia TORINO · 21 feb 2025 Uscite e idee Cambiaso-Vlahovic verso l’addio. Nel mirino Hancko e gli atalantini Ederson e Lookman Champions o non Champions fa tutta la differenza del mondo, anche sul mercato. Senza il quarto posto e i premi Uefa, la Juventus sarà costretta a fare bancomat attraverso qualche ricco addio. Il dt Cristiano Giuntoli punta a incassare un centinaio di milioni tra Andrea Cambiaso (City, Bayern o Real Madrid) e Dusan Vlahovic, sempre più ai margini dopo la decisione di non voler rinnovare il contratto. Le cessioni dell’azzurro e del nove, però, potrebbero non bastare per sistemare i conti e finanziare i prossimi colpi. Per tutti questi motivi, alla Continassa tengono in serbo un piano alternativo: il sacrificio della stellina Kenan Yildiz, il più richiesto dei bianconeri nei salotti della Premier League. La scorsa estate la Juventus ha risposto “no, grazie” ai 60 milioni del Chelsea, preferendo monetizzare quasi tutti i giovani della Next Gen – da Solulé a Huijsen - pur di non dover rinunciare al numero 10 bianconero. Il prossimo luglio un assegno da 80-90 milioni sarebbe difficilmente rifiutabile, soprattutto senza la Champions League. Asta inglese Yildiz ha appena rinnovato il contratto fino al 2029 e della rosa di Thiago Motta è l’unico sempre presente in tutte le 37 partite stagionali. L’esplosione del 19enne, da agosto numero 10 bianconero come il suo idolo Del Piero, non è passata inosservata in Inghilterra. Questione di talento, affidabilità e margini di miglioramento. Kenan – 6 gol e 5 assist - è un giocatore “diverso” e in Premier sono pronti a ricoprire d’oro la Signora. Giuntoli non ha un’offerta sul tavolo, però ha già capito l’aria che tira. Sensazioni rafforzate dai contatti con Jorge Mendes, lo storico agente di Cristiano Ronaldo. Il manager portoghese non è il procuratore del fantasista juventino, ma ha contatti con tutte le big d’Europa e lo scorso mese è stato visto in noto ristorante di Torino prima con Giuntoli e poi con la famiglia di Yildiz. Mendes, protagonista anche di grandi intermediazioni, ha informato il dirigente juventino dell’interesse crescente da parte di City, Chelsea, Liverpool e United. Yildiz vuole la Juve Il sacrificio di Yildiz sarebbe doloroso dal punto di vista tecnico ma preziosissimo sotto il profilo economico: gli 80-90 milioni sarebbero tutti di plusvalenza dal momento che il numero 10 nell’estate 2022 è arrivato a Torino a zero e dopo lo svincolo dal Bayern. L’idea di un ricco divorzio ingolosisce i dirigenti, molto meno il fantasista di Ratisbona. Yildiz in Italia e nella Juventus si trova benissimo e con i tifosi bianconeri ha instaurato un feeling straordinario. In Turchia sono convinti che il ragazzo non solo non voglia lasciare la Signora, ma nel caso in estate farà di tutto per restare al proprio posto, anche a costo di rinunciare agli ingaggi superiori della Premier. Un po’ perché considera la Juventus il posto migliore per crescere e un po’ perché sogna di emulare il suo mito Del Piero. Da Osi a Tonali Può succedere di tutto e il quarto posto sarà determinante in un senso o nell’altro. Una cosa è certa: Giuntoli, dopo aver gettato le basi con la rivoluzione degli ultimi mesi, tra luglio e agosto ha intenzione di aumentare la qualità e la personalità della squadra con almeno un innesto per reparto. Se in difesa il promesso sposo è David Hancko (Feyenoord), trattato a più riprese già a gennaio, in mezzo al campo si punta a uno tra Sandro Tonali (Newcastle) e Ederson (Atalanta). Il corteggiamento dell’azzurro è già iniziato, l’idea della Juventus è quella di offrire Douglas Luiz al Newcastle come parziale contropartita. In attacco, al netto del prestito bis di Kolo Muani dal Psg, antenne sempre dritte sull’atalantino Ademola Lookman. Il principale obiettivo di Giuntoli, però, è quello di portare a Torino Victor Osimhen, il bomber con cui ha vinto lo scudetto. Il nigeriano del Napoli, attualmente in prestito al Galatasaray, è il primo nome per il post Vlahovic.
  9. andrea

    Renato Veiga

    Da come cammina dico che rientra ad aprile
  10. Lewis e l’anguria di Luigi Garlando · 20 feb 2025 Nel settembre del 2020, l’aspirante juventino Luis Suarez affrontò un esame di lingua italiana all’università di Perugia. Gli misero davanti una foto e il Pistolero, in bermuda e t-shirt, raccontò: «Bambino porta cocumella». «Anguria», corresse l’esaminatore. Molto meglio l’esordio linguistico di Lewis Hamilton, in divisa rossa: «Sono felice di iniziare questa nuova avventura, con voi, in Ferrari». Poche parole, ma, appena arrivato, avrebbe potuto ricorrere all’interprete. Rivolgersi al popolo del Cavallino nella nostra lingua, fin dalla prima ora, significa: «Lo so che la Ferrari è più di una scuderia, è l’Italia. Sarò il pilota di tutti voi». Quelle poche parole e gli occhi gioiosi con cui le ha pronunciate sono state una promessa d’amore, il primo rombo di motore. Non era scontato. Anche Cristiano Ronaldo sapeva di guidare la squadra più amata dagli italiani, ma, dopo tre anni di Juve, non rilasciava ancora interviste in italiano, perché il Goat, nella sua altezza, non sente il bisogno di adeguarsi ai contesti. Osimhen e Kvara hanno vinto a Napoli e sono ripartiti, senza aver parlato italiano. Kim e Ciro Mertens, invece, maneggiavano il dialetto. Lukaku, otto lingue, ha spiegato: «Io devo saper dire a un compagno dove voglio la palla». L’olandese De Ligt parlava come noi dopo 5’ di Juve, l’olandese Dumfries, dopo tre anni e mezzo di Inter, è fermo all’inglese. Usare la lingua di chi ti ospita è una forma di gratitudine, togliersi il cappello in casa d’altri. Hamilton l’ha fatto. Guiderà una Ferrari rossa come una “cocumella”. L’Emilia ne produce 45.000 tonnellate all’anno.
  11. Il cambio di gioco delle ultime partite https://x.com/CalcioDatato/status/1892533303246234042?t=yQNxn9QW_I7QFa0k9B0hig&s=19
  12. andrea

    Renato Veiga

    Per una squadra che vive su delicati equilibri come noi l'uscita di Veiga è stata devastante
  13. Per la prima volta la Juventus è stata eliminata in una doppia sfida nella fase a eliminazione diretta in UCL dopo aver vinto l’andata (aveva sempre superato il turno nelle 11 occasioni precedenti).
  14. https://x.com/fondazionejb/status/1891888683688550513?t=nIYhUA_cegweeh7RoDftgA&s=19
  15. andrea

    EL PENTAPLETE

    Secondo i bookmakers Milan e Juve hanno le stesse possibilità di passare il turno
  16. Vabbè https://m.fcinternews.it/curiosita-gossip/massimo-moratti-e-la-maturita-calabrese-20094
  17. Fosse stato un tifoso granata avrebbe comprato il Toro con due spicci
  18. https://x.com/paoloardoino/status/1891447768142475398?t=P6Ft8bfYVYvtfDFadbekiw&s=19
  19. «Siamo tifosi della Juve non un fondo speculativo, Vogliamo che torni grande» Ardoino, ad di Tether, l’azienda che ha acquistato il 5% del club Di Massimiliano Nerozzi · 17 feb 2025 Possiamo sostenere la Juve per i prossimi 2.000 anni Non siamo solo criptovalute, vogliamo creare qualcosa di nuovo TORINO Passione e quattrini non si discutono: «Siamo tifosi e abbiamo la capacità finanziaria per sostenere la Juve nei prossimi 2000 anni», dice tra un volo e l’altro Paolo Ardoino, 40 anni, origini liguri e cittadino del mondo, ad di Tether, il colosso di cripto e nuove tecnologie da 140 miliardi di dollari che s’è appena preso poco più del 5 per cento del club bianconero. Quando avete deciso? «Da qualche mese, acquisendo quote sul mercato: siamo ancora piccolini». Diventerete più grandi? «Onestamente: vorremmo aiutare la dirigenza, chiedendo se sarà poi necessario acquisire una quota maggiore. Ma dietro non c’è alcun piano machiavellico». Avevate avvertito Exor? «C’erano stati scambi con la dirigenza e la proprietà, per una valutazione strategica». Perché Tether ha deciso di investire nella Juve? «Premessa: non siamo un fondo speculativo. Dunque, per una serie di fattori, a partire dal tifo: sia io che Giancarlo (Devasini, il fondatore, ndr) siamo tifosi. E poi perché la squadra, tra i club più importanti del mondo, ha potenzialità incredibili». Sulle criptovalute nel calcio c’è un po’ di diffidenza. «Abbiamo chiuso l’anno con 13,7 miliardi di utili e ci associano alle cripto, ma facciamo tanto altro: nuove tecnologie, una società che sviluppa l’ai e altre che si occupano di biotech». Che c’entra con il pallone? «Ai e biotech diventeranno sempre più importanti nel calcio, e la Juve ha una formidabile fan base nel mondo». Volete farvi pubblicità? «La Juve è troppo importante per fare questo scompiglio: partiamo in punta di piedi, la tifoseria deve adattarsi alla nostra presenza». Diventerete sponsor? «Non lo escludo, ma ora non conosciamo i termini di un eventuale contratto. Però, non si fa tutto questo per pubblicità». La clip della zebra su X? «È la riscossa: passare da essere inseguiti a inseguire. Tornare dove si merita: “Make Juve Great Again”». Slogan scelto perché siete vicini a Trump? «Vero, ma l’ho scelto perché ha funzionato». Ha gasato i tifosi. «Spero lo siano perché hanno capito le potenzialità». Quali sarebbero? «Vogliamo creare qualcosa di nuovo: il calcio è legato a modelli di sviluppo e comunicazione antichi, che non si investa in tecnologia e comunicazione mi pare assurdo». Farete la rivoluzione? «Big data e Ai aumenteranno la possibilità di conoscenza e, quindi, di scelte». Le piace Thiago Motta? «Mi sembra una persona estremamente capace: può fare meglio, come tutti, ma è un allenatore con capacità incredibili». L’ultima volta allo stadio? «San Siro, contro l’inter: la partita più bella che abbia mai visto». Il 4-4 è roba da Luna park. «Io mi sono emozionato: è più bello quando te la sudi». Giocatore preferito? «Sarò scontato, ma dico Del Piero».
  20. https://www.ultimouomo.com/caso-jannik-sinner-doping-wada-chi-sta-mentendo
  21. Mancano quattro gialli https://x.com/JU29ROTEAM/status/1891415566524592384?t=Y1ZSnpPM4iWOqIwTZNaF4w&s=19
  22. https://x.com/Chiariello_CS/status/1891278178812912072?t=rWmuzL1q5BtyzdGvBe7nXQ&s=19
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