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andrea

Tifoso Juventus
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  1. andrea

    EL PENTAPLETE

    https://x.com/gmlavolpe/status/1919001406809190413?t=PldlXKCrMZuA_u1nO6lGqg&s=19
  2. Se il Napoli dovesse perdere, giocherebbe l'Inter-2?
  3. andrea

    Gigi Del Neri

    Di Sebastiano Vernazza · 30 apr 2025 C'era un ragazzo che, nel Friuli degli anni Sessanta, sognava di giocare in Serie A: «A 16 anni ero apprendista alla Marzotto, la grande azienda tessile. Dopo un periodo di tirocinio a Valdagno, Vicenza, mi assunsero come operaio nello stabilimento di San Giorgio a Nogaro, in provincia di Udine: facevamo tappeti per camere da letto e per bagni. Guadagnavo 32mila lire al mese, ma lasciavo tutto in famiglia perché funzionava così». Gigi Delneri viene da lontano, dall’Italia del dopoguerra e del boom economico: «Cultura del lavoro e del sacrificio. Giocavo a pallone nell’Aquileia e, quando la Spal mi chiamò per un provino, allo stabilimento chiesi il turno dalle 6 alle 14, perché il test al campo ce l’avevo alle 15.30. E quando mi dissero: “Va bene, vieni a Ferrara”, domandai alla Marzotto un anno di aspettativa: non sapevo come sarebbe andata a finire». ▶Pochi anni prima, la Spal aveva scelto Fabio Capello e Edy Reja, friulani come lei. «Fabio è di Pieris e io ho sposato una ragazza di Pieris, Daria. Conoscevo bene il papà di Fabio, il maestro Guerrino, uomo di grande spessore: ai suoi studenti trasmetteva cultura e insegnava loro la vita tramite lo sport». ▶ A Ferrara lei conobbe Paolo Mazza, leggendario presidente della Spal allora in Serie A. «Un dirigente formidabile, un secondo padre. Aveva una rete capillare di osservatori, specie a Nordest. Manteneva tutti gli impegni: se il giorno degli stipendi cadeva di domenica, anticipava la paga al venerdì. D’inverno voleva che i suoi giocatori indossassero le mutande lunghe di lana, perché temeva il freddo e l’umidità di Ferrara. Ce le forniva lui e ogni tanto controllava: giù i calzoni, e chi non portava i mutandoni veniva multato». ▶ Che giocatore era Delneri? «Ero un centrocampista, un 8 o un 10, leggevo il gioco con due-tre secondi di anticipo. Prima di ricevere la palla, sapevo a chi passarla. Oggi scorgo qualcosa di me in Calhanoglu. Anni fa, ai tempi del mio Chievo, mi immedesimavo in Corini». ▶ Chi è stato il più forte della sua epoca? «Gianni Rivera del Milan, per distacco. Ai tempi le partite non si vedevano in tv, così ogni volta che lo affrontavo lo studiavo per “rubargli” qualcosa. E poi c’era Luis Suarez della Grande Inter, altro numero dieci meraviglioso. Rivera però...». ▶È mai stato sul punto di firmare per una grande squadra? «Nel ‘75 sembrava fatta per me e Giuseppe Pavone dal Foggia all’Inter. Poi l’Inter prese Pavone (futuro ds, ndr) e basta. Un po’ di rimpianto ce l’ho, ma ho giocato lo stesso in Serie A e va bene così». ▶ Delneri allenatore: a chi si è ispirato? «Per la gestione del gruppo e per il concetto di lavoro di squadra, a Massimo Giacomini, che mi ha allenato all’Udinese. Per il resto ad Arrigo Sacchi». ▶Bearzot e Zoff, Capello e Reja, e poi Delneri: in pochi chilometri quadrati di Friuli, tanti giocatori poi allenatori di successo. «Credo che c’entri l’educazione al lavoro e al rispetto. Siamo gente di frontiera e siamo abituati a rispondere “comandi” a chi si rivolge a noi. Ci hanno cresciuti con il senso del dovere». ▶ Il segreto del suo bellissimo Chievo? «Fuorigioco, pressing, un 4-4-2 che era un 4-2-4 perché sulle ali avevamo gente molto offensiva. Abbiamo anticipato delle tendenze, per esempio le aggressioni uno contro uno di cui tanto si parla oggi. Non voglio passare per presuntuoso, ma l’altra sera, contro il Real, ho visto il Barcellona praticare il fuorigioco che noi facevamo al Chievo». ▶ Lei ha fatto bene anche alla Samp, qualificata nel 2010 al playoff Champions, e all’Atalanta. Non è andata come avrebbe voluto nelle grandi piazze: perché? «Perché al Porto, alla Roma e alla Juve non hanno accettato i cambiamenti che avrei voluto imporre. Al Porto, il pre­si­dente Pinto da Costa mi eso­nerò dopo un mese, in sede, alle tre del mat­tino. La squa­dra aveva appena vinto la Cham­pions con Mou­ri­nho e a Da Costa non pia­ceva che volessi lan­ciare dei gio­vani come Pepe. Alla Roma, suben­trai in un’annata dif­fi­cile, comin­ciata con la rinun­cia di Pran­delli. Alla Juve, ottimo girone di andata e pes­simo ritorno per via degli infor­tuni, su tutti quello di Qua­glia­rella, il nostro golea­dor. Mi infa­sti­di­sce che si prenda la mia Juve come pie­tra di para­gone del peg­gio, io a Torino non ho goduto di certi inve­sti­menti eco­no­mici. Una cosa l’ho capita: chi va alla Juve deve porsi la vit­to­ria come primo obiet­tivo, il resto viene dopo». Chi è il giocatore più forte che abbia mai allenato? Promemoria: lei ha avuto Totti alla Roma, Cassano alla Samp e Del Piero alla Juve. «Come fac­cio a sce­gliere? Par­liamo di tre fuo­ri­classe. Li col­loco tutti sullo stesso piano». La risposta diplomatica non vale. «Riba­dito che sono stati tre feno­meni, metto Totti davanti: sapeva fare tutto, avrebbe potuto rico­prire qua­lun­que ruolo, se la sarebbe cavata anche in porta. Era com­pleto, strut­tu­rato al meglio». Quale “cassanata” può raccontarci? «Guar­date che Anto­nio era ed è un bravo ragazzo. Non si capa­ci­tava che gli altri non aves­sero la sua gran­dezza tec­nica. Faceva tutto facile e per lui tutto era facile, ma per gli altri era dif­fi­cile. Con me, par­cheg­giava l’auto a bordo campo, tutto qua». Delneri, a 74 anni si considera in pensione? «In teo­ria sì. In pra­tica, non lo so: stu­dio, mi aggiorno. Se mi arri­vasse la pro­po­sta giu­sta e impor­tante... Ho ancora un certo fuoco den­tro».
  4. Per chi pensasse di andare a fare una gita a Bologna, segnalo che secondo i bookmakers l'1 è il risultato più probabile
  5. Contro il Verona mancheranno le sovrapposizioni di Inzaghi sulla fascia (dal web)
  6. https://www.dagospia.com/sport/mal-francia-per-dazn-piattaforma-streaming-rescisso-contratto-ligue-1-433200
  7. andrea

    EL PENTAPLETE

    https://www.dagospia.com/sport/i-segreti-quel-divino-maranza-lamine-yamal-i-movimenti-433217
  8. andrea

    EL PENTAPLETE

    https://www.dagospia.com/sport/i-segreti-quel-divino-maranza-lamine-yamal-i-movimenti-433217
  9. andrea

    EL PENTAPLETE

    Gli amici di Lissone sul fuorigioco si sarebbero inventati qualcosa
  10. Decisione presa il Primo Maggio, domani i giornali non escono
  11. Il turco può riposare in vista del ritorno con il Barcellona
  12. Squalifiche per l'Inter!!!!!!!!!!!!! La giustizia sportive colpisce duramente!!!!!!! https://www.dagospia.com/sport/inchiesta-curve-inter-milan-inzaghi-calhanoglu-patteggiano-giornata-433137
  13. Il Barcellona è ancora favorito per il passaggio del turno Inter 2 Barcellona 1,80
  14. andrea

    EL PENTAPLETE

    Voglio vedere chi arbitra la partita di ritorno
  15. andrea

    EL PENTAPLETE

    Simpaticissimo il bambino interista del prepartita sul Nove
  16. https://x.com/GiovaAlbanese/status/1917241807903003063?t=k4EfPjXt0QcCoJm9BMmCzQ&s=19
  17. "I suoi amici di Lissone" nemmeno nei peggiori bar di Appiano Gentile
  18. Sergio Brio L’ex stopper bianconero racconta: «Ogni settimana era una lotta contro un campione. Ero duro ma sempre leale. Eppure stavo per finire al Calimera, in Prima categoria» Di G.B. Oli­vero · 27 apr 2025 Stop­per. Non cen­trale, non brac­cetto, non mar­ca­tore. Sem­pli­ce­mente e mera­vi­glio­sa­mente stop­per. Parola che pro­fuma del cal­cio di una volta, quello in cui il 5 si appic­ci­cava al 9 e il 2 all’11. Parola che rac­conta una mis­sione: fer­mare, in qua­lun­que modo, gli attac­canti. Ser­gio Brio è stato un grande stop­per: «Erano anni bel­lis­simi, in Ita­lia gio­ca­vano punte incre­di­bili. Van Basten, Rum­me­nigge, Gior­dano, Careca, Alto­belli e tanti altri: oggi fareb­bero tutti 3035 gol a cam­pio­nato. Ogni volta era una fati­cac­cia, non potevi distrarti. E appena ricon­qui­stavi la palla dovevi anche saperla gestire: altro che scar­poni, gli stop­per bravi ave­vano anche una discreta tec­nica». Brio, oggi ambas­sa­dor della Juve, ha vinto tutte le coppe inter­na­zio­nali (ci sono riu­sciti in sei) senza mai gio­care in azzurro («Ma non è un cruc­cio. La mia Nazio­nale è sem­pre stata la Juve»). Quando parla, ti tra­smette una sana nostal­gia e anche la gioia di essere stato pro­ta­go­ni­sta di un’epoca forse irri­pe­ti­bile. ▶ Eppure tutto ha rischiato di finire prestissimo, giusto? «Nel 1974 il Lecce mi portò in ritiro con la prima squa­dra e al ritorno mi ven­dette per 400.000 lire al Cali­mera, in Prima cate­go­ria. Mio padre, che non sapeva nulla di cal­cio, mandò un tele­gramma per rifiu­tare il tra­sfe­ri­mento. Pochi giorni dopo esor­dii in prima squa­dra e Vicini mi con­vocò a Cover­ciano con la Junio­res. Si inte­res­sa­rono la Fio­ren­tina e soprat­tutto il Milan, ma Boni­perti fu più veloce e mi acquistò per 80 milioni. In due set­ti­mane dal Cali­mera alla Juve. Andai in pre­stito per tre anni alla Pisto­iese, ma poi iniziò la mia sto­ria in bian­co­nero». ▶Si fece amare dai tifosi con un gol da centravanti in finale di Coppa Italia nel 1979. «A Napoli con­tro il Palermo. Era­vamo sotto 1-0 fin dal 1’ e Tra­pat­toni mi inserì nella ripresa per fare la punta sfrut­tando fisi­cità e colpo di testa. Sulle sca­lette del sot­to­pas­sag­gio incon­trai Boni­perti che mi disse: “Spacca tutto, dob­biamo vin­cere a ogni costo”. Pareg­giai a pochi minuti dalla fine e nei sup­ple­men­tari Cau­sio segnò il gol deci­sivo. All’ini­zio io ero la riserva di Morini, ma non c’era riva­lità: anzi, Fran­ce­sco mi aiutò tan­tis­simo e oggi mi manca molto. Lo stu­diavo per impa­rare». ▶Cosa combinò per far arrabbiare quel cane all’Olimpico nel 1983? «Aha­hah... Sfida scu­detto, Roma in van­tag­gio con gol di Fal­cao, pareg­gia Pla­tini con una puni­zione magni­fica e nel finale io segno di testa su cross di Michel. Vedo che Galeazzi mi sta cer­cando per inter­vi­starmi, gli vado incon­tro e par­liamo men­tre un poli­ziotto si avvi­cina con un cane che aveva il faz­zo­letto gial­lo­rosso al collo. Il cane tira, il poli­ziotto lo molla e così vengo morso alla coscia. Devo tirar­gli un cal­cio per allon­ta­narlo. Nello spo­glia­toio il dot­tor La Neve mi medica e poi va a cer­care il poli­ziotto per chie­der­gli se il cane avesse fatto il vac­cino con­tro la rab­bia. L’agente si scusa e garan­ti­sce sul vac­cino. E La Neve, al volo: “Domani muore il cane, per­ché Brio non è vac­ci­nato”». ▶Quella Juve era tra le due-tre più forti di sempre. Ma arrivò seconda in campionato e perse la finale di Coppa Campioni. Perché? «Dif­fi­cile da capire, dav­vero. Il rim­pianto è Atene, quel gol di Magath. Fu una sera­tac­cia. Se aves­simo bat­tuto l’Amburgo, sono con­vinto che avremmo vinto due Coppe Cam­pioni di fila. Il gruppo era for­tis­simo, non a caso nel giro di pochi anni con­qui­stammo tutti i tro­fei inter­na­zio­nali». ▶ A proposito: lei tirò il primo rigore a Tokyo, nella finale di Coppa Intercontinentale del 1985 contro l’Argentinos Juniors. Come mai? «In alle­na­mento segnavo spesso. Sapevo che, nel caso, sarei stato il primo. La par­tita era stata duris­sima. Prima di incam­mi­narmi verso il dischetto incro­cio Tra­pat­toni. “Come stai, Ser­gio?”. “Sono stanco mister”. “Ma come sei stanco? Tu sei il miglior rigo­ri­sta della Juve. Di solito tira Michel per­ché ci tiene e per­ché i tifosi se lo aspet­tano, ma io farei bat­tere sem­pre te. E se adesso incroci di forza, segni sicuro”. Grande Trap, mi tran­quil­lizzò. Feci gol e vin­cemmo. Avevo un grande rap­porto con lui. Quando andò all’Inter, un giorno mi chiamò: “Vengo a cena da te”. Si pre­sentò e mi disse: “L’anno pros­simo spo­sto Ferri a destra, Man­dor­lini a sini­stra e tu stop­per”. Ma gli dissi no: ero troppo legato alla Juve e a Boni­perti che mi aveva aspet­tato quando mi ero fatto male seria­mente nel 1980. All’Inter mi avreb­bero dato il dop­pio. Anni dopo diven­tai vice di Tra­pat­toni alla Juve e vin­cemmo la Coppa Uefa nel 1993». ▶Ha giocato con Platini e allenato Baggio e il primo Del Piero. In quale ordine li mettiamo? «Tutti e tre sul pie­di­stallo. Se pro­prio devo sce­gliere: Michel, Ales­san­dro, Roberto». ▶ Brio era duro o cattivo? «Cer­ta­mente duro, cat­tivo il giu­sto, leale sem­pre. Ero molto forte fisi­ca­mente e que­sto mi aiu­tava. Il cen­tra­vanti deve avere un po’ di paura dello stop­per, fa parte del gioco. Il mio amico Di Gen­naro mi ha rac­con­tato che Elk­jaer non dor­miva la notte prima di affron­tare me. E il danese mica era uno pic­colo». Gentile-Brio-Scirea o Barzagli-Bonucci-Chiellini? «Non si pos­sono para­go­nare epo­che diverse. Due belle difese, però eh... E Chiel­lini è stato il mio erede. Prima di lui ho molto apprez­zato Kohler e Fer­rara». ▶ Sergio, cosa succede alla Juve di oggi? «Serve pazienza. A volte i tifosi non ce l’hanno per­ché sono abi­tuati bene. Ma il pro­getto c’è e si deve insi­stere. C’era la neces­sità di abbat­tere il costo degli sti­pendi, qual­che dif­fi­coltà è natu­rale. E’ solo que­stione di tempo: la Juve tor­nerà a vin­cere e l’attuale diri­genza sta facendo un gran lavoro per ridurre l’attesa».
  19. andrea

    Sergio Brio

    Altra intervista a Sergio Brio L’ex stopper bianconero racconta: «Ogni settimana era una lotta contro un campione. Ero duro ma sempre leale. Eppure stavo per finire al Calimera, in Prima categoria» Di G.B. Oli­vero · 27 apr 2025 Stop­per. Non cen­trale, non brac­cetto, non mar­ca­tore. Sem­pli­ce­mente e mera­vi­glio­sa­mente stop­per. Parola che pro­fuma del cal­cio di una volta, quello in cui il 5 si appic­ci­cava al 9 e il 2 all’11. Parola che rac­conta una mis­sione: fer­mare, in qua­lun­que modo, gli attac­canti. Ser­gio Brio è stato un grande stop­per: «Erano anni bel­lis­simi, in Ita­lia gio­ca­vano punte incre­di­bili. Van Basten, Rum­me­nigge, Gior­dano, Careca, Alto­belli e tanti altri: oggi fareb­bero tutti 30-35 gol a cam­pio­nato. Ogni volta era una fati­cac­cia, non potevi distrarti. E appena ricon­qui­stavi la palla dovevi anche saperla gestire: altro che scar­poni, gli stop­per bravi ave­vano anche una discreta tec­nica». Brio, oggi ambas­sa­dor della Juve, ha vinto tutte le coppe inter­na­zio­nali (ci sono riu­sciti in sei) senza mai gio­care in azzurro («Ma non è un cruc­cio. La mia Nazio­nale è sem­pre stata la Juve»). Quando parla, ti tra­smette una sana nostal­gia e anche la gioia di essere stato pro­ta­go­ni­sta di un’epoca forse irri­pe­ti­bile. ▶ Eppure tutto ha rischiato di finire prestissimo, giusto? «Nel 1974 il Lecce mi portò in ritiro con la prima squa­dra e al ritorno mi ven­dette per 400.000 lire al Cali­mera, in Prima cate­go­ria. Mio padre, che non sapeva nulla di cal­cio, mandò un tele­gramma per rifiu­tare il tra­sfe­ri­mento. Pochi giorni dopo esor­dii in prima squa­dra e Vicini mi con­vocò a Cover­ciano con la Junio­res. Si inte­res­sa­rono la Fio­ren­tina e soprat­tutto il Milan, ma Boni­perti fu più veloce e mi acquistò per 80 milioni. In due set­ti­mane dal Cali­mera alla Juve. Andai in pre­stito per tre anni alla Pisto­iese, ma poi iniziò la mia sto­ria in bian­co­nero». ▶Si fece amare dai tifosi con un gol da centravanti in finale di Coppa Italia nel 1979. «A Napoli con­tro il Palermo. Era­vamo sotto 1-0 fin dal 1’ e Tra­pat­toni mi inserì nella ripresa per fare la punta sfrut­tando fisi­cità e colpo di testa. Sulle sca­lette del sot­to­pas­sag­gio incon­trai Boni­perti che mi disse: “Spacca tutto, dob­biamo vin­cere a ogni costo”. Pareg­giai a pochi minuti dalla fine e nei sup­ple­men­tari Cau­sio segnò il gol deci­sivo. All’ini­zio io ero la riserva di Morini, ma non c’era riva­lità: anzi, Fran­ce­sco mi aiutò tan­tis­simo e oggi mi manca molto. Lo stu­diavo per impa­rare». ▶Cosa combinò per far arrabbiare quel cane all’Olimpico nel 1983? «Aha­hah... Sfida scu­detto, Roma in van­tag­gio con gol di Fal­cao, pareg­gia Pla­tini con una puni­zione magni­fica e nel finale io segno di testa su cross di Michel. Vedo che Galeazzi mi sta cer­cando per inter­vi­starmi, gli vado incon­tro e par­liamo men­tre un poli­ziotto si avvi­cina con un cane che aveva il faz­zo­letto gial­lo­rosso al collo. Il cane tira, il poli­ziotto lo molla e così vengo morso alla coscia. Devo tirar­gli un cal­cio per allon­ta­narlo. Nello spo­glia­toio il dot­tor La Neve mi medica e poi va a cer­care il poli­ziotto per chie­der­gli se il cane avesse fatto il vac­cino con­tro la rab­bia. L’agente si scusa e garan­ti­sce sul vac­cino. E La Neve, al volo: “Domani muore il cane, per­ché Brio non è vac­ci­nato”». ▶Quella Juve era tra le due-tre più forti di sempre. Ma arrivò seconda in campionato e perse la finale di Coppa Campioni. Perché? «Dif­fi­cile da capire, dav­vero. Il rim­pianto è Atene, quel gol di Magath. Fu una sera­tac­cia. Se aves­simo bat­tuto l’Amburgo, sono con­vinto che avremmo vinto due Coppe Cam­pioni di fila. Il gruppo era for­tis­simo, non a caso nel giro di pochi anni con­qui­stammo tutti i tro­fei inter­na­zio­nali». ▶ A proposito: lei tirò il primo rigore a Tokyo, nella finale di Coppa Intercontinentale del 1985 contro l’Argentinos Juniors. Come mai? «In alle­na­mento segnavo spesso. Sapevo che, nel caso, sarei stato il primo. La par­tita era stata duris­sima. Prima di incam­mi­narmi verso il dischetto incro­cio Tra­pat­toni. “Come stai, Ser­gio?”. “Sono stanco mister”. “Ma come sei stanco? Tu sei il miglior rigo­ri­sta della Juve. Di solito tira Michel per­ché ci tiene e per­ché i tifosi se lo aspet­tano, ma io farei bat­tere sem­pre te. E se adesso incroci di forza, segni sicuro”. Grande Trap, mi tran­quil­lizzò. Feci gol e vin­cemmo. Avevo un grande rap­porto con lui. Quando andò all’Inter, un giorno mi chiamò: “Vengo a cena da te”. Si pre­sentò e mi disse: “L’anno pros­simo spo­sto Ferri a destra, Man­dor­lini a sini­stra e tu stop­per”. Ma gli dissi no: ero troppo legato alla Juve e a Boni­perti che mi aveva aspet­tato quando mi ero fatto male seria­mente nel 1980. All’Inter mi avreb­bero dato il dop­pio. Anni dopo diven­tai vice di Tra­pat­toni alla Juve e vin­cemmo la Coppa Uefa nel 1993». ▶Ha giocato con Platini e allenato Baggio e il primo Del Piero. In quale ordine li mettiamo? «Tutti e tre sul pie­di­stallo. Se pro­prio devo sce­gliere: Michel, Ales­san­dro, Roberto». ▶ Brio era duro o cattivo? «Cer­ta­mente duro, cat­tivo il giu­sto, leale sem­pre. Ero molto forte fisi­ca­mente e que­sto mi aiu­tava. Il cen­tra­vanti deve avere un po’ di paura dello stop­per, fa parte del gioco. Il mio amico Di Gen­naro mi ha rac­con­tato che Elk­jaer non dor­miva la notte prima di affron­tare me. E il danese mica era uno pic­colo». Gentile-Brio-Scirea o Barzagli-Bonucci-Chiellini? «Non si pos­sono para­go­nare epo­che diverse. Due belle difese, però eh... E Chiel­lini è stato il mio erede. Prima di lui ho molto apprez­zato Kohler e Fer­rara». ▶ Sergio, cosa succede alla Juve di oggi? «Serve pazienza. A volte i tifosi non ce l’hanno per­ché sono abi­tuati bene. Ma il pro­getto c’è e si deve insi­stere. C’era la neces­sità di abbat­tere il costo degli sti­pendi, qual­che dif­fi­coltà è natu­rale. E’ solo que­stione di tempo: la Juve tor­nerà a vin­cere e l’attuale diri­genza sta facendo un gran lavoro per ridurre l’attesa».
  20. https://www-rivistaundici-com.cdn.ampproject.org/v/s/www.rivistaundici.com/2025/04/23/champions-league-tabellone-supplementari/?amp=&amp_gsa=1&amp_js_v=a9&usqp=mq331AQIUAKwASCAAgM%3D#amp_tf=Da %1%24s&aoh=17458503097003&referrer=https%3A%2F%2Fwww.google.com&ampshare=https%3A%2F%2Fwww.rivistaundici.com%2F2025%2F04%2F23%2Fchampions-league-tabellone-supplementari%2F
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