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andrea

Tifoso Juventus
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  1. andrea

    Franco Causio

    di Francesco Velluzzi · 6 apr 2025 Per tutti è il «Barone Causio», ma a lui piace più «Brazil». Per chi è stato campione negli anni Settanta e Ottanta i soprannomi affibbiati dai grandi giornalisti dell’epoca erano un vezzo. Un modo per rimarcare la definizione di grande giocatore. Franco Causio stella lo è stata davvero. E quel che dà più l'idea di cosa abbia fatto in tanti anni di calcio ad alti livelli è la dimostrazione d’affetto che riceve ogni volta che va in Brasile, il suo secondo paese, visto che da 35 anni convive con Andreja che gli ha regalato il figlio Gianfranco, oggi trentaduenne. «Sono appena tornato da Rio. Ed è proprio così. In spiaggia, quando gioco a foot volley, mi trattano ancora da star. Per i brasiliani aver battuto una delle loro nazionali più forti al Mondiale del 1982 rappresenta un grande onore. Che ci riconoscono». ► E lei quando giocava aveva movenze da brasiliano: corsa, numeri, gol, dribbling,. «L’arte del dribbling la imparai da Helmut Haller alla Juve. Lo ammiravo quando saltava gli avversari come birilli». ► La Juve è stata la sua vita. Ci arrivò da Palermo, ma di gavetta ne ha fatta. A 16 anni era già fuori di casa a San Benedetto del Tronto, dopo aver esordito in serie C a 15 anni col suo Lecce, il club della città natale. «Giocai tre partite con Reggina, Samb e Chieti. La prima squadra protestava perché non prendeva i soldi. Toccò a noi giovani. allenati da Attilio Adamo. L’uomo che mi portò alla Sambenedettese. Che fu la mia fortuna. Papà diede ad Attilio l’autorizzazione. Giocai in C nel girone C: campi in terra battuta in cui mettevano le strisce un’ora prima della partita. Mi sono formato. Alberto Eliani ci faceva allenare in spiaggia. Andai bene. Così cominciai la serie dei provini nelle grandi squadre. Bologna, Fiorentina, Inter e Torino. Qui il vice di Nereo Rocco era Enzo Bearzot, quello che, poi, per me fu quasi un padre. Era quasi fatta col Toro, ma Rocco disse che ero magro. Mi giocai l’ultima carta a Forlì, al provino della Juve. In 20 minuti segnai un paio di gol. Ero a Lecce quando arrivò il telegramma. Preso. Ripartii daccapo: sveglia alle 7, messa, scuola, educazione, regole, comportamento, rispetto verso gli altri e verso i tifosi. Ho imparato tutto. Mi mandarono in prestito alla Reggina e al Palermo, per la prima volta in A. E da lì mi ripresero». ► Piaceva all’avvocato Gianni Agnelli. «Perché ero estroso, fantasioso. La mattina mi chiamava: «Causio, dormiva? L’ho svegliata?». Veniva a pranzo a Villar Perosa. Accanto a lui ho visto persone davvero molto importanti a livello internazionale. Un grande che non ti metteva mai in difficoltà». ► Con una grande guida calcistica, Giampiero Boniperti. «Era lui il vero capitano. Noi eravamo tutti al servizio della squadra e di un solo capo: lui». ► Amici veri: da Dino Zoff all’indimenticato Gaetano Scirea. «Dire amici è poco. Non c’era gelosia, eravamo tutti uniti. E in Nazionale eravamo noi, tanti della Juve. Dopo più di 40 anni abbiamo ancora la chat. Quel mondiale del 1982 ha unito un’Italia che era in crisi di governo con Spadolini. Con il presidente Sandro Pertini collante di tutto». ► E chi la dimentica la partita a scopone, con Zoff, Bearzot e appunto Pertini. Ha fatto il giro del mondo. Non ne potrà più pure lei... «Macché. E’ un ricordo fantastico. Vincemmo pure lì. Io, con Bearzot, contro Zoff e Pertini. Quello resta il Mondiale per eccellenza per tanti italiani. Io, oltre alla partita in aereo, ho il ricordo di quando Bearzot mi mandò in campo a due minuti dalla fine in finale. La cosa più bella. Mi ha fatto tornare in Nazionale. Mi incitò quando scelsi l’Udinese nel 1981». ► Perché alla Juve dopo 11 anni non c’era più posto. E con Giovanni Trapattoni non fu un idillio. «Preferì Fanna e Marocchino. A 30 anni per lui ero anziano. Non sarei mai andato via dalla Juve. Accettai Udine; a Tarvisio in ritiro tiravo io il gruppo. Feci tre anni straordinari, riprendendomi l’azzurro. Giocando con Zico, stupendo». ► Ha duellato con le stelle Platini e Maradona e vissuto Zico e Rummenigge. Chi il più grande? «Diego, scontato, vinceva le partite da solo. Gli altri erano fuoriclasse, ma lui era unico». ► C’è stato pure un anno all’Inter. «Mi vollero e io da bambino amavo Jair, il brasiliano. Mi chiamavano così a Lecce. Ho coronato un sogno. La Juve mi rivoleva, ma c’era ancora quel tecnico che non aveva avuto fiducia in me». ► Le elenco un po’ di definizioni su di lei, oltre a Barone e Brazil: machiavellico, geniale, estroso, ammaliante, elegante, vincente. Quale preferisce? «Vincere è l’unica cosa che conta. Come ho scritto nel mio libro. Barone mi piace, comunque, anche se a Lecce sono un po’ tutti baroni. Amavo vestire bene, elegante, mi è sempre piaciuto». ► Perché si è fermato a Udine? «Dopo il ritorno a Lecce nell’86 pensavo di aver smesso. Un giorno andai a trovare Gianpiero Marchetti ed Enzo Ferrari. Mi convinsero ad accettare la Triestina, giocai lì. Poi ho fatto il dirigente e il commentatore tv. la cosa che più mi piaceva. Un gran rapporto con Massimo Corcione a Sky. Così sono rimasto in Friuli, città che era serena. Ora Andreja ha un po’ di saudade. Vado e vengo dal Brasile che era nel mio destino. Quando conobbi mia moglie a Rio, dove andai 35 anni fa per una partita, rimasi 4 mesi prima di rientrare. A 70 anni ho finito di lavorare. Ma se mi chiamano per parlare alle persone vado ancora con gran piacere».
  2. Qual è il colmo per Bonolis? https://www.fanpage.it/sport/calcio/davide-bonolis-diventa-a-sorpresa-un-calciatore-della-juventus-creators-lhai-gia-detto-a-papa/
  3. l'Inter riuscirà a guadagnare punti anche dopo un pareggio di M***A
  4. «Nella mia Juve ci stava solo Yildiz Roma, super Svilar» Il doppio ex Don Fabio “gioca” la sfida dell’Olimpico: «Domani allenerei più i bianconeri, occhio a Vlahovic» Cassano top, ma lunatico. Mi imitava benissimo, ma mi fece infuriare per le patatine Una pizza me la gioco sulla Juve in Champions di Filippo Cornacchia TORINO 5 apr 2025 Ranieri è come De Chirico, un grande pittore sottovalutato Tudor giocatore particolare, non lo immaginavo allenatore Alla Roma anche grazie a Gaucci. Sensi mi portò a cena in Vaticano «Ranieri è come De Chirico, un grande pittore un po’ sottovalutato. Mentre la scelta di Tudor ricorda la rinascita del figurativo nell’arte contemporanea, che nel caso della Juventus è il richiamo al dna del club». Quando non guarda una partita, è facile trovarlo in giro per mostre. Fabio Capello ama l’arte almeno quanto il calcio e in carriera ha fatto collezione di trofei, quadri e campioni tra Milan, Juventus, Roma, Real Madrid... ► Se domani le offrissero per 90’ una delle due panchine dell’Olimpico, sceglierebbe quella della Roma o della Juventus? «In questo momento mi intrigherebbe maggiormente la Juventus, a me piacciono le sfide. Ranieri ha già vinto la sua, la Roma è in viaggio. Tudor, invece, è in fase di ripartenza». ► Lei è passato dalla Roma alla Juventus prima da giocatore e poi da allenatore. Se ci ripensa? «Mi viene in mente come arrivai alla panchina giallorossa. Un giorno incontro Gaucci, all’epoca presidente del Perugia: “Fabio, perché non vai ad allenare la Roma?” Gli dico che non ho il numero di Sensi e me lo dà subito lui. Poi con Sensi ci siamo trovati su tutto. Al di là dello scudetto, a Sensi sarò sempre grato per quando portò me e mia moglie a cena in Vaticano. Però…». ► Però… «Mi spiace non averlo salutato quando ho lasciato la Roma per andare ad allenare la Juventus. È successo tutto velocemente: non mi sentivo più felice in giallorosso e quando i bianconeri mi hanno chiamato ci siamo accordati da un giorno all’altro». ► La sfida tra Roma e Juventus che ricorda meglio? «Il 2-2 a Torino del maggio 2001, quello decisivo per la vittoria dello scudetto. Ricordo certe sensazioni di campo come avessimo giocato ieri: Totti era un po’ stanco e lo cambiai con Nakata. E poco prima avevo sostituito Delvecchio con Montella. Rischiai e andò bene: dal 2-0 per la Juve al 2-2 grazie ai gol del giapponese e di Vincenzo». ► Tudor o Ranieri: chi si qualifica per la Champions? «Una pizza la giocherei sulla Juve perché ho la sensazione che i bianconeri non abbiano ancora mostrato tutte le risorse. Thiago Motta chiedeva di eseguire il compitino e l’impressione è che la squadra alla fine sia andata in confusione. Ma resto convinto che Koopmeiners non possa essere la controfigura del bel giocatore ammirato nell’Atalanta di Gasperini». ► Perché Ranieri è speciale? «Perché non si inventa nulla, cerca le cose semplici e logiche: motiva e mette in campo i migliori nei ruoli adatti per esaltarne le caratteristiche. E dà fiducia anche ai giocatori fischiati dal pubblico». ► Tudor è stato un suo difensore alla Juventus: se lo sarebbe immaginato in panchina? «No. Igor mi ha stupito e sono contento per lui. Da giocatore forse non l’ho capito abbastanza, c’è da dire che in quel ruolo avevo Thuram e Cannavaro». ► Legrottaglie ha raccontato: “Se a Tudor venivano i 5 minuti in allenamento, si toglieva la casacca e tornava negli spogliatoi da solo”. «Era un ragazzo attento, professionale e anche un po’ particolare. Ma con me non si è mai permesso di lasciare il campo. Gli sarebbe costato troppo, anche a livello economico… (risata). Non sono molti quelli che mi hanno mancato di rispetto». ► È stato Cassano il più duro da gestire? «Antonio era un talento fantastico e avrebbe potuto giocare in tutte le migliori squadre del mondo, anche nella Juventus. Era solo un po’ lunatico e in certe giornate… Cassano mi imitava benissimo, era anche divertente. Quando mi ha fatto infuriare alla Roma non era quello il motivo». ► Cioè? «Aveva ordinato le patatine fritte a tavola. Una ragazzata, ma io ero intransigente su queste cose». ► Della Roma di Ranieri chi avrebbe trovato spazio nella squadra dello scudetto 2001? «Dybala e Svilar, gran portiere». ► E della squadra di Tudor nella sua Juventus 2004-06? «In campo, nessuno. In squadra soltanto Yildiz, che ha qualcosa di diverso. È un Kandinsky: chi ha questi quadri se li tiene stretti perché il loro valore cresce sempre. Fossi nella Juventus, farei lo stesso». ► Tra Roma e Juve c’è un mediano che le ricorda il “Puma” Emerson, suo pretoriano in giallorosso, bianconero e anche al Real Madrid? «L’unico che mi ricorda Emerson è… Ederson dell’Atalanta. Il Puma era favoloso: a Roma si ruppe i legamenti in allenamento e dopo 5 mesi era già in campo». ► Dovbyk (16 gol) o Vlahovic (14) come nove per una sua squadra? «Perché dovrei prendere uno dei due? Ma fossi nella Roma, farei attenzione a Vlahovic domani: il serbo può essere l’uomo decisivo. Lui o Koopmeiners, che prima o poi deve tornare quello vero. Tra i giallorossi punto su Svilar». ► Tudor lo vede come traghettatore o anche come allenatore per la Juventus del futuro? «Impossibile dirlo ora, peseranno i risultati». ► Fosse in Ranieri quale tecnico sceglierebbe per il post… Ranieri? «Un allenatore esperto che sappia anche ascoltare Ranieri e da questo punto di vista Pioli potrebbe essere un’ottima scelta. Stefano ha vinto lo scudetto con il Milan».
  5. https://x.com/paparino58/status/1908053981823115372?t=9vYw0HOoAROJinMUgV-xbA&s=19
  6. andrea

    Massimo Brambati

    Di Sebastiano Vernazza · 1 apr 2025 Anno 1991, un calciatore sul palcoscenico del «Maurizio Costanzo Show» di Canale 5. Si chiama Massimo Brambati, è un difensore massiccio, gioca nel Bari in Serie A. Dice verità sgradite ai colleghi: «I calciatori pensano soltanto alle macchine e alle donne». Fa le imitazioni di tanti personaggi del suo mondo. Duetta con la Sora Lella, all’anagrafe Elena Fabrizi, “maschera” della romanità e sorella dell’attore Aldo Fabrizi. Gli ascolti volano. Costanzo è entusiasta delle battute e dei pensieri di Brambati, il calcio un po’ meno. ▶Brambati, nell’estate del 1991 lei stava per passare alla Samp campione d’Italia. Avrebbe giocato in Coppa dei Campioni. «Mi voleva Gianluca Vialli, ci conoscevamo dai tempi della Nazionale Militare. Anni fa, Luca Pellegrini, che della Samp scudetto era il capitano, mi raccontò che Roberto Mancini chiese a Vialli: “Scusa Luca, tu, con Brambati, vuoi prendere un calciatore o un comico?”. L’affare saltò». ▶▶Rimpiange di essere andato al "Maurizio Costanzo Show"? «Assolutamente no. Forse mi pento di non aver seguito un consiglio di Maurizio: mi disse che in tv funzionavo e che avrei dovuto lasciare il calcio per lo schermo, ma avevo 25-26 anni e volevo giocare. A Costanzo sarò grato per sempre, mi ha insegnato a stare in tv, cosa che mi è servita per le varie trasmissioni a cui ho partecipato, tra reti nazionali e private. Quando è morto, ho mandato un messaggio a sua moglie, Maria De Filippi, e la risposta di Maria ancora mi commuove». ▶Brambati, milanese di Affori, nato da ottima famiglia, bambino interista. «E bibitaro a San Siro, da ragazzino. Vendevo bottigliette e lattine alle partite di Milan e Inter. Sul campo mi ispiravo a Claudio Gentile. Che vidi dal vivo nelle ultime quattro partite del Mondiale di Spagna ‘82. Mio padre mi regalò il viaggio e i biglietti nel quadro di un gruppo organizzato». ▶Nel 1984, il 18enne Brambati passa al Torino. «Di recente a Torino sono andato a rivedere il pensionato in cui vivevo. Il debutto in Serie A nel 1986, Torino-Milan 2-0, Gigi Radice che mi fa entrare al posto del grande Junior. Una volta, in allenamento, provavamo i cambi di gioco da una fascia all’altra e venni abbinato a Junior. Lui da 40-50 metri mi serviva la palla sui piedi. Io no, gliela lanciavo sbilenca, a metri di distanza. Così prese un fazzoletto e lo sventolò: “Ehi, Briegel, io sto aqui!”. Radice - di cui facevo l’imitazione in spogliatoio, e lui si divertiva - mi chiamava Briegel perché diceva che gli ricordavo il tedesco del Verona. Il Toro mi è rimasto dentro e ai tifosi dico che il presidente Cairo ha salvato la società e la tiene in Serie A a buoni livelli. Il calcio è complicato e Cairo è un imprenditore di successo. Non so in quale serie giocherebbe il Toro, senza Cairo». ▶Maradona, Platini, Baggio, Rummenigge, Van Basten, Gullit... In quegli anni, tra Toro, Empoli e Bari, lei ha marcato una batteria di fenomeni. «Tutti grandissimi, ma Maradona apparteneva a un’altra galassia. Quanto l’ho menato. Vi racconto questa. Partita d’addio di Ciro Ferrara, a Napoli. Faccio parte dell’organizzazione e sono nel tunnel dello stadio quando arriva Diego, circondato da un gruppo di persone. Mi vede, si fa largo, mi abbraccia e io, senza volerlo, per l’emozione gli pesto un piede. Lui: “C .... , Massimo, mi picchi anche qui?”. Era un calcio più umano. Altro aneddoto. Milan-Bari: sul pullman verso San Siro mi prende una voglia di hot dog con i crauti. Arriviamo, scendo, sgattaiolo verso l’uscita e vado a comprare e a mangiare il panino tra i tifosi, dal primo ambulante che trovo. Impensabile, oggi». ▶ Anno 1996, muore il suo grande amico e compagno Enrico Cucchi e lei racconta che al funerale tanti giocatori parlavano di rigori e di mercato. «Più che altro mi sembrava che fossero lì perché dovevano. Il dramma di Enrico l’ho vissuto da vicino. eravamo stati compagni di camera sia all’Empoli sia al Bari. Aveva un neo su una gamba e un giorno, per un infortunio, lo mandarono a fare degli ultrasuoni proprio su quella parte lì. Il neo crebbe, si trasformò, diventò un tumore terribile. E ricordo la tragedia di Massimiliano Catena (scomparso in un incidente stradale vicino a Cosenza nel 1992, ndr). Eravamo giovani e calciatori, ci sentivamo invincibili, eppure si moriva. Cucchi, un centrocampista forte, mi raccontava che nell’Inter aveva segnato un gol con le scarpe da sformare che gli aveva dato Rummenigge, uno dei miei idoli da interista». ▶ Il caso Cucchi ci rimanda all’abuso di farmaci. «Ci davano le pasticche di Micoren come se fossero state caramelle: per migliorare la respirazione, dicevano. In un club, un’altra pastiglia: per aumentare i riflessi, spiegavano». ▶Parliamo d’altro. Brambati il seduttore. Ha avuto donne bellissime. Per esempio, è stato sposato con la modella e attrice romena Catrinel Menghia. «Fermi. Le donne non sono trofei da esibire, ma compagne di vita. Ora sono fidanzatissimo con Corinna Dentoni, tennista professionista, è stata numero 130 al mondo. Ogni tanto accetta di giocare con me e mi batte quasi sempre 6-0, 6-0. A volte vinco un game, perché anch’io, fino a 16 anni, ho fatto tennis agonistico e qualcosa mi è rimasto». ▶Lei ha avuto una figlia da Paola Cardinale, attuale compagna del cantante Biagio Antonacci. «Sì, però amo Corinna e spero, anzi prego che sia l’ultima donna della mia vita. La amo proprio». ▶Che cosa fa oggi nella vita? «Sono un procuratore e collaboro con Alessandro Moggi, ma la mia vera attività è la gestione del patrimonio che mi ha lasciato mio padre Giancarlo, proprietario di un’azienda che faceva cancelleria per le grandi aziende. In questi giorni sono a Miami, a curare i miei interessi negli Stati Uniti».
  7. https://x.com/capuanogio/status/1907665313782517857?t=ngP3Szg0Xc4R270iCwCShw&s=19
  8. «Le scarpe rotte alla Juve e le scorribande notturne Boniperti per seguirmi assoldò un maresciallo» L’ex bianconero: «Prestai la camera a un compagno che era con una donna e nel frigo non trovò lo champagne, ma le scarpette. Se qualcosa non mi quadra, mi gratto il cuore» di Furio Zara · 2 apr 2025 L’andatura dinoccolata, l’aria svagata. Irregolare per naturale attitudine, disobbediente alle leggi del branco. Domenico Marocchino ha vissuto i suoi anni da calciatore in esilio volontario sulla fascia destra, nella penombra indulgente dove hanno diritto di cittadinanza i poeti della viandanza. Lì inventava ricami di dribbling, fughe da fermo, tracce celesti per i compagni. Giocava con la posa del bambino che per strada scalcia un sassolino, perso nei suoi pensieri leggeri. Il talento non gli mancava, ma si concedeva il lusso più grande, quello di sprecarlo. Oggi è un vecchio ragazzo che va per i 68 anni e che - nell’allegro crepitio della voce che si ferma sempre un tempo prima della risata, nella prospettiva sbilenca e bellissima con cui osserva il mondo - custodisce la scintilla antica di quel bambino. «C’è il marito ormai vecchio che fa alla moglie: cara, quando muoio vorrei essere cremato. E lei di rimando: caro, con tutto quello che hai bevuto ti farò imbottigliare (ride). Sono sulle colline del Monferrato, casa mia, sto tornando da una cantina vinicola di amici. Apprezzo il vino di qualità, quasi sempre Barbera. E comunque chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere. L’ha detto Baudelaire, giusto?». ► Giusto. A spanne non ne esiste un altro, di calciatore dell’ultimo secolo, che citi Baudelaire. E che abbia letto tutto Georges Simenon. «Mi piacciono i libri gialli perché sono come il calcio: hanno un inizio e una fine». ► Partiamo dall’inizio, da quando lei scoprì un uso anomalo del frigorifero. «Ci mettevo dentro le scarpe da calcio. Una sera presto la camera a un compagno di squadra, aveva compagnia. A una certa ora apre il frigo, sperando di trovarci champagne. E invece c’erano le scarpe. Bucate, tra l’altro». ► Bucate? «All’altezza dell’alluce. Alla Juve ho giocato cinque mesi con le scarpe rotte, in certi vecchi filmati si vede il calzettone che sbuca fuori. Ero pigro...». ► Quella volta del pullman della Juve sotto casa sua. «Avevo fatto tardi, stavo dormendo. Ma ai dirigenti avevo dato un indirizzo sbagliato, a qualche decina di metri da dove abitavo. Infatti non mi trovarono, li raggiunsi dopo». ► Boniperti per controllare le sue uscite notturne assoldò un maresciallo in pensione. «Tanti anni dopo la figlia di quel maresciallo mi disse: mio padre passava più tempo a seguire lei che a giocare con noi figlie». ► Lei ha giocato una sola partita in Nazionale: 5 dicembre 1981, Italia-Lussemburgo 1-0 a Napoli. «Collovati segnò su corner battuto da me. Sono alto, eppure di testa non la prendevo mai. Da ragazzo mi ero beccato 6 punti di sutura dopo uno scontro. Così pensai che dovevo inventarmi una specialità: battere i corner, per esempio... Nella mia carriera a penalizzarmi è stata la distrazione. Mi distraevo per ogni cosa. Normale per uno che fino ai 17 anni è stato in collegio, avevo un debito di ossigeno nei confronti della vita». ► E quando rientrava all’alba che succedeva? «L’allenatore della Cremonese Settembrino ci mandò in ritiro. Figurarsi, esco, torno alle quattro di mattina e lo trovo steso sul mio letto. Per poco non mi prende un colpo. A proposito: si era rotta la rete che tiene il materasso e avevo sotto il letto delle casse di acqua. Ho dormito così per un anno». ► Cosa le piace del calcio di oggi? «Gli incompleti. Penso a Yildiz, che è come un folletto che esce dal bosco, alza sempre un po’ di vento e scompiglia l’ordine della partita. E poi mi piacciono i gesti tecnici: il gol di Orsolini a Venezia, una meraviglia. Oggi la tecnica non si insegna più». ► Chi vince lo scudetto? «Per me l’Inter, perché è una squadra “volpina”, scaltra e di qualità. E ha anche un grandissimo giocatore sottovalutato: Mkhitaryan». ► Come definirebbe il Marocchino calciatore? «Un giorno un amico di mio padre gli disse: “Ugo, il Domenico gioca bene a pallone, né?” E mio padre: “E il secondo tempo?”... Aveva capito tutto di me». ► Come è stato il secondo tempo della sua vita dopo il calcio? «Mi sono spesso sentito come una barchetta in un lago, che gira ma non approda mai da nessuna parte. Oggi mi emozionano i piccoli gesti. Ogni tanto entro in chiesa e penso alle persone a cui ho voluto bene. Mi capita di andare a trovare il mio amico Gaetano Scirea, sepolto nel cimitero di Morsasco. Sto lì, ricordo, immagino, ci facciamo compagnia». ► Una persona per lei speciale nel calcio? «Ugo Locatelli, campione del mondo con l’Italia nel 1938. Ai tempi delle giovanili della Juventus mi regalò una pallina da tennis annodata a un filo e mi disse: legatela al dito della mano, tienila lì tutto il giorno, così ci palleggi e affini la tecnica». ► Eraldo Pecci, con lei ai tempi del Bologna, ci ha raccontato che in campo capitava che lei si estraniasse dalla partita. E i compagni lo capivano perché cominciava a grattarsi. È vero? «Sì, verissimo. L’ho sempre fatto, da piccolo e anche oggi. Quando c’è qualcosa che non mi quadra, comincio a grattarmi il cuore». Dice proprio così, Domenico Marocchino: grattare il cuore. Ed è poesia. Perché tutto è bellezza e incanto per i cuori puri, tutto è sospeso in un tempo lieve. Conviene giocarci, con la vita. Un calcetto del piede alla pallina, confidando nel vento amico. Non salva, ma consola.
  9. andrea

    Walter Sabatini

    di Andrea Pugliese ROMA · 31 mar 2025 Un insod­di­sfatto perenne. Per­ché la sua natura è que­sta, quella di chi non si sa accon­ten­tare ma guarda sem­pre al pros­simo tra­guardo. Ecco, tra un mese — il 2 mag­gio - Wal­ter Saba­tini com­pirà 70 anni e sarà un altro pas­sag­gio dal via, un altro momento da vivere inten­sa­mente con la sua pro­fon­dità d’animo. ► Sabatini, che regalo si aspetta per i 70 anni? «Nes­suno. Regali e auguri mi imba­raz­zano. Ma una cosa c’è: l’auto­per­dono, per il senso di colpa che mi tor­menta da sem­pre. Spero di sve­gliarmi pre­sto con un senso di distacco. Lo devo alla mia fami­glia, per la mia vita negli ultimi anni. La mia perenne insod­di­sfa­zione nasce dal fatto che so che avrei potuto fare di più e non ho timore di smen­tita». ► Il suo bilancio però non è ancora definitivo... «Sono ancora moti­va­tis­simo a fare que­sto mestiere. Ma farò come George Cloo­ney, a 70 anni mi dimet­terò da un certo mer­cato, il voler pia­cere alla gente o alle donne, nella vita ci vuole dignità e decoro. Ma non mi dimetto dal cal­cio, lì non c’è cura». ► Tra una bella donna e una squadra cosa sceglie? «La squa­dra. Ma da costruire, non fatta, che possa creare una spe­ranza. Per­ché il cal­cio non è di alle­na­tori, ds o cal­cia­tori, ma pro­prietà esclu­siva della gente. Il nostro mestiere è rega­lare feli­cità alle per­sone. Il gol di Orso­lini a Vene­zia, per esem­pio, è gioia, anche per chi non sa nulla di cal­cio». ► Ma il Bologna ce la fa a tornare in Champions? «Sì, è forte e lo merita. Ita­liano è bravo, ha can­cel­lato i vizi anti­chi, non ha più pro­blemi di equi­li­brio. Poi ci sono i gio­ca­tori e la strut­tura. Hanno una difesa solida e un cen­tro­campo che ti ammazza. Il vero colpo è stato recu­pe­rare Freu­ler, con lui gio­cano tutti meglio. Lo sviz­zero è da Juven­tus o Inter, non so per­ché l’Ata­lanta lo abbia lasciato andare». ► La gioia che l’ha fatto sentire più vivo? «Il record delle dieci vit­to­rie con­se­cu­tive con la Roma mi ha esal­tato. Mi sono sen­tito a mio agio, un regalo alla gente. C’era da poco Rudi, mi “pren­de­vano per il c**o” tutti. Ricordo i mes­saggi: “Abbiamo preso il ser­gente Gar­cia”. Ma ero sicuro che avrebbe fatto bene e ho avuto ragione». ► Quella era una Roma fortissima. «Totti stava bene e faceva la dif­fe­renza, poi un cen­tro­campo irri­pe­ti­bile: Stroot­man, De Rossi, Naing­go­lan, Pja­nic e Keita. Che gio­ca­tore Sey­dou: un capo tribù, ti guar­dava con lo sguardo del capo e nes­suno osava con­trad­dirlo. E in campo era cat­tivo, non sba­gliava mai una scelta». ► Quando Nainggolan arrivava al campo sopra le righe? «Lo man­davo a pren­dere fuori dal recinto, poi doc­cia e caffè. Avevo un addetto solo per que­sto, dedi­cato a lui e Mai­con. Quante bugie mi ha detto Radja, a me e a se stesso. Ma è un bra­vis­simo ragazzo, anche se smi­dol­lato. Gio­ca­tore impa­reg­gia­bile, i suoi tac­kle sci­vo­lati hanno fatto la scuola del cal­cio». ► C’erano Alisson e Salah: storia del Liverpool. «Alis­son è ancora incaz­zato con me, non ha mai capito. All’ini­zio l’ho pro­tetto, doveva miglio­rare nei posi­zio­na­menti e nella let­tura delle par­tite. E poi i por­tieri bra­si­liani qui li abbiamo sem­pre bru­ciati tutti. Gli pre­fe­rivo Szc­ze­sny per que­sto e lui non lo accet­tava. Su Salah vi voglio dire invece una cosa. A volte non ho preso un gio­ca­tore per­ché dopo averci cenato capivo che era un cre­tino. Con Salah è stato tutto l’oppo­sto. Andai a Lon­dra 3-4 volte, lo incon­travo dopo le 19 per il Rama­dan, quando poteva bere. E mi sono tro­vato davanti un uomo vero, pieno di valori, pronto al sacri­fi­cio». ► E quando andò a Sarajevo a prendere Dzeko? «È stata dura soprat­tutto per Mar­tina, che è un suo amico di fami­glia. Ci siamo visti a Trie­ste, in 7-8 ore di mac­china l’ho intos­si­cato con le siga­rette. Fuma anche Sil­vano, ma un conto è una siga­retta e un altro morire in una nube tos­sica. Dzeko è il falso nove per eccel­lenza: un po’ dieci e un po’ nove». ► Nico Lopez invece lo teneva nascosto in albergo. «Era un ratto al Nacio­nal. Grande gio­ca­tore, esordì con un gol su pal­lo­netto al Cata­nia. Ma la per­so­na­lità in campo si scon­trava con l’uomo. Nico aveva un pro­blema, non si spo­gliava con gli altri. Mai saputo per­ché, nono­stante gli agguati che gli facevo per capire. Psi­che inde­ci­fra­bile, come Rado­n­jic. Un feno­meno vero, ma scon­clu­sio­nato. A 16 anni già deva­stato nella testa: beveva, faceva tardi, aveva la camera a Tri­go­ria ma a volte lo hanno tro­vato a dor­mire fuori, sulla pan­china». ► Perché il suo più grande errore è stato lasciare l’Inter? «Avevo discusso con Zhang, cose che suc­ce­dono. E invece con le dimis­sioni man­cai di rispetto a un’intera tifo­se­ria. E non si perde una squa­dra come l’Inter così, non me lo per­do­nerò mai». ► E il ricordo della sua Lazio? «In Cham­pions con un gruppo di ragazzi presi a con­di­zioni loti­tiane, tra pre­stiti e sca­denze. Anche lì cen­tro­campo mera­vi­glioso: Lede­sma cen­trale, Muta­relli e Mudin­gayi mez­zali, Mauri tre­quar­ti­sta. Cam­pio­nato incre­di­bile, con due punte top: Pan­dev e Roc­chi». ► Il giocatore che avrebbe voluto avere con sé? «L’unico vero grande ram­ma­rico è Rabiot, tutta colpa di sua madre, Vero­ni­que. L’anno prima il Psg mi aveva dato più di 30 milioni per Mar­qui­n­hos, non potevo por­tarlo via a zero. Quando lei lo ha saputo è impaz­zita. Odiava il Psg, ma forse voleva pure i soldi dell’inden­nizzo, oltre ai 3 milioni di com­mis­sione. Ricordo Mas­sara che tra­du­ceva, ma si ver­go­gnava di river­sarle tutti gli insulti che le dicevo». ► Motta ha fallito alla Juve. Se lo spiega? «A Bolo­gna aveva gio­ca­tori asser­viti al pro­getto, in un con­te­sto fami­liare. Appena ha avuto una voce fuori dal coro, è sal­tato tutto. Un alle­na­tore non deve essere sim­pa­tico ai gio­ca­tori ma deve saperci comu­ni­care. E non solo con gli ordini».
  10. Huijsen, clausola da 50 milioni. Alla Juve 3,5 31 mar 2025 La Juve in estate ha ceduto Dean Huijsen al Bournemouth per 15,2 milioni garantendosi una percentuale sulla futura rivendita. Il 19enne difensore ex Next Gen in Inghilterra ha firmato un contratto fino al 2030 con una clausola da 50 milioni. L’esplosione di Dean (23 gare e 2 gol in Premier) ha attirato le attenzioni di Real Madrid e Chelsea. Dal futuro trasferimento del centrale la Juve incasserà circa 3/4 milioni: ossia il 10% sulla plusvalenza.
  11. Pure la diafisi del perone
  12. andrea

    Mark Iuliano

    L’ex difensore: «Ronie commise “sfondamento”, giusto non dare il rigore. Calciopoli? Chiacchiere telefoniche, ha pagato solo la Juve. Mi chiamo Mark per Spitz, ma nuoto a cagnolino» di Sebastiano Vernazza · 30 mar 2025 Cuper, l’allenatore interista del 5 maggio 2002, l’ho avuto poi al Maiorca. Gli dicevo: “Quello scudetto lo avete buttato via da soli” Palla su ci pensa Zizou: era il nostro schema base Zidane è stato immenso I golden gol, una maledizione Però al Mondiale ci eliminò Moreno Era rigore o no? Non ne usciremo mai, perché il contatto tra Ronaldo il Fenomeno e Iuliano in Juve-Inter (1-0 ) del 26 aprile 1998 resterà per sempre una bolla di conflitto, uno dei luoghi più frequentati della “duellanza” tra Juve e Inter. Per gli juventini non era, non è e mai sarà un fallo da rigore, ma i dubbi rimangono legittimi. Gli interisti riterranno sempre un particolare accessorio il fatto che la Juve fosse in vantaggio di un gol sul campo e davanti di un punto in classifica. ► Mark Iuliano, la solita domanda incombe. «Non era fallo. Se fosse stato basket, sarebbe stato sfondamento di Ronaldo». ► Allora il suo poteva essere valutato come un blocco, e il blocco nel calcio è vietato. «È tutta interpretazione. Resto convinto che l’arbitro Ceccarini abbia pesato l’episodio in modo corretto. Io rimasi fermo, presi posizione. Ronaldo, con la sua velocità pazzesca, venne a sbattermi contro. Non avevo alcuna intenzione di fare fallo. Detto questo, trovo irrispettoso, sia per la grandezza di Ronaldo sia per me, che si insista a ingabbiarci tutti e due dentro quell’attimo. Ciò che succede sul campo finisce sul campo. Nel tempo, Ronie e io ci siamo incontrati varie volte e non abbiamo mai parlato dell’episodio. Ronaldo è stato un attaccante immenso, il più grande che abbia mai affrontato. Chi ama il calcio vorrebbe che i Ronaldo giocassero per sempre. Quella Juve del 1998 però era più forte di quell’Inter. Loro avevano Ronaldo, noi Zidane e Del Piero, ed eravamo più squadra». ► Gigi Simoni, allenatore dell’Inter, protestò con veemenza, e usiamo un eufemismo. «Simoni non c’è più, non può parlare, non è giusto tirarlo in ballo. Lo ricordo come un allenatore bravo e come un uomo da rispettare». ► Sullo sviluppo dell’azione, rigore per la Juve. «E Pagliuca parò il tiro di Del Piero, molti lo dimenticano. Per noi giocatori è tutto finito lì». ► Qualche anno dopo, Calciopoli. «Alt. Eravamo una squadra pazzesca, tra le migliori al mondo, con allenatori come Lippi, Ancelotti e Capello, e non avevamo bisogno di aiuti né di aiutini. Sul campo, mai avuta la percezione che godessimo di agevolazioni. Calciopoli è stata un’inchiesta che poggiava su chiacchiere telefoniche in cui si parlava di tanti, però ha pagato soltanto la Juve». ► Passiamo oltre. Ci racconti di Zidane. «Palla su, ci pensa Zizou: era il nostro schema base. Scherzo, ma non troppo. A Zidane, nei momenti difficili, passavamo palloni indecenti, Zizou li ripuliva e li trasformava in oro. E l’uomo era più grande ancora. Un ragazzo umile, educato, perbene. Una volta, in aeroporto, ci avventammo in massa su un gruppetto di stupidi che avevano osato attaccarlo». ► Zidane, poi Lippi. «Il mio grande maestro. Alla Salernitana mi aveva allenato Delio Rossi e avevo imparato a giocare sempre la palla, a passarla. Alla prima occasione in cui ci provai alla Juve, Lippi scosse la testa e disse: “Mark, no, qua non funziona così”. A Lippi, per comunicare, bastava lo sguardo». ► Ha perso la finale dell’Europeo 2000 ed è stato eliminato agli ottavi dal Mondiale 2002 per due golden gol. «Una maledizione. All’Europeo, contro la Francia, eravamo a cinque secondi dalla fine, aspettavamo il fischio e forse l’errore è stato quello. I francesi segnarono l’1-1, ai supplementari Trezeguet ci punì con il golden gol. Nel 2002, più del golden gol di Ahn, che giocava nel Perugia, contro la Corea del Sud ci buttò fuori l’arbitraggio di Byron Moreno. Io non posso dire che Moreno fosse corrotto, non ho nessuna prova, ma ci fischiò tutto contro e mi sembra che poi non abbia avuto una vita tranquilla (negli Usa è stato condannato per narcotraffico, ndr). Per fortuna i golden gol li hanno aboliti». ► Il 5 maggio 2002, un altro suo momento top. Il sorpasso sull’Inter di Cuper, travolta a Roma dalla Lazio, mentre voi vincevate a Udine. «Ho avuto Cuper al Maiorca, in Spagna, nel 200405, e confermo: è un uomo verticale, tutto di un pezzo, però simpatico. Ogni tanto si lamentava: “Mark, mi hai fatto perdere lo scudetto”. E io: “Mister, lo scudetto lo avete perso voi, da soli, contro la Lazio”. Lo punzecchiavo per il fatto che, dopo il 5 maggio, Moratti cedette Ronaldo al Real e si tenne Cuper: “Si rende conto, l’hanno preferita a Ronaldo!”. A Maiorca ci salvammo con una grande rimonta e sono rimasto legato: lì ho comprato una casa, lì passo le estati». ► Tudor nuovo allenatore della Juve. Lei ha giocato assieme a lui in bianconero ed è stato il suo vice all’Udinese nel finale della Serie A 2017-18. «Igor ha assorbito la juventinità, farà capire a tutti che la Juve viene prima di tutto. Nei suoi allenamenti non ci sono tempi morti, intensità pazzesca. La salvezza dell’Udinese nel 2018 è stata una grande impresa, la situazione era complicata, ma ci tirammo su. Ci siamo messaggiati, lo andrò a trovare a Torino». ► Perché non è rimasto nel suo staff? «Sto bene, non ho ossessioni. Se capiterà l’occasione giusta per allenare, bene. Sennò continuerò la mia vita a Milano, con il padel come hobby». ► Ha sposato un’ex letterina, Federica Villani. «Ci siamo conosciuti prima che lei lavorasse in tv. Abbiamo un figlio, Nicolò: studia alla Bocconi». ► È vero che è maestro elementare? «Ho il diploma magistrale, non l’abilitazione». ► Perché si chiama Mark con la kappa? «Mio padre ammirava Mark Spitz (il nuotatore americano vincitore di 7 ori a Monaco ‘72, ndr). Il bello è che io galleggio, al massimo nuoto a cagnolino».
  13. Intervista di Leonardo Iannacci Gigi Maifredi, 35 anni dopo si è rivisto in Motta? Arrivato alla Juventus per seminare trionfi, Thiago non ha mangiato a Pasqua, proprio come accadde a lei nel 1990. «La mia e quella di Motta sono state situazioni diametralmente opposte che hanno avuto in comune solo una cosa: la brutta fine». Si spieghi meglio. «Nel 1990, dopo l’allontanamento di Boniperti e l’arrivo di Luca di Montezemolo alla guida del club, venni scelto dopo Dino Zoff per cambiare il concetto di quella squadra. Solo che incappai in ostacoli impossibili da superare». Sintetizzi. «Tutti giornalisti erano bonipertiani e legati a Zoff che venne giubilato anche se aveva vinto una Coppa Italia e una Uefa perché la squadra si compattò attorno a lui quando seppe del mio imminente arrivo. Trovai un clima sfavorevole». E tutto si sfaldò. «Non subito: siamo stati primi in classifica, poi una trasferta a Genova contro la Samp ha cambiato il corso di quella stagione e la mia avventura alla Juventus. Fui io ad andarmene». Differenze con Motta? «Lui è stato chiamato da John Elkann e Giuntoli per migliorare il gioco non i concetti di un club e di una squadra. Io dovevo smembrare il passato: rappresentavo il nuovo dell’epoca, la zona contro il vetusto gioco all’italiana». Motta ha fallito pesantemente, però. «Come il sottoscritto, è sbarcato a Torino pensando di essere un dio in terra e ha sbattuto la faccia». Contro cosa, esattamente? Lo spogliatoio? «Anche. Ma la società non lo ha certo aiutato». Giuntoli? «Soprattutto. Arrivato da Napoli, non aveva già aiutato Allegri lo scorso anno, anzi. Giuntoli ha dimostrato di non essere il diesse giusto per risollevare le sorti di una situazione che è via via peggiorata». Ha lasciato affogare Motta? «Sì. Per Thiago sarebbe servita una persona come Moggi nelle scelte di mercato. Ma Moggi aveva Giraudo come manager e Bettega come consigliere. Giuntoli ha voluto fare il manager e il diesse insieme». E le crepe dello spogliatoio? «Ci sono state ma molti spogliatoi hanno delle crepe. Ai miei tempi in parecchi erano nostalgici di Zoff. Non Baggino, eh...». Il più grosso errore di Motta? «Pensare che alla Juve si potesse allenare come a Bologna». Ovvero? «I giocatori del Bologna danno tutto anche perché sperano di andare in una big o all’estero. Alla Juve sono già in top class e li devi trattare come tali». Ora è arrivato Tudor: soltanto un traghettatore? «Penso di sì. La Juventus ha in mente un colpo grosso, ne sono certo». Ovvero? Mancini? «No, penso che punterà su un supertop: penso di non sbagliare a dire Guardiola, il migliore di tutti. Un uomo di calcio che qui a Brescia abbiamo conosciuto bene quando giocava e, poi, abbiamo apprezzato tutte le volte che passa in zona». Guardiola ha il contratto con il City, però. «Pep ha voglia di venire ad allenare in Italia, paese che ama. È l’unico campionato che non ha ancora vinto: in bacheca ha la Liga, la Bundesliga, la Premier. Gli manca lo scudetto». Finirà alla Juve? «Per me sì. Penso consideri la vecchia Signora l’eccellenza del nostro calcio». Quindi Tudor è un allenatore a termine? «È bravo ma se arriva Guardiola...». John Elkann sta vivendo giornate malinconiche fra Juventus e Ferrari. «Sì. Ma Guardiola per la Juve sarebbe quello che ha rappresentato l’arrivo di Hamilton a Maranello. Un numero 1». E come cambierebbe la rosa della Juve di Guardiola? «Diventerebbe ancora più tecnica perché Pep ama i giocatori di quel tipo. Al centro metterebbe Koopmeiners che non posso vedere vagare per il campo senza una direzione tecnico-tattica». Vlahovic? «Essendo il miglior centravanti del nostro campionato con Lautaro, sarebbe centrale nel gioco di Pep». La difesa? «La baserebbe sul recupero pieno di Bremer e su Gatti, un onesto granatiere necessario». E poi? «Terrebbe sicuramente Yildiz facendolo centrale nel suo gioco. E poi si porterebbe tre-quattro fedelissimi da Manchester. Ma in questo, il club dovrà dare una grossa mano».
  14. https://x.com/a_crosta/status/1903846012763963767?t=4nwDMisOjQ8Dncy5m0tLDg&s=19
  15. intervista a Massimo Mauro «Signora fallimento totale» «Dato a Giuntoli troppo potere Errori anche suoi» di Filippo Cornacchia · 25 mar 2025 Conte il sogno per il futuro? La Juventus è casa sua, lo vedrei bene Yildiz non lo venderei mai, in futuro bisogna ripartire dai più forti A Tudor chiedo corsa e punti Champions Ma ora hanno più responsabilità i giocatori Del ciclo Motta salvo l’idea, però la realizzazione è stata fallimentare La società andrà rinforzata in estate Chiellini? È uomo Juve e di valore «Thiago Motta lo avrei mandato via prima, ma le colpe non sono soltanto le sue. Tutto il progetto si è rivelato un fallimento totale». Massimo Mauro, sul tetto del mondo con la Juventus nel 1985, gira pagina, un po’ come ha fatto il club bianconero nei giorni scorsi con la chiamata di Igor Tudor e il cambio di panchina a nove giornate dalla fine del campionato. ► Lei era uno dei più ottimisti in agosto. Eppure… «Salvo l’idea estiva di Giuntoli e Thiago Motta di voler provare a vincere con un gioco diverso, ma la realizzazione è stata un fallimento totale. La lezione è che alla Juventus bisogna assecondare di più la storia. Sarri ha vinto lo scudetto ed è stato mandato via dopo un anno; Pirlo è stato esonerato dopo il quarto posto e la doppietta Coppa Italia-Supercoppa. E ora Thiago non ha finito il campionato». ► Si trovasse al posto di Giuntoli in questo momento? «Sarei quello più deluso di tutti. Thiago Motta è stata una sua scelta e mandandolo via si è trovato a dover ammettere uno sbaglio. Però...». ► Però… «Penso che l’errore sia stato più di conduzione che di uomini». ► Cosa intende dire? «Che è stato dato troppo potere a un’unica persona. Giuntoli, di fatto, in questi mesi ha avuto tutta la Juventus in mano" ► C’è chi dice che era dai tempi del presidentissimo Boniperti che non si vedeva alla Juventus un uomo solo al comando di tutto. Concorda? «No. Neanche Boniperti comandava da solo e lo dico per esperienza personale. Era un presidente che si confrontava tantissimo con Trapattoni e anche con noi giocatori. Alla Juventus è sempre stato così: non c’è mai stata una persona sola che aveva tutto in mano. A prescindere dall’allenatore del futuro, la società andrà rinforzata». ► Pensa a Chiellini? «Sicuramente Giorgio è un uomo Juve e una persona di grande valore». ► Alla luce di questa annata, da chi ripartirebbe in estate? «Alla Juventus bisogna puntare su gestione, grandi giocatori e vittorie». ► Tudor è stato ingaggiato come traghettatore, ma il grande sogno per il 2025-26 resta il ritorno di Conte in bianconero. Sensazioni? «La Juve è la casa di Antonio, certo che lo vedrei bene. Ma Conte ha dimostrato di saper ottenere risultati un po’ ovunque in Italia e in Europa». ► Che cosa salva dell’era Thiago Motta? «Non si può dire che Thiago sia stato fortunato, soprattutto con i pesanti infortuni iniziali: Bremer su tutti. A Motta ne sono capitate di tutti i tipi. I primi responsabili sono i giocatori». ► Il cambio di allenatore è sufficiente per riattivare i giocatori? «Quando cambi un tecnico, soprattutto alla Juventus dove è successo poche volte nella storia, il boato è enorme. E mi aspetto che questo rumore smuova i giocatori. Adesso sono loro ad avere le maggiori responsabilità, non Tudor». ► La convince Tudor come soluzione d’emergenza per agganciare il quarto posto Champions? «È un allenatore che mi sembra abbia fatto quasi sempre bene in corsa. E conosce la Juventus. Mi sarebbe piaciuto anche Roberto Mancini, uno che ha vinto ovunque». ► Se incrociasse Tudor per strada, cosa gli chiederebbe? «Di portare corsa, entusiasmo e i punti per arrivare in Champions League. Sono fiducioso, anche perché peggio di così non può andare alla Juventus. A Tudor direi un’altra cosa: mi raccomando, ora fai assumere ai giocatori le proprie responsabilità». ► Da chi si aspetta di più in queste ultime nove partite? «Dagli italiani. Penso a Di Gregorio, Gatti, Cambiaso, Locatelli. E ci metto anche Yildiz, che è alla Juventus da un paio di anni e quindi lo considero un po’ italiano». ► Basta la cura Tudor per rilucidare Cambiaso, Yildiz e Vlahovic? «Spero di sì, anche perché rappresentano un capitale per il club. Cambiaso e Yildiz sono i giocatori più preziosi della Juventus, ma entrambi sono stati ereditati dalla precedente dirigenza. Idem Vlahovic, che va rivalutato in fretta. Guardate cosa è successo a Kean in pochi mesi e con un po’ di fiducia in più. Il rischio è che succeda la stessa cosa con Vlahovic». ► Arrivare o no in Champions League condizionerà anche il mercato e le cessioni dei bianconeri. Lei sacrificherebbe Yildiz? «No, io i giocatori forti me li terrei e ripartirei da loro». ► Cambiando discorso: è sempre convinto che sarà l’Inter a vincere lo scudetto o ha una nuova favorita? «L’ho detto in estate e lo ribadisco: l’Inter ha qualcosa in più delle concorrenti a livello di rosa e resto convinto che conquisterà anche questo campionato. La stagione del Napoli resta da 10, già così. Se arrivasse anche lo scudetto sarebbe da 10 e lode».
  16. Il costo dell’addio PIANO JUVE IN SALITA CESSIONI A GIUGNO O RICAPITALIZZAZIONE di Marco Iaria · 25 mar 2025 L’esonero di Motta porta a una spesa extra di 15 milioni sul bilancio 2024-25 che doveva registrare una perdita contenuta. Exor valuta alternative L’esonero di Thiago Motta inciderà pesantemente sul conto economico 2024-25, perché il club dovrà accantonare a bilancio l’intero compenso pattuito per i restanti due anni di contratto, oltre a pagare ovviamente le ultime mensilità di questa stagione: pur ipotizzando il mantenimento dei benefici del Decreto Crescita goduti da Motta, parliamo di 13-14 milioni per gli emolumenti dell’intero staff tecnico, a cui si aggiunge lo stipendio di Tudor e dei suoi collaboratori (attorno a 1 milione lordo fino a giugno), per un totale di 14-15 milioni. Una spesa non prevista. Una spesa che complica i piani societari. L’obiettivo In discussione non è il progetto di risanamento nel medio termine. Stiamo parlando di una spesa “una tantum” che, a regime, non va a incrementare il costo annuo della squadra, a meno che la Juve non decida l’anno prossimo di affidarsi a un allenatore più caro di Thiago Motta, cioè dallo stipendio superiore ai 3,5 milioni netti dell’italo-brasiliano. Nel frattempo, però, c’è un nodo più urgente da sciogliere, con vista sul 30 giugno. Dopo l’ultimo aumento di capitale da 200 milioni del 2024, Exor ha imposto l’autosufficienza, nell’ambito di un business plan che dovrebbe portare all’utile entro il 2026-27. Per mantenersi in linea la Juventus si è posta un obiettivo per l’esercizio 2024-25: contenere la perdita entro i 32 milioni. Al 30 giugno 2024, assorbendo gli apporti di equity e il deficit 202324 di 199 milioni, il patrimonio netto di Juventus Fc (quindi non il bilancio consolidato ma quello separato, rilevante ai fini civilistici) era pari a 42 milioni, con il capitale sociale a quota 15 milioni. Di conseguenza, al 30 giugno 2025 la perdita non potrà erodere più di un terzo del capitale sociale (quindi 5 milioni) se si vorrà evitare un’ulteriore ricapitalizzazione. Obiettivo possibile solo registrando una perdita massima di 32 milioni, tale da abbattere fino a 27 milioni di riserve e un terzo, non di più, del capitale sociale. L'attuale bilancio beneficia del ritorno in Champions (almeno 65 milioni di premi Uefa) e del gettone del Mondiale per club (18-20). In assenza del main sponsor (nel 2023-24 Jeep versò 38 milioni), si sono incrementati i proventi da stadio e attività correlate e sono raddoppiati gli introiti del player trading, da 34 a 67 milioni, cui aggiungere 14 milioni di plusvalenze quasi certe per i riscatti di Rovella e Pellegrini da parte della Lazio. Il cambio di gestione di merchandising/licensing, affidato a Fanatics, comporta un miglioramento della redditività di un paio di milioni. Sul fronte dei costi sono proseguiti i tagli, attorno a 2530 milioni, tra stipendi e ammortamenti. Tutto sommato, il miglioramento della dinamica costi-ricavi, rispetto al 2023-24, si poteva stimare in oltre 150 milioni. I calcoli La società puntava a sfruttare la finestra del mercato di giugno per arricchire la raccolta del player trading e contenere la perdita al 30 giugno nel range dei 32 milioni. I costi-extra del cambio tecnico, quantificabili in 14-15 milioni, alzano l’asticella della campagna trasferimenti pre-Mondiale: serviranno proventi aggiuntivi per almeno 30 milioni, anche perché la squadra è uscita anzitempo sia dalla Champions sia dalla Coppa Italia. Insomma, non basterà qualche cessione di contorno. A meno che Exor non decida di riaprire il portafogli avallando un nuovo aumento di capitale. Sono riflessioni delicate, che tengono conto da un lato delle aspettative degli azionisti di una holding internazionale e dall’altro della specificità dell’asset Juventus, che finanziariamente vale poco nella galassia Exor (l’1,4% del valore complessivo delle partecipazioni) ma sentimentalmente e “politicamente” vale tanto. In queste ore la proprietà ragiona anche sulla strategia migliore da adottare per il club: va bene la sostenibilità, va bene l’azione di tagli, ma esse non possono prescindere dalla presenza continuativa in Champions, e quest’ultima è strettamente connessa alla competitività della rosa. I sacrifici sul mercato difficilmente si conciliano con le ambizioni sportive.
  17. https://x.com/DIABOLIK_7/status/1904269292415136091?t=vBC492psV1lyV-AeOowMPQ&s=19
  18. https://x.com/accountparodia/status/1903815113557111149?s=19
  19. «JUVE STAI UNITA» «È molto difficile ma dai giorni bui si esce in gruppo» L’ex difensore : «È fondamentale l’apporto dei tifosi, ma devi sforzarti ed essere tu a tirarli dalla tua parte» di Guendalina Galdi · 23 mar 2025 Pazienza e risultati: solo così si ribaltano situazioni non semplici La colpa non è mai di una singola persona, ma ha svariate nature La pressione nei top club è normale: va gestita e questa gestione passa dalla compattezza del gruppo di lavoro in generale e della squadra Andrea Barzagli è una delle «Legends» della Juventus che ha partecipato all’Infinity League, l’evento calcistico di nuova generazione che mixa spettacolo calcistico e innovazione. Ha giocato in un’arena, il Bmw Park di Monaco di Baviera, insieme ad altri ex bianconeri, ma nella spensieratezza di una giornata di un calcio mai visto ma non meno intrigante il pensiero è andato anche alla Juventus attuale, quella di un Thiago Motta in bilico e che deve raggiungere quel quarto posto obiettivo minimo per non etichettare questa stagione, e più in generale il nuovo progetto nato l’estate scorsa, come un fallimento. «Per me la Juve significa tanto, è stato il club dove ho giocato di più e che mi ha fatto cambiare a livello mentale, la squadra che mi ha dato la possibilità di vivere un calcio di élite e con la quale ho vinto tanto. C’è un legame fortissimo per tutto quello che abbiamo vissuto insieme e per quello che abbiamo collezionato in bacheca». ► Le dispiace vedere una Juve così in difficoltà adesso? «È un periodo difficile. Ci sono però secondo me momenti in cui le grandi squadre hanno bisogno di passare attraverso le difficoltà. È dura, perché c’è sempre questa idea che le big debbano sempre e comunque essere competitive e hanno sempre l’obbligo di vincere. Ma anche questo fa parte del calcio e della crescita». ► Come può uscirne questa Juve? «È complicato. Devi avere la voglia di compattarti e di conquistare qualche risultato positivo che ti possa dare la scossa giusta. Ma non è scontato, perché quando le cose non vanno bene sai che devi faticare molto di più rispetto a quando tutto fila liscio. È difficile pensare che sia una cosa che si risolva da un momento all’altro. Ci vuole pazienza e soprattutto ci vogliono i risultati per ribaltare un po’ questa situazione non semplice». ► È la ‘condanna’ delle grandi: la pazienza finisce presto… «Quando arrivi a giocare in certe squadre non c’è mai tempo, né pazienza appunto. E si vuole subito che la squadra, magari anche nuova, arrivi immediatamente ai risultati sperati. È normale che sia così e che ci sia questa grande pressione. Va gestita e questa gestione passa dalla compattezza del gruppo di lavoro in generale e della squadra. Non è semplice ma se vieni in società così, grandi, come la Juventus, ci arrivi anche per affrontare sfide di questo tipo. E alla fine è anche questo il bello di essere in un top club. Se vieni scelto, evidentemente pensano che tu possa rappresentare la squadra per poterla portare subito in alto ma a volte qualcosa non va e non è colpa di una singola persona ma i problemi sono svariati». ► Dopo la pausa la Juve torna a giocare a Torino, contro il Genoa, di nuovo davanti al proprio pubblico che non vede dallo 0-4 contro l’Atalanta. «L’apporto dei tifosi è fondamentale però devi mettere in conto anche che devi tu cercare di trascinarli dalla tua parte. Non è facile in questo momento. Molto dipenderà dallo spirito e da come scenderanno in campo. Da fuori è tutto facile, dentro a volte è complicatissimo gestire certe pressioni». ► Un Barzagli, in difesa e nello spogliatoio, servirebbe a questa Juve… «Non è tanto il singolo che cambia una situazione né uno da solo può dare la svolta. Quando le cose non vanno è coinvolto tutto il gruppo, nessuno escluso. Ed è difficile uscirne singolarmente. Dai momenti più duri ne esci quando si riesce a creare qualcosa che porti a un risultato positivo. Questo è l’unico modo». ► Parole sicure, da veterano: ora lei è tornato in Germania a giocarsi l’Infinity League, format che incarna la Next Gen del football firmato Dazn, stavolta da «leggenda» bianconera in una squadra composta da Trezeguet, Marchisio, Matri, Pepe, una rappresentanza femminile e di creator bianconeri, e con Pessotto nelle vesti di allenatore. «Ero venuto qui nel 2024 con il Wolfsburg, già conoscevo il torneo e come funziona. È molto bello e interattivo. È futuristica ma è un’idea viva più che mai già oggi. Un mix piacevole per trascorrere una giornata di svago». ► Quanto la diverte questo connubio intrattenimento e calcio? «Vissuto dopo il ritiro è veramente piacevole perché culturalmente noi non abbiamo questo concetto di festa, e poi il calcio così è diverso dal professionismo ma per i tifosi non è che sia meno coinvolgente, anzi. È interessante e da portare avanti, se avessi giocato qua quando stavo bene magari mi sarei divertito di più ma mi godo questa giornata durante la quale ho anche incontrato tanti giocatori che ho affrontato da avversari in carriera». ► Ha parlato a lungo con Cambiasso prima della partita. «Sì, di padel… e della differenza rispetto a questo sport. Noi siamo logorati dal lavoro che abbiamo fatto. Abbiamo di tutto e di più, siamo infiammati, magari anche mezzi rotti e allenarsi è fondamentale. Però c’è una cosa che non cambia mai ed è la voglia di dare sempre e comunque il massimo. Anche su un campo così».
  20. Contrordine https://x.com/AlfredoPedulla/status/1903528178074706288?t=PSa3vFl2DbogoKgXOc_TqA&s=19
  21. Praticamente con il Genoa andrebbe in panchina un allenatore esonerato? RIDICOLI!!!
  22. Rossi, il fuoriclasse incompiuto «Quello che sono lo devo a papà» Lo chiamavano Pepito, ha segnato 132 gol e per mille giorni è stato infortunato Di Simone Golia · 20 mar 2025 Rimpianti e addio Mi ha preso Ferguson, mi voleva Guardiola. Sabato saluto il calcio e Firenze con Batistuta e De Rossi Giuseppe Rossi è raffreddato, le figlie gli hanno attaccato un po’ di influenza. In carriera ha segnato 132 gol, 30 le presenze con l’italia e oltre mille i giorni da infortunato. Oggi ha 38 anni, si è ritirato ma sabato, alle 18, giocherà al Franchi di Firenze la sua partita di addio al calcio. Chi ci sarà? «Batistuta e Toldo, Toni e Cassano, poi Grosso, De Rossi, Mario Gomez e non solo. Anche due grandi allenatori come Ranieri e Ferguson». Ferguson? «Mi ha detto subito di sì. Speriamo non faccia come quella volta a Birmingham…». Cioè? «Quarti di Coppa di Lega, 0-0 dopo il primo tempo. All’intervallo mi sgrida. “Devi darti da fare”. Mi sostituisce e dopo 5’ facciamo due gol». Come ci finì al Manchester United? «Un emissario del club si presentò a Parma, avevo 17 anni. Mi chiese di aprire la mano e mi consegnò una spilla con il logo della squadra. Firmai il contratto in un ristorante, con me c’era papà». Dopo ogni gol le braccia al cielo. La dedica era per lui? «Si ammalò nell’inverno del 2009, un tumore. Mamma mi nascose tutto, voleva proteggermi. Ricordo il giorno in cui mi chiamò, crollai a terra. Era inizio febbraio, tornai negli Stati Uniti per salutarlo. Dopo qualche settimana morì. Era il mio eroe». Il primo ricordo insieme? «Lui che torna dal lavoro, sistema i conetti nel giardino della nostra casa di Clifton, nel New Jersey, e io che li dribblo. Tutto quello che sono adesso lo devo a lui». Anche la carriera da calciatore? «A 12 anni lasciai gli Stati Uniti per trasferirmi al Parma. Lui partì con me. Non parlavo bene la lingua, a scuola i ragazzi non erano accoglienti, mi sentivo solo. Piangevo molto, dopo un mese e mezzo venne a trovarci mamma. Ricordo ancora la forza di quell’abbraccio». E papà? «Non volevo fargli vedere le mie difficoltà, ma lui aveva capito tutto. Più avanti mi confessò che aveva tenuto pronte le valigie per un mese e che mi avrebbe voluto bene anche se fossimo tornati in America». Dopo la morte di suo padre segna 35 gol col Villarreal. «Volevo spaccare tutto per realizzare il suo sogno. Guardiola mi voleva al Barcellona, durante la trattativa mi trovavo ad Acquaviva d’isernia, il paese d’origine di mia mamma. Trecento abitanti, il cellulare non prendeva. Giravo per strada con le braccia al cielo in cerca di una tacca. Poi il Barça non trovò l’accordo e prese Sanchez». Fu l’unico treno perso? «Per la Juventus dovevo essere il post Del Piero. Ero in macchina con mio zio, lui che guidava e io dietro che parlavo al telefono con Marotta e Conte. Offrirono quasi 30 milioni ma il Villarreal era appena tornato in Champions e non se la sentì di cedermi». Nel suo momento migliore si rompe il ginocchio per la prima volta. «Infortuni così ti tolgono un anno e io in carriera ne ho avuti cinque. Il dolore è tanto, come il tempo da trascorrere da soli. Il calcio è un mondo falso. Fino al giorno prima mi volevano tutti, poi più nessuno». Oggi gioca la Nazionale. Per lei gioie e dolori. «Nel 2010 Lippi non mi portò al Mondiale. Avevo giocato sempre, qualificazioni e amichevoli. Dopo la morte di papà restai a casa un mese e mezzo e lui non mi ritenne pronto a livello psicologico. Ma è acqua passata, l’ho invitato alla partita di sabato. E poi Prandelli mi tenne fuori da quello del 2014. Non mi vedeva bene fisicamente, però i test dicevano altro». Come ha conosciuto sua moglie Jenna? «A una festa, grazie a un amico. Avevo 25 anni, mi ero fatto male al ginocchio e giravo con la stampella. “Dai, andiamo sulla spiaggia”, mi sollecitò. Zoppicavo, non volevo. Per fortuna alla fine mi ha convinto. L’ho vista lì».
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