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Tifoso Juventus-
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Igor Tudor sarà l'allenatore della Juventus anche per la prossima stagione
andrea ha risposto al topic di Morpheus © in Archivio Calciomercato
«La Juve con Igor ha ritrovato il cuore Motta lasciato solo» L’ex bianconero: «Il croato può andare in Champions e restare anche in futuro. Scudetto? Servono 3 colpi» di Filippo Cornacchia TORINO · 9 apr 2025 Tonali è un top e vale una follia di mercato da parte della Juve Rimpianti Szczesny e Huijsen? No, io non avrei ceduto Fagioli e Danilo «Igor ha ridato il cuore alla Juventus e la scossa può portare in Champions». Gianluca Zambrotta non è stupito dell’effetto Tudor, piuttosto non ha ancora capito del tutto l’esonero di Thiago Motta. Il terzino dell’Italia campione del mondo di Marcello Lippi – 297 presenze in bianconero – è stato compagno del croato alla Juventus e dell’italo-brasiliano al Barcellona. ► Daniel Fonseca e Fabio Capello hanno detto che non si sarebbero mai immaginati Tudor allenatore per come lo avevano conosciuto da giocatore a Torino. È sorpreso anche lei? «Diciamo che Igor era uno di quelli che all’epoca si faticava a immaginare con un futuro in panchina. Però era un ragazzo sveglio e attento, non a caso Lippi spesso dalla difesa lo avanzava a centrocampo. Se non sei intelligente, difficilmente guidi la mediana di uno squadrone come era la nostra Juventus. E poi era sempre sorridente, uno di compagnia: capitava anche a me di uscire con lui, Montero e i sudamericani. Adesso questo entusiasmo lo trasmette alle sue squadre. Non sono stupito della scossa che ha dato Igor, ha sempre fatto la differenza in corsa». ► Cosa l’ha colpita della nuova Juventus di Tudor? «Igor ha giocato molto sugli stimoli, infatti a Roma si è vista una squadra con un atteggiamento diverso, più aggressiva. La Juventus ha giocato con il cuore». ► Aver ritrovato lo spirito basterà ai bianconeri per tagliare il traguardo della qualificazione in Champions? «Spero e penso di sì. La lotta per il terzo e il quarto posto è una bella bagarre. Ma se la Juventus sabato batte il Lecce, poi dipenderà tutto da lei visto che Atalanta e Bologna si sfidano tra loro in questo weekend. Sono ottimista per i bianconeri. Anche perché il Bologna, seppur in gran forma, almeno sulla carta ha un calendario più complicato. L’effetto della scossa di Tudor può arrivare fino alla fine». ► E lo scudetto chi lo vince? «Può succedere di tutto, ma vedo un pizzico avvantaggiato il Napoli: Conte non ha le Coppe e difficilmente sbaglia». ► A proposito di Conte: fosse nella Juventus la prossima stagione punterebbe sul ritorno dell’ex capitano o darebbe una occasione a Tudor in caso di qualificazione in Champions? «Antonio è un top, ma bisognerà capire pure se e come potrà lasciare il Napoli. Ma se Igor dovesse raggiungere la Champions e disputare un buon Mondiale per Club, una chance di guidare la Juventus dall’inizio la meriterebbe. Senza contare gli aspetti economici: sicuramente Tudor avrebbe costi inferiori rispetto a quelli di altri allenatori». ► Il buon inizio di Tudor le ha fatto digerire meglio l’addio di Motta? «L’ho detto e lo ripeto: io non avrei esonerato Thiago perché il progetto era triennale. Il club gli aveva chiesto di qualificarsi in Champions e il quarto posto era distante soltanto un punto, quindi alla portata. Per Motta hanno pesato le eliminazioni dalle Coppe e i 7 gol tra Atalanta e Fiorentina, ma alla fine ha pagato lui anche per Giuntoli. Se scegli un allenatore giovane come Thiago, devi sostenerlo. L’impressione, invece, è che ad un certo punto sia mancato il supporto della dirigenza». ► Ha sentito Motta dopo l’esonero? «No, ma sono convinto ripartirà presto e alla grande. Resta un ottimo allenatore e farà una gran carriera». ► È più sorpreso della rinascita di Nico Gonzalez o dell’astinenza da gol di Kolo Muani e Vlahovic? «Mi stupisce che non segni Vlahovic, che considero un grande centravanti. Dusan ha sempre fatto gol e sono convinto ricomincerà in fretta, magari già sabato con il Lecce. Tudor, oltre che un ottimo tecnico, è un eccellente motivatore e toccherà le corde giuste con il serbo». ► Per il dopo Vlahovic, che non rinnova il contratto (scadenza 2026), Giuntoli ha messo nel mirino Osimhen: qual è il nove più forte dei due? «In questo momento, anche solo guardando i gol, Osimhen ha qualcosa in più: sta segnando moltissimo anche nel Galatasaray. Ma come valore assoluto, Vlahovic e Osimhen si equivalgono». ► Quanti colpi servono alla Juventus per tornare a lottare per lo scudetto nel 2025-26? «Almeno uno per reparto, ma di qualità, perché la squadra attuale vale più dei punti che ha in classifica. La penso così anche per il Milan». ► I bianconeri devono avere più rimpianti per i 22 gol di Kean con la Fiorentina, per Szczesny decisivo nel Barcellona o per Huijsen venduto al Bournemouth per 15,3 milioni e ora nel mirino del big europee per 50? «Io non avrei venduto... Fagioli, che a Firenze sta disputando un campionato straordinario come Kean. E andava tenuto anche un senatore come Danilo. Entrambi andavano trattati in maniera diversa dalla società». ► Tra le priorità dei bianconeri c’è anche quella di rafforzare lo zoccolo duro italiano: Tonali vale una follia di mercato? «Sì, perché è un centrocampista importante e lo sta dimostrando anche in Premier. Concordo sull’esigenza di rafforzare il nucleo italiano: è una componente che alla lunga migliora tanto il club quanto la Nazionale». ► Chiellini, già in società, è destinato ad avere una maggiore operatività nella Juventus del futuro: lei in che ruolo vedrebbe l’ex difensore? «Giorgio deve avere una posizione chiave perché ha spessore e senso di appartenenza. Può diventare per la Juventus quello che Paolo Maldini è stato per il Milan scudettato di Pioli. Un punto di riferimento per giocatori e società».- 3987 risposte
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Rice in carriera non aveva mai segnato su punizione
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Nefandezze mediatiche e antijuventinismo vario
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Quindi per vivere tranquilli gli conviene fischiare contro le concorrenti del Napoli -
Quest'anno erutta di nuovo il vulcano islandese, scommettiamo?
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Non è che Ancelotti viene esonerato durante il viaggio di ritorno a Madrid?
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Napoli, secondo scudetto in tre anni
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Al Mondiale in finale contro il Mozumbo
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È l'anno delle melme
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Quanti giocatori del Bayern si infortuneranno durante la partita?
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Napoli, secondo scudetto in tre anni
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di Francesco Velluzzi · 6 apr 2025 Per tutti è il «Barone Causio», ma a lui piace più «Brazil». Per chi è stato campione negli anni Settanta e Ottanta i soprannomi affibbiati dai grandi giornalisti dell’epoca erano un vezzo. Un modo per rimarcare la definizione di grande giocatore. Franco Causio stella lo è stata davvero. E quel che dà più l'idea di cosa abbia fatto in tanti anni di calcio ad alti livelli è la dimostrazione d’affetto che riceve ogni volta che va in Brasile, il suo secondo paese, visto che da 35 anni convive con Andreja che gli ha regalato il figlio Gianfranco, oggi trentaduenne. «Sono appena tornato da Rio. Ed è proprio così. In spiaggia, quando gioco a foot volley, mi trattano ancora da star. Per i brasiliani aver battuto una delle loro nazionali più forti al Mondiale del 1982 rappresenta un grande onore. Che ci riconoscono». ► E lei quando giocava aveva movenze da brasiliano: corsa, numeri, gol, dribbling,. «L’arte del dribbling la imparai da Helmut Haller alla Juve. Lo ammiravo quando saltava gli avversari come birilli». ► La Juve è stata la sua vita. Ci arrivò da Palermo, ma di gavetta ne ha fatta. A 16 anni era già fuori di casa a San Benedetto del Tronto, dopo aver esordito in serie C a 15 anni col suo Lecce, il club della città natale. «Giocai tre partite con Reggina, Samb e Chieti. La prima squadra protestava perché non prendeva i soldi. Toccò a noi giovani. allenati da Attilio Adamo. L’uomo che mi portò alla Sambenedettese. Che fu la mia fortuna. Papà diede ad Attilio l’autorizzazione. Giocai in C nel girone C: campi in terra battuta in cui mettevano le strisce un’ora prima della partita. Mi sono formato. Alberto Eliani ci faceva allenare in spiaggia. Andai bene. Così cominciai la serie dei provini nelle grandi squadre. Bologna, Fiorentina, Inter e Torino. Qui il vice di Nereo Rocco era Enzo Bearzot, quello che, poi, per me fu quasi un padre. Era quasi fatta col Toro, ma Rocco disse che ero magro. Mi giocai l’ultima carta a Forlì, al provino della Juve. In 20 minuti segnai un paio di gol. Ero a Lecce quando arrivò il telegramma. Preso. Ripartii daccapo: sveglia alle 7, messa, scuola, educazione, regole, comportamento, rispetto verso gli altri e verso i tifosi. Ho imparato tutto. Mi mandarono in prestito alla Reggina e al Palermo, per la prima volta in A. E da lì mi ripresero». ► Piaceva all’avvocato Gianni Agnelli. «Perché ero estroso, fantasioso. La mattina mi chiamava: «Causio, dormiva? L’ho svegliata?». Veniva a pranzo a Villar Perosa. Accanto a lui ho visto persone davvero molto importanti a livello internazionale. Un grande che non ti metteva mai in difficoltà». ► Con una grande guida calcistica, Giampiero Boniperti. «Era lui il vero capitano. Noi eravamo tutti al servizio della squadra e di un solo capo: lui». ► Amici veri: da Dino Zoff all’indimenticato Gaetano Scirea. «Dire amici è poco. Non c’era gelosia, eravamo tutti uniti. E in Nazionale eravamo noi, tanti della Juve. Dopo più di 40 anni abbiamo ancora la chat. Quel mondiale del 1982 ha unito un’Italia che era in crisi di governo con Spadolini. Con il presidente Sandro Pertini collante di tutto». ► E chi la dimentica la partita a scopone, con Zoff, Bearzot e appunto Pertini. Ha fatto il giro del mondo. Non ne potrà più pure lei... «Macché. E’ un ricordo fantastico. Vincemmo pure lì. Io, con Bearzot, contro Zoff e Pertini. Quello resta il Mondiale per eccellenza per tanti italiani. Io, oltre alla partita in aereo, ho il ricordo di quando Bearzot mi mandò in campo a due minuti dalla fine in finale. La cosa più bella. Mi ha fatto tornare in Nazionale. Mi incitò quando scelsi l’Udinese nel 1981». ► Perché alla Juve dopo 11 anni non c’era più posto. E con Giovanni Trapattoni non fu un idillio. «Preferì Fanna e Marocchino. A 30 anni per lui ero anziano. Non sarei mai andato via dalla Juve. Accettai Udine; a Tarvisio in ritiro tiravo io il gruppo. Feci tre anni straordinari, riprendendomi l’azzurro. Giocando con Zico, stupendo». ► Ha duellato con le stelle Platini e Maradona e vissuto Zico e Rummenigge. Chi il più grande? «Diego, scontato, vinceva le partite da solo. Gli altri erano fuoriclasse, ma lui era unico». ► C’è stato pure un anno all’Inter. «Mi vollero e io da bambino amavo Jair, il brasiliano. Mi chiamavano così a Lecce. Ho coronato un sogno. La Juve mi rivoleva, ma c’era ancora quel tecnico che non aveva avuto fiducia in me». ► Le elenco un po’ di definizioni su di lei, oltre a Barone e Brazil: machiavellico, geniale, estroso, ammaliante, elegante, vincente. Quale preferisce? «Vincere è l’unica cosa che conta. Come ho scritto nel mio libro. Barone mi piace, comunque, anche se a Lecce sono un po’ tutti baroni. Amavo vestire bene, elegante, mi è sempre piaciuto». ► Perché si è fermato a Udine? «Dopo il ritorno a Lecce nell’86 pensavo di aver smesso. Un giorno andai a trovare Gianpiero Marchetti ed Enzo Ferrari. Mi convinsero ad accettare la Triestina, giocai lì. Poi ho fatto il dirigente e il commentatore tv. la cosa che più mi piaceva. Un gran rapporto con Massimo Corcione a Sky. Così sono rimasto in Friuli, città che era serena. Ora Andreja ha un po’ di saudade. Vado e vengo dal Brasile che era nel mio destino. Quando conobbi mia moglie a Rio, dove andai 35 anni fa per una partita, rimasi 4 mesi prima di rientrare. A 70 anni ho finito di lavorare. Ma se mi chiamano per parlare alle persone vado ancora con gran piacere.
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[ Serie A enilive ] ROMA - JUVENTUS 1-1 (40’ Locatelli, 49’ Shomurodov)
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Se perdiamo siamo nella M***A- 866 risposte
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di Francesco Velluzzi · 6 apr 2025 Per tutti è il «Barone Causio», ma a lui piace più «Brazil». Per chi è stato campione negli anni Settanta e Ottanta i soprannomi affibbiati dai grandi giornalisti dell’epoca erano un vezzo. Un modo per rimarcare la definizione di grande giocatore. Franco Causio stella lo è stata davvero. E quel che dà più l'idea di cosa abbia fatto in tanti anni di calcio ad alti livelli è la dimostrazione d’affetto che riceve ogni volta che va in Brasile, il suo secondo paese, visto che da 35 anni convive con Andreja che gli ha regalato il figlio Gianfranco, oggi trentaduenne. «Sono appena tornato da Rio. Ed è proprio così. In spiaggia, quando gioco a foot volley, mi trattano ancora da star. Per i brasiliani aver battuto una delle loro nazionali più forti al Mondiale del 1982 rappresenta un grande onore. Che ci riconoscono». ► E lei quando giocava aveva movenze da brasiliano: corsa, numeri, gol, dribbling,. «L’arte del dribbling la imparai da Helmut Haller alla Juve. Lo ammiravo quando saltava gli avversari come birilli». ► La Juve è stata la sua vita. Ci arrivò da Palermo, ma di gavetta ne ha fatta. A 16 anni era già fuori di casa a San Benedetto del Tronto, dopo aver esordito in serie C a 15 anni col suo Lecce, il club della città natale. «Giocai tre partite con Reggina, Samb e Chieti. La prima squadra protestava perché non prendeva i soldi. Toccò a noi giovani. allenati da Attilio Adamo. L’uomo che mi portò alla Sambenedettese. Che fu la mia fortuna. Papà diede ad Attilio l’autorizzazione. Giocai in C nel girone C: campi in terra battuta in cui mettevano le strisce un’ora prima della partita. Mi sono formato. Alberto Eliani ci faceva allenare in spiaggia. Andai bene. Così cominciai la serie dei provini nelle grandi squadre. Bologna, Fiorentina, Inter e Torino. Qui il vice di Nereo Rocco era Enzo Bearzot, quello che, poi, per me fu quasi un padre. Era quasi fatta col Toro, ma Rocco disse che ero magro. Mi giocai l’ultima carta a Forlì, al provino della Juve. In 20 minuti segnai un paio di gol. Ero a Lecce quando arrivò il telegramma. Preso. Ripartii daccapo: sveglia alle 7, messa, scuola, educazione, regole, comportamento, rispetto verso gli altri e verso i tifosi. Ho imparato tutto. Mi mandarono in prestito alla Reggina e al Palermo, per la prima volta in A. E da lì mi ripresero». ► Piaceva all’avvocato Gianni Agnelli. «Perché ero estroso, fantasioso. La mattina mi chiamava: «Causio, dormiva? L’ho svegliata?». Veniva a pranzo a Villar Perosa. Accanto a lui ho visto persone davvero molto importanti a livello internazionale. Un grande che non ti metteva mai in difficoltà». ► Con una grande guida calcistica, Giampiero Boniperti. «Era lui il vero capitano. Noi eravamo tutti al servizio della squadra e di un solo capo: lui». ► Amici veri: da Dino Zoff all’indimenticato Gaetano Scirea. «Dire amici è poco. Non c’era gelosia, eravamo tutti uniti. E in Nazionale eravamo noi, tanti della Juve. Dopo più di 40 anni abbiamo ancora la chat. Quel mondiale del 1982 ha unito un’Italia che era in crisi di governo con Spadolini. Con il presidente Sandro Pertini collante di tutto». ► E chi la dimentica la partita a scopone, con Zoff, Bearzot e appunto Pertini. Ha fatto il giro del mondo. Non ne potrà più pure lei... «Macché. E’ un ricordo fantastico. Vincemmo pure lì. Io, con Bearzot, contro Zoff e Pertini. Quello resta il Mondiale per eccellenza per tanti italiani. Io, oltre alla partita in aereo, ho il ricordo di quando Bearzot mi mandò in campo a due minuti dalla fine in finale. La cosa più bella. Mi ha fatto tornare in Nazionale. Mi incitò quando scelsi l’Udinese nel 1981». ► Perché alla Juve dopo 11 anni non c’era più posto. E con Giovanni Trapattoni non fu un idillio. «Preferì Fanna e Marocchino. A 30 anni per lui ero anziano. Non sarei mai andato via dalla Juve. Accettai Udine; a Tarvisio in ritiro tiravo io il gruppo. Feci tre anni straordinari, riprendendomi l’azzurro. Giocando con Zico, stupendo». ► Ha duellato con le stelle Platini e Maradona e vissuto Zico e Rummenigge. Chi il più grande? «Diego, scontato, vinceva le partite da solo. Gli altri erano fuoriclasse, ma lui era unico». ► C’è stato pure un anno all’Inter. «Mi vollero e io da bambino amavo Jair, il brasiliano. Mi chiamavano così a Lecce. Ho coronato un sogno. La Juve mi rivoleva, ma c’era ancora quel tecnico che non aveva avuto fiducia in me». ► Le elenco un po’ di definizioni su di lei, oltre a Barone e Brazil: machiavellico, geniale, estroso, ammaliante, elegante, vincente. Quale preferisce? «Vincere è l’unica cosa che conta. Come ho scritto nel mio libro. Barone mi piace, comunque, anche se a Lecce sono un po’ tutti baroni. Amavo vestire bene, elegante, mi è sempre piaciuto». ► Perché si è fermato a Udine? «Dopo il ritorno a Lecce nell’86 pensavo di aver smesso. Un giorno andai a trovare Gianpiero Marchetti ed Enzo Ferrari. Mi convinsero ad accettare la Triestina, giocai lì. Poi ho fatto il dirigente e il commentatore tv. la cosa che più mi piaceva. Un gran rapporto con Massimo Corcione a Sky. Così sono rimasto in Friuli, città che era serena. Ora Andreja ha un po’ di saudade. Vado e vengo dal Brasile che era nel mio destino. Quando conobbi mia moglie a Rio, dove andai 35 anni fa per una partita, rimasi 4 mesi prima di rientrare. A 70 anni ho finito di lavorare. Ma se mi chiamano per parlare alle persone vado ancora con gran piacere».
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Qual è il colmo per Bonolis? https://www.fanpage.it/sport/calcio/davide-bonolis-diventa-a-sorpresa-un-calciatore-della-juventus-creators-lhai-gia-detto-a-papa/
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l'Inter riuscirà a guadagnare punti anche dopo un pareggio di M***A
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andrea ha risposto al topic di Homer_Simpson in Stagione 2024/2025
«Nella mia Juve ci stava solo Yildiz Roma, super Svilar» Il doppio ex Don Fabio “gioca” la sfida dell’Olimpico: «Domani allenerei più i bianconeri, occhio a Vlahovic» Cassano top, ma lunatico. Mi imitava benissimo, ma mi fece infuriare per le patatine Una pizza me la gioco sulla Juve in Champions di Filippo Cornacchia TORINO 5 apr 2025 Ranieri è come De Chirico, un grande pittore sottovalutato Tudor giocatore particolare, non lo immaginavo allenatore Alla Roma anche grazie a Gaucci. Sensi mi portò a cena in Vaticano «Ranieri è come De Chirico, un grande pittore un po’ sottovalutato. Mentre la scelta di Tudor ricorda la rinascita del figurativo nell’arte contemporanea, che nel caso della Juventus è il richiamo al dna del club». Quando non guarda una partita, è facile trovarlo in giro per mostre. Fabio Capello ama l’arte almeno quanto il calcio e in carriera ha fatto collezione di trofei, quadri e campioni tra Milan, Juventus, Roma, Real Madrid... ► Se domani le offrissero per 90’ una delle due panchine dell’Olimpico, sceglierebbe quella della Roma o della Juventus? «In questo momento mi intrigherebbe maggiormente la Juventus, a me piacciono le sfide. Ranieri ha già vinto la sua, la Roma è in viaggio. Tudor, invece, è in fase di ripartenza». ► Lei è passato dalla Roma alla Juventus prima da giocatore e poi da allenatore. Se ci ripensa? «Mi viene in mente come arrivai alla panchina giallorossa. Un giorno incontro Gaucci, all’epoca presidente del Perugia: “Fabio, perché non vai ad allenare la Roma?” Gli dico che non ho il numero di Sensi e me lo dà subito lui. Poi con Sensi ci siamo trovati su tutto. Al di là dello scudetto, a Sensi sarò sempre grato per quando portò me e mia moglie a cena in Vaticano. Però…». ► Però… «Mi spiace non averlo salutato quando ho lasciato la Roma per andare ad allenare la Juventus. È successo tutto velocemente: non mi sentivo più felice in giallorosso e quando i bianconeri mi hanno chiamato ci siamo accordati da un giorno all’altro». ► La sfida tra Roma e Juventus che ricorda meglio? «Il 2-2 a Torino del maggio 2001, quello decisivo per la vittoria dello scudetto. Ricordo certe sensazioni di campo come avessimo giocato ieri: Totti era un po’ stanco e lo cambiai con Nakata. E poco prima avevo sostituito Delvecchio con Montella. Rischiai e andò bene: dal 2-0 per la Juve al 2-2 grazie ai gol del giapponese e di Vincenzo». ► Tudor o Ranieri: chi si qualifica per la Champions? «Una pizza la giocherei sulla Juve perché ho la sensazione che i bianconeri non abbiano ancora mostrato tutte le risorse. Thiago Motta chiedeva di eseguire il compitino e l’impressione è che la squadra alla fine sia andata in confusione. Ma resto convinto che Koopmeiners non possa essere la controfigura del bel giocatore ammirato nell’Atalanta di Gasperini». ► Perché Ranieri è speciale? «Perché non si inventa nulla, cerca le cose semplici e logiche: motiva e mette in campo i migliori nei ruoli adatti per esaltarne le caratteristiche. E dà fiducia anche ai giocatori fischiati dal pubblico». ► Tudor è stato un suo difensore alla Juventus: se lo sarebbe immaginato in panchina? «No. Igor mi ha stupito e sono contento per lui. Da giocatore forse non l’ho capito abbastanza, c’è da dire che in quel ruolo avevo Thuram e Cannavaro». ► Legrottaglie ha raccontato: “Se a Tudor venivano i 5 minuti in allenamento, si toglieva la casacca e tornava negli spogliatoi da solo”. «Era un ragazzo attento, professionale e anche un po’ particolare. Ma con me non si è mai permesso di lasciare il campo. Gli sarebbe costato troppo, anche a livello economico… (risata). Non sono molti quelli che mi hanno mancato di rispetto». ► È stato Cassano il più duro da gestire? «Antonio era un talento fantastico e avrebbe potuto giocare in tutte le migliori squadre del mondo, anche nella Juventus. Era solo un po’ lunatico e in certe giornate… Cassano mi imitava benissimo, era anche divertente. Quando mi ha fatto infuriare alla Roma non era quello il motivo». ► Cioè? «Aveva ordinato le patatine fritte a tavola. Una ragazzata, ma io ero intransigente su queste cose». ► Della Roma di Ranieri chi avrebbe trovato spazio nella squadra dello scudetto 2001? «Dybala e Svilar, gran portiere». ► E della squadra di Tudor nella sua Juventus 2004-06? «In campo, nessuno. In squadra soltanto Yildiz, che ha qualcosa di diverso. È un Kandinsky: chi ha questi quadri se li tiene stretti perché il loro valore cresce sempre. Fossi nella Juventus, farei lo stesso». ► Tra Roma e Juve c’è un mediano che le ricorda il “Puma” Emerson, suo pretoriano in giallorosso, bianconero e anche al Real Madrid? «L’unico che mi ricorda Emerson è… Ederson dell’Atalanta. Il Puma era favoloso: a Roma si ruppe i legamenti in allenamento e dopo 5 mesi era già in campo». ► Dovbyk (16 gol) o Vlahovic (14) come nove per una sua squadra? «Perché dovrei prendere uno dei due? Ma fossi nella Roma, farei attenzione a Vlahovic domani: il serbo può essere l’uomo decisivo. Lui o Koopmeiners, che prima o poi deve tornare quello vero. Tra i giallorossi punto su Svilar». ► Tudor lo vede come traghettatore o anche come allenatore per la Juventus del futuro? «Impossibile dirlo ora, peseranno i risultati». ► Fosse in Ranieri quale tecnico sceglierebbe per il post… Ranieri? «Un allenatore esperto che sappia anche ascoltare Ranieri e da questo punto di vista Pioli potrebbe essere un’ottima scelta. Stefano ha vinto lo scudetto con il Milan».- 866 risposte
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Di Sebastiano Vernazza · 1 apr 2025 Anno 1991, un calciatore sul palcoscenico del «Maurizio Costanzo Show» di Canale 5. Si chiama Massimo Brambati, è un difensore massiccio, gioca nel Bari in Serie A. Dice verità sgradite ai colleghi: «I calciatori pensano soltanto alle macchine e alle donne». Fa le imitazioni di tanti personaggi del suo mondo. Duetta con la Sora Lella, all’anagrafe Elena Fabrizi, “maschera” della romanità e sorella dell’attore Aldo Fabrizi. Gli ascolti volano. Costanzo è entusiasta delle battute e dei pensieri di Brambati, il calcio un po’ meno. ▶Brambati, nell’estate del 1991 lei stava per passare alla Samp campione d’Italia. Avrebbe giocato in Coppa dei Campioni. «Mi voleva Gianluca Vialli, ci conoscevamo dai tempi della Nazionale Militare. Anni fa, Luca Pellegrini, che della Samp scudetto era il capitano, mi raccontò che Roberto Mancini chiese a Vialli: “Scusa Luca, tu, con Brambati, vuoi prendere un calciatore o un comico?”. L’affare saltò». ▶▶Rimpiange di essere andato al "Maurizio Costanzo Show"? «Assolutamente no. Forse mi pento di non aver seguito un consiglio di Maurizio: mi disse che in tv funzionavo e che avrei dovuto lasciare il calcio per lo schermo, ma avevo 25-26 anni e volevo giocare. A Costanzo sarò grato per sempre, mi ha insegnato a stare in tv, cosa che mi è servita per le varie trasmissioni a cui ho partecipato, tra reti nazionali e private. Quando è morto, ho mandato un messaggio a sua moglie, Maria De Filippi, e la risposta di Maria ancora mi commuove». ▶Brambati, milanese di Affori, nato da ottima famiglia, bambino interista. «E bibitaro a San Siro, da ragazzino. Vendevo bottigliette e lattine alle partite di Milan e Inter. Sul campo mi ispiravo a Claudio Gentile. Che vidi dal vivo nelle ultime quattro partite del Mondiale di Spagna ‘82. Mio padre mi regalò il viaggio e i biglietti nel quadro di un gruppo organizzato». ▶Nel 1984, il 18enne Brambati passa al Torino. «Di recente a Torino sono andato a rivedere il pensionato in cui vivevo. Il debutto in Serie A nel 1986, Torino-Milan 2-0, Gigi Radice che mi fa entrare al posto del grande Junior. Una volta, in allenamento, provavamo i cambi di gioco da una fascia all’altra e venni abbinato a Junior. Lui da 40-50 metri mi serviva la palla sui piedi. Io no, gliela lanciavo sbilenca, a metri di distanza. Così prese un fazzoletto e lo sventolò: “Ehi, Briegel, io sto aqui!”. Radice - di cui facevo l’imitazione in spogliatoio, e lui si divertiva - mi chiamava Briegel perché diceva che gli ricordavo il tedesco del Verona. Il Toro mi è rimasto dentro e ai tifosi dico che il presidente Cairo ha salvato la società e la tiene in Serie A a buoni livelli. Il calcio è complicato e Cairo è un imprenditore di successo. Non so in quale serie giocherebbe il Toro, senza Cairo». ▶Maradona, Platini, Baggio, Rummenigge, Van Basten, Gullit... In quegli anni, tra Toro, Empoli e Bari, lei ha marcato una batteria di fenomeni. «Tutti grandissimi, ma Maradona apparteneva a un’altra galassia. Quanto l’ho menato. Vi racconto questa. Partita d’addio di Ciro Ferrara, a Napoli. Faccio parte dell’organizzazione e sono nel tunnel dello stadio quando arriva Diego, circondato da un gruppo di persone. Mi vede, si fa largo, mi abbraccia e io, senza volerlo, per l’emozione gli pesto un piede. Lui: “C .... , Massimo, mi picchi anche qui?”. Era un calcio più umano. Altro aneddoto. Milan-Bari: sul pullman verso San Siro mi prende una voglia di hot dog con i crauti. Arriviamo, scendo, sgattaiolo verso l’uscita e vado a comprare e a mangiare il panino tra i tifosi, dal primo ambulante che trovo. Impensabile, oggi». ▶ Anno 1996, muore il suo grande amico e compagno Enrico Cucchi e lei racconta che al funerale tanti giocatori parlavano di rigori e di mercato. «Più che altro mi sembrava che fossero lì perché dovevano. Il dramma di Enrico l’ho vissuto da vicino. eravamo stati compagni di camera sia all’Empoli sia al Bari. Aveva un neo su una gamba e un giorno, per un infortunio, lo mandarono a fare degli ultrasuoni proprio su quella parte lì. Il neo crebbe, si trasformò, diventò un tumore terribile. E ricordo la tragedia di Massimiliano Catena (scomparso in un incidente stradale vicino a Cosenza nel 1992, ndr). Eravamo giovani e calciatori, ci sentivamo invincibili, eppure si moriva. Cucchi, un centrocampista forte, mi raccontava che nell’Inter aveva segnato un gol con le scarpe da sformare che gli aveva dato Rummenigge, uno dei miei idoli da interista». ▶ Il caso Cucchi ci rimanda all’abuso di farmaci. «Ci davano le pasticche di Micoren come se fossero state caramelle: per migliorare la respirazione, dicevano. In un club, un’altra pastiglia: per aumentare i riflessi, spiegavano». ▶Parliamo d’altro. Brambati il seduttore. Ha avuto donne bellissime. Per esempio, è stato sposato con la modella e attrice romena Catrinel Menghia. «Fermi. Le donne non sono trofei da esibire, ma compagne di vita. Ora sono fidanzatissimo con Corinna Dentoni, tennista professionista, è stata numero 130 al mondo. Ogni tanto accetta di giocare con me e mi batte quasi sempre 6-0, 6-0. A volte vinco un game, perché anch’io, fino a 16 anni, ho fatto tennis agonistico e qualcosa mi è rimasto». ▶Lei ha avuto una figlia da Paola Cardinale, attuale compagna del cantante Biagio Antonacci. «Sì, però amo Corinna e spero, anzi prego che sia l’ultima donna della mia vita. La amo proprio». ▶Che cosa fa oggi nella vita? «Sono un procuratore e collaboro con Alessandro Moggi, ma la mia vera attività è la gestione del patrimonio che mi ha lasciato mio padre Giancarlo, proprietario di un’azienda che faceva cancelleria per le grandi aziende. In questi giorni sono a Miami, a curare i miei interessi negli Stati Uniti».
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tabella marcia cl Confronto col 2023/2024 e tabella di marcia per la qualificazione in CL
andrea ha risposto al topic di Platini © in Juventus Forum
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«Le scarpe rotte alla Juve e le scorribande notturne Boniperti per seguirmi assoldò un maresciallo» L’ex bianconero: «Prestai la camera a un compagno che era con una donna e nel frigo non trovò lo champagne, ma le scarpette. Se qualcosa non mi quadra, mi gratto il cuore» di Furio Zara · 2 apr 2025 L’andatura dinoccolata, l’aria svagata. Irregolare per naturale attitudine, disobbediente alle leggi del branco. Domenico Marocchino ha vissuto i suoi anni da calciatore in esilio volontario sulla fascia destra, nella penombra indulgente dove hanno diritto di cittadinanza i poeti della viandanza. Lì inventava ricami di dribbling, fughe da fermo, tracce celesti per i compagni. Giocava con la posa del bambino che per strada scalcia un sassolino, perso nei suoi pensieri leggeri. Il talento non gli mancava, ma si concedeva il lusso più grande, quello di sprecarlo. Oggi è un vecchio ragazzo che va per i 68 anni e che - nell’allegro crepitio della voce che si ferma sempre un tempo prima della risata, nella prospettiva sbilenca e bellissima con cui osserva il mondo - custodisce la scintilla antica di quel bambino. «C’è il marito ormai vecchio che fa alla moglie: cara, quando muoio vorrei essere cremato. E lei di rimando: caro, con tutto quello che hai bevuto ti farò imbottigliare (ride). Sono sulle colline del Monferrato, casa mia, sto tornando da una cantina vinicola di amici. Apprezzo il vino di qualità, quasi sempre Barbera. E comunque chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere. L’ha detto Baudelaire, giusto?». ► Giusto. A spanne non ne esiste un altro, di calciatore dell’ultimo secolo, che citi Baudelaire. E che abbia letto tutto Georges Simenon. «Mi piacciono i libri gialli perché sono come il calcio: hanno un inizio e una fine». ► Partiamo dall’inizio, da quando lei scoprì un uso anomalo del frigorifero. «Ci mettevo dentro le scarpe da calcio. Una sera presto la camera a un compagno di squadra, aveva compagnia. A una certa ora apre il frigo, sperando di trovarci champagne. E invece c’erano le scarpe. Bucate, tra l’altro». ► Bucate? «All’altezza dell’alluce. Alla Juve ho giocato cinque mesi con le scarpe rotte, in certi vecchi filmati si vede il calzettone che sbuca fuori. Ero pigro...». ► Quella volta del pullman della Juve sotto casa sua. «Avevo fatto tardi, stavo dormendo. Ma ai dirigenti avevo dato un indirizzo sbagliato, a qualche decina di metri da dove abitavo. Infatti non mi trovarono, li raggiunsi dopo». ► Boniperti per controllare le sue uscite notturne assoldò un maresciallo in pensione. «Tanti anni dopo la figlia di quel maresciallo mi disse: mio padre passava più tempo a seguire lei che a giocare con noi figlie». ► Lei ha giocato una sola partita in Nazionale: 5 dicembre 1981, Italia-Lussemburgo 1-0 a Napoli. «Collovati segnò su corner battuto da me. Sono alto, eppure di testa non la prendevo mai. Da ragazzo mi ero beccato 6 punti di sutura dopo uno scontro. Così pensai che dovevo inventarmi una specialità: battere i corner, per esempio... Nella mia carriera a penalizzarmi è stata la distrazione. Mi distraevo per ogni cosa. Normale per uno che fino ai 17 anni è stato in collegio, avevo un debito di ossigeno nei confronti della vita». ► E quando rientrava all’alba che succedeva? «L’allenatore della Cremonese Settembrino ci mandò in ritiro. Figurarsi, esco, torno alle quattro di mattina e lo trovo steso sul mio letto. Per poco non mi prende un colpo. A proposito: si era rotta la rete che tiene il materasso e avevo sotto il letto delle casse di acqua. Ho dormito così per un anno». ► Cosa le piace del calcio di oggi? «Gli incompleti. Penso a Yildiz, che è come un folletto che esce dal bosco, alza sempre un po’ di vento e scompiglia l’ordine della partita. E poi mi piacciono i gesti tecnici: il gol di Orsolini a Venezia, una meraviglia. Oggi la tecnica non si insegna più». ► Chi vince lo scudetto? «Per me l’Inter, perché è una squadra “volpina”, scaltra e di qualità. E ha anche un grandissimo giocatore sottovalutato: Mkhitaryan». ► Come definirebbe il Marocchino calciatore? «Un giorno un amico di mio padre gli disse: “Ugo, il Domenico gioca bene a pallone, né?” E mio padre: “E il secondo tempo?”... Aveva capito tutto di me». ► Come è stato il secondo tempo della sua vita dopo il calcio? «Mi sono spesso sentito come una barchetta in un lago, che gira ma non approda mai da nessuna parte. Oggi mi emozionano i piccoli gesti. Ogni tanto entro in chiesa e penso alle persone a cui ho voluto bene. Mi capita di andare a trovare il mio amico Gaetano Scirea, sepolto nel cimitero di Morsasco. Sto lì, ricordo, immagino, ci facciamo compagnia». ► Una persona per lei speciale nel calcio? «Ugo Locatelli, campione del mondo con l’Italia nel 1938. Ai tempi delle giovanili della Juventus mi regalò una pallina da tennis annodata a un filo e mi disse: legatela al dito della mano, tienila lì tutto il giorno, così ci palleggi e affini la tecnica». ► Eraldo Pecci, con lei ai tempi del Bologna, ci ha raccontato che in campo capitava che lei si estraniasse dalla partita. E i compagni lo capivano perché cominciava a grattarsi. È vero? «Sì, verissimo. L’ho sempre fatto, da piccolo e anche oggi. Quando c’è qualcosa che non mi quadra, comincio a grattarmi il cuore». Dice proprio così, Domenico Marocchino: grattare il cuore. Ed è poesia. Perché tutto è bellezza e incanto per i cuori puri, tutto è sospeso in un tempo lieve. Conviene giocarci, con la vita. Un calcetto del piede alla pallina, confidando nel vento amico. Non salva, ma consola.
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andrea ha risposto al topic di Gattorosso in Juventus Forum
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di Andrea Pugliese ROMA · 31 mar 2025 Un insoddisfatto perenne. Perché la sua natura è questa, quella di chi non si sa accontentare ma guarda sempre al prossimo traguardo. Ecco, tra un mese — il 2 maggio - Walter Sabatini compirà 70 anni e sarà un altro passaggio dal via, un altro momento da vivere intensamente con la sua profondità d’animo. ► Sabatini, che regalo si aspetta per i 70 anni? «Nessuno. Regali e auguri mi imbarazzano. Ma una cosa c’è: l’autoperdono, per il senso di colpa che mi tormenta da sempre. Spero di svegliarmi presto con un senso di distacco. Lo devo alla mia famiglia, per la mia vita negli ultimi anni. La mia perenne insoddisfazione nasce dal fatto che so che avrei potuto fare di più e non ho timore di smentita». ► Il suo bilancio però non è ancora definitivo... «Sono ancora motivatissimo a fare questo mestiere. Ma farò come George Clooney, a 70 anni mi dimetterò da un certo mercato, il voler piacere alla gente o alle donne, nella vita ci vuole dignità e decoro. Ma non mi dimetto dal calcio, lì non c’è cura». ► Tra una bella donna e una squadra cosa sceglie? «La squadra. Ma da costruire, non fatta, che possa creare una speranza. Perché il calcio non è di allenatori, ds o calciatori, ma proprietà esclusiva della gente. Il nostro mestiere è regalare felicità alle persone. Il gol di Orsolini a Venezia, per esempio, è gioia, anche per chi non sa nulla di calcio». ► Ma il Bologna ce la fa a tornare in Champions? «Sì, è forte e lo merita. Italiano è bravo, ha cancellato i vizi antichi, non ha più problemi di equilibrio. Poi ci sono i giocatori e la struttura. Hanno una difesa solida e un centrocampo che ti ammazza. Il vero colpo è stato recuperare Freuler, con lui giocano tutti meglio. Lo svizzero è da Juventus o Inter, non so perché l’Atalanta lo abbia lasciato andare». ► La gioia che l’ha fatto sentire più vivo? «Il record delle dieci vittorie consecutive con la Roma mi ha esaltato. Mi sono sentito a mio agio, un regalo alla gente. C’era da poco Rudi, mi “prendevano per il c**o” tutti. Ricordo i messaggi: “Abbiamo preso il sergente Garcia”. Ma ero sicuro che avrebbe fatto bene e ho avuto ragione». ► Quella era una Roma fortissima. «Totti stava bene e faceva la differenza, poi un centrocampo irripetibile: Strootman, De Rossi, Nainggolan, Pjanic e Keita. Che giocatore Seydou: un capo tribù, ti guardava con lo sguardo del capo e nessuno osava contraddirlo. E in campo era cattivo, non sbagliava mai una scelta». ► Quando Nainggolan arrivava al campo sopra le righe? «Lo mandavo a prendere fuori dal recinto, poi doccia e caffè. Avevo un addetto solo per questo, dedicato a lui e Maicon. Quante bugie mi ha detto Radja, a me e a se stesso. Ma è un bravissimo ragazzo, anche se smidollato. Giocatore impareggiabile, i suoi tackle scivolati hanno fatto la scuola del calcio». ► C’erano Alisson e Salah: storia del Liverpool. «Alisson è ancora incazzato con me, non ha mai capito. All’inizio l’ho protetto, doveva migliorare nei posizionamenti e nella lettura delle partite. E poi i portieri brasiliani qui li abbiamo sempre bruciati tutti. Gli preferivo Szczesny per questo e lui non lo accettava. Su Salah vi voglio dire invece una cosa. A volte non ho preso un giocatore perché dopo averci cenato capivo che era un cretino. Con Salah è stato tutto l’opposto. Andai a Londra 3-4 volte, lo incontravo dopo le 19 per il Ramadan, quando poteva bere. E mi sono trovato davanti un uomo vero, pieno di valori, pronto al sacrificio». ► E quando andò a Sarajevo a prendere Dzeko? «È stata dura soprattutto per Martina, che è un suo amico di famiglia. Ci siamo visti a Trieste, in 7-8 ore di macchina l’ho intossicato con le sigarette. Fuma anche Silvano, ma un conto è una sigaretta e un altro morire in una nube tossica. Dzeko è il falso nove per eccellenza: un po’ dieci e un po’ nove». ► Nico Lopez invece lo teneva nascosto in albergo. «Era un ratto al Nacional. Grande giocatore, esordì con un gol su pallonetto al Catania. Ma la personalità in campo si scontrava con l’uomo. Nico aveva un problema, non si spogliava con gli altri. Mai saputo perché, nonostante gli agguati che gli facevo per capire. Psiche indecifrabile, come Radonjic. Un fenomeno vero, ma sconclusionato. A 16 anni già devastato nella testa: beveva, faceva tardi, aveva la camera a Trigoria ma a volte lo hanno trovato a dormire fuori, sulla panchina». ► Perché il suo più grande errore è stato lasciare l’Inter? «Avevo discusso con Zhang, cose che succedono. E invece con le dimissioni mancai di rispetto a un’intera tifoseria. E non si perde una squadra come l’Inter così, non me lo perdonerò mai». ► E il ricordo della sua Lazio? «In Champions con un gruppo di ragazzi presi a condizioni lotitiane, tra prestiti e scadenze. Anche lì centrocampo meraviglioso: Ledesma centrale, Mutarelli e Mudingayi mezzali, Mauri trequartista. Campionato incredibile, con due punte top: Pandev e Rocchi». ► Il giocatore che avrebbe voluto avere con sé? «L’unico vero grande rammarico è Rabiot, tutta colpa di sua madre, Veronique. L’anno prima il Psg mi aveva dato più di 30 milioni per Marquinhos, non potevo portarlo via a zero. Quando lei lo ha saputo è impazzita. Odiava il Psg, ma forse voleva pure i soldi dell’indennizzo, oltre ai 3 milioni di commissione. Ricordo Massara che traduceva, ma si vergognava di riversarle tutti gli insulti che le dicevo». ► Motta ha fallito alla Juve. Se lo spiega? «A Bologna aveva giocatori asserviti al progetto, in un contesto familiare. Appena ha avuto una voce fuori dal coro, è saltato tutto. Un allenatore non deve essere simpatico ai giocatori ma deve saperci comunicare. E non solo con gli ordini».
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Huijsen, clausola da 50 milioni. Alla Juve 3,5 31 mar 2025 La Juve in estate ha ceduto Dean Huijsen al Bournemouth per 15,2 milioni garantendosi una percentuale sulla futura rivendita. Il 19enne difensore ex Next Gen in Inghilterra ha firmato un contratto fino al 2030 con una clausola da 50 milioni. L’esplosione di Dean (23 gare e 2 gol in Premier) ha attirato le attenzioni di Real Madrid e Chelsea. Dal futuro trasferimento del centrale la Juve incasserà circa 3/4 milioni: ossia il 10% sulla plusvalenza.
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Pure la diafisi del perone