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andrea

Tifoso Juventus
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  1. andrea

    Ricky Albertosi

    Fumavo un pacchetto al giorno, Riva di più. di Furio Zara · 8 mag 2025 Disteso nel volo a planare, allungando la sagoma scossa da un colpo di reni, mulinando il braccio come un Don Chisciotte con i guanti, la chioma da Sandokan al vento, la segreta convinzione di arrivare a schiaffeggiare anche stavolta il pallone, interrompendone la traccia e cambiandogli il destino. Ricky Albertosi è stato il portiere come è bello immaginarlo, dove il ruolo prevede istinto, audacia e attitudine a prendersi la scena, come l’acrobata che vola da trapezio a trapezio, nel silenzio dopo un rullo di tamburo che di colpo si fa muto. ▶ Albertosi, verrebbe da dire che lei non si è limitato a venire al mondo. Si è tuffato verso il mondo. «Ero un bambino e con i miei amichetti mi tuffavo da 4-5 metri in un laghetto, a Pontremoli, dove sono nato. Poi andavamo tutti al fiume, ad abbrancare con le mani le trote che si nascondevano sotto i sassi: forse è là che sono diventato un portiere». ▶ Cosa ricorda dei suoi inizi? «Non avevo ancora sedici anni quando giocai in Prima Categoria, con il Pontremoli. Il portiere titolare, tale Gregoratto, poche ore prima si era imbarcato come marinaio. Ricordo che faceva un freddo cane, presi quattro gol». ▶ A diciannove anni il debutto in Serie A con la Fiorentina. «Ero il vice di Giuliano Sarti, da lui ho imparato a giocare al limite dell’area, a fare il “libero” aggiunto. Con la Fiorentina credo d’aver disputato la partita della vita, a Glasgow, contro i Rangers, finale di andata della Coppa delle Coppe che poi vincemmo. Clima infernale, 2-0 per noi, parai tutto». ▶ Nel 1970 lo scudetto a Cagliari. «Abbiamo fatto la storia, svelato un’altra Sardegna, restituito identità e dignità ad una terra che l’Italia aveva dimenticato. Una squadra di amici veri, con Beppe Tomasini siamo fratelli, ci sentiamo ancora. Quell’anno ho subito solo 11 reti - tra cui due autogol e un rigore - in 30 partite. Se l’anno dopo Gigi Riva non si fosse infortunato in Nazionale, avremmo vinto di nuovo». ▶ Lei indossava una maglia rossa. «Ebbi l’idea guardando un portiere inglese. In allenamento Riva mi confermò che il rosso disturbava l’attaccante, diceva che sembravo più grande e lo inducevo a sbagliare». ▶ Chi fumava di più lei o Riva? «Io un pacchetto di Marlboro al giorno, ma Gigi pure di più. Scopigno lasciava fare: in campo davamo il massimo, non c’era nulla da rimproverare». ▶ Quella del 1970 è l’estate di ItaliaGermania 4-3. «Cal­cio d’angolo, See­ler col­pi­sce di testa, Gerd Müller la cor­regge in rete. Sul palo c’è Rivera, fa una tor­sione strana e non la prende: 3-3. Gliene dissi di tutti i colori. Lo insul­tavo, lui sbat­teva la testa sul palo. Poi mi fece: “Ora vado a fare gol” (ride). Fu di parola». ▶ Quattro anni prima, al Mondiale inglese del 1966, l’onta della Corea. «Durante riscal­da­mento li vediamo entrare in campo, ognuno ha un pal­lone in mano. Lo lan­ciano per aria, poi fanno la rove­sciata. Pen­siamo: “Sono matti”. La verità è che Perani nei primi 20 minuti sprecò tre occa­sioni da rete. Mi fece gol quel den­ti­sta, che den­ti­sta non era: Pak Doo-Ik. Ci sono par­tite segnate da un destino con­tra­rio: quella lo fu». ▶ Nel 1979, scudetto della Stella con il Milan. «Grande sod­di­sfa­zione, avevo già qua­rant’anni, gio­cavo con la casacca gialla. Non c’erano cam­pioni, ma era­vamo tosti. Lie­d­holm in alle­na­mento mi bom­bar­dava con i suoi tiri. Diceva: “La metto là”. E indi­cava l’incro­cio dei pali. E il pal­lone finiva ine­vi­ta­bil­mente là. Il Barone aveva quasi 60 anni, ma non sba­gliava un tiro». ▶ Subito dopo la squalifica per il calcioscommesse. Lei si è sempre dichiarato innocente. Cosa le ha tolto quel periodo buio? «La pos­si­bi­lità di andare a gio­care in Ame­rica, era già tutto fatto, il Milan mi avrebbe ceduto il car­tel­lino. Poi l’Ame­rica è venuta da me: i Glo­be­trot­ters, la squa­dra di basket che girava il mondo, mi chiese di fare uno spet­ta­colo all’inter­vallo delle loro par­tite. Mi met­tevo in porta e gli spet­ta­tori pro­va­vano a fare gol. Mi sono diver­tito un sacco». ▶ Il suo dualismo con Dino Zoff ha fatto epoca. Cosa aveva lei in più e in meno del suo collega? «Pos­siamo dirlo? Siamo stati due gran­dis­simi por­tieri. Io più agile, Dino più com­patto. Lui aveva gambe grosse, strut­tu­rate, solide; io solo muscoli. Zoff è un monu­mento del cal­cio ita­liano». ▶ Com’è la sua vita oggi? «Bella e tran­quilla, sono for­tu­nato. Nel 2004 ho rischiato di morire di infarto. Ero all’ippo­dromo di Mon­te­ca­tini, avevo appena fatto una corsa. Stavo riguar­dando al moni­tor la gara, sono crol­lato a terra. Sono stati bravi con i primi soc­corsi, mi hanno sal­vato la vita. I cavalli sono stati a lungo la mia pas­sione, da allora non più. Vivo a Forte dei Marmi con mia moglie Betty, stiamo insieme da 50 anni. Ho 4 favo­losi nipoti: Edoardo e Sofia stu­diano all’uni­ver­sità, poi ci sono i pic­coli Emma, che gioca a ten­nis, e Tom­maso: lui impaz­zi­sce per il cal­cio, ma non vuole che vada a vederlo, mi tocca nascon­dermi». ▶ Chi le piace tra i portieri italiani? «Car­ne­sec­chi, un po’ mi ci rivedo. È spe­ri­co­lato, inco­sciente come si può esserlo da gio­vani. Io mi sono rotto due volte il setto nasale e ho perso quat­tro denti. Farà una grande car­riera». ▶ Un’ultima cosa: ma è vero che lei aveva il vezzo di giocare senza le mutande? «No, in realtà in campo le por­tavo sotto i cal­zon­cini, era nella vita quo­ti­diana che non le met­tevo mai».
  2. https://x.com/TrollFootball/status/1920578566191984813?t=fBsyiyBWhyh3DGHiVzGYbA&s=19
  3. Penso sia doverosa una riflessione. Da sportivi non si può far finta che non si sia scritta una pagina epica nel grande libro della storia del calcio. Al di là delle appartenenze e delle fedi calcistiche, davanti a certe imprese sportive, bisogna solo alzarsi in piedi ed applaudire. E riconoscere il merito e la caparbietà oltre i colori. Inzaghi e tutti i suoi nerazzurri hanno dimostrato cosa vuol dire vincere sapendo soffrire. Anche sovvertendo i pronostici e zittendo i “gufi”. Complimenti sinceri al Pisa per il meritato ritorno in serie A!
  4. andrea

    Gigi De Agostini

    Nel ’90 il Mondiale e la Coppa Uefa con la Juventus Di Furio Zara · 6 mag 2025 Nel silen­zio di quel bosco - “Tal cidin dal bosc” come dicono in Friuli - che chia­miamo vita, Gigi De Ago­stini è un cuore puro che ascolta il rumore di sé, con­sa­pe­vole che è nell’impa­sto di bel­lezza e dolore, di ricordi che bril­lano e altri che feri­scono, di parole dette e altre taciute che tro­viamo un senso al nostro stare qui, ora. «Non l’ho ancora detto pub­bli­ca­mente a nes­suno, ma è arri­vato il momento. Cin­que anni fa sono stato ope­rato, tumore allo sto­maco. Ora sto meglio, sono qui, ogni sei mesi fac­cio i con­trolli, ma sono vivo, ed è l’unica cosa che conta. Lo sape­vano i miei fami­liari e un paio di ex col­le­ghi, amici fra­terni come Tri­cella e Vialli. Con Luca ne par­lavo spesso, sta­vamo facendo le stesse cure, ci davamo forza a vicenda. Mi manca Luca, era una bel­lis­sima per­sona». ▶De Ago­stini, par­tiamo dall’ini­zio. «Sono nato a Udine, cre­sciuto a Tri­ce­simo, figlio di Luciana e Clau­dio, un for­naio che di notte impa­stava il pane e di giorno lavo­rava come con­ta­dino nei campi. Ho pas­sato l’infan­zia gio­cando a pal­lone in un cor­tile, con i miei fra­telli, Sil­vio e Andrea e mio cugino Ste­fano, cal­cia­tore pure lui, ha gio­cato anche in Serie A. Siamo una fami­glia di cal­cia­tori. Mio zio, Giu­liano For­tu­nato, era nel Milan negli Anni 60; anche mio figlio Michele ha gio­cato in Serie C più di tre­cento par­tite. Da ragazzo mi chia­ma­vano “Gigi Milan”. Avevo le vene rosse e le arte­rie nere, l’idolo era Rivera». ▶Ha debuttato in serie A a 19 anni Il Toro di domani Di Furio Zara · 6 mag 2025 In ascesa Ali Dembélé, 21 anni, festeggia il gol del 2-0 contro l’udinese. Alle sue spalle Sergiu Perciun, 19 el silen­zio di quel bosco - “Tal cidin dal bosc” come dicono in Friuli - che chia­miamo vita, Gigi De Ago­stini è un cuore puro che ascolta il rumore di sé, con­sa­pe­vole che è nell’impa­sto di bel­lezza e dolore, di ricordi che bril­lano e altri che feri­scono, di parole dette e altre taciute che tro­viamo un senso al nostro stare qui, ora. «Non l’ho ancora detto pub­bli­ca­mente a nes­suno, ma è arri­vato il momento. Cin­que anni fa sono stato ope­rato, tumore allo sto­maco. Ora sto meglio, sono qui, ogni sei mesi fac­cio i con­trolli, ma sono vivo, ed è l’unica cosa che conta. Lo sape­vano i miei fami­liari e un paio di ex col­le­ghi, amici fra­terni come Tri­cella e Vialli. Con Luca ne par­lavo spesso, sta­vamo facendo le stesse cure, ci davamo forza a vicenda. Mi manca Luca, era una bel­lis­sima per­sona». Ha debuttato in serie A a 19 anni ancora da compiere «Al Friuli, con­tro il Napoli il 23 marzo 1980, la dome­nica delle volanti negli stadi, quando scoppiò il cal­cio­scom­messe. Venivo dalla Pri­ma­vera, uno squa­drone. Gero­lin, Borin, Miano, Pra­della, Cinello, Papais, Trom­betta, tutta gente che poi ha fatto car­riera. Gio­cavo con il numero 10 sulla schiena, fu Enzo Fer­rari anni dopo a spo­starmi ter­zino. Mi disse: Gigi, da ter­zino arri­ve­rai in Nazio­nale. Mi misi a ridere». C'è arrivato «Nel 1987, dopo l’anno a Verona. Con Vicini in azzurro ho fatto l’Euro­peo del 1988 e il Mon­diale del 1990, quello delle Notti Magi­che. Quella è stata l’ita­lia più bella degli ultimi decenni, la più spet­ta­co­lare». ▶Quando arrivò alla Juventus le diedero la maglia numero 10 che era stata di Platini. Per ruolo sarebbe toccata a Magrin, ma Marchesi non volle gravarlo di responsabilità e la diede a me, che facevo il mediano. Del resto ho il record di aver gio­cato con tutte le maglie, dal 2 all’11, mi manca solo quella del por­tiere. Boni­perti mi disse: “Gigi, te la senti?”. Io risposi: “A Udine ho indos­sato la 10 di Zico, posso farlo anche con Pla­tini”. Scher­zavo, eh, sia chiaro…». ▶Che compagno di squadra è stato Zico? «Un fuo­ri­classe asso­luto, un uomo retto, leale, puro. Lui, Zoff, Sci­rea per me sono stati esempi di vita. In alle­na­mento Zico pro­vava le puni­zioni. Dopo una set­ti­mana ci fa: “Ragazzi, io di solito fac­cio gol, qua prendo sem­pre la tra­versa”. I diri­genti con­trol­lano e sco­prono che la tra­versa era più bassa di qual­che cen­ti­me­tro. A Cata­nia, in cam­pio­nato, accadde una cosa incre­di­bile. Finale di par­tita, vin­ce­vamo noi, puni­zione dal limite e i tifosi cata­nesi comin­ciano a invo­care il nome di Zico. Tiro, gol. Il por­tiere Sor­ren­tino, rivolto alla curva alzò le brac­cia e disse: che ci posso fare?». ▶Come compagni di squadra tanti campioni, Zico, Baggio, Elkjaer, e qualche meteora, come Rush. «Bag­gio è della stessa pasta, tec­nica e umana, di Zico: un feno­meno. Ricordo che Elk­jaer fumava siga­rette fino a un attimo prima di entrare in campo. Gli dicevo: “Pre­ben, ma ti pare?”. E lui: “Gigi tu gio­chi in squa­dra con Elk­jaer, tu non puoi aver paura”. Rush ogni due giorni andava a sbat­tere con la mac­china con­tro gli auto­bus. Tra i viali e i con­tro­viali di Torino, abi­tuato alla guida a sini­stra, non ci capiva nulla. È stato un grande bom­ber, ma non si è mai ambien­tato». ▶Sul suo profilo WhatsApp c’è la sua foto con i nipoti accompagnata dalla scritta “pentanonno”... «Ho cin­que nipoti, (ride) è un lavoro. Con mia moglie Odilla e i miei figli Michele e Sofia abbiamo creato la De Ago­stini Aca­demy a Savor­gnano del Torre, in pro­vin­cia di Udine. Ci sono 130 bam­bini iscritti, fac­ciamo cal­cio, yoga, danza. Den­tro c’è l’Oste­ria del Ter­zino, un omag­gio al sot­to­scritto. Sofia si occupa del run­ning. Quando aveva dieci anni è stata inve­stita da una mac­china. Una tra­ge­dia vera. La rie­du­ca­zione è stata lenta e fati­cosa, ma gra­zie a Dio si è ripresa. A mag­gio cor­rerà la sua qua­ran­tu­ne­sima mara­tona. Io alleno i bam­bini, cerco di tra­smet­tere loro quello che mi hanno inse­gnato i miei mae­stri. Gia­co­mini, Fer­rari, Bagnoli, Zoff, Vicini. I valori impre­scin­di­bili sono il com­por­ta­mento e la qua­lità del gioco». ▶De Agostini, che qualità si riconosce? «La tena­cia. Una volta in Nazio­nale mi infor­tu­nai alla cavi­glia, Boni­perti mi tele­fonò: “Guarda che dome­nica devi strin­gere i denti, se no che friu­lano sei?”. Ogni volta che la vita si mette di mezzo ci ripenso. Ho avuto il tumore, ho pro­blemi al cuore, sono bra­di­car­dico e di recente mi hanno messo un pace­ma­ker. Ma guardo avanti con spe­ranza e fer­mezza, se no che friu­lano sarei?».
  5. andrea

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    Quote Sisal Paris Saint-Germain 1.67 Inter 2.25
  6. Che roba è questa? https://x.com/Somhiseremfcb/status/1920117958476464317?t=7v2Abxa6l2aVbFw-2wNx2g&s=19
  7. andrea

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    Attenzione che l'Inter può trovarli in finale 🤦
  8. andrea

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    https://x.com/KrankFessie/status/1919872080322990288?t=yjszczadS_VwMO_FBD0M_A&s=19
  9. https://www.dagospia.com/cronache/l-improponibile-look-john-elkann-lavinia-borromeo-red-carpet-met-gala-dove-433760
  10. andrea

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    https://www.dagospia.com/sport/tristissima-scena-dei-tifosi-dell-inter-se-ne-vanno-dopo-gol-raphinha-433720
  11. andrea

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    Nei prossimi giorni troverà una testa di cavallo sull'uscio di casa
  12. andrea

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    Perché ha un mafioso come presidente
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    Mauro Suma è più sobrio
  14. andrea

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    Per qualche fenomeno paranormale quest'anno il c**o del Real è passato all'Inter
  15. andrea

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    Passeranno il turno con o senza porcate dell'arbitro?
  16. https://x.com/IvanBiancoNeroJ/status/1919563536985939988?t=osMn3D3FfKISX7Nnb6ZPWg&s=19
  17. Di G.B. Olivero · 3 mag 2025 Ha giocato in tutti i ruoli: «Ma proprio tutti, dal terzino destro al centravanti. Mi sono divertito e sono contento di quello che ho fatto». Dino Baggio ha segnato gol importanti, ha vinto trofei ed è stato sempre fedele a se stesso, anche a costo di pagarne le conseguenze. Poi, quando ha chiuso la carriera, ha messo via non solo le scarpette ma anche il pallone: «Il calcio non mi piace più. Dal 2006 c’è stata una caduta libera. Nei settori giovanili non curano più la tecnica: insegnano la tattica e fanno fare pesi. Vedo poche invenzioni, poca qualità, poca fantasia. E pochi italiani nelle squadre. Di quegli anni mi mancano gli stadi pieni e l’adrenalina: ma solo quello». Dino aveva due passioni: «Il calcio e la Formula 1. Da piccolo ero bravo e dopo la seconda media il Torino mi chiamò per un provino. Quell’anno avevo fatto 60-70 gol ed ero ancora bassino e leggero. Mi hanno preso subito e nel settore giovanile ogni stagione cambiavo ruolo». ▶ La duttilità è una qualità naturale o si allena? «Io ce l’avevo e gli allenatori l’hanno sviluppata. Nasco attaccante, a Tombolo segnavo un paio di gol e poi il tecnico Cesare Crivellaro mi spostava libero, così non passava nessuno. Nella Primavera del Toro Vatta mi fece fare il difensore centrale per completare il percorso. E al debutto in A marcai Riedle, alla terza giornata mi toccò Aldo Serena. Alla Juve una volta ho fatto il centravanti con Del Piero e Robi Baggio alle mie spalle». ▶La Juve la prestò all’Inter per avere Trapattoni. «Così pare anche se a me non l’ha mai detto nessuno. La Juve mi comprò dal Toro, feci la presentazione e partii per le vacanze. Pochi giorni dopo mi chiamò Boniperti per dirmi che sarei andato un anno in prestito all’Inter. E alla presentazione in nerazzurro fui fischiato dai tifosi». ▶Lei era l’uomo dei gol decisivi nelle partite importanti: con la Juve nella finale di Uefa contro il Borussia Dortmund, con il Parma nella finale di Uefa contro la Juve, con l’Italia più volte. Si esaltava nelle sfide in cui non si poteva sbagliare? «Amavo le finali, le gare secche. Cercavo di sfruttare le mie qualità, di inserirmi: mi è sempre piaciuto segnare. E quando contava molto, ancora di più». ▶ Il primo ricordo del Mondiale 1994? «Il caldo tremendo, soffocante. Negli spogliatoi con l’aria condizionata c’erano 18 gradi, uscivi in campo e ne trovavi 40. Ci allenavamo alle 7,30-8 del mattino. Poi negli stadi c’erano i riflettori accesi anche di giorno e gli stadi alti e stretti non facevano passare l’aria. Correvi mezzora ed eri morto: davvero durissima». ▶ Italia più forte nel 1994 o nel 1998? «Forti uguali, due grandi squadre con filosofie diverse ma tanta qualità. Se non avessimo incrociato la Francia nei quarti, avremmo vinto il Mondiale nel 1998. E comunque... sempre i rigori». ▶Era titolare in Nazionale. Perché andò via dalla Juve? «Perché cambiò la dirigenza. Furono Giraudo e Bettega a decidere, prima ancora che arrivasse Moggi. Poi fu lui a venire in America durante il Mondiale per trovare un accordo. Io non volevo andare via, stavo benissimo, ma Moggi mi disse che non poteva fare più nulla. Avevo avuto problemi a un ginocchio e forse alla Juve non si aspettavano che potessi fare quel Mondiale strepitoso. Magari si pentirono. Comunque al Parma ho vissuto sette anni meravigliosi, lì ho ancora tanti amici». ▶Gennaaio 2000, Parma-Juve, rosso per fallo su Zambrotta e squalifica per il famoso gesto dei soldi nei confronti dell’arbitro Farina. Pentito? «No, lo rifarei. Non ce l’avevo con Farina, con cui mi sono chiarito poco prima che morisse. Ce l’avevo con un sistema marcio. E la pagai cara: ero titolare fisso in Nazionale e non fui più chiamato. Mai più. Il presidente federale Nizzola mi disse che era una sospensione temporanea, ma fu definitiva. Zoff era un padre per me, mi faceva giocare anche con una gamba rotta, ma non poté più convocarmi. Avevo fatto arrabbiare qualcuno». ▶ Ma quel fallo era da espulsione? «Oggi sì, all’epoca no...». ▶ Adesso, in compenso, è più difficile prendersi un coltello lanciato dagli spalti. «Paz­ze­sco. A Cra­co­via un tifoso mi lanciò addosso un col­tello a ser­ra­ma­nico aperto. Per for­tuna non mi colpì la lama. Manara, il medico del Parma, mi mise sei punti con la graf­fetta a bordo campo e via a gio­care con la maglia intrisa di san­gue». ▶ Perché con la Lazio finì male? «Per­ché Lotito decise di tagliare lo sti­pen­dio a me e N***o. Con altri com­pa­gni aveva spal­mato, con noi no. E ci faceva alle­nare da soli. Ci prese di mira senza un motivo. Facemmo causa per mob­bing. La cosa che più mi dispiace è non aver mai potuto par­lare diret­ta­mente con Lotito: non l’ho mai visto». ▶ Fecero discutere alcune sue dichiarazioni a proposito delle sostanze che venivano somministrate anni fa. «Ne facevo un discorso di salute, non di doping. Era­vamo con­trol­la­tis­simi, impos­si­bile vio­lare le regole. Sono sicuro che fosse tutto lecito, mi domando solo se inte­gra­tori e anti infiam­ma­tori pos­sano aver lasciato con­se­guenze nel fisico». ▶ Se dovessimo spiegare a un ragazzo di oggi come giocava Dino Baggio, che paragone potremmo fare? «Mi piace Mcto­mi­nay, bra­vis­simo. Ci sono alcuni cen­tro­cam­pi­sti ecce­zio­nali davanti, come Bel­lin­gham. Ma mi chiedo se in fase difen­siva sanno dare lo stesso apporto che davo io. E credo di no».
  18. https://www.ilgiornale.it/news/sport/pisa-promosso-se-penso-che-pap-gir-gullit-e-van-basten-2474284.html
  19. andrea

    EL PENTAPLETE

    Lautaro e Pavard verso una maglia da titolare
  20. Spiaze, e se lo dice lui... https://x.com/zizuuuuu_/status/1919298950818898249?t=fnnBSbPeFMjp8faPS5NGkA&s=19
  21. https://x.com/SuperflyVideo/status/1919288841673883666?t=vT4oWdhVMsNV7UMeCEuEPA&s=19
  22. Questa squadra non ha le palle per affrontare, da sfavorita, trasferte a Bologna e a Roma
  23. https://www.lastampa.it/sport/2025/05/04/news/urbano_cairo_superga_tifosi_toro-15130976/
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