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andrea

Tifoso Juventus
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  1. https://x.com/adelisia74/status/1938664329160859666?t=JRN8pCEc058US872Rt5cmQ&s=19
  2. Quote vincente Manchester City 4.00 Paris Saint Germain 4.50 Real Madrid 6.00 Bayern Monaco 7.50 Chelsea 12.00 Inter 16.00 Flamengo 25.00 Benfica 33.00 Botafogo 33.00 Borussia Dortmund 33.00 Palmeiras 33.00 Juventus 33.00 Al Hilal 66.00 Fluminense 66.00 Monterrey 100.00 Inter Miami 100.00
  3. https://x.com/a_crosta/status/1936847662361223305?t=PgrwyGNnKNSwESBBZe_NnQ&s=19
  4. Consigli per gli acquisti https://x.com/_ScoutistaMT_/status/1938261807040233775?t=Gooa1f9Iuacmr35Fwwl4yg&s=19
  5. L'altro giorno ho sentito Momblano dire che, per Tudor, Luiz è l'ultimo dei centrocampisti
  6. «Cresco ogni giorno Voglio restare qui per vincere tutto Come Del Piero» Il turco si racconta: «Ho studiato Ale, che con me è splendido. Ma ora penso soltanto al mio percorso» di Fabiana Della Valle INVIATA A ORLANDO (STATI UNITI) Essere il simbolo della Juve mi dà fiducia nei miei mezzi e sicurezza Al contratto e ai soldi non penso: sono felice della mia situazione Tudor mi concede più libertà di quella che avevo prima Papà mi ha trasmesso la passione: ascolto i suoi consigli La prima volta che Kenan Yildiz è venuto in America con la Juventus c’era ancora Massimiliano Allegri in panchina e lui era un ragazzino aggregato dalle giovanili, uno dei tanti ma già con i tratti del piccolo genio. Non aveva ancora messo piede in Serie A e guardava tutto con gli occhi affamati del debuttante. In 730 giorni il mondo del giovane Kenan s’è capovolto: ora è lui la star (Yildiz in turco significa stella) della Signora, con la cifra dei campioni sulle spalle, il dieci, e uno degli eroi da copertina del Mondiale per Club, accanto a Leo Messi, Erling Haaland e altri big che fino a poco tempo fa sfidava solo alla PlayStation. Kenan però non si è montato la testa, è rimasto il giovanotto umile di due estati fa, che si presenta all’appuntamento per l’intervista con l’amico fedelissimo Jonas Rouhi e schiva ogni paragone che possa farlo apparire presuntuoso. Less is more, meno è meglio, come suggeriva l’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe, potrebbe essere lo slogan perfetto per Yildiz, uno che fa sembrare semplice anche il gesto tecnico più complesso per la naturalezza con cui riesce a eseguirlo. Kenan è un perfezionista, per questo pur essendo in Italia ormai da tre anni preferisce rispondere in inglese. «Capisco tutto in italiano, ma per parlarlo bene devo concentrarmi troppo e per me diventa stressante». Meglio conservare le energie per il campo, anche se stasera contro il City forse andrà inizialmente in panchina. ▶ Yildiz, che effetto fa essere il simbolo della Juventus? «Mi dà grande sicurezza e fiducia nei miei mezzi. So quello che devo fare, lavoro ogni giorno per aiutare la squadra. Credere in se stessi è importante, aiuta ad affrontare ogni sfida al top». ▶ In America tutti vogliono vedere le magie di Yildiz e Messi: sensazioni? «Non amo i confronti, io voglio solo continuare a fare il massimo in allenamento e in partita, per me e per il bene della squadra». ▶L’ultima è stata una stagione piena di novità: la dieci, il posto fisso, la centralità nella Juventus. Quanto è cambiata la sua vita? «Io sono cambiato molto, da adolescente sto diventando un uomo, crescendo un po’ alla volta. Sono grato per tutto e spero di migliorare ogni giorno». ▶ In che cosa si sente più adulto? «Forse nella mentalità. Quando sei giovane e ti ritrovi a giocare con compagni più grandi ed esperti devi salire sempre di livello. Devi essere bravo a entrare subito in una nuova dimensione, migliorando in ogni cosa perché il calcio è fatto di tanti fattori. E devi cercare di cambiare atteggiamento, crescendo tanto anche fisicamente e prendendoti cura del tuo corpo. Ci sono stati momenti difficili, nel calcio non può andare sempre tutto liscio. Però nel complesso sono contento di come sia andata la stagione e anche di come stia proseguendo in America». ▶Da un dieci all’altro: a vent’anni ha già segnato più dell’idolo Del Piero alla sua età. Si aspettava di andare così forte? «Non guardo i numeri e gli altri, io voglio solo creare la mia storia. Ho studiato molto Del Piero, so quello che ha fatto ma siamo due persone diverse: ognuno ha il suo percorso». ▶ Voi due avete un ottimo rapporto: che cosa le ha detto Del Piero di recente? «Ci sentiamo spesso e ci vediamo ogni tanto. Dopo le partite mi scrive spingendomi a fare sempre meglio. Mi dice che è felice per me e che spera io possa continuare così. Ale è una persona incredibile». ▶ Del Piero ha giocato quasi tutta la carriera con la Juventus. Nel calcio di oggi c’è ancora spazio per le bandiere e lei potrebbe diventarlo? «Ripeto, ognuno di noi ha la sua storia e il suo percorso. Restare tutta la vita alla Juventus per me sarebbe un sogno, ma nel calcio non puoi mai sapere cosa può succedere. Preferisco godermi il presente senza pensare troppo al futuro». ▶Il suo contratto scade nel 2029, il club vuole allungarlo fino al 2030 con un ingaggio da top. Lusingato? «Sono sincero, in questo momento non ci penso. Sono felice della situazione e mi interessa solo lavorare per il bene della squadra. Non parlo di soldi, voglio dare il massimo sul campo». ▶ Si dice che John Elkann abbia un debole per lei, ci racconta cosa vi siete detti a Washington dopo la vittoria sull’Al Ain? «Abbiamo parlato un po’, so che apprezza il mio modo di giocare. È una bellissima persona, mi ha scritto anche uno splendido messaggio nei giorni scorsi, è stato molto carino». ▶Il Mondiale è pieno di campioni: Messi, Bellingham, Vinicius, Haaland. Si sente al loro livello? «Sono sensazioni pazzesche. Ti senti importante quando vivi queste emozioni, ma il mio unico pensiero è restare concentrato sui nostri obiettivi. Il resto verrà da sé». ▶ C’è qualche giocatore che la intriga di più? «Ce ne sono molti, per esempio nel Real Madrid. Arda Guler è fortissimo e avrà un grande futuro, è bello essere paragonato a loro. Però non chiedetemi chi considero il più forte, tanto non lo dirò...». ▶ Ci dica almeno il difensore che teme di più... «Ce ne sono tanti bravi, a cominciare da quelli della Juve, però se devo fare un nome scelgo Van Dijk: è fortissimo». ▶ Allegri dopo il debutto in prima squadra la mandò dal barbiere. Si raserebbe a zero pur di vincere il Mondiale? «No, quello non lo farei. Sono molto grato ad Allegri per quello che ha fatto per me e anche per avermi fatto tagliare i capelli, credo di stare meglio così. Però rasarmi a zero proprio no, mi spiace». ▶ I suoi compagni dicono che il suo calcio ha qualcosa di speciale e Kolo Muani l’ha definita magico: è d’accordo? «È fantastico, non posso che ringraziare i miei compagni e gli allenatori che ho avuto. Non riesco a credere che Randal abbia detto cose così belle di me, appena due o tre anni fa io ero un ragazzino e lui era già Kolo Muani, ora ci alleniamo ogni giorno insieme sullo stesso campo. Questo mi spinge a lavorare ancora più duramente. Se sono qui devo dire grazie a mio padre per avermi accompagnato ogni giorno al campo. Lui non è mai stato un professionista, ha giocato solo per divertimento, però mi ha trasmesso la passione infinita per questo sport. Mi ha sempre ripetuto di correre, dribblare, giocare e divertirmi. È molto critico con me e io ho sempre dato ascolto ai suoi consigli». ▶ Nel calcio si gioca sempre di più: lei ha già toccato le 50 partite con la Juventus, oltre a quelle con la nazionale. Non sarà un po’ troppo? «È vero, si gioca tanto ma il calcio sta cambiando e sta diventando più moderno. È stancante avere partite ogni due-tre giorni però io vedo anche degli aspetti positivi, hai l’opportunità di nuove sfide. Per fortuna abbiamo intorno a noi tanti professionisti che ci aiutano a gestire al meglio il recupero». ▶ Lei è uno dei pochi a non aver avuto infortuni pesanti in stagione: qual è il segreto? «Sono giovane e questo aiuta, cerco di gestire al meglio il mio corpo seguendo le indicazioni che mi vengono date, tutto qui. Ci tengo a ringraziare lo staff della Juve che si prende cura di me». ▶ Tra le qualità di Tudor c’è la capacità di alleggerire la pressione. Che approccio ha avuto con voi? E lei adesso si sente più libero in campo? «Quando è arrivato ha portato grande energia e ha aiutato tutta la squadra. A me in particolare ha detto di concentrarmi su ciò che devo fare in campo e mettere da parte tutto il resto. Non mi piace parlare del passato, però è vero che Tudor mi concede molta libertà». ▶Le statistiche dicono che tocca più palloni e segna più spesso... «Il calcio non sta tutto nei numeri, è molto bello segnare più gol, ma non è l’unica cosa che conta. Io voglio sempre giocare bene e ottenere il meglio». ▶ Oggi affronterete il City per il primo posto nel girone. Che partita s’aspetta? «Sarà una bellissima sfida, ma anche una gara molto difficile: tutti conosciamo la storia del City». ▶ Volete evitare il Real Madrid agli ottavi? «Sicuramente vogliamo vincere il girone, ma non importa chi affronteremo dopo. Mi piacerebbe ritrovare Huijsen, ma penserei solo a batterlo. Il Real è forse la squadra più forte al mondo, ma per noi non fa differenza l’avversario». ▶ Chi vince il Mondiale? «Non lo so, però una cosa posso dirla: faremo di tutto per essere noi a sollevare il trofeo».
  7. andrea

    Nuovo Presidente CONI

    E in quale città è nato?
  8. https://x.com/SandroSca/status/1938228487896142184?t=H4mfQU-fZeyPKNFRz1GLEw&s=19
  9. «Amo la pressione del grande club Cancelo e Dani Alves le mie ispirazioni» di Fabiana Della Valle INVIATA A ORLANDO (STATI UNITI) Non ho avuto alcun dubbio quando la Juve mi ha voluto È stato bellissimo e immediato, ho detto subito: “Andiamo!” L’esterno portoghese: «Ho più opportunità da quando c’è Tudor Qui si gioca per vincere» L’italiano è ancora acerbo («Lo capisco però non lo parlo») ma dietro a una coltre di timidezza s’intravede un ragazzo che sa quello che vuole. Alberto Costa è arrivato alla Juve a gennaio e a lungo è stato un oggetto misterioso: 6 panchine di fila e appena 96 minuti giocati in totale con Thiago Motta tra campionato e Coppa Italia, con Igor Tudor ha svoltato nel finale di stagione, prendendosi la corsia di destra. «È giovane e ha bisogno di ambientarsi ma vedrete che vi sorprenderà: fidatevi di me», assicurava Cristiano Giuntoli a chi nutriva dubbi sui 12 milioni versati al Vitoria Guimaraes per portarlo a Torino. E aveva ragione, perché il terzino portoghese, intuizione felice dell’ex direttore tecnico che lo vide per la prima volta dal vivo contro la Fiorentina in Conference League e se ne innamorò, è una delle novelle più liete del Mondiale per Club: due partite su due da titolare negli Usa e la sensazione che il meglio debba ancora arrivare. ► Alberto Costa, come sono stati i suoi primi mesi da juventino? «All’inizio è stato complicato perché non giocavo, però tutti qui mi sono stati vicini. Adesso voglio continuare a fare bene. Io amo sentire la pressione di un grande club». ► Con Motta zero presenze da titolare: perché? E cosa è cambiato con Tudor? «Semplicemente una questione di scelte, Motta aveva le sue idee. In campo Tudor ci chiede cose diverse, giochiamo con un altro modulo e io mi sono adattato in fretta. Con lui ho avuto più opportunità e ho lavorato duro per farmi trovare pronto. Ora devo solo continuare così, con la stessa costanza». ► Alla Juventus è stato preceduto dal suo connazionale Joao Cancelo. Vi assomigliate? «Abbiamo caratteristiche differenti, però è bello essere accostato a lui. Cancelo è stato uno dei miei modelli e fonte di ispirazione in questi anni». ► Sul suo profilo social ci sono foto da bambino con la maglia della Juve: come ha reagito alla notizia dell’interessamento nei suoi confronti? «È stato bellissimo e immediato: quando il mio agente mi ha raccontato di aver ricevuto una chiamata dalla Juventus non ho avuto dubbi e gli ho detto subito: andiamo. Nei primi mesi ho imparato che qui si gioca sempre per vincere e a ogni partita bisogna alzare il livello». ► Alzare il livello al Mondiale per Club significa battere il City? «Li rispettiamo ma non dobbiamo avere paura e dobbiamo sentirci al loro livello. Non siamo inferiori a nessuno, abbiamo fatto due ottime partite e siamo una grande squadra. Bisogna vincere sempre, gara dopo gara. Ci vuole la mentalità giusta». ► Come fermerete Haaland? «(Ride) Non possiamo dire quello che abbiamo provato...». ► A proposito di spogliatoio, chi l’ha aiutata di più a integrarsi? «Chico (Conceiçao, ndr) e gli altri compagni che parlano la mia lingua, come Bremer, Nico Gonzalez e Douglas Luiz, però tutti mi stanno dando una grossa mano. Con Tudor parliamo in inglese». ► Da ragazzino aveva anche un idolo juventino? «Certo, mi piaceva tanto Dani Alves, giocatore fantastico. Poi naturalmente Cristiano Ronaldo, con cui spero di giocare in nazionale: se faccio bene sono certo che arriverà la chiamata». ► Meglio evitare il Real Madrid agli ottavi? «Non importa contro chi giocheremo, io voglio vincere sempre».
  10. Comolli alla ricerca della formula per costruire una Juventus da primato Statistiche, trading, rapporti e lavoro: così procede il nuovo dg Dal nostro inviato Massimiliano Nerozzi Presente Al fianco del dirigente francese c’è Chiellini, presente in ogni processo decisionale Quando Damien Comolli venne licenziato dal Liverpool, ormai 13 anni fa, confidò agli amici di aver imparato una grande lezione: «Ero un francese che lavorava in un club inglese con proprietari americani, ma la comunicazione tra me e la proprietà avrebbe dovuto essere assolutamente cruciale». Non a caso, all’esordio nel Mondiale per club, si era presentato insieme a John Elkann, ad di Exor e azionista di maggioranza della società bianconera, con il quale il nuovo direttore generale ha annodato un rapporto chiaro e diretto. Lo stesso con l’ad Maurizio Scanavino, che in questi giorni è insieme alla squadra, nel resort a sud di Orlando. Condiviso il piano, manageriale e calcistico, Comolli è entrato in modalità h24, e più, visti i suoi spostamenti transoceanici: a Washington per la prima sfida della Juve, poi in Europa e a breve di nuovo negli States, qui in Florida, per il duello di domani con il Manchester City. Serio, professionale, stakanovista, «uno che potrebbe dirigere una multinazionale» — dice chi vede gente passare alla Juve da decenni —, vuole conoscere tutto di Madama: dallo shopping, che sovrintende in prima persona, all’organizzazione del club. Per dire, appena arrivato al Liverpool, istituì un dipartimento di analisi dei dati e avviò il processo di rinnovamento dell’academy, oltre ai dipartimenti di scienza e medicina della squadra. Seguì pure una ricerca in campo medico, che lo portò a occuparsi del recupero dagli infortuni e delle abitudini del sonno dei giocatori. Di certo, è stato un precursore, visto che Billy Beane, mister Moneyball, è suo idolo (e amico) da vent’anni, mica da questi tempi recenti, in cui i big-data hanno invaso pure il pallone (da calcio), dopo aver stregato la pallina (da baseball). Sempre stato convinto che il futuro fosse là, «statistiche e trading», spiega chi lo conosce da tanto, con una filosofia mutuata da Warren Buffet, il mago della finanza che era poi uno tra i maître à penser citati da Beane: far rendere titoli (di Borsa) in un mercato imperfetto. Ai titoli ha sostituito i giocatori: comprare quelli giovani, o sottovalutati, e rivenderli dopo. A volte va benissimo — Bale e Modric, comprati per 38 milioni di dollari e venduti per 177 milioni; o Suarez, che fruttò al Liverpool una plusvalenza di 85 milioni — o malissimo, da Andy Carroll a Stewart Downing. Pare non stia simpatico a tanti procuratori — «è il classico snob francese» — perché parla poco, sta in silenzio e ascolta; o, chissà, magari solo perché è ruvido nelle trattative. Al suo fianco c’è Giorgio Chiellini, altro pendolare tra Europa e America, che non si occupa di mercato, ma che partecipa ai processi decisionali e, più di ogni cosa, può offrire una prospettiva che nessuno (Comolli compreso) può avere. Di Chiello dirigente, qui ne parlava benissimo Marlon Santos, ex difensore del Sassuolo ora al Los Angeles Fc, dove l’ex numero 3 ha iniziato dietro la scrivania. Come non si stanca di studiare soluzioni, confrontarsi con persone, perlustrare nuove vie Comolli: fatto fuori dai Reds, se ne andò in giro per scambiare idee con dirigenti di diversi sport, alla ricerca della formula per costruire la squadra vincente. Quel che gli hanno chiesto qui.
  11. https://www.fanpage.it/sport/calcio/la-svizzera-femminile-nasconde-la-sconfitta-per-7-1-contro-lunder-15-ma-un-giocatore-spiffera-tutto/
  12. https://x.com/mirkonicolino/status/1937786228180652296?t=RS0XCvtCxLjBWRgtB310hg&s=19
  13. Di Gregorio carica «Juve aggressiva a tutto campo Tudor ci ha cambiati» Il portiere omaggia l’allenatore: «Idee chiare e nette, adesso possiamo arrivare in fondo al Mondiale» di Filippo Cornacchia INVIATO A ORLANDO (STATI UNITI) Pressing, corsa e intensità: giochiamo al massimo per 95’ Il Mondiale è un torneo bellissimo, c’è entusiasmo Siamo vivi, tutti insieme Anche io devo coprire più spazi Qui pressioni più grandi, mi sento cresciuto a 360° Il mondo capovolto in meno di un anno, una storia da film americano. Michele Di Gregorio in 350 giorni è passato dal Monza al Mondiale per club da titolare con la Juventus. Senza contare la lunga gavetta degli anni precedenti: dalla Serie C al nuovo torneo Fifa dei Leo Messi, Jude Bellingham, Gigio Donnarumma e Erling Haaland, che il portiere ha già affrontato a novembre in Champions e si ritroverà di fronte giovedì - a Orlando - nella sfida tra la Juventus e il Manchester City per il primo posto del girone G. Materiale in abbondanza per ispirare qualche regista statunitense. L’uomo DiGre, vinta la diffidenza iniziale nei suoi confronti e conquistata la Signora, sogna a occhi aperti, aiutato anche dalla location. Disney World, il parco giochi più affascinante del mondo, è a meno di venti minuti dall’Omni hotel, il quartier generale bianconero in Florida. Pensare in grande non costa nulla e Di Gregorio, dopo 11 mesi alla Juventus, ha capito perfettamente le regole della casa reale: ambire sempre ad alzare trofei, come da richieste di John Elkann e di tutto il popolo juventino. «Vincere il Mondiale? Certo che ci pensiamo, siamo la Juventus», garantisce il portiere dopo il secondo successo consecutivo, quello contro il Wydad. La marcia a punteggio pieno, con appena un gol incassato e nove realizzati, ha aumentato la fiducia e la voglia di stupire della squadra. La conferma arriva da Di Gregorio, uno dei portavoce dello spogliatoio. Il messaggio è forte e chiaro: «Adesso è ancora più giusto credere alla possibilità di arrivare in fondo al Mondiale». ► Perché lei e i suoi compagni siete sempre più fiduciosi per il Mondiale per club? «Quando sei alla Juventus l’unico pensiero è vincere sempre. Dopo due vittorie nelle prime due partite del girone penso sia ancora più giusto crederci. Siamo qui per onorare al meglio la manifestazione e, siccome siamo la Juventus, anche per vincerla». ► Quanto c’è di Tudor nell’esplosione della Juventus, passata in novanta giorni dal rischio di restare fuori dalla Champions al sogno Mondiale? «Al di là dei discorsi e degli aspetti tattici, sempre importanti, Tudor è stato bravo soprattutto a toccare le corde giuste della squadra a livello emotivo. Quando è arrivato alla Juventus a fine marzo, noi venivamo da due sconfitte pesanti ed era difficile rialzarsi. Ma lui è riuscito». ► Qual è stata la formula giusta? «Tudor ci ha chiesto aggressività, tantissima corsa, intensità ed è quello che ci permette tuttora di stare bene in campo. Tanto nel debutto al Mondiale quanto contro il Wydad ho visto una squadra messa bene in campo e a livello fisico per 95 minuti». ► La stagione è la stessa, ma negli Stati Uniti sembra di vedere una Juventus nuova, più fiduciosa e meno impaurita di quella che ha strappato la qualificazione Champions all’ultimo: cosa è scattato? «Credo che l’obiettivo del quarto posto fosse il minimo in campionato, ma si era complicato e a quel punto tutto è più difficile. Però siamo riusciti a compattarci come squadra, con idee chiare, nette. E dopo aver conquistato la qualificazione alla Champions siamo venuti in America a giocarci questa competizione importante e bellissima contro le squadre migliori del mondo. È inevitabile avere una carica in più». ► È cambiato anche il suo modo di stare in porta con Tudor? «L’aggressività e l’andare in avanti sono le caratteristiche fondamentali che l’allenatore ci ha trasmesso fin dal primo allenamento. Siamo una squadra viva e aggressiva, tutti stanno alti e anche il portiere deve coprire più spazi. Tudor mi coinvolge nella manovra e a livello caratteriale». ► Contro il Wydad ha perso l’imbattibilità: le brucia? «È sempre importante parare, qualunque sia il risultato. Analizzeremo il gol preso, ci piace migliorare, lavoreremo in quella direzione versi la prossima gara». ► Quali portieri la stanno impressionando maggiormente in America? «Quelli forti sono tanti, conosco di più i portieri dei club europei, ma andando più avanti nella competizione sono sicuro che mi colpiranno anche altri». ► Se ripensa a un anno fa e al suo arrivo alla Juventus: quanto si sente cambiato e migliorato? «Qualsiasi stagione ti aiuta a crescere. E alla Juventus ancora di più. In una società come questa inizi a capire che devi giocare sempre per vincere e le pressioni sono sempre più grandi. Non mi vedo cresciuto in un aspetto specifico, ma proprio a 360 gradi».
  14. Apertura di David, si tratta Weah-Mbangula in Premier L’attaccante può ridurre le pretese: ieri telefonata tra Comolli e i suoi agenti. Gli esterni vicini al Nottingham Forest di Filippo Cornacchia INVIATO A ORLANDO Punte In alternativa al canadese ci sono sempre Osimhen, Jackson, Retegui e Castro Cessioni La doppia partenza dovrebbe fruttare 25 milioni più bonus: i giocatori possono lasciare gli Usa Ai premi del Mondiale si aggiungono gli incassi delle cessioni di Timothy Weah e Samuel Mbangula, sempre più vicini al Nottingham Forest e già preallertati. Da un momento all’altro il figlio d’arte e l’ala belga potrebbero lasciare il ritiro bianconero in Florida: si aspetta l’ok definitivo da Torino. Un bel tesoretto per la Juventus e per il dg Damien Comolli, pronto a cambiare marcia sul mercato e in modo particolare nella caccia al grande bomber: a partire dallo svincolato di lusso Jonathan David. L’ex Lilla ha molti corteggiatori e un debole per la Signora. Così nelle ultime ore il 25enne centravanti canadese – 25 reti nel 2024-25 – ha chiesto al proprio entourage di riattivare i contatti con i dirigenti juventini e di ammorbidire certe richieste economiche per facilitare il matrimonio. Comolli, rientrato a Torino dopo aver seguito dal vivo il successo di Philadelphia di Yildiz e compagni contro il Wydad, ha apprezzato il gesto e nella riunione telefonica di ieri ha presentato un’offerta al ribasso agli agenti di David. La palla passa all’attaccante, che adesso dovrà decidere se accettare la proposta della Juventus a cifre inferiori o prendere ancora tempo, magari confidando in condizioni migliori altrove: dall’Italia alla Premier. David riflette, ma la tentazione bianconera è forte. Osi, Jackson&C. Comolli spera in una risposta positiva, però ancora non si illude: nel mercato può cambiare tutto in fretta, a maggior ragione con gli svincolati. Le insidie non mancano e proprio per questo il dg francese continua a portare avanti più soluzioni contemporaneamente: da Nicolas Jackson del Chelsea all’ambitissimo Victor Osimhen (Napoli), che resta il preferito di Igor Tudor per il post Dusan Vlahovic. Sempre vive anche le altre piste: da Mateo Retegui (Atalanta) a Santiago Castro (Bologna). Una corsa a parte è invece quella per Randal Kolo Muani, protagonista con la Juventus al Mondiale: 2 gol e un assist. L’attaccante di proprietà del Psg non esclude gli altri attaccanti, anzi: l’idea di Tudor e della dirigenza è quella di ripartire da Kolo e da un nuovo bomber. Randal sta bene in bianconero e la Juventus, nonostante la concorrenza inglese, resta ottimista e punta a un nuovo affitto per il parigino. Doppio addio Intanto Comolli è concentrato nel portare a termine la doppia cessione di Mbangula e Weah al Nottingham. Trattativa caldissima, un po’ come la Philadelphia lasciata domenica dal dg della Juventus. I contatti con il club inglese sono diventati sempre più fitti ieri: si tratta a oltranza per chiudere in tempi brevi. Alla Continassa sono partiti da una richiesta complessiva intorno ai 30 milioni per i due esterni: Mbangula è stato lanciato dalla Next Gen e Weah era stato acquistato nell’estate 2023 dal Lilla per 10,3 milioni più bonus. Il Nottingham vola più basso e adesso si ragiona su una cifra vicina ai 25 milioni più bonus. Il belga (0 minuti al Mondiale) e l’americano (solo 45’ contro l’Al Ain) sono a Orlando con la squadra e aspettano il via libera, dato quasi per imminente, per lasciare gli Usa e raggiungere l’Inghilterra. Due (esterni) escono e almeno uno arriverà: da Wesley del Flamengo (su di lui c’è anche la Roma) a Dodò della Fiorentina fino a Nuno Tavares della Lazio.
  15. Il dg Comolli ci prova ancora per David Il direttore generale è tornato a Torino: previsti contatti con l’entourage della punta canadese Di Filippo Cornacchia INVIATO A PHILADELPHIA (STATI UNITI) Più vinci e più guadagni al Mondiale per Club. Il 4-1 dei bianconeri sul Wydad Casablanca fa bene per l’andamento nel torneo e anche per il mercato. Il dg Damien Comolli, infatti, continua a fare la spola tra l’Italia e gli Stati Uniti. Un occhio al mercato e uno al campo. Ieri il manager francese ha seguito il successo di Yildiz e compagni direttamente dalle tribune di Philadelphia, ma subito dopo la gara si è rimesso in volo per Torino. L’agenda è piena di appuntamenti. Nelle prossime ore Comolli ha in programma un contatto con gli agenti di Jonathan David, svincolato di lusso dopo l’addio a parametro zero dal Lilla. L’attaccante canadese – 25 reti nell’ultima stagione - è nel mirino di mezza Europa, ma finora le richieste economiche del suo entourage hanno frenato le pretendenti. Compresa la Juventus, che nelle prossime ore però cercherà di capire se qualcosa è cambiato. Nel caso le quotazioni di David potrebbero anche risalire. L’ex Lilla è una delle opzioni per il post Dusan Vlahovic (contratto in scadenza nel 2026) insieme a Victor Osimhen (Napoli), il preferito di Igor Tudor. In attesa di capire come evolverà la situazione del nigeriano, reduce dal prestito al Galatasaray, i dirigenti bianconeri continuano a guardarsi intorno. La “lista attaccanti”, al netto dell’ottimismo sulla conferma anche dopo il Mondiale di Kolo Muani (in prestito dal Psg), comprende Nicolas Jackson (Chelsea), Mateo Retegui (Atalanta) e Santiago Castro (Bologna).
  16. «Mi sento in debito con la Juventus Ma adesso svolto» Il centrocampista olandese: «Pronto per ripartire dopo un’annata sfortunata tra infortuni e pressione» di Filippo Cornacchia Ho buone sensazioni, ma mi serve ancora un po’ di tempo Se ti pagano 60 milioni, è normale che si pretenda tanto Voglio vincere un trofeo in bianconero, il Mondiale per Club è l’occasione giusta L’America chiama RoboKoop. Philadelphia non sarà Detroit, dove è ambientato lo storico film poliziesco degli anni ottanta, ma basta a Teun Koopmeiners per sentirsi meglio. Gli allenamenti Usa nella verdissima White Sulphur Springs, in West Virginia, hanno avuto un effetto rigenerante per l’olandese. Koop è un freddo, ma i primi dieci mesi di Juventus hanno provato anche lui. Un po’ le attese sovradimensionate per il maxi-trasferimento dall’Atalanta – 51 milioni più bonus – e un po’ qualche infortunio di troppo. A partire da quello più recente e infido: l’infiammazione al tendine d’Achille che di fatto lo ha obbligato a concludere con largo anticipo la Serie A e la volata per la Champions League. Il primo campionato in bianconero di Koopmeiners è andato (appena 3 gol, 4 contando anche quello in Coppa Italia), però la stagione non è finita. «Non sono ancora al cento per cento, ma mi sento sempre meglio. Questo torneo è una grande occasione per me», garantisce il numero 8. Il Mondiale per club è una sorta di sogno americano per il tuttocampista juventino. Così, dopo il rodaggio di Washington nel debutto vincente contro l’Al Ain, Koop inizia virtualmente la risalita dai 72 gradini della scalinata di Philadelphia resa celebre da Rocky. Lo stadio Lincoln Financial Field, dove oggi la Juventus affronta il Wydad Casablanca (ore 18, orario italiano), dista meno di dieci chilometri. Più che i guantoni, l’olandese è pronto a indossare la sua armatura. Quella che l’ha reso celebre a Bergamo, ma che nell’ultimo periodo è rimasta troppo a lungo chiusa nell’armadietto della Continassa. Nel calcio, però, tutto può cambiare in fretta. A maggior ragione in un Mondiale. ▶Koopmeiners, inizia a intravedere la luce in fondo al tunnel? «Sì, mi sento molto meglio. Sono stato fuori quasi tre mesi per l’infortunio al tendine d’Achille. In questi giorni in America mi sono allenato con continuità e ho parlato tanto con Tudor, ho detto anche a lui che avverto sensazioni migliori ma che avrò bisogno ancora di un po’ di tempo per essere al cento per cento per tutti i novanta minuti. Questa competizione a livello personale sarà importantissima anche da questo punto di vista». ▶ Il Mondiale per Club può imprimere una svolta alla sua prima stagione con la maglia della Juventus? «Sicuramente è un’occasione per tornare in campo e giocare, come è successo l’altro giorno nel secondo tempo di Washington. Ma l’obiettivo principale è un altro: voglio vincere il mio primo trofeo con la Juventus». ▶A parte gli infortuni, il suo umore sta tornando quello dei giorni migliori? «Sono tranquillo, anche se ovviamente non è stata un’annata positiva perché finora non abbiamo alzato alcun trofeo. E per la Juventus trionfare ogni anno deve essere un obiettivo, sempre. E anche io voglio vincere, sono alla Juventus per questo». ▶E se ripensa agli ultimi mesi? «Onestamente non sono contento di come ho giocato, avrei voluto aiutare di più la squadra». ▶ Quanto hanno pesato sul suo rendimento la pressione e le enormi aspettative legate al tormentone di mercato della scorsa estate? «Quando vieni acquistato per 50-60 milioni come è capitato a me e la squadra non va bene in generale, è normale che la gente pretenda di più da te. Io avverto la responsabilità: so che posso e devo fare decisamente meglio, mi sento un giocatore da Juventus. Anche se...». ▶Anche se... «Penso di aver avuto anche un po’ sfortuna con i tanti infortuni, mi hanno tolto continuità: prima mi sono rotto una costola, poi nel finale di campionato sono stato costretto a fermarmi a lungo per l’infiammazione del tendine d’Achille. Senza contare i tanti cambiamenti arrivati a livello di squadra, con molti nuovi giocatori da conoscere. Di una cosa sono sicuro, il futuro sarà migliore». ▶Cosa glielo fa pensare? «Vedrete, il prossimo anno andrà meglio. Siamo forti e ci dobbiamo aiutare per crescere tutti insieme. Guardo al futuro con fiducia, credo nelle mie capacità. E voglio dare il cento per cento, come tutti i miei compagni, a partire da questo Mondiale per club». ▶Si sente in debito con la Juventus? «Si. E al Mondiale e in ogni in allenamento voglio dimostrare di essere tornato e di essere da Juventus. Devo sfruttare questo torneo anche per arrivare al top al debutto in campionato di fine agosto». ▶Tudor ha iniziato il Mondiale come aveva terminato il campionato, dove lei era stato praticamente sempre assente: come si sta trovando nel 3-4-2-1? «Conosco bene questo sistema dai tempi dell’Atalanta, mi trovo a mio agio nel gioco di Tudor. Adesso vengo impiegato un po’ più avanti, a Bergamo sono stato schierato anche nei due di centrocampo». ▶Lei si vedrebbe meglio nella coppia di trequartisti alle spalle del centravanti o in mezzo al campo? «Io sono un centrocampista, non un attaccante. Anche quando gioco in avanti interpreto il ruolo da mediano e non da numero nove o da punta esterna. Detto questo, sono a disposizione dell’allenatore e sono disponibile a giocare ovunque pur di essere utile e aiutare questa squadra a vincere».
  17. https://x.com/equipedefrance/status/1936343843546550477?t=yrAYZkh-jG7-PR1XuCDaSg&s=19
  18. andrea

    Antonio Conte

    «MAI BUGIE AI CALCIATORI, LA VERITÀ È RISPETTO. NON VEDER CRESCERE MIA FIGLIA È STATA UNA PRIVAZIONE» Ha vinto quasi tutto come centrocampista alla Juve e poi come allenatore. L’ultima sfida è stata riportare il Napoli allo scudetto. Ha un’unica ricetta: «Sono cresciuto in strada a Lecce e ho avuto un’educazione molto dura, i miei genitori mi hanno insegnato che se vuoi chiedere prima devi dare" Di NICOLA SALDUTTI e MONICA SCOZZAFAVA «CI SONO MOMENTI IN CUI DEVI ESSERE PIÙ DURO, E POI CI SONO QUELLI IN CUI DIVENTI UN PADRE, UN FRATELLO» Fatica, fatica, e ancora fatica. Il New York Times ha persino contato quante volte ha pronunciato la parola «lavoro», ben 32 in meno di un’ora di conferenza stampa, quando arriva al Chelsea. Lo chiamano il martello, l’integralista, il sergente di ferro. Eppure, quando racconta di sé, Antonio Conte, con la figlia Vittoria che lo osserva poco distante, sembra un’altra cosa. Oltre la durezza c’è la sensibilità dell’uomo. Rigoroso, innanzitutto con sé stesso, («Sono cresciuto in strada a Lecce, e lì devi imparare a cavartela, ad affrontare le situazioni. I miei genitori mi hanno insegnato che se vuoi chiedere, prima devi dare»), lo sguardo, le parole rivelano l’essenza autentica di uno sportivo a cui il calcio ha dato tutto ma che non ha dimenticato il senso totale della vita. Piove a dirotto alla Pinetina, lui allena l’Inter. Non ha alcuna intenzione di fermare quella seduta però a un certo punto decide di mettersi a correre a fianco dei suoi ragazzi. «Perché nel nostro mestiere, ma non solo, conta l’esempio. Se chiedi il 100 per cento, devi essere disposto a dare il 110%. Solo allora diventi credibile». Questo è il suo metodo, fatto di successi e di sconfitte, di gioie e di amarezze, di lavoro. Lo racconta nel libro "Dare tutto, chiedere tutto" che ha scritto con Mauro Berruto, con la collaborazione di Giulia Mancini (Mondadori): «Difficilmente quando una partita è finita e siamo in conferenza c’è il tempo di mostrare il nostro vero volto, la narrazione diventa esclusivamente sulla partita». Perché ha deciso di mettersi a scrivere un libro su di sé, sull’allenatore che è diventato quel ragazzo di Lecce che a 21 anni si è trovato a giocare alla Juve con campioni, da Baggio a… Schillaci, ai quali dava del “voi”. «Non volevo fosse una nuova autobiografia, dilungandomi sempre sulle cose sportive, quella partita piuttosto che l’altra, la vittoria o la sconfitta. Ho pensato che la gente sapesse già tutto. Ho voluto raccontare invece della mia essenza, del mio metodo di gestione di un gruppo, di come sono realmente. Mi sono preso un anno sabbatico dopo il Tottenham, c’erano spazio e tempo per scrivere. Con parole mie e aiutato da Marco Berruto, un bravissimo compagno in questo viaggio. Il libro era pronto a marzo ma c’era in gioco lo scudetto e abbiamo preferito aspettare». Lei è davvero un sergente di ferro? «Ci sono momenti in cui devi essere più rigido, più duro, perché quello necessita la situazione, poi ci sono anche quelli in cui diventi un fratello maggiore, un padre. Per il ruolo di capo, di un leader, sarebbe fin troppo facile imporre la propria idea, dare ordini e basta. Il problema è riuscire a trovare il modo affinché capiscano l’importanza e ti seguano. Le cose devi farle attraverso l’esempio. Si accelera e si decelera, il punto di equilibrio è la chiave di tutto. Vale per il calciatore, il terapista, il magazziniere, il giardiniere. In un club, dal primo all’ultimo, tutti devono far parte di un meccanismo che lavora per ricercare il miglioramento continuo. L’esempio del fare è alla base di tutto. È inevitabile che quando le cose non vanno nella giusta direzione mi arrabbio e anche tanto». Parla di «incazzature artificiali», a cosa si riferisce? «Alle uniche volte in cui indosso una maschera. Mi è capitato alla Juventus: stavamo vincendo 2-0, ma mi accorgo che qualcosa non va. Allora durante l’intervallo entro nello spogliatoio e lancio una bottiglia di plastica contro la lavagna e inizio a urlare. Molti mi hanno preso per pazzo ma quel risultato sarebbe potuto cambiare se non avessimo continuato ad avere la stessa fame e concentrazione. La bravura sta nel percepire se ci sono dei rischi di questo genere e quindi intervenire». Complimenti o incazzature, lei studia cosa dire oppure va sempre di pancia? «È impossibile non essere me stesso, non ho filtri. Fare cose studiate prima in maniera artificiosa non mi appartiene. Non ho mai scritto o preparato un discorso da tenere ai ragazzi il giorno prima. Ho dei campioni davanti, capirebbero che non arriva dal cuore». Ha citato la Juventus, la sua storia da calciatore e da allenatore. Ma davvero non ha avuto contatti dopo lo scudetto col Napoli? «Non ho avuto contatti con nessuno perché a chiunque abbia provato a cercarmi con terze persone ho sempre risposto che avrei parlato con il club a fine stagione come si fa sempre. E solo se l’incontro non avesse soddisfatto le parti avrei aperto a un’altra situazione, avendo comunque un contratto con il Napoli per altri due anni». (La figlia Vittoria lo ascolta e, forse, parla un po’ a lei e un po’ a noi) «Ho avuto un’educazione molto dura, noi siamo quello che riceviamo dalla nostra famiglia. In questo tempo vengono sempre di più a mancare le famiglie. Educazione, spirito di sacrificio, valori che si stanno perdendo. Vittoria sa chi siamo, come ci comportiamo, ha i nostri stessi principi. Siamo una famiglia senza dubbio agiata, il lavoro ci ha permesso una condizione da benestanti ma conosciamo il valore dei soldi. Le cose si ottengono con la fatica, l’impegno. Il sacrificio, le rinunce». La più grande rinuncia? «Il lavoro mi porta spesso lontano dalla famiglia. Non aver visto tutti i momenti di crescita di mia figlia è stata una grande privazione. Vederla di colpo cresciuta ti rende amaramente consapevole che hai perso qualche passaggio. Per ogni cosa c’è un prezzo da pagare. Ecco, ho scritto questo libro anche per dare ancora più dignità al senso del lavoro. La fatica è una medicina pure contro lo stress mentale». A proposito di stress, come andò con quel retropassaggio sbagliato a Montecarlo? «Andò che alla prima partita da titolare con la Juve mi ritrovai sulla prima pagina di un giornale nazionale con il titolo "Nel Principato sbaglia il Conte". Era la mia prima vera partita e avevo commesso un gravissimo errore. Iniziai a dubitare sulla mia capacità di poter giocare a questo livello. Pensai anche “ma chi me lo ha fatto fare”. A Lecce ero con i miei amici, la mia famiglia, andavo al mare fino a novembre. A Torino ero da solo, avevo 21 anni. Ero con i miei idoli, Schillaci, Tacconi, Baggio, ma all’inizio mi sentivo fuori posto. Se qualcuno mi avesse detto allora quello che avrei vinto in 13 anni avrei pensato: “Sta fuori di testa”. Invece proprio quel retropassaggio così mortificante mi spinse a reagire. Trapattoni, uno tra i più bravi allenatori che ho avuto, mi vide giù e disse: “Non stai mica pensando ancora a ieri”. Qualcosa scattò in me. Non volevo tornare a Lecce da sconfitto. Ecco, io penso che l’allenatore, così come fece con me Trapattoni, debba saper arrivare al cuore e alla testa dei calciatori. Le gambe forse sono l’ultima cosa». Lo pensa davvero? «Durante l’allenamento devi ripetere, ripetere e ancora ripetere i gesti fino a farli apparire semplici a chi li guarda. Solo tu sai quanta fatica ci è voluta. L’allenatore non deve essere duro, ma giusto. Meglio una brutta verità che una bella bugia. Mai illudere un calciatore, semplice dire: “La prossima partita la giochi tu” anche se sai che non è vero. Dire la verità significa rispetto». Tutti i giocatori che ha allenato le riconoscono un grande carisma, un modo unico di entrare nella testa, ma non ce n’è uno che non dica: sì ma i suoi allenamenti sono durissimi. Quando qualcuno si lamenta cosa fa? «Una volta il capitano del Chelsea venne a chiedere di rallentare il ritmo, di fare meno sedute video. Io acconsentii soprattutto rispettando la loro cultura, il loro modo differente di vivere il calcio. Quando sei in un Paese diverso dal tuo devi essere attento a non stravolgere troppo. Ebbene, perdemmo due partite di fila e ho rischiato di essere esonerato. Da allora penso che se devo “morire” in qualche scelta e situazione da affrontare, lo devo fare a modo mio e non per mano di altri. Questo è il metodo, il trust in process come dicono gli inglesi. Tenere fermo il punto delle scelte. La ricerca del consenso a tutti i costi è un’autocondanna. E se penso alla durezza degli allenamenti, sorrido. Zidane e Del Piero si allenavano in modo molto più duro. Oggi si fa un terzo di quello che facevamo noi. Il lavoro va naturalmente legato ai risultati, mi è capitato di allenare squadre dove dopo un po’ i calciatori stessi cercavano situazioni di fatica. Questo vuol dire per me aver ottenuto il risultato». A Napoli è successo? «I ragazzi sono stati sempre disponibili, mi hanno seguito fin dal primo giorno, e alla fine sono riusciti a mentalizzare il concetto di fatica, di sacrificio. Certo, a questa squadra all’inizio mancava quello che io chiamo il coltello nel calzino. Serve cattiveria sportiva, si va in guerra senza scrupoli. Poi lo hanno trovato, altrimenti non avremmo vinto il campionato. Quando alla Juve arrivò Carlos Tevez sapevamo tutti che era un campione straordinario, ma arrivò da noi con una fama di ragazzo non proprio semplice da gestire. Ebbe un inizio un po’ complicato di adattamento, ma poi a un certo punto diventò il primo in tutto nel dare l’esempio. Con ciascuno bisogna trovare la chiave di accesso. Mi costa a volte anche incazzature forti ma va bene così. Guardo all’aspetto umano e all’obiettivo». Si è mai pentito di aver esagerato con qualcuno, di essere stato eccessivamente duro? «Il confronto duro se lo hai col singolo non è mai semplice. Non ho mai goduto di un rimprovero forte, se l’ho fatto è perché lo ritenevo necessario, rammaricandomi del fatto di non esser riuscito ad arrivare in un altro modo. Ci sono però delle situazioni in cui devono percepire che sono molto arrabbiato. L’ultima in questa stagione è successa con i ragazzi dopo la sconfitta a Como. Eravamo 1-1 all’intervallo, hanno vinto loro nel secondo tempo perché hanno avuto più fame. Beh, lì sono stato durissimo. Si può perdere ma non perché gli altri hanno più cattiveria, più ambizione». Qual è stata la partita in cui ha avuto la sensazione che poteva vincere lo scudetto? «Quella con l’Inter, recuperare lo svantaggio, rischiare di vincere. Dissi pubblicamente per la prima volta: “Se vogliamo, possiamo”. Era un messaggio per i miei ragazzi. Ci credevo, dovevano farlo anche loro. Poi nel calcio c’è sempre l’imponderabile. Il pareggio col Genoa ha rischiato seriamente di compromettere lo scudetto: il difensore centrale intercetta un passaggio filtrante nella sua metà campo, passa il pallone e inizia a girovagare nella nostra area, finisce al terzino sinistro che riesce a crossare nonostante io urli a Politano di impedire il cross, e il difensore Vásquez fa gol nonostante fosse in mezzo a tre nostri giocatori». Prima ha detto che le gambe sono l’ultima cosa… «Il calcio è gesti e situazioni memorizzate. Le prepari e le martelli migliaia di volte. Voglio che il mio giocatore giochi la partita prima ancora di giocarla veramente, riconosca in anticipo le situazioni. Perché ci sono cose inallenabili, quelle che accadono in campo. Ma se fai e rifai mille volte un gesto, sarai pronto. Questo metodo mi auguro possa essere di ispirazione in altri ambiti lavorativi, anche per implementare la propria leadership». Che di questi tempi è merce scarsa. «Essere esemplari, valorizzare le competenze specifiche con la volontà di spostare avanti i limiti, soprattutto quelli considerati insuperabili. Ma non esistono scorciatoie». L’allenatore oggi è un manager. Onori e oneri. «L’allenatore è il ruolo peggiore, si prende carico dei problemi di tutti. Gli viene consegnato un patrimonio dalla società: sta alla sua capacità farlo crescere, depauperarlo o lasciarlo così com’è. Non è semplice, non consiglierei alle persone a cui voglio bene di fare questo mestiere, la pressione se non sei forte ti consuma». È un uomo solo? «Odio stare solo ma so che le decisioni si prendono così. Lo staff però è importante, mi piace avere collaboratori che non siano compiacenti. Il confronto dev’essere leale, così può essere costruttivo. Ascolto tutti, poi tocca a me decidere». Come la decisione di restare a Napoli. O attribuisce a sua moglie Betta qualche merito? «La famiglia è un punto di riferimento ma certe scelte le faccio io. Mia moglie, mia figlia stanno molto bene a Napoli ed è un dato di fatto. Ma poi sono io che devo allenare tutti i giorni una squadra, loro non c’entrano nulla». A proposito com’è andata con De Laurentiis? «Nel nostro incontro ci siamo chiariti, parlare è stato fondamentale. Lui ha capito gli errori o comunque le situazioni che devono essere migliorate. Ho un contratto e il chiarimento è stato il punto chiave. Il resto sono state voci che hanno fatto male, non hanno tenuto conto di come sono fatto io». Lei ha scritto: «Chi si arrende in allenamento, si arrende in partita. Non odiare l’avversario ma la sconfitta. Ascoltare le persone ma non all’infinito. Ripetere, ripetere e ancora ripetere. Ciò che conta sono quelli che restano quando è difficile restare. L’allenamento comincia da come ti allacci le scarpette. In successione: esplora, studia, prova, sbaglia, correggi e naviga. Scorci di parole, utili per allenare e vincere cinque scudetti, centinaia di partite. Portare il Napoli allo scudetto numero quattro. Gestire campioni. Ma anche per molto, molto altro». Conte, le piace il suo libro? «Sì, mi rispecchia completamente. Un libro serio, autentico. Con parole mie senza citazioni. C’è il mio vissuto».
  19. https://x.com/BlastometroTW/status/1936006612671775066?t=Nr9LEYQiHciUrAuAuzSvrQ&s=19
  20. https://x.com/Lamantino22/status/1935461453009424544?t=rYHffJnzM5MSpe2wvZ8Bww&s=19
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