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andrea

Tifoso Juventus
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Tutti i contenuti di andrea

  1. https://x.com/a_crosta/status/1928720796261798148?t=6Ef685qeBPqxHEAnYDN7Ag&s=19
  2. La società non è minimamente interessata al Mondiale Lasciamo il posto al Napoli
  3. La stagione della Juve un po' di dati https://x.com/a_crosta/status/1927302255633449216?t=nTylsB-va3RGyhxhSWxjOA&s=19
  4. Miglior piazzamento in campionato il sesto posto con il Liverpool https://x.com/ngigneGra/status/1928393304166498414?t=sf-GCthM4INx6yNGlFgnww&s=19 Arrivare quarti sarà un'impresa
  5. Voglio vedere quanto tempo ci metteremo a scegliere l'allenatore
  6. Non e che il PSG è una squadra spagnola?
  7. andrea

    EL PENTAPLETE

    https://x.com/OptaAnalyst/status/1928403376611488045?t=kHuXMGJB1BYzoQtfT8jWrQ&s=19
  8. andrea

    Liam Brady

    Van de Korput https://ilnobilecalcio.it/2021/09/04/van-de-korput-il-suo-cognome-scateno-della-facile-ironia/
  9. Con questa società ectoplasmatica ci serviva Conte Adesso teniamoci Tudor, ma il problema è la società
  10. https://x.com/Swaffle_7/status/1928046627761078570?t=V2SifuQDGVzPQmkct3pG_Q&s=19
  11. «L’Heysel? Ho ancora i brividi Così all’alba con De Michelis riportammo a casa gli italiani» Brunetta: pensavo che Gianni fosse morto, poi quel volo con 80 feriti Di Gio­vanni Via­fora · 29 mag 2025 «Mi ven­gono ancora i bri­vidi. Pen­savo fosse un gioco di appun­ta­menti sal­tati, divenne l’ini­zio di un incubo». Renato Bru­netta, oggi pre­si­dente del Cnel, era a Bru­xel­les quel 29 mag­gio 1985, la notte della strage dell’hey­sel: 39 morti (32 ita­liani), 600 feriti. Una piaga mai rimar­gi­nata. Era con Gianni De Miche­lis, allora mini­stro del Lavoro. Pro­fes­sore, cosa face­vate là? «Era­vamo in città per il seme­stre euro­peo di pre­si­denza ita­liana. Gianni pre­sie­deva la riu­nione dei mini­stri del Lavoro. Io ero il suo con­si­gliere eco­no­mico. Una gior­nata intensa, poi c’era quella par­tita come diver­sivo. Io non sono un grande tifoso, ma sa...». De Miche­lis andò allo sta­dio prima di lei? «Sì. Finita la parte for­male, toc­cava a noi sherpa scri­vere il docu­mento finale in tre lin­gue. Gianni mi disse: “Vado, rag­giun­gimi al secondo tempo”. Io restai. Lavo­ra­vamo con il bian­chetto e la mac­china da scri­vere. Era un lavoro cer­to­sino, ma anche una rou­tine col­lau­data. Il clima era quello del dovere che si com­pie, al ser­vi­zio del pro­prio Paese». Poi? «Salgo in mac­china, la radio tra­smette noti­zie con­fuse. Vedo gente che corre per strada. Il tas­si­sta sug­ge­ri­sce di lasciar per­dere. Mi con­vinco: tanto la par­tita stava finendo. Ero affa­mato, andai al risto­rante. Dove­vamo tro­varci tutti lì dopo il match. Una tavo­lata pre­no­tata in un locale ele­gante del cen­tro, dove­vano esserci nomi impor­tanti: Kis­sin­ger, Agnelli, diplo­ma­tici, gior­na­li­sti. Nes­suno però arri­vava. Io, nell’attesa, divo­rai tutti i gris­sini, da solo». Quando ha capito che non era un semplice ritardo? «Alle 23.30, poi mez­za­notte, ancora niente. Torno in albergo, chiedo al por­tiere com’è finita la par­tita. E lui: “Ma si ver­go­gni, con quello che è suc­cesso!”. Lì capii. Rimasi pie­tri­fi­cato. Era tutto il giorno che non toc­cavo cibo, che non dor­mivo. In quel momento ho sen­tito la fatica più grande: quella della coscienza che si sve­glia bru­sca­mente». E De Michelis? «Nes­suna noti­zia. Provo a chia­marlo, nulla. Provo l’amba­sciata, nulla. Temo il peg­gio. Era l’epoca in cui non esi­ste­vano i cel­lu­lari. Verso le tre, tre e mezza, final­mente mi chiama. Anche lui era in ansia: pen­sava che fossi io il disperso. Ci abbrac­ciammo nell’arre­sto”. la hall dell’albergo. Era stra­volto, aveva gli occhi lucidi e il tono rotto». Che cosa le raccontò? «Che aveva visto tutto. Che si era tro­vato in mezzo a scene da incubo. Mi disse che a un certo punto, vedendo la poli­zia belga para­liz­zata, aveva ten­tato di dare ordini, indi­ca­zioni. Di aiu­tare. Ma un uffi­ciale lo minacciò: “O sta zitto o Allora si qua­li­ficò. Era Gianni: deciso, intel­li­gente, pronto all’azione. Non ho dubbi che così salvò delle vite. Molti tor­na­rono a casa anche gra­zie a lui». Nella sua ultima intervista prima di morire, rilasciata proprio al Corriere, Francesco Merloni di Ariston disse che si trovò negli spogliatoi con Boniperti e De Michelis. Boniperti non voleva giocare. «Ci fu un con­flitto. La gestione della poli­zia belga fu becera. La peg­giore poli­zia del mondo. E c’erano carenze spa­ven­tose in quello sta­dio». Come furono le ore dopo? «Duris­sime. Ci sve­gliammo all’alba. Gianni orga­nizzò subito un giro negli ospe­dali. Voleva vedere i feriti ita­liani, por­tare con­forto. Li ricordo come fosse ora: teste fasciate, occhi persi, corpi senza scarpe. La calca aveva strap­pato tutto. Alcuni ci guar­da­rono con rico­no­scenza, altri con dolore muto. Poi Gianni ebbe un’idea illu­mi­nante». Quale? «Era­vamo arri­vati a Bru­xel­les con un aereo mili­tare, che ci aspet­tava per il rien­tro. Disse: usia­molo per ripor­tare a casa i feriti che pos­sono viag­giare. Tanto noi era­vamo in tre. Fu tutto orga­niz­zato in poche ore. Arri­va­rono ambu­lanze, auto. Aiu­tammo a farli salire. Alcuni pian­ge­vano, altri sor­ri­de­vano. Era com­mo­vente. Lo staff di bordo fu ecce­zio­nale». Quante persone riusciste a riportare in Italia? «Set­tanta, forse ottanta. Tutti con garze sulla testa, pat­tine da aereo ai piedi, occhi lucidi. Sem­brava un pel­le­gri­nag­gio, non un volo. A bordo distri­buivo cara­melle e parole di con­forto. Atter­rammo in sequenza a Milano, Torino, Genova, Firenze, Roma. Credo anche Napoli. A ogni scalo, c’erano fami­glie ad aspet­tare». Una scena toc­cante... Ero il suo sherpa Di notte girammo gli ospedali a portare conforto. I tifosi erano scalzi e con la testa rotta «Indi­men­ti­ca­bile. Quando met­te­vamo piede a terra, c’erano abbracci silen­ziosi. Il dolore non faceva rumore, ma riem­piva tutto. Io ero esau­sto. E Gianni, invece? Una volta a Roma mi disse: “Ti porto a casa”. Lo rin­gra­ziai. Poi gli chiesi: “E tu?”. Rispose sereno: “Ho una cena”. Aveva ancora ener­gie. Un uomo straor­di­na­rio». Non ne avete mai più parlato? «Mai. Troppo il dolore. Un peso che ognuno ha por­tato in silen­zio. Era suc­cesso qual­cosa che andava oltre le parole. Una ferita col­let­tiva, ma anche pro­fon­da­mente per­so­nale». Che immagine le resta, dopo quarant’anni? «Un misto di buio e uma­nità. L’orrore e la rea­zione. La fol­lia e la soli­da­rietà. L’Hey­sel fu un trauma. Ma quella notte ci furono anche gesti lumi­nosi, gene­rosi, silen­ziosi. Con­servo il dolore di quelle ore. Ma anche l’orgo­glio di esserci stato. E di aver fatto, nel mio pic­colo, la cosa giu­sta». Ha più rivisto una partita? «No, mai. Un paio di mesi fa, invece, per la prima volta sono rien­trato in uno sta­dio. L’Olim­pico a Roma. Mi ci hanno por­tato a mar­gine di un evento. Ero io, da solo, nello sta­dio vuoto. Di una bel­lezza inim­ma­gi­na­bile».
  12. Le lezioni che ci può dare ancora l’Heysel · 24 mag 2025 Andrea Lorentini oggi è un collega, un giornalista sportivo. Figlio di Roberto, una delle vittime dell’Heysel e medaglia d’argento al valore civile per essere morto tentando di salvare un connazionale, e nipote di Otello, il quale fondò l’associazione tra le famiglie delle vittime di Bruxelles per affrontare il processo e ottenere giustizia dopo la strage dell’heysel. Nel 2015 ha rifondato l’associazione fra i Familiari delle Vittime dell’Heysel per più motivi. Difendere la memoria dei propri cari, troppo spesso offesi e vilipesi negli stadi e sui social media. Portare avanti progetti contro la violenza nello sport in scuole e università. Organizzare convegni, momenti di riflessione, giornate intorno al 29 maggio 1985 e alla strage dell’Heysel. “Uno spartiacque arrivato troppo presto. Quando ho perso mio padre avevo appena tre anni e quindi sono cresciuto, di fatto, orfano con tutte le conseguenze che ne possono derivare. Anche se avrò una gratitudine eterna per mia mamma e, soprattutto, per i miei nonni paterni, Otello e Liliana, per avere cresciuto me e mio fratello non facendoci pesare questa enorme assenza e garantendoci una vita sostanzialmente serena”. Perché nel 2015 hai deciso di (ri)fondare l’associazione fra i Familiari delle Vittime dell’heysel? “Per non disperdere l’eredità di Otello: il suo impegno civico nella lotta contro la violenza nello sport e quello per tenere viva la memoria delle vittime dell’Heysel in ogni sede, anche civile e penale. E sviluppare progetti di educazione civico-sportiva rivolti alle nuove generazioni per riempire di contenuti la memoria”. C'è un obiettivo non raggiunto cui tenevi particolarmente? “Una memoria condivisa con la Juventus. Ci abbiamo provato all’inizio del nostro percorso ad aprire un nuovo capitolo. Non ci siamo riusciti pienamente”. C’è un obiettivo ambizioso che cercherete di raggiungere in tutti i modi? “L’istituzione di una giornata nazionale contro la violenza nello sport”. Qual è stato, se c’è stato, il ruolo della Juventus nel processo di erudizione della memoria? “Come spiegavo prima, negli anni non ha avuto un ruolo proattivo come ci si poteva aspettare. Apprezzo, comunque, il fatto che la nuova società, nel quarantesimo anniversario, inaugurerà alla Continassa, in un luogo aperto al pubblico, un monumento in memoria dei 39 morti dell'Heysel" E la Figc? “Nell’ultimo decennio è stata presente. Nel 2015 abbiamo ritirato insieme all’associazione la maglia numero 39 della Nazionale con una cerimonia proprio allo stadio Heysel, oggi re Baldovino. Un gesto simbolico, ma di grande significato per testimoniare come quella triste pagina debba elevarsi a tragedia di un intero Paese. Nel 2024 quando gli azzurri sono tornati a giocare a Bruxelles hanno reso nuovamente omaggio alle vittime. Aggiungo che la maglia numero 39 è esposta al Museo del Calcio di Coverciano con il quale abbiamo attivato una fattiva collaborazione e per la quale ringrazio profondamente il presidente Matteo Marani, molto attento e sensibile alla memoria”. In quale preciso momento hai capito che (ri)fondare l’associazione fra i Familiari delle Vittime dell’heysel è stato fondamentale per raccogliere l’eredità della memoria? “Quando hanno iniziato a riconoscere l’associazione come un’entità istituzionale”. Gli inglesi, i tifosi del Liverpool in particolare, hanno sempre avuto un atteggiamento ambiguo su quello che è successo il 29 maggio 1985, dicendosi responsabili ma non colpevoli, cosa ne pensi? “Penso che sia un modo ipocrita di raccontare le cose. La responsabilità non è solo la loro, ma da condividere con Uefa e Belgio, però gli assassini materiali sono stati gli hooligans. Più colpevoli di così è difficile immaginarli”. Perché si confonde spesso la strage dell’Heysel con il tifo calcistico e a chi fa comodo? “Perché c’è poca conoscenza dei fatti e il pensiero comune e maggioritario è che le vittime fossero tutti tifosi juventini. Fa comodo a chi vuole usare l’Heysel come contrapposizione”. Da quali fake news devi difendere ciclicamente la memoria dell’Heysel? “Da quelle che parlano di vittime originate da scontri tra tifosi quando invece la dinamica di quello che è accaduto nel settore Z è fin troppo chiara”. Al di là dell’Heysel qual è l’eredità personale che ti ha trasmesso nonno Otello? “Il suo gesto di estremo altruismo è l’esempio più alto che potesse lasciarmi” “La speranza che la memoria trasmessa alle nuove generazioni serva per una convivenza civile migliore”.
  13. Juve, Milan, Inter, Napoli: chi resterà con il cerino in mano?
  14. Algoritmo e colpi Un uomo RedBird in bianconero F.d.v. · 28 mag 2025 Ottimizzazione del budget destinato al mercato, riduzione del monte ingaggi, valorizzazione dei giovani e incremento del brand. Così, secondo Damien Comolli, ex allenatore con un passato (fugacissimo) da giocatore ora presidente del Tolosa, ha costruito la sua carriera da manager puntando forti sui numeri. E con quelli evidentemente ha fatto breccia nella testa di John Elkann, che vorrebbe portarlo alla Juventus per riuscire finalmente a coniugare sostenibilità e competitività, lo slogan degli ultimi anni. «La mia ossessione è trovare un vantaggio competitivo sul mercato, che si ottiene usando i numeri quando reclutiamo giocatori e allenatori»: è la sintesi del Comolli-pensiero, nato a Beziers, nel sud della Francia, 52 anni fa. Al Tolosa, di cui è presidente dal 2020, ha conquistato una Ligue 2, una promozione e uno storico successo in Coppa di Francia (2023). Medaglie che l’estate scorsa lo hanno avvicinato al Milan come amministratore delegato, complice anche il legame con Gerry Cardinale, proprietario di RedBird, società che possiede rossoneri e Tolosa. Algoritmo e plusvalenze Comolli ha un’esperienza trentennale nel mondo del pallone, dove ha fatto un po’ di tutto: dagli inizi nel settore giovanile del Monaco (prima giocatore e poi allenatore) ai ruoli di osservatore e di direttore sportivo fino alla scalata manageriale con cui ha raggiunto la presidenza. All’Arsenal, oltre ad aver contribuito a tre titoli nazionali, ha impreziosito la rosa con giocatori come Kolo Touré ed Eboué. Al Tottenham ha portato Luka Modric mentre al Liverpool ha regalato Luis Suarez e Jordan Henderson. In quel periodo iniziò a introdurre l’uso delle statistiche nella scelta dei giocatori da acquistare. Una sorta di precursore del “Moneyball” nel calcio, l’algoritmo reso celebre dall’omonimo film ambientato nel baseball. Con Moneyball numeri, dati, caratteristiche individuali e storia dei giocatori vengono utilizzati per avere un modello di previsione che serve a stabilire chi siano i più adatti in base alle esigenze della squadra. Comolli negli anni ha realizzato ricche plusvalenze importanti attraverso le cessioni (da Elmas al Napoli a Muriqi alla Lazio) ed è diventato un guru dell’algoritmo, acquistando a poco e rivendendo a tanto. Il Tolosa non è la Juventus, dove tutto sarà più difficile, ma le sfide sono il suo pane.
  15. Caccia a Gyokeres, c’è anche la Juve È la prima alternativa al pallino Osimhen Capocannoniere in Portogallo le ultime due stagioni La punta del Napoli è reduce dai 36 gol con il Galatasaray, quella dello Sporting ha chiuso a 54 reti I bianconeri si vogliono regalare un grande bomber per il dopo Vlahovic grazie ai soldi garantiti dalla Champions Di Filippo Cor­nac­chia · 28 mag 2025 La Signora si vuole rega­lare un grande bom­ber con i soldi della Cham­pions. Alla Con­ti­nassa, forti degli almeno 60 milioni di premi Uefa garan­titi, ini­ziano la fase 2 della “cac­cia” con pro­getti ambi­ziosi. Per il post Dusan Vla­ho­vic, che non rin­nova (con­tratto in sca­denza nel 2026) e finirà sul mer­cato, ci sono due attac­canti seriali che stuz­zi­cano più di altri. Accanto al pal­lino Vic­tor Osi­m­hen, da mesi cor­teg­giato dal dt Cri­stiano Giun­toli, sale di posi­zione – e gra­di­mento – Vik­tor Gyo­ke­res. Il nige­riano del Napoli è reduce dai 36 gol segnati nel pre­stito al Gala­ta­sa­ray e lo sve­dese ha chiuso la sta­gione con lo Spor­ting da cam­pione di Por­to­gallo e con ben 54 reti in 52 pre­senze tra cam­pio­nato e Coppe. La con­cor­renza è altret­tanto nume­rosa e ricca: dai club inglesi a quelli arabi. La Juven­tus non si illude, ma intanto si è iscritta alla corsa per i due 26enni e ha comin­ciato a muo­vere i primi passi. Intrec­cio Osi­m­hen E in cima alla lista bian­co­nera dall’inverno. Quando alla Con­ti­nassa hanno capito che Vla­ho­vic non avrebbe pro­lun­gato il con­tratto al ribasso, Giun­toli si è messo in testa di riab­brac­ciare il bom­ber con cui aveva festeg­giato lo scu­detto a Napoli. Dopo un primo son­dag­gio a gen­naio, i con­tatti sono pro­se­guiti in maniera posi­tiva. Tanto che in tempi non sospetti la Juven­tus ha incas­sato una dispo­ni­bi­lità di mas­sima da parte della punta afri­cana, rien­trata al Napoli ma non per restarci. La clau­sola da 75 milioni vale sol­tanto per l’estero e Aure­lio De Lau­ren­tiis non è tipo da sconti, soprat­tutto alla Juven­tus. A mag­gior ragione se Anto­nio Conte dovesse lasciare i cam­pioni d’Ita­lia per tor­nare ad alle­nare i bian­co­neri. Il Napoli non esclude nulla, ma con­fida di mone­tiz­zare Osi­m­hen in Inghil­terra o in Ara­bia. I bian­co­neri sono con­sa­pe­voli del rischio, ma per il momento non mol­lano la presa sul nige­riano. Piut­to­sto pro­vano a tenersi aperta una via altret­tanto lus­suosa. L’incro­cio Osi­m­hen-Gyo­ke­res è una sorta di film già visto. La scorsa estate lo sve­dese era uno dei nomi più apprez­zati da Anto­nio Conte per il post Osi­m­hen a Napoli. Alla Con­ti­nassa sono andati oltre il sem­plice son­dag­gio per Gyo­ke­res e sulla carta l’ope­ra­zione non sarebbe tanto più costosa di quella per il nige­riano. Che numeri I numeri Gyo­ke­res ha una clau­sola da 100 milioni, ma per strap­parlo allo Spor­ting potreb­bero bastarne una set­tan­tina. E lo sti­pen­dio? Osi­m­hen gua­da­gna 11 milioni netti, ma può ancora usu­fruire degli sgravi fiscali del Decreto Cre­scita. Gyo­ke­res gua­da­gna molto meno e potrebbe accon­ten­tarsi di un sala­rio più basso di quello del nige­riano, che comun­que com­ples­si­va­mente cioè al lordo coste­rebbe meno di Vla­ho­vic (12 milioni netti, circa 24 lordi). Il prin­ci­pale osta­colo, nel caso del golea­dor dello Spor­ting, è rap­pre­sen­tato dalla con­cor­renza. L’Arse­nal ha inten­zione di inve­stire pesan­te­mente in attacco e ai primi posti della lista ha due nomi: Gyo­ke­res e Ben­ja­min Sesko del Lip­sia. In attesa di capire gli svi­luppi sul fronte Osi­m­hen e Gyo­ke­res, i bian­co­neri con­ti­nuano a moni­to­rare anche lo svin­co­lato di lusso Jona­than David (ex Lilla), su quale però è segna­lato in chiu­sura il Napoli scu­det­tato.
  16. https://x.com/Mellow87_/status/1927335505248534796?t=dfIhbwlCqximOOEopJN-bg&s=19
  17. Andiamo verso un Conte Bis Prima i poi Conte se andrà di nuovo, che vinca o no Secondo voi in futuro ci sarà un Conte Ter?
  18. Ricarica dall’Europa Juve, la Champions porta 80-90 milioni Il progetto continua di Marco Iaria · 27 mag 2025 Il pass porta una boccata d’ossigeno alla Signora E tre riscatti fruttano 27 milioni di plusvalenze La Juventus tira un sospiro di sollievo. Per lo spirito e per il portafoglio. La qualificazione alla Champions era la condizione irrinunciabile per il prosieguo del business plan 2024-27 che punta a raggiungere l’utile di bilancio entro il 30 giugno 2027. Il beneficio economico, che comprende i premi Uefa, il botteghino e i bonus degli sponsor, si può quantificare in 80-90 milioni, ridotti a circa 60 in caso di partecipazione all’Europa League. Occhio, non si tratta di risorse aggiuntive perché i bianconeri hanno già goduto quest’anno di un tale livello di entrate, un filo più basso per il mancato accesso agli ottavi che è l’altra assunzione sportiva del piano industriale. L’esito del campionato, però, fa sì che quei ricavi non evaporino. Sarebbe stato un grave danno per i conti della Juve. L’esercizio 2025-26, quindi, potrà ancora fare perno su un fatturato caratteristico superiore ai 400 milioni, incrementato dai nuovi accordi di jersey sponsorship: 25-30 milioni tra Jeep e Visit Detroit. Quanto al bilancio di questa stagione, sempre domenica la Juve si è ritrovata un bel regalo: la qualificazione in Conference della Fiorentina ha fatto scattare il riscatto di Fagioli, fissato a 13,5 milioni. Grazie anche agli altri due riscatti definiti dalla classifica finale della Serie A (Rovella e Pellegrini da parte della Lazio), il club torinese potrà registrare plusvalenze aggiuntive per 27 milioni. Mercato La certezza della Champions chiarisce anche la portata della prossima campagna trasferimenti. Le cessioni non mancheranno, perché il player trading resta una leva da utilizzare per la sostenibilità economico-finanziaria. Basti pensare che nel 2024-25, comprese le tre operazioni citate prima, i proventi da calciomercato ammontano a un centinaio di milioni. Ma non saranno necessari sacrifici pesanti. E si potrà continuare a investire in modo prospettico, a patto di rispettare lo “squad cost ratio” (il rapporto tra costi della rosa e fatturato, fissato al 70% dall’Uefa per l’anno solare 2025). La stellina Yildiz era stata già blindata da John Elkann con la manovra varata dopo l’esonero di Thiago Motta. A fine marzo l’azionista di maggioranza Exor ha versato 15 milioni, con un’eventuale integrazione fino a 110 milioni, nell’ambito di un aumento di capitale riservato a investitori istituzionali/qualificati, da determinare alla fine dell’estate, «al fine di tenere in considerazione, in particolare, l’impatto delle performance sportive in Serie A e nella Fifa Club World Cup, oltre che della campagna trasferimenti estiva». Patrimonio La prima variabile si è risolta in senso positivo. Con la partecipazione alla Champions 2025-26, in linea teorica, potrebbero non servire altre risorse nell’immediato, a meno che le operazioni di mercato e il cammino al Mondiale per club siano inferiori alle previsioni (gli amministratori si aspettano almeno il superamento del girone nella competizione che scatterà a metà giugno negli Stati Uniti). Va detto, comunque, che il cda ha la facoltà di valutare rafforzamenti patrimoniali anche non “necessari”, ma molto prudenziali e volti, per esempio, a ridurre in modo strutturale l’indebitamento, accelerando il processo già previsto dal piano. Insomma, l’aumento di capitale (tecnicamente un Abb) dovrebbe esserci, anche se di importo inferiore al massimale. Exor si è detta disponibile a coprire integralmente la ricapitalizzazione, ma verranno consultati anche i soci di minoranza qualificata, cioè il fondo Lindsell e la società di criptovalute Tether per sondare una loro adesione.
  19. Perché il divorzio tra Conte e Adl deve essere benedetto dal Papa
  20. andrea

    Liam Brady

    Di G.B. Olivero · 24 mag 2025 Si finisce sempre lì, su quel dischetto. Dici Liam Brady e pensi al rigore di Catanzaro, la seconda stella della Juve libera di brillare grazie al tiro glaciale di un campione consapevole di dover lasciare posto e maglia a un fuoriclasse, Michel Platini. Si finisce sempre lì e non è giusto, perché Brady è stato molto altro: regista raffinato dal sinistro morbido e affilato, uomo-squadra, autore della rete decisiva per l’unica vittoria dell’Irlanda contro il Brasile. Ma lui stesso, sorridente e gentile, sa che quel dischetto è il pianeta attorno al quale è girata la sua carriera: «Certo, se ne parla ancora adesso. Ma mi lasci dire una cosa: non sono contento di essere ricordato soprattutto per quel rigore. Nella Juve ho fatto tante belle cose, conquistammo due scudetti, segnai in due derby vinti, il secondo dei quali in rimonta da 0-2 a 4-2 con una doppietta di Scirea: Gaetano, persona stupenda e giocatore immenso. Mi viene in mente una partita fantastica contro l’Inter campione d’Italia: 2-1, segnai e poi feci l’assist a Gaetano. Ricordi meravigliosi. E poi... io quel rigore di Catanzaro nemmeno dovevo tirarlo». ▶Scusi? «Le racconto tutto. Ci giochiamo il campionato punto a punto con la Fiorentina. A quattro giornate dalla fine battiamo l’Inter grazie a un mio rigore. Il mercoledì seguente mi telefona un agente inglese e mi avvisa che la Juve ha già preso Platini. Dopo l’allenamento parlo con Trapattoni che mi assicura di non sapere nulla, ma capisco che non mi ha detto la verità perché è in difficoltà. Un’ora e mezza dopo, ricevo una telefonata dalla sede dove vengo convocato da Boniperti che mi spiega cosa sta succedendo. Penso che la società avrebbe voluto tenere tutto segreto fino a fine stagione, ma le voci girano sempre». ▶Quale fu la sua reazione? «Dico al presidente che non avrei più giocato: eravamo campioni in carica e in corsa per il bis, pensavo di meritare la conferma. Torno a casa e racconto tutto a mia moglie, compresa la decisione di non disputare gli ultimi tre incontri. Sono lei e Boniperti a farmi ragionare, a convincermi. Mi fanno capire che l’uomo è più importante del calciatore, che chiudere con un altro scudetto mi avrebbe regalato una gioia immensa: una soddisfazione così forte che mi sarebbe rimasta dentro per tutta la vita. Avevano ragione. Il giorno dopo comunico a Trapattoni la mia disponibilità e lui risponde che mi farà giocare ma preferisce che io non tiri eventuali rigori. A me va bene, anche perché la responsabilità sarebbe grande. Nella partita seguente ci sarebbe stato il rientro di Paolo Rossi dopo la lunga squalifica e anche altri compagni avrebbero potuto cal­ciare dal dischetto». ▶Poi, però, a Catan­zaro... «Tutto molto natu­rale. Maroc­chino crossa, Rossi prende il palo di testa, Fanna tira, un difen­sore (Cele­stini, ndr) salva sulla linea con la mano e la palla, men­tre l’arbi­tro fischia il rigore, rim­bal­zando arriva diret­ta­mente nelle mie mani. L’assist del destino. Fanna esulta, Tar­delli e Sci­rea lo abbrac­ciano, Rossi viene verso di me e mi fa l’occhio­lino. Io devo solo bat­tere. Un avver­sa­rio (Bra­glia, ndr )fa un paio di buche nel ter­reno attorno al dischetto, ma non mi disturba: penso solo a segnare. Quel gol regala alla Juve il 20° scu­detto». ▶E a lei l’amore perenne del popolo bian­co­nero. «Ho fatto solo il mio lavoro. Avevo un grande fee­ling con il club e con i tifosi. Quello è stato il modo migliore per sug­gel­larlo per sem­pre». ▶Che rapporto aveva con Agnelli e Boniperti? «L’Avvo­cato (testuale, ndr) lo incon­trai poche volte. Con Boni­perti, invece, avevo fre­quenti con­tatti: era un pre­si­dente mera­vi­glioso. Ci par­lava sem­pre prima delle par­tite. Capiva la men­ta­lità dei gio­ca­tori e mi spiegò bene cosa signi­fi­casse stare nella Juve». ▶Prima della Juve c’era stato l’Arse­nal. «Lasciai casa a 16 anni per pro­vare a diven­tare un pro­fes­sio­ni­sta. A 17 anni debuttai nell’Arsenal anni debut­tai in prima squa­dra. Ero lon­tano dalla mia fami­glia, ma stavo bene. Ricordo la semi­fi­nale con­tro la Juve in Coppa delle Coppe nel 1979-80: ad High­bury era finita 1-1, a Torino con lo 0-0 sareb­bero pas­sati i bian­co­neri. Negli ultimi minuti il nostro alle­na­tore inserì un attac­cante 18enne, Paul Vaes­sen, per cer­care il gol della qua­li­fi­ca­zione e pro­prio lui segnò di testa all’87’. Poi per­demmo la finale con il Valen­cia ai rigori: sba­gliò Kem­pes per loro, sba­gliai io e alla fine vin­sero gli spa­gnoli. L’Arse­nal giocò meglio, il Valen­cia pensò solo a difen­dersi, ma poi si prese la coppa. Il dispia­cere fu enorme anche per­ché quella per me fu l’unica occa­sione per vin­cere un tro­feo euro­peo. Quelle sfide con la Juve indi­riz­za­rono pro­ba­bil­mente il mio futuro, per­ché fu quasi un esame: io gio­cai molto bene. Erano le set­ti­mane in cui il club stava cer­cando uno stra­niero da com­prare dopo l’aper­tura delle fron­tiere. Io facevo parte della lista, ma non credo che fossi il pre­fe­rito: ce n’erano tanti altri che pro­va­rono a pren­dere prima di me, senza riu­scirci. Come Pla­tini. E così nell’estate del 1980 arri­vai io». Dopo la Juve ci furono Sampdoria, Inter e Ascoli. «A Genova ho cono­sciuto un altro grande pre­si­dente come Paolo Man­to­vani e tanti amici. Lasciai la Samp per l’Inter solo per­ché volevo respi­rare di nuovo l’atmo­sfera di un grande club. Ad Ascoli sono stato bene ma... era un’altra cosa». Adesso cosa fa? «Mi godo la fami­glia e gioco a golf tre o quat­tro volte alla set­ti­mana. Ma si fidi: ero più bravo a cal­cio. Drib­bling, visione di gioco, pas­saggi pre­cisi, tiri da fuori. Però Pla­tini era migliore di me: la Juve non sba­gliò quella scelta».
  21. https://x.com/RidTheRock/status/1926686416462893567?t=HWAcP7URX9oX1-z7k4N8uA&s=19
  22. andrea

    EL PENTAPLETE

    Se vince la Champions non potrà fare di meglio Se la perde lo massacreranno
  23. A me sembra il Mundialito https://it.m.wikipedia.org/wiki/Mundialito_per_club
  24. Il Toro con la Roma si è scansato, a proposito di parti invertite
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