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vanpeebles

Tifoso Juventus
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  1. L'arbitro ha già fatto capire quale risultato vorrebbe. Nel secondo tempo provvederà.
  2. Comunque questa stagione, con il Milan, la Fiorentina, il Napoli in queste condizioni, alla fine potrebbe darci qualche discreta soddisfazione. Senza contare Genoa e Samp in rampa di lancio per la B...
  3. L'entusiasmo dell'arbitro quando ha fischiato il rigore contro di noi spiega la partita e probabilmente tutto il campionato.
  4. Secondo me il problema maggiore non è nemmeno rigore sì/rigore no, e infatti anche qui ne stiamo discutendo da due giorni. Il problema è la gestione "oculata" della gara: per tutto il primo tempo quelli hanno menato impunemente e alla fine l'unica ammonizione... l'ha presa Alex Sandro (per carità, giusta a termini di regolamento, ma dopo tutti quei falli non sanzionati, a volte nemmeno fischiati, puzza un po'). Il fallo sistematico sulle nostre ripartenze e ogni volta che saltavamo l'uomo non è mai stato punito, quindi è stato incoraggiato. Questo ha consentito ai cartonati di arginare i nostri nei momenti di difficoltà senza pagare dazio. Comoda la vita così... A fine partita poi, a giochi fatti, arriva la prima ammonizione per loro, tanto per sistemare il referto e poter dire "ma io ho sanzionato il gioco duro, di chiunque!" Infine, la conferma: tutto il giornalame entusiasta della perfetta direzione arbitrale. In effetti è stato perfetto: ha tenuto la partita in equilibrio senza farlo notare troppo. Con un arbitro quelli erano in 10 già nel primo tempo.
  5. Ieri sera mi sono divertito, e da un po' non mi succedeva. Però. Però, dopo la partita, mi è toccato pensare che per una bella stagione, soprattutto in Europa, ci vorrebbe che un po' troppe cose andassero a posto: 1) che Danilo facesse un po' meno cappellate del solito 2) che Alex Sandro non si rompesse, perché non abbiamo un cambio 3) che De Ligt crescesse 4) che Rabiot e Ramsey si inserissero al meglio 5) che Douglas Costa facesse almeno 20 partite a buon livello (cosa mai successa negli anni scorsi) 6) che Higuain, a questa età e in queste condizioni, facesse la stagione della vita. Tutto questo, sperando che Cristiano non prenda nemmeno un raffreddore. Non so, a questo punto il gioco mi sembra il minore dei nostri problemi. Scusate la botta di pessimismo cosmico.
  6. In due partite e mezzo, due gol regolari annullati col VAR, un'espulsione, due ammonizioni inventate e un rigore osceno. Ci trattano peggio del Frosinone.
  7. Anche peggio, Letta ha fatto il 3,1% e gli hanno abbuonato un po' di debito per le banche.
  8. Che buffo, è la stessa cosa che ci è capitata con Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, per restare agli ultimi della lista. E anche loro ne hanno presi di muri, e anche lì ne hanno sfasciate di teste. Basta guardarsi in giro. Eppure il panico vi prende solo ora, prima andava tutto bene. Quella cosa in cui a volte vinci e a volte perdi, e si decide a maggioranza anche per quelli che hanno perso, si chiama democrazia. Non c'entra niente con l'aver ragione. Come disse una volta De Gaulle "Lei è in minoranza, dunque ha torto". L'alternativa è il colpo di stato.
  9. Beh, avremmo dimezzato il rapporto debito/PIL
  10. Non conosco questo Lops né sono competente in materia, ma è un'intervista al presunto inventore della soglia, pubblicata dal Sole 24 ore. Quindi non è più attendibile nemmeno quel giornale.
  11. Qui c'è l'ultimo DEF Gentiloni. Si noti che prevedeva lo 0,8%, ottenuto essenzialmente aumentando il prelievo fiscale (v. andamento imposte dirette e indirette) e mantenendo fermi gli investimenti a fronte della crescita della spesa corrente.
  12. Beh, qui forse dà ragione un po' a tutti e due fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-01-29/parla-inventore-formula-3percento-deficitpil-parametro-deciso-meno-un-ora-102114.shtml?uuid=ABJHQ0s Parla l'inventore della formula del 3% sul deficit/Pil: «Parametro deciso in meno di un'ora, senza basi teoriche» di Vito Lops29 gennaio 2014Commenti (30) «La decisione di abolire l'Imu sulla prima casa va nella direzione opposta alle raccomandazioni» diceva lo scorso settembre il commissario europeo Olli Rehn intervenuto alla Camera aggiugendo che «se i piani di bilancio dell'Italia non risulteranno in linea con gli impegni presi con l'Ue, la Commissione ha il dovere di chiedere correzioni». Messaggio chiarissimo con altrettanto netto riferimento ai rischi di sforamento del paletto del 3% sul deficit/Pil, proprio quando l'Italia era appena uscita dalla procedura d'infrazione. Un mese dopo, dato che le stime indicavano uno sforamento di uno o due decimi (3,1-3,2%) l'Italia è stata "costretta" ad aumentare l'Iva dal 21 al 22%, nonostante uno scenario di consumi calanti e nonostante questi rappresentino a tutt'oggi la prima voce del Prodotto interno lordo. Ancora una volta è caduta la scure del parametro deficit/Pil che non può superare il 3%. Ma da dove nasce questo paletto che oggi condiziona più di ogni altro l'attività di governo (certo molto di più di quello sul debito/Pil al 60% a giudicare dal recente upgrade di Moody's sull'Irlanda pur in presenza di un debito/Pil balzato nell'ultimo anno al 121%)?. Il quotidiano tedesco «Frankfurter Allgemeine Zeitung» e prima ancora il francese «Aujourd'hui en France -Le Parisien» hanno svelato l'arcano, poi ripreso anche da molti blog. La soglia del 3% sul deficit/Pil è stata elaborata negli anni '80 da un sconosciuto funzionario del governo di François Mitterand: Guy Abeille, ai tempi non ancora trentenne. La storia è andata così. Dopo la vittoria alle elezioni del 1981 in Francia i socialisti guidati da Mitterand per mantenere le costose promesse elettorali avevano portato il deficit da 50 a 95 miliardi di franchi. Per "darsi una regolata" Mitterrand incaricò Pierre Bilger, a quel tempo vice direttore del dipartimento del Bilancio al ministero delle Finanze di implementare una regola per evitare spese pubbliche all'impazzata. Bilger contattò due giovani esperti che avevano una formazione economica e matematica all'Ensae: Roland de Villepin, un cugino del futuro primo ministro Dominique de Villepin e Guy Abeille. Sarà quest'ultimo ad elaborare il paletto del 3% sul Pil, nato però, per sua stessa ammissione, senza alcuna base scientifica: «Prendemmo in considerazione i 100 miliardi del deficit pubblico di allora. Corrispondevano al 2,6 % del Pil. Ci siamo detti: un 1% di deficit sarebbe troppo difficile e irraggiungibile. Il 2% metterebbe il governo sotto troppa pressione. Siamo così arrivati al 3%. Nasceva dalle circostanze, senza un'analisi teorica». Aujourd'hui en France Le Parisien rivela un altro virgolettato di Abeille: «Abbiamo stabilito la cifra del 3 per cento in meno di un'ora. È nata su un tavolo, senza alcuna riflessione teorica. Mitterrand aveva bisogno di una regola facile da opporre ai ministri che si presentavano nel suo ufficio a chiedere denaro […]. Avevamo bisogno di qualcosa di semplice. Tre per cento? È un buon numero, un numero storico che fa pensare alla trinità». Sperimentato in Francia questo paletto resse nel corso degli anni '80, ad eccezione del 1986, anno in cui il governo spese a deficit di più. A dicembre 1991 quella regola entrò fu promossa da "francese" ad "europea" ed entrò a pieno titolo nei parametri di Maastricht. Secondo quanto documenta la Faz l'allora Ministro delle Finanze tedesco Theo Waigel ha svelato come Trichet convinse la Germania a dare l'ok al paletto del 3%: «Il livello di indebitamento europeo all'inizio degli anni '90 era pari a circa il 60% del Pil. La crescita nominale era circa il 5%, e l'inflazione al 2%. In questa situazione i debiti potevano crescere al massimo di un 3 % all'anno, per non superare la soglia del 60%». Ma perché proprio il 3%, e non il 2,5 % o il 3,5 % o il 4%? «Economicamente è difficile da giustificare», disse una volta l'ex presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer, mentre osservava da vicino la nascita del criterio. L'ex governatore della Bce, Jean-Claude Trichet ha però aggiunto a posteriori che il 3% è un parametro troppo favorevole perché basato l'assunto di una crescita al 5%. «Purtroppo era troppo ottimista, come sappiamo oggi.Avremmo dovuto fissare dei limiti all'indebitamento più bassi, perché la crescita è stata inferiore». Il "padre della regola" che è diventato l'incubo di mezza Europa oggi ha 62 anni, e assiste agli sviluppi con un certo divertimento: «Non l'avremmo mai immaginato». Tuttavia è rimasto un sostenitore della disciplina di bilancio. Le Parisien sottolinea che «l'ironia della storia è che i tecnocrati di Bruxelles si sono ispirati a questo famoso 3 per cento anche per creare un'altra regola iscritta nel nuovo trattato di bilancio europeo e altrettanto falsamente cartesiana, quella che obbliga a limitare il deficit strutturale degli Stati allo 0,5 per cento. Perché non l'1 o il 2 per cento? Nessuno lo sa». La pensa così, oggi, lo stesso Abeille che considera alquanto utopici i calcoli sul deficit strutturale, al momento di gran moda, che ignorano l'impatto congiunturale. Insomma, che Rehn lo sappia o meno, appare chiaro che la scienza fu messa in secondo piano nei palazzi di Maastricht al momento di decidere la nuova architrave europea che detta ancora oggi la linea.
  13. ci stiamo preparando festanti e gioiosi ad uno scenario più cruento, sto giro e siete anche in buona compagnia... auguri
  14. fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/non-ne-posso-piu-la-maglietta-rossa-e-limpotenza-della-sinistra/ Non ne posso più. La maglietta rossa e l'impotenza della sinistra di Angelo d’Orsi Indosserò domani 7 luglio la maglietta rossa d’ordinanza, contro razzismo, sciovinismo e salvinismo, ma mi si lasci dire che non ne posso più. Non ne posso più della nostra impotenza. Mi sono stufato, per esprimere la nostra opposizione (politica, sociale, culturale, etica) a magliette, scarpe, bandiere; mi sono stufato di assistere – inizialmente perplesso, poi attonito, infine sgomento –, alla trasformazione della lotta politica in mera simbologia, che sembra rinviare più alla moda che alla critica, frutto di passività e inerzia, più che segno di volontà di riscossa. Mi sono stufato di imbattermi nella parola “populismo”, chiave di volta universale che ormai non apre più nessuna porta, concetto che non spiega nulla, così come viene declinato. Renzi era (è) meno populista di Salvini e Di Maio? Per non parlare di Berlusconi… Mi sono stufato di sentirmi dire che i leghisti sono fascisti, ma senza mai che nessuno mi spieghi perché non soltanto il vituperato sottoproletariato e l’odiosa “vecchia piccola borghesia”, ma la stessa classe operaia li votino. Mi sono stufato della ripetizione del grido “Razzisti!” rivolto agli stessi, ma poi nessuno mi fa capire perché al Sud ricoperto di ingiurie e minacce dagli stessi leghisti nel corso degli anni, proprio gli uomini e le donne di quel partito, vengano votati. Mi sono stufato persino di vedere insultato Salvini (che fa schifo al punto che dovremmo smettere di dedicargli battute e disegni, che servono a noi da sfogatoio, mentre lui si compiace della popolarità che i social, oltre ai media, gli hanno costruito), quasi che la sua politica in fatto di migrazioni sia molto diversa da quella di Minniti, lessico, volgarità e sgangheratezze a parte. Mi sono stufato di coloro che rispondono all’accusa stolta e meschina di “buonismo” (parola che nulla spiega e nulla dice) rivendicandola con orgoglio, invece di urlare che si tratta di una assoluta cretinata, degna della signora Santanché, e miserabili sodali. Mi sono stufato di vedere rivendicare come repertorio politico la serie di parole consunte quali accoglienza, solidarietà, umanità eccetera: nella nostra bocca non suonano meno scontate e stonate che sulla bocca degli avversari; e soprattutto non ci fanno fare un passo avanti nella costruzione dell’alternativa radicale alla linea che ci ha condotto all’attuale Caporetto. Mi sono stufato di leggere che l’1,1% della lista “Potere al Popolo” il 4 marzo 2018 è stato un successo. Non ne posso più di coloro che a sinistra spiegano la sconfitta con la cattiveria altrui, non ne posso più della rinuncia programmatica all’autocritica, non ne posso più di sentir dire che è colpa degli altri quando perdiamo. Non ne posso più del silenzio sulla sconfitta epocale che la sinistra ha vissuto e sta vivendo da troppi anni. Mi sono stufato della mancanza di analisi sulle cause interne di quella sconfitta, sui nostri deficit e sui nostri errori. Mi sono stufato della faciloneria con cui vengono liquidati i vincitori di oggi (leghisti e cinquestelle), rinunciando persino a guardare da vicino i due movimenti, per la paura di sporcarsi le mani, rifiutandosi di distinguere, ma accontentandosi di condannare, in modo semplicistico, e alla fin fine, cretino. Mi sono stufato di leggere (e, ahimè, temo anche scrivere) testi nei quali si percepisce rabbia, sdegno, ribrezzo, persino, invece che analisi concrete e proposte realistiche; mi sono stufato delle ripetizioni pappagallesche e autoconsolatorie che nulla ci dicono del successo M5S e Lega, e della sconfitta di PaP, e di come uscire dal pelago in cui siamo finiti, e con noi l’Italia. Mi sono stufato anche di vignette e barzellette. Sono il segno di una impotenza da cui non solo non sappiamo ma chissà, neppure vogliamo uscire. Sono il nostro “ius murmurandi”. In fondo questa impotenza è comoda e protettiva, e ci ritroviamo, sempre meno, ma persuasi che siamo i migliori, i più belli, i più intelligenti mentre gli altri, i nostri avversari, sono brutti sporchi e cattivi. E se vincono è colpa del popolo che nulla capisce, alla fin fine. Ma a quello stesso popolo noi ci appelliamo, e crediamo persino di conoscerlo meglio di coloro che fanno il pieno nelle piazze e nelle urne. Indosserò la mia maglietta rossa d’ordinanza domani. Ma non ne posso più della nostra impotenza. Essa non è soltanto frutto del destino, ma innanzi tutto dei nostri errori. (6 luglio 2018)
  15. Che tra l'altro, a parte il concetto di base, non tornano proprio i dati: ASPI fattura meno di 6 mld, come fa a pagarne 9 di tasse? L'utile dell'anno scorso è stato di 1 mld, la concessione gli costa meno di 400mln...
  16. Mi sembra però che le cose non siano chiarissime nemmeno a chi ha scritto quell'articolo. Queste le conclusioni: Non risultano “penali” in senso stretto per l’Italia nel caso in cui decida di uscire dal progetto TAV. Roma dovrebbe però restituire un finanziamento europeo di oltre 800 milioni di euro, che non potrebbe usare per altri scopi. In questo caso però non spenderebbe nemmeno i fondi italiani necessari, insieme a quelli europei, per il completamento dell’opera. Il problema maggiore dunque è quello dei possibili risarcimenti che Francia e Unione europea potrebbero chiedere all’Italia se questa uscisse unilateralmente dalla TAV: un miliardo abbondante di euro, che questi due attori hanno già speso per le opere preliminari (senza contare i 350 milioni spesi dall’Italia, “inutilmente” a quel punto). Qui invece il ragionamento fatto (da un consulente dei No-TAV) è più complicato Fonte: https://altreconomia.it/tav/ Come sono ripartite le spese? AP Dunque, quelle previste ammontano a 8,6 miliardi per il Tunnel di Base, più le tratte nazionali che possiamo stimare a 4,4 per l’Italia, più 2 miliardi, causati da una variazione al progetto che ha fatto ricadere sulla tratta nazionale italiana un pezzo di quella frontaliera. La Corte dei Conti francese ha stimato, nel 2012, un costo totale dell’opera pari a 26,1 miliardi di euro, quindi con una spesa per la Francia di 11 miliardi.Ma è importante dire che dei 57,5 chilometri solo 12,5 sono in Italia e il resto ricade sul territorio francese, ma le spese sono ripartite al 58% all’Italia e 42% alla Francia. Perché nei primi accordi nel 2004 la Francia si lasciò convincere solo a fronte della promessa italiana di sostenere la quota maggiore delle spese. L’Europa come partecipa? AP La partecipazione definitiva alle spese da parte dell’Europa non è ancora stata deliberata. Sarà oggetto di discussione dopo il 2020 e potrà arrivare al massimo a coprire il 40% sul costo del solo Tunnel di Base, meno del 13% sull’intera Torino-Lione. Inoltre, la società italofrancese titolare dei lavori, Telt, deve essere in grado di rispettare gli impegni presi. Nel periodo 2007-2013 la Commissione europea ha revocato oltre 270 milioni di euro di contributi alla Torino-Lione a causa del notevole ritardo dovuto a difficoltà amministrative e tecniche. In ogni caso, anche nell'ipotesi peggiore, va calcolato un risparmio di circa 15 miliardi.
  17. Peggio... fonte: http://www.itasportpress.it/calcio/saviano-nel-calcio-ce-monnezza-scudetto-nessun-dubbio-vincera-il-napoli/ CALCIO 17 ottobre 2017 - 13:30 Saviano: “Nel calcio c’è monnezza. Scudetto? Nessun dubbio, vincerà il Napoli” “Il Napoli per me è una religione” di Redazione ITASportPress “Nel calcio c’è monnezza”. Comincia così l’intervista che Roberto Saviano ha rilasciato ai microfoni di Radio Kiss Kiss Napoli. Il 38enne di Napoli, noto per aver scritto il romanzo Gomorra, ha anche detto la sua sul Napoli, squadra per cui fa il tifo: “Il Napoli calcio per me è una religione. Scudetto? Nessun dubbio, quest’anno lo vinciamo. Se non lo vinciamo mi sono rovinato con questa dichiarazione, ma lo ribadisco: lo scudetto sarà nostro”.
  18. Hai ragione, eccolo http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/07/04/ronaldo-juventus/
  19. Ormai ci ragiona sopra anche il sole24ore http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/07/04/ronaldo-juventus/ Ronaldo alla Juventus è un’operazione che sta in piedi? Facciamo due conti scritto da Leonardo Dorini il 04 Luglio 2018 VENDERE E COMPRARE In un post di qualche tempo fa ci chiedevamo se fosse vero che la finanza generi mostri; cercavamo di fare un po’ il punto sull’ammodernamento in corso dell’industria calcistica e di comprendere se un settore così refrattario a essere ricondotto a principi basilari dell’economia aziendale (la programmazione, l’efficienza, la misurabilità dei fenomeni aziendali) potesse invece essere riabilitato agli occhi di possibili investitori. Le conclusioni erano incoraggianti, grazie a varie dinamiche, per la verità un po’ contradditorie, che da alcuni anni si stanno facendo strada: sì, anche il calcio può essere un settore in cui investire, concludevamo. Ebbene, ecco che la cronaca si è incaricata di fornirci un caso di scuola su cui esercitarci; in un sonnacchioso pomeriggio di fine giugno il sito Juventibus lancia un’indiscrezione: a margine dell’affare Cancelo, la Juve sta trattando per l’approdo a Torino di Cristiano Ronaldo, la stella che da diversi anni si contende con Messi il podio più alto nell’olimpo calcistico, a suon di gol, trofei e palloni d’oro. Da quel momento è stato un crescendo di indiscrezioni ed ormai ne parlano tutti i giornali, italiani e stranieri: Ronaldo potrebbe approdare alla Juventus. Non sappiamo come andrà a finire e non sappiamo quanto di vero ci sia in tutte queste notizie; il “calcio mercato” è sicuramente uno degli elementi più peculiari di questo strano mondo dell’industria calcistica: è con il calcio mercato che le squadre creano la propria “forza produttiva”, i giocatori sono i “macchinari” per fare i propri fatturati; e la gestione del parco giocatori, nelle sue componenti di costo e di ricavo, è senza dubbio una delle aree da possono derivare importanti componenti di reddito (si pensi alla famosa cessione di Paul Pogba, che portò alla Juve una lauta plusvalenza nello scorso bilancio). Ma veniamo a questa possibile operazione, una vera e propria “esercitazione sul campo” per chi voglia vedere all’opera i meccanismi di funzionamento della finanza applicata al calcio. Si parla di un’”operazione da 500 milioni”, ma è importante spacchettare il tutto e guardare ad essa con un maggiore grado di analisi: Il giocatore dovrebbe percepire uno stipendio fra i 30 ed i 40 milioni annui netti; poniamo 35, il che porta il costo annuo per il Club in un intorno di 70; a questo costo annuo andrà aggiunto il costo del cartellino del portoghese: pare che la clausola rescissoria da un miliardo possa essere derogata e le voci parlano di un valore di 100 milioni; se si arrivasse a 150, inclusi i costi accessori (gli agenti, nel calcio, si fanno pagare di più che nel mondo immobiliare…), con un contratto quadriennale, ecco che l’impatto degli ammortamenti dovrebbe ammontare a 37,5 milioni annui; il che collocherebbe, sotto queste ipotesi, in un intorno di 100 milioni il costo annuo a conto economico dell’operazione Ronaldo. Ma un Club che si mette a conto economico 100 milioni per più anni come pensa di poter recuperare ricavi per almeno 101 ogni anno e quindi di avere un qualche profitto dall’operazione? Qui il discorso diventa complicato, ma anche interessante; nel pezzo che abbiamo citato, abbiamo enfatizzato molto due aspetti della gestione tipica del Club calcistico: il primo è che il valore di un Club è quello del suo marchio, cioè della capacità di attirare ricavi; la Juventus è sicuramente fra i primi 10, forse 5, marchi al mondo; proprio in questi giorni, purtroppo, si assiste alla caduta di un altro importante brand, quello del Milan, proprio per la incapacità di generare flussi certi e costanti di ricavi. Il secondo aspetto che abbiamo messo in evidenza è quello dell’allargarsi – anche in Italia – del novero dei possibili ricavi derivanti dallo sfruttamento dei propri assets: non più solo diritti televisivi, ma anche Stadio, merchandising, licensing, sponsorizzazioni. Allora proviamo a fare i conti in tasca di questa operazione: la Juve fattura poco meno di 100 milioni fra sponsorizzazioni e merchandising; il Real Madrid (dato tifosobilanciato.it) fattura oltre 2.5 volte questo importo; in merito, sempre il sito Juventibus, forse gettando il cuore del tifo oltre l’ostacolo, ha parlato di un ordine di maglie presso Adidas di 10 volte superiore alle normali forniture; dopo il trasferimento di Pogba al Manchester United, due anni fa, fece clamore il numero di magliette rosse con il numero 6 che fu venduto in pochi giorni. Sono effettivamente numeri da capogiro. Sponsorizzazioni: il “reach” che un volto così potrà aggiungere al marchio Juve è sicuramente rilevante, dato il numero di “follower” (stimato in 100 milioni di persone se si vuole limitarsi al mondo social) del personaggio CR7. Questo naturalmente può essere esteso a tutti gli ambiti, anche di Gruppo, e incrementare la forza del marchio Juve (ricordiamo che il restyling del marchio, un anno fa, aveva proprio questo significato: incrementarne lo sfruttamento commerciale). Noi ad esempio non sappiamo quante Jeep in più si venderanno se Cristiano Ronaldo sarà testimonial; ma forse gli uomini marketing FCA lo sanno con un buon grado di approssimazione! La Serie A vale di più, se ci viene a giocare Cristiano Ronaldo? Ma se poi egli va alla Juve non si riduce ulteriormente l’appeal di questo campionato? Sono probabilmente vere entrambe le previsioni, ma di certo la presenza di una stella di questa grandezza attirerà più interesse per il nostro campionato, da cui potrà derivare un più elevato ritorno per i Club, inclusa ovviamente la Juventus; I risultati. Naturalmente i trofei, in primis la tanto agognata Champions League, sono ricavi veri, sonanti, immediati. Già la Juventus, arrivando due volte in finale negli ultimi 4 anni, ha incrementato parecchio questa voce, e la cosa idealmente dovrebbe continuare, se arriva un giocatore come Ronaldo. Stadio: pochi giorni fa ha fatto scalpore l’incremento del prezzo degli abbonamenti allo Juventus Stadium (che comunque rimane un 20% sotto quello dei principali top team europei); ovviamente un’operazione come quella in esame cambierebbe parecchio le valutazioni su questa mossa della Società bianconera. Il management della Juventus non è certo sprovveduto e ha dato dimostrazione di programmare in maniera accorta i propri passi; se l’affare Ronaldo-Juve, come si dice, è solo un modo per spuntare condizioni migliori al PSG o al Real Madrid, l’operazione non si farà; noi però avremo colto l’occasione per un’altra riflessione sul pazzo mondo della finanza applicata al calcio.
  20. Su Marca adesso Real Madrid Cristiano lleva dos semanas buscando nueva casa en Turín Real MadridHoy por hoy, Ronaldo tiene la cabeza fuera de Madrid Jesús Sánchez Madrid Compartir en Facebook Compartir en Twitter Enviar por email 04/07/2018 10:53 CEST Cristiano Ronaldo, si finalmente se va del Real Madrid, sabe que dejará atrás una ciudad donde tanto él como su familia se encuentran encantados. El futbolista portugués ha sido muy feliz viviendo en la capital, disfrutando de las enormes posibilidades que le ofrecía Madrid, a una hora y media en avión de su casa en Portugal, donde conoció a la que es su actual pareja y donde sus más allegados se encuentran encantados tanto por la comida como por el clima. Pero Cristiano ya piensa en italiano. Y busca casa en Turín. De Madrid a Turín El futbolista luso lleva las dos últimas semanas viendo opciones para establecer su residencia en Turín. Busca casa. No se trata de una ciudad tan cálida como Madrid. Los inviernos son duros en las faldas de Los Alpes. El clima no será tan benevolente como en España. Cristiano lo sabe. También considera que le será complicado encontrar una residencia como la que tiene en una lujosa urbanización de las afueras de la capital. Cristiano sí tiene buen recuerdo de las visitas a Turín con el Madrid, especialmente de los aficionados de la Juventus. El tono amistoso que siempre le mostraron y la intensidad con la que viven el fútbol, en cualquier partido, sí le resultan realmente atractivos al portugués, que ya ha jugado en la Premier y en LaLiga. Ahora desea conocer el Calcio por dentro.
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