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andrea

Tifoso Juventus
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  1. La bomba Sinner, quelle che avanzano verranno utilizzate dall'esercito italiano come bombe a mano
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    Aldo Serena

    «Berti mi insegnò la leggerezza Ho incontrato Springsteen al bar Luisa Corna? Per conquistarla le scrissi una lettera d’amore» Aldo Serena: «Per stare vicino a una ragazza mi iscrissi a Medicina. Il rigore di Italia 90? Ebbi una crisi di panico» UN PERSONAGGIO, UNA TERRA CUORE VENETO dal nostro inviato a Montebelluna (Treviso) Paolo Tomaselli · 28 dic 2024 Aldo Serena, lei era «il bomber con la valigia» di Inter, Juve, Milan, Toro, ma anche Bari e Como. Si ricorda cosa mise nella borsa quando lasciò il Veneto? «Mia mamma mi portò di forza nel più bel negozio di Montebelluna e mi comprò una Lacoste, un paio di pantaloni nuovi, una borsa e un borsello, che non amavo». Pragmatismo materno. «Ha 91 anni, vive da sola: è tosta. Per lei, lo disse in un’intervista, il momento più importante della mia carriera è stato quando non ho più portato a casa le cose da lavare». Nel boom degli anni 60 come si cresceva a Nordest? «Ho avuto un’infanzia un po’ costretta. Dai 7 anni ai 18 sono andato a scuola al mattino, nella fabbrica di scarponi di mio zio al pomeriggio e a giocare calcio alla sera, sempre con i più grandi. Quando a 18 anni mi ha chiamato l’inter ho preso la mia vita in mano». Scalpitava per partire? «Sono andato via felice e sono riuscito a fare la mia carriera sempre con lo sguardo della meraviglia, dell’incanto, dello stupore. Per me era tutto bello: con un’infanzia così, poi mi sono goduto ogni momento. Dalle mie parti lavoravano sempre tutti». Lei come contribuiva? «Ho iniziato pulendo gli scarponi, poi tagliavo le tomaie. A 11 anni mi sono piantato sul dito un ciondolino che teneva i lacci. E come vede la cicatrice è rimasta. Mi sono diplomato geometra a Como, quando l’inter mi mandò in B. Mi ero anche iscritto a Medicina a Bari, ma era un modo per restare legato alla fidanzata che studiava la stessa cosa». Dei suoi primi 18 anni in Veneto, cosa le è servito? «Quando ho smesso me lo sono chiesto, perché non avevo doti da fuoriclasse: ci ho messo la memoria, nel senso che mi sono sempre ricordato da dove arrivavo; poi ho sempre ascoltato molto, anche se poi decidevo di testa mia. E infine osservavo sempre quelli più bravi di me». Resistere alle tentazioni era complicato? «Non sono stato un monaco di clausura, anzi. Ma ho sempre cercato di avere i ritmi giusti. Adesso i calciatori hanno meno libertà di divertirsi». Ha continuato a studiare? «Mi sono iscritto all’isef senza dire niente a nessuno, perché Bersellini all’inter non voleva distrazioni. Ma fin da piccolo con Salgari e Verne mi è sempre piaciuto leggere». Un libro che l’ha segnata? «‘Le memorie di Adriano’. Poi ho tutti i libri di Mcewan e Philip Roth». Sulla Stampa ha scritto di aver sognato il suo ex allenatore Radice. Sogna spesso? «Sognavo mio padre, dopo la sua morte. Ma un sogno così limpido non l’avevo mai fatto. È stato bello perché ho ritrovato l’affetto di una persona importante. Mi è dispiaciuto che finisse». Altri incontri insoliti? «Al bar Radetzky di Milano, Ferragosto 1995 in una Milano deserta: entra Bruce Springsteen a bere una birra. Ma non voglio disturbarlo o forse temo che risponda male e mi cada un mito: non trovo il coraggio di salutarlo. E dire che quando passai dal Toro alla Juve e dovevo firmare per il prestito a casa del presidente dell’inter Pellegrini, andai da lui dopo mezzanotte: direttamente dal concerto del Boss». Compagni memorabili? «Ero innamorato di Platini per come giocava: aveva tutto quello che non avevo io. Poi mi sembrava impossibile che potesse esistere un calciatore come Scirea: bravo, buono, competitivo ma rispettoso degli altri. Con Nicola Berti ho avuto un’amicizia terapeutica: io portavo solidità ed equilibrio lui mi ha tirato fuori la leggerezza e la spensieratezza. Ci vediamo ancora». Van Basten le tirò la sabbia in faccia. Vi chiariste? «No. E nemmeno con Ancelotti che mi sputò addosso. Ma Carlo al Milan mi fece dei complimenti dopo un’amichevole: mi tese la mano». Vincere a Torino è diverso rispetto a Milano? «Torino guarda al passato e io da nostalgico mi sono trovato benissimo. Milano guarda al futuro, brucia tutto. Ma le vittorie me le sono godute ovunque: il primo scudetto alla Juve fu una notte di fuoco». «È forte dalla cintola in su»: con questa frase l’avvocato la destabilizzò? «No perché Boniperti gli disse che aveva sbagliato e mi tranquillizzò: da ex campione fu il dirigente più grande». Da ragazzino era interista perché il Milan la scartò? «No, perché ero un bastian contrario rispetto ai miei amici. Ora si dice che i ragazzi trascurano il calcio, ma noi ne vedevamo pochissimo: per far crescere la passione forse l’attesa dell’evento è meglio dell’evento in sé». Ha mai rischiato di finire dentro il buco nero del rigore sbagliato a Italia 90? «Mi ha creato dei problemi, penso di aver avuto una crisi di panico. Avevo le gambe durissime, respiravo in modo strano: il portiere mi sembrava un gigante. Non ricordo nulla dell’errore, né di tutto quello che è successo dopo: un black out di due giorni». Roby Baggio non si perdona ancora l’errore del 1994. «Io me lo sono perdonato, perché per andare avanti devi chiudere la porta. Però resta la parentesi peggiore della mia carriera: tornando indietro, cambierei il lato del tiro». La sua storica fidanzata venne a una sola partita. E lei uscì in barella. «Il calcio non le piaceva». Luisa Corna e a sua moglie Cristina sono le altre due donne della sua vita? «Sì, è vero. Ma mi faccia citare ancora Gianni Agnelli: ci sono uomini che parlano di donne e uomini che parlano con le donne. Faccio parte della seconda categoria». Se la cava con classe. «Posso dire che quando sei giovane, giochi a calcio e hai visibilità è difficile tenere a freno la primavera milanese». Follie per amore? «In quel contesto, essere fedeli era un’impresa ardua». Luisa Corna la conquistò con l’aiuto di Giò Ponti? «Vivevo nella casa dell’architetto, nella mansarda della figlia. Lei, come suo padre, mi scriveva dei messaggi composti da parole e figure. E io ho scritto a Luisa la mia prima lettera in questo modo un po’ artistico: ha funzionato». Ha mai ricevuto attenzioni maschili? «C’era un signore che aveva un’agenzia di viaggi che lavorava con l’inter. Mi disse che doveva fare un articolo su di me per un giornale canadese, perché a 18 anni avevo esordito con un gol alla Lazio. Andai nel suo ufficio di San Babila, di sera. Mi disse di portare la divisa sociale, per fare delle foto e mi chiese di cambiarmi. Andai in un’altra stanza e quando sono tornato e lui ha cominciato a farmi degli apprezzamenti ho capito che la situazione non era chiara: mi sono cambiato di nuovo e me ne sono andato». Diaz nell’inter dei record e Piccinini a Mediaset sono stati i suoi partner perfetti? «Sì è vero. Ramon aveva un altruismo unico, insolito per un attaccante. E Sandro è stato la mia fortuna: lui mette la riuscita del prodotto davanti a tutti, anche a sé stesso». Con Galliani che accadde? «A Pressing feci una critica forte agli arbitri. Lui telefonò dopo Juve-milan dicendo che non sarei più entrato a San Siro. Non fu così». Il viaggio del cuore? «In Tibet. Avevo praticato l’esperienza del rebirthing: una tecnica di respirazione profonda che fai con un medico per andare negli strati profondi della coscienza. Da quello sono emerse delle cose che poi ho ritrovato in Tibet in alcuni monasteri». Dopo 40 anni è tornato a vivere in Veneto. «L’input è stato di mia moglie, che è milanese, per fare crescere i figli in contesto più naturale». Il suo rapporto con gli schei, i soldi, come è stato? «Per me più che gli schei la parola d’ordine da ragazzo era il lavoro e mi sentivo sempre sotto pressione. Più che ai soldi, io puntavo alla libertà. E quando ho iniziato a guadagnare molto più di quello che avrei mai pensato ho assaporato l’indipendenza». Milano è sempre la città che guarda al futuro? «Sì. Ma in ogni angolo c’è qualcosa che mi ricorda gli anni della gioventù».
  3. «Incredibile Ajax Storia, tifo e... bici Ho digerito l’addio» Il bianconero è in prestito in Olanda: « Juve, nessun rancore Motta non mi richiamerà ora: è stato troppo schietto» di Filippo Cornacchia · 31 dic 2024 In Italia esulti per l’1-0, ma qui no: i nostri tifosi vogliono vincere ma anche divertirsi. E il vivaio è sacro Rugani Difensore Ajax Farioli è un tecnico top e io sogno la Nazionale. I compagni mi chiedono di... CR7. A questa Juve serve tempo. E Hancko... La maglia pesante di Cruijff e Van Basten, la bici per andare all’allenamento, 50 mila tifosi fissi allo stadio. A Daniele Rugani in estate si è chiusa una porta (quella della Juventus) e si è aperto un portone: l’Ajax. Quando c’è lui in campo (11 presenze e 611’), i Lancieri non subiscono mai gol. «De Ligt – racconta il difensore bianconero in prestito in Olanda - era certo che mi sarei trovato bene e aveva ragione. Il blasone e i titoli del club si respirano in ogni angolo del centro sportivo e di Amsterdam. La prima volta che ho indossato la maglia biancorossa ho subito avvertito grande responsabilità». ► Cosa l’ha colpita maggiormente dell’Ajax? «Lo stadio e la tifoseria, caldissima ed esigente. Una volta vincevamo 1-0 e il pubblico ha iniziato a mugugnare perché abbiamo rallentato un po’. Alla fine abbiamo portato a casa il successo, ma senza segnare altre reti. In Italia avremmo esultato, qui no. I tifosi dell’Ajax vogliono i risultati, ma anche divertimento dalla propria squadra. I giornali il giorno dopo parlavano di Ajax che vince ma non convince. C’è un’altra mentalità in Olanda e per me è un grande arricchimento. Potrei fare anche altri esempi…». ► Racconti… «I primi due mesi, quando vivevo in hotel, andavo all’allenamento in bici con il mio zaino sulle spalle, un po’ come facevo ai tempi dell’Empoli. Adesso mi sono trasferito più vicino al centro di Amsterdam con mia moglie Michela e nostro figlio Tommy. Andare al campo in bicicletta è la normalità. Per non parlare dell’attenzione al vivaio: ogni giorno la tocchi con mano, settore giovanile e prima squadra sono collegatissimi». ► Ad Amsterdam l’ha voluta fortemente Farioli: impressioni? «E’ un tecnico giovane, ma sono certo che disputerà una gran carriera: cura i particolari, è minuzioso nella preparazione della partita. Bellissima scoperta». ► Siete secondi, a meno 6 dal Psv: ci credete ancora al campionato? «Il Psv va forte, noi stiamo facendo meglio dello scorso anno e ragioniamo partita per partita. Vogliamo restare in scia, poi in primavera si vedrà. Siamo in corsa anche in Europa League e Coppa di Lega. Abbiamo una bella squadra, con tanti talenti: penso a Hato, Rensch, Godts, Taylor… L’Ajax va tenuta d’occhio dagli osservatori di tutta Europa». ► Lei è ancora di proprietà della Juventus, Thiago Motta ha perso Bremer e Cabal fino a fine stagione e Giuntoli cerca un paio di difensori: fosse negli osservatori bianconeri, guarderebbe anche Rugani nell’Ajax? «Spero mi guardino tutti, non solo quelli della Juve ma anche quelli degli altri club: compresa l’Ajax. Sto facendo bene e sogno di tornare anche in Nazionale». ► Ci spera in una chiamata della Juventus a gennaio? «Sinceramente, non ci penso. Ho digerito tutto, non porto alcun rancore nei confronti della Juve: i rapporti con il club sono ottimi. All’Ajax sto benissimo e Thiago Motta con me è stato molto sincero e diretto al primo giorno di raduno: mi ha detto che non rientravo nel progetto tecnico. Talmente schietto, che non credo possa cambiare idea dopo pochi mesi. Uno può condividere o meno la scelta, però ho apprezzato la sincerità di Motta, è stato limpido e corretto con me. Sarebbe stato molto peggio vivere nel dubbio per due mesi. Peccato soltanto non avere avuto una possibilità in allenamento, a luglio ero infortunato. Sono contento così: all’Ajax sto vivendo una esperienza super sotto tutti i punti di vista». ► Però poco prima dell’addio aveva rinnovato… «Ma sapevo che non era una garanzia di permanenza. Sarò sempre grato alla Juventus. Il futuro? Sono concentrato a disputare una gran seconda parte di stagione con l’Ajax, da protagonista. A giugno vedremo…». ► Tra i difensori nel mirino di Giuntoli c’è Hancko del Feyenoord, suo avversario in Olanda: è così forte dal vivo? «Non ho giocato contro di lui, ma se lo segue la Juve sicuramente non è un caso». ► Com’è la Juventus vista dall’Olanda? «Sono in contatto con il mio amico Locatelli e sono contento che finalmente venga elogiato dopo tante critiche ingiuste: è un gran giocatore e ha il dna Juve. Il club ha attuato una rivoluzione totale in estate e quindi servirà tempo. Ma è normale che la gente si aspetti di più e voglia vedere sempre la Juventus in alto». ► Chi la sta impressionando della squadra di Motta? «Mi piace Conceiçao, qui all’Ajax ne parlano tutti benissimo: è stato un anno e ha lasciato un ottimo ricordo. Mi fa piacere vedere Yildiz titolare e con il dieci sulle spalle: Kenan è speciale». ► Ci tolga una curiosità: i suoi compagni dell’Ajax quale domanda le fanno sulla Juventus? «Mi chiedono soprattutto come era Cristiano Ronaldo. La mia risposta è sempre la stessa: mai visto uno con la sua mentalità. Uno squalo del gol».
  4. Giuntoli aspetta il via libera per Tomori E prepara un nuovo assalto a Hancko Si attende l’ok di Conceiçao per il milanista, muro del Benfica su Silva. Lo slovacco resta la priorità Due difensori hanno già salutato la stagione e un altro è stato messo fuori dal progetto nelle ultime ore. Ai gravi infortuni di Gleison Bremer e Juan Cabal (crociato), si aggiunge la “rottura” della Juventus con Danilo, escluso dai convocati per la Supercoppa italiana e sul mercato (Napoli e Milan in pole). Per tutti questi motivi, il dt Cristiano Giuntoli prepara una mezza rivoluzione per il mese di gennaio. Almeno due rinforzi: uno il più in fretta possibile, magari già dopo la Supercoppa di Riad, e un altro entro la chiusura delle trattative invernali. Alla Continassa, dopo la semina degli ultimi mesi, hanno l’urgenza di stringere. La priorità resta il jolly David Hancko (Feyenoord), per il quale si progetta un nuovo assalto. La sensazione, però, è che per rompere la resistenza degli olandesi non basteranno una settimana/dieci giorni. Ecco perché, ora come ora, Giuntoli spera di regalare a Thiago Motta prima uno tra Tomori e Antonio Silva. La trattativa più avanzata è quella con i rossoneri: dopo i passi in avanti dei giorni scorsi, adesso la Juventus attende il via libera anche del nuovo allenatore milanista, Sergio Conceiçao. Tomori era finito ai margini con Fonseca, ma non è detto che il successore si opponga alla partenza dell’inglese. Incrocio Antonio Silva Intanto alla Continassa continuano a lavorare anche su tavoli alternativi. A partire da quello con il Benfica per Antonio Silva, as sistito del potente agente Jorge Mendes. Lo storico procuratore di Cristiano Ronaldo è uscito allo scoperto pubblicamente nei giorni scorsi: «La Juve vuole Antonio Silva e il giocatore vuole firmare, ma l’ultima parola è del Benfica». A Lisbona non l’hanno presa bene e continuano a far muro: per il momento al Da Luz non hanno ancora aperto al prestito. Mendes resta ottimista e spera di replicare un Conceicao bis, ma si tiene pronto anche un piano B visto che Silva vuole cambiare aria per giocare. Se la Juventus alla fine dovesse chiudere per Tomori, il difensore del Benfica potrebbe prendere il posto dell’ex Chelsea in rossonero. Sullo sfondo Araujo del Barcellona.
  5. I processi vengono visti come occasioni per eliminare le dirigenze alla guida della società: più co*****i di cosi!
  6. Comunque Fonseca ha mangiato il panettone
  7. https://x.com/SerieA/status/1873447902514987011?t=6WV_4i9kPwwvIkq8nt40Dw&s=19
  8. andrea

    Renzo Ulivieri

    «Persi 14 chili, ma sono vivo Quando io e Baggio litigammo anche mia madre mi sgridò» L’allenatore: ero un marito infedele e l’ho sempre ammesso Di Alessandro Bocci · 27 dic 2024 Andamento lento Ho allenato uomini, donne, la Nazionale dei carabinieri e quella dei religiosi. Ora mi dedico a un progetto innovativo che mi piace: il calcio camminato A 83 anni Mi ricandido al ruolo di presidente dell’associazione allenatori: a chi dice che sono troppo vecchio ribatto che dentro ho lo spirito di un ragazzino Renzo Ulivieri, 83 anni, allenatore, dirigente, politico, la vita come un romanzo: da dove vogliamo cominciare? «Dall’inizio, l’estate del '44, avevo poco più di tre anni e sono sopravvissuto alla strage del Duomo di San Miniato, quella che ha dato origine al film La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani, miei concittadini. Insieme a me è sopravvissuto un altro Renzo, Fermalvento, poi diventato parrucchiere del Paese. Con lui siamo diventati amici e ogni lunedì, quando tornavo a casa, apriva bottega per sistemarmi i capelli. Si parlava di chi se n’era andato e lui diceva: muoiono sempre i soliti, io, tu e Berlusconi siamo immortali». E invece... «Invece ora sono rimasto solo e me la sono vista anche brutta. Quattro mesi in ospedale e due a casa, tre operazioni per un problema grave all’intestino, per fortuna adesso risolto. Mi sono dovuto confrontare con la morte, che mi ha marcato stretto, come un difensore arcigno. Ho perso 14 kg e ho temuto di non farcela. La mia fortuna è stata che mi sono sentito male a Roma, allo stadio Olimpico, durante una partita della Nazionale e mi hanno ricoverato al Santo Spirito dove sono stati bravissimi». Questa esperienza dura l’ha cambiata? Ha trovato la fede? «Non ho trovato nulla. Però ho fatto molte riflessioni, ho sposato la mia compagna Manuela, mamma della terza figlia, Valentina e ho anche tracciato un bilancio della mia vita. Che è stata bella: non mi sono arricchito, ma ho guadagnato bene e ho fatto quello che mi piaceva fare». Ha smesso presto di giocare e ha girato sulle panchine di ogni categoria con 5 promozioni. «Ho allenato uomini, donne, la Nazionale dei carabinieri e quella dei religiosi. E non ho finito qui: sto lavorando a un progetto innovativo che mi piace, il calcio camminato». Come funziona? «Si gioca sei contro sei in un campo da calcetto, senza contrasti, senza correre, senza alzare il pallone da terra. È lo sport ideale per noi anziani, fa bene alla salute, fisica e mentale. Ma può essere utile anche per quei genitori che accompagnano i figli a calcio e poi in tribuna non trovano di meglio che litigare. Non siamo soli noi dell’asso allenatori: l’Uefa ha un progetto importante. Io mi sto allenando a Montaione e Spalletti ci ha regalato i palloni». Torniamo alla fede. «Un discorso complesso. Chi ce l’ha è fortunato, aiuta a vivere. Quando andrò nell’altro mondo mi presenterò con una domanda: perché questo dono non mi è toccato? Mia mamma Gina, nata a San Miniato Alto, la zona borghese, era democristiana e cattolica praticante, ogni domenica andava a Messa. Invece mio padre Ivo, comunista di San Miniato Basso, la zona proletaria, andava alla cellula del partito. Ma le racconto un aneddoto». Prego... «Quando la mamma è invecchiata e non ce la faceva a muoversi, seguiva la Messa alla televisione, da sola. Un bel giorno mio padre, che aveva sempre scosso la testa davanti a quella scena, ormai malato, si è seduto accanto a lei. Mamma sogghignando mi ha sussurrato: vedi Renzo il tu’ babbo ha paura di morire...». Lei non ha cambiato strada ma da presidente della scuola allenatori di Coverciano, la più importante del mondo, parla ai suoi allievi di Don Lorenzo Milani... «Don Milani era di sinistra e la Dc, in quegli anni, lo ha combattuto. Diceva che bisogna dare la parola agli ultimi. Parlo di lui a chi deve interagire con bambini e ragazzi, quelli che dovrebbero sempre ascoltare tutti e non lasciare indietro nessuno. Bisognerebbe cambiare la regola e chiamare maestri gli allenatori dei settori giovanili. Loro devono pensare a formare i cittadini del domani. E noi sappiamo quanto il mondo abbia bisogno di giovani in gamba». Considera papa Francesco l’unico leader mondiale. «Inascoltato. Invoca la fine della guerra e tutti si voltano dall’altra parte. Continuiamo ad ammazzarci per un metro di terra in più di qua o di là». Comunista sin da ragazzo. «Ho fatto tutto il percorso: Pci, Pds, Ds, Pd ma poi, ai tempi di Renzi, il partito ha deragliato. Non è rimasto più niente di sinistra. All’inizio le riunioni erano introdotte così: care compagne e cari compagni, care amiche e cari amici. Alla fine, solo care amiche e cari amici. Una volta Bonaccini mi ha invitato a fare un discorso alla festa dell’unità. Ho risposto che avrei accettato solo se avessi potuto dire: care compagne e cari compagni». E come è finita? «C’è stato un boato al mio saluto. Poi però ho scelto di passare a Potere al Popolo e alle ultime elezioni, per dare una mano, mi sono candidato con Filo Rosso a San Miniato. E siamo all’opposizione della Giunta Pd». Gigi Buffon, nell’intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere, ha raccontato che una volta gli ha portato il busto di Lenin. «È vero, eravamo al Parma, prima della finale di Coppa Italia con la Fiorentina di Mancini. Lui voleva che giocasse Guardalben, io gli ho risposto: allora sei un compagno, per te sono tutti uguali...». Il busto di Lenin è ancora a casa sua. «Certo. Una volta a Bologna ho invitato a cena Gianfranco Fini, c’era anche Guazzaloca che è stato sindaco: ho detto loro se dava fastidio potevo toglierlo. Fini, prontamente, mi ha risposto: lo lasci pure dov’è, è uno dei pochi leader che avete avuto». È tifoso della Fiorentina dichiarato, ma ha detto che si farà seppellire con la tuta del Bologna. «Si, anche con un fischietto da allenatore e una sciarpa rossa. Sono stato bene in tanti posti, a Modena, alla Samp dove ho allenato il primo Mancini e anche Marcello Lippi. Ma Bologna mi è rimasta dentro. Era un altro calcio, più ricco di umanità e rapporti veri. Ai giornalisti e ai miei giocatori dicevo sempre: se avete un’esigenza potete chiamarmi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Adesso le conferenze stampa sono rare e di plastica». Però a Bologna ha litigato con Baggio. «Le rispondo con i numeri: più presenze, più gol e il ritorno in Nazionale. È quanto accaduto con me a Roberto. Qualcuno dimentica che, nel 2010, l’ho proposto a Giancarlo Abete per farne presidente del Settore tecnico. Certo, quelle polemiche non me le posso dimenticare...». Erano tutti dalla parte del giocatore... «A quei tempi ero separato dalla mia prima moglie, Marisa, e il lunedì, quando tornavo a casa, dormivo dalla mamma a San Miniato. La sera di Bologna-juve l’ho trovata sulla porta e mi ha sgridato: ma che hai fatto a Baggio?». Con Spalletti vi separa una collina... «Anche tante altre cose. Io però lo stimo, è il c.t. giusto per l’italia». Lei è stato tra i primi a credere nel calcio femminile. «Ho allenato le ragazze per caso, alla Scalise, per sostituire il tecnico che era malato. Il mio primo discorso è stato semplice: bambine, sono vecchio e con le arterie indurite e non ce la faccio a adattarmi a voi, bisogna che siate voi a adattarvi a me...». Il calcio femminile in Italia fa fatica a crescere. «È un problema di cultura. Innanzitutto, dobbiamo abbattere ogni barriera: è sbagliata già la differenziazione tra calcio maschile e femminile. Il calcio è calcio. Al Sud la crescita è più lenta, ma al Nord e al Centro negli ultimi anni lo sviluppo è stato forte». Ha detto che per le sue prime due figlie, Barbara e Elisabetta, non è stato un buon padre. «Sono stato assente, sempre in giro, un allenatore lo è 24 ore al giorno, anche quando dorme. Ho detto loro che la colpa era mia al cento per cento. Un po’ di tempo fa mi hanno chiamato per rivedere il giudizio. Chissà cosa mi aspettavo e invece mi hanno detto che sono colpevole al 95 per cento…». Ulivieri, lei è stato un Don Giovanni... «Diciamo che sono stato infedele, ma per dovere di onestà l’ho sempre ammesso». È anche un impulsivo. Racconta che Liedholm è stato il suo modello, ma lei in panchina era tutto diverso. Parecchie volte è stato espulso. «La flemma del Barone la reggevo nei primi 5 minuti. E infatti in quel lasso di tempo nessuno mi ha mai mostrato il cartellino rosso». Ci racconti di quando si incatenò davanti alla Federcalcio. «Avevano preso la folle decisione che tra i Dilettanti chiunque potesse allenare senza patentino. Avevo chiesto aiuto alla Lega di A e ai calciatori, ma nessuno mi ascoltava. Così ho preso le catene e delle coperte e mi sono legato. Il presidente Abete, disperato, ha provato in tutti i modi a farmi tornare indietro». Ora si ricandida a presidente dell’associazione Allenatori, che guida dal 2004. «Ci ho pensato molto, specialmente quando non sono stato bene. Qualcuno potrebbe obiettare che sono vecchio, ma dentro ho lo spirito di un ragazzino. E poi non ho scelto da solo. Anche i miei compagni di viaggio, i vice presidenti Camolese, Perondi e Vossi, mi hanno spinto, al pari del consigliere federale Beretta. Non abbiamo ancora finito il lavoro, restano delle cose da fare. La più importante: che ogni squadra affiliata alla Figc sia guidata da un tecnico diplomato». Alle elezioni federali, il prossimo 3 febbraio, gli allenatori sosterranno Gabriele Gravina. «Ha lavorato bene ed è in linea con i nostri propositi. Non c’è motivo di cambiare. Il calcio ha bisogno di stabilità». Ulivieri, come se lo immagina il futuro di questo Paese? «Sono preoccupato. Soprattutto per come si fa politica, da qualsiasi parte uno la veda. Si urla troppo e non si dice quasi mai la verità. Credo che la sincerità paghi e invece i nostri politici si accapigliano e basta. Molto deludente».
  9. Danilo sul mercato La Signora spinge per Silva e Hancko di Matteo Nava · 28 dic 2024 Nemmeno il capitano può essere certo di avere un posto sulla nave. Non su quella della Juventus, che di fatto ha indicato a Danilo la direzione per sbarcare lasciando dietro di sé una lunga e intensa fetta di carriera. Da una parte c’è un’intesa mai nata con l’allenatore, dall’altra il peso nel monte ingaggi di squadra in una fase di ferrea dieta dei conti. In tanti sono usciti, da Paul Pogba e Adrien Rabiot a Wojciech Szczesny e Federico Chiesa, ma lui è rimasto. E se la sua importanza in campo è ridimensionata, allora l’avvicinamento della sessione invernale di mercato assume le sembianze di uno scivolo verso l’addio. All’orizzonte Danilo sarà convocato contro la Fiorentina, ma sarebbe un errore darne per scontata l’inclusione nei match successivi. La Juventus gli ha infatti trasmesso il concetto che preferirebbe separarsi da lui, confidando in una presa di coscienza di quanto ostinarsi a continuare insieme non sia la migliore soluzione. Danilo ha uno stipendio da 5 milioni di euro netti a stagione, ma anche diversi estimatori: in primis Antonio Conte, che nel suo Napoli ha bisogno di un leader esperto in grado di sostenere e guidare la squadra. Certo, si dovrebbe trovare un accordo sul trasferimento e sull’ingaggio, ma l’impressione è che in casi simili alla fine si finisca per trovare una quadra. Doppio colpo Nel caso in cui Danilo partisse, l’emergenza di centrali alla Continassa si aggraverebbe: se ora lui si aggiunge ai soli Federico Gatti e Pierre Kalulu, Motta senza il brasiliano avrebbe due soli uomini schierabili alla luce dei seri infortuni di Gleison Bremer e Juan Cabal. Il direttore tecnico Cristiano Giuntoli ha ammesso che quella lacuna è la prima da colmare, di conseguenza servirebbero due innesti in caso di addio di Danilo. Il primo, confermato dall’agente Jorge Mendes, è il prestito oneroso di Antonio Silva dal Benfica che però deve convincere i portoghesi. Per il secondo nome nei radar c’è innanzitutto David Hancko del Feyenoord e negli ultimi giorni è emersa anmche l’idea Fikayo Tomori. Entrambi hanno una valutazione di 25-30 milioni, guarda caso simile a quella di Nicolò Fagioli, ma se per lo slovacco c’è da trovare un varco nel muro degli olandesi che non intendono perderlo a metà stagione, per l’inglese servirebbe invece una vera offerta per far vacillare il Milan, reduce dall’operazione Kalulu che ha già rinforzato la diretta rivale.
  10. Chine', quando non indaga la Juve, o ride o dorme
  11. https://x.com/Avv_Bianco_Nero/status/1872748944914022587?t=SpUWusyen9McJwFFrwE6Vw&s=19
  12. Marotta ha già smentito? https://x.com/mirkonicolino/status/1872742110354653362?t=TGeR4__k40Rp4aD0PxK4mw&s=19
  13. A fine mercato saremo "corti" in difesa: scommettiamo?
  14. https://x.com/a_crosta/status/1872389613605798354?t=TRKUOd2zbiTMkf1IwxP8iw&s=19
  15. https://x.com/mike_fusco/status/1872028648561365039?t=9ZoN2FqRLtFDgQx3X0d_eg&s=19
  16. Ieri sera l'avete rivisto "Una poltrona per due"?
  17. Difesa da rinforzare Hancko prima scelta Piace pure Tomori Giuntoli punta a fare due colpi: lo slovacco in pole ma costa, resistono Skriniar e Antonio Silva di Fabiana Della Valle TORINO · 24 dic 2024 Hancko è un bravo giocatore che stiamo seguendo da tempo, qualcosa faremo «Ci stiamo guardando intorno, è un bravo giocatore che stiamo seguendo da tempo, ma non è il solo. Siamo alla finestra in attesa che vengano scoperte le carte, siamo consapevoli che dietro dovremo fare qualcosa»: parole e musica di Cristiano Giuntoli, che nel pre partita di Monza ha parlato di mercato e in particolare di David Hancko, difensore slovacco 27enne del Feyenoord che l’uomo mercato bianconero spera di portare a Torino già a gennaio. La difesa, si sa, è una priorità per la Juventus, che ha perso Gleison Bremer e Juan Cabal. Un giocatore arriverà di sicuro, forse due soprattutto se Danilo (che è nel mirino del Napoli ma non solo, anche del Marsiglia e di alcuni club della Premier) dovesse andare via. Per questo la dirigenza della Signora si sta portando avanti per cercare di fare un’operazione all’inizio della finestra invernale e regalare a Thiago Motta il rinforzo di cui ha bisogno in tempo per poter fronteggiare il periodo impegnativo che aspetta i bianconeri tra campionato, Champions, Supercoppa e Coppa Italia. Hancko è il preferito dell’allenatore bianconero e anche della dirigenza, ma non è l’unico candidato. Tra i papabili c’è anche il milanista Fikayo Tomori, prossimo avversario della Juventus nella semifinale di Supercoppa italiana (in programma il 3 gennaio a Riad). La prima scelta L’obiettivo di Giuntoli è mettere a segno una doppietta: un rinforzo come investimento e un altro in prestito fino al termine della stagione. Uno da prendere subito e l’altro entro la fine di gennaio. In cima alla lista c’è Hancko, tuttofare mancino che può giocare sia al centro che sulla corsia di sinistra. Le grandi manovre sono già iniziate ma la trattativa non si annuncia semplice nonostante il sì del giocatore. Hancko infatti ha già dato il suo ok ad anticipare il trasferimento a Torino a gennaio: la Juventus aveva messo in preventivo di prenderlo in estate, ma gli infortuni l’hanno costretta a rivedere i suoi piani. Il problema sarà convincere il Feyenoord, perché per gli olandesi Hancko è titolare e per lasciarlo partire vogliono 30 milioni. Significa che per acquistarlo i bianconeri devono prima fare cassa. Tomori in prestito Per questo si valutano anche diversi piani B, tra cui ci sono Milan Skriniar, centrale del Psg ex Inter (che potrebbe partire in prestito) e Antonio Silva del Benfica, gestito da Jorge Mendes, stesso agente di Conceiçao. Piace anche Tomori, finito ai margini con Fonseca (2 minuti giocati in campionato nelle ultime 5 giornate), che il Milan valuta 20-30 milioni. Giuntoli punta a prenderlo in prestito per fare un altro affare alla Kalulu, ma i rossoneri non sembrano intenzionati ad aprire, almeno per il momento.
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