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andrea

Tifoso Juventus
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  1. andrea

    Mark Iuliano

    L’ex difensore: «Ronie commise “sfondamento”, giusto non dare il rigore. Calciopoli? Chiacchiere telefoniche, ha pagato solo la Juve. Mi chiamo Mark per Spitz, ma nuoto a cagnolino» di Sebastiano Vernazza · 30 mar 2025 Cuper, l’allenatore interista del 5 maggio 2002, l’ho avuto poi al Maiorca. Gli dicevo: “Quello scudetto lo avete buttato via da soli” Palla su ci pensa Zizou: era il nostro schema base Zidane è stato immenso I golden gol, una maledizione Però al Mondiale ci eliminò Moreno Era rigore o no? Non ne usciremo mai, perché il contatto tra Ronaldo il Fenomeno e Iuliano in Juve-Inter (1-0 ) del 26 aprile 1998 resterà per sempre una bolla di conflitto, uno dei luoghi più frequentati della “duellanza” tra Juve e Inter. Per gli juventini non era, non è e mai sarà un fallo da rigore, ma i dubbi rimangono legittimi. Gli interisti riterranno sempre un particolare accessorio il fatto che la Juve fosse in vantaggio di un gol sul campo e davanti di un punto in classifica. ► Mark Iuliano, la solita domanda incombe. «Non era fallo. Se fosse stato basket, sarebbe stato sfondamento di Ronaldo». ► Allora il suo poteva essere valutato come un blocco, e il blocco nel calcio è vietato. «È tutta interpretazione. Resto convinto che l’arbitro Ceccarini abbia pesato l’episodio in modo corretto. Io rimasi fermo, presi posizione. Ronaldo, con la sua velocità pazzesca, venne a sbattermi contro. Non avevo alcuna intenzione di fare fallo. Detto questo, trovo irrispettoso, sia per la grandezza di Ronaldo sia per me, che si insista a ingabbiarci tutti e due dentro quell’attimo. Ciò che succede sul campo finisce sul campo. Nel tempo, Ronie e io ci siamo incontrati varie volte e non abbiamo mai parlato dell’episodio. Ronaldo è stato un attaccante immenso, il più grande che abbia mai affrontato. Chi ama il calcio vorrebbe che i Ronaldo giocassero per sempre. Quella Juve del 1998 però era più forte di quell’Inter. Loro avevano Ronaldo, noi Zidane e Del Piero, ed eravamo più squadra». ► Gigi Simoni, allenatore dell’Inter, protestò con veemenza, e usiamo un eufemismo. «Simoni non c’è più, non può parlare, non è giusto tirarlo in ballo. Lo ricordo come un allenatore bravo e come un uomo da rispettare». ► Sullo sviluppo dell’azione, rigore per la Juve. «E Pagliuca parò il tiro di Del Piero, molti lo dimenticano. Per noi giocatori è tutto finito lì». ► Qualche anno dopo, Calciopoli. «Alt. Eravamo una squadra pazzesca, tra le migliori al mondo, con allenatori come Lippi, Ancelotti e Capello, e non avevamo bisogno di aiuti né di aiutini. Sul campo, mai avuta la percezione che godessimo di agevolazioni. Calciopoli è stata un’inchiesta che poggiava su chiacchiere telefoniche in cui si parlava di tanti, però ha pagato soltanto la Juve». ► Passiamo oltre. Ci racconti di Zidane. «Palla su, ci pensa Zizou: era il nostro schema base. Scherzo, ma non troppo. A Zidane, nei momenti difficili, passavamo palloni indecenti, Zizou li ripuliva e li trasformava in oro. E l’uomo era più grande ancora. Un ragazzo umile, educato, perbene. Una volta, in aeroporto, ci avventammo in massa su un gruppetto di stupidi che avevano osato attaccarlo». ► Zidane, poi Lippi. «Il mio grande maestro. Alla Salernitana mi aveva allenato Delio Rossi e avevo imparato a giocare sempre la palla, a passarla. Alla prima occasione in cui ci provai alla Juve, Lippi scosse la testa e disse: “Mark, no, qua non funziona così”. A Lippi, per comunicare, bastava lo sguardo». ► Ha perso la finale dell’Europeo 2000 ed è stato eliminato agli ottavi dal Mondiale 2002 per due golden gol. «Una maledizione. All’Europeo, contro la Francia, eravamo a cinque secondi dalla fine, aspettavamo il fischio e forse l’errore è stato quello. I francesi segnarono l’1-1, ai supplementari Trezeguet ci punì con il golden gol. Nel 2002, più del golden gol di Ahn, che giocava nel Perugia, contro la Corea del Sud ci buttò fuori l’arbitraggio di Byron Moreno. Io non posso dire che Moreno fosse corrotto, non ho nessuna prova, ma ci fischiò tutto contro e mi sembra che poi non abbia avuto una vita tranquilla (negli Usa è stato condannato per narcotraffico, ndr). Per fortuna i golden gol li hanno aboliti». ► Il 5 maggio 2002, un altro suo momento top. Il sorpasso sull’Inter di Cuper, travolta a Roma dalla Lazio, mentre voi vincevate a Udine. «Ho avuto Cuper al Maiorca, in Spagna, nel 200405, e confermo: è un uomo verticale, tutto di un pezzo, però simpatico. Ogni tanto si lamentava: “Mark, mi hai fatto perdere lo scudetto”. E io: “Mister, lo scudetto lo avete perso voi, da soli, contro la Lazio”. Lo punzecchiavo per il fatto che, dopo il 5 maggio, Moratti cedette Ronaldo al Real e si tenne Cuper: “Si rende conto, l’hanno preferita a Ronaldo!”. A Maiorca ci salvammo con una grande rimonta e sono rimasto legato: lì ho comprato una casa, lì passo le estati». ► Tudor nuovo allenatore della Juve. Lei ha giocato assieme a lui in bianconero ed è stato il suo vice all’Udinese nel finale della Serie A 2017-18. «Igor ha assorbito la juventinità, farà capire a tutti che la Juve viene prima di tutto. Nei suoi allenamenti non ci sono tempi morti, intensità pazzesca. La salvezza dell’Udinese nel 2018 è stata una grande impresa, la situazione era complicata, ma ci tirammo su. Ci siamo messaggiati, lo andrò a trovare a Torino». ► Perché non è rimasto nel suo staff? «Sto bene, non ho ossessioni. Se capiterà l’occasione giusta per allenare, bene. Sennò continuerò la mia vita a Milano, con il padel come hobby». ► Ha sposato un’ex letterina, Federica Villani. «Ci siamo conosciuti prima che lei lavorasse in tv. Abbiamo un figlio, Nicolò: studia alla Bocconi». ► È vero che è maestro elementare? «Ho il diploma magistrale, non l’abilitazione». ► Perché si chiama Mark con la kappa? «Mio padre ammirava Mark Spitz (il nuotatore americano vincitore di 7 ori a Monaco ‘72, ndr). Il bello è che io galleggio, al massimo nuoto a cagnolino».
  2. Intervista di Leonardo Iannacci Gigi Maifredi, 35 anni dopo si è rivisto in Motta? Arrivato alla Juventus per seminare trionfi, Thiago non ha mangiato a Pasqua, proprio come accadde a lei nel 1990. «La mia e quella di Motta sono state situazioni diametralmente opposte che hanno avuto in comune solo una cosa: la brutta fine». Si spieghi meglio. «Nel 1990, dopo l’allontanamento di Boniperti e l’arrivo di Luca di Montezemolo alla guida del club, venni scelto dopo Dino Zoff per cambiare il concetto di quella squadra. Solo che incappai in ostacoli impossibili da superare». Sintetizzi. «Tutti giornalisti erano bonipertiani e legati a Zoff che venne giubilato anche se aveva vinto una Coppa Italia e una Uefa perché la squadra si compattò attorno a lui quando seppe del mio imminente arrivo. Trovai un clima sfavorevole». E tutto si sfaldò. «Non subito: siamo stati primi in classifica, poi una trasferta a Genova contro la Samp ha cambiato il corso di quella stagione e la mia avventura alla Juventus. Fui io ad andarmene». Differenze con Motta? «Lui è stato chiamato da John Elkann e Giuntoli per migliorare il gioco non i concetti di un club e di una squadra. Io dovevo smembrare il passato: rappresentavo il nuovo dell’epoca, la zona contro il vetusto gioco all’italiana». Motta ha fallito pesantemente, però. «Come il sottoscritto, è sbarcato a Torino pensando di essere un dio in terra e ha sbattuto la faccia». Contro cosa, esattamente? Lo spogliatoio? «Anche. Ma la società non lo ha certo aiutato». Giuntoli? «Soprattutto. Arrivato da Napoli, non aveva già aiutato Allegri lo scorso anno, anzi. Giuntoli ha dimostrato di non essere il diesse giusto per risollevare le sorti di una situazione che è via via peggiorata». Ha lasciato affogare Motta? «Sì. Per Thiago sarebbe servita una persona come Moggi nelle scelte di mercato. Ma Moggi aveva Giraudo come manager e Bettega come consigliere. Giuntoli ha voluto fare il manager e il diesse insieme». E le crepe dello spogliatoio? «Ci sono state ma molti spogliatoi hanno delle crepe. Ai miei tempi in parecchi erano nostalgici di Zoff. Non Baggino, eh...». Il più grosso errore di Motta? «Pensare che alla Juve si potesse allenare come a Bologna». Ovvero? «I giocatori del Bologna danno tutto anche perché sperano di andare in una big o all’estero. Alla Juve sono già in top class e li devi trattare come tali». Ora è arrivato Tudor: soltanto un traghettatore? «Penso di sì. La Juventus ha in mente un colpo grosso, ne sono certo». Ovvero? Mancini? «No, penso che punterà su un supertop: penso di non sbagliare a dire Guardiola, il migliore di tutti. Un uomo di calcio che qui a Brescia abbiamo conosciuto bene quando giocava e, poi, abbiamo apprezzato tutte le volte che passa in zona». Guardiola ha il contratto con il City, però. «Pep ha voglia di venire ad allenare in Italia, paese che ama. È l’unico campionato che non ha ancora vinto: in bacheca ha la Liga, la Bundesliga, la Premier. Gli manca lo scudetto». Finirà alla Juve? «Per me sì. Penso consideri la vecchia Signora l’eccellenza del nostro calcio». Quindi Tudor è un allenatore a termine? «È bravo ma se arriva Guardiola...». John Elkann sta vivendo giornate malinconiche fra Juventus e Ferrari. «Sì. Ma Guardiola per la Juve sarebbe quello che ha rappresentato l’arrivo di Hamilton a Maranello. Un numero 1». E come cambierebbe la rosa della Juve di Guardiola? «Diventerebbe ancora più tecnica perché Pep ama i giocatori di quel tipo. Al centro metterebbe Koopmeiners che non posso vedere vagare per il campo senza una direzione tecnico-tattica». Vlahovic? «Essendo il miglior centravanti del nostro campionato con Lautaro, sarebbe centrale nel gioco di Pep». La difesa? «La baserebbe sul recupero pieno di Bremer e su Gatti, un onesto granatiere necessario». E poi? «Terrebbe sicuramente Yildiz facendolo centrale nel suo gioco. E poi si porterebbe tre-quattro fedelissimi da Manchester. Ma in questo, il club dovrà dare una grossa mano».
  3. https://x.com/a_crosta/status/1903846012763963767?t=4nwDMisOjQ8Dncy5m0tLDg&s=19
  4. intervista a Massimo Mauro «Signora fallimento totale» «Dato a Giuntoli troppo potere Errori anche suoi» di Filippo Cornacchia · 25 mar 2025 Conte il sogno per il futuro? La Juventus è casa sua, lo vedrei bene Yildiz non lo venderei mai, in futuro bisogna ripartire dai più forti A Tudor chiedo corsa e punti Champions Ma ora hanno più responsabilità i giocatori Del ciclo Motta salvo l’idea, però la realizzazione è stata fallimentare La società andrà rinforzata in estate Chiellini? È uomo Juve e di valore «Thiago Motta lo avrei mandato via prima, ma le colpe non sono soltanto le sue. Tutto il progetto si è rivelato un fallimento totale». Massimo Mauro, sul tetto del mondo con la Juventus nel 1985, gira pagina, un po’ come ha fatto il club bianconero nei giorni scorsi con la chiamata di Igor Tudor e il cambio di panchina a nove giornate dalla fine del campionato. ► Lei era uno dei più ottimisti in agosto. Eppure… «Salvo l’idea estiva di Giuntoli e Thiago Motta di voler provare a vincere con un gioco diverso, ma la realizzazione è stata un fallimento totale. La lezione è che alla Juventus bisogna assecondare di più la storia. Sarri ha vinto lo scudetto ed è stato mandato via dopo un anno; Pirlo è stato esonerato dopo il quarto posto e la doppietta Coppa Italia-Supercoppa. E ora Thiago non ha finito il campionato». ► Si trovasse al posto di Giuntoli in questo momento? «Sarei quello più deluso di tutti. Thiago Motta è stata una sua scelta e mandandolo via si è trovato a dover ammettere uno sbaglio. Però...». ► Però… «Penso che l’errore sia stato più di conduzione che di uomini». ► Cosa intende dire? «Che è stato dato troppo potere a un’unica persona. Giuntoli, di fatto, in questi mesi ha avuto tutta la Juventus in mano" ► C’è chi dice che era dai tempi del presidentissimo Boniperti che non si vedeva alla Juventus un uomo solo al comando di tutto. Concorda? «No. Neanche Boniperti comandava da solo e lo dico per esperienza personale. Era un presidente che si confrontava tantissimo con Trapattoni e anche con noi giocatori. Alla Juventus è sempre stato così: non c’è mai stata una persona sola che aveva tutto in mano. A prescindere dall’allenatore del futuro, la società andrà rinforzata». ► Pensa a Chiellini? «Sicuramente Giorgio è un uomo Juve e una persona di grande valore». ► Alla luce di questa annata, da chi ripartirebbe in estate? «Alla Juventus bisogna puntare su gestione, grandi giocatori e vittorie». ► Tudor è stato ingaggiato come traghettatore, ma il grande sogno per il 2025-26 resta il ritorno di Conte in bianconero. Sensazioni? «La Juve è la casa di Antonio, certo che lo vedrei bene. Ma Conte ha dimostrato di saper ottenere risultati un po’ ovunque in Italia e in Europa». ► Che cosa salva dell’era Thiago Motta? «Non si può dire che Thiago sia stato fortunato, soprattutto con i pesanti infortuni iniziali: Bremer su tutti. A Motta ne sono capitate di tutti i tipi. I primi responsabili sono i giocatori». ► Il cambio di allenatore è sufficiente per riattivare i giocatori? «Quando cambi un tecnico, soprattutto alla Juventus dove è successo poche volte nella storia, il boato è enorme. E mi aspetto che questo rumore smuova i giocatori. Adesso sono loro ad avere le maggiori responsabilità, non Tudor». ► La convince Tudor come soluzione d’emergenza per agganciare il quarto posto Champions? «È un allenatore che mi sembra abbia fatto quasi sempre bene in corsa. E conosce la Juventus. Mi sarebbe piaciuto anche Roberto Mancini, uno che ha vinto ovunque». ► Se incrociasse Tudor per strada, cosa gli chiederebbe? «Di portare corsa, entusiasmo e i punti per arrivare in Champions League. Sono fiducioso, anche perché peggio di così non può andare alla Juventus. A Tudor direi un’altra cosa: mi raccomando, ora fai assumere ai giocatori le proprie responsabilità». ► Da chi si aspetta di più in queste ultime nove partite? «Dagli italiani. Penso a Di Gregorio, Gatti, Cambiaso, Locatelli. E ci metto anche Yildiz, che è alla Juventus da un paio di anni e quindi lo considero un po’ italiano». ► Basta la cura Tudor per rilucidare Cambiaso, Yildiz e Vlahovic? «Spero di sì, anche perché rappresentano un capitale per il club. Cambiaso e Yildiz sono i giocatori più preziosi della Juventus, ma entrambi sono stati ereditati dalla precedente dirigenza. Idem Vlahovic, che va rivalutato in fretta. Guardate cosa è successo a Kean in pochi mesi e con un po’ di fiducia in più. Il rischio è che succeda la stessa cosa con Vlahovic». ► Arrivare o no in Champions League condizionerà anche il mercato e le cessioni dei bianconeri. Lei sacrificherebbe Yildiz? «No, io i giocatori forti me li terrei e ripartirei da loro». ► Cambiando discorso: è sempre convinto che sarà l’Inter a vincere lo scudetto o ha una nuova favorita? «L’ho detto in estate e lo ribadisco: l’Inter ha qualcosa in più delle concorrenti a livello di rosa e resto convinto che conquisterà anche questo campionato. La stagione del Napoli resta da 10, già così. Se arrivasse anche lo scudetto sarebbe da 10 e lode».
  5. Il costo dell’addio PIANO JUVE IN SALITA CESSIONI A GIUGNO O RICAPITALIZZAZIONE di Marco Iaria · 25 mar 2025 L’esonero di Motta porta a una spesa extra di 15 milioni sul bilancio 2024-25 che doveva registrare una perdita contenuta. Exor valuta alternative L’esonero di Thiago Motta inciderà pesantemente sul conto economico 2024-25, perché il club dovrà accantonare a bilancio l’intero compenso pattuito per i restanti due anni di contratto, oltre a pagare ovviamente le ultime mensilità di questa stagione: pur ipotizzando il mantenimento dei benefici del Decreto Crescita goduti da Motta, parliamo di 13-14 milioni per gli emolumenti dell’intero staff tecnico, a cui si aggiunge lo stipendio di Tudor e dei suoi collaboratori (attorno a 1 milione lordo fino a giugno), per un totale di 14-15 milioni. Una spesa non prevista. Una spesa che complica i piani societari. L’obiettivo In discussione non è il progetto di risanamento nel medio termine. Stiamo parlando di una spesa “una tantum” che, a regime, non va a incrementare il costo annuo della squadra, a meno che la Juve non decida l’anno prossimo di affidarsi a un allenatore più caro di Thiago Motta, cioè dallo stipendio superiore ai 3,5 milioni netti dell’italo-brasiliano. Nel frattempo, però, c’è un nodo più urgente da sciogliere, con vista sul 30 giugno. Dopo l’ultimo aumento di capitale da 200 milioni del 2024, Exor ha imposto l’autosufficienza, nell’ambito di un business plan che dovrebbe portare all’utile entro il 2026-27. Per mantenersi in linea la Juventus si è posta un obiettivo per l’esercizio 2024-25: contenere la perdita entro i 32 milioni. Al 30 giugno 2024, assorbendo gli apporti di equity e il deficit 202324 di 199 milioni, il patrimonio netto di Juventus Fc (quindi non il bilancio consolidato ma quello separato, rilevante ai fini civilistici) era pari a 42 milioni, con il capitale sociale a quota 15 milioni. Di conseguenza, al 30 giugno 2025 la perdita non potrà erodere più di un terzo del capitale sociale (quindi 5 milioni) se si vorrà evitare un’ulteriore ricapitalizzazione. Obiettivo possibile solo registrando una perdita massima di 32 milioni, tale da abbattere fino a 27 milioni di riserve e un terzo, non di più, del capitale sociale. L'attuale bilancio beneficia del ritorno in Champions (almeno 65 milioni di premi Uefa) e del gettone del Mondiale per club (18-20). In assenza del main sponsor (nel 2023-24 Jeep versò 38 milioni), si sono incrementati i proventi da stadio e attività correlate e sono raddoppiati gli introiti del player trading, da 34 a 67 milioni, cui aggiungere 14 milioni di plusvalenze quasi certe per i riscatti di Rovella e Pellegrini da parte della Lazio. Il cambio di gestione di merchandising/licensing, affidato a Fanatics, comporta un miglioramento della redditività di un paio di milioni. Sul fronte dei costi sono proseguiti i tagli, attorno a 2530 milioni, tra stipendi e ammortamenti. Tutto sommato, il miglioramento della dinamica costi-ricavi, rispetto al 2023-24, si poteva stimare in oltre 150 milioni. I calcoli La società puntava a sfruttare la finestra del mercato di giugno per arricchire la raccolta del player trading e contenere la perdita al 30 giugno nel range dei 32 milioni. I costi-extra del cambio tecnico, quantificabili in 14-15 milioni, alzano l’asticella della campagna trasferimenti pre-Mondiale: serviranno proventi aggiuntivi per almeno 30 milioni, anche perché la squadra è uscita anzitempo sia dalla Champions sia dalla Coppa Italia. Insomma, non basterà qualche cessione di contorno. A meno che Exor non decida di riaprire il portafogli avallando un nuovo aumento di capitale. Sono riflessioni delicate, che tengono conto da un lato delle aspettative degli azionisti di una holding internazionale e dall’altro della specificità dell’asset Juventus, che finanziariamente vale poco nella galassia Exor (l’1,4% del valore complessivo delle partecipazioni) ma sentimentalmente e “politicamente” vale tanto. In queste ore la proprietà ragiona anche sulla strategia migliore da adottare per il club: va bene la sostenibilità, va bene l’azione di tagli, ma esse non possono prescindere dalla presenza continuativa in Champions, e quest’ultima è strettamente connessa alla competitività della rosa. I sacrifici sul mercato difficilmente si conciliano con le ambizioni sportive.
  6. https://x.com/DIABOLIK_7/status/1904269292415136091?t=vBC492psV1lyV-AeOowMPQ&s=19
  7. https://x.com/accountparodia/status/1903815113557111149?s=19
  8. «JUVE STAI UNITA» «È molto difficile ma dai giorni bui si esce in gruppo» L’ex difensore : «È fondamentale l’apporto dei tifosi, ma devi sforzarti ed essere tu a tirarli dalla tua parte» di Guendalina Galdi · 23 mar 2025 Pazienza e risultati: solo così si ribaltano situazioni non semplici La colpa non è mai di una singola persona, ma ha svariate nature La pressione nei top club è normale: va gestita e questa gestione passa dalla compattezza del gruppo di lavoro in generale e della squadra Andrea Barzagli è una delle «Legends» della Juventus che ha partecipato all’Infinity League, l’evento calcistico di nuova generazione che mixa spettacolo calcistico e innovazione. Ha giocato in un’arena, il Bmw Park di Monaco di Baviera, insieme ad altri ex bianconeri, ma nella spensieratezza di una giornata di un calcio mai visto ma non meno intrigante il pensiero è andato anche alla Juventus attuale, quella di un Thiago Motta in bilico e che deve raggiungere quel quarto posto obiettivo minimo per non etichettare questa stagione, e più in generale il nuovo progetto nato l’estate scorsa, come un fallimento. «Per me la Juve significa tanto, è stato il club dove ho giocato di più e che mi ha fatto cambiare a livello mentale, la squadra che mi ha dato la possibilità di vivere un calcio di élite e con la quale ho vinto tanto. C’è un legame fortissimo per tutto quello che abbiamo vissuto insieme e per quello che abbiamo collezionato in bacheca». ► Le dispiace vedere una Juve così in difficoltà adesso? «È un periodo difficile. Ci sono però secondo me momenti in cui le grandi squadre hanno bisogno di passare attraverso le difficoltà. È dura, perché c’è sempre questa idea che le big debbano sempre e comunque essere competitive e hanno sempre l’obbligo di vincere. Ma anche questo fa parte del calcio e della crescita». ► Come può uscirne questa Juve? «È complicato. Devi avere la voglia di compattarti e di conquistare qualche risultato positivo che ti possa dare la scossa giusta. Ma non è scontato, perché quando le cose non vanno bene sai che devi faticare molto di più rispetto a quando tutto fila liscio. È difficile pensare che sia una cosa che si risolva da un momento all’altro. Ci vuole pazienza e soprattutto ci vogliono i risultati per ribaltare un po’ questa situazione non semplice». ► È la ‘condanna’ delle grandi: la pazienza finisce presto… «Quando arrivi a giocare in certe squadre non c’è mai tempo, né pazienza appunto. E si vuole subito che la squadra, magari anche nuova, arrivi immediatamente ai risultati sperati. È normale che sia così e che ci sia questa grande pressione. Va gestita e questa gestione passa dalla compattezza del gruppo di lavoro in generale e della squadra. Non è semplice ma se vieni in società così, grandi, come la Juventus, ci arrivi anche per affrontare sfide di questo tipo. E alla fine è anche questo il bello di essere in un top club. Se vieni scelto, evidentemente pensano che tu possa rappresentare la squadra per poterla portare subito in alto ma a volte qualcosa non va e non è colpa di una singola persona ma i problemi sono svariati». ► Dopo la pausa la Juve torna a giocare a Torino, contro il Genoa, di nuovo davanti al proprio pubblico che non vede dallo 0-4 contro l’Atalanta. «L’apporto dei tifosi è fondamentale però devi mettere in conto anche che devi tu cercare di trascinarli dalla tua parte. Non è facile in questo momento. Molto dipenderà dallo spirito e da come scenderanno in campo. Da fuori è tutto facile, dentro a volte è complicatissimo gestire certe pressioni». ► Un Barzagli, in difesa e nello spogliatoio, servirebbe a questa Juve… «Non è tanto il singolo che cambia una situazione né uno da solo può dare la svolta. Quando le cose non vanno è coinvolto tutto il gruppo, nessuno escluso. Ed è difficile uscirne singolarmente. Dai momenti più duri ne esci quando si riesce a creare qualcosa che porti a un risultato positivo. Questo è l’unico modo». ► Parole sicure, da veterano: ora lei è tornato in Germania a giocarsi l’Infinity League, format che incarna la Next Gen del football firmato Dazn, stavolta da «leggenda» bianconera in una squadra composta da Trezeguet, Marchisio, Matri, Pepe, una rappresentanza femminile e di creator bianconeri, e con Pessotto nelle vesti di allenatore. «Ero venuto qui nel 2024 con il Wolfsburg, già conoscevo il torneo e come funziona. È molto bello e interattivo. È futuristica ma è un’idea viva più che mai già oggi. Un mix piacevole per trascorrere una giornata di svago». ► Quanto la diverte questo connubio intrattenimento e calcio? «Vissuto dopo il ritiro è veramente piacevole perché culturalmente noi non abbiamo questo concetto di festa, e poi il calcio così è diverso dal professionismo ma per i tifosi non è che sia meno coinvolgente, anzi. È interessante e da portare avanti, se avessi giocato qua quando stavo bene magari mi sarei divertito di più ma mi godo questa giornata durante la quale ho anche incontrato tanti giocatori che ho affrontato da avversari in carriera». ► Ha parlato a lungo con Cambiasso prima della partita. «Sì, di padel… e della differenza rispetto a questo sport. Noi siamo logorati dal lavoro che abbiamo fatto. Abbiamo di tutto e di più, siamo infiammati, magari anche mezzi rotti e allenarsi è fondamentale. Però c’è una cosa che non cambia mai ed è la voglia di dare sempre e comunque il massimo. Anche su un campo così».
  9. Contrordine https://x.com/AlfredoPedulla/status/1903528178074706288?t=PSa3vFl2DbogoKgXOc_TqA&s=19
  10. Praticamente con il Genoa andrebbe in panchina un allenatore esonerato? RIDICOLI!!!
  11. Rossi, il fuoriclasse incompiuto «Quello che sono lo devo a papà» Lo chiamavano Pepito, ha segnato 132 gol e per mille giorni è stato infortunato Di Simone Golia · 20 mar 2025 Rimpianti e addio Mi ha preso Ferguson, mi voleva Guardiola. Sabato saluto il calcio e Firenze con Batistuta e De Rossi Giuseppe Rossi è raffreddato, le figlie gli hanno attaccato un po’ di influenza. In carriera ha segnato 132 gol, 30 le presenze con l’italia e oltre mille i giorni da infortunato. Oggi ha 38 anni, si è ritirato ma sabato, alle 18, giocherà al Franchi di Firenze la sua partita di addio al calcio. Chi ci sarà? «Batistuta e Toldo, Toni e Cassano, poi Grosso, De Rossi, Mario Gomez e non solo. Anche due grandi allenatori come Ranieri e Ferguson». Ferguson? «Mi ha detto subito di sì. Speriamo non faccia come quella volta a Birmingham…». Cioè? «Quarti di Coppa di Lega, 0-0 dopo il primo tempo. All’intervallo mi sgrida. “Devi darti da fare”. Mi sostituisce e dopo 5’ facciamo due gol». Come ci finì al Manchester United? «Un emissario del club si presentò a Parma, avevo 17 anni. Mi chiese di aprire la mano e mi consegnò una spilla con il logo della squadra. Firmai il contratto in un ristorante, con me c’era papà». Dopo ogni gol le braccia al cielo. La dedica era per lui? «Si ammalò nell’inverno del 2009, un tumore. Mamma mi nascose tutto, voleva proteggermi. Ricordo il giorno in cui mi chiamò, crollai a terra. Era inizio febbraio, tornai negli Stati Uniti per salutarlo. Dopo qualche settimana morì. Era il mio eroe». Il primo ricordo insieme? «Lui che torna dal lavoro, sistema i conetti nel giardino della nostra casa di Clifton, nel New Jersey, e io che li dribblo. Tutto quello che sono adesso lo devo a lui». Anche la carriera da calciatore? «A 12 anni lasciai gli Stati Uniti per trasferirmi al Parma. Lui partì con me. Non parlavo bene la lingua, a scuola i ragazzi non erano accoglienti, mi sentivo solo. Piangevo molto, dopo un mese e mezzo venne a trovarci mamma. Ricordo ancora la forza di quell’abbraccio». E papà? «Non volevo fargli vedere le mie difficoltà, ma lui aveva capito tutto. Più avanti mi confessò che aveva tenuto pronte le valigie per un mese e che mi avrebbe voluto bene anche se fossimo tornati in America». Dopo la morte di suo padre segna 35 gol col Villarreal. «Volevo spaccare tutto per realizzare il suo sogno. Guardiola mi voleva al Barcellona, durante la trattativa mi trovavo ad Acquaviva d’isernia, il paese d’origine di mia mamma. Trecento abitanti, il cellulare non prendeva. Giravo per strada con le braccia al cielo in cerca di una tacca. Poi il Barça non trovò l’accordo e prese Sanchez». Fu l’unico treno perso? «Per la Juventus dovevo essere il post Del Piero. Ero in macchina con mio zio, lui che guidava e io dietro che parlavo al telefono con Marotta e Conte. Offrirono quasi 30 milioni ma il Villarreal era appena tornato in Champions e non se la sentì di cedermi». Nel suo momento migliore si rompe il ginocchio per la prima volta. «Infortuni così ti tolgono un anno e io in carriera ne ho avuti cinque. Il dolore è tanto, come il tempo da trascorrere da soli. Il calcio è un mondo falso. Fino al giorno prima mi volevano tutti, poi più nessuno». Oggi gioca la Nazionale. Per lei gioie e dolori. «Nel 2010 Lippi non mi portò al Mondiale. Avevo giocato sempre, qualificazioni e amichevoli. Dopo la morte di papà restai a casa un mese e mezzo e lui non mi ritenne pronto a livello psicologico. Ma è acqua passata, l’ho invitato alla partita di sabato. E poi Prandelli mi tenne fuori da quello del 2014. Non mi vedeva bene fisicamente, però i test dicevano altro». Come ha conosciuto sua moglie Jenna? «A una festa, grazie a un amico. Avevo 25 anni, mi ero fatto male al ginocchio e giravo con la stampella. “Dai, andiamo sulla spiaggia”, mi sollecitò. Zoppicavo, non volevo. Per fortuna alla fine mi ha convinto. L’ho vista lì».
  12. In attacco servono gol Osimhen resta il sogno della nuova Signora Vlahovic verso l’addio, Kolo Muani in bilico Il nigeriano ha già dato la sua disponibilità di Matteo Nava · 21 mar 2025 L’ingaggio Victor guadagna 17,5 milioni lordi, ma i bianconeri possono sfruttare il Decreto Crescita Strada in salita Nessun contatto tra Juve e Napoli, che preferirebbe cedere l’attaccante a un club estero Verona, Empoli, Atalanta, Fiorentina: nelle ultime quattro partite, il piatto degli attaccanti piange. Dal gol decisivo di Dusan Vlahovic a Cagliari dello scorso 23 febbraio, quasi un mese fa, la Juventus non è più riuscita a segnare una rete con le punte. Nei quattro impegni citati il serbo e Randal Kolo Muani hanno sommato ben 450 minuti – 113’ il primo e 337’ il secondo -, ma nessuno dei due ha esultato. Se è vero che la pausa per le nazionali è il momento perfetto per liberarsi dalle tossine e pensare con calma al ritorno della Serie A, allo stesso modo i tre giorni di riposo concessi ai calciatori da oggi a domenica lasciano anche spazio alla dirigenza per fare un bilancio, che nel reparto offensivo è a dir poco negativo. E prelude a una possibile rivoluzione nel prossimo futuro. Un taglio col passato A oggi i centravanti nella rosa di Thiago Motta sono tre, ma per semplicità di analisi si può escludere Arkadiusz Milik che ancora non ha esordito in stagione per l’infinito problema al ginocchio sinistro – operato due volte nel 2024 – e con il quale verrà probabilmente trovato un accordo per una separazione in estate, anticipata rispetto alla scadenza del contratto nel 2026. Ne restano due, quindi, che però nel 20252026 potrebbero essere entrambi altrove costringendo il direttore tecnico Cristiano Giuntoli a una doppia caccia ai sostituti. Anche Vlahovic è in scadenza nel 2026 e dal 1° luglio comincerà a guadagnare 12 milioni di euro netti annui (24 lordi), quanto nessuno in Serie A: una cifra insostenibile per la Signora che – alla luce del suo rifiuto a un rinnovo a cifre ridotte – lo porterà a una cessione in estate. Kolo Muani è invece sia legato al futuro di Motta, che a gennaio lo ha convinto ad accettare il prestito, sia alla qualificazione in Champions League dei bianconeri: senza il pass per la massima competizione europea, la Juventus sarebbe molto meno appetibile per il francese e lo stesso club avrebbe un budget notevolmente minore per intavolare una trattativa con il Paris Saint-Germain. In questo scenario, è logico che in casa bianconera si sia già proiettati all’attacco che sarà. V come Victor Il reparto avanzato della Juventus va quindi rifatto e il grande obiettivo del d.t. Giuntoli è Victor Osimhen, la punta di diamante dello scudetto del Napoli nel 2022-2023. Considerando che il nazionale nigeriano guadagna 17,5 milioni di euro lordi all’anno e che è blindato da una clausola rescissoria da 75 milioni di euro, valida solo per l’estero, l’operazione non è facile. Il più grande fattore di ottimismo per l’uomo mercato bianconero è aver già incassato una sorta di disponibilità di massima del calciatore nigeriano che gradirebbe Torino come destinazione, mentre le criticità sono legate soprattutto al fatto che saranno tanti i club in corsa, con il Psg in prima fila. Al momento non c’è alcuna trattativa tra Juventus e Napoli e sarà tutt’altro che semplice convincere Aurelio De Laurentiis a cedere Osimhen ai rivali bianconeri, ma nel calciomercato può sempre accadere di tutto e il d.t. bianconero Giuntoli non ha intenzione di rinunciare al suo sogno senza provarci. Anche lo stipendio del centravanti attualmente in prestito al Galatasaray è pesante, ma il 26enne di Lagos beneficia ancora degli effetti del Decreto Crescita e quindi il suo ingaggio rappresenta un nodo secondario, non insormontabile.
  13. https://x.com/f_bamba/status/1902695984917782863?t=GFlZdPPFXlCBf58aJfnPsw&s=19
  14. https://www.dagospia.com/media-tv/la-kings-league-e-orrore-aldo-grasso-stronca-torneo-calcio-creato-da-428465
  15. Dagospia FLASH! COSA CI FACEVANO IERI SERA A CENA AL "THE WILDE" A MILANO IL PRESIDENTE DELLA FEDERCALCIO GRAVINA CON IL PRESIDENTE DELL'INTER MAROTTA, IL RESPONSABILE DELL'UFFICIO LEGISLATIVO DELLA FIGC VIGLIONE E L'AVVOCATO DEL CLUB NERAZZURRO ANGELO CAPELLINI? AH, NON SAPERLO MA GLI JUVENTINI SARANNO CONTENTI...
  16. Dagospia FLASH! COSA CI FACEVANO IERI SERA A CENA AL "THE WILDE" A MILANO IL PRESIDENTE DELLA FEDERCALCIO GRAVINA CON IL PRESIDENTE DELL'INTER MAROTTA, IL RESPONSABILE DELL'UFFICIO LEGISLATIVO DELLA FIGC VIGLIONE E L'AVVOCATO DEL CLUB NERAZZURRO ANGELO CAPELLINI? AH, NON SAPERLO MA GLI JUVENTINI SARANNO CONTENTI...
  17. andrea

    Sergio Brio

    «Il Trap mi diceva che i rigori li sapevo tirare meglio di Platini Quante botte e insulti con Pruzzo, ora siamo diventati buoni amici» Sergio Brio: io un picchiatore? Fui espulso solo una volta Venni morso in campo da un cane poliziotto romanista di Luca Bergamin · 20 mar 2025 Sergio Brio, lei è uno dei sei soli giocatori viventi ad avere vinto tutte le massime competizioni per squadre calcistiche di club. E adesso, a 67 anni di età, è tornato sui banchi di scuola. Perché? «Dopo la carriera di calciatore professionista, quella di allenatore e venti anni da commentatore televisivo, mi sono messo a studiare per diventare mental coach. Mi sono accorto, infatti, di essere portato per coniugare i concetti di leadership, spogliatoio, aiuto reciproco alla vita aziendale. Io non ci penso proprio a fare il pensionato, sono uno che non molla mai. Non mi reggevo più in piedi e ho scelto di farmi mettere due protesi alle cartilagini delle ginocchia contemporaneamente, nel corso di una sola operazione». Arti usurati? Non era lei quello che nella Juventus, insieme con Claudio Gentile, dava le botte? «Le botte negli anni Ottanta e Novanta si davano e prendevano, era un calcio più fisico e più tecnico di quello odierno. Potrebbe sembrare un paradosso ma è così». Brio, quale rapporto avrebbe avuto con la Var, la Video assistant referee? «Avrei cambiato il metodo di marcare e comunque con il libero dietro lo stopper, non eri mai l’ultimo uomo prima del portiere, mentre adesso si sta tutti in linea. In ogni modo io sono stato espulso una sola volta, contro il Napoli per una presunta gomitata rifilata a Salvatore Bagni. Non lo avevo toccato. Il presidente Boniperti mi disse che ero caduto nel tranello del centrocampista partenopeo». Ci si reclama sempre innocenti, poi invece se ci fosse stata la Var già allora... «L’avvocato Chiusano studiò le immagini televisive, come se avesse una sua Var, fece ricorso ed ebbi una giornata di sconto sulle due di squalifica che mi erano state comminate. Comunque dagli spalti, in cui mi ero seduto dopo l’uscita dal campo, assistetti a una magica rete di Maradona all’incrocio dei pali». A Brio stinco di santo non crede nessuno nemmeno dopo trenta anni. «Non lo ero, però non ero nemmeno un picchiatore. Anche Franco Baresi che passava per un difensore dallo stile perfetto si aiutava con tutti i mezzi possibili per fermare gli attaccanti. La forza fisica è una cosa, la cattiveria un’altra». Le piace il calcio di oggi? «Sinceramente, davanti allo schermo mi addormento, queste partite sono alquanto noiose. Mi viene sempre da ripensare a quando Boniperti sostituì in un colpo solo Capello e Anastasi con Boninsegna e Benetti perché voleva giocatori più coriacei». Altre differenze che fanno pendere la bilancia dalla parte del suo calcio anni Ottanta? «Per noi la società di calcio veniva prima di tutto, la maglia era sacra, i calciatori arrivavano dopo. Adesso prevale un individualismo esasperato». Qual è l’attaccante che a lei invece non perdonava nulla? «Van Basten per me è stato il più grande di tutti. Era bravo sia di destro che di sinistro, non si faceva mai anticipare. Dopo quindici minuti di partita mi dicevo: “Sergio, questo non lo fermerai mai”. Non ero in grado di capire se convenisse spostarlo da un lato all’altro in base al piede meno talentuoso come si faceva di solito». Anche «Spillo» Altobelli la fece ammattire parecchio. «Un’estate ero a Forte dei Marmi con la famiglia. Non esistevano i telefonini, solo un apparecchio fisso nel chiosco dei gelati lontano trecento metri dal mare. Vedo il bagnino venirmi incontro per avvertirmi che Boniperti desiderava parlarmi. In quel tragitto fui attraversato da cattivi pensieri perché il Presidente di solito chiamava solo per comunicarti che ti aveva venduto. Alzai la cornetta e lui mi disse: “Sergio, ho preso Altobelli così non ti segna più davanti agli occhi...”». Anche lei è stato un bomber, ha segnato 24 reti da professionista. «Sono di più se aggiungiamo la Coppa Italia e la finale della Coppa Intercontinentale a Tokyo, in quella gara marcai Borghi destinato al Milan. Mi ricordo ancora il percorso di avvicinamento al dischetto, quelli sono momenti in grado di cambiare una carriera, una vita. Sbagli un rigore e lo rivedi nella testa finché campi». Avere Gaetano Scirea alle spalle voleva dire dormire sonni più tranquilli? «Un giocatore semplicemente perfetto. Un uomo taciturno, serissimo: quando parlava, però, tutti si zittivano. La sua tecnica era finissima. Non venne mai espulso». Scirea-Brio sono stati più forti di Baresi-Costacurta? «Io non posso dirlo. Ho le mie idee in merito...». Lei aveva più tecnica e forza di Billy, almeno questo si può dire? «Idem come sopra. Io ho avuto la fortuna di incrociare il mio destino con quello di Giovanni Trapattoni che, tornando ad esempio alla finale della Coppa Intercontinentale, ebbe il coraggio di dirmi che ero il rigorista più bravo, addirittura più di Michel Platini. Il Trap ti trasmetteva una fiducia pazzesca in te stesso, bastava averlo in panchina e tu davi il doppio». Ci racconti la sua infanzia leccese fiabesca. «I miei genitori erano entrambi parrucchieri, vivevamo di fronte al Convitto Palmieri, dove adesso c’è il museo dedicato a Carmelo Bene. Trascorrevo tutte le ore della giornata a giocare a pallone tra le colonne di quel porticato in stile neoclassico. Per mia fortuna, sopra la nostra casa, abitava il portiere del Lecce che mi raccomandò ai responsabili del settore giovanile, lo stesso in cui si era formato Franco Causio». Anche un telegramma di suo padre le ha segnato la carriera. «A 17 anni mi avevano già ceduto per 400 mila lire al Calimera in Prima Categoria, però papà mandò una lettera per bloccare il trasferimento. Poco dopo mi fecero esordire in serie C, Azeglio Vicini mi convocò nella selezione giovanile, e da lì tutti mi volevano. Soprattutto il Milan era insistente. Ho avuto una botta di fortuna, quell’anno ero ripetente a scuola. Sarei diventato contabile. Invece nell’arco di poche settimane mi ritrovai ad allenarmi con i giocatori che collezionavo nelle figurine». Racconti la firma dei contratti con Boniperti. «In un giorno, durante il ritiro di Villar Perosa, faceva firmare praticamente a tutti un contratto in bianco, nel quale la cifra non era indicata. Si entrava a turno in una stanzetta convertita a ufficio, talmente invasa dal fumo che quasi non riconoscevi il viso del Presidente. E poi lui ci consigliava di sposarci presto ma al tempo stesso raccomandava alle nostri mogli di essere sessualmente morigerate nei nostri confronti. Io feci subito un figlio». Lei è stato l’unico calciatore della storia a venire azzannato da un cane poliziotto a Roma. «Sotto di un gol, pareggiò Platini e poi segnai io. Mentre stavo guadagnando la via degli spogliatoi, Prandelli mi avvisa che Giampiero Galeazzi voleva intervistarmi. Sotto la curva sud allora c’erano gli spogliatoi, con un tendone sopra per proteggere gli atleti dal lancio di oggetti. Mi si avvicina un poliziotto con un cane che portava al collo un fazzoletto giallorosso. Lo vedevo che tirava verso di me, ma il poliziotto lo teneva per il guinzaglio. A un certo punto, lo lascia andare. Io avevo appena fatto a scarpate in campo con Pruzzo e ho dovuto rifilarne anche a quell’animale che nel frattempo mi aveva morsicato facendomi sanguinare. Poi il medico sociale dovette cercare il militare per verificare se avesse fatto l’antirabbica altrimenti avrei dovuto saltare l’imminente match con l’Aston Villa per l’assunzione del vaccino contenente sostanze vietate dall’antidoping». Con Pruzzo siete stati protagonisti di duelli rabbiosi. Era proprio odio il vostro? «Lui era un giocatore che rimproverava anche i suoi compagni se non gli passavano la palla. Prendeva a male parole anche me. Scontri duri, epici. Adesso siamo amici».
  18. Senza Champions cambierà tutto Yildiz, Cambiaso e prestiti a rischio Non solo Vlahovic: se fallirà il 4º posto il club dovrà cedere i gioielli Si allontanano Kolo Muani e Conceiçao di Fabiana Della Valle TORINO · 19 mar 2025 L’estate scorsa è stata rivoluzione, con 9 giocatori arrivati alla corte della Signora (a cui se ne sono aggiunti altri 4 a gennaio). La prossima si rischia il bis, più per necessità che per volontà. Tutto dipenderà dal piazzamento finale: nei piani della Juventus a fine stagione basterà aggiungere due-tre giocatori di ottimo livello per aumentare il livello di competitività e tornare a sognare lo scudetto, ma lo scenario è destinato a cambiare drasticamente nel caso in cui la squadra fallisse la qualificazione alla prossima Champions League. In ballo ci sono 60 milioni che sono vitali per il club, anche per impostare la prossima annata. Senza Europa più importante si rischia di andare incontro a un ridimensionamento significativo, con cessioni illustri per sostenere il mercato in entrata e riscatti molto più difficili. Sacrificio Yildiz In cima alla lista dei partenti c’è Dusan Vlahovic: l’attaccante serbo ha il contratto in scadenza nel 2026 e non ha intenzione di rinnovarlo. La Juventus non può permettersi di perderlo a zero e gli ha già fatto capire con i fatti (mettendolo ripetutamente in panchina) che senza prolungamento finirà fuori dal progetto. A maggior ragione senza Champions, con uno stipendio da 12 milioni già difficilmente sostenibile adesso, che diventerebbe impossibile senza gli introiti garantiti dalla competizione più importante. L’attacco è il reparto dove si rischia di cambiare di più, perché senza Coppa Kenan Yildiz diventerebbe ancora più sacrificabile. Il numero 10 turco sta bene a Torino e non vorrebbe andarsene, ma il club potrebbe essere costretto a utilizzarlo per fare cassa, essendo uno dei giocatori con più mercato: Yildiz è arrivato a zero e sarebbe una plusvalenza pura per la Signora, che conta di incassare 70-80 milioni. Infine Arek Milik, ancora ai box dopo l’infortunio estivo: per lui zero minuti finora e un contratto fino al 2026, difficile immaginare che il club punti su di lui. Diversa la situazione di Randal Kolo Muani, che è in prestito: l’idea iniziale di Giuntoli era quella di provare a trattenerlo con un nuovo prestito con riscatto nel 2026, ma senza Champions la Juventus diventerebbe molto meno appetibile per il francese e il club farebbe fatica a impegnarsi per un riscatto da 40-45 milioni. I prestiti Kolo non è il solo in questa situazione: in prestito sono arrivati anche Francisco Conceiçao (dal Porto), Renato Veiga (dal Chelsea) e Pierre Kalulu (dal Milan) e il terzo è quello che ha più possibilità di essere riscattato (cifra fissata a 14 milioni più bonus) a prescindere dal piazzamento finale. La mancata Champions rimetterebbe in discussione anche l’acquisto di Conceiçao, che sembrava cosa fatta: 30 milioni diventerebbero un investimento impegnativo. Quanto all’ultimo arrivato Veiga, dipenderà dal rendimento e dalla richiesta del Chelsea. Cambiaso e i flop Oltre a Yildiz, tra i sacrificabili c’è Andrea Cambiaso, già a gennaio corteggiato dal City, altro giocatore che potrebbe portare nelle casse bianconere un bel gruzzoletto (circa 60 milioni): senza Champions diventerà impossibile trattenerlo. A rischio ci sono anche alcuni acquisti estivi che hanno deluso le aspettative: primo tra tutti Douglas Luiz, acquistato per 50 milioni dall’Aston Villa. La Juventus proverà a trovare acquirenti in Premier, dove ha avuto un rendimento sicuramente migliore. Stagione flop anche per Nico Gonzalez, 33 milioni pagati alla Fiorentina tra prestito e obbligo di riscatto: come Douglas potrebbe partire, mentre Teun Koopmeiners nonostante le tante prestazioni negative è considerato un investimento da proteggere e su cui insistere. Sotto osservazione Lloyd Kelly, arrivato dal Newcastle a gennaio per una ventina di milioni: con i rientri di Bremer e Cabal senza il doppio impegno in difesa non potranno restare tutti.
  19. https://www.ilnapolista.it/2025/03/pigi-battista-entro-in-sciopero-juventus-finche-ci-sara-thiago-motta-giuntoli-e-un-incompetente-deve-andarsene/
  20. https://www.dagospia.com/sport/stampa-elkann-editoriale-tranchant-marco-tardelli-rifila-calcione-thiago-428189
  21. https://www.dagospia.com/sport/elkann-si-e-rotto-balle-giuntoli-motta-pensa-dare-ruolo-dg-chiellini-vuol-428172
  22. "Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?". Ha scelto una famosa citazione di Cicerone il CEO di Tether Paolo Ardoino per commentare la disfatta della Juventus contro la Fiorentina, arrivata questa sera a una settimana di distanza da quella altrettanto rovinosa patita contro l'Atalanta.
  23. Anche La Stampa scarica Motta https://www.dagospia.com/sport/thiago-motta-avrebbe-dovuto-dimettersi-come-fece-lippi-stampa-elkann-428065
  24. Momblano dice che l'idea di Giuntoli per il prossimo anno è Pioli
  25. https://x.com/JuventuSenegal/status/1898911746900848956?t=o3yLktCR3LhmkAKohxGqpw&s=19
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